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LA SCOPERTA
DELL’ALTRO
LA SCOPERTA DELL’AMERICA
SCOPERTA E
CONQUISTA
DELL’AMERICA
CRISTOFORO
COLOMBO
HERNAN
CORTES
DIVERSA CONCEZIONE DEI
POPOLI AMERINDI
AMERIGO
VESPUCCI
BARTOLOME’
DE LAS CASAS
LA SUPERIORE
CULTURA DEGLI
INDIGENI
JUAN GINES
DE
SEPULVEDA
SACRIFICI UMANI E
CANNIBALISMO
MICHEL DE
MONTAIGNE
LA NASCITA DEL
RELATIVISMO
CULTURALE
CRISTOFORO COLOMBO
Cristoforo Colombo nacque a Genova, fra il 26 agosto e il 31 ottobre 1451. Cominciò a navigare a
quattordici anni e, dopo aver prestato servizio sotto Renato d'Angiò, nel 1473 cominciò l'apprendistato
come mercante al servizio delle famiglie genovesi Centurione, Di Negro e Spinola. Duranti i suoi
viaggi nel Mar Mediterraneo e lungo le coste inglesi, visitò molti porti, fra cui Chio in Grecia, Bristol
in Inghilterra nel 1476, Galway in Irlanda nel 1477. Verso il 1479, continuando a curare i commerci
per conto della sola famiglia Centurione, Colombo si trasferì temporaneamente a Lisbona per poi fare
ritorno in Liguria. Dopo essersi trasferito a Madera per breve tempo,tornò a Lisbona, dove il fratello
Bartolomeo lavorava come cartografo. In questo periodo prese forma il disegno della rotta breve per le
Indie e pare che incontrò un naufrago il quale, in punto di morte, tracciò una mappa delle lontane terre
oltre oceano che fu d'ispirazione per Colombo. Basandosi sui racconti dei marinai e sui reperti (canne,
legni e altro) trovati al largo delle coste delle isole dell'Atlantico, Colombo cominciò a convincersi che
al di là delle Azzorre dovesse esserci una terra, da lui concepita come l'Asia. Si dedicò alla lettura
dell'Historia rerum ubique gestarum di papa Pio II stampata nel 1477, l'Imago mundi di Pierre d'Ailly
(1480) e Il Milione di Marco Polo. Una notevole influenza sulla decisione di Colombo dovette
esercitare una lettera del 1474 di Paolo Toscanelli, in cui il fisico fiorentino affermava la possibilità
teorica di percorrere una rotta verso ovest per raggiungere l'India. Colombo incontrò il re Giovanni II
di Portogallo nel 1483 e nell'udienza gli chiese la somma necessaria per il suo progetto, ma il Re
rifiutò la proposta. Colombo nel 1485 si recò nel Regno di Castiglia, a Siviglia, chiedendo prima al
duca Medina Sidonia e poi a don Luis de la Cerda, duca di Medinaceli. Costui convinse parzialmente
la regina Isabella di Castiglia, la quale decise di incontrare Colombo. Recatosi a Cordova, ai primi di
maggio del 1486 Colombo incontrò Ferdinando II di Aragona e Isabella. L'esploratore presentò il suo
progetto di raggiungere per mare il Catai e il Cipango(nomi con cui erano designati rispettivamente la
Cina e il Giappone). Una commissione si riunì per vagliare le effettive possibilità di riuscita del
viaggio e il verdetto, di esito negativo, arrivò solo alla fine del 1490. Colombo decise di rivolgersi
pure ai sovrani d'Inghilterra e di Francia, ma non ottenne alcun finanziamento. Padre Juan Pérez,
confessore personale della Regina, tentò di intercedere per Colombo e fece in modo che egli si
incontrasse nuovamente con la regina. Il tesoriere Luis de Santangel, Ferdinando Pinello e altri intanto
assicurarono la copertura finanziaria eventualmente richiesta. Decisivo fu anche il contributo del
vescovo Alessandro Geraldini anche lui confessore della regina Isabella, che convinse definitivamente
a finanziare il progetto di Colombo. Colombo raggiunse, approfittando della loro propensione a
finanziare l’impresa, dettò delle condizioni esagerate, chiedendo il titolo di ammiraglio e la carica di
viceré e "governatore delle terre scoperte" (titolo che doveva essere ereditario), la possibilità di
conferire ogni tipo di nomina nei territori conquistati e una rendita pari ad un decimo di tutti i traffici
marittimi futuri. Non si giunse a nessun accordo, per cui Colombo partì, ma venne richiamato e le
richieste vennero accettate in caso di riuscita del viaggio. Il contratto (Capitolaciones) fu firmato il 17
aprile 1492 e la somma necessaria per l'armamento della flotta, pari a due milioni di maravedí, sarebbe
stata versata metà dalla corte e metà da Colombo, finanziato da un istituto di credito genovese, il
Banco di San Giorgio e il mercante fiorentino Giannotto Berardi.
Stemma di Colombo istituito
dai sovrani di Castiglia e
Aragona il 20 maggio 1493
Stemma della famiglia Colombo
usato a partire dal 1502
IL PRIMO VIAGGIO IN AMERICA
Colombo partì con due caravelle, la Nina e la Pinta, e con una caracca, La Santa
Maria, il 3 agosto 1492 da Palos de la Frontera con rotta verso le Isole Canarie.
Già il 6 agosto si ruppe il timone della Pinta e si credette a un'opera di sabotaggio,
quindi furono costretti a uno scalo di un mese a La Gomera. Durante la sosta la
Niña fu dotata di una velatura quadrata, in modo che potesse affrontare più
facilmente la navigazione oceanica. Le tre navi ripresero il largo il 6 settembre
spinte dagli alisei, venti che spirano sempre da est verso ovest. Le caravelle
navigarono per un mese senza che i marinai riuscissero a scorgere alcuna terra. Il
16 settembre le caravelle cominciarono a entrare nel Mar dei Sargassi e Colombo
approfittò dello spettacolo delle alghe galleggianti per sostenere che tali vegetali
erano sicuramente indizi di terra vicina, tranquillizzando temporaneamente i suoi
uomini. A partire dal 17 si osservò con stupore il fenomeno assolutamente
sconosciuto della declinazione magnetica. Il 6 ottobre vi fu una riunione generale
dei comandanti a bordo della Santa Maria, durante la quale Martín Pinzón suggerì
di cambiare rotta da ovest a sud-ovest. Il 7 ottobre Colombo decise di seguire il
suo consiglio, avendo visto alcuni uccelli dirigersi verso quella direzione. Il giorno
10 vi fu un principio di ammutinamento, che Colombo riuscì a sventare
promettendo un rientro entro tre o quattro giorni se le vedette non avessero scorto
alcuna terra. Giovedì 11 ottobre furono avvistati diversi oggetti galleggianti fra cui un giunco, un bastone e un fiore fresco e da questi indizi si dedusse che la terra dovesse
essere vicina. Durante la notte Colombo si disse convinto di avere intravisto in lontananza una luce, "come una piccola candela che si levava e si agitava". Fu solo alle due di
notte di venerdì 12 ottobre 1492 che Rodrigo de Triana, a bordo della Pinta, distinse finalmente la costa. Tuttavia, il premio in denaro promesso al primo che avesse avvistato
la terra fu aggiudicato a Colombo. La mattina seguente le caravelle trovarono un varco nella barriera corallina, e gli equipaggi sbarcarono su un'isola chiamata, nella lingua
locale, Guanahani, che Colombo battezzò Isola di San Salvador; sebbene l'identità moderna di tale isola sia contestata da secoli, si tratta, presumibilmente, di un'isola delle
Bahamas. Gli spagnoli furono accolti dai Taino, la tribù locale. Colombo stesso, nella sua relazione, sottolinea più volte la gentilezza e lo spirito pacifico dei suoi ospiti. La
sera del 27 ottobre le caravelle giunsero nella baia di Bariay, a Cuba. Nel diario di bordo di domenica 28 ottobre Colombo scrive"È l'isola più bella che occhio umano abbia
mai visto". Tuttavia, data la mancanza di oro e la condizione primitiva degli indigeni, l'ammiraglio pensò di essere arrivato soltanto in un remoto avamposto della grande civiltà
asiatica descritta da Marco Polo. Martín Alonso Pinzón aveva udito dagli indigeni delle immense ricchezze dell'isola di Babeque e decise di proseguire le ricerche senza
autorizzazione. La flotta si ridusse a due sole caravelle, con le quali venne esplorata la costa settentrionale di Haiti, battezzata "Hispaniola". Si giunse nella baia che Colombo
chiamò "Bahia de los Mosquitos". Sempre convinto di trovarsi in Asia, Colombo confuse la parola indigena Cibao col ricchissimo Cipango, alla ricerca del quale si mise subito
in viaggio superando Capo d'Haiti. Verso la mezzanotte del 25 dicembre la Santa Maria si arenò sopra un banco corallino e la nave fu persa definitivamente. L'Ammiraglio,
rimasto con una sola caravella, dovette abbandonare trentanove persone della ciurma con la promessa di ritorno durante il secondo viaggio transoceanico. Fece quindi costruire
un forte chiamato La Navidad, a poca distanza dal luogo dell'incidente. Il 5 gennaio la Pinta e la Nina si riunirono a Monte Christi, e Pinzón giustificò la lunga assenza
affermando di aver fatto scambi proficui con Caonabò, un potente cacicco indio. Mentre le navi erano in secca a Capo Samanà, il 13 gennaio furono attaccati da una tribù
ostile, per cui Colombo decise di partire già il 16 gennaio 1493. Egli sapeva che per evitare la spinta contraria dei venti alisei, avrebbe dovuto dirigersi a nord, ma in inverno, a
tali latitudini, l'oceano Atlantico è sconvolto da violentissime tempeste, come quella in cui s'imbatté il 13 febbraio. L'uragano separò le due navi senza alcuna possibilità di
manovra. Durante la burrasca Colombo gettò in mare un barile contenente il suo resoconto del viaggio, che fu perduto per sempre. Colombo approdò poi alle isole Azzorre,
sull'isola di Santa Maria. Da qui, la Niña ripartì il 24 febbraio arrivando otto giorni dopo a Restelo, presso Lisbona. Nonostante l'inimicizia dei portoghesi, Colombo fu
cortesemente ricevuto da re Giovanni II a Vale do Paraíso. Pinzón era riuscito a giungere a Baiona, nell'attuale Galizia, ai primi di marzo, fece poi vela per Palos arrivandovi
poche ore dopo la Niña. In tale città il capitano della Pinta morì in pochi giorni, probabilmente a causa della sifilide.
Colombo aveva portato con sé un po' di oro, tabacco e alcuni pappagalli da offrire ai sovrani quali segni tangibili delle potenzialità delle "isole dell'India oltre il Gange" ed
ottenne quindi l’appoggio e la simpatia dei sovrani spagnoli. A questo primo viaggio ne seguirono altri tre, di minor fortuna, che lo portarono alla rovina e al discredito presso
la corte di Castiglia. Alla fine del 1504 decise di non lasciare più il Regno di Castiglia e morì il 20 maggio 1506 a Valladolid a causa di un attacco di cuore, dimenticato da tutti
nonostante la sua fondamentale scoperta.
AMERIGO VESPUCCI
Amerigo Vespucci nacque il 18 marzo 1454 a Firenze. Nel 1489 si trasferì su incarico del banchiere Lorenzo
di Pierfrancesco de' Medici a Siviglia, dove conobbe Cristoforo Colombo. Nel 1499 si unì ad Alonso de
Hojeda, il quale aveva ricevuto dalla Spagna l'incarico di esplorare in direzione sud le coste dei territori in cui
era approdato Colombo. Fu tra i primi sostenitori dell'idea che le terre raggiunte da Colombo non costituissero
porzioni di territorio del continente asiatico, ma facessero parte di una "quarta parte del globo", un quarto
continente. Egli notò infatti che l'estensione delle zone scoperte si spingeva fino al 50º grado di latitudine sud e
perciò tale continente non poteva essere l’Asia. Le uniche opere di Vespucci pervenuteci sono le due lettere
“Mundus Novus” e “Il quarto viaggio”, indirizzate a Lorenzo di Pier Francesco de' Medici, in cui afferma di
aver compiuto quattro viaggi in America e per primo utilizza l’espressione “Nuovo Mondo” per indicare i
territori esplorati dagli Europei. E’ in corso ancora oggi fra gli storici un dibattito sull’autenticità di tali scritti e
sulla verità dei fatti riportati. Inoltre egli è ritenuto il primo europeo ad essere giunto nella terraferma
americana, il 24 giugno 1497. Il cartografo Martin Waldseemüller fu il primo ad usare nel 1507 il termine
“America” per designare i territori visitati da Vespucci, corrispondenti all’attuale America Meridionale. Tale
decisione derivò dalla rapida diffusione delle sue lettere in tutta Europa e perciò dalla grande fama che aveva
acquisito il suo nome latinizzato Americus Vespucius. Altri storici sostengono che fu l’esploratore Giovanni
Caboto ad usare per primo la parola “America”. Come Vespucci, egli aveva intuito che Colombo non aveva
raggiunto l’Asia e riuscì facilmente a convincere il re di Inghilterra Enrico VII a sostenere un suo viaggio nel
Nuovo Mondo. Nel porto di Bristol fu organizzata una flotta di cinque navi, ma il 2 maggio 1497 ne salpò solo
una, il Matthew. Il 24 giugno 1497 Caboto approdò sull'isola di Capo Bretone e toccò la Nuova Scozia,
avvistando l'isola di Terranova, e prese possesso dei territori raggiunti in nome di Enrico VII. Nel disegnare la
carta delle coste nordamericane, con ogni probabilità per la prima volta impresse a quelle terre il nome di
America, in onore del mercante scozzese Richard Ameryk che fu il principale finanziatore del suo viaggio.
Vespucci compì il suo primo viaggio in America al seguito di Juan Dìaz de Solìs e insieme al cartografo Juan
de la Cosa, fra il 1497 e il 1498. Tale spedizione fu organizzata dal re Ferdinando II di Aragona per
determinare l’effettiva distanza dell’isola di Hispaniola dalla terraferma. Le navi approdarono nella penisola di
Guajira, in Colombia, e in seguito fu esplorata la laguna di Maracaibo, in cui venne scoperto un piccolo
villaggio associato da Vespucci a Venezia. Per questo l’intera regione fu poi chiamata “Venezuela”.
Durante il rientro in Europa le navi costeggiarono le coste centroamericane e passarono tra l'isola di Cuba e la Florida, provando così l'insularità di Cuba. Vespucci partecipò
fra il 1499 e il 1500 ad una nuova spedizione guidata da Alonso de Hojeda, con cui raggiunse nuovamente l’America. Le navi toccarono terra nell’odierna Guyana e da lì
Amerigo procedette verso sud fino alla foce del Rio delle Amazzoni. Il raggiungimento di tale fiume è testimoniato da una lettera indirizzata a Lorenzo di Pier Francesco de
Medici, in cui afferma: « Credo che questi due fiumi siano la causa dell'acqua dolce nel mare. Accordammo entrare in uno di questi grandi fiumi e navigare attraverso di esso
fino ad incontrare l'occasione di visitare quelle terre e popolazioni di gente; preparate le nostre barche ed approvvigionamenti per quattro giorni con venti uomini ben armati ci
mettemmo nel fiume e navigammo a forza di remi per due giorni risalendo la corrente circa diciotto leghe, avvistando molte terre. Navigando così per il fiume, vedemmo
segnali certissimi che l'interno di quelle terre era abitato. » Successivamente Vespucci proseguì verso sud fino al Cabo de San Agustin, per poi tornare a nord visitando l’isola
di Trinidad e il fiume Orinoco. Nel 1501 compì un terzo viaggio in America al servizio di Gonzalo Coelho. La spedizione venne in contatto presso Capo Verde con le navi di
Pedro Álvares Cabral, esploratore portoghese. Vespucci conobbe l'ebreo Gaspar da Gama che gli descrisse i popoli, la fauna e la vegetazione dell'India e da tali conoscenze si
convinse ancora maggiormente di non trovarsi nell’Asia orientale. La spedizione raggiunse le coste brasiliane, entrò il 1º gennaio 1502 in una baia che fu nominata Rio de
Janeiro, quindi proseguì verso sud fino al fiume Rio de la Plata, che fu inizialmente battezzato Rio Jordan. La spedizione si spinse più a sud fino quasi all'imboccatura dello
stretto che sarà scoperto 18 anni più tardi dal portoghese Ferdinando Magellano. Il punto più a sud della Patagonia raggiunto da Vespucci fu il Rio Cananor. Fra il 1503 e il
1504 partecipò ad una quarta spedizione, in cui Vespucci individuò un'isola situata nel mezzo dell'oceano che fu successivamente battezzata Fernando de Noronha, in onore di
uno dei componenti dell'equipaggio. Amerigo Vespucci fu nominato, nel 1508, "Piloto Mayor de Castilla", dal re Ferdinando II di Aragona e morì nel 1512 a Siviglia.
CORTES E LA CONQUISTA DEL MESSICO
Hernan Cortes fu incaricato nel 1519 dal governatore di Cuba Diego Velazquez de Cuellar di conquistare la regione del
Messico, e sbarcato a Vera Cruz con 506 uomini al suo seguito affermò di trovarsi sotto la diretta autorità del re di Spagna.
La sua spedizione fu la terza a giungere in Messico ed egli scoprì per primo l’Impero Azteco. Data la grande divisione
interna di tale Stato, procedendo verso l’entroterra, Cortes tentò di ottenere l’alleanza delle diverse tribù indigene, con
promesse di ricchezza o utilizzando la violenza. Inoltre l’abile condottiero, sfruttando l’odio dei popoli sottomessi nei
confronti del governo Azteco, che imponeva pesanti tributi sia in denaro sia in vittime sacrificali, si presentò come il
riparatore dei torti subiti e ottenne perciò facilmente l’appoggio di tali popolazioni. La battaglia più difficile per gli Europei
fu quella contro i tlaxcaltechi, che diventarono poi i suoi migliori alleati. Quando il conquistatore arrivò a Tenochtitlan,
capitale del Regno Azteco costruita su un’isola al centro del lago Texoco, fu accolto pacificamente dall’Imperatore
Motecuhzoma II, probabilmente anche perché la data di arrivo degli spagnoli in Messico corrispondeva a quella in cui
secondo una profezia il dio Quetzalcoatl sarebbe tornato sulla Terra, e perciò essi furono ritenuti emissari della divinità.
Tuttavia poco dopo decise di imprigionare il sovrano azteco, senza che questi si opponesse. Intanto il governatore di Cuba,
che si era pentito di avergli affidato la conquista del Messico, aveva inviato contro di lui una seconda spedizione spagnola.
Cortes, con una parte dei suoi uomini, si mosse contro il nuovo esercito, numericamente superiore, e lo sconfisse, facendo
prigioniero il condottiero Panfilo de Narvaez e ottenendo l’appoggio degli altri. Ritornando a Tenochtitlan, scoprì che
Pedro de Alvarado, che aveva lasciato alla capitale per badare a Motecuhzoma, aveva massacrato un gruppo di indigeni
durante una festa religiosa ed era perciò scoppiata la guerra. Cortes si asserragliò con le sue truppe nella fortezza assediata.
In queste circostanze Motecuhzoma morì e per questo gli Aztechi aumentarono la forza degli assalti, per cui Cortes decise
di abbandonare la città di notte.
Tuttavia fu scoperto e nella battaglia che ne seguì più della metà del suo esercito fu annientato. Cortes si ritirò a Tlaxcala e, dopo aver ricostituito le sue forze, attaccò
nuovamente la capitale. Per facilitare la conquista, tagliò tutte le vie d’accesso alla città in modo che gli Aztechi non potessero ricevere aiuti, e inoltre fece costruire dei
brigantini per combattere sull’acqua. Il 13 agosto 1521, dopo due mesi e mezzo di assedio, Tenochtitlan fu espugnata definitivamente e gli spagnoli assunsero il controllo
dell’intero paese. Il Messico divenne una colonia spagnola, il cui nome fu ribattezzato da Cortes in “Nuova Spagna”. Per ricompensarlo, l’imperatore Carlo V lo nominò
governatore di tale colonia.
Lo storico Tzvetan Todorov, nella sua opera “ La conquista dell’America. Il problema dell’altro” s’interroga sulle ragioni che portarono l’esercito spagnolo a una così rapida
vittoria. In primo luogo Motecuhzoma presentò durante tutte le vicende belliche un comportamento ambiguo ed esitante. Non oppose alcuna resistenza a Cortes, si dichiarò
disposto a convertirsi alla fede cristiana e cedette ai conquistatori il suo regno, purché non superassero la capitale. A differenza dei precedenti sovrani aztechi che avevano
utilizzato la violenza e il terrore per imporre il proprio potere, egli credeva in una politica di pace e voleva evitare ogni possibile scontro ed effusione di sangue.
Una seconda importante motivazione è la divisione interna del regno Azteco. Gli Aztechi avevano assunto il potere come usurpatori, spodestando dal trono la precedente
dinastia dei toltechi, e lo mantenevano grazie alla violenza e al terrore. Cortes si presentò perciò ai popoli assoggettati dagli Aztechi come un vendicatore e un liberatore e
sfruttò le lotte intestine fra fazioni rivali, in modo tale che nell’ultima fase della guerra comandava un esercito enorme, in cui i soldati spagnoli costituivano solo il supporto
logistico e la forza di comando. Grazie a questa abile strategia politica di Cortes, gli indigeni non si accorsero delle sue mire conquistatrici, ma lo videro come un alleato in
grado di liberarli dal giogo del governo Azteco.
Una terza ragione fu la netta superiorità del contingente spagnolo in materia di armi. Gli aztechi non conoscevano la lavorazione dei metalli e le loro spade e armature erano
meno resistenti. Inoltre le loro frecce non potevano competere con gli archibugi e i cannoni degli spagnoli. Costoro erano provvisti di cavallo per spostamenti via terra, mentre
gli indigeni procedevano sempre a piedi, e per combattere sul lago di Texoco costruirono dei brigantini, più veloci ed efficaci delle cane indigene. Gli spagnoli diedero inizio
anche ad una sorta di guerra batteriologica, diffondendo il vaiolo fra le file nemiche. Inoltre è da sottolineare che gli Aztechi non combattevano per annientare il nemico, ma
per catturare prigionieri da sacrificare durante i loro culti, perciò essi attaccavano un singolo nemico in gruppo, venendo inevitabilmente massacrati dagli spagnoli.
DIVERSE CONCEZIONI DEI POPOLI AMERICANI
Nel presentare le diverse posizioni ideologiche che i pensatori europei assunsero nei confronti
degli indigeni e della guerra di conquista dei loro territori, prendiamo in esame un testo
intitolato “La guerra giusta nel dibattito sulla conquista d’America”, a cura di Giuseppe Tosi,
professore del Dipartimento di Filosofia dell’Università Federale della Paraìba, Brasile.
Innanzitutto egli spiega che la conquista del Nuovo Mondo avvenne immediatamente dopo la
riconquista dei territori occupati dai musulmani nella penisola iberica. Nel 1492, lo stesso anno
in cui Colombo partì per raggiungere le Indie, l’esercito spagnolo si impossessò di Granada,
l’ultimo califfato islamico in terra cristiana. La “reconquista” poteva facilmente essere
giustificata come “bellum iustum” e anche proclamata “guerra santa” secondo la concezione
comune dell’epoca, poiché il contingente spagnolo combatteva in nome della fede cristiana,
contro nemici considerati infedeli, che inoltre avevano strappato con la violenza i territori della
penisola iberica ai loro legittimi proprietari. Tuttavia non fu possibile addurre le medesime
motivazioni per le guerre di conquista dei territori Americani. In questo caso Furono gli europei
ad invadere territori sconosciuti e nei confronti dei quali non detenevano alcun diritto di
proprietà. Nacque perciò un dibattito teorico in tutta Europa riguardo alla giustificazione di tale
conflitto e ai rapporti che gli europei dovessero intrattenere con gli indigeni. Esso prese forma
dalle riflessioni espresse da importanti umanisti, come Erasmo da Rotterdam nella “Querela
pacis” e nell’“Institutio principis cristiani” in cui dichiara il suo pacifismo assoluto, o come
Niccolò Macchiavelli e il suo realismo politico, ma anche dalla sortita di Lutero
sull’opportunità di non resistere all’invasione turca. Questi dibattimenti internazionali si
svilupparono in una maniera straordinariamente liberare e concessero libertà di opinione anche
alle posizioni più radicali. Alla fine si delinearono due opposte concezioni: quella di coloro che
giustificavano la conquista in base alla superiorità culturale degli europei e quella di coloro che
cercarono di difendere i diritti e la libertà dei popoli Amerindi. I maggiori rappresentanti di
questi due movimenti furono rispettivamente Juan Gines de Sepulveda e Bartolome de Las
Casas.
Las Casas nacque a Siviglia nel 1484. Nel 1510 fu il primo a ricevere gli ordini religiosi nel
Nuovo Mondo e nel 1515 entrò nell'ordine domenicano, che si era già schierato a favore dei
diritti degli indigeni. L’avvicinamento al mondo religiosa fece quindi sorgere in lui una
concezione pacifista dei rapporti fra europei e americani. Nella sua vita combatte arduamente
per il riconoscimento dei diritti degli indios, a tal punto che venne soprannominato “procurador
de los indios”. Il suo tentativo di creare una società coloniale pacifica in Venezuela nel 1520
fallì e la comunità venne massacrata da una rivolta indigena incitata dai vicini coloniali. Morì
nel 1566.
Sepulveda nacque a Cordova nel 1490 e fu uno scrittore umanista spagnolo. Nei suoi scritti
sostenne che, data l’inferiorità culturale e psicologica degli amerindi, non fosse possibile
educarli pacificamente al cristianesimo e che fosse lecito usare la violenza. Inoltre celebra i
conquistatori, i quali avrebbero portato civiltà, conoscenze e la fede cristiana nel Nuoco
Mondo, donandole agli arretrati popoli indigeni. I due pensatori si incontrarono a Valladolid nel
1550 quando l’imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V li convocò per una disputa
pubblica. Nonostante la discussione vide come vincitore Las Casas, essa non modificò a
situazione di schiavitù in cui si trovavano gli abitanti dell’America e non fece diminuire le
ingiustizie nei loro confronti.
JUAN GINES DE SEPULVEDA
Giuseppe Tosi, nell’analisi del pensiero di Sepulveda, si basa su quanto egli afferma nel
dialogo “Democrates secundus”. La guerra mossa dagli Europei contro gli Indigeni poteva
facilmente sembrare un latrocinio, poiché mancavano tutte le giustificazioni per poterla
definire un “bellum iustum”. Perciò in tale opera Sepulveda elabora quattro cause per
giustificare tale conflitto, che tuttavia si allontanano dalla dottrina tradizionale cristiana.
La prima motivazione addotta è l’inferiorità culturale degli Indigeni e la condizione di
servitù naturale in cui si trovano. Sepulveda afferma, riprendendo alcune affermazioni di
Aristotele, che per diritto naturale è giusto che gli uomini più intelligenti, anche se
presentano forza fisica inferiore, prevalgano su quelli più deboli e stolti. Ugualmente le
nazioni “barbare e inumane” che abitano l’America devono essere sottomesse alla superiore
civiltà europea. Il filosofo cita a sostegno della propria tesi una frase della Bibbia tratta dal
Libro dei Proverbi,: “Lo stolto servirà il saggio.” Inoltre il popolo dominatore può utilizzare
qualunque mezzo, anche la schiavitù e la violenza, affinché i popoli amerindi abbandonino i
loro costumi barbari e arretrati.
Il secondo argomento si ricollega al primo, sostenendo che i riti sacrileghi con sacrifici
umani e il cannibalismo fossero le prove più evidenti della brutalità e dell’arretratezza degli
Indigeni. Sepulveda condanna pesantemente queste usanze, da lui definite come il “crimine
più nefasto, grave, turpe e alieno alla natura umana, il genere di idolatria più vergognoso”.
La terza causa è la difesa delle innocenti vittime dei sacrifici umani, che trae origine dal
precetto cristiano dell’amore verso il prossimo. Questi riti mostravano il carattere tirannico
dei governi americani e vi era perciò bisogno dell’intervento degli Europei per liberare i
popoli sottomessi.
La quarta motivazione è l’evangelizzazione delle popolazioni amerinde. Tuttavia data la
natura animalesca di tali genti era necessario imporre loro la dottrina cristiana con la
violenza. Il filosofo parla di una precisa missione civilizzatrice dei conquistatores che,
imponendo il loro credo ai nativi, li conducono verso la vera conoscenza di Dio. Conclude la
sua argomentazione con un riferimento ironico a Las Casas e a “ coloro che, con una
decisione codarda e inopportuna, vogliono impedire tali spedizioni [poiché] non favoriscono
umanamente i barbari, come loro vogliono far credere, quanto piuttosto li privano
crudelmente di molti e grandissimi beni”
BARTOLOME DE LAS CASAS
Las Casas si dichiarò sempre contrario all’uso della violenza come metodo di evangelizzazione e
considerò illegittime tutte le guerre mosse dagli Spagnoli. Inoltre fu l’unico pensatore a
considerare giuste le guerre difensive degli Indigeni.
Giuseppe Tosi analizza la sua opera intitolata “Apologia”, che egli compose per il dibattito del
1550 a Valladolid e in cui sono confutate le quattro giustificazioni della conquista elaborate da
Sepulveda.
Las Casas afferma, basandosi su un’affermazione di Cicerone del “De legibus”, che tutti gli
uomini presentano la stessa capacità razionale e sono dotati di una propria volontà, poiché sono
stati creati a immagine e somiglianza di Dio. Ne segue che, essendo le nazioni composte da
uomini, nessuna nazione è talmente incolta e barbara da non poter essere istruita alla conoscenza
della verità cristiana, utilizzando come mezzi l’amore e la dolcezza. Tale clima di rispetto trova
una giustificazione nel precetto cristiano della carità. Inoltre il domenicano spiega che, se si
ammettesse la superiorità della civiltà europea come causa della guerra, “esploderebbe una
conflagrazione universale e ogni popolo potrebbe sollevarsi contro un altro popolo […] e, con il
pretesto di una superiore cultura, potrebbe pretendere la sottomissione degli altri al suo
dominio.”
Il filosofo confuta l’argomento dei peccati contro natura dichiarando la mancanza di
giurisdizione del papa e dell’Imperatore sugli Indigeni. Essi erano infedeli che non abitavano in
territori soggetti alla Chiesa cattolica e non avevano mai conosciuto la fede cristiana e per questo
non potevano essere giudicati. La guerra non è un mezzo capace di sradicare i sacrifici umani,
poiché essi fanno parte di una cultura tradizionale e millenaria ed erano presenti anche in società
antiche, come attestato dalla Bibbia.
Las Casas demolisce la terza tesi di Sepulveda ribadendo il concetto secondo cui la Chiesa non
ha autorità per giudicare i peccati degli Amerindi. Inoltre afferma che le guerre intraprese dai
Conquistadores per liberare le vittime sacrificali hanno sempre portato alla morte un numero di
innocenti superiore a quello delle persone che si volevano salvare.
Infine dichiara che l’unico modo legittimo ed efficace di evangelizzare i popoli americani è
quello pacifico e adduce come motivazione la parabola del banchetto nuziale che Sepulveda
aveva erroneamente interpretato.
Illustrazione del libro Brevìsima relaciòn di Théodore
de Bry
MICHEL DE MONTAIGNE
Michel Eyquem de Montaigne nacque il 28 febbraio 1533a Bordeaux da una famiglia di mercanti divenuti da tempo
ricchi. Il suo bisnonno, Ramon Eyquem, nel 1477, aveva acquistato un castello a Saint-Michel-de-Montaigne, nel
Périgord, e in questo modo acquisì il titolo di "Seigneur de Montaigne", trasmesso ai suoi discendenti. Fu educato sin
da bambino ai principi dell'umanesimo del XVI secolo. All’età di tre anni gli fu assegnato come precettore un
medico tedesco chiamato Hortanus, al quale fu ordinato di parlare solo in latino. A tredici anni Michel, conoscendo
solo il latino, fu inviato al collegio della Guyenne a Bordeaux, dove imparò il francese, il greco antico, la retorica e il
teatro. Durante questo periodo di educazione e maturazione compì anche degli studi di diritto a Tolosa o a Parigi, di
fondamentale importanza per la scrittura delle sue opere filosofiche e per la sua futura carriera politica. Nel 1557
divenne consigliere per tredici anni alla "Cour des Aides" (Corte degli Aiuti) di Périgueux che fu poi unita al
Parlamento di Bordeaux. Nel 1558 incontrò Étienne de La Boétie, suo collega in parlamento, con cui strinse
un'affettuosa e intensa amicizia e del cui pensiero stoicista subì l'influenza. Questa amicizia lo segnò profondamente,
a tal punto che nel 1562, data di morte di Boétie, compose l’opera “De l’amitiè”. La prima opera filosofica pubblicata
fu tuttavia nel 1568 o 1569 la "Teologia naturale di Raymond Sebond", nella quale tenta di dimostrare la verità della
fede cristiana e cattolica, utilizzando un espediente letterario consistente nel far credere che si trattasse di una
traduzione dal latino al francese. Dal 1570 si trasferì a Bordeaux dove si dedicò agli studi classici (in particolare lesse
i testi di Virgilio e Cicerone) e alla riflessione filosofica. A partire dal 1571 lavorò alla stesura del primo libro dei
Saggi, in cui commentando i classici, come Plutarco, Seneca e Lucrezio, Montaigne analizzò la condizione umana e
la quotidianità, con una rara capacità d'introspezione libera da pregiudizi. Tale opera mostra una grande sincerità e
introspezione, è il ritratto di uno scettico per il quale sono da condannare le dottrine troppo rigide e le certezze cieche
ed è considerata da molti studiosi come la base della futura scienza antropologica. Durante le guerre di religione, Ritratto di Michel De Montaigne con la catena
Montaigne, nonostante fosse cattolico, agì come moderatore, rispettato sia dal cattolico Enrico III che dal protestante dell'Ordre de Saint-Michel che gli fu conferita da
Enrico di Navarra. Nel 1577, quest'ultimo, diventato re di Navarra lo nominò gentilhomme de sa Chambre. Nel 1580 Carlo IX nel 1571.
e nel 1581 effettuò un lungo viaggio in Francia, Svizzera, Germania ed Italia. Dopo aver sostato brevemente a
Verona ed a Venezia, fu a Roma, dove rimase fino all'aprile del 1581. A maggio ripartì e visitò le Marche e la
Toscana. Le annotazioni sul lungo viaggio furono da lui raccolte nel “Journal du voyage en Italie par la Suisse et
l'Allemagne”, pubblicato postumo nel 1774. Nel settembre del 1581fu nominato sindaco di Bordeaux e dovette rientrare in patria, dove svolse con competenza il suo
biennio di sindaco e venne rieletto per altri due anni. In questo periodo ebbe modo di dimostrarsi abile diplomatico, mediando fra il capo protestante Enrico di Navarra, il
capo cattolico Enrico di Guisa ed il maresciallo de Matignon, al fine di evitare che la città di Bordeaux venisse coinvolta nella guerra civile scoppiata nel 1584 a seguito
della morte dell'erede designato duca d'Angiò. Alla scadenza del mandato, nella regione scoppiò un'epidemia di peste. Montaigne dovette allontanarsi dalle sue terre e si
ritirò nel castello, dove iniziò l'elaborazione del terzo libro dei Saggi, che sarebbe stato pubblicato nel 1588. Morì il 13 settembre 1592 mentre lavorava ancora
all’ampliamento dei suoi Saggi.
Per meglio comprendere il pensiero di questo filosofo abbiamo analizzato un brano tratto dai “Saggi”, la più importante opera del pensatore, in cui esprime per la prima
volta nella storia una concezione relativistica delle diverse culture ed invita i lettori a considerare le naturali differenze esistenti fra queste. Il filosofo critica il senso
comune europeo e sostiene che gli uomini sono erroneamente abituati a giudicare come negativo tutto ciò che è diverso. Egli ritiene che nei popoli amerindi “non vi sia
nulla di barbaro e di selvaggio […], se non che ognuno chiama barbarie quello che non è nei suoi usi; sembra infatti che noi non abbiamo altro punto di riferimento per la
verità e la ragione che l’esempio e l’idea delle opinioni e degli usi del paese in cui siamo.” Inoltre egli si esprime in modo molto aperto e ammirato nei confronti delle
popolazioni indigene, di cui apprezza la sincerità, la generosità e l’assenza di molti peccati tipici degli Europei, “le parole stesse che significano menzogna, tradimento,
dissimulazione, avarizia, invidia, diffamazione, perdono, non si sono mai udite.” Per Montaigne l’animo degli Europei è contaminato dalla raffinatezza dei costumi, mentre
la semplicità, la purezza interiore e la vicinanza allo stato selvaggio delle origini nei nativi costituiscono delle virtù fondamentali. Tali valori spirituali non possono essere
colti dagli studiosi contemporanei di Montaigne, per cui egli si rivolge idealmente ai grandi filosofi dell’antichità, primo tra tutti Platone, a cui presenta le società
precolombiane come perfette e superiori alla sua visione statale presentata nella “Repubblica”.
CITAZIONI
Progetto realizzato da
Marco Asnaghi
Roberto Da Rold
Jacopo Gastaldi
Informazioni e fotografie tratte da
www.wikipedia.it
“La conquista dell’America. La scoperta dell’altro”
di Tzvetan Todorov
“La guerra giusta nel dibattito sulla conquista d’America”
di Giuseppe Tosi
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