Anno A 14ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Zc 9,9-10 - Ecco, a te viene il tuo re, umile. Dal Salmo 144 - Rit.: Benedetto sei tu, Signore, umile re di gloria. Rm 8,9.11-13 - Se con l’aiuto dello Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Benedetto sei tu, Padre, Signore del cielo e della terra, perché ai piccoli hai rivelato i misteri del regno dei cieli. Alleluia. Mt 11,25-30 - Io sono mite ed umile di cuore. Mite e umile di cuore Né la mitezza né l’umiltà hanno oggi buona fama nella mentalità corrente. La gente apprezza molto di più i caratteri forti, orgogliosi, sicuri di sé fino al disprezzo degli altri: infatti chi fa carriera, nella nostra società violenta, deve sapere «dar di gomito». Nonostante che molti gridino alla nonviolenza e al disarmo, vediamo che si intensifica sempre più la corsa agli armamenti più micidiali e sofisticati. Tutti dicono di stare con i più deboli e i piccoli, ma in realtà cresce la folla degli emarginati di ogni genere a causa di comportamenti egoistici fino alla crudeltà. L’esistenza è teorizzata come «lotta», più o meno spietata, degli uni contro gli altri, come «concorrenza», più o meno senza esclusione di colpi, degli uni verso gli altri. Avendo concepito la vita come lotta e concorrenza, è evidente che la mitezza e l’umiltà di cuore non godono favori, anzi sono svalutate e fatte passare come debolezza e pusillanimità. La ragione di tale visione della vita è che si è bandita la «verità» e si è messo al primo posto il successo, il potere, la ricchezza, il piacere indiscriminato. Infatti soltanto chi crede fermamente nella potenza della «verità» riesce ad essere umile e mite. Il Messia giusto e umile Il profeta Zaccaria invita alla gioia in attesa della venuta del Messia: «Esulta grandemente, figlia di Sion; giubila, figlia di Gerusalemme». È infatti la venuta del Salvatore, di chi può portare giustizia al nostro mondo, ma non con la forza dei carri e dei cavalli, cioè col potere militare, che egli anzi farà sparire dal suo orizzonte: «Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l’arco da guerra sarà spezzato». Il Messia non sarà un re e quindi non cavalcherà una mula, come usavano fare i re (cf 2 Sam 13,29; 1 Re 1,33). Invece cavalcherà un asino, un puledro figlio d’asina, come facevano i giudici (cf Zc 5,10; 10,4; 12,14), perché il Messia verrà per fare un «giudizio», ossia per portare la sua verità che discrimina gli uomini. Il Messia «annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume (l’Eufrate) ai confini della terra», cioè universale. Non sarà quindi un discendente della dinastia davidica, ma Dio stesso. Il «dominio» suo non sarà oppressivo e violento, perché egli è giusto e umile. Insomma, il profeta traccia un quadro di un Messia nonviolento, giusto, umile, che non si serve né del potere politico né di quello militare per far valere il suo regno. Il v. 11 aggiunge che sarà un Messia liberatore che fa l’alleanza con il suo popolo. Il potere di Dio non è come quello degli uomini, violento e oppressore, anzi è un potere liberatore. Il popolo di Dio è invitato alla gioia, all’umiltà e alla mitezza che fioriscono precisamente dalla fede nella presenza del potere liberante di Dio. Quando invece noi vo- 14ª Domenica del Tempo Ordinario - “Omelie per un anno - vol. 2”, Elledici 1 gliamo far valere il nostro «potere», dobbiamo scegliere la via della forza politica e militare, della violenza e della lotta degli uni contro gli altri. Gli evangelisti hanno fatto riferimento a questo passo nella descrizione dell’entrata di Gesù a Gerusalemme (cf Mt 21,4 e par.). Gesù non ha il potere dei grandi di questo mondo, ma ha il potere di salvare veramente attraverso la verità del suo Vangelo. Così facendo, Gesù ci fa vedere che dobbiamo scegliere il potere di Dio, che dà sempre la libertà, e non il potere degli uomini che rende sempre schiavi. L’arroganza, la durezza di cuore e l’orgoglio, il dominio spietato e la lotta contro gli altri sono frutti dell’egoismo, cioè di quello che l’apostolo Paolo chiama «il dominio della carne». La «carne» infatti, nel linguaggio paolino, è la sfera dell’egoismo sfrenato dell’uomo. Se «vivete secondo la carne – dice Paolo – morirete»: l’egoismo infatti produce frutti di morte, non fa vivere. L’egoista non cerca il bene degli altri, non si dona per far vivere, ma succhia la vita degli altri fino a produrre la morte. Dall’egoismo non viene che orgoglio, brutalità, violenza, spietatezza, rovina. È l’egoismo il vero opposto dell’umiltà e della mitezza di cuore, che invece sono il frutto dell’amore. Il cristiano è colui nel quale «abita lo Spirito di Dio» o «lo Spirito di Cristo». «Spirito» indica vita e forza, capacità di vivere e di amare, di dare se stessi per il bene degli altri. Dandoci il suo Spirito, Gesù ci fa capaci di vivere come ha fatto lui, cioè di essere miti e umili di cuore. «Con l’aiuto dello Spirito – dice Paolo – voi fate morire le opere del corpo», cioè tutto ciò che è contrario a Dio e all’uomo. Anzi lo Spirito di Gesù ci farà vivere per sempre, facendoci risuscitare come ha risuscitato Gesù: «Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Cristo dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi». Mentre la «carne», cioè l’egoismo, è il regno della morte, lo Spirito di Cristo è il regno della vita. Ma i frutti dello Spirito sono: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5,22). Il dominio dello Spirito non è il campo della lotta degli uni contro gli altri, ma quello della mitezza e dell’umiltà che sanno amare e darsi disinteressatamente per la vita degli altri. Venite a me Gesù si propone come fonte e modello di vita. Egli invita a sé: «Venite a me», cioè a seguirlo e a vivere come ha fatto lui. Afferma di avere il segreto del giusto criterio per vivere, ossia la «legge» che salva e non il «giogo» (espressione che indicava nel giudaismo la Torah) che tiene schiavi e opprime: «Prendete il mio giogo sopra di voi». I rabbini parlavano di «giogo dei comandamenti» per indicare la pesante osservanza della legge; al tempo di Gesù «piegare la nuca sotto il giogo della sapienza» significava vivere nell’osservanza rigorosa della legge. Alla Torah, Gesù fa subentrare il «suo» giogo, che non è pesante e non opprime, ma è «leggero e dolce» perché Gesù non cerca di dominare e soggiogare. Egli è il servo di tutti, cerca il bene di tutti. Gesù infatti è «mite e umile di cuore»: ciò non significa che sia lassista e lasci correre, perché anzi avanza esigenze radicali e non ammette compromessi. La mitezza e l’umiltà di Gesù equivalgono alla sua volontà di non usare la forza e il dominio per schiacciare o per rendere schiavi. Egli infatti promette che «troverete riposo», ossia la serenità e la pace, la felicità e la gioia. Dunque, vale l’imperativo: «Imparate da me». Da Gesù soltanto si può apprendere la vera Torah, che non pesa e non rende schiavi, oppressi e oppressori. Il «peso» del vivere quotidiano può diventare leggero e soave se noi scegliamo davvero, in profondità e serietà, di seguire Gesù. Altrimenti la stessa religiosità diventa una fonte di paure, di angosce, di tormenti e di scrupoli. Ma «imparare» da Gesù vuol dire accogliere anzitutto la rivelazione che egli ci comunica, la conoscenza di Dio come Padre e di lui stesso come Figlio del Padre: «Tutto mi è stato 14ª Domenica del Tempo Ordinario - “Omelie per un anno - vol. 2”, Elledici 2 dato dal Padre mio, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare». Questa è la «conoscenza» che può cambiare realmente e radicalmente la nostra vita! Ma non è la «sapienza» illusoria e arrogante di chi pensa di avere la verità in tasca, bensì l’umile accoglienza della rivelazione divina nella fede. Chi si crede intelligente e sapiente per virtù propria e considera la verità come suo possesso, diventa orgoglioso e prepotente, crudele e spietato verso gli altri. A questa gente Dio non si «rivela», perché egli sceglie di rivelarsi ai «piccoli», a coloro che sono miti e umili di cuore. La verità di Dio, infatti, non è una forza che opprime, non è un patrimonio da usare per dominare sugli altri, non è un’arma per combattere, ma è lo stesso amore di Dio Padre rivelatoci da Gesù. È una verità data soltanto a chi, di fronte a Dio e agli altri, è «piccolo», cioè umile e mite; è una verità soave e dolce. 14ª Domenica del Tempo Ordinario - “Omelie per un anno - vol. 2”, Elledici 3