1. Cosa sono le «fonti» del diritto 2. Quali soggetti concorrono a produrre diritto 3. La Costituzione come fonte sulle fonti 4. Unità, coerenza e completezza dell’ordinamento 5. I criteri per ordinare le fonti del diritto 6. L’interpretazione del diritto LE FONTI DEL DIRITTO: DEFINIZIONI Si chiamano fonti del diritto i fatti o gli atti che l’ordinamento giuridico abilita a produrre norme giuridiche. • La generalità delle norme giuridiche (riferite a una pluralità indistinta di soggetti) • L’astrattezza delle norme giuridiche (regola ripetibile nel tempo a prescindere dal caso concreto: se A, allora B). Regole che individuano quali sono le fonti del diritto e regole che stabiliscono i modi di produzione del diritto . Si chiamano fonti di produzione del diritto quei fatti o quegli atti ai quali l’ordinamento attribuisce la capacità di produrre imperativi che esso riconosce come propri. Si chiamano fonti sulla produzione quelle norme che disciplinano i modi di produzione del diritto oggettivo, individuando i soggetti titolari di potere normativo, i procedimenti di formazione, gli atti prodotti (chi, come, cosa) Sono fonti di produzione gli atti normativi posti nel rispetto delle norme sulla produzione dell’ordinamento italiano. FONTI FATTO E FONTI ATTO • Quando l’ordinamento riconosce direttamente al corpo sociale la capacità di produrre norme in via autonoma, senza che siano seguite procedure particolari, né che le norme stesse siano frutto di una ben individuabile ed espressa volontà, si parla di fonti fatto (es. consuetudine). Contano i comportamenti umani come fatti oggettivi • Quando la norma è prodotta da un soggetto istituzionale portatore di una precisa volontà e nel rispetto delle procedure previste dalle fonti sulla produzione, si parla di fonti atto (es. costituzione, legge, regolamento). Conta la volontà del soggetto istituzionale espressa secondo un particolare procedimento di formazione del diritto. Fonti di cognizione: Alle fonti sulla produzione spetta la funzione di individuare i modi attraverso cui le norme prodotte devono o possono essere portate a conoscenza dei destinatari. IL REGIME DELLE FONTI PUBBLICISTICHE L’appartenenza di un atto normativo alle fonti del diritto produce conseguenze importanti che valgono a differenziare il regime delle fonti pubbliche da tutti gli altri atti che non sono fonti. Solo le fonti pubblicistiche hanno le seguenti caratteristiche: • Pubblicazione in forma ufficiale; • Applicazione del principio iura novit curia (il giudice è tenuto a conoscere la legge) e del principio ignorantia legis non excusat (nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge); • Ricorso in cassazione per violazione di legge contro le sentenze civili e penali ex art. 111.7 Cost.; • Interpretazione e applicazione del diritto ex art. 12 delle preleggi al Codice Civile. FORMA DI STATO E FONTI DEL DIRITTO Quali sono i soggetti che concorrono a produrre le norme giuridiche. • Nello stato liberale: la legge del parlamento era la fonte che esprime il più alto comando normativo, dunque giuridicamente supremo (fonte primaria); il governo del re poteva esercitare un potere normativo, nel rispetto e in esecuzione della legge, in forma di regolamento (fonte secondaria). Sistema delle fonti molto semplice (vedi art. 1 delle Disposizioni sulla legge in Generale, premesse al Codice civile del 1942 che, nell’individuare le fonti del diritto, si riferisce solo alla legge, ai regolamenti e agli usi). • Nello stato liberaldemocratico: la costituzione rigida è la fonte suprema dell’ordinamento giuridico, superiore ad ogni altra fonte, innanzitutto alla legge; il potere normativo è distribuito fra molteplici soggetti a livello sia verticale sia orizzontale. Pluralismo istituzionale: regioni e enti locali: Apertura all’ordinamento internazionale: artt. 10 e 11. Pluralismo sociale: art. 8 Cost e intese tra Stato e confessioni religiose. La schematica successione dell’art. 1 delle preleggi è sostituita da un meccanismo più complesso che vedere un ordine gerarchico: Costituzione, leggi costituzionali, leggi ordinarie e atti equiparati, regolamenti dell’esecutivo). Pluralismo istituzionale. Moltiplicazione e complicazione del sistema del fonti e quindi esigenza di assicurare la coerenza sistematica dell’ordinamento giuridico. Non solo gerarchico e cronologico ma anche competenza. FONTI COSTITUZIONALI E FONTI PRIMARIE La Costituzione è fonte di diritto ed è anche la massima fonte sulle fonti nel senso che legittima tutti i processi di produzione del diritto. È essa che individua le fonti del diritto, disciplina i modi di produzione, assegna a ogni fonte una certa forza o efficacia formale. Essa però si limita a individuare i più importanti processi di produzione del diritto. Ovvero quelli che producono: • Le norme di rango costituzionale: leggi di revisione costituzionale e «altre» leggi costituzionali (art. 138 Cost.); statuti delle regioni speciali (art. 116 Cost.) • Le norme di rango primario: leggi ordinarie dello Stato (artt. 70 ss. e 117 Cost.); decreti legislativi e decreti legge (artt. 76 e 77 Cost.); regolamenti parlamentari (art. 64 Cost.); statuti delle regioni ordinarie (art. 123 Cost.); leggi regionali (artt. 117 e 121 Cost.). LE FONTI PRIMARIE: UN «SISTEMA CHIUSO» • Non sono configurabili atti fonte primari al di là di quelli espressamente previsti dalla Costituzione • Ciascun atto normativo non può disporre di una forza maggiore di quella che la Costituzione ad esso attribuisce. La creazione di altre fonti primarie richiede una revisione costituzionale. • Agli atti fonte primari va riconosciuta forza di legge (art. 77 e art. 134 Cost.). La Costituzione individua il catalogo delle fonti primarie ma le sue disposizioni non esauriscono la disciplina dei procedimenti di formazione dei diversi atti. Essa stabilisce la disciplina essenziale al cui interno possono poi essere fissate ulteriori regole. Quindi, norme sulla produzione di atti primari sono contenute in altri atti fonte e svolgono la funzione di integrare e completare gli spazi lasciati vuoti dalla Costituzione (legge ordinaria: regolamenti parlamentari; legge regionale: statuti regionali), atti normativi del governo: legge 400 del 1988. Chiusura significa come si è detto che ciascun atto normativo non può disporre di una forza maggiore di quella che la Costituzione gli attribuisce. Alle fonti primarie è riconosciuta la cd. Forza di legge (o valore di legge): art. 77 Cost. che equipara gli atti normativi del Governo alla legge ordinaria; art. 134: legittimità costituzionale della legge e degli atti aventi forza di legge. Nozione che si riferisce alla forma e non al contenuto. LA FORZA DI LEGGE La Costituzione, in quanto fonte sulla produzione, individua gli atti abilitati a produrre diritto attribuendo a essi una certa forza o efficacia formale in virtù dei requisiti formali di ciascuno atto: soggetto titolare del potere normativo; procedimento di formazione dell’atto, veste estrinseca dell’atto. Altrimenti detto, ogni atto normativo deve manifestarsi all’esterno nei modi specifici che lo stesso ordinamento determina per ogni fonte. Ogni atto ha una sua forma tipica, una serie di elementi come: l’intestazione dell’autorità che lo emana (DpR), il nome proprio dell’atto (nomen iuris), procedimento di formazione. C’è una forma essenziale che ogni atto deve rispettare per essere riconosciuto come appartenente a quella fonte. • Profilo attivo: Capacità di innovare al diritto oggettivo (subordinatamente alla Costituzione intesa come fonte suprema) abrogando o modificando atti fonte equiparati o subordinati; • Profilo passivo: Capacità di resistere all’abrogazione o modifica da parte di atti fonte che non siano dotati della medesima forza, in quanto espressione del medesimo processo di produzione normativa. L’efficacia formale di una legge ordinaria significherà sia la capacità attiva di abrogare o modificare precedenti atti legislativi che abbiano la sua stessa forza e di forza inferiore (regolamenti) sia capacità passiva di non farsi abrogare o modificare da atti successivi subordinati alla legge stessa. Tutto ciò presuppone che il sistema delle fonti sia ordinato gerarchicamente: l’atto sovraordinato prevale su quello sotto ordinato. LE FONTI SECONDARIE: UN «SISTEMA APERTO» •Tutte le fonti subordinate a quelle primarie sono a carattere aperto ossia lasciate alla disponibilità dei soggetti titolari di potestà normativa primaria, sia pure nel rispetto dei limiti costituzionali esistenti (riserva di legge) • Gli atti secondari devono essere deliberati sulla base di una previa norma di legge (principio di legalità: tutti gli atti secondari devono essere deliberati sulla base di una previa norma di legge). IL SISTEMA COSTITUZIONALE DELLE FONTI Costituzione (fonte sulle fonti) Fonti primarie a carattere «chiuso» (forza di legge) Fonti secondarie a carattere «aperto» (principio di legalità) L’ORDINAMENTO GIURIDICO COME SISTEMA Unità dell’ordinamento: Tutte le norme possono farsi risalire, in ultimo, al potere costituente, cioè al momento fondante dell’ordinamento e all’atto che con esso viene posto, la Costituzione. Coerenza dell’ordinamento: L’ordinamento non tollera contraddizioni tra le parti che lo compongono e prevede criteri e meccanismi per risolvere le antinomie normative, cioè i contrasti tra norme, e consentire all’interprete di individuare la norma, l’unica norma, che deve essere applicata in concreto. Contrasto: casi in cui due norme qualifichino uno stesso comportamento in modo tale che l’osservanza dell’una escluda l’osservanza dell’altra. Principio della certezza del diritto. Completezza dell’ordinamento: L’ordinamento predispone determinati rimedi per colmare le lacune o vuoti normativi, cioè casi non previsti dal diritto positivo, e permettere all’interprete, anche quando sembri mancare qualsiasi disciplina giuridica, di rinvenire la norma applicabile al caso concreto. UNITA’ L’ordinamento giuridico è costituto da un insieme di norme. Sarebbe difficile immaginare un ordinamento composto da una sola norma: tutto è permesso; tutto è vietato, tutto è comandato. Invece, gli ordinamenti sono composti da miriadi di norme. Quante sono ad esempio le norme del nostro ordinamento giuridico? Certamente troppe eppure se ne creano sempre di nuove. La difficoltà nel rintracciare le norme sta generalmente nel fatto che essere non derivano da una sola fonte del diritto. Piuttosto abbiamo una molteplicità di fonti che producono regole di condotta di diversa provenienza. Abbiamo già parlato del rapporto tra legge e regolamento. I regolamenti contengono, come le leggi, norme generali e astratte ma a differenza delle leggi la produzione dei regolamenti è solitamente affidata al potere esecutivo per “delega” del potere legislativo. Una delle funzioni dei regolamenti è di integrare leggi troppo generiche che contengono solo direttive di massima e non potrebbero essere applicate senza ulteriori specificazioni. Il legislatore non può adottare tutte le norme necessarie a regolare la vita sociale e così, in alcuni casi, si limita a adottare norme generiche affidando agli organi esecutivi il compito di renderle eseguibili. Lo stesso ragionamento potrebbe essere fatto in ordine al rapporto tra norme costituzionali e leggi ordinarie. Via via che si sale nella gerarchia delle fonti, le norme diventano meno numerose e più generiche, scendendo diventano più numerose e più specifiche. Chiaramente si rende necessario un punto di riferimento ultimo di tutte le norme. E pensiamo così alla fonte delle fonti ossia alla Costituzione. Ma tutte le norme dell’ordinamento giuridico discendono direttamente e immediatamente dalla Costituzione? Sarebbe troppo semplice: 1) Quando un nuovo ordinamento sorge, non elimina mai completamente le stratificazioni normative che lo hanno preceduto. Parte di quelle regole transiteranno nel nuovo ordinamento e se presenteranno profili di incostituzionalità, saranno annullate. 2) Come abbiamo visto, è la Costituzione stessa a creare, per soddisfare il bisogno di una normazione sempre aggiornata, nuove centrali di produzione giuridica. Al Parlamento è attribuito il potere di fare le leggi ordinarie; gli organi esecutivi adotteranno regolamenti; le regioni adotteranno le leggi regionali e così via. Capirete che quindi per conoscere un ordinamento giuridico bisogna conoscere le sue fonti e anzitutto la Costituzione. In essa come vedremo vi sono norme che attribuiscono diritti e doveri ai cittadini e, più in generale, alle persone: Vi sono anche norme che regolano la procedura che il Parlamento (nelle sue articolazioni interne) deve seguire per esercitare la funzione legislativa: quindi non stabiliscono ciò che persone debbono o non debbono fare, ma stabiliscono le procedure con cui devono essere prodotte le norme. La complessità del sistema di cui vi sto parlando non esclude appunto la famosa Unità. Non potremmo infatti parlare di ordinamento o sistema giuridico se non lo considerassimo unitario e se non sapessimo che tutte le norme discendono da una sola fonte. Abbiamo appreso che le norme dell’ordinamento giuridico non stanno tutte sullo stesso piano. Alcune norme sono superiori e quelle inferiori derivano dalle superiori. Abbiamo una norma suprema che dà unità a tutte le altre norme. Senza tale norma superiore, le altre sarebbero un coacervo indistinto e non un ordinamento ordinato e ordinante. Per quanto numerose possano essere le fonti del diritto in un ordinamento complesso, questo costituisce un’unità per il fatto che direttamente o indirettamente tutte le fonti del diritto e tutte le norme che in esse sono contenute possono essere fatte risalire alla Costituzione. Ciò ci conduce a pensare al sistema delle fonti come a un qualcosa strutturato gerarchicamente. Le norme dell’ordinamento sono disposte secondo un ordine gerarchico. Quando un livello superiore attribuisce al livello inferiore un potere normativo, non gli attribuisce un potere illimitato. Nell’attribuire tale potere, infatti, il livello superiore stabilisce anche limiti e forme entro cui può essere esercitato. L’esercizio del potere legislativo non è illimitato: la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione e la Costituzione limita il potere legislativo. Il Parlamento non è più onnipotente e la legge non è più la fonte del diritto per eccellenza. La Costituzione pone limiti sia di contenuto (cosa) che di forma (come: modo e procedura con la norma deve essere emanata). L’esistenza di questi limiti è importantissima perché essi circoscrivono e definiscono la legittimità della norma inferiore: se questa dovesse eccedere i limiti materiali o formali, essa dovrà essere dichiarata illegittima e quindi espulsa dall’ordinamento. COME ORDINARE LE FONTI DEL DIRITTO Avremo a che fare ora con il criterio della coerenza. L’insieme deve essere ordinato: ognuna delle parti deve essere in rapporto di compatibilità con le altre. Non possono coesistere norme tra loro reciprocamente incompatibili. Esempio di antinomia. Art. 18 del TULPS (1931): “I promotori di una riunione in luogo pubblico o aperto al pubblico devono darne avviso, almeno tre giorni prima, al Questore”. Art. 17, comma 2 Cost- “Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso”. Intanto cerchiamo di capire cosa si intende per riunione. Essa costituisce il radunarsi volontario in luogo e tempo determinati di una pluralità di persone che perseguono uno scopo comune prestabilito. Non si tratta di confluenze casuali. Esse ovviamente dovranno svolgersi in maniera pacifica, né vi possono partecipare persone armate. Nei due commi successivi, la Costituzione distingue tra riunioni che si svolgono in luogo privato, riunioni in luogo aperto al pubblico e riunioni in luogo pubblico. Per luogo aperto al pubblico si intende qualsiasi luogo, materialmente separato dall’esterno, l’accesso al quale pur consentito ad una generalità di soggetti è regolabile da chi ne ha la disponibilità giuridica (stadio, cinema, teatri). Per le riunioni privare e in luogo aperto al pubblico la Costituzione non richiede preavviso. Nel caso invece di una riunione in luogo pubblico (piazza, strade), potenzialmente più pericolosa, è necessario, almeno tre giorni prima del suo svolgimento, comunicarne la data al questore. Questi potrà vietarla solo per “comprovati motivi di sicurezza e di incolumità fisica”. Ritorniamo alla nostra antinomia. L’art. 18 TU obbligava a fare ciò che l’art. 17 della Costituzione permetteva di non fare: preavviso per riunioni aperte al pubblico. Due norme incompatibili perché tra di loro contraddittorie: una obbliga, l’altra proibisce; una obbliga, l’altra permette. Insomma, queste antinomie devono essere risolte “eliminando” una delle due. Ma quale delle due? I criteri per ordinare le norme giuridiche prodotte dalle fonti del diritto e per risolvere le antinomie, si traggono dalla Costituzione e nelle Preleggi al Codice Civile del 1942. Queste ultime, nonostante il mutato contesto costituzionale, possono dirsi ancora in vigore in quanto espressive di principi generali. Risoluzione antinomie: operazione pratica che si svolge prevalentemente in fase di applicazione del diritto ad opera di interpreti e soprattutto di giudici. La successione delle fonti nel tempo: criterio cronologico La sovraordinazione o sottordinazione delle fonti: criterio gerarchico L’ambito territoriale o materiale di operatività delle fonti : criterio della competenza CRITERIO CRONOLOGICO • In caso di contrasto tra norme poste da fonti equiparate, prevale e deve essere applicata la norma posta successivamente nel tempo (lex posterior derogat priori) • La norma precedente è abrogata da quella successiva (la norma abrogata non è una norma invalida) • L’abrogazione, presupponendo un contrasto tra norme entrambe valide, non elimina la norma precedente ma ne circoscrive nel tempo l’efficacia. L’EFFICACIA DELLA LEGGE NEL TEMPO Ma cosa è l’efficacia? Gli atti normativi una volta terminato il procedimento di formazione per essi prescritto, entrano in vigore e iniziano a produrre la propria efficacia: saranno obbligatori per tutti, suscettibili di trovare concreta applicazione. L’efficacia, quindi, può dirsi l’idoneità di un fatto, di un atto o di un negozio giuridico a produrre effetti giuridici ossia a costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche (matrimonio, separazione e divorzio). «La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo». Art. 11 preleggi • Gli atti normativi valgono, di norma, solo per il futuro ossia per fatti e rapporti sorti dopo la loro entrata in vigore. • Il divieto di efficacia retroattiva è derogabile per effetto di una legge successiva che disponga diversamente (criterio cronologico essendo l’art. 11 delle preleggi contenuto in un atto fonte primario). In tal caso, la norma retroattiva si applicherà anche a fatti e atti sorti prima della sua entrata in vigore. • La retroattività della legge, ove disposta non è mai assoluta, riguarda solo i rapporti pendenti (suscettibili di essere ancora regolati) non i rapporti esauriti (suscettibili di ulteriore regolazione). Limite alla retroattività per tutelare i cd diritti quesiti ossia situazioni che si sono perfezionate alla luce di una certa disciplina e che non potrebbero essere messi in discussione da una legge successiva (certezza del diritto) • Il divieto di retroattività è assoluto e inderogabile per le leggi in materia penale (art. 25.2 Cost.. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso). ) L’ABROGAZIONE DELLE LEGGI Gli atti normativi cessano di essere efficaci a seguito di abrogazione da parte di atti successivi equiparati. L’effetto abrogativo presuppone un contrasto tra norme entrambe valide anche se deliberate in tempi diversi. Ne segue che la norma successiva non elimina quella precedente ma la abroga ossia ne circoscrive l’efficacia nel tempo (che sarà limitata al tempo intercorrente tra la data di entrata in vigore e quella della sua abrogazione). L’abrogazione secondo l’art. 15 preleggi «Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore». • Abrogazione espressa: quando è disposta direttamente dal legislatore; • Abrogazione per incompatibilità (detta anche tacita): non è disposta direttamente dal legislatore, ma viene accertata in via interpretativa ove l’interprete rilevi il contrasto. • Abrogazione per nuova disciplina dell’intera materia: la nuova disciplina si sostituisce alla precedente. LE CLAUSOLE DI ABROGAZIONE ESPRESSA Esempio: art. 55 d.lgs. 177/2005 (testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici) «Le disposizioni contenute nel presente testo unico non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate, se non in modo esplicito mediante l’indicazione specifica delle fonti da abrogare, derogare, sospendere o modificare». Scopo di tali clausole è cercare di razionalizzare e stabilizzare i processi di produzione del diritto in talune materie. Questione della valutazione della loro efficacia giuridica. CRITERIO GERARCHICO • In caso di contrasto tra norme poste da fonti non equiparate, prevale e deve essere applicata la norma posta dalla fonte sovraordinata (lex superior derogat inferiori) • La norma sottordinata è invalida, ossia viziata per non aver rispettato l’ordine gerarchico delle fonti, e deve essere eliminata dall’ordinamento mediante annullamento a opera dei competenti organi giurisdizionali. In caso do contrasto tra Costituzioni e legge (o atti aventi forza di legge) invalida: Corte costituzionale; in caso di contrasto tra legge e regolamento, l’annullamento sarà pronunciato dal giudice amministrativo. • L’annullamento, a differenza dell’abrogazione, determina la perdita di efficacia1 non solo ex nunc, ma anche ex tunc. Eliminazione della norma giuridica e caducazione di ogni sua efficacia non solo per il futuro 1 Alcuni autori preferiscono parlare di perdita di validità. La validità è una figura generale del diritto consistente nella conformità di un atto o di un negozio giuridico rispetto alle norme che lo disciplinano. ma anche per quella prodotta nel passato. Efficacia retroattiva sempre con esclusione dei rapporti esauriti a meno che non si tratti di un annullamento di un atto normativo sulla cui base è stato condannata una persona. CRITERIO DELLA COMPETENZA In alcuni casi, le fonti sono ordinate dalla Costituzione secondo una differente competenza riferita o: - alla dimensione territoriale nell’ambito della quale la fonte deve operare (art. 117, Cost.): - alla materia ovvero al particolare oggetto disciplinato (regolamenti parlamentari). • In caso di contrasto tra norme poste da fonti ordinate dalla Costituzione secondo differente competenza, prevale e deve essere applicata la norma posta dalla fonte competente (con esclusione di qualsiasi altra fonte) • La norma non competente è invalida e deve essere eliminata dall’ordinamento mediante annullamento; • L’annullamento, a differenza dell’abrogazione, determina la perdita di efficacia non solo ex nunc, ma anche ex tunc L’INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE Abbiamo a che fare con la completezza dell’ordinamento. L’applicazione del diritto comporta la risoluzione di eventuali antinomie e presuppone un’attività interpretativa. Si tratta di una attività che parte dal testo degli atti normativi per ricostruirne il significato. Ci troviamo di fronte a enunciati che sono unità linguistiche minime portatrici di significato: disposizioni. È un errore comune ritenere che gli enunciati scritti debbano avere un significato preciso e univoco dato dalla semplice somma dei significati delle parole. Oggetto di interpretazione non possono essere le singole parole il cui significato si ricava dall’enunciato in cui sono. Provate a consultare un dizionario. I vari significati di ogni singola parola vengono ricavati dallo studio dell’uso di quella parola nelle diverse proposizioni: una bella testa; è una testa calda; camminare a testa alta; mi ha fatto una testa così; il vino mi ha dato alla testa; mi è passato di testa; è una testa di c….! Da questi esempi si capisce come è l’enunciato nel suo insieme a essere oggetto di interpretazione. Dall’enunciato linguistico traiamo la norma giuridica che è appunto un attribuzione di senso fatta dagli interpreti. Ovviamente vi sono diverse teorie sulla interpretazione. Per taluni, si tratta di una attività meramente conoscitiva, tecnica. Il giudice, come ogni altro interprete della legge, altro non sarebbe che la bouche de la loi: il suo unico compito è limitarsi a conoscere norme già prodotte dal legislatore che preesisterebbero all’attività di interpretazione- Esiste una sola e unica norma: quella prodotta dal legislatore. Questa teoria aveva un senso nello Stato liberale ove vi era omogeneità tra rappresentanti e rappresentati. Negli Stati contemporanei, il legislatore (ovvero l’insieme cangiante e mutevole di quasi mille persone per legislatura ove ognuna di queste persone è portatrice di interessi settoriali) non è un individuo la cui volontà sia univoca. Le richieste della società sono plurime perché plurale è il contesto. Spesso, insomma, gli enunciati normatici, le disposizioni non sono affatto chiare e meno lo sono maggiore è il numero delle norme che astrattamente possiamo trarne. Persino alcuni articoli della nostra Costituzione sono passibili di diverse interpretazioni. Ovviamente a noi interessano le interpretazioni dotate di autorità e in specie quelle compiute dai giudici nel corso dell’applicazione del diritto ai casi concreti. L’interpretazione privata compiuta da soggetti non dotati di una qualche autorità riconosciuta dall’ordinamento, resta una semplice proposta. Nel caso delle interpretazioni dottrinali, esse godono di autorevolezza e generalmente guidano chi ha l’autorità di interpretare. La Costituzione al riguardo non dice nulla e, quindi, si usano i criteri indicati nell’art. 12 delle Preleggi. Art. 12.1 preleggi «Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, o dalla intenzione del legislatore». • L’interpretazione letterale o testuale: il significato fatto proprio dalle parole secondo la connessione di esse. Significato grammaticale: ogni parola ha un suo significato. Ma alcune parole hanno una pluralità di significati che variano a seconda degli aggettivi che la integrano (democrazia classica, diretta, indiretta etc). e connessione sintattica delle parole. Ricordare l’analisi grammaticale? • L’interpretazione logico-sistematica: le parole delle leggi e degli atri atti giuridici non sono isolate le une dalle altre, ma ogni parola è connessa alle altre. Occorre considerare le parole nel loro contesto, nel legame che si stabilisce con le parole precedenti e quelle successive. Le parole sono legate da qualche logica (soggetto, verbo, complemento, significato di e/o): ricordate gli esercizi di analisi logica? Possiamo andare ancora oltre. Interpretazione sistematica: ogni legge si inserisce in un sistema e in questo sistema trova un suo preciso significato • L’interpretazione teleologica secondo il fine o l’intenzione del legislatore nel duplice significato di scopo soggettivo perseguito dal legislatore al tempo in cui ha posto la disciplina e scopo in senso oggettivo (tenore dell’atto normato e ciò che si evince dal testo). LE LACUNE NORMATIVE E L’ANALOGIA All’art. 12.2 preleggi si fa riferimento all’interpretazione analogica come rimedio per colmare lacune o vuoti normativi che pretendono soluzione giuridica. • Le lacune colmate per analogia legis: «se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe». • Le lacune colmate per analogia iuris: «se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato» • L’art. 14 delle preleggi prevede una deroga all’interpretazione analogica stabilendo il divieto di analogia per le leggi penali (in malam partem) e per le leggi speciali (ossia a quelle che fanno eccezione rispetto a discipline di carattere generale). • Il criterio di stretta interpretazione delle disposizioni costituzionali sui diritti fondamentali (favor libertatis). LE LEGGI DI INTERPRETAZIONE AUTENTICA Anche il legislatore può pronunciarsi sull’interpretazione dettando una legge di interpretazione autentica. A fronte di dubbi interpretativi non risolti dalla giurisprudenza, il legislatore adotta leggi di interpretazione autentica con cui, appunto , interpreta retroattivamente le proprie disposizioni. Esempio: art. 14 l. 28/1999 «La disposizione di cui all’articolo 26, comma 4, terzo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, riguardante l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari e sui conti correnti, deve intendersi nel senso che tale ritenuta si applica anche nei confronti dei soggetti esclusi dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche». 1. La Costituzione e le fonti costituzionali 2. Le fonti dell’Unione europea 3. La legge ordinaria dello Stato 4. Atti normativi del governo equiparati alla legge: i decreti legislativi 5. Atti normativi del governo equiparati alla legge: i decreti legge 6. Il referendum abrogativo (rinvio) 7. Le fonti legislative «specializzate» 8. Le fonti espressione di autonomia degli organi costituzionali 9. Le fonti regolamentari 10. Le fonti del diritto regionale 11. Le fonti degli enti locali 13. Le fonti «esterne» riconosciute 14. Le fonti fatto 15. Le fonti di cognizione e i testi unici LE FONTI NELL’ORDINAMENTO DELLO STATO Costituzione Leggi costituzionali (art. 138 Cost.) Leggi ordinarie e atti aventi forza di legge (artt. 70 ss. e 117.1-4 Cost.) Regolamenti governativi (artt. 87.5 e 117.6 Cost.) LE FONTI COSTITUZIONALI Costituzione come atto supremo posto in essere dal potere costituente. Di fronte alla Costituzione tutti gli altri atti-fonte sono subordinati in quanto espressione di poteri costituiti ossia previsti e disciplinati dalla Costituzione stessa. La Costituzione è rigida: può essere modificata solo mediante uno speciale procedimento di revisione costituzionale disciplinato dall’art. 138 Cost. Tale articolo, in particolare, prevede tra le fonti di rango costituzionale, le leggi di revisione costituzionale e le leggi costituzionali: il procedimento di formazione è identico e la differenza è solo materiale ossia riguarda il loro contenuto. Infatti, • Le leggi di revisione costituzionale modificano, mediante emendamento, aggiunta o soppressione, il testo della Costituzione (dal 1948 a oggi sono state approvate 14 legge di revisione costituzionale); • Le leggi costituzionali affiancano (integrandolo) il testo della Costituzione, pur non facendone parte, nelle materie coperte da riserva di legge costituzionale (artt. 71.1, 96, 116.1, 132.1, 137.1 Cost.) o in altre materie disciplinate nelle forme dell’art. 138 Cost.. IL PROCEDIMENTO AGGRAVATO • Duplice deliberazione da parte di ciascuna camera. La prima lettura si svolge secondo le regole previste per qualsiasi procedimento legislativo (con divieto di approvazione in commissione in sede legislativa, art. 72, 4, Cost). La seconda lettura, a distanza non inferiore di tre mesi, richiede invece maggioranze qualificate. • Se, nella seconda deliberazione,. Il progetto di legge è approvato a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna camera, viene pubblicato sulla GU a scopo notiziale, senza essere immediatamente promulgato dal Presidente della Repubblica. Dal giorno della pubblicazione, infatti, vi è la possibilità di richiedere, entro tre mesi dalla pubblicazione notiziale del testo di legge approvato dal Parlamento, il referendum costituzionale da parte di 500 mila elettori, 5 consigli regionali, 1/5 dei componenti di una camera. Ove il referendum costituzionale sia richiesto, la legge costituzionale sarà promulgata solo se sarà stata approvata dalla maggioranza dei voti validi. Se il termine dei tre mesi spira senza che nessuno dei soggetti abilitati abbia fatto richiesta di referendum, si procede alla promulgazione e alla pubblicazione. • In alternativa, se il progetto di legge viene approvato in seconda deliberazione a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna camera, non vi è più possibilità di richiedere il referendum e la legge di revisione costituzionale viene promulgata e pubblicata. I LIMITI ALLA REVISIONE COSTITUZIONALE • Limite espresso: la «forma repubblicana» (art. 139 Cost.) • Secondo la dottrina e la giurisprudenza costituzionale esistono anche i limiti impliciti, ossia quelli non espressamente individuati ma che sono legati indissolubilmente alle scelte fondamentali consacrate nel testo costituzionale. Sono limiti che coincidono con i «principi supremi dell’ordinamento costituzionale» (v. sentenza Corte cost. 1146/1988): principio della sovranità popolare, principio pluralista; principio di laicità dello Stato; principio di eguaglianza formale e sostanziale; indefettibilità del diritto di difesa. Si tratta di principi che appartengono all’essenza dei valori supremi su cui si fonda l’ordinamento e che se modificati condurrebbero a un mutamento costituzionale (non più potere di revisione costituzionale ma riemersione del potere costituente). • Limite logico: l’art. 138 Cost. (per l’attuale formulazione o per i principi ad esso sottesi). Divergenza di opinioni in dottrina. LE FONTI NELL’ORDINAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA Trattati (Tue e Tfue) – Regolamenti e direttive Dobbiamo interrogarci sul fondamento costituzionale dell’assunzione degli obblighi dell’unione europea e sulla questione dei rapporti tra fonti dell’Unione e fonti nazionali. Autorità amministrative e giurisdizionali italiane applicano il diritto dell’Unione o direttamente (nel caso dei regolamenti) o previo adeguamento dell’ordinamento interno (nel caso delle direttive). E fanno ciò disapplicando il diritto interno eventualmente incompatibile. Tutto ciò è possibile in virtù del primato del diritto comunitario (ora diritto dell’Unione) affermato a più riprese dalla Corte di Giustizia. La questione è la seguente: posto che nel nostro sistema, il numero delle fonti primarie è chiuso e che la ratifica e l’esecuzione dei trattati è avvenuta con legge ordinaria (come per qualsiasi altro trattato), come è possibile accettare il principio del primato del diritto comunitario? • Le «limitazioni di sovranità» consentite dall’art. 11 Cost., come interpretato dalla Corte costituzionale, fornirebbero copertura costituzionale al primato del diritto comunitario. Altri Paesi hanno optato per modifiche costituzionali in cui espressamente hanno disciplinato la questione dei rapporti tra i due ordinamenti e tra le fonti. Solo nel 2001, con la riforma del Titolo V, è intervenuta una nuova formulazione dell’art. 117 ove si fa riferimento ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. • Il limite dei «principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale» e dei «diritti inalienabili della persona umana», come stabilito dalla Corte costituzionale è l’unico fino ad oggi individuato. Ma tale clausola (Teoria dei controlimiti) non ha finora avuto effetti concreti. IL PRIMATO DEL DIRITTO COMUNITARIO Il problema dei rapporti tra le fonti europee e quelle interne è stato risolto grazie ad un lento e graduale processo evolutivo della giurisprudenza delle due corti: la Corte costituzionale italiana (inizialmente restìa a riconoscere quel principio) e la Corte di Giustizia (sin dall’inizio propensa a considerare preminente il diritto dell’Unione). Alla fine di questo processo la Corte costituzionale italiana ha dovuto riconosciuto il primato del diritto comunitario. Il contrasto tra il diritto dell’Ue e il diritto interno viene risolto sulla base del principio di necessaria applicazione del regolamento Ue da parte del giudice comune, anche se in contrasto con disposizioni nazionali precedenti o successive. Ciò significa che se un giudice rileva un contrasto tra una disposizione di legge e un regolamento Ue deve applicare questo e disapplicare la prima. Ciò vale certamente per i regolamenti e per le direttive aventi efficacia diretta (cioè quelle autoapplicative in quanto sufficientemente dettagliate). Le direttive “normali” dovendo essere recepite con atto normativo interno, avranno nel sistema delle fonti il rango o la collocazione che è propria dell’atto di ricevimento (legge o regolamento). Corte di giustizia delle Comunità europee «A differenza dei comuni trattati internazionali, il Trattato Cee ha istituito un proprio ordinamento giuridico integrato nell’ordinamento giuridico degli stati membri... che i giudici nazionali sono tenuti ad osservare... Scaturito da una fonte autonoma, il diritto nato dal Trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa Comunità» (sentenza Costa del 1964). «In forza del principio della preminenza del diritto comunitario, le disposizioni del Trattato e gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili... fanno parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme interne, dell’ordinamento giuridico vigente nel territorio dei singoli stati membri» e «hanno l’effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli stati membri, non solo di rendere ipso jure inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche... di impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi fossero incompatibili con norme comunitarie» (sentenza Simmenthal del 1978) Corte costituzionale «Vi è un punto fermo nella costruzione giurisprudenziale dei rapporti fra diritto comunitario e diritto interno: i due sistemi sono configurati come autonomi e distinti, ancorché coordinati, secondo la ripartizione di competenza stabilita e garantita dal Trattato... [i due ordinamenti], per quanto coordinati, sono distinti e reciprocamente autonomi. Proprio in ragione, dunque, della distinzione fra i due ordinamenti, la prevalenza del regolamento adottato dalla Cee va intesa... nel senso... che la legge interna non interferisce nella sfera occupata da tale atto, la quale è interamente attratta sotto il diritto comunitario» e il regolamento «è reso efficace in quanto e perché atto comunitario, e non può abrogare, modificare o derogare le confliggenti norme nazionali, né invalidarne le statuizioni. Diversamente accadrebbe, se l’ordinamento della Comunità e quello dello Stato –ed i rispettivi processi di produzione normativa – fossero composti ad unità» (sentenza 170/1984). LA LEGGE ORDINARIA STATALE La legge dello Stato è fonte a competenza generale, sia pure nei limiti stabiliti dalla Costituzione, abilitata a produrre norme primarie dotate appunto di forza di legge. Essa può disciplinare qualsiasi oggetto che la Costituzione non riservi a fonti diverse dalla legge. La legge formale è l’atto normativo prodotto dalla deliberazione delle Camere e promulgato dal Presidente della Repubblica. La “forma” della legge è data dal particolare procedimento prescritto dalla Costituzione (e dai regolamenti parlamentari) per la sua formazione. Gli atti con forza di legge sono invece atti normativi che non hanno la forma della legge ma sono equiparati alla legge formale ordinaria: occupano la sua stessa posizione nell’ordine gerarchico e possono validamente abrogarla (hanno la stessa forza attiva della legge ordinaria) e essere da essa e sola da essa abrogati (hanno la stessa forza passiva). LA RISERVA DI LEGGE: DEFINIZIONE L’istituto della riserva di legge designa i casi in cui disposizioni costituzionali attribuiscono la disciplina di una determinata materia alla sola legge (nonché agli atti equiparati alla legge), sottraendola così alla disponibilità di atti fonte ad essa subordinati, tra cui soprattutto i regolamenti dell’esecutivo. Aspetto negativo della riserva di legge: divieto di interventi da parte di altre fonti; aspetto positivo: obbligo per la legge di intervenire nella materia. Esse svolgono una funzione garantistica nel senso che garantiscono il principio democratico (la legge è espressione della sovranità popolare e si forma attraverso un procedimento in cui è assicurata la partecipazione di tutte le forze presenti nel Parlamento essendo assicurate, peraltro, adeguate forme di pubblicità). Loro funzione è anche quella di garantire e tutelare i diritti di libertà e il principio di eguaglianza. TIPOLOGIA • Riserva assoluta: la disciplina della materia è interamente riservata alla legge (es.: art. 13, art. 25 Cost.), salvo solamente regolamenti di stretta esecuzione (quelli che ad esempio determinano gli elenchi delle sostanze stupefacenti). Riserve di questo tipo si trovano soprattutto nella parte in cui la Costituzione è dedicata alle libertà fondamentali. Esempio tipico ne è l’art. 13, comma 2 che consente la limitazione della libertà personale “nei soli casi e modi previsti dalla legge”. Quale è la ragione di una tale scelta? Le libertà fondamentali sono state storicamente e sono tutt’ora rivendicate contro il “potere”, contro lo Stato e il suo apparato coercitivo, che è detenuto dal governo e dalle autorità di pubblica sicurezza che dipendono da esso. In materie siffatte, alla riserva assoluta si aggiunge la riserva di giurisdizione. Siccome la legge, per quanto possa essere analitica, lascia comunque un certo margine di discrezionalità a chi deve applicarla, per vincolare ancora di più l’attività dei poteri pubblici in materia di libertà fondamentali, si prevede anche l’autorizzazione in concreto del giudice. Quindi ogni atto che incide sulla libertà personale, non solo deve essere previsto in astratto dalla legge, ma deve anche essere autorizzato in concreto da un giudice (terzo e imparziale per principio e per definizione). • Riserva relativa: alla legge spetta la disciplina essenziale o di principio della materia, al regolamento dell’esecutivo la disciplina ulteriore di dettaglio (es.: art. 23, art. 41, art. 97 Cost.). In tal caso, la discrezionalità dell’esecutivo viene comunque circoscritta. • Riserva rinforzata: la disciplina della materia è riservata alla legge che deve seguire certe procedure (es.: art. 7 e 8) o avere certi contenuti costituzionalmente prestabiliti (es.: art. 16 Cost.). La ratio di queste ultime è limitare il potere del legislatore in modo che eventuali leggi limitative della libertà degli individui, saranno legittime se e nella misura in cui saranno razionalmente giustificabili in relazione ai fini preventivamente individuati dalla Costituzione. Vi sono casi in cui vi è una dissociazione tra la forma e il contenuto della legge che tradizionalmente dovrebbe contenere disposizioni generali e astratte. • Le legge in senso (solo) formale (es.: legge di bilancio, leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali). La legge di bilancio non può introdurre nuove spese o entrate. • Le leggi provvedimento (es.: l. 310/1988 «intervento straordinario per la riparazione di una gru danneggiata nel porto di Ancona»). Il Parlamento adotto con forma di legge non solo discipline generali e astratte ma anche decisioni di carattere singolare ove lo ritenga politicamente opportuno. In questi casi, la legge non prevede comportamenti da tenere, ma provvede immediatamente e concretamente alla cura di un determinato interesse. Fattispecie particolarmente problematica in quanto non sempre in linea con le previsioni di cui all’art. 3. • Leggi provvedimento devono intendersi categoricamente escluse nei casi in cui è la Costituzione stessa a richiedere leggi generali (es.: art. 16, art. 21, art. 33 Cost.). GLI ATTI NORMATIVI DEL GOVERNO AVENTI FORZA DI LEGGE La potestà primaria del Governo non è né autonoma né ordinaria. La Costituzione, infatti, richiede sempre l’intervento del Parlamento in funzione di garanzia del legittimo esercizio del potere governativo. Il Governo non può adottare decreti legislativi senza una previa legge delega del Parlamento mentre i decreti leggi, adottati dal Governo in casi straordinari di necessità e di urgenza, hanno efficacia provvisoria e devono essere convertiti in legge dalle Camere. Decreti legislativi (art. 76 Cost., art. 14 l. 400/1988) Legge di delegazione (oggetto, principi e criteri direttivi, termine): • Individuazione dell’oggetto (o degli oggetti, purché distinti) della delega chiaramente definito:. • Fissazione dei principi (ossia le norme generali o di principio di carattere sostanziale che regolano la materia) e dei criteri direttivi (ossia le regole procedurali di carattere strumentale per l’esercizio in concreto del potere normativo delegato) • Indicazione del termine entro il quale la delega può (non deve) essere esercitata. Non sono ammissibili deleghe senza scadenze. Per le leggi di delegazione vige il divieto di approvazione in commissione legislativa. Specie di recente e sempre più spesso, l’iniziativa della delega legislativa è governativa; il Parlamento discute e vara la legge di delegazione; il governo predispone uno schema di decreto legislativo che deve essere esaminato dalle competenti commissioni parlamentari. Infine, il governo delibera definitivamente. Decreti legge (art. 77 Cost., art. 15 l. 400/1988) Ove ricorrano determinati presupposti (“In casi straordinari di necessità e di urgenza”), il Governo può adottare provvedimenti provvisori con forza equiparata alla legge ordinaria e sono emanati dal Presidente della Repubblica. In base all’art. 77 della Costituzione, il decreto legge: • può essere adottato solo in casi straordinari di necessità ed urgenza (v. Corte cost. sentt. 171/08 e 128/09); • Deve essere presentato alle Camere per la conversione lo stesso giorno in cui è adottato e riunione delle Camere, anche se sciolte, entro i successivi cinque giorni; • Dura solo 60 giorni e dunque si prevede una efficacia provvisoria del decreto legge, con perdita di efficacia sin dall’inizio se non convertito in legge (decadenza ex tunc); • Divieto di reiterazione del decreto legge non convertito (sent. Corte costituzionale 360/1996) La disciplina dell’art. 77 della Costituzione è integrata dall’art. 15 della legge 400 del 1998 secondo cui i decreti legge: • non possono conferire deleghe legislative (ex art. 76 Cost); • non possono provvedere nelle materie che l’art. 72.4 riserva all’approvazione dell’Assemblea; •non possono riprodurre le disposizioni dei decreti leggi ai quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere; •non possono regolare i rapporti giuridici sorti sulla base di decreti legge non convertiti; •non possono ripristinare l’efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale per vizi non attinenti al procedimento. Il governo non appena adotta il decreto legge, deve presentare alla Camera un disegno di legge di conversione. Nella prassi, il governo presenta un progetto di un solo articolo il cui contenuto è appunto la conversione in legge del decreto. La legge di conversione è l’atto mediante cui il Parlamento si riappropria della funzione legislativa eccezionalmente esercitata dal Governo. Con la conversione, il potere legislativo sostituisce la fonte atto adottata dal Governo (che non è titolare della funzione legislativa). In sede di conversione, le Camere sono libere di apportare tutti gli emendamenti che riterranno opportuni (ma questi avranno efficacia solo pro futuro ossia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione). L’ultimo comma dell’art. 77 prevede che, ove il decreto legge decada perché non convertito il legge, il Parlamento può adottare una legge regolatrice dei rapporti e delle situazioni che si sono di fatto (e anche di diritto) determinate nel periodo di provvisoria vigenza del decreto legge. Ciò per evitare eventuali ingiustizia o disparità di trattamento per i cittadini. Abuso della decretazione d’urgenza e fenomeno della reiterazione dei decreti legge: riproduzione delle norme di un decreto legge non convertito i nlegge in un altro decreto legge, adottato alla scadenza del termine di decadenza di quello precedente. Record di un decreto legge reiterato per ben 23 volte. Sentenza 360/1996 della Corte costituzione e divieto di reiterazione dei decreti legge non convertiti. Referendum abrogativo (rinvio) FONTI LEGISLATIVE «SPECIALIZZATE» • Leggi di esecuzione dei Patti lateranensi (art. 7 Cost.) • Leggi che disciplinano i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica (art. 8 Cost.) • Leggi che staccano una provincia o un comune da una regione per aggregarli ad un’altra (art. 132.2 Cost.) • Leggi di amnistia e indulto (art. 79 Cost.). Amnistia e indulto sono atti di clemenza generale a differenza della grazia che è un atto di clemenza individuale. L’amnistia è un provvedimento che estingue i reati (si bloccano i processi e chi è stato già condannato a una pena detentiva uscirà dal carcere). L’indulto è un provvedimento che concede uno sconto alle pene già irrogate dal giudice (sfoltimento della popolazione carceraria). • Leggi che stabiliscono forme e condizioni particolari di autonomia per le regioni ordinarie (art. 116.3 Cost.) • Decreti legislativi di attuazione degli statuti delle regioni speciali (es.: art. 65 St. Friuli-Venezia Giulia) I REGOLAMENTI DEGLI ORGANI COSTITUZIONALI • Regolamenti parlamentari (art. 64 Cost.). I regolamenti parlamentari sono atti fonte di rango primario a competenza materiale riservata (riserva di regolamento parlamentare) in quanto costituiscono diretta attuazione della Costituzione. Oltre a disciplinare organizzazione e funzioni delle Camere, i Regolamenti disciplinano pure i rapporti tra le camere stesse e gli altri organi dello Stato (relazione fiduciaria, audizioni, indagini conoscitive. Nonostante siano di rango primario, essi non costituiscono oggetto di sindacato costituzionale da parte dell’organo di giustizia costituzionale (la Corte costituzionale) in quanto espressione della posizione di autonomia costituzionalmente garantita. • Regolamenti della Corte costituzionale (l. 87/1953) • Regolamenti della presidenza della Repubblica (l. 1077/1948) • Regolamento del Consiglio dei ministri (l. 400/1988) • Regolamenti della presidenza del Consiglio (d.lgs. 303/1999) LE FONTI REGOLAMENTARI SECONDARIE I regolamenti sono fonti secondarie del diritto, ossia subordinate a quelle primarie: la denominazione include una categoria eterogenea di atti normativi di competenza del governo, dei ministri, degli organi centrali e periferici della pubblica amministrazione, nonché delle regioni e degli enti locali; trattandosi di fonti subordinate a quelle primarie, questi regolamenti sono cosa del tutto diversa dai regolamenti comunitari e dai regolamenti parlamentari. La potestà regolamentare per essere legittimamente esercitata deve trovare fondamento in una norma di legge che attribuisca il relativo potere (principio di legalità). LA POTESTÀ REGOLAMENTARE DELL’ESECUTIVO Art. 17 l. 400/1988 • I regolamenti governativi sono disciplinati dall’art. 17 della legge 400/1998 che distingue tra regolamenti del governo; regolamenti ministeriali e regolamenti interministeriali. I regolamenti governativi possono essere – di esecuzione (per rendere più agevole l’applicazione delle fonti primarie). – regolamenti di attuazione e di integrazione (per attuare e integrare leggi e decreti legislativi recanti norme di principio); – regolamenti indipendenti (per disciplinare materie nelle quali manchi una normativa di rango legislativo e purchè la materia non sia riservata alla legge). – regolamenti di organizzazione (per disciplinare organizzazione e funzionamento delle amministrazioni pubbliche sulla base della legge). – regolamenti di delegificazione (regolamenti autorizzati o delegati): pensati per ridurre il numero delle leggi. • I regolamenti ministeriali e interministeriali (necessitano si una previa disposizione normativa che li autorizzi, sono subordinati ai regolamenti del governo). LE FONTI REGIONALI • Statuti ordinari: approvati dal consiglio regionale con procedimento aggravato ex art. 123.2-3 Cost. • Leggi regionali: approvate dal consiglio regionale nelle forme e nei modi previsti da ciascun statuto • Regolamenti regionali: deliberati dalla giunta regionale o dal consiglio regionale, secondo modalità e forme previste da ciascun statuto IL PROCEDIMENTO DI APPROVAZIONE DEGLI STATUTI DELLE REGIONI ORDINARIE • Due successive deliberazioni del consiglio regionale, la seconda a distanza non inferiore a due mesi; • Approvazione sia in prima sia in seconda deliberazione a maggioranza assoluta dei componenti del consiglio; • Possibilità di richiedere comunque il referendum, entro tre mesi dalla pubblicazione notiziale, da parte di un cinquantesimo degli elettori della regione o un quinto dei componenti del consiglio. GLI STATUTI SPECIALI ADOTTATI CON LEGGE COSTITUZIONALE Art. 116.1 Cost., l. cost. 2/2001 • Si applica il procedimento stabilito dalla Costituzione per le leggi costituzionali; • L’iniziativa appartiene anche all’assemblea regionale; • I progetti di modificazione dello statuto di iniziativa governativa o parlamentare sono comunicati dal governo all’assemblea regionale, che esprime il suo parere entro due mesi; • Le modificazioni allo statuto approvate non sono comunque sottoposte a referendum nazionale. LE FONTI LOCALI • Statuti comunali o provinciali: approvati dal consiglio comunale o provinciale con procedimento aggravato ex art. 6 Tuel • Regolamenti comunali o provinciali: adottati dal consiglio comunale o provinciale, tranne i regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi adottati dalla giunta comunale o provinciale LA CONSUETUDINE La consuetudine (o uso) è la fonte fatto per eccellenza, la quale consta di due elementi: un comportamento ripetuto nel tempo (elemento materiale) e la convinzione, da parte del corpo sociale, che ripetere quel comportamento sia giuridicamente dovuto (elemento soggettivo). Ove questa convinzione non vi fosse, saremmo di fronte a una mera prassi, comportato ripetuto ma senza che sia considerato vincolante, e dunque derogabile in qualsiasi momento. • Le consuetudini nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti (art. 8 preleggi) • Le consuetudini di rango costituzionale (es. sent. Corte costituzionale 7/1996). A differenza delle consuetudini di diritto privato, esse hanno rango costituzionale in considerazione dei soggetti e dei comportamenti con cui esse hanno a che fare. LE FONTI DI COGNIZIONE Si definiscono fonti di cognizione quegli atti, non aventi forza normativa (a differenza delle fonti di produzione), i quali sono volti esclusivamente a rendere conoscibile il diritto oggettivo. • Fonti di cognizione aventi valore legale (Gazzetta Ufficiale della Repubblica, Bollettino ufficiale di ciascuna regione, albo pretorio dell’ente locale) • Fonti di cognizione aventi valore meramente conoscitivo (banche dati: ad es. Normattiva) LA PUBBLICAZIONE Esiste una precisa disciplina delle modalità di promulgazione, emanazione e pubblicazione degli atti normativi. Le formule per la promulgazione delle leggi costituzionali e delle leggi ordinarie dello Stato e per l’emanazione dei decreti legislativi, dei decreti legge e dei regolamenti adottati mediante Decreto del Presidente della Repubblica sono contenute nel d.p.r. 1092/1985. Tale ultimo testo disciplina pure la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Quanto all’entrata in vigore, ne parlano espressamente l’art. 73.3 Cost. e l’art. 10 preleggi. • Il termine ordinario è il quindicesimo giorno seguente alla pubblicazione dell’atto (vacatio legis) • L’atto stesso può prevedere un termine diverso, più lungo o più breve (es.: «la presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale») I TESTI UNICI Possono avere natura di fonti di cognizione oppure possono avere natura di vere e proprie fonti di produzione. I testi unici raccolgono atti normativi preesistenti che, adottati in epoche diverse, disciplinano una stessa materia unificando e coordinando le norme giuridiche. Essi sono pensati per fare ordine nella legislazione vigente e semplificare le esistenze dei cittadini. • Testi unici normativi: atti aventi natura innovativa, deliberati dal governo in forma di decreti legislativi sulla base di una legge di delegazione del Parlamento Es. art. 16 l. 112/2004: «Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge [...] un decreto legislativo recante il testo unico delle disposizioni legislative in materia di radiotelevisione, denominato “testo unico della radiotelevisione”, coordinandovi le norme vigenti e apportando alle medesime le integrazioni, modificazioni e abrogazioni necessarie al loro coordinamento [...]». • Testi unici compilativi: atti aventi natura conoscitiva, deliberati dal governo sulla base di una mera autorizzazione del Parlamentare o su propria iniziativa Art. 17-bis l. 400/1988: «Il Governo provvede, mediante testi unici compilativi, a raccogliere le disposizioni aventi forza di legge regolanti materie e settori omogenei, attenendosi ai seguenti criteri: a) puntuale individuazione del testo vigente delle norme; b) ricognizione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni; c) coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti in modo da garantire la coerenza logica e sistematica della normativa; d) ricognizione delle disposizioni, non inserite nel testo unico, che restano comunque in vigore [...]». LA PROMULGAZIONE DELLE LEGGI Legge ... [giorno/mese/anno], n. ... «...» [titolo La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica il PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA promulga la seguente legge: [...] hanno approvato;