Gaetano Compagnino LETTERATURA ITALIANA? Le ragioni di una storiografia letteraria che assuma a suo oggetto una letteratura nazionale sono venute meno con la fine delle determinazioni nazionali della vita sociale e politica e dei processi economici. E insieme sono apparse più evidenti che mai le deformazioni ideologiche che il modello nazionalitario produceva nella ricostruzione delle vicende della letteratura. Tali deformazioni possono schematicamente riassumersi nel modo seguente: 1. assunzione di una letteratura nazionale come un sistema chiuso e teleologicamente ordinato; 2. riduzione delle aree come spazi determinati di processi letterari determinati allo spazio storico-geografico della storia nazionale; 3. riduzione dei tempi molteplici dei molteplici processi letterari a un tempo unico scandito in "periodi" unitariamente determinati; 4 riduzione dei linguaggi - e delle lingue - della produzione letteraria a un linguaggio - o a un sistema chiuso di linguaggi - e comunque a una lingua, così da lasciare sullo sfondo le lingue diverse da quella nazionale e i dialetti. Di questi quattro tipi di deformazione, il primo e l'ultimo sono caduti in discredito già da tempo, non senza tuttavia lasciare tracce evidenti negli studi anche più recenti e, soprattutto, negli ordinamenti istituzionali e negli orientamenti della ricezione da essi influenzata. Quanto alle riduzioni cui si accenna nei punti 1 e 2, rimandando agli studi del Dionisotti e ai lavori che ne hanno ripreso i problemi e soprattutto i metodi d'indagine, sarà sufficiente osservare, in relazione alla molteplicità degli spazi, che probabilmente deve tenersi conto non solo degli spazi come aree storicamente, e politicamente, determinate, ma anche degli spazi come aree socialmente (che non significa sociologicamente!) determinate (il rapporto città - campagna, per esempio) e, in relazione alla molteplicità dei tempi, che si deve insistere più di quanto abitualmente non si faccia sulla diseguaglianza degli svolgimenti e la molteplicità delle storie (e delle tradizioni, e delle genealogie ex post), insomma sulla simultaneità cronologica del non-contemporaneo (i tempi della storia - anche quelli della storia letteraria - sono tempi pieni; non si dà un unico tempo, se non quello "vuoto e omogeneo" della mera successione cronologica che la storiografia tradizionale s'ingegna di riempire di "fatti"). 1 Per la sua funzione geneticamente ed epistemologicamente fondante, sulla deformazione di cui al punto 1 sono tuttavia opportune alcune osservazioni meno generiche. La assunzione della letteratura nazionale come sistema chiuso e teleologicamente ordinato è infatti un paradigma della storiografia letteraria che ne connota la nascita stessa: basti pensare, se non a Vico, agli studi di letteratura greca dell'ancora winckelmanniano Friedrich Schlegel e alla coincidenza in essi postulata di storia e sistema (dei generi) e, di conseguenza, alla determinazione delle "epoche" come, insieme, determinazione del canone (come già accadeva peraltro nella Storia dell'arte nell'antichità dello stesso Winckelmann). Passando dal classicismo rivoluzionario di F. Schlegel alla storiografia borghese postrivoluzionaria, il modello subisce alcune modificazioni che ne approfondiscono l'intima contraddittorietà cosi da rendere necessario l'abbandono delle presupposizioni epistemologiche su cui esso si fondava (la coincidenza di storia e sistema e l'ordinamento teleologico) e da ridurlo, di conseguenza, a un vuoto schema privo di ragion d'essere. Accade infatti che la storia della letteratura nazionale si identifichi sempre più con la storia nazionale della letteratura, la quale, in quanto storia della letteratura moderna d'una nazione moderna, si trova a dover fare i conti con un'idea di nazione in cui convergono e si affrontano istanze sociali e politiche di diversa natura (basti pensare alla questione del "nazionale-popolare": letteratura e popolo, letteratura popolare, Volksdichtung e Kunstdichtung, per es., ecc. ecc.) e anche con le crescenti difficoltà di una determinazione sistematicamente coerente della storia dei generi (non solo perché nella letteratura moderna riesce difficile rintracciare i generi nella loro "purezza", ma anche - e forse soprattutto - perché il numero delle opere di cui tener conto si trova ad essere incomparabilmente maggiore di quello con il quale deve misurarsi lo storico della letteratura greca - peraltro già ridotta a sistema dai canoni alessandrini; è evidente, peraltro, che negare la validità della categoria di genere non risolve il problema, semplicemente lo elude). E anche accade che, diventata la storia della letteratura nazionale momento della ricostruzione storiografica della storia della nazione, la teleologia di questa risulti non riducibile a quella che, nella prima, orienta, in direzione dell' "epoca" canonica: l'una infatti tende a collocarsi nel presente (non più nel futuro, naturalmente, una volta venute meno le attese "rivoluzionarie": Schiller, F. Schlegel ecc.), l'altra non può che rimanere nel passato: l'età elisabettiana o quella "augustea", il siglo de oro, il classicismo francese o quello di Weimar. Per quanto riguarda l'Italia, la questione è drammatica: Dante, Petrarca e Boccaccio vengono troppo presto; gli umanisti scrivono in latino; l'età di Ariosto e Tasso è quella stessa della "perdita dell'indipendenza" ... . Michelet e Burckhardt inventeranno il Rinascimento, ma la cosa non riguarda la storia della nazione italiana, e dunque nemmeno la storia della letteratura italiana: De Sanctis scriverà la storia d'una letteratura in cui il canone in quanto canone nazionale di fatto non c'è - ove si eccettui Dante, che però "sta con" Shakespeare - e nella quale la ricostruzione del passato, della nazione e della letteratura, è orientata verso la auspicata ricomposizione di un divorzio secolare. 2 Tre altre conseguenze di questo genere di storiografia letteraria devono infine essere ricordate. In primo luogo: posto che la storia letteraria è storia della letteratura nazionale, ogni qualvolta il carattere nazionale di essa viene meno o risulta "contaminato" dalla presenza di elementi derivati da altre letterature, il valore di una letteratura (nazionale) ne risulta compromesso: è quel che accade alla letteratura latina in relazione a quella greca e, più in generale, ai vari classicismi umanistici. In secondo luogo: le letterature non riconducibili a realtà storico-politiche di tipo nazionale vengono respinte sullo sfondo, diventano premesse erudite che si esplorano per far luce sulla genesi delle letterature nazionali (si pensi alla letteratura latina medievale o a quella bizantina) o sono annesse di forza alla protostoria (o magari alla preistoria) delle diverse letterature nazionali (le letteratura della Romània, quella germanica altomedievale, quella slava) o vengono disegnate quasi a far da chiaroscuro ad esse (la letteratura umanistica). E infine: dopo tanto distinguere, quando non separare, il tentativo di recuperare le trame d'un rapporto sempre meno dissimulabile. Dapprima, in una sorta di partita doppia dei temi e delle forme, cioè di mere astrazioni, in cui il modello nazionalitario, frattanto divenuto sempre più nazionalistico, segnava i debiti e i crediti delle diverse letterature; in seguito, in un sempre più complicato disegno dei flussi e delle trasformazioni, dei contatti e dei conflitti, delle analogie e delle differenze non solo di temi e forme, ma di generi e di modi, di poetiche e di problemi; insomma: la letteratura comparata. E tuttavia: tutto quel che s'è detto non impedisce che si compili (e che si insegni!) una storia della letteratura italiana. Al modo in cui ci si può benissimo occupare della storia del romanzo di formazione o della tragèdie classique, è perfettamente legittimo studiare le vicende della produzione (e della ricezione) letteraria in Italia. Come sempre, quel che veramente importa non è la estrinseca definizione del tema, ma la costituzione dell'oggetto: le categorie secondo cui esso viene determinato e il sistema delle relazioni secondo cui viene "situato" nel suo tempo e nel suo spazio. Non è necessario insomma trattare degli Essais di Montaigne (1580 i primi due libri) parlando della Liberata (1580) e tuttavia non potrebbe trascurarsi la relazione fra eredità umanistìche e nuova antropologia che la coincidenza cronologica suggerisce. E d'altra parte: che l'Armando del Prati fosse pubblicato nello stesso anno (1868) dei Petits poèmes en prose di Baudelaire, è cosa che potrebbe impunemente trascurarsi da chi volesse far intendere il senso dei tempi della poesia in Italia nella seconda metà dell'Ottocento? In altri termini: non si propone una introduttìva contestualizzazione '"europea" della letteratura italiana, bensì una ricostruzione di essa che, di volta in volta, ne rilevi in re (nelle opere e nei generi, nelle presenze e nelle assenze, nelle scelte e nei rifiuti) le intersezioni europee; per dirla con una formula: una storia europea della letteratura italiana. 3