Cornell Woolrich, Giallo a tempo di swing Traduzione di Delfina Vezzoli da L’occhio del morto L’idea degli scambi è partire con poco o niente per realizzare qualcosa. Io quel giorno ero partito con una fibbia senza linguetta e un nocciolo di pesca spolpato, e li avevo scambiati con un ragazzino di nome Miller per un’armonica che qualcuno aveva calpestato. Poi questa l’avevo scambiata, con un altro ragazzino, contro un temperino cui mancava una lama. Dopo un’ora che aveva fatto buio, il mio capitale iniziale si era trasformato in una palla da baseball con la copertura esterna spellata, quindi mi pareva che il pomeriggio fosse stato piuttosto fruttuoso. Naturalmente avrei dovuto essere a casa ben prima di quell’ora, ma gli scambi richiedono tempo e ti fanno fare un sacco di strada. Ero nel bel mezzo di un altro scambio, con Scanlon, quando vidi arrivare il mio vecchio. Era ancora a un isolato di distanza, ma camminava spedito come quando è scocciato, ed è difficile esercitare il senso degli affari se devi concludere in fretta. Fu per questo, credo, che mi lasciai convincere da Scanlon a fare cambio con lo scarto schifoso che aveva lui. Era un vecchio occhio di vetro che qualcuno aveva buttato via, e lui doveva averlo trovato nella spazzatura. “Certo che hai un bel coraggio!” brontolai. Ma mi guardai alle spalle e vidi il Problema in rapido avvicinamento, quindi non avevo tempo di farla tanto lunga. Scanlon capì di avermi in pugno. “Allora sì o no?” insistette. “E va bene, tieni” ringhiai, e gli passai la palla spellata; lui mi diede l’occhio di vetro e io me lo ficcai in tasca. Fu tutto quello che riuscii a fare prima che il Problema mi piombasse addosso. Mi prese per la collottola e mi fece fare dietrofront, puntandomi nella direzione di casa, e cominciai a procedere veloce come il vento, anche se il mio contributo alla volata era solo del cinquanta per cento. Ma questo non sarebbe niente, se non fosse che i padri devono sempre farti delle tirate interminabili su tutto, chissà perché. “Non ne ho già abbastanza di grane” disse lui, “senza che mi tocchi perlustrare tutto il circondario per trovarti, ogni volta che torno a casa? È da un sacco di tempo che tua madre si sgola a chiamarti dalla finestra. Secondo te che ore sono, eh?” E via di questo passo. Andò avanti per tutti e cinque gli isolati che mancavano fino a casa, ma io continuavo a pensare alla fregatura che mi ero appena preso, per cui riuscii a evitare di ascoltarlo dall’inizio alla fine. Non l’avevo mai visto così nero. Almeno non da quando avevo sfondato la vetrina del negozio di dolci. Di solito, quando doveva uscire a cercarmi, se per esempio stavamo giocando a baseball dava un colpo di mazza pure lui, poi mi strizzava l’occhio e quando rientravamo faceva solo finta di sgridarmi davanti alla mamma. Diceva che si ricordava di quando anche lui aveva dodici anni, il che dimostra quant’era forte il mio vecchio, perché ricordarselo per ventitré anni, non è uno scherzo, diciamocelo. Ma stasera era fuori dalla grazia di Dio. Però si vedeva che non ce l’aveva davvero con me, che c’era sotto dell’altro; magari gli facevano male i piedi, chi lo sa. Verso la fine della cena se ne accorse anche mia madre. “Frank” disse dopo un po’, “cos’è che ti rode? Tu sei preoccupato per qualcosa, a me non la dai bere, sai?” Lui stava tirando delle righe sulla tovaglia con i denti della forchetta. “Sono stato retrocesso” disse. Io m’intromisi proprio in quel momento, da vero cretino, altrimenti avrei potuto ascoltare anche il resto. “Che vuol dire retrocesso, pa’?” chiesi. “È come quando a scuola ti mandano nell’ultimo banco? Ma come possono farti questo, pa’?” “Frankie, vai di là a fare i compiti!” ordinò la mamma. Appena prima di chiudere la porta la sentii dire, un po’ spaventata: “Non ti avranno rimesso in uniforme, vero, Frank?”. “No” rispose lui, “ma tanto varrebbe.” Quando riemersero, sembravano tutti e due un po’ giù di corda. Si dimenticarono che c’ero anch’io, oppure non si accorsero che stavo leggendo Black Mask dietro al libro di geografia. Lei disse: “Immagino che adesso ce ne dovremo andare di qui”. “Già, c’è una grossa differenza nello stipendio.” Tesi le orecchie. Non volevo essere costretto ad andar via, soprattutto perché ero il campione di biglie dell’isolato. “La cosa che mi fa più male” disse lui, “è sapere che non sono riusciti a trovare niente contro di me nel mio stato di servizio. Sono un capro espiatorio, il capitano lo ha dovuto ammettere. Ogni volta che al gran capo gli prende la smania di aumentare l’efficienza della divisione, qualcuno deve essere sacrificato. Lui lo chiama ‘tagliare i rami secchi’. Se non hai risolto sei casi di fila da solo, sei un ramo secco.” “Be’” disse lei, “magari la cosa si sgonfia e tra un po’ ti reintegrano.” “No. L’unica cosa che potrebbe salvarmi è un colpo di fortuna, la possibilità di risolvere un grosso caso. Una volta che passerà l’ordine, non sarò neanche più nella Omicidi. E a quel punto che possibilità avrò, se sarò occupato ad arrestare scippatori e rubagalline? Quel che mi ci vuole è un succulento delitto, difficile da risolvere.” Fischia, pensai, magari sapessi qualcosa di un omicidio, così potrei dirglielo. Ma come faceva un ragazzino come me a scoprire un caso del genere, di cui oltretutto nessun altro doveva sapere niente in modo che lui potesse tenerselo per sé? Non avevo neppure idea di dove andare a cercarlo, se non dietro ai tabelloni pubblicitari o in posti come i terreni abbandonati, e comunque sapevo che lì non c’era niente. Ogni tanto si trovava un gatto morto, tutto qui. Il mattino dopo aspettai che mamma uscisse e poi gli chiesi: “Pa’, come si fa a sapere quando c’è stato un omicidio?”. Lui non mi stava prestando molta attenzione. “Be’, prima di tutto trovano un cadavere.” “Ma mettiamo che il cadavere è nascosto in qualche posto che nessuno conosce, allora come fanno a scoprire che c’è stato l’omicidio?” “Be’, se una persona è scomparsa, se è un po’ che non la si vede in giro, questa è la prima cosa che fa partire le indagini.” “Ma mettiamo che nessuno vada a dire che una persona è scomparsa, perché nessuno se n’è ancora accorto, allora come fanno a sapere dove cercarla?” “In quel caso non la cercano, prima bisogna avere qualche tipo di indizio. Un indizio è una piccola cosa, che non dovrebbe essere nel posto dove viene trovata. È difficile da spiegare, Frankie, e non posso fare di meglio. Potrebbe essere un piccolo oggetto che appartiene a qualcuno, ma la persona a cui appartiene non è in circolazione; allora ti chiedi come mai non c’è, e come mai quell’oggetto è lì invece di essere al suo posto.” Proprio allora la mamma rientrò, così lui disse: “Adesso smettila di scervellarti su queste cose, va’ a fare i tuoi compiti piuttosto. L’ultima pagella che hai portato a casa era un disastro, lo sai vero?”. E poi aggiunse, più per sé che per me: “Ne basta uno di fallito in famiglia”. Fischia se ci rimasi male a sentirgli dire così. Anche mamma doveva averlo sentito. Vidi che gli posava una mano sulla spalla, e premeva forte, senza dire niente. […]