Psicoterapia e TCE
Introduzione
Trauma CE come “trauma”
• e’ un trauma
– in senso neurologico: alterazione di funzioni
neurologiche e neuropsicologiche
– in senso psicologico: improvvisa, inaspettata
perdita dell’integrità psicofisica e spesso della
propria identità personale => vulnerabiltà => ansia
• necessità di processi
– accettazione
– adattamento
Perdita della “normalità”
• A seguito dell’insorgenza di un danno cerebrale,
decadono quelli che socialmente vengono
considerati i simboli dello stato di normalità:
– status economico-sociale
– intelligenza
– forma fisica
=> ferita “narcisistica”
• le problematiche principali riguardano il tema
della “perdita della normalità”
– “Tornerò ad essere normale?”
• problema: perdita dell’integrità psico-fisica
dell’individuo e sue conseguenze relazionali
• attori principali: paziente e famigliari (le altre
vittime)
• fattori rilevanti
– personalità e storia di vita del paziente
– relazioni famigliari
– ambiente sociale e lavorativo
“l’obiettivo principale della psicoterapia non è
quello di condurre il paziente verso uno stato
impossibile di felicità, ma quello di aiutarlo a
conseguire risolutezza e tolleranza nell’affrontare
la sofferenza”
(Jung, 1946/1957, p. 81)
l’obiettivo di un intervento psicoterapeutico in
ambito neuropsicologico è quello di migliorare la
capacità del paziente di fare nella sua vita scelte
efficaci
Motivazione
• Thayer e Lane (2005): corteccia cingolata
anteriore (collegamento tra attenzione e
affettività)
=> processi motivazionali
Emozione
• Damasio (1995): corteccia ventrale prefrontale
– discontrollo emotivo comportamentale:
impulsività, inibizione-depressione, aggressività,
opposizionismo, dipendenza*
=> processi decisionali affettivi
* plurifattorialità: possibile ruolo di fattori
personologici pre-morbosi
Cognizione
• Davidson et al. (1993): corteccia prefrontale
DL (rappresentazione degli obiettivi):
– rigidità del pensiero e del comportamento
(sterotipie, perseverazioni)
– ridotta capacità di astrazione
=> processi decisionali cognitivi
I punti critici
• ridotte capacità motivazionali
• ridotte capacità affettive
• ridotte capacità cognitive
La prima criticità:
l’alterazione della consapevolezza
• diversi tipi di consapevolezza
– di propri deficit/difficoltà
– di propri vissuti e dinamiche psicologiche (insight)
– di proprie potenzialità e risorse
• diversi dominii funzionali di consapevolezza
– funzioni strumentali (disturbo anosognosico)
– funzioni esecutive (deficit di consapevolezza)
Modello gerarchico di
consapevolezza
• consapevolezza
– emergente (attuale)
– intellettuale (mnesica)
– anticipatoria (predittiva)
– metacognitiva (reattiva: fenomeni di
diniego/negazione)
Prime fasi di processo
psicoterapeutico nei TCE
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•
•
•
•
motivazione
capacità attentive
capacità di giudizio
capacità di riconoscere i propri deficit
capacità di espressione e comprensione del proprio
vissuto emozionale in rapporto al senso di perdita
• capacità di riconoscere/accettare la propria “nuova”
identità personale (autoconsapevolezza)
Tipo di psicoterapia
• psicoterapia supportiva: sostegno e rinforzo
delle funzioni dell’Io
– nei casi piu’ compromessi da un punto di vista
motivazionale, cognitivo, comportamentale
• psicoterapia interpretativa: incrementare le
capacità introspettive
– casi meno gravi: motivazione, funzioni
comunicative, capacità di giudizio relativamente
conservate
Le altre vittime
i famigliari dei pazienti
i genitori
il partner
Florian, V., and Katz, S. (1991).
The other victims of traumatic brain injury: Consequences for family members
Neuropsychology, 5(4), 267-279
Fasi emotivo-cognitive posttraumatiche nei famigliari dei TCE
•
•
•
•
•
fase di crisi (disorientamento)
fase di non accettazione (ansia-rabbia-colpa)
fase di speranza (ottimismo)
fase di frustrazione (rabbia)
fase di elaborazione del lutto (tristezza)
accettazione
non accettazione
(sofferenza cronica)
Fattori di reattività emotivo-cognitiva
nei famigliari
• gravità del trauma (pericolo di vita/coma/no
coma)
• evolutività del trauma (rapida/lenta)
• ruolo del paziente all’interno della famiglia
• dinamiche di responsabilità nel trauma
• stile familiare nell’affrontare le avversità
La fase cronica nei famigliari
I genitori
• Negazione
– spesso si manifesta con una minimizzazione della situazione
“attuale”
=> rispettare tale forma di negazione, ma non tacere rispetto agli
aspetti problematici individuati nel quadro clinico del paziente: nel
momento in cui il clinico spiega in modo chiaro quali sono i deficit
osservati nel paziente, è possibile creare le basi per la costruzione
di una buona alleanza terapeutica con i famigliari
• Peso della presa in carico di un adulto divenuto
bambino
– spesso i genitori hanno un atteggiamento ambivalente nei
confronti dei loro figli: da un lato vogliono che crescano e che
diventino indipendenti, ma allo stesso tempo vogliono mantenerli
legati a loro ed amano pensare che i figli avranno sempre bisogno
di loro. Se il figlio in questione ha subito un danno cerebrale, sarà
inevitabilmente sempre dipendente dal genitore, sarà difficile farlo
crescere e fargli acquisire gradualmente livelli sempre più elevati di
autonomia
=> affrontare e discutere con la famiglia il peso di un accudimento
protratto nel tempo.
I genitori segue
• Isolamento sociale
– molte famiglie vivono una forma di isolamento sociale,
esattamente come i loro figli: spesso non vogliono affrontare
situazioni sociali in compagnia del paziente, perché temono che il
loro caro possa dire cosa imbarazzanti e che sia difficile da gestire
nella sua condotta. La famiglia finisce quindi con l’autoisolarsi
=> superare il senso di vergogna e la “paura dello stigma” e
incentivare l’organizzare della gestione del paziente grave in modo
da mantenere spazi propri indipendenti
• Rabbia e depressione
– sul lungo termine, il genitore potrebbe sviluppare vissuti di rabbia
nei confronti del proprio figlio e, parallelamente, un senso di colpa
conseguente alla presenza di tali vissuti.
=> aiutare a riconoscere che si tratta di reazioni emotive normali,
derivanti dal peso assistenziale ed emotivo che si protrae nel
tempo; quella che i genitori devono gestire è un’incombenza
gravosa e devono essere affiancati nel rendersi conto che si tratta
di un carico notevole, che non va minimizzato.
Il partner
• Vissuti di solitudine e di isolamento sociale
• Riduzione del livello di intimità della relazione coniugale
– Talora il partner non vuole lasciare il paziente poiché permane un legame affettivo ed è
consapevole del suo ruolo nella cura e nell’assistenza del paziente (senso di colpa), ma
allo stesso tempo lamenta la necessità di avere una nuova relazione.
=> l’obiettivo non è né quello di far sì che il matrimonio sopravviva a tutti i costi, ma è
quello di rendere il paziente il più possibile indipendente; il mantenimento del rapporto
di coppia, almeno in questa delicata fase terapeutica, potrebbe essere d’aiuto per il
paziente, ma non in tutti i casi. A seguito dell’acquisizione di una maggiore indipendenza
da parte del paziente, la coppia prenderà la decisione più congeniale al loro progetto di
vita; se la coppia dovesse decidere di procedere con il divorzio, l’obiettivo sarà quello di
non generare ulteriori sensi di colpa: se i partner si sentono compresi, sviluppano una
buona alleanza terapeutica sino al termine del trattamento stesso. Non è indicata una
psicoterapia individuale con loro poiché c’è già un impegno terapeutico con il paziente
stesso; piuttosto si lavora con i famigliari in un contesto di gruppo, fornendo loro elenchi
relativi alle difficoltà che potrebbero incontrare con i loro cari: in questo modo il
problema è già posto davanti a loro ed è più semplici indurli ad esprimersi relativamente
alle loro aree problematiche, confrontandosi.
• Necessità del partner di assumersi la responsabilità
completa della gestione della famiglia
– il marito/la moglie si trova a doversi assumere da solo la gestione del nucleo famigliare
=> gestione dello stress del carico assistenziale ed emotivo derivante dal carico
dell’accudimento del paziente.