@men. Immagini e Messalino - salesiani don Bosco

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Anno C
2ª DI PASQUA
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At 5,12-16 - Aumentava il numero di coloro che credevano nel
Signore.
Dal Salmo 117 - Rit.: Abbiamo contemplato, o Dio, le meraviglie
del tuo amore.
Ap 1,9-11ª.12-13.17-19 - Io ero morto, ma ora vivo per
sempre.
Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Perché mi hai veduto,
Tommaso, tu hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto,
crederanno. Alleluia.
Gv 20,19-31 - Otto giorni dopo, venne Gesù.
La Pasqua nella Chiesa
Se, passato il giorno di Pasqua, abbiamo strappato dal calendario il
foglio che reca quella data, non dobbiamo pensare che la Pasqua sia
da mettere nel dimenticatoio per aspettare a ricordarcene di nuovo
nel prossimo anno. La Pasqua ritorna ogni domenica, quando ci
ritroviamo intorno all’altare sul quale si perpetua nei secoli, fino al
ritorno di Cristo, il sacrificio offerto sulla croce, mentre la Chiesa
continua ad annunziare la sua morte e a proclamare la sua
risurrezione nell’attesa del suo ritorno nella gloria.
La Pasqua continua nella memoria dei credenti e nella misteriosa
opera di salvezza; nella Chiesa continua la gioia che ci ha recato la
Pasqua, espressa nel salmo responsoriale che s. Massimo così
presenta in una predica tenuta il giorno di Pasqua: “Non è senza
ragione, fratelli, che oggi si legge questo salmo, nel quale il profeta
dice che dobbiamo esultare e rallegrarci: il santo Davide invita tutte
le creature a partecipare alla festa di questo giorno... tutte le creature
sono invitate dal santo Davide alla festa della risurrezione di Cristo,
quando dice che bisogna esultare ed allietarci in questo giorno fatto
dal Signore”. Continua la Pasqua nei doni che ne sono il frutto
benedetto.
Pace, perdono, fede
“Pace a voi!”. È il saluto che Gesù rivolge due volte ai suoi,
comparendo improvvisamente in mezzo a loro la sera del giorno in cui
era risuscitato. “La ripetizione”, commenta s. Agostino, “è una
2ª di Pasqua “C” - “Omelie per un anno 1”, Elledici
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conferma: cioè egli dona pace su pace, secondo la promessa fatta per
bocca del profeta (cf Is 26,3)”.
Così ancora otto giorni dopo. La vigilia della sua morte, aveva detto
loro: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” (Gv 14,27). La Pasqua ci
porta la pace. “In Cristo Gesù voi che un tempo eravate i lontani siete
diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra
pace” (Ef 2,13-14). Dio “ci ha riconciliati con sé mediante Cristo” (2
Cor 5,18). Conferendo ai discepoli l’autorità di rimettere i peccati, in
virtù dello Spirito Santo, egli affida loro, con la parola e col
sacramento, il ministero della riconciliazione.
La Chiesa è chiamata a portare avanti l’opera di riconciliazione fra Dio
e gli uomini – ecco il sacramento della penitenza sempre attuale e
necessario! – e degli uomini tra loro. Questo in forza dell’amore di cui
la Chiesa è testimone e portatrice: “La carità della Chiesa”, così s.
Agostino, “che per mezzo dello Spirito Santo si riversa nei nostri cuori
(cf Rm 5,5), rimette i peccati a coloro che ne partecipano, mentre
ritiene i peccati di coloro che ne sono fuori”.
Deve essere questo un impegno di tutti nella Chiesa, non solo
annunziando “la parola della riconciliazione” (2 Cor 5,19), ma
operando insieme per eliminare le situazioni di ingiustizia che
rendono impossibile una riconciliazione effettiva e per realizzare le
condizioni che promuovono giustizia, solidarietà, aiuto fraterno.
Ma per compiere questa missione la Chiesa deve essere sostenuta ed
animata da una fede salda e viva in Gesù Cristo, uomo vero che,
morto per noi, reca sul suo corpo le cicatrici della passione,
veramente risuscitato, nostro Signore e nostro Dio. Per rinsaldare la
fede dei discepoli ancora dubbiosi, Gesù mostra loro le sue piaghe,
come spiega s. Agostino: “I chiodi avevano trafitto le sue mani, la
lancia gli aveva aperto il costato, ed erano rimaste le tracce delle
ferite per guarire il cuore dei dubbiosi”.
“Miracoli e prodigi”
Secondo tempo. Dalla Pasqua sono trascorse le sette settimane della
Pentecoste e qualche altro giorno. Gli apostoli predicano; i primi
credenti stanno insieme “assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli
apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle
preghiere” tenendo “ogni cosa in comune” (At 2,42.44), formando
“un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32).
Il numero dei credenti nel Signore si va moltiplicando. Dio interviene
coi miracoli. Non si contano i malati guariti soprattutto per opera di s.
Pietro. Si ripete quello che avveniva intorno a Gesù. Perché? Come il
Signore s’era fatto vedere ai discepoli entrando a porte chiuse e
aveva invitato Tommaso, l’incredulo, a guardare e toccare le mani e il
costato per indurlo a credere in lui, così i miracoli che accompagnano
la predicazione degli apostoli vogliono essere le credenziali di cui Dio
li munisce per suscitare nella gente la fede in Gesù risorto. Si
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adempiva la parola di Gesù, come osserva s. Giovanni Crisostomo:
“Grande era la fede di quelli che s’avvicinavano, più ancora che ai
tempi di Cristo. Come avveniva ciò? Perché Cristo aveva detto
apertamente: “Chi crede in me compirà le opere che io compio e ne
farà di più grandi” (Gv 14,12)”.
Credenziali che valgono anche per noi, mentre ci aiutano a capire che
anche noi, Chiesa d’oggi, dobbiamo fare qualcosa di simile. Non parlo
di guarigioni miracolose, ma di “segni” di cui noi pure siamo debitori,
d’una testimonianza che faccia vedere in noi dei veri cristiani. In un
mondo assordato dalle parole, da mille voci che si confondono e si
contraddicono a vicenda, è senza dubbio necessario che risuoni,
autentica e chiara, la parola del Vangelo. Ma è altrettanto necessario
che questa parola sia tradotta, giorno per giorno, nella vita e nelle
opere di quelli che l’accolgono e l’annunziano.
In questa pagina degli Atti, come in tante pagine del Vangelo, queste
opere sono a beneficio di infermi, di gente che soffre. A questi la
Chiesa si è sempre considerata debitrice. Aiutare i malati, tutti i
sofferenti, spiritualmente e materialmente, è dovere inalienabile dei
credenti. Mentre la comunità civica giustamente si sforza di estendere
e migliorare la cura per la salute dei cittadini – e quanto siamo lontani
dall’adempimento di questo stretto dovere! –, la comunità cristiana
deve sentirsi impegnata, a un titolo tutto particolare, dall’esempio e
dalla parola di Gesù: “Ero malato e mi avete visitato” (Mt 25,36).
Questo sia con le persone della famiglia, sia con gli infermi che in
casa sono bisognosi di aiuto, sia negli ospedali. La fede e la carità
cristiana porteranno un “supplemento d’anima” nelle strutture
dell’assistenza pubblica e spingeranno a trovare modi di supplenza e
d’integrazione dove questo sia necessario.
“Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente”
Terzo tempo. Dai fatti raccontati nel Vangelo e negli Atti, alle visioni
descritte nell’Apocalisse, sono passati anni e decenni. Ma
l’insegnamento di fondo è sempre il medesimo. Cristo risorto porta la
pace e il perdono ai discepoli, primo nucleo della Chiesa; Cristo opera
prodigi per mezzo di Pietro e così fa crescere la Chiesa. Giovanni, che
gli ha reso testimonianza e perciò si trova relegato nell’isola di
Patmos, vede Cristo e ne ascolta la voce: “Io sono il Primo e l’Ultimo
e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre”.
Anche qui è proclamato il mistero della Pasqua, con l’ordine esplicito
di scrivere e di notificare la rivelazione alle sette Chiese. L’invito a
tutte le Chiese sparse per il mondo, alle comunità e a ciascuno di noi,
a leggere questo libro e tutti i libri della Bibbia, di cui l’Apocalisse è
come la conclusione e il suggello. È l’invito a cercare nella Bibbia
Gesù morto e risorto, a ricordare che lui, solo lui, è al centro della
Chiesa, amico e fratello, maestro e salvatore.
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