CONSERVAZIONE ED ALTERAZIONI CHIMICHE DEI PRODOTTI ITTICI Maria Grazia Volpe [email protected] SHELF LIFE PESCI • Lo scadimento della freschezza nei prodotti ittici è la conseguenza di fenomeni fisicochimici, biochimici e microbiologici post-mortali, tipici di ogni specie, influenzati dalle modalità di pesca, dalle manipolazioni a bordo o negli stabilimenti a terra, nonché dalla temperatura di conservazione. Lo stato di freschezza dei prodotti della pesca è massimo subito dopo la cattura, ma tende progressivamente a diminuire nel tempo. VALUTAZIONE DELLA FRESCHEZZA • La valutazione della freschezza può essere effettuata utilizzando diversi metodi: sensoriali, fisici, chimici e microbiologici. Tra questi il metodo sensoriale od organolettico è senza dubbio il più facilmente applicabile, pur presentando il limite di essere soggettivo nell’espressione dei risultati. Per questo tale esame viene di solito integrato con altri, eseguibili direttamente sul campo (esami fisici, elettrochimici) o in laboratorio (esami chimici, microbiologici). Tale procedura è sancita dal Reg. CE 854/2004, che prevede, tra i controlli ufficiali da effettuare nei prodotti della pesca, in primo luogo l’esame organolettico, seguito da controlli chimici e/o microbiologici. • Poiché il metodo sensoriale, pur essendo di rapida e facile esecuzione, presenta un certo grado di soggettività, c’è sempre stata la necessità di esprimere la valutazione della freschezza con uno schema unico e ripetibile, oltre che di rapida compilazione, vista l’estrema deperibilità del prodotto. Punto centrale è la classificazione dei prodotti ittici in quattro categorie sulla base di caratteristiche rilevabili all’esame sensoriale, suddivise in fondamentali ed ausiliarie. Tra le prime sono inserite la rigidità cadaverica (presente solo nel pesce freschissimo) ed il rilievo olfattivo. Tra le caratteristiche ausiliarie sono invece riportati alcuni parametri di rilevanza complementare, riconducibili a fattori di specie ed ambientali, quali la stagione e le modalità di cattura, utili al fine dell’esame ispettivo: l’aspetto generale, la consistenza, l’aspetto dell’occhio ed il colore delle branchie. • Il pesce mostra, rispetto alla carne degli animali terrestri, delle caratteristiche che ne portano ad una facile alterazione. Esso presenta, innanzitutto, concentrazioni relativamente basse di glicogeno muscolare e, di conseguenza, valori di pH post-mortem elevati. Ciò porta alla comparsa di processi di alterazione precoci e prevalentemente di origine batterica; nella carne degli animali terrestri, invece, la degradazione è ad opera di enzimi endogeni, mentre l'attività batterica si instaura solo in un secondo tempo con la demolizione degli amminoacidi. • In un primo momento, l'attività batterica porta ad una decomposizione che conferisce al pesce odori gradevoli, detti di "frutta"; in seguito, con la degradazione degli estrattivi azotati, degli amminoacidi, dei grassi e degli zuccheri, si sviluppano odori sgradevoli per la presenza di nuove molecole chimiche, quali la trimetilammina (TMA), l'ammoniaca e l'idrogeno solforato responsabili di odori repellenti, "fecaloide-ammoniacale". Le sostanze azotate proteiche vengono, quindi, attaccate, in percentuali simili tra loro, dai batteri proteolitici (Achromobacter, Pseudomonas, Micrococcus, Bacillus, Alteromonas putrefaciens), fino alla liberazione di amminoacidi. • Nel pescato conservato a basse temperature, i microrganismi psicrofili sono localizzati nel muco che riveste la cute, sulle mucose e nell'apparato digerente. I fenomeni autolitici che avvengono a carico degli enzimi (catepsine, per la maggior parte di localizzazione lisosomiale) sono limitati a quelle preparazione a base di pesce (prodotti marinati) che presentano valori di pH bassi (intorno a 4) e ridotti contenuti di sale (concentrazioni di cloruro di sodio inferiori al 5%). Nei prodotti ittici non eviscerati, anche gli enzimi del tratto digerente possono giocare un ruolo di una certa importanza nei processi di degradazione proteica. L'attività di questi ultimi enzimi è comunque notevolmente influenzata dalla stagione di cattura, in quanto è maggiore nel periodo di massima alimentazione. La successiva demolizione del substrato aminoacidico porta alla comparsa di composti volatili dall'odore disgustoso, tra cui amine, ammoniaca, acidi grassi a corta catena, mercaptani ed idrogeno solforato (questi ultimi due alterano molto gravemente le caratteristiche organolettiche del pesce, a concentrazioni di pochi ppb,) (figura 1). Figura 1: Prodotti del catabolismo delle sostanze azotate proteiche • Esistono inoltre microrganismi (Proteus, Bacillus, Coli) ad attività indoligena, in grado di utilizzare il triptofano come substrato per la produzione di indolo, acido piruvico ed ammoniaca. Nei pesci, molluschi e crostacei freschi, l'indolo è presente solo in tracce e la sua titolazione può essere utilizzata, a scopo ispettivo, per evidenziare fenomeni di alterazione putrefattiva. Tra i diversi metodi che possono essere utilizzati per valutare la freschezza e/o l'idoneità al consumo del prodotto, la titolazione dell'azoto basico volatile totale (ABVT) rappresenta uno dei più attendibili. Nelle carni, in generale, l'ABVT si forma in seguito ai processi idrolitici post-mortali, in quantità dipendente dalla temperatura di conservazione, dal tipo di microflora contaminante e dall'attività degli enzimi tessutali (figura 2). Figura 2: fattori influenzanti la produzione di ABVT L'ammoniaca, che rappresenta la quasi totalità dell'ABVT, origina dal catabolismo aminoacidico che si instaura durante i fenomeni di deterioramento. Durante le prime fasi della conservazione dei prodotti ittici, ridotte quantità si possono formare anche come conseguenza dei fenomeni autolitici. Un discorso a parte meritano gli Elasmobranchi i quali possiedono, a livello di tessuto muscolare, una concentrazione particolarmente elevata di urea, in virtù sia dell'uremia fisiologica che li distingue, che per l'azione dell'arginasi (enzima idrolitico presente in ogni tessuto del corpo degli Elasmobranchi) sull'arginina liberata per autolisi delle proteine. La quantità di ABVT è stata correlata con le caratteristiche organolettiche (figura 3). Figura 3: Caratteristiche organolettiche e valori di ABVT • In linea di massima, per la valutazione della freschezza e dell'idoneità al consumo della carne di pesce, si possono tenere in considerazione i valori riportati nel grafico seguente. Figura 4: Valori guida di ABVT per la valutazione della freschezza • Tali valori guida sono stati confermati in laboratorio, attraverso una prova effettuata su carne (pesce) macinata (figura 5). Le analisi effettuate da noi hanno permesso di ottenere dati compatibili con tali valori, ad eccezione della maggioranza dei prodotti ittici trasformati (figura 6). I valori guida si riferiscono, tuttavia, a prodotti freschi e non a quelli che hanno subito processi di essiccamento (prodotti essiccati o salati). Convertendo i dati dei prodotti sul secco, ci si rende conto che i valori di ABVT corrispondono a quelli ottenuti dai prodotti freschi o congelati. Figura 5: valori di ABVT (mg/100 g) ottenuti dai prodotti ittici nel nostro laboratorio Pesce fresco pesce - preparato per frittura mista 16,7 pesce - preparato per frittura mista (caratteristiche organolettiche ottime) 13,8 pesce misto 21,0 pesce gatto congelato 11,8 filetti merluzzo 10,1 filetti platessa 11,6 filetti platessa (caratteristiche organolettiche: ottime) 8,3 seppia nera 27,9 spigola 18,7 Pesce congelato/surgelato calamari 9,1 gamberi 46,1 seppie 10,7 pesce misto 13,8 pesce spada - trancio 23,0 platessa 8,3 Prodotti trasformati acciughe salate 92,4 gamberi essiccati 50,7 pesce gatto essiccato 105 Tonno in scatola 38,0 • I processi alterativi si manifestano più rapidamente nei pesci marini rispetto a quelli d'acqua dolce per la presenza, in quantità comprese tra l'1% e il 7% del peso secco del tessuto muscolare dei primi, di ossido di trimetilamina (TMAO) che risulta virtualmente assente nei secondi. La TMAO è un'alchilamina quaternaria neutra che, nel tempo, può essere ridotta a trimetilamina (TMA), responsabile in quanto volatile del tipico "odore di pesce". La TMA è una delle basi azotate volatili che si formano durante i processi alterativi delle parti proteiche dei pesci di mare, dopo la loro morte. Praticamente assente nel muscolo dei pesci appena catturati, essa viene per la maggior parte prodotta, per riduzione del TMAO ed attraverso una serie di reazioni biochimiche molto complesse, ad opera di alcuni batteri o per azione di determinati gruppi enzimatici. • La crescita dei batteri in grado di ridurre la TMAO (Aeromonas, Achromobacter, Alcaligenes, Alteromonas, Pseudomonas, Vibrio) viene favorita da condizioni di anaerobiosi, per cui la produzione di TMA sarà maggiore in ambienti con ossigeno scarso o assente. Però, in caso di inibizione dell'attività batterica (congelamento), assume importanza l'azione delle metilasi endogene, presenti in alcuni pesci, Gadidi soprattutto, in grado di scindere la TMAO in dimetilamina (DMA) e formaldeide. • Compare conseguentemente, da una parte, l'odore tipico del pesce avariato e, dall'altra, vi è la denaturazione delle miofibrille muscolari, ad opera della formaldeide che porta ad un deterioramento della tessitura e della capacità di ritenzione idrica del muscolo. Nei Selaci, nonostante l'alta concentrazione di TMAO, non è facile rilevare la TMA prodotta, in quanto l'ammoniaca originatasi dall'azione dei batteri ureolitici porta ad un innalzamento dei valori di pH e blocco degli enzimi preposti alla demolizione della TMAO. • La TMAO risulta invece naturalmente preformata, nelle masse muscolari dei pesci marini, costituendone una caratteristica peculiare. La sua concentrazione è estremamente variabile, da 200 a circa 1500 mg per 100 g di muscolo, in funzione della specie ittica, della stagione, della taglia del soggetto, della qualità e dell'abbondanza dell'alimentazione, e quindi della zona di pesca. Per tale composto non è possibile pertanto fissare dei limiti esatti di accettabilità in rapporto allo stato di conservazione, ma può essere ritenuto valido l'asserto secondo il quale ad elevate quantità di TMAO corrisponde sempre un migliore stato di conservazione del prodotto, specialmente quando vi siano basse concentrazioni di TMA. • La TMAO può essere introdotta con l'alimentazione, in quanto presente in certe specie costituenti lo zooplancton, oppure può essere di origine endogena, derivando dal normale catabolismo proteico che avviene in vivo (figura 7). La TMAO è presente anche nei crostacei ed in alcuni echinodermi. Generalmente, i quantitativi più elevati di TMAO si riscontrano negli Elasmobranchi (470 - 1560 mg / 100 g di tessuto muscolare); il merluzzo presenta valori per lo più compresi tra 370 e 750 mg / 100 g, mentre i pesci piatti ed i pesci pelagici sono quelli che ne contengono di meno. Nei pesci pelagici, come sardine, sgombri e tonno, il sito di maggior accumulo è rappresentato dal muscolo rosso. Il dosaggio contemporaneo della TMA e del suo precursore, la TMAO, forniscono pertanto, da anni, utili indicazioni sullo stato di conservazione dei pesci marini, dei crostacei e dei molluschi cefalopodi. • Praticamente assente nella carne dei prodotti ittici marini subito dopo la loro cattura, il tenore di TMA andrà costantemente aumentando durante il protrarsi del tempo di conservazione, anche in relazione alla quantità di TMAO preformata, presente nel muscolo al momento della morte del pesce. In linea di massima, in funzione del tenore di TMA nel muscolo, potranno essere adottati i seguenti parametri di valutazione: pesce fresco: 0 - 5 mg / 100 g; pesce in incipiente stato di alterazione: 5 - 20 mg / 100 g pesce alterato: oltre 20 mg / 100 g Durante il protrarsi del tempo di conservazione, pertanto, mentre si verifica un costante aumento del tasso di TMA, la quantità di TMAO tende gradatamente a diminuire, fino a scendere a valori prossimi allo zero, come illustrato nella figura 8. • In questa ultima fase che coincide con lo stato iniziale di putrefazione del prodotto, esauritosi il suo precursore ed essendo un composto volatile, anche la TMA subisce una graduale e rapida diminuzione (figura 9). • Bassi valori di TMA possono perciò essere rilevati sia in pesci freschissimi che in soggetti in avanzato stato di alterazione. Mentre nei primi, però, il contenuto di TMAO è sempre elevato, nei secondi risulta a valori molto bassi. Risulta quindi oltremodo utile conoscere, non solo le quantità di TMA presenti nel muscolo del pesce, ma anche quella del suo precursore TMAO. • Altro fenomeno di particolare importanza durante la conservazione del pesce, è quello che avviene a carico della componente lipidica. Il pesce è infatti caratterizzato dalla presenza di acidi grassi polinsaturi a lunga catena (C20 e C22), presenti nella porzione edibile. Tali acidi grassi sono molto più suscettibili ai fenomeni di autossidazione rispetto a quelli monoinsaturi e saturi. In particolare, l'acido linolenico (C18:3) e i suoi derivati a lunga catena, l'acido eicosapentaenoico (EPA) e docosaesaenoico (DHA) risultano molto reattivi rispetto ai processi ossidativi, dando origine a molecole che posseggono una soglia di percezione molto bassa, quali le aldeidi 3-cisesenale e 2-trans,6-cis-nonadienale. Il grado di alterazione dei grassi, pertanto, denota l'invecchiamento di un prodotto, prescindendo dal suo stato di conservazione. Tipico, ad esempio, è il caso dei prodotti ittici congelati o surgelati e conservati per periodi di tempo piuttosto lunghi. Alcuni enzimi ossidasici, infatti, essendo ancora attivi anche a temperature molto basse (intorno ai -30°C), determinano inevitabilmente nei lipidi quel fenomeno di degradazione conosciuto come "irrancidimento". • L'autossidazione è una reazione complessa e organizzata in più fasi consequenziali (fase d'attivazione o start, di propagazione, di ramificazione e terminale). La presenza di ossigeno è necessaria ed il processo è catalizzato dalle alte temperature, dalla radiazione luminosa e dalla presenza di ioni metallici; il processo può essere inoltre favorito dalla presenza di sostanze pro-ossidanti e dall'assenza di quelle anti-ossidanti. La sequenza inizia con l'ossidazione della molecola lipidica ad idroperossido che, con l'evolversi del fenomeno ossidativo, viene scisso in una serie di composti organici a corta catena, quali aldeidi e chetoni, derivati furanici ed idrocarburi volatili. • Tali composti, in quanto volatili, sono i maggiori responsabili dei forti odori e sapori che si sviluppano, conferendo al prodotto che ne risulta colpito, caratteristiche organolettiche talmente scadenti da rendere lo stesso non più idoneo all'alimentazione umana e portano alla comparsa della rancidità. Uno dei più importanti di tali composti è la dialdeide malonica (DAM), sostanza idrosolubile capace di indurre nella carne di pesce, anche in quantità modestissime, uno sgradevole sapore amarognolo pungente, e può fornire, con il suo dosaggio, un utile parametro, da solo od insieme alla valutazione del numero dei perossidi e del test di Kreis, ai fini dell'apprezzamento dello stato di conservazione e dell'idoneità al consumo di un prodotto alimentare della pesca. Indipendentemente dalla specie ittica esaminata, si possono ritenere validi i criteri di valutazione riportati di seguito nella figura 10. Figura 10. Valutazione dello stato di conservazione attraverso il dosaggio della DAM • Infine, parlando di conservazione ed alterazione del pesce, non si può tacere sull'eventuale presenza di metaboliti che rivestono un significato tecnologico e sanitario, soprattutto in alcune specie ittiche, quali le amine biogene ed in particolare l'istamina. Le amine biogene si formano negli organismi viventi durante il normale ciclo metabolico, mentre negli alimenti, allorquando superano i normali livelli fisiologici, derivano generalmente, durante le manifestazioni alterative, dalla decarbossilazione batterica degli aminoacidi. L'origine dell'istamina è tuttavia solo in minima parte riconducibile direttamente a fenomeni autolitici di origine tessutale; essa è infatti di natura prevalentemente batterica, essendo dovuta all'azione di specifici enzimi elaborati da numerosi microrganismi, sugli aminoacidi liberati durante i primi processi degradativi. L'attività di tali enzimi, in primo luogo dell'istidinodecarbossilasi, è funzione di diversi fattori, primo fra tutti il contenuto in istidina libera nella sostanza alimentare. Le quote più elevate di istidina sono state riscontrate nel tessuto muscolare di alcune specie ittiche a carne rossa, appartenenti alle famiglie Scomberesocidae, Scombridae (tonni, albacore, bonito, sgombri), Clupeidae e Engraulidae (sardine, acciughe, aringhe), a livello intra e inter-cellulare e nel sangue. I maggiori livelli in particolare sono stati osservati in ordine decrescente nel tonno, nello sgombro, nelle sardine e nelle aringhe. • Anche nelle specie a carne bianca si può avere formazione di istamina ma, in questo caso, le cause sembrano ascriversi prevalentemente a fattori ambientali, quali un'imperfetta conservazione protratta per lunghi periodi. La presenza del substrato, comunque, pur costituendo il requisito primario per l'azione della decarbossilasi batterica, non rappresenta l'unico fattore per la formazione dell'istamina. Di fondamentale importanza è la temperatura che influenza notevolmente la quantità di amina prodotta: tra 6°C e 20°C, la sua formazione è addirittura maggiore di quella dell'ammoniaca, ritenuta comunemente il miglior indicatore del grado di freschezza del pesce. Le basse temperature sono invece in grado di ritardare la sintesi batterica dell'istamina anche in maniera considerevole; a 0°C, occorrono 16 giorni per raggiungere una concentrazione di 6 mg/Kg. Le temperature ottimali si aggirano invece tra 20 e 35°C. Essendo volatile ed altamente termostabile, le elevate temperature come quelle di sterilizzazione raggiunte nei processi di inscatolamento non sono in grado di inattivare quella già formata. Figura 11: Fattori favorenti la formazione di istamina • Poiché il pesce fresco non ne contiene nella forma libera, o ne contiene in quantità basse (10 mg/Kg), il suo livello diventa pertanto un indice sensibile delle condizioni in cui la materia prima è stata mantenuta fino al momento della lavorazione. • In realtà, la correlazione tra la produzione di amine e lo stato di conservazione di un alimento non coinvolge solo l'istamina, ma anche le altre amine biogene (cadaverina, putrescina, spermidina, spermina). E' stato definito un indice BAI (indice di amine biogene) per la valutazione della qualità di un alimento proteico che consiste nel rapporto: Valori di BAI Cadaverina + Putrescina + Istamina ---------------------------------------------------1 + Spermidina + Spermina • •Valori di BAI: < 1: carni o pesci di prima qualità •1 - 10: carni o pesci in uno stato iniziale di alterazione •> 10: carni o pesci in via di putrefazione • L'istamina, comunque, è l'unica ad essere responsabile dei fenomeni di intossicazione (scombroid poisoning), sebbene le altre amine biogene svolgano un ruolo sinergico o potenziante. I batteri generalmente responsabili nella produzione di alti livelli di istamina sono Morganella morganii, Klebsiella pneumoniae e Hafnia alvei, e tra questi solo i primi due possiedono comunemente l'enzima istidinodecarbossilasi. Gli studi condotti dimostrano che le cause prevalenti nei casi di intossicazine sono infatti la contaminazione con Morganella morganii, insieme alla temperatura di conservazione del pesce e all'intervallo di tempo intercorso tra la cattura e la refrigerazione delle carni. A questo proposito, si osserva che è buona norma non superare mai, dopo la cattura, le tre ore prima di refrigerare, dato che gli sgombridi sono animali a sangue caldo. • Secondo la FDA, 290 mg/Kg nel tonno indicano una cattiva manipolazione e 500 mg/Kg rappresentano una quantità potenzialmente tossica. Secondo alcuni autori, i parametri di riferimento sono: • < 50 mg/Kg: contenuto normale • 50 - 100 mg/Kg: può causare qualche disturbo nei soggetti suscettibili • 100 - 10.000 mg/Kg: tossicità moderata • > 15.000 mg/Kg: dose altamente tossica Altri autori riportano invece che le concentrazioni in grado di provocare effetti patologici, in soggetti di 70 Kg di peso corporeo, sono: •8 - 40 mg: lieve avvelenamento •70 - 1000 mg: disturbi di entità moderata •1500 - 4000 mg: disturbi gravi Convertendo il primo livello (8 mg) in apporto giornaliero, considerando un consumo di 60 g di pesce, si rivela che il contenuto di istamina in grado di provocare effetti tossici è pari a 133,33 mg/Kg. Nelle specie più a rischio, l'attività microbica può, in condizioni favorevoli, indurre rapidamente la sintesi di elevate quantità di istamina (fino all'1%, cioè 10.000 mg/Kg) che non implicano cambiamenti organolettici apprezzabili e possono provocare, nel consumatore, serie conseguenze sanitarie, fino ad arrivare al quadro clinico grave, definito shock istaminico, che può condurre alla morte (figura 12). Figura 12: sintomatologia d'intossicazione da istamina Va ricordato che secondo la legislazione vigente (DL 531/1992) le concentrazioni massime di istamina in Scombridae e Clupeidae è di 100 mg/Kg (concentrazione media ottenuta dalle determinazioni in 9 unità campionarie, con due che possono presentare una concentrazione compresa tra 100 e 200 mg/Kg). In uno studio sui valori di istamina si evidenzia che i pesci che possiedono le concentrazioni medie più elevate sono le sardine, seguite dai sgombri, dalle alici ed infine dal tonno (figura 13). Va ricordato a tale proposito che, per le alici, il fenomeno è spiegabile con il fatto che si tratta di semiconserve di pesce e che solo elevate concentrazioni di sale, dell'ordine di 5-8%, possono influire negativamente sulla moltiplicazione batterica, condizionando la produzione di istamina. Pertanto, una percentuale di sale inadeguata può permettere la proliferazione dei batteri produttori di istamina anche dopo l'inscatolamento. Va ricordato che le semiconserve sono state spesso responsabili di numerosi casi di intossicazione. Figura 13: Livelli medi di istamina in conserve di pesce • Sono tuttavia gli sgombri ed i tonni ad essere più a rischio in quanto presentano i livelli più pericolosi; solo queste due specie infatti hanno mostrato tenori potenzialmente tossici, superiori a 500 mg/Kg (figura 14), sebbene sono le sardine che superano più frequentemente i 100 mg/Kg ed il 4,76% di esse sembra aver subito una cattiva manipolazione. Figura 14: contenuti massimi di istamina