Roberto Sega, Studi su Limentani, Corbo editore, Ferrara 2002, pp. 185, € 18. Singolare la vicenda intellettuale del filosofo ferrarese Ludovico Limentani (1884-1940), allievo di Ardigò e di Marchesini all’università di Padova, poi docente di filosofia morale all’università di Firenze, costretto a uscirne in seguito alle leggi razziali del 1938 contro gli ebrei. Attivo in riviste e convegni, fin da giovane ha stabilito rapporti epistolari e culturali con molti intellettuali di punta. Bene integrato, dunque, in quel ceto intellettuale che fra Otto e Novecento ha partecipato alla revisione del positivismo nel campo dell’etica, ove più solida e ricca è la tradizione italiana rispetto, ad esempio, a quella epistemologica. Limentani è l’autore di un’unica, importante e ponderosa opera filosofica: I presupposti formali della indagine etica (Formiggini, Genova 1953, di oltre 500 pagine). Gli scritti precedenti sono di storia della filosofia e quelli successivi sono testi brevi su problemi specifici ancorchè rilevanti. L’opera si colloca accanto ad altre che in quel primo decennio del Novecento hanno fornito diversi, e a volte divergenti modelli di etica. E’ uscita nel momento sbagliato, sul finire del 1913, quando l’era giolittiana si avviava a un’eclissi e c’era una certa aria di scelte politiche drastiche; pertanto quest’opera, che difendeva la pluralità e la diversità di posizioni filosofiche, e che prospettava una società liberale in cui la tolleranza doveva essere l’idea-guida, non trovò spazio nella cultura di allora. E infatti gli interlocutori disposti a discutere le sue tesi filosofiche sono stati pochi, con alcuni silenzi significativi come quelli di Juvalta e di Croce. L’Autore analizza con acume le recensioni, tracciando un persuasivo milieu culturale, ove emergono i motivi di convergenza, e più spesso quelli di divergenza. Dunque, una “pratica” presto archiviata. Da questo persistente oblio (basta vedere la bibliografia: pochi scritti dettati da evidenti interessi concorsuali), lo ha sottratto Roberto Sega, organizzatore di un convegno sul filosofo ferrarese, di cui ha curato un libro preparatorio di materiali limentaniani (editi e inediti, oltre ad alcuni saggi su di lui): Un positivista eretico. Materiali per un profilo intellettuale di Ludovico Limentani (Ferrara 1999). Un secondo è in stampa, con gli atti del convegno. Questi cinque studi consentono di riavviare il discorso interrotto su questa figura di filosofo, una voce forse “minore”, come sostiene Sega, ma significativa nella cultura italiana novecentesca. L’Autore ci squaderna subito le molteplici ragioni che sono all’origine di un prolungato silenzio e dei motivi che ci inducono a riprendere il colloquio con questo filosofo. Il fatto più macroscopico è che la vittoria dell’idealismo italiano è stata così schiacciante, che gli orientamenti avversi, specie di stampo positivistico, sono stati per lungo tempo “messi all’angolo”, per usare un linguaggio pugilistico. E oggi, nella revisione storiografica del Novecento compiuta da una nuova generazione di studiosi, assistiamo a una riclassificazione di filosofi e orientamenti, specie quelli a cui l’idealismo aveva negato valore filosofico e serietà culturale. E’ il caso del pragmatismo e del modernismo, oltre che dell’odiato positivismo. L’Autore affronta l’analisi del pensiero e dell’attività di Limentani adottando un metodo decostruttivo, nella persuasione che ci faccia comprendere “l’architettura di un edificio concettuale” come appunto l’opera filosofica di Limentani, ossia di rendere evidenti con quali materiali (vecchi e nuovi) è stato fatto tale edificio, la sua solidità, e così via. L’Autore sostiene che “la strategia decostruzionistica che si porta sul pensiero di Limentani serve a illustrare un capitolo degli splendori e delle miserie del positivismo. (…) Limentani si riconosce in quella lignée metodica, interna al positivismo, che mette in mora forme di metafisica naturalistica, che prende le distanze da un cieco e rigido materialismo deterministico”, in favore di una problematicità del reale, di una rivalutazione dell’uomo, delle sue capcità inventive e progettanti. E di una società che ha un tasso fisiologico di conflittualità, che però deve essere anche capace di controllarlo e orientalo, altrimenti si va verso una guerra civile: insomma Limentani sostiene una “concordia discors, cuore della democrazia”. Dall’analisi dei carteggi del filosofo con l’editore Laterza e con France A.Yates, e da una originale disamina dei suoi corsi universitari, esce l’immagine di un pensatore che ha dato un contributo rilevante alla costruzione di un’etica nuova, oltre il positivismo di Ardigò. Ma soprattutto l’Autore insiste che è nell’ambito “dell’insegnamento che Limentabi rivela la sua più autentica statura di maestro, di ‘classico’”; una scelta e un impegno che rivelano un’idea di intellettuale capace di assolvere un’alta funzione civile (direi, etica) nella scuola e nella società. In questo senso Limentani, conclude l’Autore, “è stato un maestro, un maestro nel difficile, impegnativo mestiere di vivere” Mario Quaranta