Omero educatore L’EDUCAZIONE DELL’ARISTOCRAZIA ARCAICA Omero educatore Platone cita che Omero fu l’educatore di tutta la Grecia. La concezione del poeta quale educatore del suo popolo fu, sin da principio, ovvia per i Greci e conservò per sempre la sua validità. “Ebbene, Glaucone, continuai, quando tu incontri gente che loda Omero e sostiene che questo poeta ha educato l'Ellade e che merita di essere preso e studiato per amministrare ed educare il mondo umano, e che secondo le regole di questo poeta si organizza e si vive tutta la propria vita, questa gente si [607a] deve sì baciarla e abbracciarla come quanto mai eccellente, e riconoscere che Omero è il massimo poeta e il primo tra gli autori tragici; ma si deve anche sapere che della poesia bisogna ammettere nello stato solamente la parte costituita da inni agli dèi ed elogi agli onesti. Ma se vi ammetterai la sdolcinata Musa lirica o epica, nel tuo stato regneranno piacere e dolore anziché legge e quello che nel giudizio comune è sempre sembrato essere il migliore criterio.” Lo stesso pensiero appare in Senofane, fr. 10 Tutto agli dèi hanno attribuito Omero ed Esiodo, quanto presso gli uomini sono vergogna e biasimo, rubare, fare adulterio e ingannarsi a vicenda. Omero educatore L’elemento estetico, nel pensiero greco originario, non è ancora separato da quello etico. Educativa in senso proprio non può essere se non una poesia le cui radici si addentrino negli strati profondi dell’essere umano, nella quale vive un ethos, uno slancio superiore dell’animo, un’immagine dell’umano che accomuni e vincoli gli uomini. L’arte ha in sé una illimitata capacità di comunicazione spirituale, di psicagogia. Essa sola possiede ad un tempo quella universalità e quell’evidenza vitale immediata, che sono le due condizioni più importanti dell’efficacia educativa. La vita possiede l’evidenza sensibile ma le sue esperienze mancano di universalità, sono troppo commiste d’accidentale perché la vivacità delle impressioni ricevute possa sempre conseguire il grado estremo di profondità. La poesia è più filosofica della vita reale, ma è anche più piena di vita che la conoscenza filosofica.\\ Non vi è alcuna epoca il cui contenuto ideale abbia realizzata la sua forma e quindi la più alta efficacia formativa sulla posterità, in maniera così larga e artisticamente universale come quella che ha per araldo Omero. Non vi è popolo la cui epica abbia espresso in una creazione così esauriente e grandiosa come la greca quanto in sé racchiude di fatalità universale e di senso eterno della vita il grado eroico dell’esistenza umana. Il pathos dell’alto destino eroico del combattente costituisce l’atmosfera spirituale dell’Iliade. L’ethos umano della cultura e del costume aristocratici anima l’Odissea. Dice un verso di Hölderlin: “ma ciò che resta, è dono dei poeti.” Esempi di interesse consapevole per i problemi educativi Iliade, Canto IX (vv. 222 – 713. In particolare, il discorso di Fenice dal v. 432). L’idea di porre accanto alla figura del giovinetto eroe Achille un educatore e maestro, nella persona del vecchio Fenice, ha dato luogo ad una delle più belle scene del poema. Dell’ideale educativo, Aiace personifica l’azione, Odisseo la parola. In Achille soltanto, entrambe sono riunite: egli attua la vera armonia tra il più alto vigore di pensiero e di azione. Il discorso di Fenice è il modello di un discorso esortativo del maestro al suo alunno, e la diffusa narrazione dell’ira di Meleagro e delle sue disastrose conseguenze è un paradigma mitico. Fenice può enunciare verità che Odisseo non poteva dire. Ciascun lettore è costretto a sentire con intima partecipazione tutta la gravità della decisione definitiva dell’eroe, dalla quale dipende la sorte dei Greci, del suo amico più caro, Patroclo, e infine l’intero suo destino. Contro la smisurata forza irrazionale dell’accecamento, contro la dea Ate, ogni arte dell’educazione umana, ogni buon consiglio è impotente. Esempi di interesse consapevole per i problemi educativi Telemachia Il contrapposto dell’inflessibile Pelide è Telemaco, alla cui educazione ci fa assistere il poeta del I° Libro dell’Odissea. Telemaco presta docilmente ascolto agli ammonimenti della dea Atena che si cela sotto le spoglie del paterno ospite Mente. Nei canti seguenti, Atena si nasconde nella persona di un altro amico anziano, Mentore, che accompagna Telemaco nel suo viaggio a Pilo e Sparta. Anima di questo racconto umanamente attraente è il problema, che il poeta si è posto consapevolmente, del come il figlio giovinetto di Odisseo divenga un uomo prudente, che agisce ponderatamente e cui arride il successo. Nella costruzione complessiva dell’Odissea costituisce una bella invenzione l’avviare simultaneamente le due parti distinte – Odisseo, che dalla ninfa amorosa è trattenuto lontano nell’isola cinta dal mare, e suo figlio, che attende in patria, inerte e abbandonato, il ritorno del padre – per ricongiungerle dando luogo al ritorno dell’eroe. Strumento naturale della grazia divina è il processo, tolto dalla vita, dell’influenza esercitata volutamente sulla volontà e sul giudizio del giovinetto, predestinato ad essere un eroe. Il cooperare dei diversi fattori – della propensione interiore, della buona indole, dell’aiuto e favore divino e del momento risolutivo della guida che indica la via – è finissimamente misurato. Come Omero, nel fallire del maestro di fronte all’arduo compito di piegare l’animo di Achille riconosce l’opposta influenza del demone, così, nel felice mutarsi di Telemaco da giovinetto irresoluto in vero eroe, venera piamente l’opera di una grazia divina. Importanza del mito Il cantore non narra soltanto fatti; egli vanta e loda ciò che vi è al mondo di degno di lode e di vanto. Il mito, la leggenda eroica, è la riserva inesauribile di modelli che la nazione possiede e dalla quale il suo pensiero attinge ideali e norme per la vita propria. Il mito funge sempre da istanza normativa, cui fa appello chi parla. E’ dunque insito in esso qualcosa di universale. Non altrimenti va inteso il legame mito – poesia, che per i Greci è legge fissa. Esso dipende dalla derivazione della poesia dal canto eroico, dall’idea della fama, dell’esaltazione e dell’imitazione degli eroi. L’epos è di sua natura un mondo ideale, e l’elemento idealità, nel pensiero greco arcaico, è appunto rappresentato dal mito. L'idea che ci si è fatta della natura del canto eroico più antico deve necessariamente esercitare su ciò un'influenza decisiva. Il nostro concetto fondamentale dell'origine dell'epoca da canti eroici antichissimi, ci suggerisce l'ipotesi che la descrizione di singolari tenzoni, l'αριστεία, che si risolve nella vittoria di un eroe famoso su un cospicuo avversario, sia stata la forma primitiva del canto epico. Il racconto di una singolar tenzone, però, desta sempre un interesse più profondo grazie all'elemento personale ed etico e grazie al più forte legame intimo dei suoi momenti singoli con l'insieme della lotta. Il poeta dell'Iliade risolve la lotta sotto le mura di Troia nel racconto dall'ira di Achille e dei suoi effetti è in una serie di singolar tenzoni autonome, come l'αριστεία di Diomede(E), di Agamennone(Λ), di Menelao(Π), la monomachia di Menealo e Paride(Γ), la monomachia di Ettore e Aiace(Η). Importanza del mito Ciò che, negli Achei, incontra la simpatia del poeta, non è la giustizia della loro causa, ma il loro eroismo risplendente di luce immortale. La storia di Achille diviene per il poeta l'intimo nesso col quale comporre le successive scene di combattimento in unità poetica. Alla figura tragica di Achille deve l'Iliade di non essere per noi soltanto un venerabile incunabolo di preistorico spirito guerriero, ma anche monumento immortale d'esperienza eternamente ma (ā) e di dolorosa grandezza. La descrizione dell'epos omerico, drammaticamente concentrata, che presenta sempre con evidenza gli avvenimenti ed entra in Medias res", non lavora che a sobri tratti. Invece di una storia della guerra di Troia o di tutta la vita eroica di Achille, esso da con meravigliosa sicurezza la sola crisi, momento di valore rappresentativo e di somma fecondita' poetica, che gli permette di concentrare la guerra decennale con tutte le sue vicende e le sue lotte, il passato, il presente e l'avvenire in breve spazio di tempo. Già lo spaventoso scoppio d’ira dell’eroe ci appare nella stessa luce eccezionale che circonda da ogni lato la sua figura: breve e sovrumano eroismo d’un magnifico giovane, che ad una vita lunga e ingloriosa nella pace e nel godimento antepone consapevole l’ascesa breve ed erta di un’eroica vita d’azione, il vero μεγαλόψυχος. Secondo Aristotele (Eth. Nic. IV,7), il mεγαλόψυχος è” ὁ μεγάλων ἑαυτὸν ἀξιῶς ὤν” = colui che crede se stesso degno di grandi premi e realmente lo è. Costruzione etica dell’Iliade Già nel primo canto, il poeta assume un atteggiamento ben netto. Il contegno dei due eroi contendenti è bensì visto in seguioto con tutta oggettività, ma è anche caratterizzato come un eccesso fallace. Tra loro si erge il saggio vegliardo, Nestore, incarnazione della “σοφροσύνη”. La figura di Nestore tiene in equilibrio tutta la scena. Già in questa esposizione cade la parola pregnante “Ate”. Il concetto di Ate, come quello della Moira, in Omero è ancora prettamente religioso; essa è un agente divino, cui l’uomo difficilmente può sottrarsi. Pure, specialmente nel canto IX, l’uomo nelle sue azioni appare, se non signore del proprio destino, almeno, in un certo senso, inconsciamente cooperante a foggiarlo. Vi è una profonda necessità spirituale nel fatto che precisamente i Greci, per i quali l’uomo che agisce eroicamente è la cosa più alta, hanno sentito così demonicamente il tragico pericolo dell’accecamento, ravvisandovi l’eterno contrappunto dell’agire e dell’osare. La massima eraclitea “ἦθος ἀνθρώπω δαίμον” è il punto d’arrivo di quella via della conoscenza del destino umano, sulla quale per primo si incamminò nell’Iliade il creatore della figura di Achille. Lo scudo di Achille In tutto Omero si manifesta una larga veduta “filosofica” della natura umana e delle leggi eterne che reggono il corso del mondo. La predilezione della poesia greca per l’elemento gnomico, la propensione a commisurare tutto ciò che accade ad una norma superiore, il muovere del suo pensiero da premesse universali, l’uso frequente di esempi mitici quali tipi e ideali di validità universale, tutti questi tratti hanno in Omero la loro origine prima. Della concezione dell’uomo propria dell’epos non vi è simbolo più meraviglioso delle figurazioni sullo scudo di Achille, che l’Iliade (Σ 478 ss)descrive ampiamente. Efesto vi raffigurò la terra, il cielo e il mare, il sole instancabile e la luna piena e tutte le costellazioni che inghirlandano il cielo. Vi fece anche l’immagine di due belle città degli uomini. Nell’una vi erano nozze, banchetto, corteo e canti nuziali. Intorno all’altra città stavano accampati due eserciti di guerrieri che volevano distruggere la città. Ne derivava una battaglia presso il fiume, s’incrociavano i giavellotti in aria, e nella mischia si vedevano incedere “Eris” e “Kydoimos”, i demoni della guerra, e “Ker”, il demone della morte, dalla veste sanguigna, trascinava via per i piedi, nel tumulto, feriti e morti. Accanto vi era un campo da arare. Tutto intorno, sull’orlo dello scudo, scorreva l’Oceano. La perfetta armonia della natura e e della vita umana, che appare nella descrizione dello scudo, regna dappertutto nella concezione omerica della realtà. Non vi è giorno così traboccante d’umano tumulto, che il poeta dimentichi di osservare come il sole sorge e tramonta su quell’agitazione, come al lavoro e alla lotta della giornata tiene dietro la stanchezza e la notte, il sonno che scioglie le membra avvolge i mortali. Omero non è né naturalista né moralista, né si abbandona all’esperienza caotica della vita senza trovare stabilità di fronte ad essa, né la domina dall’esterno. Le forze morali sono per lui così Intervento divino reali come le energie fisiche. I supremi limiti etici sono per Omero, come per i Greci in generale, leggi dell’essere, non convinzioni d’un mero dover essere. Omero non è però autore moderno, che faccia svolgere ogni cosa soltanto interiormente, quale esperienza e fenomeno di una coscienza umana. Nel mondo in cui egli vive, nulla accade di grande senza l’intervento di una potenza divina. Egli scorge ovunque i nessi tra l’umano e il divino. Nella maniera in cui gli dei intervengono nelle epopee omeriche si sente chiaramente un’evoluzione spirituale da un intervento più esteriore ed isolato, che dovette essere antichissimo nello stile epico, ad una costante direzione interna della persona singola per opera di una divinità. Anche nell’Iliade gli dei sono divisi in due campi. E’ un modo di pensare arcaico; ma altri tratti sono recenti, come lo sforzarsi del poeta di salvare al possibile, al di sopra della discordia in cui la lotta per Ilio ha piombati anche gli dei, la lealtà di questi tra loro, l’unità del loro operare in grande e la stabilità della loro repubblica divina. Causa ultima di ogni evento è il decreto di Zeus. L’intrecciarsi degli dei alle azioni e alle sofferenze umane costringe il poeta greco a veder sempre l’azione e la sorte dell’uomo nel suo valore assoluto, a inquadrarla sempre nella concatenazione universale e a commisurarla a supreme norme religiose e morali. L’epos contiene già in germe la filosofia dei Greci: l’epica di Omero ha questo in comune con la filosofia greca, che, nell’una e nell’altra, la realtà è presentata nella sua totalità: il pensiero filosofico la presenta in forma razionale, mentre l’epica la mostra in forma mitica.