Cos’è la genetica?
Mendel
A cura di
Riccardo
Valeri
Classe 3 E
a.s.2007-08
Gli ogm
Il dna
I cromosomi
Esci
IL DNA
La genetica, è la scienza che studia i geni,
l'ereditarietà e la variabilità genetica degli
organismi. Il campo di studio della genetica
si focalizza dunque sulla comprensione dei
meccanismi alla base di questi fenomeni,
noti sin dall'antichità ma non spiegati fino al
XIX secolo, grazie ai lavori pionieristici di
Gregor Mendel, considerato per questo il
padre della genetica. Egli infatti per primo,
pur non sapendo dell'esistenza dei
cromosomi e della meiosi, attribuì ai
'caratteri', ereditati in modo indipendente dai
genitori, la proprietà di determinare il
fenotipo dell'individuo.
Mendel
Johann Mendel nacque in una famiglia di lingua
tedesca a Heinzendorf, in Slesia; fu battezzato due
giorni dopo, il 22 luglio. Durante la sua infanzia lavorò
come giardiniere, e frequentò l'Istituto Filosofico di
Olmütz. Nel 1843 entrò nell'abbazia agostiniana di San
Tommaso a Brünn, ed assunse il nome Gregor al suo
ingresso nella vita monastica. Nel 1851 fu inviato
all'Università di Vienna per studiare, e tornò
nell'abbazia come professore, principalmente di fisica,
nel 1853.
Gregor Mendel, oggi conosciuto un po' impropriamente
come "padre della genetica moderna" coltivò e analizzò
circa 28.000 piante di piselli; i suoi esperimenti
portarono a due generalizzazioni che divennero in
seguito famose come Leggi dell'Ereditarietà di Mendel.
Le leggi dell’ereditarietà di mendel
Legge della dominanza (o legge della omogeneità di fenotipo): incrociando due
individui che differiscono per un solo carattere puro si ottengono individui in cui
si manifesta solo uno dei due caratteri (detto dominante) mentre l'altro (detto
recessivo) rimane latente. Questo significa che, in ogni caso, nella generazione
successiva uno dei caratteri antagonisti non si manifesta mai nel fenotipo.
Legge della segregazione (o legge della disgiunzione): incrociando tra loro due
individui della prima generazione si ottiene una progenie in cui i caratteri
parentali si manifestano secondo questi rapporti: un quarto dei discendenti
presenta il carattere di un progenitore; un quarto quello dell'altro, e la restante
metà è costituita da ibridi.
Legge di indipendenza dei caratteri: in un incrocio, prendendo in considerazione
due coppie di caratteri alla volta, ad esempio incrociando piselli a semi gialli e
lisci con altri a semi verdi e grinzosi, si ottiene una prima generazione costituita
interamente da piselli gialli e lisci, essendo questi caratteri dominanti.
Incrociando poi tra loro questi individui si ottiene una seconda generazione
costituita da 9/16 di piselli gialli e lisci, 3/16 di piselli gialli e grinzosi, 3/16 di
piselli verdi e lisci, 1/16 di piselli verdi e grinzosi. Questa legge è perfettamente
valida per geni di cromosomi differenti mentre è solo in parte verificata per i geni
dello stesso cromosoma.
L'acido desossiribonucleico o deossiribonucleico (DNA) è un
acido nucleico che contiene le informazioni genetiche necessarie
per lo sviluppo ed il funzionamento di quasi tutti gli organismi
viventi conosciuti. Il ruolo principale delle molecole di DNA è la
conservazione a lungo termine dell'informazione genetica
necessaria alla costituzione delle molecole fondamentali per la
cellula: l'RNA e le proteine. I segmenti di DNA che contengono
informazioni genetiche per la sequenza dei polipeptidi sono detti
geni strutturali, ma anche le regioni non codificanti possono
ricoprire ruoli fondamentali, ad esempio regolatori. Negli
eucarioti, il DNA si dispone all'interno del nucleo in strutture
chiamate cromosomi. Negli altri organismi, privi di nucleo, esso
può essere organizzato in cromosomi o meno. All'interno dei
cromosomi, le proteine della cromatina (come gli istoni)
permettono di compattare e controllare la trascrizione dei geni.
Organismi transgenici Organismi geneticamente modificati (OGM), ossia
organismi caratterizzati da un patrimonio genetico (genoma) alterato rispetto a
quello tipico della propria specie, per l’introduzione artificiale di uno o più geni
provenienti da altri organismi.
Impieghi degli ogm
Cenni storici
Produzione degli ogm
Mais transgenico
Dal confronto tra le pannocchie di una varietà di mais normale (a sinistra) e una mutata geneticamente (a destra), è evidente come
quest'ultima sia maggiormente produttiva, per dimensioni e numero di cariossidi. La modificazione genetica del mais, così come di
altri organismi, sembra però offrire vantaggi e svantaggi, e suscita interrogativi. Un esempio dei pro e contro dell'uso di OGM è
offerto da una varietà di mais denominata "Bt" che possiede il gene cry1Ab: questo presiede alla sintesi della proteina Bt, dotata di
proprietà insetticide e già in forma attiva. La molecola è analoga a quella elaborata dal batterio Bacillus thuringiensis che, a
differenza del vegetale, produce la tossina nella sua forma di precursore inattivo. Dato che preparati a base di B. thuringiensis sono
utilizzati con successo nell'agricoltura biologica, risultando utili per debellare le larve del lepidottero parassita del mais, ma sono di
costo elevato, l'idea di disporre di una pianta capace di secernere la tossina e di difendersi da sola è stimolante. La tossina è
presente nelle cariossidi, sulla superficie del polline e sulla superficie delle foglie. È però capace di trasferirsi al terreno, in cui
persiste per molti mesi, legandosi alle argille. In studi di laboratorio, si è riscontrata la morte di larve di farfalla monarca che erano
state nutrite con la linfa di Asclepias curasavica, dopo avere precedentemente contaminato questa pianta con il polline del mais Bt.
Pianta di pioppo geneticamente modificata
Nel 1995, il biologo George Coupland del John Innes Centre di Norwich condusse
esperimenti di modificazione genetica su piante di pioppo, introducendovi geni prelevati
da una piccola erbacea, Arabidopsis thaliana. L'inserimento di uno dei geni della fioritura
di questa erbacea in plantule di pioppo ne induceva la fioritura dopo soli sei mesi dalla
germinazione. In condizioni normali, la maturazione degli organi riproduttivi si ha intorno
agli otto anni, quando il fusto raggiunge un'altezza di circa nove metri. A sinistra, una
pianta di pioppo alla stato selvatico; a destra, una pianta geneticamente modificata.
Topi transgenici
I primi mammiferi geneticamente modificati, ottenuti nel 1987 dalla Integrated
Genetics di Frampton, Massachusetts, furono topi nei quali era stato introdotto
un gene per la produzione di una sostanza anticoagulante (TPA), che poteva
essere isolata dal latte e impiegata nella terapia umana post-infarto. Nel 1988 il
Patent and Trademark Office (PTO) statunitense concesse alla Harvard
University il brevetto per un ceppo di "oncotopi", in cui era stato inserito
l'oncogene C-MyC e destinati alla ricerca sul cancro della mammella. In seguito
sono stati creati numerosi altri tipi di topi OGM, tra i quali quelli portatori di un
sistema immunitario di tipo umano e impiegati in studi sulla leucemia, sull'epatite
e sull'AIDS. Nel 1992 furono prodotti anche topi knock-out, nei quali specifici
geni vengono inattivati per riprodurre errori genetici tipici di alcune patologie
umane, come la mucoviscidosi.
Nella ricerca biologica e genetica, l’impiego di organismi transgenici è rilevante
nell’ambito degli studi sulla funzione di geni specifici; infatti, l’immissione di un gene
estraneo in un organismo determina l’insorgenza in questo di particolari
caratteristiche (come la resistenza a un erbicida o la capacità di sintetizzare una
data proteina) che, confrontate con quelle degli individui della stessa specie,
permettono la comprensione del ruolo di quel gene.
A scopo di ricerca, sono impiegati anche particolari tipi di organismi transgenici, i
cosiddetti knock-out, in cui un gene dell’organismo viene eliminato o inattivato;
alcuni topi così modificati, ad esempio, sono stati utilizzati per studiare il ruolo
funzionale di alcuni geni specifici nello sviluppo embrionale. Disattivando in animali
da laboratorio il gene corrispondente a un gene non funzionale nei pazienti affetti
da una particolare malattia, si possono creare modelli utili a fini diagnostici e
terapeutici.
I primi organismi transgenici ottenuti furono batteri; la tecnica fu estesa quindi a colture in vitro di cellule di mammiferi, molte
delle quali, però, non riuscivano a sopravvivere per lunghi periodi di tempo. Il passo successivo fu quello di inoculare geni
estranei entro embrioni, in modo da ottenere interi organismi transgenici. Il primo successo fu quello dei biologi statunitensi
Ralph L. Brinster e Richard Palmiter che, nel 1982, introdussero il gene dell’ormone della crescita prelevato da un ratto in
embrioni di topo, e ottennero topi di dimensioni analoghe a quelle dei ratti, denominati super-topi.
La crescente sperimentazione sugli organismi transgenici e la conseguente necessità di una regolamentazione ha portato a
una prima Direttiva della CEE (90/220), recepita con il Decreto Legislativo 92/93, e al Regolamento CEE del 27/1/97
(97/258). In tali normative, in particolare, si evidenzia come, per garantire la sicurezza dei prodotti alimentari derivanti da
OGM, vi sia l’obbligo di preparare il prodotto stesso seguendo le procedure industriali e gli adempimenti tecnico-burocratici
codificati, di effettuare il confezionamento e l’etichettatura in modo che siano chiaramente indicati gli ingredienti derivanti da
OGM (quali mais o soia transgenici), le caratteristiche del prodotto che possono avere effetti sulla salute e le tecniche
impiegate per ottenerlo, se il nuovo alimento ha caratteristiche tali da non essere più equivalente a quello esistente.
Recenti disposizioni sono quelle contenute nella “Direttiva sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche”,
approvata dal Parlamento europeo il 22/5/98, in base alla quale viene autorizzata la possibilità di brevettare organismi, parti
di essi o singoli geni; tale normativa ha però suscitato vivaci polemiche in diversi ambiti, politici e sociali, nella comunità
scientifica, in gruppi di tutela dei consumatori, in alcune associazioni mediche, ecologiste e antivivisezioniste, e altri. La
materia, dunque, appare ancora controversa da un punto di vista giuridico, e dovrà essere ulteriormente regolamentata e
precisata.
Per ottenere organismi transgenici si utilizzano le tecniche dell’ingegneria genetica. Il
frammento di DNA in cui si trova il gene da inserire viene iniettato in una cellula
batterica, o in una cellula uovo (che verrà successivamente fecondata) o in un
embrione. Per potere essere attivo, il frammento di DNA deve essere associato a un
vettore d’espressione, ossia a un’altra porzione di DNA specifica che controlla le
modalità di espressione del gene da trasferire; ad esempio, esso permette che il gene si
esprima (cioè svolga la propria attività) soltanto in determinati tessuti. Il DNA estraneo
viene inoculato per microiniezione nella cellula ricevente; dopo l’inoculazione, il nuovo
gene si integra con il DNA di questa, e può di conseguenza venire trasmesso a tutte le
cellule che derivano per successive mitosi dalla cellula ricevente.
Nel caso si utilizzino embrioni, i frammenti di DNA contenenti i geni possono essere
anche inseriti tramite un virus-vettore, ossia tramite un virus infettivo nel quale, a sua
volta, è stato inoculato il frammento di DNA. Si calcola che la percentuale di successo di
questa tecnica, che si traduce con il numero di organismi transgenici vitali e nei quali i
geni estranei sono funzionanti, sia dell’1%. Il controllo dell’avvenuta integrazione del
gene nel patrimonio genetico dell’organismo ricevente può essere fatto prelevando da
alcune cellule transgeniche campioni di DNA ed esaminandoli, in genere mediante la
tecnica nota come reazione a catena della polimerasi (PCR).
I cromosomi sono presenti nei procarioti e negli eucarioti; nei primi è presente un solo
cromosoma circolare; negli eucarioti, ve ne sono in numero variabile e caratteristico della
specie. Tale numero è detto corredo cromosomico. Ad esempio, nella specie umana il corredo
cromosomico caratteristico è pari a 46. Ciascuno di questi elementi comprende solo un tratto
dell’intero DNA dell’individuo e, quindi, è caratterizzato da una determinata sequenza di geni.
Negli organismi detti aploidi è presente una sola copia di ogni cromosoma; negli
organismi diploidi sono presenti due copie per ciascun tipo di cromosoma, che
prendono il nome di cromosomi omologhi. Nella specie umana, pertanto, i 46
cromosomi corrispondono a 23 coppie. Sui cromosomi omologhi si trovano coppie di
alleli, ossia di geni che controllano uno stesso carattere, posti ognuno su ciascun
cromosoma, nello stesso locus, ossia nella stessa posizione. In realtà, nei diploidi il
numero di cromosomi corrispondente a quello tipico della specie si trova nelle cellule
somatiche, cioè in tutte le cellule del corpo, ma non nelle cellule riproduttive, o
gameti, che si formano per meiosi e risultano aploidi. I gameti, dunque, ricevono
solo una copia di ciascuna coppia di cromosomi.
Cromosoma
Un cromosoma è una struttura filiforme visibile durante il processo di divisione cellulare che, composta da una lunga
molecola di acido nucleico, contiene le informazioni genetiche relative a migliaia di caratteri. In questa immagine si
distinguono le bande orizzontali di un cromosoma estratto dalle cellule delle ghiandole salivari di un moscerino della frutta
Drosophila melanogaster. Pur non essendone noto l'esatto significato, la specificità di questa segmentazione offre un
valido metodo identificativo dei diversi cromosomi.
London Scientific Films/Oxford Scientific Films
Cromosoma In genetica, struttura a forma di bastoncello composta di DNA e di specifiche proteine basiche (dette istoni),
contenente i geni, ossia le unità che controllano i diversi caratteri ereditari. I cromosomi possono essere visualizzati nelle
cellule solo durante i processi di divisione cellulare (mitosi e meiosi); infatti, quando le cellule sono in una fase di normale
attività metabolica, i cromosomi formano un ammasso di DNA e proteine di aspetto granuloso, detto cromatina, visibile
nel nucleo delle cellule eucarioti.
Il cariotipo è l'insieme delle caratteristiche dei cromosomi presenti in una cellula; in pratica, è costituito da un vetrino in vetro o
plastica in cui i cromosomi appaiono disposti in ordine decrescente e secondo una precisa sequenza. Tale preparato risulta
deperibile e viene quindi fotografato per l'archiviazione. I cromosomi utilizzati provengono da cellule in divisione (mitosi), trattate con
sostanze capaci di bloccare il processo allo stadio di metafase; in questo modo, sono ben riconoscibili le coppie di cromosomi
omologhi, ciascuno dei quali si presenta in forma di tetrade, cioè a X. La sequenza con cui vengono ordinate le coppie di omologhi
tiene conto della loro lunghezza e della posizione del centromero, cioè della strozzatura localizzata più o meno al centro. Il cariotipo
illustrato è di un essere umano, come si desume dal numero delle coppie di cromosomi, 23, tipico della nostra specie. Comprende 22
coppie di autosomi e una, la 23a, di cromosomi sessuali che in questo caso, essendo di tipo X e Y, identificano il cariotipo come
appartenente a un soggetto di sesso maschile. Le strie orizzontali visibili su ciascun cromosoma vengono dette "bandeggiature" e,
messe in rilievo con speciali colorazioni, permettono di evidenziare eventuali mutazioni e anomalie strutturali nel DNA che costituisce
i cromosomi. L'esame del cariotipo rappresenta un importante strumento di diagnosi prenatale.
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La descrizione del tipo di cromosomi presenti in un individuo prende il nome di cariotipo. La valutazione di questa caratteristica risulta
di grande importanza nelle indagini prenatali; mediante un prelievo di cellule fetali, effettuato per amniocentesi o tramite esame dei
villi coriali, è possibile ottenere una sorta di scheda dei cromosomi del feto, e verificarne eventuali anomalie strutturali o quantitative.
Ad esempio, se al posto della coppia di cromosomi omologhi n.21, appaiono tre cromosomi, ciò indica che il nascituro è affetto da
sindrome di Down (patologia denominata anche trisomia del 21).
Cromosomi e caratteri legati
al sesso
Nella specie umana, nella formazione dei gameti, le cellule uovo femminili contengono sempre un cromosoma sessuale X,
mentre gli spermatozoi maschili possono contenere un cromosoma X o Y. La fecondazione di una cellula uovo con uno
spermatozoo che porta un cromosoma X dà origine a uno zigote con due X, cioè a una femmina. Viceversa, dall'unione di
una cellula uovo con uno spermatozoo che porta un cromosoma Y si ottiene uno zigote XY, cioè un maschio. Su questo
schema fondamentale esistono numerose variazioni, caratteristiche degli altri animali e delle piante.
Il cromosoma umano Y è lungo circa un terzo del cromosoma X e, a parte il suo ruolo nel determinare il sesso maschile,
non sembra essere geneticamente molto attivo. Così, molti dei geni presenti sul cromosoma X non hanno una controparte
sul cromosoma Y. Sono questi i geni legati al sesso, che vengono ereditati in modo caratteristico. L’emofilia, ad esempio,
è in genere causata da un gene recessivo (h) legato al sesso e portato dal cromosoma X. Una femmina con genotipo HH
o Hh è generalmente sana, mentre una femmina hh ha l'emofilia. Un maschio non può mai essere eterozigote per questo
gene, perché eredita una sola copia del cromosoma X e quindi un solo allele di questo gene; i genotipi possibili nel
maschio sono, pertanto, H (sano) e h (malato). Quando un uomo (H) e una donna (Hh) eterozigote hanno figli, le figlie
sono tutte sane, ma hanno il 50% delle probabilità di avere il genotipo Hh, come la madre, e quindi di essere portatrici del
gene h. I figli maschi ereditano, invece, solo H o h e pertanto hanno il 50% di probabilità di essere malati di emofilia.
Un’altra malattia ereditaria legata al sesso è il daltonismo.
Di Riccardo Valeri
Classe 3 E- S.M.S “.D’Acquisto” – Cerveteri
a.s. 2007-08