“L’arte non è imitazione della vita, ma la vita è l’imitazione di un principio trascendente col quale l’arte ci rimette in comunicazione” Antonin Artaud Arti e format della mutazione La mia elaborazione teorica si basa su un lavoro costante di azione sul campo, reso possibile da diverse progettualità attuate attraverso convegni, seminari, rassegne e festival. Se c’è speculazione intellettuale è comunque incardinata su qualcosa che ho fatto in prima persona, insisto nel rivendicarlo: è un modo per essere chiari. E’ un principio che mi caratterizza, corrisponde, se vogliamo dirla tutta, ad un’etica, quella che una volta si poteva definire del critico militante. Oggi quel ruolo non lo indosso più e se volessi definirmi mi adagio sul termine del nomade culturale: mi corrisponde anche per via dei continui spostamenti, non solo geografici, alla ricerca delle nuove forme della trasformazione. La mia attività - come questo libro che ne ripercorre le tracce, rivelandosi un buon strumento di back up - è quindi articolata per punti d’iniziativa, punti di vita, come potrei definirli forzando un concetto che qui estendo al passaggio dalla funzione giornalistica (propria dei punti di vista) a quella creativa e interattiva. Da questo ethos psico-nomade partono delle linee di strategia culturale attiva, non solo teorica ma operativa nel coinvolgimento di autori e creando opportunità produttive e di ricerca. Molti dei progetti attuati, solo a volte riescono a svilupparsi nel tempo, perché spesso s’incagliano in logiche bloccate che non permettono di espandere la tessitura dell’esperienza e darle continuità. E’ il destino del free-lance che lancia delle intuizioni e non sempre trova l’opportuno contesto per svilupparle, anche perché sulle culture digitali in Italia non si è ancora istituzionalizzata l’attenzione necessaria. L’inferno di A_D_E Uno di questi casi è il progetto A_D_E (Art_Digital_Era) che nei mesi di luglio del 2001 e del 2002 si è svolto all’interno del Festival “Inteatro” di Polverigi (punto di riferimento, da vent’anni, per il nuovo teatro internazionale). Sul web ( www.teatron.org/ade ) trovi un’animazione flash progettata insieme a Lucio Diana (scenografo teatrale, già fondatore del Laboratorio Teatro Settimo) che recita: “Benvenuti nell’inferno delle arti in mutazione” e l’immagine di un tronco d’albero sezionato si rivela graficamente, con i suoi cerchi concentrici, in una sorta di metafora visuale dei gironi infernali danteschi. Il termine ADE infatti, rimanda, sulla base di una suggestione, inizialmente condivisa con Velia Papa (direttrice artistica del Festival “Inteatro”), ad una metafora che si proietta nella discesa di Orfeo (la ricerca poetica) negli inferi (il mitico ADE qui giocato come universo della complessità digitale ) per ritrovare la donna amata (il desiderio di alterità). A_D_E non è stata solo una sezione del Festival, ma un’inedita piattaforma di progettualità culturale che avrebbe potuto creare un precedente se non fosse rimasta incagliata in alcuni egoismi, rimanendo senza sviluppo se non in un’edizione in cui il progetto è stato addirittura scippato, proprio nel momento in cui arrivava un contributo della Comunità Europea. C’erano tutte le condizioni per creare un festival residenziale che diventasse punto di riferimento europeo per chi operava nella ricerca del rapporto tra media e performing arts, con la volontà di mettere in relazione le diverse forme della performance con gli scenari dell'evoluzione digitale in corso. Una combinazione, questa, che vuole esplorare non solo i confini dell’arte possibile ma quelli dei nuovi format audiovisivi e multimediali. Oggi quel tempo è passato, molte esperienze si sono stemperate in blandi manierismi (compresi quelli teorici) e non rimane che mantenerne traccia perché è la memoria che ci permette di capitalizzare l’esperienza per creare nuove opportunità di trasformazione. Un simposio in festival A_D_E ha attuato, per la prima volta in una dimensione così estesa, un'inedita ricognizione sullo stato dell'arte in mutazione dando forma ad una sorta di simposio in festival con spettacoli, performance, installazioni, laboratori, conversazioni e rassegne video. E’ stato un live set per la ripresa video e il webcasting, in un ambiente progettato come una summer school, un cantiere "estivo" (residenziale e confortevole, all'interno di una villa in cima ad una collina marchigiana) di produzioni creative che sondano le possibilità di una nuova spettacolarità nell'ambito comunicazionale. Della prima edizione ho ritrovato un “report” pubblicato sulla rivista Computer& internet (diventata ora MyMedia) che pubblico on line (>FORUM) perché utile nel rendere il panorama delle esperienze in campo, con nomi e link. La seconda edizione di A_D_E_ all’interno del Festival Internazionale Inteatro di Polverigi si è svolta nel luglio 2002 e ha rilanciato l’attenzione sul rapporti tra creatività e nuovi format. Se la prima edizione aveva sviluppato una ricognizione delle esperienze in campo, in un seminario con eventi ed installazioni multimediali di una densità notevole ma reso fluido dalla conduzione con un ritmo da talk-show, grazie alla presenza di Carlo Massarini, la seconda edizione ha centrato uno dei punti chiave: le nuove forme della scrittura progettuale. In questo senso è stato promosso un concorso (>FORUM) per web-experience: progetti da sviluppare sul web con quelle procedure ipertestuali che permettono la dinamicità delle idee e la loro prefigurazione. Capaci cioè di ricreare le sinestesie di un evento teatrale o multimediale, delineando le tracce di un’evoluzione performativa che possa coniugare la dimensione naturale del corpo e delle tradizioni sceniche con quella artificiale dei nuovi media. Ciò significa misurarsi con l’idea nuova di performatività intrinseca dei media , individuando il web sia come luogo di scrittura dinamica progettuale (proprio come uno storyboard ipertestuale) che come soglia da attraversare nei due sensi: dentro lo schermo, attraverso la navigazione immersiva, e fuori lo schermo, attraverso l’azione o la narrazione di un performer che interagisce con la videoproiezione dell’ipermedia. Dal cross-media digitale al tele-street militante L’aspetto più avanzato del progetto A_D_E è stato quello d’interrogarsi su ciò che ho definito il “format posttelevisivo”, ovvero quegli eventi e trasmissioni che dal broadcast radio-televisivo tendono ad articolarsi su piani ulteriori di sviluppo multimediale. Ovvero tutto quello che rappresenta la convergenza dei media, sulla base di opportunità digitali che iniziano a delinearsi come standard di trasmissione (grazie alla diffusione della banda larga di connessione a internet e alla sua estensione al mobile). L’ampiezza di banda e d’offerta tecnologica può (e deve) diventare ampiezza dell’intelligenza e della sensibilità applicata all’universo dei media. Perché tutto questo accada nella migliore risoluzione culturale, più che commerciale, è necessario che vengano sperimentate forme di spettacolo e di narrazione innovative, capaci di utilizzare le diverse soluzioni d’interattività. Questa è un’indicazione buona non solo per chi trasmette, evolvendo le proprie politiche di mercato, ma per chi riceve, qualificando un segmento di consumo culturale da sempre costretto alla banalità dell’audience di massa, proiettata al ribasso del gusto. Si tratta di un arco di esperienze creative potenziali e di piattaforme tecnologiche che oggi trovano sbocco nel podcasting ma che allora si riferivano solamente all’ uso diffuso degli MMS e di narrowcasting via satellite. . Oggi non basta più l’offerta televisiva consolidata, ancorata com’è su quote di mercato pubblicitario vincolate ad alcuni format stereotipi (e forse efficaci proprio per questo, per omologazione) che non vanno oltre il proprio target di riferimento (in prevalenza le famiglie, se non i pensionati, su cui è tarata al ribasso l’offerta televisiva). I format che si profilano nello scenario futuro avranno caratteristiche cross-mediali , basate cioè sulla convergenza digitale di più media, più o meno interattivi, raggiungendo l’utente attraverso molteplici canali: la TV generalista, quella tematica (satellite e pay-tv) , internet , mobile. Questa ricognizione nelle giornate di A_D_E non è stata quindi solo teorica, dato che sono stati presentati dei “numeri zero”, dei piloti di trasmissioni televisive e particolari progetti: dalla cross-medialità più avanzata al narrowcasting delle televisioni di comunità, come il caso di Telestreet/Orfeo TV (>FORUM). Scrittura mutante Insisto per dare alla parola format un concetto più ampio di quello inerente le trasmissioni televisive: per format voglio intendere la forma data alle informazioni. E’ molto meno generico di quello che si possa pensare. E’ un termine che sostiene il mio pensiero-azione nella trasformazione culturale dettata dai nuovi media interattivi. Ripercorrendo queste tracce individuo uno dei primi progetti sull’editoria multimediale che ho curato (con Alberto Castelvecchi) nel 1994. Aveva un titolo che allora lasciò spiazzati: “Il Libro Mutante”, fu realizzato al Palazzo delle Esposizioni a Roma per conto dell’Assessorato alla Cultura ed articolato con tavole rotonde e un continuo screening dimostrativo di prodotti ipermediali, tra i primi realizzati in Italia. Un evento-perno della mia operatività che approdò al Salone del Libro di Torino solo due anni dopo. Se penso a quante battute d’arresto, quante dispersioni … no, non è una lamentela del free-lance inascoltato, anzi, ho fatto tantissimo anche perché, grazie al mio nomadismo culturale, mi sono sempre spostato più in là, rispetto alle “secche” in cui veniva a trovarsi la mia progettualità. Dopo anni di forte investimento sulla dimensione educativa dei nuovi media e in particolare sull’edutainment (ne parlo ampiamente nel libro pubblicato per Bollati Boringhieri nel 2000 >FORUM) ripesco. quindi, il filo dei format inerenti il rapporto scrittura-lettura inaugurando un rapporto di consulenza con la Biblioteca Multimediale di Settimo Torinese che allora (nel 2000) si stava contraddistinguendo come uno dei primi e più interessanti spazi pubblici per l’accesso alle reti in Italia. Si sviluppò una densa programmazione d’incontri e seminari di studio, promossi nell’ambito di www.trovarsinrete.org e poi nel 2003 nacque il concorso on line scrittura mutante che continua ogni anno a far emergere dalla creatività digitale underground esperienze remarcabili (>FORUM). Quelle che seguono sono delle note che ne illustrano le caratteristiche . Scrittura Mutante è stato concepito per lanciare una sonda nel magma di quelle sperimentazioni che tentano di dare forma alla nuova espressività in ambiente digitale attraverso la scrittura. La scrittura, come gran parte dei nostri rapporti con il mondo in accelerata trasformazione, sta mutando. E’ una condizione determinata non solo dalla velocità dello scambio comunicativo ma dalla quantità d’informazioni che ci pervadono. Tutto questo tende a produrre una crisi dei modelli espressivi, senza dubbio, ma come tutte le crisi può tradursi in una crescita e nella ricerca di nuove possibilità educative. Rispetto a quella quantità e velocità emerge la necessità di una qualità in grado di ristabilire un equilibrio tra il pensare e l’agire nel campo del linguaggio. E’ di questo che si tratta: attivare una ricognizione sulle nuove modalità di espressione all’interno di quell’ambiente digitale in cui la comunicazione, anche se rischia delle perdite (le dinamiche logico-consequenziali, ad esempio), offre potenzialità straordinarie. Il termine “scrittura mutante” è certamente generico, e anche un po’ ironico, ma permette di affrontare le differenze di approccio alla sfera della parola e del suo utilizzo nel contesto multimediale. Ponendo domande come: in che modo la narrazione, propriamente lineare, può misurarsi con l’ipertestualità? O ancora. Come si coniugherà la scrittura con le soluzioni audiovisive nei nuovi supporti editoriali? Come ridefinire il ruolo singolare dell’autore all’interno delle reti basate sulle proprietà “plurali”, connettive e collaborative? In che modo le tecniche dei software si riveleranno linguaggi capaci di attrarre le nostre sensibilità? "Fare della propria vita un esperimento, questa è liberta dello spirito". Friedrich Nietzsche E-Motion Alla base di tutta la mia ricognizione sull’idea di performing media c’è un background di esperienza basato sul mondo della performance che in questi ultimi trent’anni ha sondato i termini dell’interazione possibile tra corpi e media. La cosiddetta multimedialità nella sua accezione generale, e non solo digitale, ha infatti visto lo sviluppo di molteplici forme artistiche che hanno messo a misura, in un portentoso bricolage culturale, i termini di una trasformazione scandita dall’evoluzione tecnologica, indagandone gli aspetti psicologici e antropologici. In questo senso voglio dedicare l’opportuna attenzione a quest’area di ricerca, cercando di creare un ponte logico tra la dimensione puramente artistica e quella più orientata verso una cultura digitale che riguarda l’intera condizione umana nell’innovazione. Apro quindi un focus sull’interazione tra corpo e sistemi elettronici, sia per quanto riguarda l’interaction design che le nuove forme della performance, individuando le caratteristiche dei dispositivi e delle condizioni che stabiliscono tali processi, dai motion-capture (l’impianto di sensori che rilevano il movimento fisico e lo traducono in forma digitale) agli ambienti interattivi in cui si sviluppano i climax per installazioni e performance di nuova sensibilità. Esperienze che rilanciano la domanda di spettacolarità, a più livelli, a partire dal teatro che ho seguito per tanti anni come critico-militante. Per quanto possa essere consapevole che l’opinione comune nei confronti del teatro è quella di un’arte tra le tante, se non la più debole e inattuale, insisto nel sostenere che alla radice del teatro c’è qualcosa che riguarda fortemente il modo attraverso cui ci siamo ambientati nel mondo, pensandolo e agendolo. E’ attraverso la tecnologia di rappresentazione chiamata teatro che si è infatti presa coscienza del mondo, fisico ed immaginario, grazie ad un sistema di simulazione che di fatto ha svolto una funzione educativa a tutti gli effetti, insegnandoci a condividere lo spazio comune nell’integrazione tra l’uso del corpo e della parola. Credo che una buona definizione di teatro possa essere quella di simulazione fisica di uno spazio mentale: portare fuori attraverso l’azione e l’espressione verbale qualcosa che risiede nella mente, sentimenti, stati d’animo, visioni mitiche. Questo portare fuori, rendendolo pubblico, ciò che sta esclusivamente all’interno della sfera privata, ha fatto sì che si sviluppasse la mente pubblica, ciò che definiamo civiltà. E’ grazie al teatro se l’alfabeto dei Greci s’è diffuso, rendendo condivisibile e comprensibile una tecnologia nuova, allora sconosciuta. Le parole nuove erano pronunciate da attori che attraverso una tecnologia-matrice, filogenetica, come quella del corpo, rendevano esplicite delle situazioni, delle mimesi capaci di rendere lo spazio scenico della Polis come il principale luogo d’apprendimento e di comunicazione di ciò che sarebbe diventata la civiltà occidentale. Siamo figli dei Greci ( e io lo sono anche biologicamente, mio padre era di Corfù), dobbiamo a loro questo imprinting che ci porta a cercare la misura di una relazione possibile tra corpo, parola e mondo. Della parola e delle sue estensioni tra scrittura e mutazioni, ho già trattato. Ora credo sia il momento di focalizzare sul corpo, e in particolare su quelle arti della performance che si misurano con il mondo che cambia. Continua così questo lavoro di back-up: di salvataggio della memoria del mio percorso di ricerca. Utile a me, certo. E anche a te che spero avrai la pazienza di ricostruire questo puzzle d’esperienza per cogliere il quadro d’insieme in cui intendo illustrare una politica intimamente legata alla poetica delle reti. E’ una poetica espressa dalle nostre azioni che nell’infomobilità (WISH!) mettono in relazione web (l’evoluzione dei nostri linguaggi) e territorio, il nostro mondo da vivere sondandone le opportunità. E’ questo il performing media: l’estensione del nostro corpo in azione in rapporto con il mondo che cambia. E’ la chiave per giustificare questo lavoro nel raccogliere le tracce dei miei percorsi di studio attraverso l’interazione tra la scena e i nuovi media al di là del loro aspetto specifico . Seguendole ripesco dall’harddisk un progetto in cui cercavo ( e cerco tutt’ora) di realizzare un archivio per la memoria di ciò che allora (i primi anni Ottanta) era avanguardia e che ora può essere considerata una tradizione del nuovo, un contributo per comprendere le dinamiche della mutazione in atto. Chiuderò questo libro con la mappa concettuale di un’ipermedia che ho pensato per quell’archivio e che uso correntemente per le mie lezioni. Un CD-Rom in cui metto in relazione le prime esperienze di videoteatro come quelle di Sambin, Martone o Corsetti, con le più avanzate performance interattive. Lo considero come il prototipo di un progressivo e implementabile atlante della memoria di Teatron.org, tra teatri ed elettroniche: dal videoteatro al performing media. La scena artificiale “E-motion” è stato titolo di un progetto su “La scena e l’elettronica. Videoteatro e Radio art” scritto nel 1999 e dimenticato nei cassetti dei tanti Assessorati che incontro lungo i miei percorsi di nomade culturale. Allora quel termine non era ancora stato abusato (come in alcune pubblicità) ed esprimeva emblematicamente un doppio senso che vedeva coniugare sia l’idea circostanziata ( verso le nuove sensibilità) di emozione sia quella di movimento in ambiente elettronico ( Electronic Motion). Un gioco di parole che aveva generato anche il marchio di teatron.org (attraverso cui opero da anni), in cui s’intrecciano le parole teatro ed elettroniche, echeggiando anche l’etimo greco, “theatron”. Ecco così, un po’ per gioco, nascere la parola “e-motion”. La parola emozione deriva dal latino "emuovere",significa “muovere fuori”, per cui s’intende il movimento dal paesaggio interiore a quello esteriore e viceversa. Nell'idea di “emuovere” c'è l'idea della migrazione: l'uscire dal proprio contesto per scoprire nuove regioni, territori e desideri. Il mondo dell'emozione che qui vale la pena trattare è un mondo di ricerca dell’alterità, per andare verso l’altro e l’altrove. E’ molto meno generico e romantico di ciò che sembra. I percorsi teorici intrapresi in questo libro riguardano proprio questo desiderio: mettersi in movimento verso qualcosa che provochi l’emozione della trasformazione, del transito verso qualcos’altro. Tutta quell’analisi sulle arti della mutazione è infatti inscritta in questa tensione. La citazione di Nietzsche che campeggia più su sta a confermarlo. Un punto di partenza per questi percorsi è stato non a caso il teatro che per me rappresenta la condizione limite attraverso cui sondare il rapporto tra la psicologia interna e la complessità del mondo esterno. Nel progetto “E-motion” trovano luogo performance e ambientazioni interattive che con diverse soluzioni performative e tecnologiche mettono in scena movimenti elettronici di buona emozionalità. Dall’intervento del burattino digitale animato in tempo reale alle coreografie interattive. Avevo individuato l’utilizzo di un burattino perché potesse diventare la “guida virtuale” dell’intera rassegna che titolai “E-motion”: un personaggio sintetico animato con un sistema di motion capture ( che utilizzai già in altri progetti, come Mediartech nel 1996, su realizzazione di Stefano Roveda>FORUM), agito da un performer in grado di relazionarsi agli spettatori attraverso un sistema video a circuito chiuso. La coreografia interattiva individuata era EXP di Ariella Vidach e Claudio Prati: una performance di danza che utilizzava il sistema di realtà virtuale " Mandala System". Quel lavoro multimediale propone una connessione diretta tra corpo e scenografie immateriali e allo stesso modo con la colonna sonora e visiva, modificando via MIDI (Music Instrument Digital Interface) le immagini proiettate su grandi schermi. Il perno centrale dell’operazione che avevo progettato ( e che è pronta per essere rilanciata >FORUM) riguardava la realizzazione di un archivio multimediale che a partire dall’avanguardia teatrale si sarebbe proiettato verso la sua interazione con i diversi media, dalla radio al video, per espandersi nella dimensione della multimedialità interattiva. Teatri della Memoria on line L’idea di attivare un ambiente web, come archivio audiovisivo e multimediale on line, dedicato allo spettacolo dal vivo, con una particolare attenzione al fenomeno della post-avanguardia, era emersa già nel 1995, quando avevo attivato, grazie all’aiuto di Massimo Ciccolini (il mio primo webmaster) Cyberia, spaziotempo virtuale (>FORUM), marchio che a Torino s’era già espresso in una rassegna di eventi multimediali, nel 1993 e nel 1994. Con “E-motion” contavo di evolvere la semplice raccolta di testi e ipertesti in un piano di editoria elettronica da sviluppare anche off line, attraverso una serie di cd-rom che riorganizzassero il grande repertorio del videoteatro, e non solo, destinato all’oblio. Su tutto questo proiettavo l’idea di una produzione di eventi in cui “performare” quegli ipermedia che ricombinavano i repertori della “memoria di scena” in una forma che amo chiamare teatri della memoria. Si tratta di installazioni multimediali da agire con performer-narratori che descrivano i momenti topici di quelle esperienze, descrivendo e navigando nell’ipermedia proiettato, da usare come una mappa cognitiva da illustrare. Una sorta di spettacoli di conoscenza un concetto che avevo già elaborato in relazione all’approccio ludico-educativo applicato ai Musei Interattivi e alle iniziative di divulgazione scientifica dei Parchi Tecnologici a tema (>FORUM). Ad essere teatrale non è solo l’oggetto dei materiali d’archivio ma il modo attraverso cui lo si sarebbe potuto fruire. Un percorso espositivo, organizzato su principi multimediali, articolato secondo le dinamiche compositive di una regia e di una drammaturgia (concepita come scrittura sia scenica che ipermediale) pensata per condurre lo spettatore-visitatore in un percorso ricco d’indizi informativi. E’ allora, in quella progettazione, che ho colto l’idea - ancora in fieri - del performing media, inteso come esercizio dinamico della tecnologia ipermediale per rendere dinamica, spettacolare, performativa appunto, un’azione, anche se articolata su una mappa concettuale. E di conseguenza una percezione. In quel caso si sarebbe trattato, infatti, di un’azione che avrebbe percorso un archivio tradotto in ipermedia, un sistema virtuoso e moltiplicatorio delle informazioni testuali (parole chiave, note d’autore, estratti di recensioni) associate alle emozioni audiovisive. Era un modo per inverare un concetto altrimenti astratto ed esoterico di teatro della memoria, su cui avevo già sviluppato il mio primo cantiere multimediale (già nel 1994) quello per il CD-Rom Percorsi Cifrati per cui elaborai questo testo. Abitare la memoria L'idea che misurarsi con la memoria sia come abitare uno spazio è decisiva per capire cosa si possa intendere per Teatri della Memoria. In uno spazio si agisce: le nostre percezioni, quindi, devono essere dinamiche. I percorsi della memoria non possono essere solo lineari e sequenziali ma analogici, combinatori, organizzati in modo reticolare per associazioni continue. Il teatro, quello di ricerca, si fonda sulla sinestesia dei linguaggi, sull'azione simultanea di diversi elementi visivi o sonori. Procede per montaggi analogici, nella sua progettazione principalmente. E' simile ai procedimenti dell'ipertesto, sui quali si basa tutta la multimedialità. Si tratta dello sviluppo di un'intuizione che l'arte della mnemonica conosce da tempo: spazializzare la memoria, organizzandola per toponimi, ambiti tematici e successivamente per "emblemi", immagini sensibili ed efficaci che colpiscano l'attenzione. Proprio come “hot-spot “ di un ipermedia. Un percorso di memoria potrà invitarci a fare esperienza: a fare un'azione, anche se simulata psicologicamente attraverso la navigazione in un ambiente interattivo. In un' opera multimediale il nostro approccio cognitivo tende ad essere di carattere immersivo, molto meno astratto di quello stabilito con un libro da decodificare esclusivamente attraverso le nostre competenze alfabetiche. Si può quindi accettare di essere “dentro” un ambiente, una stanza della memoria, uno spazio informatico da “abitare”, da attraversare come un territorio, da interpretare come un teatro d’informazioni. In "L'arte della memoria" Frances A.Yates nella sua straordinaria ricognizione scientifica ed esoterica rileva gli esempi più alti dell'arte mnemonica. Tra questi quelli di Giulio Camillo, il grande maestro rinascimentale, e quello di Robert Fludd, il filosofo ermetico che nel Cinquecento inglese, influenzato da Giordano Bruno, seguì da vicino il teatro di Shakespeare. E’ il Globe Theatre, il mitico teatro shakespeariano distrutto da un incendio, ad essere preso come modello di un ideale "teatro della memoria". Come accade nel CD-Rom Percorsi Cifrati, una delle prime opere multimediali sul teatro, realizzata da Impronte Digitali,Compagnia Solari-Vanzi e Scenari dell’Immateriale per il Centro Audiovisivo della Regione Lazio, in collaborazione con l’Ente Teatrale Italiano, nel settembre 1995 (agli albori dell’ondata editoriale elettronica). In quest’opera interattiva l’ambiente grafico tridimensionale ricostruisce un teatro da “abitare”. Un teatro contemporaneo che trova però come interfaccia grafica, come soglia simbolica, l’immagine evocativa del teatro di Fludd. Un atlante del videoteatro Uno dei punti di partenza di questo mio percorso nell’ipermedia è il videoteatro che mi ha visto, gia dal 1981, impegnato nella ricerca di una definizione della linea di confine tra scena e comunicazione elettronica. Seguii da vicino le produzioni televisive di Tango Glaciale e di Perfidi Incanti di Mario Martone e nel 1984 curai le prime rassegne di videoteatro per poi promuovere a Narni, dal 1985, il Premio Opera Videoteatro. Di quell’esperienza è importante ripescare dei materiali e in particolare un “concept-film”, un videodocumento concepito già allora come una sorta di ipertesto. Non a caso nel 1987, la manifestazione di Narni s’intitolò “La scena interattiva”, una pura e semplice intuizione, visto che i primi ipertesti in Hypercard per Macintosh sarebbero apparsi sul mercato solo nel 1988 (ma le voci giravano… il web non c’era). Già quell’anno, con l’aiuto di un centro di calcolo della Regione Umbria, digitalizzai alcuni frammenti video associati a delle parole chiave, un proto-ipermedia che mi servì dopo a concepire l’Index del videoteatro. Questo documento si basa su un montaggio di estratti di sedici opere video, prodotto nel 1989 dal POW, l'associazione che ha promosso poi il Festival "Scenari dell'Immateriale" di Narni (una di quelle poche iniziative di videocreazione indipendente a far incontrare le sperimentazioni artistiche e teatrali con il video). Un Festival nato da una costola del Premio Opera Prima per il teatro di ricerca diretto da Giuseppe Bartolucci, straordinario critico teatrale, apripista per più di una generazione, a cui voglio dedicare una doverosa finestra d’approfondimento, scritta per alcune riviste in occasione della sua scomparsa. A Giuseppe Bartolucci, maestro di critica militante E’ con la scomparsa di una persona, e ancor di più con quella di un maestro, che emerge drasticamente il senso di vuoto creato dalla sua assenza. Non è retorica emozionale. O perlomeno non vuole esserlo. Il fatto è che la morte di Giuseppe Bartolucci , e ancor prima il suo ictus, è giunta come a suggellare in modo irreversibile la fine di un’era, quella dell’avanguardia teatrale. Quell’area di ricerca che in Italia, più che in altri Paesi, raggiunse livelli altissimi di complessità . Un gioco spesso estremo e spregiudicato che in quei tempi, tra gli anni Settanta e gli Ottanta, vide una straordinaria quantità e qualità di forze in campo. Una condizione impossibile oggi ,se non su altri piani, molto meno ideologici, non più definibili quindi in quanto “avanguardia”. In quel contesto vi si rispecchiò la conflittualità e ancor di più l’antagonismo di cui era pervasa la società italiana, liberando però energie che proprio grazie a ciò fecero del teatro più di un ‘arte: un atto di sfida, un comportamento diffuso, un linguaggio collettivo, un modello immaginario, un contagio. Giuseppe Bartolucci di quel mondo fu non solo un critico di riferimento ma un terminale di sensibilità, il fulcro di un pensiero e di un’operatività che fa venire in mente le figure di Marinetti per il Futurismo e di Breton per il Surrealismo, come ha suggerito Lorenzo Mango. Non è esagerazione. Siamo con Mango nel riconoscere a Bartolucci la capacità di dare un senso ancora più pregnante alla funzione del “critico militante”, una qualità che va ben oltre la pratica analitico-giornalistica. Si tratta di quella funzione proiettiva in grado di contestualizzare un atto teatrale in una tendenza evolutiva , valorizzando più l’intuizione , l’idea germinale, che la risoluzione formale. Una proiezione capace di colmare con uno sguardo strategico le mancanze, contribuendo così a dare valore sostanziale a quell’arte dello spettatore che fa del teatro un evento di “percezione condivisa”. Un’attitudine che tende a superare il principio stesso del punto di vista per dare vita a qualcosa che ho già definito, giocando con le parole per coglierne il senso, “punto di vita”. Qualcosa che procede attraverso la forte adesione personale ad un evento esistenziale qual è il teatro nell’arco di uno spaziotempo condiviso realmente. E’ grazie al valore di questo scambio che la “postavanguardia” si è fatta, più che tendenza teatrale, movimento a tutti gli effetti, contribuendo alla formazione di una generazione di spettatori affinati alla ricerca di nuove forme espressive in grado d’interpretare la contemporaneità. Bartolucci creò le opportunità (rassegne, convegni, workshop) in cui si è sviluppato questo patto di sensibilità tra autori e spettatori, creando così un alveo fertile , un ecosistema, per esperienze che con la loro “invisibilità” , la loro incompiutezza formale , difficilmente sarebbero sopravvissute nel mercato teatrale. Era la fine degli anni Settanta e la componente più creativa di una generazione alla deriva postideologica degli anni di piombo trovò in quelle performance metropolitane un’occasione importante per sopravvivere al presente, per riattivare delle valenze ideali destinate al riflusso. Ad alcuni questo punto di vista parrà parziale, condizionato da un’emotività soggettiva, la mia (basti sapere che allora ero il critico teatrale di Lotta Continua), tesa ad evocare solo alcuni aspetti particolari. Ma non è solo questo. Lo stesso ruolo di Bartolucci è comprensibile alla luce di quella situazione: in quella sua capacità di agitatore intellettuale , capace quindi di entrare in relazione con una generazione di autori e spettatori a nervi scoperti, furiosi e delusi. Il suo pensiero teatrale di rabdomante, grande nomade culturale qual era, appare oggi come un presagio: andare oltre l’avanguardia per fare anche del “nuovo” una tradizione. Chiusa questa finestra emozionale, determinante tassello di questo mosaico di memoria che sto ricostruendo, torno all’ Index, il concept film del videoteatro che permette di evidenziare le differenti costanti di linguaggio di quel fenomeno che ha attraversato una generazione, se non due, di ricerca teatrale. Index è un atlante del videoteatro (>FORUM) si traccia una mappa concettuale, in cui si rileva la pratica che "traspone" scena in video, o che "ricostruisce" (con un'elaborazione audiovisuale della ripresa scenica, in cui emerge una specificità d’arte video), o che "crea" opere disancorate, quindi "autonome", dalla messinscena o ancora che produce "presagi", anticipando lo spettacolo in clip di carattere evocativo se non promozionale. Nel segmento che riguarda il video autonomo dalla scena troviamo Trucco di Riccardo Caporossi, opera dolce e visionaria di un veterano, insieme a Claudio Remondi, della sperimentazione teatrale. Un video elaborato sulla base di uno storyboard (vincitore del Concorso “Le scritture del visibile” promosso dal Festival Scenari dell’Immateriale di Narni nel 1988) che corrisponde alla pratica della scrittura scenica esercitata, disegnata, sempre da Caporossi. Altri due esempi indicativi sono estratti, da Perfidi Incanti di Mario Martone, una delle pochissime produzioni RAI di videoteatro, e da Romolo und Remo della Societas Raffaello Sanzio, una performance altera e iconoclasta (l’opera che vinse la prima edizione del POW, nel 1985). Per video presagio abbiamo quelle opere pensate per evocare la scena, anticipandola in una sorta di poetici trailer,come il Genet a Tangeri dei Magazzini, allora ancora "criminali"; Racconti Inquieti di SolariVanzi, l'altra metà de La Gaia Scienza, autori di un clip sincopato e suadente; e Syrma di Nutrimenti Terrestri, un video molto stilizzato che evidenzia l'idea della traccia ("syrma' in greco) creata dal corpo di Polinice, archetipo e motivo della Tragedia di Antigone. Nella scena trasposta in video si trova Tango Glaciale di Mario Martone-Falso Movimento che nel 1981 sancì l'avvento di una nuova spettacolarità in grado di coniugare multimedialità e presenza scenica. Indicativi in tal senso sono poi Woyzeck di Gustavo Frigerio, rigoroso nell'impaginazione visiva e drammaturgica al contempo e il Ladro di anime di Giorgio Barberio Corsetti, in cui la velocità del montaggio video esalta le sorprese teatrali. Per scena ricostruita in video troviamo: Mendeleev clip del Laboratorio Teatro Settimo connotato dalla particolare affinità tra colonna sonora e montaggio analogico delle foto di scena; Suicidi e omicidi acrobatici della Koinè con la regia, in un teatro di posa, di Alessandro Furlan che sottolinea con l’uso del croma-key le visioni futuriste ispirate a Depero; Folgorazioni del Teatro della Valdoca, con la collaborazione di Corrado Bertoni, in cui l'immagine scenica cade nell' "abisso" televisivo, riprendendo i tableau-vivant dai monitor, accentuando la grana del video, in una sorta di messa a “loop” dell’immagine; Macchine sensibili del Tam, ricomposto dalla post-produzione videografica di Giacomo Verde, fa affiorare l’impronta pittorica dell’azione scenica. L'ultimo aspetto individuato e' quello del video in scena, in cui si rilevano diversi casi in cui il video acquista un preciso ruolo in scena, come "attore" o scenografia. E' il caso del Prologo di Corsetti e Studio Azzurro, performance di viva interazione tra azione scenica e monitor semoventi, protagonisti a tutti gli effetti; Missione da compiere di Mario Martone in cui un attore dialoga in tempo reale con il suo alter ego in video; Ebdomero dei Magazzini Criminali, uno dei primi spettacoli ad utilizzare i video in scena come elementi di evocazione immaginaria. La scena invisibile In quegli stessi anni, accanto alla ricerca in campo video, sviluppai un’intensa attività di produzione per la radiofonia, un ambito in cui avevo già operato come autore e conduttore della trasmissione di RadioTre Un Certo Discorso, già dal 1981. Una delle poche occasioni del broadcast RAI rivolte al mondo della creatività giovanile. Ripensando quelle esperienze oggi, trovo una sottile contiguità tra quella ricerca radiofonica e la dimensione immateriale dell’ambiente digitale e di internet in particolare, dalla rete alle rete. Nei progetti che misi in cantiere avevo un’intenzione particolare: cercavo d’immettere l’aspetto performativo in relazione con la dimensione acustica. M’interessava creare una sorta di cortocircuito tra lo spazio-tempo fisico e quello immateriale dell’ascolto. L’idea era quella di far accadere degli eventi, dei teatri d’ascolto nel momento in cui andavano in onda delle trasmissioni. Sono così nati due cicli di trasmissioni radiofoniche per RadioUno/audiobox Teatri d'ascolto e La scena invisibile, due operazioni che devono molto ad una frase di Roland Barthes che m’ispirò fortemente: "l'ascolto è in fondo come un piccolo teatro”. Quello che volevo mettere in risalto era come un teatro di percezione, immateriale, potesse entrare in relazione con uno spazio pubblico dell’ascolto da condividere, in una sorta di contesto teatrale. Si pensi al lavoro sensoriale dell'ascolto nei confronti della ricezione radiofonica e alla straordinaria importanza che ha espresso la radio nell'immaginario collettivo prima dell'avvento televisivo e di come quella percezione sottile si sia inscritta nella quotidianità. Attraverso l'orecchio passa il mondo con i suoi rumori, vicini e lontani. L'ascolto raccolto dall'etere acquistava allora una valenza di evento sociale e fortemente aggregativo. Oggi la percezione sonora è inesorabilmente soverchiata dalla sovraesposizione d’immagine e l'ascolto difficilmente trova un suo spazio che necessariamente deve essere concentrato, sottile, selezionato. Il fatto stesso che si stia abbassando la soglia della sensibilità auditiva dato l'inquinamento acustico della quotidianità ci induce a una riflessione sull'urgenza di una riqualificazione dell’attitudine all'ascolto. Un aspetto questo che può rivelarsi determinante per un accrescimento delle qualità sensibili, di quell' autopoiesi (l’accrescimento soggettivo di percezione poetica, secondo la mia interpretazione) di cui l'uomo necessita per dare luogo alla propria evoluzione culturale. Solo a questo punto si può porre la questione del teatro in radio, solo dopo aver posto al centro dell'attenzione la specificità del luogo radiofonico, l'ascolto. Il teatro rappresenta l'essenza originaria della radiofonia, ne è stato fondatore; il mirabile saggio di Arnheim ( La Radio. L’arte dell’ascolto , Editori Riuniti, 1987) lo rivela con precisione. Eppure non è solo di drammaturgia della parola che si tratta ma di qualcosa che sappia giocare la dimensione sonora in tutta la sua teatralità possibile. In questo senso è dalla sperimentazione teatrale, da quell'area che negli anni Ottanta ha dimostrato di creare nuovo pensiero teatrale e non solo spettacoli, che sono arrivate le risoluzioni più compiute di ciò che si può definire “drammaturgia radiofonica”. Questo è accaduto perché il teatro di ricerca ha, per proprio statuto ideale, saputo andare oltre le convenzioni già istituite, inventando nuovo linguaggio. Arrivando a misurarsi con una sensibilità extrateatrale che ha saputo ben misurarsi con la potenzialità dei sistemi di comunicazione e delle tecnologie possibili. Va ricordata, in tal senso, la turbolenza della postavanguardia nel mixare elementi diversi secondo uno spirito di contemporaneità che generava un'inedita performatività intimamente connessa con le nuove domande di mondo, di vita. E’ da quella temperie comportamentale e culturale che è possibile cogliere le istanze di nuova teatralità dalle quali si sono evolute sensibilità complesse fondate principalmente sui dati percettivi della scena. Ecco quindi quel grado di elaborazione sonora che ha sempre contraddistinto un teatro di nuova spettacolarità non solo attraverso le colonne sonore che citavano i suoni del proprio tempo ma nella struttura stessa del discorso teatrale che si articolava per musicalità. Il suono in molti spettacoli rappresentava il sottotesto sensoriale, l'ordito sul quale si tesseva l'azione scenica secondo principi drammaturgici pensati per l'ascolto. Da quella molteplicità di esperienze, anche contraddittorie, sono emersi dei protagonisti che tra il 1988 e il 1990 hanno realizzato, con la produzione della società di produzione indipendente Sinergie, dei cicli dal titolo Teatri d'ascolto e La scena invisibile. Momenti inseriti nel palinsesto di RadioUno ed in particolare della sua fascia sperimentale Audiobox diretta da Pinotto Fava (>FORUM). Un dato peculiare di questa operazione risiede nel fatto di aver creato delle inedite opportunità di attenzione spettacolare dell’operazione radiofonica. Ad ogni messa in onda infatti si creavano, in luoghi teatrali e non, dei teatri d'ascolto, degli eventi che interagivano teatralmente con l'opera radiofonica trasmessa. Situazioni che rilasciavano l'idea stessa di valore d'uso della radio attraverso il gioco interattivo, portando l'etere in terra La scena digitale Il percorso intrapreso va dalla scena artificiale del videoteatro, passa per quella invisibile della radio-art, e arriva a quella digitale in cui l’interazione con i nuovi media giunge alla condizione attuale e futura. Il titolo, che uso per una serie di conferenze con ricognizioni video e multimediali, già dal 1997, è stato per anni uno dei leit motiv della mia ricognizione. E’ con la ricognizione sulla scena digitale che ho contrassegnato il percorso di questi ultimi anni, teso più ad un’attenzione antropologica per le mutazioni che per le esperienze teatrali di per sé (ne troverai un sintetico compendio nella scaletta dell’ipermedia che conclude il capitolo). Un’attenzione che va quindi oltre il dato teatrale per evidenziare le trasformazioni dello scambio comunicativo che l'elettronica sta producendo, modificando le funzioni del nostro corpo, come affermava, già negli anni Sessanta, il grande "profeta" della Società dell'Informazione, Marshall McLuhan. Ciò può determinare una sorta di schizofrenia, come ha fatto notare Umberto Galimberti in Psiche e Techne (Feltrinelli, 1999), nel momento in cui si viene a creare una scissione tra noi, il nostro corpo, e le funzioni espresse. La fisicità dopotutto non può essere considerata solo strumentale, ma inscritta nella sfera della nostra consapevolezza e ancor più in quella che concerne le nostre trasformazioni antropologiche. E’ proprio per questo che diventa sempre più necessario contemplare le nostre azioni anche in relazione al nuovo spazio-tempo digitale, per evitare quella deriva schizoide che alcuni, irresponsabilmente, sembrano auspicare, semplicemente perché si sentono inadeguati alle trasformazioni indotte dalle tecnologie. Il problema non è certo nel rapporto con le tecnologie che estendono e modificano le nostre funzioni (ciò accade da millenni) ma nell’automatismo psichico per cui invece di usarle ci si ritrova ad esserne “usati”. E’ in questo quadro che può essere contemplata la coscienza teatrale che rappresenta, perlomeno nella cultura occidentale come una delle opportunità migliori per coniugare pensiero e azione. Dove il teatro può essere laboratorio antropologico in cui mettere in relazione il corpo con la mente. Riflettere su questi aspetti, ovvero su ciò che riguarda il rapporto tra il nostro corpo e lo spazio esterno, partendo dal teatro, dimostra quanto non si tratti di questioni sovrastrutturali ma di qualcosa che concerne la risultante delle mutazioni in corso. La sua ragione d’essere va trovata proprio nella sua valenza di comunicazione originaria, empatica e interattiva ( per lo scambio biunivoco di energia), valenza che proprio in questi tempi, dopo almeno un decennio d’indebolimento provocato dai mass-media pervasivi, sembra riemergere come una domanda culturale tutta da esplorare. Si tratta infatti d’andare oltre gli steccati dell’autoreferenzialità artistica per interpretare le intuizioni dei pionieri: quelli che sono andati in avanscoperta, anticipando i modi di relazione tecnologica e i modelli psicologici di comportamento. Penso a quella categoria di nomadi culturali, artisti e ricercatori che hanno provato le condizioni spaesanti dell’interazione tra il corpo e l’elettronica, prima video, poi digitale. Il dato cardine è quello per cui una creatività digitale non è nata solo nell’accelerazione dell’avanzamento tecnologico ma è stata preannunciata da un’area di sperimentazione che da anni studia la relazione tra uomo e tecnologie. Dalla forza alla forma Questa trasformazione di procedure che si sta delineando trova una sua affascinante definizione in un concetto di forte evocazione teorica, sintetico quanto rivelatore: "dalla forza alla forma". E' un'affermazione di Elémire Zolla, rilasciata in una videointervista che realizzai per un evento dal titolo Il rito della visione presentato a Narni nell'ottobre 1992 per il progetto Scenari dell'Immateriale. Dalla forza meccanica alla forma digitale della simulazione virtuale, quindi. Il fatto stesso di rendere possibile un'azione in un ambiente remoto, ci pone di fronte ad un paradosso che riconfigura il concetto di azione nello spazio-tempo. Saltano, o perlomeno vengono considerate più relative, le coordinate spazio-temporali in cui ci collochiamo per dare luogo ad ulteriori corsi d'esperienza che vanno oltre i sistemi interpretativi predefiniti. Si pensi solo a come il concetto stesso di rappresentazione viene messo in discussione nelle realtà virtuali, dato che una navigazione immersiva in uno scenario digitale comporta un superamento della visione, nel produrre un'illusione cognitiva tale da farci "abitare" quell'ambiente. La realtà aumentata Facciamo un passo indietro, per inquadrare in un contesto più complessivo questo ragionamento sulla mutazione teatrale nell’era digitale. Ben più di un linguaggio, o un'arte, il teatro, "campo magnetico di tutte le arti" (Kandinskij), crea una simulazione fisica di uno spazio mentale: traduce in azione il pensiero di uno spazio-tempo psicologico. Il corpo diventa così l'interfaccia organico tra spazio mentale e spazio fisico. Sembra un termine azzardato, ma, dopotutto è giusto considerare il teatro come una tecnologia di rappresentazione a tutti gli effetti; anche se è qualcosa in più, perché attiva condivisione. E', per eccellenza, una tecnologia di comunicazione. Ricollegando gli elementi, creando anche un bel corto-circuito concettuale, possiamo sostenere che le nuove tecnologie digitali, attraverso la modellizzazione tridimensionale interattiva, creano simulazione dello spazio fisico. Le realtà virtuali hanno infatti superato un'ulteriore soglia percettiva ed epistemologica: è possibile fare esperienza all'interno di quegli spazi simulati. Andando ben oltre la visione. E' possibile, quindi, tradurre in azione il pensiero di uno spazio. Come a teatro. Lo so è un paradosso, ma l’importante non è irrigidirsi di fronte a questa iperbole teorica. Qui si tratta di accettare l’idea che nella dimensione simulata del virtuale accade qualcosa in più, e non in meno, come in molti pensano. Va detto, la virtualità non sottrae realtà bensì l'aumenta, produce opportunità ulteriori. E' una realtà aumentata, com'è stata interpretata da Flavia Sparacino , ricercatrice presso il Massachusetts Institute of Technology nel forum Imagina del 2000 e su cui ci siamo confrontati in occasione di Virtuality a Torino nel 2005. Nell'azione in uno scenario virtuale il corpo misura altri spazi-tempo: riconfigura la propria fisicità in un simulacro, un nostro “doppio” che secondo le nostre indicazioni (input digitali attraverso mouse o altre periferiche come il “data-glove”) agisce in contesti differenti da quelli stabiliti dal principio di realtà ordinaria. Si tratta di altro, anzi di "ulteriore", oltre i paradigmi psicologici e culturali determinati. Un'azione nel cosiddetto cyberspazio produce comunicazione, perché esprime ed attrae condivisione, se solo pensiamo a come funzionano le reti che ora con l’alta banda potranno attuare quello che da anni è stato promesso: l’integrazione tra telematica e realtà virtuale. Il punto di vita L'interattività propria dei sistemi digitali rilancia il principio attivo della teatralità: quello della percezione condivisa. E' qui la discriminante, la grande differenza, con le altre forme di riproducibilità audiovisuale di un'azione (cinema, televisione, video). L'interattività digitale rende evidente il flusso biunivoco dei segnali, nei due sensi: in andata verso il computer e di ritorno da questo verso noi ; ma non solo. Imprime un senso di realtà nella visione da farla avvicinare fortissimamente all'azione, esaltando le potenzialità estreme della vitalità sensoriale della comunicazione. Proprio come nell’interattività teatrale basata sull’empatia, lo scambio biunivoco di energia e di senso. E' in fondo da qui che trova origine il concetto di punto di vita che (ho già fatto notare) afferma la relatività del punto di vista dello spettatore immobile e racchiuso nella cornice mentale fondata sull’idea prospettica della visione. Pensate a quello che si fa quando si naviga in un buon ipermedia, o ancora meglio in uno di quei videogame (di quelli basati su una fiction interattiva di qualità) veloci nella reattività del mouse, del nostro occhio e della nostra mente. Se vi manca questa esperienza, osservate con attenzione, e umiltà, uno di quei ragazzi navigatori. C'è da imparare. Questo principio, che definisco agire nella visione, tende ad essere un valore forte che esiste già nella percezione teatrale (per la sinestesia) e che viene esaltato in quella multimediale, per via di una navigazione interattiva dentro lo schermo, al di là di qualcosa da considerare come semplice rappresentazione visiva. Superata la soglia dell'interfaccia grafica si abbandona il punto di vista preordinato per dare luogo ad un punto di vita in cui pensiero (la valutazione dell’info-design dello scenario) e azione (la reattività del mouse che esprime la nostra funzionalità remota) sono prossimi, esprimendo un’operatività che non è solo simulata ma reale per l’inedita esperienza senso-motoria. Si tratta, lo ripeto, del superamento di una soglia: si va oltre la visione per fare esperienza nella visione stessa, compenetrandola. Si va oltre l'interpretazione per fare azione, fisica o mentale che sia. Per altri versi è questo, in fondo, l'essenza del migliore teatro di ricerca. Se la peculiarità del virtuale risiede in un cortocircuito sensoriale per cui la vitalità organica dell'esperienza arriva ad operare all'interno del massimo grado di artificialità, come cercare, se non per opposizione, un rapporto con il teatro? E perché cercarlo? Certo, se il teatro nasce come simulazione fisica di uno stato mentale, il virtuale può ben essere concepito anche come il suo speculare sviluppo, rendendo possibile la simulazione mentale di uno spazio fisico. La misura concreta dell'azione e quella astratta della visione si coniugano in ambedue le condizioni. E' qui il dato sostanziale. Era forse questo il sogno che il vecchio surrealista Aragon vide inverato sulla scena da Bob Wilson trent’anni anni fa circa al Festival di Nancy. Chissà cosa avrebbe provato con un sistema di realtà virtuale. Corpi, Mondi Elettronici e Mutazione Per chiudere il cerchio, e il libro, torno sulle mie tracce, ripescando dal mio hard-disk dei materiali che possono servire a dare dei riferimenti precisi, con autori e opere, della mia ricognizione sulla scena digitale. Sono le note di un altro concept-film che ho realizzato, insieme a Claudio Prati, per il Festival OrienteOccidente di Rovereto del 2002. E’ un video introduttivo utilizzato per un incontro che ho condotto con Ariella Vidach, Sally Jane Norman (Direttrice dell’Ecole Supérieure de l'Image di Angoulème) e Roberto Marchesini (autore di Post-human. Verso nuove forme di esistenza, Bollati Boringhieri). La ricognizione video si basa su quelle esperienze che nel campo della danza e della performance hanno interagito con la dimensione elettronica, dal video alla virtualità interattiva. Sono tre le parole chiave su cui si articola il percorso teorico: Corpi, Mondi Elettronici e Mutazione. Corpi, nell’individuazione di una specificità coreografica (quella di Vidach/AIEP), una sperimentazione estrema del rapporto uomo-macchina (Stelarc) e una soluzione tecnologica che vede un corpo informare il computer, attraverso motion-capture, per la modellizzazione del corpo come accade nei videogames. E’ un riferimento che può apparire divergente sui “mudra” la semantica gestuale della danza classica indiana, emblematica per capire come il corpo possa produrre informazioni, come accade con i motion capture o il movimento della mano con il data-glove. Mondi elettronici, in un’analisi che va dalle prime sperimentazioni del videoteatro alle diverse applicazioni di realtà virtuale per centrare l’idea di danza in ambiente interattivo. Mutazione, nel rilevamento di alcune esperienze che tracciano gli sviluppi potenziali del rapporto con i mondi digitali, dalle performance ludiche e radicali (Marcel-li Antunez Roca) alla vita artificiale dei cosiddetti “agenti intelligenti” dei Knowbotic Research, segnali di un futuro da interpretare non solo in termini tecnologici ma artistici e antropologici. A partire dalla scaletta di quel video ho sviluppato la seguente mappa concettuale (poi realizzata in CD-Rom per essere in seguito esportata nel web) che prevedo, in prospettiva, di modificare inserendo nuovi repertori e appunti dinamici, al passo con le mie ricognizioni. E-Motion. Movimenti Elettronici Atlante ipermediale dell’interazione tra corpi e mondi virtuali CORPI La fisicità tradotta in forme e informazioni la danza che modella figure virtuali : Ariella Vidach “E-Motions” (2000) I segnali elettrici dei muscoli si fanno input digitali: Stelarc “Heaven for every one”(1994) L’atleta informa il software del videogame: Medialab “Motion del calciatore“ (1998) Il marionettista con il data-glove e il burattino digitale. S.Roveda/G.Verde “Info”(1997) Il teatro-danza della tradizione indiana che attraverso i “mudra” descrive la narrazione (disegni e foto tratte da “Anatomia del teatro” dell’ International School of Theatre Antropology , Casa Usher,1993) MONDI ELETTRONICI dalla scena immateriale alla realtà virtuale e aumentata L’interazione sottile tra corpo, video e suono: Michele Sambin “VTR&J” (1978) l’ambiente artificiale del cromakey: Falso Movimento, “Tango Glaciale” (1982) l’interazione tra corpi e monitor video: Corsetti-Studio Azzurro, “Prologo” (1985) la realtà artificiale: Myron Krueger, sistema Videoplace, “Critter” (1984) la realtà virtuale immersiva: sistema Provision (1992) hi-tech / hi-touch: “Contact Water”, Siggraph 2001 Gli ambienti sensibili: Studio Azzurro, “Coro” (1995) l’azione nello scenario interattivo: Ariella Vidach, sistema Mandala System, “Exp”(1997) MUTAZIONE le metamorfosi del mondo digitale Cybermartire: Marcel-li Antunez Roca, “Epizoo” (1994) L’ibrido uomo-macchina: Stelarc, “Exoskeleton” (1999) L’infografia per la simulazione del corpo in azione: Thecla Schiphorst, “Life Forms” (1995) L’animismo elettronico: Studio Azzurro “Giardino delle cose (1992)” Balla con i virus: vita artificiale degli agenti intelligenti:Knowbotic Research, Interscena (1997 E’ strana questa conclusione del libro, affidata ad un elenco di indizi, di opere e autori, ma è dopotutto coerente con la stranezza (diciamola chiara: una frammentarietà che rivela un approccio più esperienziale che intellettuale) del libro nel suo complesso. Questa scaletta,schematica e scarna, alla fine dei conti è un invito ad avventurarsi in territori di cui si sa troppo poco: è una mappa che precede un campo di esperienze radicali tutte da esplorare, da vedere. Ti confesso che intendo sviluppare una piccola strategia editoriale (off line e on line) di cui potrai trovare tracce su www.performingmedia.org , la piattaforma che ci permetterà (me e te, giunti alla fine di questo percorso nel libro) di continuare a cercare insieme. Non concludo il libro con un fiocco teorico ma lasciando aperta la quarta parete come si usava dire a teatro, rimando alla rete dove il mio lavoro continua.