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PREMESSA
Nel corpus sacerdotale romano inteso nel suo complesso spicca
la VESTALE
unica figura femminile a infrangere un rigido monopolio
maschile
La parcellizzazione della sacralità romana passa attraverso:
• Sodalizi
• Aruspici
• Sacerdozi individuali e Collegi sacerdotali
SODALIZI
I Sodalizi erano complessivamente 4 ed erano legati a riti e
feste, quali:
a. Luperci: traevano nome dalla celebrazione della festività romana dei Lupercalia
(attuale calendario 15 febbraio) quando solenni onori venivano tributati al dio
Faunus Lupercus, trapiantato in Roma dalla Grecia. A lui si affidavano i pastori e i
mandriani
b. Salii: votati al culto del dio della guerra: Marte. I sacerdoti-guerrieri indossavano
abiti militari e sovrintendevano molteplici cerimonie legate alla guerra. Il rito
prevedeva la percussione degli scudi – ancilia –, quindi una danza rituale in tre fasi
– tripudium – e un inno sacro, il carmen salinare
SODALIZI
c. Frates arvales: depositari dei riti propiziatori per la fecondità e la produttività
della terra. Si esibivano in danze in tre tempi e intonavano un carmen, detto arvale.
La principale festività si svolgeva in maggio in onore della dea Dia, sublimazione
della natura, della terra e dei campi
d. Fetiales: in qualità di sacerdoti-diplomatici, erano depositari delle procedure
legate ai negoziati, alla stipula dei trattati e alla formalizzazione delle dichiarazioni
di guerra. Non c’era alcun patto che non venisse ratificato con il ricorso a riti e a
preghiere in onore di Giove, così da renderlo sacro e infrangibile
ARUSPICI
Analizzavano sacralmente le viscere degli animali sacrificati,
interpretando attraverso esse il futuro decorso degli eventi.
 Un rito pervenuto dagli etruschi: per un lungo periodo di tempo, infatti, gli
aruspici etruschi furono chiamati a Roma per consultazioni dalle quali
dipendevano scelte politiche cruciali per l’Urbe
 Solamente nel I secolo d.C., sotto l’imperatore Claudio, tale ordine fu
istituito anche a Roma, e fissato in 60 il numero dei sacerdoti che ne
costituivano il collegio
REX SACRORUM E
PONTEFICE MASSIMO
 Il rex sacrorum si trova al vertice più alto della gerarchia sacerdotale
romana
 Assieme al pontefice massimo, era l’incarnazione dei poteri religiosi
del sovrano
 Nella realtà, tuttavia, rimase solo il depositario di antichi riti avvolti
nel mistero, senza concreto peso nella vita della città, sia per il culto
sia per l’indirizzo della politica
 Ogni potere venne successivamente esercitato dal pontefice
massimo, che presto si affermò come la massima autorità in campo
religioso
FLAMINES
Nome derivante dalla fiamma che accendevano sulle are per i
sacrifici, o forse da un filo di lana sormontante il loro copricapo
Erano divisi in:
 maggiori (3: Diale, Marziale e Quirinale, dedicati rispettivamente al
culto di Giove, Giunone e Minerva). Venivano nominati dal
Collegium pontificum presieduto dal Pontifex maximus
 minori (12, ma solo di 10 ci sono stati tramandati la divinità servita
e il relativo ruolo)
PONTIFICES
Costituivano senza alcun dubbio il più importante e
prestigioso corpo sacerdotale. In origine erano 9, numero poi
elevato a 16
I loro compiti erano:
 sovrintendere tanto i riti pubblici quanto quelli privati
 erano presenti a tutte le manifestazioni inerenti la vita della città e
delle personalità di rango
 gli Annales maximi e i Fasti stilavano il calendario per scandire gli
avvenimenti, e redigevano le liste con i nomi di tutti i magistrati
 a capo del collegio sedeva il pontefice massimo
AUGURES
Figura particolare nel novero dei sacerdoti vocati a
interpretare i segni dai quali traevano auspicia e auguria dal
volo degli uccelli
 Loro segno distintivo era un bastone ricurvo: il lituo
 Dapprima erano 10, poi in epoca sillana il numero fu portato a 15
 Era loro affidato il compito di consultare i famosi Libri sibillini che
potevano essere letti però solo su ordine specifico del Senato in
occasione di gravi avvenimenti, ed esclusivamente per dirimere
questioni altrimenti non comprensibili neppure dai pontefici
EPULONES
Originariamente erano in numero di 3 (successivamente
divennero 7)
 Costituivano il collegio meno importante, con un compito
meramente tecnico
 Dovevano infatti provvedere al banchetto di Giove, al quale
erano invitati tutti i romani, e ai banchetti sacri offerti durante i
giochi pubblici
VESTALI
Unica eccezione al sacerdozio di generale impronta maschile. Donne in
un mondo dominato dagli uomini, simbolo di purezza e di perpetuità
dei valori della romanità
Tutto in esse è simbolico e ieratico:
 l’ingresso nell’ordine avviene attraverso la captio virginis
 la selezione era basata sulla valutazione di rigidi requisiti fisici, sociali, etici e
persino giuridici
 il pontefice massimo, compiuta la sua scelta, pronunciava parole rituali con
l’atto di consacrazione. Quindi illustrava alla prescelta doveri e privilegi,
ignoti alle altre donne, derivanti dal suo nuovo stato
 da quel momento la Vestale lasciava la famiglia ed entrava nell’Atrium
Vestae rivestita dell’abito sacerdotale
VESTALI RITI SECONDARI
Tra i riti secondari di pertinenza delle Vestali:
1. Ignis Vestae renovatio: Ciclicamente, alle Calende di marzo, il fuoco sacro
custodito all’interno del tempio veniva rinnovato dalle Vestali tramite lo
sfregamento di legno degli alberi di buon augurio, i cosiddetti arbores felices
(quercia, leccio, sughero e faggio); oppure con la rifrazione dei raggi solari
utilizzando un vaso conico di rame, detto scaphium
2. Mola salsa (dal latino mola, macina, e per estensione farro macinato, e
salsus, salato): composto indispensabile nei sacrifici dei romani che
prendeva corpo dalle mani delle sacerdotesse. La mola salsa veniva
preparata tre volte l’anno: 15 febbraio (festa Lupercali), 9 giugno (festa
Vestali) e idi di settembre
VESTALI RITI SECONDARI
3. Palilia: un’antica festa agricola pastorale dedicata a Pales, divinità che
proteggeva le greggi e gli allevamenti in genere. A questa si aggiunge in
un secondo momento la celebrazione del Natale di Roma

Il 21 aprile le donne si recavano alla casa delle Vestali a ritirare i simboli
per purificare abitazioni e stalle

Le sacerdotesse preparavano un suffumigio con le ceneri del vitellino
estratto ancora feto dalla madre nel giorno delle Fordicidia, feste in onore
della dea Terra con il sacrificio di una vacca gravida. Le ceneri erano
mescolate a steli di fave e sangue del cavallo sacrificato a Marte alle idi di
ottobre
DIVINITÀ E SACERDOTESSE
Disponiamo solo di rare immagini e rappresentazioni della divinità,
trattandosi di una proiezione femminile anicònica: effigiem nullam Vesta nec
ignis habet (Ovid., fast. 6.295)
Il sacrario di Vesta non presenta, inoltre, alcun simulacro della dea, anche
quando nel tempo l’utilizzo delle immagini delle divinità sarebbe diventato
usuale e le statue finirono con l’adornare i templi
Il nome stesso della dea evoca una genesi greca: Cicerone ricorda che Vestae
nomen a Graecis est (Cic., nat. deor. 2.67). Vesta, dea del popolo romano, richiama
Hestía, presente nella lista delle divinità elleniche, conosciuta come dea della
casa e degli affetti
DIVINITÀ E SACERDOTESSE
Vesta, malgrado la possibile derivazione, rimane comunque uno degli
idoli romani più autenticamente indigeni e più lontani nel tempo
 La dea Vesta, nell’età delle origini e nella cultura primigenia romana, è la
trasfigurazione della terra, in una duplice prospettiva: la terra è sia dimora
del genere umano sia personificazione della divinità
 L’aspetto etico-religioso confluisce nella figura delle virgines Vestales,
termine legale utilizzato negli atti pubblici per denominare le sacerdotesse
consacrate alla dea Vesta
 L’appellativo di purezza è richiamato costantemente nelle epigrafi
commemorative e da storici antichi come Dionigi (Dion. Hal., ant. 2.64) e
viene travasato anche nella liturgia cristiana: il lemma sarebbe stato, infatti,
successivamente riferito alla mater semper virgo di Dio
DIVINITÀ E SACERDOTESSE
La figura della vergine Vestale nell’antica Roma invita a più di una riflessione
per la sua particolarità e per le implicazioni che investono non solo la sfera
religiosa e sociale, ma anche quella giuridica
 Provenivano da famiglie patrizie
 I genitori dovevano essere viventi
 Erano scelte fra 20 bambine tra i 6 e i 10 anni
 Non dovevano avere malformazioni o difetti e non dovevano appartenere a
famiglie nelle quali vi fossero già membri con cariche sacerdotali
 Una volta prescelte, era il pontefice a pronunciare la formula rituale
 Da questo momento le fanciulle venivano sottratte alla patria potestas e
andavano ad abitare nell’Atrium Vestae
DIVINITÀ E SACERDOTESSE
Le sacerdotesse conducevano una vita agiata:
1.
2.
3.
4.
ricevevano donazioni
godevano di lasciti testamentari e disponevano mortis causa dei propri averi
viaggiavano precedute da un littore a bordo di un cursus arcuatus
si avvalevano di una carrozza – plostra – impiegata solo sacrorum publicorum
causa e certis diebus
5. possedevano una propria scuderia
6. avevano al loro servizio un ministrorum comitatus costituito da:
a) statuari (fictores) – addetti alla realizzazione di immagini ed effigi
b) pubblici addetti al tempio (antischolarii)
c) liberti, littori, cocchieri, addetti alla stalla, nonché personale medico
(archiater)
7. deponevano in giudizio senza prestare formale giuramento
DIVINITÀ E SACERDOTESSE
Le sacerdotesse a fronte di tali privilegi avevano l’obbligo di:
1. mantenersi illibate per un trentennio
2.
occuparsi in via esclusiva del fuoco sacro che veniva fatto ardere nel
Sacerdotesse
tempio, del quale erano solenni custodi
3. preparare la salamoia consacrata per cospargere gli animali da immolare
4. curare l’acqua indispensabile per le attività di purificazione dell’Aedes
5. astenersi dal partecipare ai combattimenti tra gladiatori e agli spettacoli
degli atleti (la fisicità esuberante dovuta all’attività ginnica e i corpi scolpiti
dei contendenti avrebbero potuto turbare e oscurare il candore imposto
dal ruolo)
ISTITUZIONI DI GAIO
Apprendiamo da Gaio: al raggiungimento della pubertà i figli maschi
cessavano di avere un tutore mentre le femmine permanevano sotto tutela
con la sola eccezione delle Vestali
 Il privilegio del ius testamenti faciundi delle sacerdotesse risalirebbe
all’antichità: sancito in età regia e successivamente formalizzato nelle XII
tavole
 Gaio riferisce del richiamato privilegio appreso dai veteres
 Gaio, tuttavia, usa il lemma veteres per richiamare i soli operatori del
diritto di successiva epoca repubblicana: l’asserzione ‘itaque etiam lege XII
Tabularum cautum est’ rappresenterebbe un’appendice, un’aggiunta apocrifa e
cronologicamente posteriore
ISTITUZIONI DI GAIO
Il ricorso alla memoria delle XII tavole è d’altra parte riferimento consueto
e diffuso della mentalità romana, come testimoniano:
 sia in età più antica le fonti annalistiche, in particolare, Tito Livio
 sia, da ultimo, la Compilazione di Giustiniano che, ancora nel VI d.C.,
individua nella prima produzione scritta il punto di partenza e la forma di
autorevolezza che anima le motivazioni dei giuristi di età tardoantica, i
quali, sebbene consapevoli della crescita e dell’evoluzione degli istituti, non
avrebbero rinunciato ancora al vantaggio di richiamare una tradizione
scientifica più che millenaria iniziata, appunto, con le duodecim
tabularum leges
ISTITUZIONI DI GAIO
Parte della romanistica, al contrario, ritiene plausibile la
previsione del disposto contenuto nella legislazione
decemvirale e, più in generale, autentico e privo di alterazioni
il passo del giurista:
 Gaio avrebbe richiamato una norma di epoca regia e fatto
uso del vocabolo veteres impiegandolo nel significato
esteso di maiores o antiqui
ISTITUZIONI DI GAIO
La levitas animi della donna ‘imponeva’ il controllo maschile e il
fatto che essa, proprio per la debolezza dell’indole, dovesse essere
subordinata all’uomo, che possiede invece la firmitas animi
Le matrone, nel corso dei secoli, matureranno alcuni diritti in
campo giuridico e patrimoniale, ma senza possibilità di influire
direttamente sul funzionamento dello Stato e delle sue strutture
istituzionali: il ruolo pubblico è prerogativa maschile ed
emanazione del patriarcato
ISTITUZIONI DI GAIO
 La piena capacità di agire apparteneva, quindi, ai cittadini romani sui iuris,
maschi a partire dai 25 anni d’età
 il soggetto di sesso femminile, sebbene sui iuris, era invece sottomesso per
l’intera durata della vita a forme di tutela: le donne impuberi sottoposte alla
tutela impuberum; quelle che raggiungevano la pubertà erano
assoggettate alla tutela mulierum e sino alla morte
 L’ordo matronum era comunque una classe privilegiata rispetto alle donne
nella loro generalità
 La matrona era destinata al matrimonio procreandorum liberorum
causa, la sua sessualità era confinata all’ambito familiare
 La parola femminile nel foro e in pubblico era contraria ai mos maiorum
ISTITUZIONI DI GAIO
 La conseguenza era che le donne avrebbero potuto amministrare il proprio
patrimonio
 Tuttavia, per gli atti considerati straordinari (per esempio: l’alienazione di
res mancipi; gli atti per aes et libram; la costituzione di obbligazioni; la
remissione di debiti; la manomissione degli schiavi; il consenso alla libertà
di vivere in contubernio con un servo alieno e con l’effetto di divenire
schiava giusto senatusconsultum Claudianum; nonché in ambito processuale,
per iudicium legitimum) era necessaria quell’autorizzazione, ossia l’auctoritas,
da parte del tutore
 Senza il necessario intervento di quest’ultimo, avrebbero potuto solo
alienare res nec mancipi e formalizzare atti di incremento del patrimonio
ISTITUZIONI DI GAIO
Augusto
 L’imperatore è un restauratore dei mos maiorum che riaffermano i ruoli di
genere
 Lo stesso Augusto, tuttavia, sottolineava che la donna fosse solidale con il
marito, riconoscendone l’autorevolezza e sottomettendosi a esso
 Non può delinearsi, pertanto, alcuna parificazione all’interno della famiglia,
ove la dimensione femminile è scandita da:
 castità
 lavoro al telaio
 modestia
ISTITUZIONI DI GAIO
L’intervento femminile nella vita pubblica era limitato alla gestione del
sacro, attraverso i pubblici sacerdozi, unico àmbito in cui poteva
infrangere il monolite sessista e patriarcale
 Di qui il privilegio delle Vestali di disporre per testamento dei propri beni,
mentre alle donne romane non era permessa neanche la ricezione ereditaria
 Sembrano precisare le XII tavole che le donne potessero entrare in
possesso di beni paterni come i figli maschi, ma non attraverso lo
strumento giuridico del testamento, bensì ab intestato in qualità di heredes
suae: figlie, nipoti in linea maschile e mogli in manu (loco filiae del marito o
del pater familias di questi in caso di coniuge alieni iuris)
 Solo nel tempo avrebbero acquisito la capacità testamentaria, attraverso il
testamento per aes et libram
ISTITUZIONI DI GAIO
Secondo parte della dottrina, diversamente, in origine sarebbero stati sui
heredes soltanto i soggetti di sesso maschile e il pater familias avrebbe
confezionato il testamento nel caso di assenza di eredi maschi e per scegliere,
al di fuori del nucleo familiare, un erede dello stesso sesso
La capacità successoria ab intestato della donna potrebbe, al contrario, farsi
risalire probabilmente alla prima metà del III secolo a.C., in concomitanza con
la diffusione dell’usurpatio trinoctii, mentre quella testamentaria sarebbe da
collocarsi fra la seconda metà del III e la prima metà del II secolo a.C.
Nel I secolo d.C., quindi, i diritti e le prerogative delle donne sarebbero stati
limitati a:
 ereditare beni paterni o beni coniugali
 ereditare in via collaterale solo in presenza del vincolo di consanguineità
 testare soltanto in via indiretta
ISTITUZIONI DI GAIO
La donna, con le acquisite capacità successorie e in presenza di un
matrimonio sine manu, finì con l’ottenere crescente autonomia e graduale
riconoscimento di diritti, con conseguente idoneità alla gestione del proprio
patrimonio
Sebbene emancipata e affrancata dalla manus maritalis, era comunque ancora
costretta – in assenza di un parente maschio che eserciti il suo potere in
qualità di tutore legittimo – a soggiacere alla tutela dativa che trova la propria
ratio nella di lei infirmitas sexus e levitas animi
I giuristi della prima età imperiale e quelli di età severiana quali Papiniano,
confermavano che, in molteplici disposizioni della legislazione romana, la
condizione della donna fosse certamente inferiore a quella dell’uomo
ISTITUZIONI DI GAIO
Pur titolare della capacità giuridica, la donna non aveva però quella d’agire
e di disporre del proprio patrimonio: nonostante fosse sui iuris non avrebbe
potuto compiere atti giuridici rilevanti per il diritto o formalizzare negozi che
presupponessero la piena capacità di intendere e volere
 Ancora nel II secolo d.C., quindi, la donna fu sottoposta a tutela con la
conseguenza che, raggiunta l’età di 12 anni e uscita dalla tutela impuberum,
sarebbe entrata sotto tutela mulierum per l’intera durata della propria
esistenza e salvo, dall’età augustea, quanto sancito dalla Legge Giulia e
Papia Poppea in merito al diritto di prole: ius liberorum
 L’imperatore Claudio, abolita la tutela legittima, cioè quella familiare,
restrinse la tutela medesima a pura e semplice forma
ISTITUZIONI DI GAIO
La Vestale è comunque una figura sui generis: la sua specificità stimola un
ampliamento del campo di indagine, non solo per quanto riguarda il
complesso rapporto tra romani e divinità nonché le peculiarità della romanità
stessa, ma anche per quel che attiene alla proiezione di questa particolare
sacerdotessa nel comparto sociale di cui è espressione, come medium tra vita
reale e vita trascendentale
In tale ottica, occorre ampliare la prospettiva circa la verità o falsità che il
privilegio delle sacerdotesse di ricevere e disporre mortis causa fosse contenuto
in un disposto regio o nelle duodecim tabularum leges
Poiché la circostanza è ritenuta credibile alla fine del II secolo a.C. e viene
riportata come dato fattuale nel II secolo d.C., la questione dovrebbe essere
posta più correttamente al di là del dato reale e dell’arco temporale
ISTITUZIONI DI GAIO
È opportuno, infatti, non arrestarsi di fronte al dato cronologico e alla sua
certezza, andando invece ad indagare nella ratio stessa della specialità – e
quindi dell’eccezionalità – accordata alla figura della Vestale
Che il provvedimento normativo sia stato realmente adottato da Numa
Pompilio e poi riportato nella legislazione decemvirale diviene questione
secondaria rispetto alla sua effettiva e concreta conciliabilità con il sistema
istituzionale romano e con la coscienza del tempo, che nella generalità esclude
per le donne ciò che invece è concesso alle sacerdotesse
 La transizione tra paganesimo e cristianesimo avviene, da ultimo, in
maniera quasi impercettibile, perché la forma cambia solo in misura limitata
 La sostanza è che la donna religiosa ha uno status che la pone al di fuori della
considerazione generale e astratta dell’universo femminile
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