Approda alla Camera il testo unico di legge sulla salute
mentale
La riforma
“180”
della
servizio a cura di ROSANNA BORZILLO e di ELENA
SCARICI
È vivo il dibattito sul nuovo testo relativo alla salute mentale che riforma la
legge 180, voluta 24 anni da Franco Basaglia (che prevedeva, in sostanza la
chiusura dei manicomi e la volontarietà delle cure psichiatriche). Il testo unico
di legge sulla salute mentale, approdato alla Camera, è composto di diciotto
articoli che prevedono una vera e propria rivoluzione, basata, innanzitutto,
sulla obbligatorietà delle cure psichiatriche. La nuova legge affida al
dipartimento di salute mentale la prevenzione e la cura della malattia mentale,
costituito da una serie di strutture: il centro di salute mentale e le strutture
residenziali di assistenza continuata (Sra) che non possono ospitare più di 50
persone. In particolare, queste strutture sono divise in tre gruppi: per giovani da
15 a 25 anni, per adulti e per anziani con autosufficienza limitata o non
autosufficienti. Il trattamento sanitario obbligatorio, previsto anche dalla legge
180, cambia: diventa più lungo, dai 7 giorni attuali ai due mesi. A proporlo sarà
un medico, a convalidarlo uno psichiatra e a vagliarlo una apposita
commissione (istituita dalla legge) presieduta da un giudice tutelare. Viene
ancora introdotto il trattamento sanitario obbligatorio d’urgenza: durerà fino a
72 ore e potrà essere esteso anche ad alcolisti e tossicodipendenti. Medico e
psichiatra, inoltre, potranno richiedere l’accertamento sanitario obbligatorio,
ovvero il controllo delle condizioni psichiche di una persona. L’accertamento
verrà fatto a casa dai responsabili dei centri di salute mentale che saranno
accompagnati, se necessario, da polizia e carabinieri. Novità anche negli
ospedali: almeno un ospedale ogni 500mila abitanti deve essere dotato di un
reparto e un pronto soccorso psichiatrico 24 ore su 24. Ma anche - altra novità
importante - un reparto di neuropsichiatria infantile.
«Più
malati»
vicino
ai
Il parere di Tonino Cantelmi, presidente dell’Associazione
italiana psicologi e psichiatri cattolici e docente di Psicologia
dell’Università Gregoriana
«È una legge che salvaguarda maggiormente il malato e introduce nuovi
elementi di modernizzazione». È totalmente positivo il giudizio di Tonino
Cantelmi, presidente dell’Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici e
docente di Psicologia dell’Università Gregoriana. E ci spiega perché:
«Innanzitutto salvaguarda il lavoro psichiatrico di territorio e comunità: e
questo è molto importante. E, inoltre, migliora la “180” sotto vari aspetti».
Quali ad esempio?
«Creando le strutture residenziali con assistenza continuata».
Ma non sono i vecchi manicomi?
«Tutt’altro. Queste strutture permettono di occuparsi dei pazienti cronici non
assistibili a domicilio. Oggi, in Italia, sono circa 40mila, e mettono in crisi
l’intero sistema. E, inoltre, prevedono anche programmi di riabilitazione con
possibilità di reinserimento lavorativo. L’anello debole dell’attuale sistema
giudiziario erano, a mio avviso, proprio la mancanza di strutture intermedie per
i pazienti cronici. Debolezza ora superata. Invece bisogna riconoscere un’altra
verità…».
Quale?
«Che attualmente i manicomi nella pratica ci sono già: sono tutti quei
luoghi, diffusi sul territorio, dove i malati di mente sono segregati e non
vengono curati».
L’accertamento sanitario obbligatorio, non contraddice in qualche
modo la filosofia di base della 180 che puntava sulla volontarietà delle
cure?
«Questa legge non ha nulla di coercitivo. Aiuta il lavoro degli psichiatri
rispetto ai pazienti non collaborativi. L’introduzione di gradi di obbligatorietà
più flessibili, sino ad un periodo di due mesi, risponde alle esigenze attuali. In
questa legge vengono fissati adeguati interventi a favore delle famiglie dei
pazienti che non possono essere obbligate alla convivenza in situazioni spesso
drammatiche, come avviene, invece, oggi».
La nuova legge riforma anche gli ospedali prevedendo in ognuno la
creazione di un dipartimento psichiatrico. Che ne pensa?
«Finalmente viene esplicitato un bisogno fino ad ora negato ai cittadini:
quello della libera scelta della struttura erogante le cure. Attualmente al
cittadino affetto da patologie psichiatriche non è consentito di scegliere il
servizio in funzione della qualità dello stesso. Ora, accadrà il contrario. Ci sono
8 milioni di italiani che soffrono di ansia, anoressia, depressione: fino ad ora si
curavano tutti nell’area privata. Adesso ci sarà una possibilità in più».
C’è pure maggiore attenzione ai bambini…
«Sì, con la prevista creazione di reparti di neuropsichiatria infantile si
potranno aiutare anche quell’8% di bambini che in Italia ha disturbi
psichiatrici».
Diamo sostegno alle
Regioni
Il parere di Marcello Cozza, responsabile della Consulta
nazionale per la salute mentale
Le proposte di modifica alla legge 180 sia di miglioramento che di
cambiamento non costituiscono la vera risposta ai bisogni della salute
mentale dei cittadini.
Marcello Cozza, responsabile della Consulta nazionale per la salute
mentale, sintetizza così la posizione dell’organismo che rappresenta. La
consulta insieme ad altre associazioni e movimenti di categoria ha
sottoscritto un appello contro le modifiche della 180. Vediamone le ragioni.
Perché è sbagliato modificare la 180?
«Se noi puntiamo l’attenzione a modificare la legge sbagliamo obiettivo,
certamente le condizioni della malattia mentale sono cambiate da 24 anni ad
oggi, ma il vero nocciolo della questione sta nell’elaborare i Progetti
obiettivi cui sono delegate le Regioni e che rispondono alle reali esigenze
del territorio, stabilendo ad esempio come devono essere organizzate le
residenze e come curare effettivamente i malati. Il secondo punto
fondamentale è quello dei finanziamenti che la proposta di modifica alle
legge certamente non aumenterebbe, anche in questo caso invece il vero
punto è dare sostegno alle Regioni affinché mantengano l’impegno a
destinare almeno il 5% dei fondi sanitari per la salute mentale».
Scendiamo nello specifico, cosa ne pensa del trattamento sanitario
obbligatorio prolungato?
«Non costituisce una soluzione, di fatto il trattamento sanitario
obbligatorio esiste già e prevede la durata di sette giorni che però sono
rinnovabili. Attualmente si procede in base alle reali necessità e non
all’obbligatorietà».
E le strutture residenziali?
«Le strutture residenziali previste dalla modifica, con la capacità di 50
posti letto al massimo fanno inevitabilmente pensare alla riapertura di
strutture manicomiali. Infatti il trattamento sanitario obbligatorio, realizzato
in queste strutture, con porte chiuse e sbarre alle finestre è in netto contrasto
con un appropriato processo terapeutico riabilitativo».
C’è poi l’intervento delle Forze dell’Ordine...
«Anche quest’ultimo punto che vede l’intervento di polizia e carabinieri
per prelevare il malato da casa, sembra un ritorno a vecchi sistemi, è chiaro
che già adesso se c’è un reale pericolo legato ad una persona con disturbi
psichiatrici, scatta l’intervento delle forze dell’ordine, ma con questa
innovazione certamente il problema della salute mentale viene visto
essenzialmente come fenomeno da controllare socialmente».
Quale è allora la giusta politica da adottare?
«Una reale politica che voglia veramente tutelare la salute mentale deve
dare risposte sufficienti attraverso un corretto uso delle risorse rendendo in
primo luogo possibile l’assunzione di almeno ottomila operatori che
attualmente mancano all’appello».