CONFEDERAZIONE DEGLI STATI AMERICANI (1781-1789). Prima costituzione federale adottata il 15 novembre 1777
dal Congresso continentale, durante la guerra d'indipendenza delle colonie inglesi d'America. Entrò in vigore il 1° marzo
1781. Semplice "lega di amicizia" tra gli stati, si rivelò inadeguata per la mancanza di un governo e di un potere giudiziario
nazionale e per l'incapacità del Congresso di far rispettare agli stati le sue decisioni. Fu quindi convocata la Convenzione di
Filadelfia (1787) per varare una nuova costituzione degli Stati Uniti d'America.
CONGRESSO DEGLI STATI UNITI Organo del potere legislativo (parlamento) nell'ordinamento federale. Istituito dalla
Costituzione del 1787 come erede del Congresso continentale, è composto dal Senato e dalla Camera dei rappresentanti,
ha il potere d'imporre e percepire tasse, disciplinare il commercio, battere moneta, dichiarare guerra, reclutare e mantenere
eserciti. Il Senato, il cui presidente è il vicepresidente degli Stati Uniti, è composto da cento membri, due per ogni stato,
che rimangono in carica per sei anni: ogni due anni ne viene rinnovato un terzo. Originariamente i senatori venivano scelti
dalle assemblee legislative dei singoli stati; questo procedimento fu modificato nel 1913 con un emendamento che impose
il suffragio universale, sia pure con alcune limitazioni in alcuni stati. Prerogativa del Senato è di destituire (con la
maggioranza dei due terzi) funzionari statali su accusa (impeachment) presentata dalla Camera dei rappresentanti. Se il
giudizio riguarda il presidente degli Stati Uniti, il Senato è presieduto dal giudice capo della Corte suprema. Il Senato può
anche esprimere consiglio e consenso (advise and consent) nella stipulazione dei trattati internazionali (necessaria la
maggioranza di due terzi), nella nomina di ambasciatori, giudici della Corte suprema, segretari di stato federali e altri
funzionari. La Camera dei rappresentanti è composta da 435 membri, eletti a suffragio universale per due anni. Il numero
dei rappresentanti per ogni stato è proporzionale alla sua popolazione, ma ogni stato deve avere almeno un
rappresentante. Suo presidente è il leader del partito di maggioranza (speaker). Ai rappresentanti è riservata l'iniziativa in
materia di imposte. Il Senato e la Camera si articolano in commissioni permanenti e in sottocommissioni
CORTE SUPREMA DEGLI STATI UNITI
Organo del potere giudiziario nell'ordinamento federale. Istituita dalla costituzione del 1787, è composta da un presidente
(Chief Justice) e da un numero di giudici (Associate Justices) variabile secondo la volontà del Congresso. Dal 1869 i suoi
membri sono nove, nominati dal presidente degli Stati Uniti fra uomini politici, non necessariamente legati all'ambiente
giudiziario, ma con la conferma del Senato; conservano la carica a vita purché operino bene (during good behaviour), e
possono essere rimossi solo da una sentenza del Senato a maggioranza di due terzi dei votanti, su messa in stato di
accusa (vedi impeachment) della Camera dei rappresentanti. La Corte suprema ha giurisdizione originaria ed esclusiva nei
casi riguardanti ambasciatori, consoli o altri rappresentanti diplomatici e nei casi in cui sia parte in causa uno stato; ha
giurisdizione di appello nelle controversie concernenti la costituzione e le leggi federali. Benché il diritto di appello alla corte
suprema sia limitato, si può fare istanza per ottenere una revisione del processo mediante il writ of certiorari, domanda di
ricorso che può essere respinta su suo insindacabile giudizio. Ha inoltre il potere di interpretare la costituzione e di
dichiarare incostituzionali gli atti del presidente e del Congresso (judicial review). Il Chief Justice John Marshall legittimò
tale sindacato di costituzionalità con la sentenza Marbury contro Madison (1803). L'esercizio del controllo di costituzionalità
attribuisce alla Corte suprema un ruolo attivamente politico.
COSTITUZIONE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA
Carta fondamentale della federazione degli stati americani nata dalla rivoluzione delle colonie britanniche nel XVIII secolo.
Redatta e approvata dalla Convenzione di Filadelfia tra il 25 maggio e il 17 settembre 1787 ed entrata in vigore, con la
ratifica del nono stato, il 4 marzo 1789, è la più antica costituzione scritta, nata dall'esigenza di creare un forte governo
centrale che regolasse i dissensi, in particolare in materia doganale, tra gli stati che si erano dichiarati indipendenti nel
luglio 1776. Istituì una repubblica federale di tipo presidenziale, stabilì la sovranità popolare a fondamento dello stato e
impostò l'ordinamento federale sulla divisione dei poteri: il legislativo al Congresso degli Stati Uniti, l'esecutivo al presidente
degli Stati Uniti, il giudiziario alla Corte suprema degli Stati Uniti. La coordinazione e limitazione dei tre poteri si attua
attraverso il sistema dei freni e contrappesi (checks and balances). La costituzione consta di un breve preambolo e di sette
articoli suddivisi in numerose sezioni; di essa fanno parte integrante gli emendamenti proposti e ratificati secondo una
procedura stabilita dal quinto articolo. I primi dieci emendamenti, approvati nel 1789, costituirono il Bill of Rights. L'esercizio
del controllo di costituzionalità (judicial review) sulle leggi e altri atti normativi è esercitato dagli organi giudiziari, in primo
luogo dalla Corte suprema.
FILADELFIA, CONVENZIONE DI
(16 maggio - 17 settembre 1787). Assemblea dei delegati di tutti gli stati della Confederazione degli stati americani sorta
dalla rivoluzione americana (tranne il Rhode Island). Elaborò la nuova costituzione degli Stati Uniti da sostituire alla
costituzione del 1781. Convocata dal Congresso continentale col compito di istituire un forte governo federale, sancì
l'efficacia delle deliberazioni dell'esecutivo non verso i singoli stati ma verso il popolo intero. Divisa sulla questione del
potere legislativo tra i fautori del Virginia Plan (rappresentanza in base alla ricchezza e alla popolazione) e del New Jersey
Plan (uguale rappresentanza per ogni stato), approvò infine il cosiddetto Connecticut Compromise, che prevedeva una
Camera bassa (dei rappresentanti) eletta dal popolo in base agli abitanti degli stati, e un Senato eletto dalle assemblee
legislative dei singoli stati con uguale rappresentanza per ciascuno di essi. Fissò le linee fondamentali della costituzione in
base al principio dell'equilibrio dei poteri, e istituì per l'elezione del presidente un apposito collegio elettorale nel quale ogni
stato disponeva di un numero di elettori pari a quello complessivo dei propri senatori e deputati. Firmata da 39 dei 42
delegati e sottoposta alla ratifica degli stati, la nuova costituzione entrò in vigore nel 1789.
RIVOLUZIONE AMERICANA
(1763-1787). Lungo processo di trasformazione politica, economica e sociale delle colonie britanniche dell'America
settentrionale, abitualmente identificato con la guerra di indipendenza americana, iniziato negli anni della protesta
antinglese seguita alla guerra dei Sette anni (1756-1763) e concluso nel 1787 dalla Convenzione costituzionale di
Filadelfia.
LE PREMESSE. Affondò le proprie radici nelle origini delle colonie: in particolare nella loro possibilità di praticare modelli di
convivenza religiosa e sociale legati al radicalismo puritano, inattuabili nella madrepatria, e nei caratteri di instabilità sociale
propri dell'emigrazione nel Nuovo mondo (strati intermedi di gentry rurale e dei ceti mercantili, ma soprattutto artigiani e
contadini attratti dalla promessa di miglioramento economico). La stessa struttura dell'impero coloniale britannico, basato
sugli ampi poteri di autogoverno concessi alle colonie e sulla mancanza di organi di governo centrale, facilitò la
proliferazione di comunità differenziate e autonome. L'assenza di tradizioni feudali, il diritto di voto fondato
sull'appartenenza alla comunità, il pluralismo religioso, la prevalenza di una morale del lavoro antiaristocratica,
configurarono sin dall'inizio la società coloniale come un "mondo alla rovescia" rispetto alla madrepatria, nonostante la
fortissima dipendenza economica e militare. La salda integrazione tra le componenti del sistema imperiale creò le
contraddizioni che guidarono le elite americane a maturare la consapevolezza del proprio ruolo economico e del rapporto
di subordinazione al quale erano costrette. A ciò vanno aggiunte le trasformazioni in atto nella società coloniale, sia nelle
campagne, nelle quali le spinte arcaiche del comunitarismo popolare e quelle modernizzanti legate a una agricoltura
commerciale si fondevano in un'originale autonomia culturale, segnata nella prima metà del XVIII secolo dal movimento
revivalista del Grande risveglio, sia nelle città, percorse da crescenti differenziazioni sociali nel quadro di una realtà
economica ancora preindustriale.
LA DICHIARAZIONE DI INDIPENDENZA. Il rifiuto di una posizione di minorità, già visibile nella crescita del potere delle
assemblee coloniali rispetto al potere dei governatori imperiali, si volse in un'azione politica comune contro le leggi
mercantiliste dallo Stamp Act (1765) agli Intolerable Acts (1774) varate per rinsanguare le stremate finanze britanniche. Il
rifiuto opposto dal Parlamento britannico a un'evoluzione federativa dell'impero, incompatibile col ruolo di potenza mondiale
assunto dalla Gran Bretagna, innescò il passaggio dalla disputa giuridico-costituzionale a quella più generale sui diritti
naturali e sul contratto sociale, base della Dichiarazione di indipendenza. La rielaborazione allora compiuta dalle elite
americane del pensiero politico inglese radicale, risalente alla tradizione della rivoluzione puritana e ai suoi motivi
democratici, mirava al recupero di una politica originaria tradita dalla tirannia del re e del parlamento; di qui nacque l'idea
della contrapposizione tra un'America nuova e incorrotta e un'Europa decaduta e perversa. Alla lotta per l'indipendenza si
affiancò una rivoluzione interna alle società coloniali stesse, divise tra conservatori (di orientamento elitario e aristocratico)
e modernizzatori, forti tra i ceti in ascesa, orientati all'abbattimento delle gerarchie e all'instaurazione di un ordine sociale
razionale ed efficiente.
UNA NUOVA CLASSE DIRIGENTE.
Le istituzioni politiche extralegali sorte in luogo delle assemblee esautorate dal parlamento britannico come i congressi
provinciali e le convenzioni elette in tutti gli stati secondo procedure anomale, rappresentate al congresso di Filadelfia
(1774) registrarono un ampliamento senza precedenti del potere dei ceti subalterni (medi e piccoli contadini, artigiani) e la
nascita di una nuova classe politica rappresentativa di vari strati sociali e di molteplici interessi. La guida dei conservatori
dovette da allora confrontarsi con il consenso dei ceti popolari non più politicamente marginali, portatori di nuove richieste
di uguaglianza (anche attraverso il ruolo svolto nelle milizie coloniali) e sostenitori di un'interpretazione radicale del
repubblicanesimo (repubblicani radicali), che privilegiava la salvaguardia delle libertà dei governati attraverso la limitazione
e il controllo del potere dei governanti; tale orientamento trovò la sua prima istituzionalizzazione nelle costituzioni degli
stati, accomunate dalla perdita di potere da parte dell'esecutivo a favore del potere legislativo. L'ultima parte della guerra
d'indipendenza segnò invece il passaggio della rivoluzione dalla fase radicale alla fase federale. L'indipendenza aveva
creato problemi di portata nazionale ai quali i singoli stati non erano in grado di far fronte; emerse così dagli organismi
unitari creati per fronteggiare le difficoltà strategiche, organizzative e finanziarie della guerra (l'Esercito e il Congresso
continentali) un nuovo ceto politico di orientamento nazionalista, avverso al localismo del movimento radicale. Di fronte
all'impotenza della compagine politica sorta dagli Articles of Confederation, il movimento nazionalista, che ebbe come
maggior rappresentante Thomas Jefferson, si impegnò per la difesa dell'indipendenza, dell'unità e dell'autonomia
economica degli Stati Uniti e, al termine della guerra, riuscì a mediare tra la nuova aristocrazia finanziaria e i timori dei
radicali nei confronti di una "tirannia" economica, governando la transizione verso la Costituzione del 1787 e verso la
democrazia politica
GUERRA DI INDIPENDENZA AMERICANA, (1775-1783).
Guerra combattuta dalle colonie della Gran Bretagna dell'America settentrionale, col sostegno di Francia e Spagna, contro
la madrepatria britannica; costituì la fase centrale della rivoluzione americana. Preparata dalle violentissime reazioni dei
coloni all'emanazione da parte di re Giorgio III degli Intolerable Acts del 1774, in seguito alle vicende del Boston Tea Party,
scoppiò all'inizio del 1775, dopo che il parlamento inglese aveva dichiarato il Massachusetts in stato di ribellione, con lo
scontro di Lexington, e il successivo assedio di Boston da parte della milizia chiamata alle armi dal Congresso provinciale
rivoluzionario. La costituzione di un esercito nazionale (Continental Army) agli ordini di G. Washington, comandante delle
milizie della Virginia, e l'approvazione di una Dichiarazione dei motivi e delle necessità di prendere le armi, stilata da J.
Dickinson e T. Jefferson, furono deliberate dal secondo Congresso continentale di Filadelfia; tuttavia il confronto militare
rimase inizialmente limitato a scontri occasionali tra milizie americane e battaglioni britannici intorno a Boston e lungo il
confine con il Canada. Immediatamente dopo la dichiarazione di indipendenza, i britannici ottennero il primo grande
successo militare occupando la città di New York (agosto 1776), che restò sotto il controllo britannico fino al termine della
guerra, mentre il Congresso, timoroso di un attacco contro Filadelfia, si ritirò provvisoriamente a Baltimora. Migliorata la
precaria posizione militare grazie ad alcuni successi invernali ed evitato lo sbandamento dell'esercito continentale, il
Congresso decise l'arruolamento di ufficiali stranieri (tra cui il marchese di Lafayette, il barone de Kalb, Friedrich von
Steuben e Tadeusz Kosciuszko), scelta che contribuì in misura decisiva alla professionalizzazione dell'esercito. Ciò
nonostante, le truppe di Washington subirono, nell'autunno del 1777, dure sconfitte a Brandywine Creek e a Germantown,
consentendo ai britannici di occupare Filadelfia. Il successo ottenuto a Saratoga dalle milizie del New England contro le
truppe britanniche del generale J. Burgoyne permise al governo francese di passare dall'appoggio ufficioso (finanziario e
militare) dato alle colonie, al riconoscimento ufficiale dell'indipendenza americana, sancito l'8 gennaio 1778 da un trattato di
alleanza cui seguì l'intervento diretto della flotta militare francese in appoggio ai ribelli. Durante i successivi tre anni di
guerra, nonostante l'incapacità da parte britannica di conseguire vittorie decisive e l'intervento della Spagna a fianco di
americani e francesi, la situazione militare degli americani si deteriorò. Le vittorie del generale C. Cornwallis in South
Carolina e la caduta di Charleston (maggio 1780) rischiarono di portare l'esercito americano al collasso, ma l'irresolutezza
britannica nella conduzione della campagna e la mancanza di rinforzi dalla madrepatria, consentirono la riorganizzazione
delle forze americane, che riconquistarono l'anno successivo il South Carolina costringendo alla resa Cornwallis dopo un
lungo assedio a Yorktown. Le successive sconfitte subìte dai britannici a opera della flotta francese indussero il Parlamento
di Londra a votare, il 27 febbraio 1782, contro la prosecuzione della guerra; caduto il governo di lord North, il suo
successore, lord Rockingham, aprì immediatamente le trattative di pace. Firmati il 30 novembre gli articoli preliminari di
pace con gli americani e raggiunto l'accordo con Francia e Spagna all'inizio del 1783, i britannici, che avevano sino ad
allora proseguito le incursioni navali contro le città costiere americane, dichiararono la cessazione delle ostilità. Il trattato di
Parigi (3 settembre 1783), che riconosceva l'indipendenza degli Stati Uniti, fu ratificato dal Congresso continentale il 14
gennaio 1784. Il successo militare e diplomatico fu pagato da gravissime conseguenze economiche: il costo
dell'indipendenza fu estremamente alto e l'impoverimento del paese notevole. Oltre alle distruzioni provocate dalla marcia
degli eserciti e dagli attacchi della marina britannica alle città costiere, la chiusura del florido mercato dei Caraibi inglesi al
commercio americano colpì duramente l'agricoltura degli stati centrali, impedendo l'esportazione di grano, carne salata,
legname; nelle colonie del nord, oltre ai pescatori del Massachusetts e del New Hampshire, furono le distillerie e gli
zuccherifici, privati dei rifornimenti di melassa, a essere più profondamente penalizzati, così come i grandi piantatori di
tabacco nel sud, nonostante la parziale compensazione derivante dal commercio con i Caraibi francesi, spagnoli e
olandesi. Le necessità di rifornimento degli eserciti diedero viceversa un vigoroso impulso allo sviluppo della produzione
industriale. All'inflazione e al crescente caos finanziario, il Congresso oppose dal 1780 una politica duramente deflativa,
con la cessazione dell'emissione di carta moneta e il ritiro di quella in circolazione all'irrisorio prezzo di mercato. L'azione di
R. Morris, nominato sovrintendente alle Finanze dal Congresso, consentì la costituzione della Bank of North America,
presso la quale furono depositati i cospicui prestiti francesi al governo statunitense, e che funzionò come vera e propria
banca pubblica, operando tutti i pagamenti di guerra. Tale politica salvò la nascente Confederazione dalla bancarotta, ma
distrusse il potere d'acquisto dei piccoli contadini e artigiani, i più larghi possessori di cartamoneta, e favorì la
concentrazione delle risorse finanziarie del paese nelle mani di un piccolo gruppo di ricchi uomini d'affari legati alle grandi
banche della costa orientale.
SONS OF LIBERTY (Figli della libertà).
Organizzazione radicale espressione del movimento popolare antinglese nelle colonie dell'America settentrionale. Si
costituì nel 1765 per combattere le disposizioni dello Stamp Act. Capeggiata da Samuel Adams e Paul Revere nel
Massachusetts e da John Lamb e Alexander McDougall a New York, fece frequente ricorso ad azioni intimidatorie per
impedire la riscossione della tassa del bollo; a Boston, figli della libertà incendiarono e saccheggiarono persino la residenza
del governatore T. Hutchinson. Queste azioni violente provocarono le dimissioni volontarie di molti funzionari del bollo
nelle colonie, ancor prima dell'entrata in vigore della legge. Attivissimi propagandisti dell'indipendenza americana,
provenienti generalmente dal ceto artigiano o dalla rude gente della foresta, i membri dell'organizzazione si riunivano
intorno ai pali o alberi della libertà, simboli delle loro aspirazioni, promuovendo adunate patriottiche e manifestazioni di
piazza.
THOMAS JEFFERSON
(Shadwell 1743 - Monticello 1826). Politico statunitense, presidente (1801-1809). Avvocato, figlio di un proprietario terriero
della Virginia, la rappresentò nel 1775 al Congresso e fu il principale autore della Dichiarazione d'indipendenza (1776).
Divenuto nel 1779 governatore della Virginia, intraprese importanti riforme quali l'abolizione dei fedecommessi e delle
primogeniture, la revisione in senso umanitario delle leggi penali, l'introduzione della libertà religiosa e dell'eguaglianza tra
le diverse confessioni e l'organizzazione di un efficiente sistema scolastico. Nel 1783 ritornò al Congresso e fu incaricato di
condurre negoziati commerciali con i paesi europei (1784) ma il frutto più significativo del suo impegno fu la Northwest
Ordinance del 1787, decisiva in quanto delineò il percorso per l'adesione di nuovi stati all'Unione. Dal 1785 al 1789 fu
ambasciatore a Parigi e stipulò con la Prussia uno dei primi trattati commerciali del nuovo stato federale. Dal 1789 al 1793
fu segretario di stato di G. Washington, entrando in contrasto con il segretario al Tesoro, il federalista Alexander Hamilton e
divenendo il capo incontestato dei repubblicani. Già vicepresidente sotto il federalista John Adams, raggiunse la
presidenza nel 1800, dopo un'aspra battaglia elettorale contro Hamilton. Con un programma fondato sulla limitazione dei
poteri governativi e l'eliminazione della corruzione e del debito pubblico, acquistò la Louisiana per meno di 15 milioni di
dollari e decise il trasferimento della capitale da Filadelfia a Washington, appositamente fondata. Favorevole all'espansione
territoriale d'intesa con la Francia napoleonica (contro le tendenze filobritanniche di Hamilton), per difendere gli interessi
commerciali Usa, si arrivò alla guerra con la Gran Bretagna (1812-1814). Jefferson diede un notevole contributo alla
tradizione politica americana: sostenne la libertà e il valore dell'individuo di fronte alla massa, il federalismo attraverso la
conservazione dei diritti di ciascuno stato, una forte autorità statale a guida della politica estera, una graduale
emancipazione degli schiavi e la tolleranza religiosa anche per gli atei.
ALEXANDER HAMILTON
(Nevis 1755 - New York 1804). Politico statunitense. Allo scoppio della guerra di indipendenza americana entrò nella
milizia, diventò capitano d'artiglieria e tenente colonnello, divenne segretario di George Washington. Rappresentante
dello stato di New York al Congresso dal 1783, ebbe parte di rilievo nella formulazione della costituzione degli Stati Uniti
(1787) che, grazie a una serie di saggi scritti assieme a J. Madison e J. Jay e apparsi su "The Federalist", contribuì in modo
determinante a far approvare dai singoli stati. Segretario al Tesoro, influenzò tutta la politica dell'amministrazione
Washington favorendo la centralizzazione del potere. Riordinò le finanze pubbliche, regolò i debiti di guerra, ristabilì il
credito internazionale degli Stati Uniti e ne sostenne gli interessi commerciali in espansione. Dal punto di vista sociale, il
programma dei "federalisti" mirava a contenere e invertire le tendenze egualitarie ereditate dal movimento
rivoluzionario. Il suo grande antagonista fu Thomas Jefferson. Secondo i repubblicani, il sistema di governo, che aveva
proprio in Hamilton il leader e il teorico più lucido, minacciava di ricreare i rapporti clientelari e i privilegi contro cui erano
insorte le ex colonie. La difesa dei monopoli, l'aumento delle tasse, il rafforzamento dell'esercito, la crescita del debito
pubblico connessa strettamente a queste scelte e ancor più lo stile aristocratico di governo erano altrettante ragioni di
differenziazione e di scontro. Gli stessi federalisti, tuttavia, non si ritrovarono compatti e determinati nella difesa delle
scelte di Hamilton, che si dimise nel 1795 e da allora, ormai sconfitto, si occupò esclusivamente degli affari interni dello
stato di New York. Morì ucciso in duello.
BENJAMIN FRANKLIN (Boston 1706 - Filadelfia 1790). Politico, diplomatico, editore e scienziato statunitense. Divenne
famoso per l'invenzione di una stufetta economica a convezione (1742) e del parafulmine (1752). Membro attivo
dell'assemblea della Pennsylvania dal 1736 al 1764 fu, insieme a William Hunter, ministro delle Poste per le colonie.
Delegato al congresso di Albany nel 1754, propose un piano di unione fra le colonie inglesi d'America che, accettato dal
congresso, fu però rifiutato, per motivi opposti, sia dalla Gran Bretagna sia dalle colonie. Nel 1757 si recò in Inghilterra a
perorare la causa americana. Lavorò come referente con la madrepatria per lo stato della Pennsylvania (1764-1775), della
Georgia (1768-1770) e del Massachusetts nel 1770. Membro del secondo congresso continentale, collaborò alla stesura
della dichiarazione di indipendenza. Consigliere dell'assemblea costituzionale (1787), introdusse un sistema proporzionale
tra grandi e piccoli stati per la composizione della camera dei rappresentanti.
WASHINGTON, GEORGE
(Westmoreland County 1732 - Mount Vernon 1799). Politico e militare statunitense, presidente dal 1789 al 1797.
Agrimensore ufficiale della contea di Culperer, partecipò alla guerra franco-indiana prima come aiutante generale e poi
come colonnello della milizia di Virginia. Delegato della Virginia al primo Congresso continentale (1774), fu nominato dal
secondo, nel 1775, comandante in capo dell'Esercito continentale nella guerra d'indipendenza americana, non solo per i
suoi meriti militari, ma anche perché in tal modo le ricche colonie del sud venivano più direttamente coinvolte nel conflitto,
fino ad allora quasi esclusivamente limitato al Massachusetts. Dimostrò sagacia ed energia particolari, data anche la
difficoltà politica di tenere insieme forze unite dalla comune lotta contro la madrepatria ma non ancora rappresentanti di
un'unica nazione. Il suo prestigio dopo la vittoria era tale che, nonostante le sue resistenze, fu chiamato nel 1783 a
presiedere la Convenzione che dette agli Stati Uniti la Costituzione; una volta ottenuta la ratifica dei singoli stati che la
resero operante, nel 1789 fu eletto all'unanimità primo presidente della federazione e nel 1793 riconfermato, restando
quindi a modello di perfetto americano per tutte le generazioni future. Seppe circondarsi di uomini di grande valore (T.
Jefferson, A. Hamilton, H. Knox rispettivamente agli Esteri, al Tesoro e alla Difesa). Durante gli anni del suo governo fu
creato un sistema finanziario, creditizio e monetario efficiente; si sviluppò l'insediamento nei territori controllati prima
dell'indipendenza dalla Gran Bretagna; si stabilizzò la frontiera sud-occidentale; fu votata l'ammissione nella federazione di
altri tre stati: Vermont (1791), Kentucky (1792) e Tennessee (1796). Washington dedicò particolare attenzione a
consolidare la posizione del governo federale e ad assicurare alla carica di presidente la necessaria autorità senza
superare i limiti costituzionali. Col suo deciso rifiuto a farsi rieleggere presidente per la terza volta, fondò la tradizione,
interrotta solo da Franklin D. Roosevelt e in seguito fissata nella costituzione (1951), del limite di due mandati. Nonostante
l'ostilità degli inglesi e l'aspra opposizione interna riuscì a impedire una nuova guerra con la Gran Bretagna. Nel suo
famoso discorso di congedo del 19 settembre 1787, The Farewell Address, si espresse decisamente contro alleanze a
lunga scadenza con stati europei.
STAMP ACT
(Legge sul bollo, 1765). Legge approvata dal parlamento inglese il 22 marzo 1765 che impose nelle colonie americane
una tassa del bollo su giornali, documenti commerciali, atti legali e ogni sorta di documento a stampa. Promulgata per
aumentare il gettito fiscale necessario a far fronte al crescente debito pubblico britannico e ai costi di amministrazione
dell'impero, venne interpretata dai coloni come il primo passo di un attacco premeditato contro la loro libertà e i loro
diritti. Oltre a numerosi tumulti popolari e alle azioni violente dei Sons of Liberty, la reazione si concretizzò nella
convocazione dello Stamp Act Congress, riunitosi a New York il 9 ottobre 1765; la petizione di protesta da presentare al re
e al parlamento, stilata da John Dickinson e approvata dai delegati di nove colonie dopo una lunga discussione tra radicali
e moderati, asserì il principio per cui solo alle assemblee legislative coloniali spettava il potere costituzionale di imporre
tasse sulle colonie stesse. Il parlamento inglese revocò la legge (18 marzo 1766), approvando tuttavia il Declaratory Act
che riaffermò il principio della propria supremazia assoluta sulle colonie.
THOMAS PAINE(Thetford 1737 - New York 1808). Scrittore e politico inglese. Trasferitosi in America nel 1774, fondò il
"Pennsylvania Magazine", un giornale di idee repubblicane che appoggiava l'indipendenza delle colonie. Arruolatosi nel
1776 nell'esercito americano, nel 1778 tornò in patria e nel 1789 raggiunse Parigi. Scrisse diverse opere, fra cui I diritti
dell'uomo (1791) e L'età della ragione (1794-1795).
PELLEROSSA
L'impegno iniziale, da parte dei colonizzatori britannici al nord, di proteggere le terre indiane (risale al 1763 la
dichiarazione di re Giorgio III di Gran Bretagna, secondo cui tutte le terre a ovest delle fonti dei fiumi che, da ovest e
nordovest, si gettano in mare erano riservate agli indiani) venne meno non appena le massicce immigrazioni dall'Europa
resero necessari territori sempre più vasti per gli insediamenti dei bianchi. Tra i contraddittori tentativi fatti dal governo
statunitense per tutelare parzialmente gli indiani, rientrò la creazione del Bureau of Indian Affairs, del 1789. A partire dal
1830, con l'Indian Removal Act iniziò la campagna di sistematica riduzione di spazio destinato alle culture native,
accelerata dalla scoperta dell'oro in California. Tutto questo, negli anni che vanno dal 1850 al 1880, scatenò alcune tra le
più sanguinose guerre indiane, conclusesi nel 1890 con il massacro di Wounded Knee, che segnò la capitolazione
definitiva degli indiani. L'atteggiamento governativo nei confronti degli indigeni, cambiato più volte nel corso della storia
statunitense, andò dalla politica di garantismo, mai concretamente realizzata, a una politica di intervento pesante degli
apparati federali nella gestione dei territori indiani. Con il General Allottment Act (1871) venne privatizzato lo spazio
riservato alle tribù, compiendo così una doppia operazione di sradicamento culturale e sottrazione territoriale (gli indiani
persero il 62 per cento delle terre). Nel 1934, l'Indian Reorganization Act si proponeva di fare parzialmente ammenda alle
precedenti ingiustizie, ma il periodo più significativo in questo senso fu quello degli anni 1950-1970, durante il quale il
dipartimento federale degli Interni promosse una politica di decentramento e autogoverno nelle riserve (1954), attuata
con il sostegno di enti governativi autonomi quali l'Indian Service. Nel 1950 la popolazione indigena totale degli Stati Uniti
era calcolata in 455.500 unità, rimasta poi sostanzialmente stabile. Negli anni ottanta si calcolava che in territorio
americano, senza contare la vasta umanità meticcia, vi fossero 40 milioni di indios con i poli più consistenti in Bolivia,
Perù, Ecuador, Guatemala e Messico. Fenomeno recente e in crescita è l'organizzazione indigena, che rivendica il diritto a
lingua, religione, costumi e territorio propri.