LA MACROECONOMIA La macroeconomia moderna nasce negli anni tra le due guerre mondiali, in seguito al manifestarsi della grave crisi economica che in quel periodo colpisce gli Stati Uniti e i Paesi europei (la cosiddetta Grande Depressione). Fino a quel momento gli economisti avevano fondato le loro analisi, sul modello neoclassico, che assume a proprio fondamento la legge degli sbocchi o legge di Say. LA LEGGE DEGLI SBOCCHI O LEGGE DI SAY L’offerta crea la propria domanda: l'intero prodotto di un sistema economico viene sempre venduto, per cui non possono esistere crisi economiche persistenti dovute a carenze di domanda aggregata. LA LEGGE DEGLI SBOCCHI O LEGGE DI SAY Secondo la legge di Say il sistema economico avrebbe sempre raggiunto spontaneamente una posizione di equilibrio caratterizzata dal pieno impiego delle risorse e in particolare del lavoro; in tal modo la produzione e il benessere della popolazione sarebbero sempre stati ai massimi livelli raggiungibili. LA GRANDE DEPRESSIONE DEL 1929 Nei vent'anni che separano le due guerre, però, la situazione economica di tutti i Paesi industrializzati era ben lontana dal benessere teorizzato dagli economisti neoclassici. Numerose aziende avevano ridotto la produzione, il numero dei disoccupati appariva in continua crescita e i consumi delle famiglie, nonostante i prezzi fossero addirittura in discesa, erano sempre molto limitati. LA TEORIA KEYNESIANA Il forte divario che separava il quadro teorico dall'evidenza empirica indusse un economista inglese, John Maynard Keynes (1883-1946), a elaborare un modello completamente nuovo. IL PRINCIPIO DELLA DOMANDA EFFETTIVA La prospettiva teorica elaborata da Keynes rovescia la logica neoclassica della legge di Say, secondo cui l’offerta crea sempre la propria domanda, e assume come fondamento il principio opposto della domanda effettiva. IL PRINCIPIO DELLA DOMANDA EFFETTIVA: è la domanda a determinare il volume dei beni e dei servizi che saranno prodotti dal sistema economico. IL PRINCIPIO DELLA DOMANDA EFFETTIVA Se DA < OA Y N DA Non è vero che l'intero prodotto può sempre essere venduto. Se la domanda aggregata del sistema economico è inferiore all’offerta aggregata, le imprese, per non incorrere in perdite, si trovano costrette a diminuire la produzione e l’occupazione. L'aumento della disoccupazione riduce il reddito e le decisioni di spesa delle famiglie, attivando una spirale negativa che non può che portare a un continuo peggioramento della situazione. Keynes sostiene che il sistema economico, lasciato a se stesso, non si evolve affatto verso un ordine armonico, ma genera piuttosto, squilibri e problemi che devono essere affrontatI e governatI attraverso Interventi mIratI. Keynes assegna questo compito allo Stato. Il nuovo ruolo attivo assegnato allo Stato nella gestione della politica economica costituisce il punto fondamentale di quel processo di innovazione dell'economia politica che va sotto il nome di rivoluzione keynesiana. Il pensiero economico di Keynes trova la sua esposizione più matura e sistematica nella sua opera “Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta”, pubblicata a Londra nel 1936. La Teoria generale è stata in seguito diffusa negli Stati Uniti e tradotta in molte lingue. Il modello keynesiano affronta in modo completamente nuovo anche l'analisi delle relazioni che legano tra di loro le variabili economiche. Keynes infatti pone al centro della propria ricerca il concetto di prodotto o reddito, inteso come il frutto dell'attività lavorativa di tutto un Paese, ed esamina il modo in cui questo prodotto circola all'interno del sistema economico determinando lavoro o disoccupazione, benessere o povertà. Egli divide in quattro categorie i soggetti che a vario titolo partecipano alla produzione dei beni e sono Interessati a domandarli: le famiglie, le imprese, la Pubblica amministrazione, il settore estero (o resto del Mondo). IL RUOLO DELLA MONETA Un altro elemento tipico del metodo keynesiano è l'attenzione per gli aspetti monetari. Nel sistema economico, infatti, a ogni flusso di merci corrisponde sempre un flusso di moneta che si sposta in senso contrario. Gli autori che avevano preceduto Keynes avevano in genere sottovalutato questo aspetto, poiché ritenevano che la moneta fosse solo un “velo”, ovvero un comodo espediente per evitare gli inconvenienti del baratto, ma che la sua presenza nel sistema economico fosse in realtà irrilevante. Keynes comprende invece che la moneta svolge un ruolo importante nell'economia, perché è in grado di influenzare le scelte degli operatori, orientando le decisioni sul risparmio e sugli investimenti. FLUSSI DI MERCI E DENARO Nasce la contabilità nazionale. L'analisi di Keynes costituisce la base di tutta la macroeconomia moderna e del sistema di conti economici nazionali di tutti i Paesi del mondo. Il sistema economico viene descritto come un insieme di flussi di merci e denaro che circolano tra gli operatori economici. Ad esempio le famiglie offrono lavoro alle imprese, dalle quali ricevono reddito sotto forma di salari e profitti. Esse in parte utilizzano questo reddito per acquistare dalle imprese beni e servizi, pagandone il rispettivo prezzo e in parte lo accantonano come risparmio. I risparmi a loro volta, attraverso il sistema bancario, fluiscono verso altre imprese, per finanziare gli investimenti, ossia l'acquisto di beni strumentali da impiegare nel processo produttivo. Le famiglie e le imprese versano parte del loro reddito sotto forma di tributi allo Stato e ricevono beni e servizi di pubblica utilità o trasferimenti di vario tipo. Infine, parte delle merci e dei servizi prodotti da un Paese trova la propria collocazione presso operatori che vivono all'estero (e viceversa). Anche in questo caso ai flussi reali delle merci si contrappongono flussi opposti di denaro. Si pensi ad esempio alle esportazioni e alle importazioni. Ancora oggi tutti i Paesi industrializzati redigono la propria contabilità nazionale, ossia i conti della nazione, utilizzando il sistema di relazioni studiato da Keynes. IL RUOLO DELLA MACROECONOMIA OGGI La politica economica è quella parte dell’economia che studia l’intervento dello Stato nell’economia, principalmente attraverso le politiche economiche (la politica fiscale e la politica monetaria). Le tre variabili fondamentali della politica economica che vengono costantemente tenute sotto osservazione dagli economisti sono: IL LIVELLO DELLA PRODUZIONE IL LIVELLO DELL'OCCUPAZIONE IL LIVELLO DEI PREZZI Perché un sistema economico sia strutturalmente solido è necessario che la crescita del prodotto sia equilibrata e costante, in modo da evitare sottoutilizzazioni delle risorse o eccessi. È importante inoltre ridurre e controllare la disoccupazione. Un alto numero di disoccupati, infatti, non significa solo povertà della popolazione, ma costituisce anche un enorme spreco di risorse. Anche la stabilità dei prezzi è una condizione indispensabile perché l'economia possa funzionare correttamente. Se i prezzi sono stabili, gli operatori possono prendere le loro decisioni in condizioni di maggiore certezza. Nei periodi in cui i prezzi variano di continuo, le decisioni vengono prese con maggiore cautela, si producono distorsioni nell'uso delle risorse e lo sviluppo rallenta inevitabilmente. DRAMMATICI DILEMMI La realtà economica spesso presenta un'evoluzione in cui gli obiettivi delle autorità sono spesso in contraddizione tra di loro. Inoltre i sistemi economici sono continuamente colpiti da shock esterni che impediscono la realizzazione di un regolare processo di sviluppo. Così, per esempio, una crisi petrolifera può far salire i prezzi e al contempo aumentare la disoccupazione, e per le autorità può risultare difficile ridurre tale disoccupazione senza creare ulteriore inflazione. In generale, dunque, la realizzazione degli obiettivi macroeconomici richiede di effettuare scelte che costituiscono veri e propri dilemmi. Si pensi ai dilemmi inflazione/disoccupazione, spesa pubblica/debito pubblico ecc. In questi casi i due obiettivi possono essere incompatibili: una politica economica che si pone un determinato obiettivo, potrebbe determinare l’allontanamento dall’altro obiettivo. Tali scelte, peraltro, non competono agli economisti, ma riguardano piuttosto le autorità di Governo e quindi si configurano come scelte politiche in senso proprio. Il compito degli economisti è quello di prospettare ai governanti gli scenari che si possono configurare. LA CONTABILITÀ NAZIONALE Il prodotto interno lordo (PiI) è l'indicatore più importante della ricchezza di un sistema economico. Il prodotto interno lordo corrisponde al valore complessivo dei beni e dei servizi finali prodotti in un Paese in un dato periodo di tempo. Per tale ragione il PiI è un indice significativo del benessere di un Paese e della sua popolazione: i Paesi ricchi godono di un prodotto interno lordo elevato, mentre un basso livello del PiI è indice di povertà sia del Paese sia della sua popolazione. Il PiI è costantemente controllato dagli uffici statistici di ogni nazione. In Italia questo compito è svolto dall'Istat (Istituto centrale di statistica). Esiste anche un istituto di statistica della Comunità europea: l’Eurostat. Dal 1999 i Paesi dell'Unione europea redigono i propri conti nazionali secondo criteri omogenei che li rendono facilmente confrontabili. La misurazione del PiI si presenta tutt'altro che semplice. Il PiI infatti è formato da un insieme di beni e di servizi molto diversi tra di loro. Per conoscere il suo ammontare dunque dovremmo sommare tra loro quintali di pasta con chilometri di fibre ottiche, tonnellate di automobili e bottoni con litri di latte e vino ecc. Come si misura il Pil? Per risolvere questo problema gli economisti utilizzano come misura del Pil il suo valore, che si ottiene moltiplicando la quantità prodotta di ogni bene o servizio (q) per il rispettivo prezzo (P) e sommando i risultati ottenuti. Tale operazione è possibile perché il valore di qualsiasi merce viene misurato con un'unica unità di misura: il prezzo. Poiché i valori sono grandezze omogenee e si possono sommare tra loro, con una formula possiamo scrivere: Pil = P1q1 + P2q2 + ... + Pnqn = ΣPiqi dove P1, P2 ... Pn indicano i prezzi dei beni e servizi 1, 2, ... n, mentre q1, q2 ... qn indicano le corrispondenti quantità prodotte. Più in generale, se indichiamo con p il prezzo medio di tutte le merci e con Q la quantità totale di beni e servizi prodotti nel sistema economico, possiamo scrivere: Pil = p x Q Beni intermedi e beni finali. Si tratta ora di stabilire se nel calcolo del Pil deve rientrare tutto ciò che viene prodotto o se non è invece necessario operare alcune modifiche contabili. La produzione di molti beni infatti richiede l'impiego di altri beni che vengono detti intermedi (per fare il pane ci vuole la farina). Quando noi comperiamo del pane, paghiamo anche la farina con cui il pane è stato impastato. Dunque, il valore del pane (il prezzo) comprende anche quello della farina. Questo semplice ragionamento può essere esteso a tutti i prodotti. Nel calcolo del PiI devono essere considerati soltanto i beni finali, cioè quelli acquistati dai consumatori e dalle imprese per essere utilizzati e non i beni intermedi il cui valore è già compreso nel valore dei beni finali. I SERVIZI NON COMPRESI NEL PIL Il PiI non include tutte le merci prodotte in un Paese, ma soltanto quelle che vengono scambiate nel mercato. Ne sono perciò esclusi i beni e i servizi prodotti per l'autoconsumo, anche se una stima dei servizi abitativi direttamente goduti dai proprietari di immobili viene inclusa nel PiI. È quindi compreso nel PiI, per esempio, il lavoro della collaboratrice familiare o dell'idraulico regolarmente retribuiti, mentre non è compreso lo stesso servizio se viene reso da un componente del nucleo familiare. Dal PiI sono escluse anche tutte le attività illecite (si pensi alla produzione di stupefacenti). Le attività produttive svolte in nero che costituiscono la cosiddetta economia sommersa sono invece stimate e incluse nel PiI. ALTRI INDICATORI DELLA RICCHEZZA Nelle statistiche ufficiali il valore del PiI è affiancato da altri indicatori della ricchezza del Paese. Il prodotto nazionale lordo (Pnl) comprende l'insieme dei beni e dei servizi prodotti da soggetti residenti in un Paese, anche se sono il risultato di attività svolte all'estero. Per esempio il prodotto di un'azienda di proprietà italiana, situata in Romania, non è compreso nel PiI, ma è compreso nel Pnl. Per passare dal PiI al Pnl bisogna dunque togliere iI valore di tutti i beni prodotti nel Paese da soggetti non residenti e aggiungere iI valore dei beni prodotti all'estero da soggetti residenti. Il prodotto interno netto (Pin) si ottiene togliendo dal Pnl iI valore dei beni logorati nel corso del processo produttivo, vale a dire gli ammortamenti. IL VALORE AGGIUNTO La distinzione tra beni intermedi e beni finali ci consente di introdurre un altro modo di pensare di pensare al Pil. Consideriamo un sistema dove si produce un solo bene, il pane. La produzione del pane richiede farina, la quale a sua volta richiede grano. Possiamo immaginare che nel nostro sistema operino tre aziende: una che produce grano, un'altra che acquista il grano e lo trasforma in farina e una terza che acquista la farina e produce il pane. Due aziende producono beni intermedi e una il prodotto finito. I rapporti fra le tre aziende possono essere così riassunti: SPESE AZIENDA AGRICOLA VALORE PRODOTTO VALORE AGGIUNTO 1000 1000 MULINO 1000 1300 300 PANIFICIO 1300 1700 400 In ogni azienda il valore dei beni prodotti è superiore al valore dei beni intermedi impiegati. La differenza tra queste due grandezze rappresenta il valore addizionale creato da quel particolare processo produttivo e prende il nome di valore aggiunto. Il valore aggiunto dell'azienda agricola è pari a 1.000 euro (ipotizziamo che questa azienda non sostenga spese di produzione e che per produrre il grano utilizzi semente ricavata dalla produzione dell'anno precedente), quello del mulino è di 300 euro e quello del panificio è di 400 euro. La somma dei valori aggiunti di ogni impresa corrisponde al valore del bene finale (il pane) prodotto nel nostro sistema (1.700 euro). Ciò è del tutto logico poiché le produzioni del grano e della farina non rappresentano altro che fasi intermedie della produzione del pane. Il Pil può essere calcolato anche come somma dei valori aggiunti (Va) dei diversi settori produttivi: Pil = ΣVai Questo modo di misurare il PiI, con riferimento alle caratteristiche del valore aggiunto, permette di definire la struttura produttiva di un Paese. Le varie imprese possono infatti essere raggruppate in base al settore produttivo (settore primario, settore secondario e settore terziario). Nei Paesi arretrati o in via di sviluppo, il settore dell'agricoltura è dominante; nei Paesi di nuova industrializzazione è prevalente il settore industriale; nelle nazioni più avanzate la maggior parte del valore aggiunto è prodotto dai servizi. IL PIL E IL REDDITO Se un'impresa, per produrre un valore di 1.000 euro, ne spende 700 in materie prime e prodotti intermedi, avrà creato valore aggiunto per 300 euro. Dopo avere venduto quanto è stato prodotto e avere realizzato il valore di 1.000 euro, per avviare un nuovo ciclo produttivo la nostra impresa dovrà anticiparne nuovamente 700 nell'acquisto di materie prime, mentre i restanti 300 euro saranno utilizzati per pagare i servizi resi da coloro che hanno partecipato a tale processo. Dall'esempio fatto emergono i soggetti che partecipano al processo produttivo: i lavoratori, che riceveranno una parte dei ricavi netti sotto forma di salario; coloro che hanno anticipato i capitali, che riceveranno una remunerazione sotto forma di interessi; chi ha prestato risorse scarse, come gli immobili, che riceverà una rendita; il soggetto pubblico a cui andranno le imposte; e infine la parte residua, che resterà all'imprenditore sotto forma di profitto. Il valore aggiunto prodotto nel sistema non è altro che la somma dei redditi dei diversi soggetti economici tra i quali esso viene distribuito sotto forma di salari, interessi, rendite, imposte e profitti. PIL = VALORE AGGIUNTO SALARI, INTERESSI, RENDITE IMPOSTE, PROFITTI Poiché il valore aggiunto coincide con il PiI, è facile constatare che il PiI può essere - considerato anche come la somma dei redditi di tutti i soggetti che operano nel sistema. economico. Pil, valore aggiunto e reddito sono modi diversi di pensare la medesima grandezza: l'insieme dei beni e dei servizi prodotti nel sistema economico e resi disponibili per la popolazione. PIL = VALORE AGGIUNTO = REDDITO IL PIL PRO CAPITE Per capire il grado di benessere di una popolazione gli economisti si servono del PiI pro capite, che si ottiene dividendo il valore del PiI per il numero degli abitanti. Si tratta tuttavia di un indice soltanto orientativo, poiché considera un valore medio. Pensa ad uno Stato immaginario con due soli abitanti. Un abitante ha un reddito di 10 milioni di euro. L’altro non ha redditi. Prova a calcolare il reddito pro capite e rifletti sul risultato. Quali tra questi Paesi ha il Pil più alto: Italia, Cina o Svizzera? Motiva la tua risposta. Quali tra questi Paesi ha il Pil pro capite più alto: Italia, Cina o Svizzera? Motiva la tua risposta.