XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno C
ANTIFONA D'INGRESSO
Signore, tutto ciò che hai fatto ricadere su di noi l'hai fatto con retto giudizio;
abbiamo peccato contro di te,
non abbiamo dato ascolto ai tuoi precetti;
ma ora glorifica il tuo nome e opera con noi
secondo la grandezza della tua misericordia.
ATTO PENITENZIALE
Il Signore ha detto: Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra. Riconosciamoci tutti peccatori e
perdoniamoci a vicenda dal profondo del cuore.
C e A: Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni,
per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la beata sempre vergine Maria, gli angeli, i santi e
voi fratelli, di pregare per me il Signore Dio nostro.
C: Dio Onnipotente abbia misericordia di voi, perdoni i vostri peccati e vi conduca alla vita eterna.
A: Amen.
C: Signore pietà.
A: Signore pietà.
C: Cristo pietà.
A: Cristo pietà.
C: Signore pietà.
A: Signore pietà.
GLORIA
Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà.
Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa,
Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente.
Signore, figlio unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre, tu che togli i peccati dal
mondo abbi pietà di noi; tu che togli i peccati dal mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del
Padre, abbi pietà di noi.
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l'Altissimo, Gesù Cristo, con lo Spirito Santo: nella gloria di Dio
Padre. Amen.
COLLETTA
O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono, continua a effondere su di noi
la tua grazia, perché, camminando verso i beni da te promessi, diventiamo partecipi della felicità eterna. Per il
nostro Signore.
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Dal libro del profeta Amos.
Così dice il Signore onnipotente: «Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna
di Samaria! Essi su letti d'avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella
stalla. Canterellano al suono dell'arpa, si pareggiano a David negli strumenti musicali; bevono il vino in larghe
coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò
andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l'orgia dei buontemponi» .
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PRIMA LETTURA
Am 6, 1.4-7
C: Parola di Dio.
A: Rendiamo grazie a Dio.
SALMO RESPONSORIALE
Sal 145
RIT: Beati i poveri in spirito.
Il Signore rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti.
Il Signore protegge lo straniero,
egli sostiene l'orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie degli empi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, per ogni generazione.
SECONDA LETTURA
1 Tm 6, 11-16
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo.
Carissimo, tu, uomo di Dio, fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza,
alla mitezza.
Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la
quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.
Al cospetto di Dio che dá vita a tutte le cose e di Gesù Cristo che ha dato la sua bella testimonianza davanti a
Ponzio Pilato, ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla
manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi rivelata dal beato e unico
sovrano, il re dei regnanti e signore dei signori, il solo che possiede l'immortalità, che abita una luce
inaccessibile; che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere. A lui onore e potenza per sempre. Amen.
C: Parola di Dio.
A: Rendiamo grazie a Dio.
CANTO AL VANGELO
Alleluia, Alleluia.
Beati voi che ora avete fame,
dice il Signore,
perché sarete saziati.
Alleluia.
+ VANGELO
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Lc 16, 19-31
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni
banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso
di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando
nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse:
Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua,
perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la
vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e
voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può
attraversare fino a noi.
E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca,
perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti;
ascoltino loro.
E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non
ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi» .
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
PROFESSIONE DI FEDE
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente,
creatore del cielo e della terra,
di tutte le cose visibili e invisibili.
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio,
nato dal Padre prima di tutti i secoli:
Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero,
generato, non creato, della stessa sostanza del Padre;
per mezzo di lui tutte le cose sono state create.
Per noi uomini e per la nostra salvezza
discese dal cielo,
e per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine Maria
e si è fatto uomo.
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,
morì e fu sepolto.
Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture,
è salito al cielo, siede alla destra del Padre.
E di nuovo verrà, nella gloria,
per giudicare i vivi e i morti,
e il suo regno non avrà fine.
Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita,
e procede dal Padre e dal Figlio.
Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,
e ha parlato per mezzo dei profeti.
Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica.
Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti
e la vita del mondo che verrà. Amen.
PREGHIERA DEI FEDELI
Consapevoli che saremo giudicati sulla testimonianza attiva del vangelo, preghiamo il Padre, dicendo insieme:
Rendici testimoni del vangelo, Signore.
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Rendi, o Signore, la tua Chiesa fervida di opere sociali e caritative. Rendila attenta e sensibile a quei bisogni cui
la società ancora non provvede. Preghiamo:
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Accompagna, o Signore, il cammino degli uomini verso di te. Purifica la loro fede, in modo che a ciò che dicono,
corrisponda ciò che fanno. Preghiamo:
Libera, o Signore, i nostri governanti dalla litigiosità e dalla discordia. Concedi loro un cuore saggio e un
atteggiamento costruttivo per il bene comune. Preghiamo:
Consola, o Signore, chi si trova a portare una croce pesante. Aiutalo a comprendere che la vita spesa per te,
trasformerà il suo lutto in gioia. Preghiamo:
Fortifica, o Signore, la nostra comunità nella sequela del tuo Cristo. La serenità e la pace siano il frutto della
fiducia che ha posto in lui. Preghiamo:
Per il rispetto delle minoranze etniche e religiose.
Per una testimonianza coraggiosa della fede.
Dio della salvezza, che ci chiami ad una testimonianza coraggiosa della nostra fede, aiutaci a portare
apertamente e fieramente il nostro nome cristiano, perché Gesù tuo Figlio ci possa un giorno riconoscere
davanti a te che sei Dio e vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.
SULLE OFFERTE
Accogli, Padre misericordioso, i nostri doni, e da quest'offerta della tua Chiesa fà scaturire per noi la sorgente di
ogni benedizione. Per Cristo nostro Signore.
ANTIFONA ALLA COMUNIONE
Ricorda, Signore,
la promessa fatta al tuo servo:
in essa mi hai dato speranza
nella mia miseria essa mi conforta.
DOPO LA COMUNIONE
Questo sacramento di vita eterna ci rinnovi, o Padre, nell'anima e nel corpo, perché, comunicando a questo
memoriale della passione del tuo Figlio, diventiamo eredi con lui nella gloria. Per Cristo nostro Signore.
COMMENTI
DON CLAUDIO DOGLIO
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1° Lettura (Am 6, 1a.4-7)
Andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l'orgia dei buontemponi
Il popolo di Israele, che per generazioni e generazioni ha vissuto sotto le tende come nomade, ora entra in un
periodo di stabilità ed alcuni si arricchiscono.
Amos, il profeta contadino, venuto dal regno di Giuda, rimane sdegnato alla scoperta, nel regno di Israele, della
miseria a fianco di un lusso sfrenato e vergognoso.
In un’era di pace e di prosperità, mai conosciute prima, questo profeta disturba perché annunzia alle tribù di
Israele, a motivo della loro infedeltà a Dio e delle gravi ingiustizie sociali, l’imminente catastrofe nazionale
seguita da un duro esilio.
La sua missione è perciò difficile, ma Amos non manca di coraggio, il suo messaggio è semplice, chiaro, deciso,
intransigente ed il suo stile, assai popolare, si esprime spesso con sentenze poetiche dense di concretezza e
vigore.
Questi nuovi ricchi non si rendono conto che camminano verso la catastrofe e Amos parla contro di essi in
nome di Dio minacciando il castigo ed infatti presto la Samaria sarà distrutta.
Il monte Sion e il monte Garizim di Samaria, detto monte delle benedizioni in contrapposizione al vicino monte
Ebal o monte delle maledizioni, erano divenuti, per israeliti e giudei, una garanzia meccanica di salvezza.
Amos condanna, una volta per tutte, la fiducia feticista in un luogo (città, tempio, monte o rito) per coprire le
ingiustizie e i disordini dalla vita di ogni giorno.
Con la forza dirompente del suo sdegno di lavoratore della campagna e con la carica efficace della parola di
Dio, Amos vorrebbe demolire le lussuose residenze dell’aristocrazia e degli alti burocrati statali in cui “sono
accumulate violenza e rapina” (v.3,10).
Sprizza tutta la nausea di questo “pecoraio” e “raccoglitore di sicomori” per la vita oziosa e crapulona, lo
sperpero di ricchezze peccaminosamente ammassate e l’ostentazione di un lusso in nessun modo giustificabile.
Ma su tutte queste vergogne incombe il giudizio di Dio che non può restare indifferente davanti all’ingiustizia.
La ricchezza, l’egoismo sfacciato, la vita mondana, l’adorazione del successo e dell’intrigo, la corruzione,
estinguono nell’uomo non solo ogni possibilità di fede, ma anche ogni capacità di comprensione e di
intelligenza umana.
Pochi anni dopo questo grido di denuncia di Amos, le armate assire demolivano interamente la Samaria e
trascinavano i suoi abitanti nei campi di concentramento della Mesopotamia; si verificava così il “Perciò
andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei buontemponi” (v.7)
*
1. L’invettiva è contro la vita lussuriosa dei notabili di Samaria, seguita dall’annuncio del castigo.
La descrizione del lusso, delle gozzoviglie e dell’irresponsabilità della classe dirigente è unica nell’Antico
Testamento.
4. Gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla sono quelli che hanno la carne tenera perché nutriti di solo
latte (cfr.Ger 46, 21).
5. In modo ironico i canti improvvisati e gli strumenti musicali inventati sono paragonati a quelli di Davide,
considerato come il cantore e il suonatore per eccellenza (cfr.1 Cr 23, 5; Ne 12, 36).
6. Le grandi coppe servivano alle libagioni liturgiche ( 1 Re 7, 40; 2 Re 25, 15; Zc 14, 20) e l’uso degli unguenti era
indice di festa (Is 61, 3; Sal 23, 5; Qo 9, 8).
“Giuseppe” sta per gli abitanti del regno del Nord.
7. Il castigo comporta l’esilio e la cessazione dei conviti.
Vangelo (Lc 16, 19-31)
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Nel brano di oggi Paolo fa il punto su quale debba essere l’elevatezza morale dei veri discepoli di Cristo che
Timoteo, quale vescovo, deve rendere esemplare nella propria esistenza e con il proprio comportamento.
Come campione di quella fede di cui ha fatto professione, egli deve conservare intatta tutta la somma dei
precetti che regolano la vita cristiana.
Osservare il comandamento e cioè conservare la dottrina e la volontà di Cristo senza cedimenti: questo è il
dovere di vigilanza da parte dei Pastori che sarà sempre necessario fino alla manifestazione di Gesù che Dio
farà avvenire nel tempo stabilito.
Il predicatore o il professionista della religione può vivere di essa, a condizione che non cada nella tentazione
della cupidigia, “radice di tutti i mali”.
Ecco, dunque, la figura del buon “professionista della religione” specialmente di quello “a tempo pieno”: che
sia libero da ogni attaccamento al denaro e viva modestamente, secondo i mezzi che la comunità gli fornisce.
Da ultimo Timoteo è esortato a conservare quel volto di “pastore buono” che promise solennemente di
conservare all’atto della sua consacrazione al ministero.
*
11-16. La posizione di Timoteo richiede una consacrazione totale a Dio e una perfetta testimonianza a Cristo (1114), a partire dalla consapevolezza, attraverso la fede, della rivelazione futura del Dio invisibile in Gesù ( 15-16).
12. “Combatti la buona battaglia”.
Immagine che nel Nuovo Testamento esprime per lo più il concetto della fede come impegno totale.
14. “comandamento”: non si riferisce qui, come altrove, ad un comandamento specifico ricevuto da Dio, ma
all’intero mandato di Dio a Timoteo.
“manifestazione”: nelle lettere pastorali il concetto di apparizione finale (“epifaneia”) prende il posto di quello
di venuta (“parousia”) e rivelazione (“apokaluyis”) che predomina nelle altre lettere e indica la manifestazione
del Cristo sia nel suo trionfo escatologico, che nella sua opera di redenzione.
15-16. Questi versi possono essere un frammento di un inno liturgico.
16. La “luce inaccessibile” all’occhio umano, si pone nel contesto dell’Antico Testamento, dove Dio è qualificato
come colui il cui volto non può essere visto pena la morte (Es 33, 20; Sal 104,2).
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2° Lettura (1 Tim 6, 11-16)
Combatti la buona battaglia della fede
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Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro
La parabola di oggi descrive la situazione eterna di colui che non ha messo in pratica l’insegnamento offerto
dalla parola di Dio.
La sorte dell’uomo dopo la morte viene fissata senza possibilità di ritorno e può darsi che le situazioni in cielo
siano rovesciate rispetto a quelle terrene.
Se l’amore per la ricchezza rende ciechi verso Dio e verso il povero, la stessa cecità sarà di fronte a segni più
grandi, come ad esempio, la resurrezione di un morto.
Infatti Cristo è risorto, ma molti ancora continuano ad essere ciechi di fronte a questa realtà.
La parabola di oggi non va intesa con la chiave di lettura del principio del contrappasso di dantesca memoria
per cui chi qui ha goduto, nell’aldilà deve soffrire e viceversa; è invece la precisazione su un tipo di
comportamento, quello del ricco, che non vede le necessità altrui anche se l’ha sotto gli occhi tutti i giorni.
Egli è tanto occupato nei suoi piaceri e nel raggiungimento delle proprie soddisfazioni esclusivamente terrene
che non si accorge del mondo che lo circonda, del prossimo più vicino.
La stessa cosa vale per i suoi fratelli, a quanto ci è dato di capire.
Gesù sta parlando del ricco e del povero ma vuole arrivare ad un punto ben preciso e queste due figure
diventano due simboli molto forti La parabola presenta infatti due figure fortemente contrastanti: il ricco
gaudente la cui principale, se non esclusiva, occupazione sembra essere quella di godere della sua ricchezza
nuotando nell’abbondanza e nei piaceri e il povero Lazzaro che invece muore nell’indigenza, debole,
ammalato, incapace persino di scacciare i cani (considerati impuri) randagi che gli danno fastidio.
Il centro della parabola non è però in questa differenza di situazione, bensì nel fatto che il povero e il ricco sono
vicini (e da molto tempo), ma il ricco non si accorge del povero, proprio non lo vede.
Il ricco non osteggia Dio e non opprime il povero, semplicemente non vede né Dio né il povero.
È questo il grave pericolo della ricchezza ed è questa, forse, la principale lezione della parabola.
La seconda polemica è nel fatto che, mentre molti pensavano che la ricchezza fosse segno della benevolenza
divina (anche dopo la morte), Gesù non è di questa opinione; egli sa che Dio prende le difese dei diseredati.
Appaiono alla fine i due fratelli: è proprio il loro vivere da ricchi che li rende ciechi di fronte al povero (eppure
così vicino) e di fronte alle Scritture (eppure così chiare e conosciute).
Nel linguaggio di allora “il seno di Abramo” è un’espressione che indicava il posto di onore nel convito celeste.
Ogni israelita infatti desiderava ardentemente riposare, dopo la morte, accanto ai Padri.
Dei due personaggi solo uno ha nome: Lazzaro.
Il ricco, pur essendo il protagonista del racconto, non ha nome; non importa chi fosse, è solo il simbolo di una
categoria di persone, il simbolo dell’uomo chiuso dentro se stesso e di lui è solo detto che fu sepolto.
Lazzaro è invece un simbolo positivo perché nella sua condizione di sofferenza non può far altro che sperare
nella misericordia, non può far altro che attendere che ci sia qualcun altro che lo aiuti e lo tiri fuori dalla sua
situazione.
Questo ci ricorda che anche noi abbiamo bisogno di qualcuno per salvarci e questo è un messaggio fortissimo
nei confronti della nostra coscienza.
Il ricco, al contrario, diventa l’immagine opposta, quella dell’uomo contento, sazio, che vive quasi in un
continuo banchetto e quando l’uomo sazia tutti i suoi desideri terreni non c’è più posto per Dio, per il desiderio
e il pensiero di lui.
O il nostro desiderio va verso Dio o è saziato da altre realtà, da altre speranze.
L’immagine del ricco è quindi quella dell’uomo ormai sazio perché chi è sazio non ha bisogno d’altro, come i
neonati che, sazi, si addormentano.
Se siamo sazi di altre cose la parola di Dio non suscita più interesse, la “buona notizia” non ci coinvolge più, non
ne abbiamo bisogno ed allora neanche un morto che torna in vita ci può illuminare, convincere.
C’è un’altra osservazione: mentre Lazzaro viene portato in cielo dagli angeli, è il ricco che viene sepolto.
Lazzaro non viene neanche sepolto; è l’uomo che non riesce ad alzarsi dalla sua situazione e diventa il simbolo
di tutta quella umanità oppressa che non ha neanche un funerale, un luogo dove morire (e questo capita
ancora oggi a molti poveri).
Lazzaro è l’immagine di questa umanità, l’immagine dell’uomo che non ce la fa a vincere da solo questo grande
peso che lo schiaccia costantemente.
I miracoli possono impressionare, ma non necessariamente condurre alla fede, convertire.
È ciò che, infatti, nel vangelo di Giovanni, accade proprio dopo la risurrezione di Lazzaro: le autorità religiose
invece di credere a lui decidono di eliminarlo.
Questo testimonia che non è un morto che torna in vita che può convincere a cambiare rotta.
Il povero non si salva per il semplice fatto che è stato sfortunato in questo mondo, si salva perché è aperto a
Dio e si lascia guidare dalla forza del suo amore e della sua grazia.
Il povero perennemente ostile con se stesso, con il prossimo, con il destino e con Dio, che non accetta la sua
condizione con cristiana rassegnazione (non è preteso con gioia), con un “sia fatta la tua volontà”, non è un
povero “cristiano” poiché si arroga la presunzione di pretendere da Dio, dal mondo, dal prossimo, una sua
“giustizia” terrena e quindi si reputa in credito anche con Dio.
Questo comporta il peccato di orgoglio.
Non è questo il povero che ha compreso la buona novella di Gesù, non è questo il povero a cui si rivolge Gesù.
L’atteggiamento del ricco, ormai nell’ade, è di carità e comprensione verso i fratelli, ma il suo comportamento
verso il povero non sembra molto mutato; egli manifesta, infatti, sempre una certa superbia, anche nel suo
stato di dannato e un innegabile senso di superiorità nei confronti di Lazzaro, poiché dice ad Abramo “manda
Lazzaro” trattando quindi il povero come un inferiore, un suo subalterno del quale, dall’alto delle sue passate
ricchezze, pensa di poter disporre a suo piacimento.
Forse, nonostante tutto, ancora non ci vede molto bene, è ancora cieco.
GIOVANNI CASSIANO
Collationes, 3, 16-19
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Gli apostoli avevano ben compreso che tutto ciò che riguarda la salvezza viene da Dio come un dono, perciò
domandarono al Signore anche la fede: "Signore, aumenta la nostra fede" (Lc 17,5). Non si aspettavano questa
virtù dal loro libero arbitrio; credevano, invece, di poterla ricevere esclusivamente dalla magnificenza di Dio.
Inoltre, lo stesso autore della nostra salvezza insegna a riconoscere quanto sia fragile, malata e non bastevole a
se stessa la nostra fede, senza l`aiuto divino: "Simone, Simone, ecco Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il
grano; ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno" (Lc 22,31-32). Un altro, sentendo in sé la
propria fede come sospinta dai flutti dell`incredulità verso sicuro naufragio, si rivolse al Signore, dicendo:
"Signore, aiuta la mia incredulità" (Mc 9,23).
Gli apostoli e gli altri uomini che figurano nel Vangelo avevano capito che nessun bene si compie in noi senza il
divino aiuto; erano persino convinti di non poter conservare la fede, affidandosi alle sole forze della ragione, o
alla libertà dell`arbitrio, da chiedere che questa fede venisse posta e conservata in loro. Se la fede di Pietro,
infatti, aveva bisogno di Dio per non venir meno, chi sarà cosi presuntuoso e cieco da credere di poterla
serbare senza quell`aiuto? Non è forse il Signore stesso a dichiarare la nostra insufficienza quando afferma:
"Come il tralcio non può produrre frutto se non resta unito alla vite, cosí nessuno può portare frutto se non rimane
in me" (Gv 15,4)? E ancora: "Senza di me non potete far nulla" (Gv 15,5)? Quanto insulso e sacrilego sia, dunque,
attribuire alcunché delle nostre azioni al nostro saper fare, e non alla grazia di Dio e al suo aiuto, appare
provato da una sentenza accusatoria del Signore, che afferma che nessuno può senza la sua ispirazione e il suo
aiuto cogliere frutti spirituali: "Ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall`alto e discende dal Padre della
luce" (Gc 1,17). E del pari Zaccaria: "Cosa c`è di buono o di bello che non gli appartenga? (Zc 9, 17). Per Paolo, poi, è una
nota costante: "Che cos`hai che tu non abbia ricevuto? E se l`hai ricevuto, perché te ne glori come se non l`avessi
ricevuto?" (1Cor 4,7).
Persino le possibilità di tolleranza che possiamo dispiegare nel sostenere le tentazioni, non dipendono dalla
nostra virtù quanto piuttosto dalla misericordia di Dio e dalla sua moderazione, come si esprime in proposito il
beato Apostolo: "Nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti, Dio è fedele e non permetterà che
siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d`uscita e la forza per sopportarla" (1Cor
10,13). Il medesimo Apostolo insegna che Dio adatta e consolida i nostri spiriti per ogni buon operare, ed opera
in noi quelle cose che sono secondo il suo beneplacito: "Il Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il Pastore
grande delle pecore, in virtù del sangue di un`alleanza eterna, il Signore nostro Gesú, vi renda perfetti in ogni bene,
perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che è a lui gradito per mezzo di Gesú Cristo" (Eb 13,2021). Perché poi lo stesso avvenga per i Tessalonicesi, cosí prega, dicendo: "E lo stesso Signore nostro Gesú Cristo e
Dio Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza,
conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene" (2Ts 2,16-17).
Il profeta Geremia, da persona di Dio, afferma senza mezzi termini che anche il timore di Dio ci è infuso dal
Signore. Cosí egli dice, infatti: "Darò loro un solo cuore e un solo modo di comportarsi perché mi temano tutti i
giorni per il loro bene e per quello dei loro figli dopo di essi. Concluderò con essi un`alleanza eterna e non mi
allontanerò piú da loro per beneficarli; metterò nei loro cuori il mio timore perché non si distacchino da me" (Ger
32,39-40). Del pari Ezechiele: "Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro ; toglierò dal loro
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Avere la stessa fede è grande grazia
petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne, perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi e li
mettano in pratica; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio" (Ez 11,19-20).
Da tutto ciò siamo piú che edotti che l`inizio della buona volontà in noi si ha per ispirazione di Dio, vuoi perché
egli stesso ci attrae verso la via della salvezza, vuoi perché si serve delle esortazioni di una persona qualsiasi o
della necessità o della perfezione delle virtù o di cose simili. La nostra parte sta in questo: noi possiamo, con piú
fervore o con piú tiepidità eseguire l`esortazione di Dio e appoggiare il suo aiuto, e qui risiede la nostra
possibilità di merito o di castigo appropriato. Quindi, ciò che per sua elargizione e provvidenza è stato a noi
dato con benignissima degnazione, sarà per noi causa di premio o di castigo in dipendenza di quanto lo avremo
trascurato o ci saremo studiati di aderirvi con la nostra devota obbedienza.
Père Abbé
ARMAND VEILLEUX, ocso
La prima lettura ora ascoltata ci offre il contesto necessario per comprendere questo difficile vangelo.
Questa prima lettura è tratta dal libro del profeta Amos. Costui visse durante i fasti del regno di Geroboamo II,
nel Regno del Nord in Israele, ad un’epoca in cui questo Regno aveva raggiunto il suo massimo splendore,
quanto a potere materiale e prosperità.
Quando il profeta Amos si manifestò, vi era nel paese abbondanza, splendore e orgoglio. I ricchi
vivevano nell’opulenza. Avevano i loro palazzi d’estate e d’inverno, riccamente ornati di avorio, con splendidi
divani, su cui si stendevano per consumare i loro sontuosi pasti. Possedevano vigneti e bevevano del buon
vino, e si ungevano di unguenti preziosi. Nello stesso momento però la giustizia faceva difetto nel paese. I
poveri erano afflitti, sfruttati e perfino venduti come schiavi, e i giudici erano corrotti. E’in questa atmosfera
che Amos proferì le parole ruggenti che abbiamo ora letto: “Ascoltate, voi che schiacciate il povero, per
annientare gli umili del paese; infatti voi dite: “noi potremo comprare il misero per un po’ di denaro; il povero
per un paio di sandali.” Il Signore lo giura per la fierezza d’Israele: “No, mai io dimenticherò alcuno dei loro
misfatti.”
Tenendo bene a mente questo avvertimento, passiamo ora al Vangelo. Sembra effettivamente che
Gesù alluda ad una frode che si era avuta poco tempo prima e che era certamente ben nota al suo uditorio.
Gesù non ha certamente l’intenzione di insegnarci come ingannare il nostro datore di lavoro o il fisco. Un
dettaglio interessante da notare , è che Luca è l’unico degli evangelisti ad aver riportato questo racconto; e
sappiamo a che punto Luca è preoccupato da tutto ciò che concerne la povertà e il pericolo delle ricchezze e
del denaro. In realtà la frase che riassume tutto è l’ultima: “Non potete servire Dio e Mammona”. Luca in effetti
dà al denaro un nome proprio: “Mammona”, per ben indicare che, se si diventa schiavi del denaro, questo
diventa nostro padrone e ci domina come farebbe un padrone umano.
L’insegnamento di Gesù in questo racconto è il seguente: se i figli di questo mondo, che sono loro
stessi schiavi delle cose materiali, sono così abili, quanto più abili dovreste essere voi, voi che pretendete di
essere figli di Dio. Voi dovreste utilizzare il denaro, non per costruirvi una sicurezza in vista di un avvenire
temporale e mondano, ma per costruirvi un regno eterno, sia per voi stessi che per i vostri fratelli. E il modo di
farlo consiste nel considerare che voi non siete proprietari di quanto possedete. Voi ne siete i custodi e dovete
usarne secondo i bisogni di tutti e non soltanto secondo i vostri propri bisogni personali.
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Noi sappiamo che vi è una grande cupidigia nel cuore di ciascuno di noi, e sappiamo che vi è una
grande dose di cupidigia e di frode nel mondo, nei rapporti individuali, come tra le nazioni o i blocchi di nazioni.
Le invettive di Amos arrivano ancora a proposito. E come al tempo di Gesù, dobbiamo scegliere tra Dio e
Mammona.
Chiunque siano i responsabili immediati dei fatti che sono successi nelle ultime settimane negli Stati
Uniti e che hanno sconvolto il mondo – come pure i responsabili delle rappresaglie che si preparano (e che
provocheranno senza dubbio nuovi attacchi e nuove rappresaglie), noi non possiamo non vedere che tali
eventi sono il frutto di una lunga catena di ingiustizie nelle relazioni tra le nazioni.
Facciamo di nuovo, ciascuno di noi, la nostra opzione per Dio anziché per Mammona, e domandiamo a
Dio di illuminare lo sguardo e di guidare le azioni di coloro che hanno nelle loro mani la vita e la sorte di milioni
di persone bisognose.
MONSIGNOR ANTONIO RIBOLDI
Lazzaro, il povero che ci inquieta
Se ricordate, già il Vangelo di domenica scorsa aveva duramente attaccato l'idolatria del benessere, che si
incarna nella ricchezza, con le parole: "Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure
si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e mammona" (Lc 16, 10-13).
Ed è vero. Non si può dividere il cuore, illudendoci di darne un pezzo a Dio e un pezzo a 'mammona'. È proprio
della natura dell'amore, e quindi del cuore, essere di uno solo.
Il 'cuore' ci è stato donato dal Padre per una sola ragione, quella di ricevere il Suo amore ed amare. E l'amore
chiede piena libertà da tutto ciò che non è amore, come il denaro.
C'è in giro una voglia estrema di rincorrere la ricchezza, pur sapendo che non fa felici e difficilmente 'giusti'.
Questa anzi può generare tante povertà che sono sotto gli occhi di tutti.
Così affermava il grande Paolo VI, commentando la scelta della totale povertà di Gesù, il Verbo fatto carne, da
Cui tutto è stato fatto e senza del quale nulla può esistere: "La povertà di Cristo è il più stretto rapporto di
vicinanza esteriore che Egli poteva offrire agli uomini. Gesù ha voluto metterne all'ultimo livello sociale,
affinché nessuno lo potesse credere inaccessibile. Ogni ricchezza temporale è in qualche modo divisione,
dislivello, è distanza degli uomini tra di loro. Ogni proprietà stabilisce un 'mio' e un 'tuo' che separa gli uomini o
li unisce in un rapporto che, come non è comunione di beni, così tanto spesso non è comunione di spiriti. Gesù,
se non ha voluto stabilire per la società terrena la proprietà, ha voluto totalmente prescindere da essa, per
venire in immediata ed universale comunione con gli uomini, che invece voleva a Sé affratellare. La povertà di
Cristo ci appare allora sotto un aspetto meravigliosamente umano; essa è il segno della sua amicizia, della sua
parentela con l'umanità. E quella umanità che non opporrà alla parentela fraterna con Lui il diaframma della
propria posizione sociale, della propria isolante fortuna, della propria egoistica sufficienza, Lo incontrerà, Lo
capirà, Lo avrà suo...Risuona a questo punto la più squillante voce del Vangelo, l'appello a coloro che sono nella
migliore condizione per entrare nel disegno della salvezza: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei
Cieli"' (Natale 1959).
Nessuno nega ciò che Dio ci ha donato, ossia il diritto alla proprietà. Questo serve, se vogliamo, per affermare
la propria dignità, per dare spazio alle proprie capacità, sempre doni di Dio, ma...tutto e sempre, senza fare, dei
'beni', impossibili idoli, che non potranno mai donare la felicità!
La vera felicità è frutto dell'amore e questo, a sua volta, ha bisogno per espandersi di non essere svenduto a
'cose', che si rivelano 'ali spezzate' che non permettono 'i voli della carità', propri dei 'poveri in spirito'.
Del resto anche chi rincorre la felicità nella ricchezza, se è sincero, alla fine si sente 'solo', 'nudo',
infelice...perché solo l'amore trasmette gioia e serenità.
Fanno davvero pensare le parole del profeta Amos: "Così dice il Signore onnipotente: Guai agli spensierati di
Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Essi su letti di avorio e sdraiati sui loro divani
mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell'arpa, si pareggiano a
Davide negli strumenti musicali. Bevono il vino a larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma
della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l'orgia dei
buontemponi" (Amos 6, 1-7).
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Gesù, 'il ricco che si fece povero', così oggi con grande efficacia descrive l'insensibilità di chi si chiude nel
proprio benessere e non si avvede del povero che sta alla sua porta e la sorte che, alla fine, toccherà ai due.
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Parole durissime che fanno meditare in un tempo, come il nostro, in cui la povertà è considerata 'maledizione' e
la ricchezza 'fortuna'. Ma è vera fortuna?
Ci si sente come umiliati ed offesi, come discepoli di Gesù, nel vedere come tra di noi ci siano troppi emarginati:
immigrati costretti a vivere in fradice baracche, che annientano la bellezza dell'uomo, inducendolo poi a
diventare nemico del fratello, come è spesso cronaca oggi.
La ricchezza, come affermava Paolo VI, crea divisione e, spesso, aggressione.
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Vale la pena meditarla bene questa parabola e in essa specchiarci.
"Gesù disse ai farisei: C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e bisso, e tutti i giorni banchettava
lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di
quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero
morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i
tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo,
manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura.
Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali:
ora invece lui è consolato e tu se in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso;
coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di così si può attraversare fino a noi. E quegli replicò:
Allora, padre ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non
vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro. E
lui: Padre Abramo, ma se qualcuno dei morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano
Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi" (Lc 16, 19-31).
Infatti, Colui che è risuscitato dai morti ed è oggi tra di noi, proprio con la Sua parola, che stiamo meditando,
Gesù; è poco creduto!
Ho avuto il dono da Dio di svolgere la massima parte del mio servizio pastorale dove i poveri sono tanti e, tante
volte, senza speranza. È un dono vivere povero tra i poveri e così conoscere la bellezza di fare felici 'tanti
Lazzaro' e in essi vedere il volto di Gesù che amava ed ama essere amato così. Non mi pesava dopo il terremoto
nel Belice passare notti sul pavimento dei vagoni ferroviari, perché privo di tutto, e poi in quelle misere
abitazioni, che chiamavamo 'baracche', e tali erano.
Così come ho visto in faccia la povertà di tante famiglie costrette a vivere in miseri 'bassi', dove si mancava di
tutto. E considero la giusta via verso il Regno questa di vivere povero tra poveri.
Ma posso anche testimoniare che Dio ha sempre saputo 'parlare' al cuore di persone generose, dalle tante
possibilità, che venendo a conoscenza delle necessità in cui mi trovavo non esitarono a riempire le mie mani,
perché tanti, ma proprio tanti, tornassero a sperare e vivere.
E quando aprii questo nostro 'sito', che accoglie richieste da tante parti del mondo, soprattutto dove le
condizioni di vita sono spesso impossibili, altrettante persone generose hanno teso la mano per dare vita a
realtà che tolgono dall'emarginazione tanti, soprattutto bambini e ammalati.
Oggi, dalle Filippine al Perù, alla Bolivia e, soprattutto, in Africa, ci sono 'segni' di ricchezza fatta solidarietà.
Davvero la ricchezza può, se Dio trova ascolto, tramite il grido dei poveri, diventare meravigliosa sinfonia della
carità e rinascita di speranza.
Il peccato più grave davanti a Dio è quello del 'ricco epulone', cioè l'indifferenza mostrata davanti al povero
Lazzaro
Vi è una testimonianza che voglio proporvi.
È quella della nipote del medico, Giuseppe Bono, che fu chiamato a testimoniare la miracolosa guarigione di
Suor Ludovica Noè, miracolata dal Rosmini. La nipote, Dott. ssa M. Cristina De Giovanni, l'ha resa il 1° luglio
2007, a Stresa. "Quando mio nonno testimoniò il miracolo era una persona, non so se dire atea, comunque
agnostica ed era decisamente anticlericale... Abitava a Borgomanero (No)... Essendo stimato da tutti e molto
bravo, era medico delle Suore Rosminiane. Come mi raccontò andava tutti i giorni a visitare una suora che era
afflitta, mi pare, da tubercolosi intestinale, e comunque aveva delle piaghe visibili. Una mattina si recò di nuovo
a visitarla e rimase allibito, perché non c'era più traccia delle piaghe che la suora aveva sul ventre. Mio nonno
chiese cosa fosse successo e la suora disse: Ho messo un'immagine di Antonio Rosmini sulle ferite. Allora, come
mi ha raccontato molte volte, mio nonno disse: A questo punto io devo credere, perché nessuna spiegazione
scientifica è possibile a quello che è successo. Da quel momento la sua vita è cambiata completamente:
divenne un cristiano praticante e la sua fede religiosa lo aiutò molto, perché dovette attraversare numerose
traversie... Un giorno arrivò una cartolina di mio zio, che diceva di essere prigioniero dei tedeschi, trattandosi
del '43 io me lo ricordo come fosse oggi... Il 25 aprile del '45 mio nonno sentiva che stava per spegnersi e
sperava di rivedere suo figlio, ma è morto una settimana prima che mio zio ritornasse. Quando l'abbiamo
vestito per la sepoltura, gli abbiamo trovato sul cuore una lettera in cui diceva: Dio mio, ti offro la mia vita, ma
salva quella di mio figlio. Mio nonno è morto povero, nonostante fosse primario dell'ospedale di Borgomanero,
facendo la maggior parte delle visite gratuitamente. Bastava che qualcuno gli dicesse: 'Dottore, non posso
pagare' e lui gli faceva pagare solo cinque lire. Non ha mai posseduto una macchina, a settantun'anni andava
ancora in bicicletta: è stata una vita veramente esemplare..."
Il miracolo, sopra raccontato, fu accolto dalla Commissione per la Beatificazione di Rosmini all'unanimità.
Ma, non possiamo dimenticare che, al miracolo della carità corporale, riguardante la guarigione di Suor
Ludovica, malata, si è aggiunto, nei confronti del medico, il miracolo della carità intellettuale ('devo credere') e
della carità spirituale: 'divenne cristiano praticante'.
C'è solo da pregare, per riportare giustizia nel mondo e dare speranza ai poveri Lazzaro, affinché di questi
miracoli, che trasformano la ricchezza in carità e povertà, ne succedano tanti.
È possibile: è la grande speranza.
DON CORRADO SANGUINETI
La ricchezza che aliena dai beni del regno
By Undicesima Ora
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All'interno di questo capitolo 16, dedicato al tema della ricchezza e del suo retto uso nella vita dei discepoli,
Luca colloca questa parabola, che non ha paralleli negli altri vangeli: in essa, oltre ad una chiara condanna della
durezza e insensibilità che l'anonimo ricco mostra verso il mendicante Lazzaro, Gesù prospetta l'opposto
destino eterno che si può aprire al di là della morte e avverte dell'urgenza del tempo presente, come unico
tempo di conversione.
La scena iniziale della parabola accentua l'evidente contrasto tra il lusso e lo sperpero del ricco, il quale, ogni
giorno, banchetta con abbondanza, nella completa indifferenza alla sorte del povero Lazzaro: questi giace alla
porta, nella speranza almeno di sfamarsi di quello cade dalla mensa del ricco, gli basterebbero anche i resti
delle molliche di pane, che nei banchetti i convitati usavano per pulirsi le dita unte delle mani. Di lui nessuno si
prende cura, solo i cani gli leccano le piaghe. Nessuno, eccetto Dio che, dopo questa vita di miseria e
d'ingiustizia, accoglie il povero nel seno di Abramo. Con quest'immagine, di chiara origine giudaica, Gesù
esprime lo stato di beatitudine, di pace presso Dio, e mostra come la vera giustizia del Padre opera un
rovesciamento delle sorti: per Lazzaro la gioia eterna nel Regno, per il ricco, duro di cuore, la lontananza da
Dio, nell'inferno.
Dietro le immagini della parabola, dietro questo linguaggio che Gesù assume dalla fede d'Israele, c'è la realtà
drammatica, oggi spesso dimenticata, della sorte eterna, che l'uomo stesso stabilisce, con le proprie scelte di
vita, nel tempo della sua esistenza terrena: un invito a non perdere di vista l'intero orizzonte del cammino
umano, che può volgersi verso Dio, nell'amore e nella giustizia, nell'accoglienza attenta del fratello e nella
condivisione dei beni con chi è nel bisogno, oppure può chiudersi, per sempre, all'amore e alla luce del Padre,
affermando solo se stessi, i propri interessi, sordi e ciechi di fronte alla sofferenza e alla povertà.
Da qui discende la preziosità dei giorni della vita, come tempo dato alla libertà per aprirsi all'ascolto di Dio e
della sua parola; tutto ciò è espresso drammaticamente nella parabola, nella richiesta paradossale che il ricco
rivolge ad Abramo, di mandare Lazzaro dai fratelli del ricco, per avvertirli del destino tremendo che si stanno
preparando, nella speranza che davanti ad un segno evidente di Dio - un morto che ritorna dall'al di là - si
convertiranno. Ma Abramo avverte che hanno già la luce sufficiente per decidere della propria vita, “Hanno
Mosè e i profeti: ascoltino loro”, Dio ha già dato la sua parola, che indica con chiarezza dove sta il bene, dove
sta la vera vita: non nella chiusura del cuore, non in un'esistenza tutta centrata su di sé, ma nell'apertura alla
Sua presenza, nell'accoglienza del fratello, nella condivisione giusta e generosa dei beni.
Se non c'è la disponibilità ad ascoltare questa parola di Dio, che per noi ora non è soltanto la parola di Mosè e
dei profeti, ma è la parola del Vangelo, la Parola divenuta carne e volto umano in Gesù, se non c'è questa
semplicità nel leggere i segni che Dio già ha dato, neppure i grandi miracoli possono convincere, possono
convertire il cuore: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero
persuasi”. La conclusione della parabola rimanda alla possibilità, che hanno i fratelli del ricco, d'ascoltare
davvero la parola di Mosè e dei profeti, cambiando modo di vivere il loro benessere. Non c'è nulla di
automatico o di cogente nella vita cristiana, tutto passa attraverso la libertà di chi riceve il dono di una parola e
di una presenza che manifestano la via della verità e del bene; ascoltando questa parabola, è inevitabile
pensare che Gesù stesso, che ha pronunciato queste parole d'avvertimento e di richiamo, è davvero ritornato
dai morti, è il risorto che vive e che continua ad operare nel tempo, nella storia umana, e tuttavia, nonostante i
segni della Sua presenza, rimane aperta la sfida alla libertà, e mentre ci sono cuori che si spalancano a Lui e
vivono la novità del suo amore, altri, come il ricco epulone, rimangono chiusi e indifferenti, davanti a Dio e
davanti ai tanti affamati e mendicanti del nostro mondo.