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La religione musulmana è la seconda per numero di fedeli. Fondata da Maometto all’inizio del VII secolo, si è diffusa
verso la Penisola Arabica andando poi verso l’Africa settentrionale e sahariana e verso molte zone dell’Asia ma anche in
Turchia e in alcuni stati balcanici. Subito dopo la morte di Maometto, l’Islam si è diviso in due grandi gruppi:
Poi vi sono alcune sette come quella dei wahhabiti, presente soprattutto nell’Arabia Saudita, che si propongono di
ripristinare “la purezza dell’antico Islam” attraverso l’osservanza del Corano e di alcune norme obbligatorie come la
preghiera pubblica e l’elargizione di elemosine.
Il Wahhabismo è un movimento di riforma religiosa, sviluppatosi in seno alla
comunità islamica sunnita, fondato da Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb (alʿUyayna,Najd, 1703 - Dirʿiyya, pressi di Riyāḍ, 1792), un Arabo della tribù sedentaria
dei Banū Tamīm.
Definito nelle maniere più diverse - "ortodosso", "ultraconservatore", "austero" - per
oltre due secoli il Wahhabismo è stato il credo dominante nella Penisola Arabica e
dell'attuale Arabia Saudita. Esso costituisce una forma estremamente rigida di Islam
sunnita, che insiste su un'interpretazione letteralista del Corano. I wahhabiti credono
che tutti coloro che non praticano l'Islam secondo le modalità da essi indicate
siano pagani e nemici dell'Islam. I suoi critici affermano però che la rigidità wahhabita
ha portato a un'interpretazione quanto mai erronea e distorta dell'Islam, ricordando
come dalla loro linea di pensiero siano scaturiti personaggi come Osama bin Laden e
i Ṭālebān. L'esplosiva crescita del Wahhabismo ha avuto inizio negli anni
settanta del XX secolo, con l'insorgere di scuole (madrasa) e moschee wahhabite in
tutto il mondo islamico, da Islamabad a Culver City (California).
Nel secondo decennio del XXI secolo, la maggioranza dei wahhabiti si trova
in Qatar, negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita.
In Qatar i wahhabiti costituiscono il 46,87% dei fedeli e negli EAU il 44,8%,
a fronte dell'appena 5,7% degli abitanti del Bahrein e del 2,7% dei cittadini
del Kuwait. Le stime sono tuttavia soggette a una qualche variazione, tanto
che Michael Izady parla di 5 milioni di wahhabiti nella regione del Golfo
Persico (a fronte dei 28,5 milioni di sunniti non wahhabiti e degli 89 milioni
di sciiti), mentre altre fonti forniscono cifre minori per lo sciismo, senza
indicare tuttavia il numero di wahhabiti.
Il 15% dei cittadini sauditi è sciita, come indicato dal sito Saudi Arabia's
Shia press for rights, dal Council on Foreign Relations e da Vali Nasr.
Di formazione giuridica e teologica neo-hanbalita, particolarmente influenzato dalla dottrina espressa da Ibn Taymiyya (ma del tutto erroneo e fuorviante sarebbe prospettare
un'equivalenza fra hanbalismo e wahhabismo), Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb si recò da giovane dalla nativa regione del Najd (attuale Arabia Saudita) a Medina, Basra, Baghdad,
in Iran, e al Cairo e, tornato infine nella penisola araba, si stabilì nell'oasi di al-ʿUyayna dove entrò in contatto amichevole con l'emiro Muḥammad b. Saʿūd, fondatore della Casa di
Āl Saʿūd.
Spostatosi a Dirʿiyya, egli guadagnò alla sua visione del mondo il figlio dell'Emiro e nel 1744 Ibn ʿAbd al-Wahhāb e Muḥammad b. Saʿūd si giurarono fedeltà reciproca, con l'intento
di realizzare una comune azione per il rinnovamento dei costumi che entrambi giudicavano eccessivamente rilassati.
L'alleanza fra il leader religioso e il signore della città fu la pietra angolare di quello che sarebbe divenuto, molto tempo dopo, il regno saudita. Ma fu anche la ragione della
diffidenza che la Wahhābiyya suscitò nell'Impero Ottomano. Infatti, il Sultano di Costantinopoli chiese a Mehmet Ali, governatore dell'Egitto, di eliminare i wahhabiti, allorché
i Saʿūd si impadronirono nel 1801 della città santa sciita irachena di Kerbelaʾ - in cui aveva trovato la morte nel 680 il nipote di Maometto, al-Ḥusayn b. ʿAlī - e delle città sante
di Mecca e Medina (1803-1806), con una serie di pesanti azioni di guerriglia che - senza decisivi risultati - furono contrastate col massimo dell'impegno dai vari khedivè egiziani
che avevano la "tutela" dei Luoghi Santi del Ḥijāz.
Muḥammad ʿAlī Pascià nominò suo figlio Aḥmad Ṭūsūn Pascià (1793-1816), di appena 17 anni, generale comandante di quella campagna militare. Essa si mosse dal porto di Suez il 3
settembre 1811 e s'impadronì facilmente del porto arabo di Yanbuʿ in quell'anno stesso e di Medina nel 1812) e della Mecca nel 1813.
La campagna militare ebbe quindi pieno successo, ma i seguaci dell'Āl Saʿūd, dopo la partenza degli egiziani, riuscirono a ricostituire uno Stato fortemente caratterizzato dalla religione
islamica, così come essi la interpretavano.
Una seconda spedizione si mosse tra il 1813 e il 1815. Durante questa campagna, Muḥammad ʿAlī Pascià compì il pellegrinaggio (Hajj) e supervisionò le operazioni militari condotte dal
figlio Ṭūsūn. Il terzo Imam saudita, Saʿūd b. ʿAbd al-ʿAzīz b. Muḥammad fu ucciso sotto le mura di Ṭāʾif nel dicembre 1814 e il potere passò nelle mani dello zio ʿAbd Allāh, dal momento
che nessuno dei dodici figli di Saʿūd b. ʿAbd al-ʿAzīz si trovava nelle condizioni di età di succedere al padre. I wahhabiti non poterono resistere all'offensiva egiziana e furono sconfitti a
Kulakh il 10 gennaio 1815. Il quarto Imam ʿAbd Allāh b. Saʿūd depose le armi e dovette accettare un trattato umiliante, ma riuscì a conservare il Najd e la sua capitale di Dirʿiyya.
Una terza spedizione egiziana fu inviata in Arabia nel 1816, comandata da Ibrahim Pascià, altro figlio (forse adottivo) del Khedive. Dopo una campagna assai difficile, l'esercito egiziano
distrusse la capitale Dirʿiyya il 3 settembre 1818. Esso catturò l'Imam Sulaymān, nipote di Muhammad ibn Abd al-Wahhab, che fu fucilato, e ʿAbd Allāh b. Saʿūd, che fu inviato al Sultano
ottomano Mahmud II. Questi lo fece decapitare ed espose il suo cadavere sulla piazza pubblica a Istanbul. Ma certi membri della famiglia di Saʿūd riuscirono a fuggire verso altre regioni
della Penisola Arabica.
L'Imam Turki ibn ʿAbd Allāh b. Saʿūd riuscì a dar vita nel 1824 al secondo Stato wahhabita, con Riyad per capitale. La famiglia rivale degli Āl Rashīd approfittò delle lotte intestine in seno
all'Āl Saʿūd per mettere fine a questo secondo Stato e impadronirsi del potere a Riyad, questa volta con l'aiuto dei Turchi ottomani nel 1892. L'Impero britannico, che sperava di vedere
l'uscita dell'Impero ottomano dall'Arabia, strumentalizzò il Wahhabismo ai suoi fini geopolitici. Garantì un forte appoggio a questo movimento nella sua opera di conquista della regione araba
e aiutò il Wahhabismo ad espandersi colà. Nel 1902, ʿAbd al-ʿAzīz b. ʿAbd al-Raḥmān b. Fayṣal Āl Saʿūd, dell'antica famiglia regnante rifugiatasi in Kuwait, riconquistò Riyad, poi l'intero Najd
tra il 1902 e il 1912, prima di mettere le mani sul Hijaz e di prendere il controllo della Mecca il 14 ottobre 1924, di Medina il 5 dicembre dello stesso anno, di Jedda il 23 dicembre 1925 per
dar finalmente vita al regno del Ḥijāz il 29 agosto 1926 e quello del Najd nel maggio del 1927, che egli infine riunì il 22 settembre 1932 nel terzo Stato saudita: il Regno dell'Arabia Saudita.
Il nuovo Stato adottò il Wahhabismo come dottrina ufficiale, giustificando agli occhi del mondo islamico la sua legittimità con il possesso e il controllo dei due più importanti luoghi santi
dell'Islam: La Mecca e Medina. Ma la sua influenza non sarebbe stata così duratura se il suo sottosuolo non avesse mostrato una straordinaria ricchezza di idrocarburi.
Agli inizi la Wahhābiyya era soltanto uno dei tanti tentativi di ritorno alla pretesa purezza e al rigore delle origini dell'Islam.
L'insegnamento del suo iniziatore era fondato sull'unicità di Dio (tawḥīd), sull'osservanza rigorosa del Corano e sulla severa
condanna di alcune secolari consuetudini religiose (visita ai sepolcri di personaggi famosi, per esempio) che furono giudicate
dai wahhabiti come contrarie al credo islamico e potenzialmente produttive di superstizione e d'idolatria.
Rigorosamente ostile a ogni interpretazione personale (raʾy) dei giurisperiti musulmani, il wahhabismo (come ogni movimento
neo-hanbalita) guarda con sospetto anche le pratiche del sufismo ed è a favore di una lettura essoterica della sharīʿa,
seguendo la dottrina del "bi-lā kayfa".
Il Wahhabismo è stato accusato di costituire "una fonte di terrorismo globale", e di aver provocato disunione nella comunità
islamica, bollando i musulmani non wahhabiti (la maggioranza schiacciante dei sunniti e gli sciiti) di apostasia (takfīr), aprendo
così la strada per il loro "versamento di sangue".
Il Wahhabismo è stato criticato per la distruzione di siti storici, santuari e mausolei, e altre costruzioni islamiche e non islamiche
e dei loro manufatti. I "confini" di ciò che compone il Wahhabismo sono stati definiti "difficili da individuare", ma nell'uso
contemporaneo, i termini Wahhabi e Salafi sono spesso usati in modo intercambiabile, e considerati come movimenti con radici
diverse che si sono tuttavia fuse dal 1960 in poi. Il Wahhabismo è stato definito anche come "un particolare orientamento
all'interno del Salafismo", o una branca saudita ultra-conservatrice del Salafismo.
Benché fortemente mediatizzato, il pensiero wahhabita resta fortemente minoritario e differisce o addirittura si contrappone
alla maggior parte delle altre dottrine islamiche: esso mira particolarmente a una pratica religiosa puramente ritualista, basata
su un taqlid e un Ijtihad fortemente orientati in senso letteralistico, e che pone in secondo piano alcuni aspetti
della giurisprudenza islamica, così come essa è venuta stratificandosi da secoli. I wahhabiti respingono tutte le altre correnti
dell'Islam che non seguano scrupolosamente e acriticamente i loro dogmi, biasimandole come eretiche. Gli sciiti e i sufi non
sono considerati dal Wahhabismo veri "credenti“.
Il sunnismo è la corrente maggioritaria dell'Islam,
comprendendo circa il 90% dell'intero mondo islamico.
Essa riconosce la validità della Sunna e si ritiene erede
della giusta interpretazione del Corano.
SCIITI
SCIISMO
Gli sciiti devono il loro nome all'espressione "shīʿat ʿAlī", sovente abbreviata semplicemente in "Shīʿa". Hanno cominciato il
loro lento cammino di differenziazione da quello che, sotto Ahmad ibn Hanbal, diventerà il Sunnismo per motivi al contempo
politici e spirituali. L'occasione fu offerta dall'assassinio perpetrato dalle forze califfali omayyadi ai danni di al-Ḥusayn b. ʿAlī,
figlio di ʿAlī b. Abī Ṭālib, avvenuto nel 680 a Karbalāʾ, in Iraq. In quell'occasione si pose con forza la questione-cardine
dell'Imamato: se cioè ammettere che alla suprema carica islamica potesse accedere un qualsiasi credente, oppure riservare il
posto di Califfo/Imam a un appartenente alla cerchia ristretta dei Compagni del Profeta e - con l'inevitabile trascorrere del
tempo - riservarlo a un appartenente al lignaggio di Maometto. Un ambigramma con i nomi di ʿAlì e di Muḥammad. Gli alidi si
cominciarono a differenziare dal resto della Umma, dal momento che considerarono 'Ali unica guida legittimata a governare
l'Ahl al-Bayt, mentre il resto dei musulmani ritenne che qualsiasi fedele di buona capacità religiosa, non necessariamente
discendente del Profeta, anche se preferibilmente appartenente alla sua tribù - i Coreisciti -, potesse guidare a pieno titolo la
Comunità islamica. Col tempo gli alidi misero per scritto le loro riflessioni teologiche e politologiche, evolvendo verso quello
che diventerà il vero e proprio Islam sciita. Da quanti si potranno di lì a poco legittimamente chiamare "sunniti", gli sciiti
presero a differenziarsi anche a proposito di alcuni altri istituti giuridici, ammettendo, ad esempio, la legittimità del
matrimonio a tempo prefissato, detto mutʿa, sulla scorta di precisi ḥadīth del Profeta, negando che Maometto avesse posto
fine a una tal pratica preislamica al ritorno dalla conquista di Khaybar.Secondo alcuni studiosi sunniti, una parte dell'Islam
sciita penserebbe che dal Corano - raccolto all'epoca del califfo ʿUthmān b. ʿAffān - siano stati espunti alcuni passaggi e una
sura intera che attestavano la designazione a succedergli, fatta da Maometto in favore di ʿAlī. Questa affermazione è
decisamente respinta dagli attuali sciiti che ribadiscono invece che nello Sciismo nessuno avrebbe mai affermato
l'incompletezza del Testo Sacro islamico. Nel suo Uṣūl al-Kāfī, Muḥammad b. Yaʿqūb al-Kulaynī, o Kulīnī, affermò peraltro
sull'autorità di Jābir:
MONOTEISMO E GIUSTIZIA
L'Islam sciita riconosce, come tutte le altre scuole islamiche, l’Unità Divina e il
testo sacro del Corano. Esso considera che il Corano abbia un senso evidente
ed uno nascosto, senza comunque che il secondo annulli o pregiudichi il
primo, e che il testo sacro vada studiato anche esotericamente. Gli Imām sono
gli incaricati di insegnare ai fedeli più ricettivi questa gnosi. I musulmani sciiti
affermano che Dio è giusto e che non agisce mai ingiustamente. Di
conseguenza ricompensa coloro che credono e compiono buone opere e
punisce i malfattori. Per l'affermazione di tale principio l'uomo deve essere
libero nella scelta delle proprie azioni ed è per questo che gli è stato conferito il
libero arbitrio. Punto questo di potenziale discussione con quanto sostenuto
dal sunnismo, che ritiene Dio unico Creatore, e quindi anche degli atti
dell'uomo
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