L’AUTONOMIA POSSIBILE di Gabriella Romano Un nuovo soggetto costituzionale: gli istituti scolastici Il regolamento dell’autonomia, un regolamento in vigore Il tempo scuola Il team docente La continuità curriculare UN NUOVO SOGGETTO COSTITUZIONALE: GLI ISTITUTI SCOLASTICI L’ autonomia degli istituti scolastici, che del sistema dell’istruzione è un punto cardine, riteniamo debba sostanziarsi in una progettualità educativa forte che sappia andare oltre le mura della scuola per interloquire coi soggetti che nel territorio hanno e assumono responsabilità educativa e, a partire da questo, costruisca reti di responsabilità educativa. Si tratta tuttavia di processi complessi, che richiedono attenzione critica, che non sono privi di rischi, come quello di favorire l’aggregazione di interessi particolari, la nascita di scuole di comunità, il coagularsi di spinte che danno corpo a una idea chiusa e localistica di territorio e di scuola “di quel” territorio dove dirimenti potrebbero in ultima analisi risultare i rapporti di potere tra i diversi soggetti e non il diritto di tutti e di ciascuno all’istruzione. Le nuove competenze e potestà che la modifica del titolo V assegna alle Regioni e agli Enti Locali aprono nuove possibilità che possono sfociare in patti e reti di responsabilità educativa. UN REGOLAMENTO IN VIGORE Numerosi aspetti di rilevante interesse, soprattutto per quanto riguarda scuola dell’infanzia ed elementare, non trovano nel testo della legge una trattazione adeguata e lasciano ampi margini discrezionali . La legge 53/2003 è un provvedimento “cornice”, che si inserisce nel nuovo scenario costituzionale che assegna allo Stato la definizione delle “norme generali” e dei “livelli essenziali delle prestazioni” in materia di diritti civili e sociali e che invita le Regioni ad esercitare le “concorrenti” potestà legislative in materia di istruzione (Legge Cost. n. 3 del 18-10-2001). Lo spazio istituzionale, prima riempito dalle circolari del Ministero ora affidato all’autonomia “costituzionalizzata” della scuola, offre però un considerevole raggio d’ azione al protagonismo delle scuole e degli insegnanti. Il comma uno dell’art. 3 del D.P.R. n.275/1999 esplicita chiaramente che “ogni Istituzione scolastica predispone, con la partecipazione di tutte le sue componenti, il Piano dell’offerta formativa. Il Piano è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle Istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare ed extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia”. Ogni singola scuola è quindi pienamente titolare di questa competenza e libertà progettuale, che deve essere confacente prima di tutto con il mandato costituzionale, nel quadro di indicazioni nazionali per la riforma degli ordinamenti. L’autonomia prevede che le istituzioni scolastiche abbiano la facoltà di adottare le soluzioni che si ritengono più adeguate e più funzionali alla qualità del lavoro didattico per quegli aspetti che possono rivelarsi più cruciali: la gestione del tempo scuola le decisioni organizzative e didattiche, che riguardano il team docente della scuola elementare 1 l’articolazione verticale dei curricoli e le modalità di raccordo tra scuola dell’infanziaelementare e media. Il richiamo agli artt. 3 e 8 è essenziale per dare forza e valore alle scelte che il Collegio dei docenti vorrà adottare per una nuova elaborazione e interpretazione del Piano dell’Offerta Formativa, anche nell’ eventuale applicazione della Legge n. 53/2003 IL TEMPO SCUOLA Il Tempo Pieno nei suo 30 anni di vita ha trasformato il concetto di assistenza scolastica in quello di diritto allo studio, dandogli l’accezione di diritto fondamentale di cittadinanza. La scuola a tempo pieno è stata, precorrendo la scuola dell’autonomia, la scuola della Comunità, un laboratorio pedagogico e sociale, capace di accogliere , accettare e valorizzare le identità e le diversità. Basti pensare quanto l’integrazione dei soggetti disabili abbia insegnato alla scuola, migliorandone la qualità : un’idea unitaria e organica di curriculum e una scansione diversa dei tempi. La possibilità di contare su tempi distesi, rispettosi del percorso evolutivo e dei ritmi individuali, è emersa come fattore di primaria importanza nei processi di integrazione e di apprendimento di ogni bambino/a, ragazzo/a. Prima ancora della modifica all’art. V della Costituzione i Comuni hanno contribuito con le scuole a quelle forme di progettazione partecipata nella direzione di una sorta di “ecosistema formativo”: un rapporto educativo con la città ( città come scuola), l’incontro con le culture del territorio. La più forte contraddizione nell’impianto complessivo della legge delega n. 53 è la considerevole corposità degli obiettivi formativi, generali e specifici , in rapporto al tempo scuola drasticamente ridotto . Ciò non può che destare dubbi sulla sua vera filosofia. Nella società attuale c’è bisogno di più sapere, di più istruzione, di più scuola di qualità garantita a tutti e a tutte e che la scuola risponda a queste esigenze avendo a disposizione meno tempo di quanto ne abbia ora deve suonare come un campanello d’allarme. Anche per questi aspetti sarà fondamentale da parte dei Collegi il richiamo agli articoli 4, 5 e 8 del Regolamento dell’Autonomia (Dpr 275/99) per quanto riguarda l’aggregazione delle discipline di studio in ambiti disciplinari e ipotesi diverse di organizzazione delle attività laboratoriali e di connessione tra attività in classe che possono non essere necessariamente frontali, nonché altre soluzioni organizzative (piccoli gruppi, compresenze, attività elettive, ecc), che vadano di fatto a ridimensionare l’eccessiva frammentazione che rischiano di produrre i “Modelli Organizzativi” allegati alle Indicazioni Nazionali . Come M.C.E. abbiamo un’idea dell’apprendimento basata sulla dimensione sociale che riconosce, valorizza e permette l’interazione degli stili e delle competenze individuali, promuovendo la co-evoluzione di ogni soggetto e del contesto di apprendimento. Adattare i modelli formativi alle reali esigenze dei singoli bambini può voler dire considerare la diversità come strutturale nell’essere umano; partire quindi dalla diversità di bambini e bambine non è quindi una scelta di carattere affettivo/emotivo, ma cognitivo. La nostra idea di individualizzazione a favore della qualità dell’insegnamento/apprendimento presuppone però l’attenzione al contesto: è l’ambiente di apprendimento che consente di individualizzare attraverso le opportune forme di mediazione didattica. La personalizzazione del “ Bertagna - Pensiero” ci fa invece pensare alla scuola più come mero contenitore di una serie di rapporti individuali, ipotesi che, tra l’altro, ci sembra meno rispettosa delle buone pratiche di molte scuole che andrebbero riconosciute e valorizzate. 2 E ci preoccupa il forte accento posto sui bisogni individuali e sulle scelte delle singole famiglie che prefigura un’istituzione scolastica di tipo privatistico e un’idea di cultura mercantile. Intanto, guarda caso, il mercato sta crescendo di offerte a richieste di aiuto “per imparare a studiare” o “recuperare anni perduti”, mentre la scuola, paradossalmente,viene invitata ad allargare la propria offerta aggiuntiva con corsi e “laboratori” di danza, giardinaggio,bricolage ecc. Se la scuola perde le finalità stesse del suo agire che le affida la Costituzione, il senso del suo essere luogo, non casuale, della formazione avremo perso una battaglia non irrilevante. IL TEAM DOCENTE La Scuola dell’autonomia, deve quindi concorrere, con il suo originale contributo, al potenziamento e allo sviluppo del sistema nazionale di istruzione e formazione, realizzando esperienze e modelli organizzativi significativi e concretamente trasferibili. Appare però nei vari documenti che accompagnano la Legge 53 un nuovo “lessico pedagogico”, finora estraneo alla ricerca ed alla pratica didattica . Ad esempio, nella scuola primaria, ci si riferisce ”all’equipe pedagogica che entra in contatto con gli allievi” e al ruolo del docente coordinatore di tale equipe, nonché alle funzioni di tutoring esercitate. Anche in questo caso la responsabilità della scuola è fondamentale per elaborare soluzioni operative, efficaci e differenziate. La figura del tutor, come lo era quella dell’insegnante prevalente l’indomani dell’approvazione della L.148 che istituiva i moduli, porta a frammentare la funzione docente e delegarne la responsabilità, laddove è invece necessario valorizzare il più possibile la collegialità. Se la scuola, nella piena potestà che le deriva dall’art.8 del regolamento dell’autonomia, ritiene necessario agire tramite funzioni tutoriali nei confronti degli allievi (di accoglienza, accompagnamento, guida, orientamento, sostegno delle potenzialità, ecc.), sarà il Collegio a deliberare, nell’ambito della predisposizione dei P.O.F. le concrete modalità di svolgimento di tali compiti. La legge delega non fa alcun cenno, al “docente tutor “ mentre rimane tuttora vigente l’art. 128 comma 4 del DLgs 297/94 secondo il quale “Nell’ambito dello stesso modulo organizzativo, i docenti operano collegialmente e sono contitolari della classe o delle classi a cui il modulo si riferisce”.. Si potrebbero dunque, attribuire queste funzioni a ciascun docente dell’equipe pedagogica, per gruppi limitati di alunni. Anche l’eccessiva frammentazione degli orari e delle presenze dei docenti nelle prime classi può essere “contenuta” prevedendo “un’armonica” e condivisa gestione delle diverse situazioni organizzative (classi parallele, classi a tempo pieno, piccoli plessi, ecc.). In tal modo si valorizzerebbero le effettive competenze degli insegnanti, senza gerarchie o peggio ancora ruoli subalterni. Uno degli elementi che ha da sempre caratterizzato il percorso storico del Movimento di Cooperazione Educativa è stata la ricerca di una professionalità docente imperniata sull’unicità della funzione docente, la pari dignità tra i docenti, su una reciprocità fondata sulla cooperazione anche in presenza di competenze e percorsi esperienziali diversi. Un ruolo unico docente dovrebbe avere come punti forti e qualificanti: • la condivisione del compito • la progettazione collegiale come identità di istituto • l’assunzione di una metodologia di ricerca-azione • l’imparare a imparare dalla pratica • l’osservazione • la cura della biografia professionale, della propria storia cognitiva, del proprio stile di insegnamento Gli insegnanti hanno rifiutato fin dall’approvazione della legge 148 una specializzazione e una separazione netta di competenze, a favore della collegialità e corresponsabilità di scelte educative e 3 di una certa flessibilità e rotazione nella gestione delle attività. e tutto questo va messo in conto se non si vuol fare arretrare profondamente la scuola elementare La stessa organizzazione in ambiti disciplinari prevista dalla legge è stata interpretata dalle scuole e recepita nei successivi Contratti Nazionali come un dispositivo funzionale alla relazione educativa e ai processi di apprendimento e non come modalità di gestione burocratica. L’unitarietà non è mai stata solo l’intreccio delle discipline o la pura rotazione degli ambiti, ma la capacità del team di regolare i propri comportamenti, di gestire collegialmente i bisogni formativi dei singoli, di progettare uno sfondo in cui i diversi interventi trovassero un significato comune, una progettazione partecipata col territorio per costruire e condividere reti e patti di responsabilità educativa. La pluralità delle forme di convivenza democratica e di apprendimento che si realizzano in una scuola che è “laboratorio sociale” inoltre possono estendersi attraverso queste forme di progettazione partecipata ad un ‘idea, un’ipotesi di società. Il profilo del tutor, come emerge dalla Bozza di decreto attuativo predisposta dal Governo, o meglio ancora le funzioni tutoriali che può definire il collegio nel P.O.F. necessitano di un’attenta riflessione su alcune questioni culturali, pedagogiche ed organizzative che andrebbero meglio delineate anche ridefinendo l’intervento legislativo: - il concetto di alfabetizzazione culturale - l’individuazione di percorsi di costruzione della conoscenza conformi agli “stili” individuali d’apprendimento di bambini/e,ragazzi/e, - una valutazione formativa (ed un’interpretazione del portfolio) che “promuova” piuttosto che limitarsi a “certificare”, - un’ adeguata scelta delle metodologie che informino i diversi momenti organizzativi. LA CONTINUITA’ CURRICOLARE Il M.C.E. ha sempre ritenuto che occorrano cicli lunghi e lenti per fornire a tutti/e basi solide e comuni e possibilità di sviluppare curiosità e motivazione. Non condividiamo uno schema che finisce col contrapporre una scuola elementare pre-disciplinare e una scuola media disciplinarizzata. Lo spezzettamento in anni e cicli brevi rischia di produrre velocità e omologazione negli apprendimenti, espulsione di chi non sta al passo, prevalenza del 'cosa', dei contenuti, sul 'come' si apprende, sugli stili e le strategie personali. In particolare l’attenzione della progettazione del Collegio Docenti dovrebbe centrarsi su tre piani dell’azione educativa: i soggetti i contesti gli strumenti organizzatori/mediatori L’anticipo ai due anni e mezzo nella scuola dell’infanzia che non tiene in nessun conto le sperimentazioni finora attuate ASCANIO ed ALICE, ed il progetto ORME, unitamente all’anticipazione a cinque anni e mezzo nella scuola elementare svuota il valore formativo della Scuola dell’infanzia in quanto tale e riconduce alla vecchia concezione della scuola preparatoria e della “Primina”. Di fatto si sottrae a bambini/e un'esperienza fondante: costruire un gruppo omogeneo che convivrà per 5 o più anni. Questa scelta non tiene in alcun conto molti dati delle ricerche più recenti circa le modalità di costruzione del codice scritto e in genere delle conoscenze in un gruppo cooperativo, dove la negoziazione e il conflitto cognitivo di ipotesi e modelli fanno da criterio selezionatore e organizzatore degli apprendimenti importanti. Va quindi ribadito e reso realmente praticabile il collegamento organico scuola dell’infanziascuola di base, poiché l’arco 3-14 anni è una fascia importante nella sua unitarietà e sequenzialità, 4 come tempo di formazione di forme di organizzazione della realtà ed estensione nell’uso di codici e sistemi di significato Gli anni-ponte sono un’esperienza fondamentale, non a caso questo si ritrova nelle migliori esperienze degli Istituti Comprensivi che costituiscono il 42% delle scuole di base del nostro Paese. Un curricolo unitario, formativo, orientativo, dovrebbe comunque svolgersi dai 3 ai 14 anni, facendo riferimento più che al singolo curricolo di ambito o area del conoscere, a fasce di età in relazione allo sviluppo degli individui. con una loro autonomia oltre che con una interdipendenza: la fase tre- otto anni, comprensiva della scuola dell’infanzia e del primo biennio della scuola di base: il passaggio graduale dai campì di esperienza ai campi di significato assecondano l’emergere di funzioni e lo stabilirsi dì sistemi simbolico- culturali la fase otto- quattordici anni, che connette la parte finale della scuola di base: dai significati condivisi attribuiti alle esperienze attraverso negoziazioni di gruppo, significati espressi con codici e linguaggi simbolici, si passa alle prime simbolizzazioni fino all’emergere di ambiti disciplinari e di linguaggi specifici. La padronanza della codificazione disciplinare sarà sviluppata gradualmente, facendo delle grammatiche dei saperi essenziali dei campi di ricerca da esercitare in un quadro di unitarietà e coerenza metodologica dei due ordini di scuola. L’anno scolastico che si apre in un quadro di incertezze normative e di scarse garanzie istituzionali dovrà necessariamente vedere l’ampio coinvolgimento del mondo della scuola, la riproposizione delle migliori esperienze di scuola , al di là degli spot e delle comunicazioni mediatiche, l’attenzione e la cura dei bisogni di valorizzazione della professionalità dei docenti. 5