Lezione 1 - 2 Prima dei Greci Cretesi e Micenei “Se a un Ateniese colto dell’età di Pericle avessero chiesto di parlare della storia più antica delle città greche, egli non avrebbe avuto difficoltà a raccontare le innumerevoli leggende che circolavano al suo tempo su fatti, dei ed eroi del glorioso passato che ogni città della Grecia antica era orgogliosa di vantare. “Alla tradizione letteraria greca, da Omero in poi, era ben chiara l’esistenza di una età eroica che aveva preceduto le grandi realizzazioni dell’età classica e con la quale la Grecia di Pericle e Fidia si poneva in stretta continuità. “Ma se allo stesso Ateniese colto fosse stato chiesto di indicare con esattezza a quanto indietro nel tempo risalissero eroi, leggende ed eventi narrati dal mito allora la risposta sarebbe stata assai vaga. Del loro passato più antico i Greci non coglievano né l’articolazione culturale né tantomeno la profondità cronologica, che si devono invece esclusivamente alla ricostruzione moderna “La civiltà micenea, che si forma sul continente greco tra la prima e la seconda metà del II millennio a.C., trae origine per molti versi dalla civiltà minoica, che si forma a Creta pochi secoli prima e costituisce il primo esempio in Europa di entità politica e culturale complessa, cioè di entità statale. “Si vuole piuttosto sottolineare come una storia della Grecia antica non sia comprensibile senza porre il giusto accento su fenomeni di continuità e di frattura, i quali sia geograficamente sia cronologicamente devono essere isolati e apprezzati nella loro giusta dimensione. In definitiva l’unicità della Grecia classica si spiega con la forza di una tradizione che da una certa data in poi appare continua, e della quale lingua, memoria storica, “portamenti antropologicamente ricorrenti ed elementi artistici risultano parte integrante. Le Isole del Mar Egeo sono state abitate fin dai tempi più antichi, dapprima ospitando gli embrioni della futura Civiltà Occidentale e poi divenendo il ponte naturale attraverso il quale Europa e Asia hanno commerciato, si sono combattute e si sono studiate vicendevolmente. Tutto ciò è avvenuto nonostante questa sia una delle zone simicamente più instabili del pianeta, costituendo il punto il cui ben quattro placche tettoniche (euroasiatica, egea, turca e africana) si muovono e si sovrappongono. Nel corso dei secoli questi moti hanno generato terremoti, maremoti e attività vulcaniche, ma hanno anche dato vita al fenomeno distruttivo più potente che l’Umanità abbia mai conosciuto, un mostro di terra e di fuoco la cui potenza è superiore a quella di migliaia di testate nucleari. Il suo nome è Thera e questo vuole essere il racconto del suo ultimo, terribile, risveglio e delle ripercussione che esso ha avuto sulla Storia dell’Umanità. I quattro giorni che sconvolsero la Storia Siamo nel Mediterraneo Orientale, in un periodo compreso tra il 1627 a.c. e il 1600 a.c. La Civiltà Minoica ha raggiunto il suo apice di potenza e l’isola di Thera - chiamata anche Santorini - é uno dei suoi capisaldi, forte sia della sua posizione commercialmente strategica sia di una conformazione fisica unica, sviluppandosi come un gigantesco porto naturale con un’unica apertura verso sud. In passato sull’isola si sono già verificate attività eruttive di modeste entità, ma si è trattato sempre di eventi sporadici, che non hanno intaccato il benessere della popolazione e chi sono sempre apparentemente risolti dopo il giusto numero di sacrifici a Poseidone, il dio che scuote la terra: stavolta, però, la situazione è ben diversa e nessuna delle ecatombi fatte dai sacerdoti minoici potrà impedire il disastro che sta nascendo nel sottosuolo. Tutto comincia con una serie di scosse di terremoto che scuotono l’isola per mesi, mentre le acque circostanti divengono ricolme di cadaveri di pesci, uccisi dalle esalazioni di zolfo rilasciate da spaccature sottomarine. I danni sono ingenti e i morti sicuramente molti: dopo aver visto fallire le preghiere e i sacrifici dei loro sacerdoti, gli abitanti si convincono a lasciare Santorini (come suggerito dal fatto che non sono stati trovati scheletri o resti umani sotto i detriti, come invece avvenuto per Pompei) e cercano rifugio sulle isole vicine. Inutilmente. L’intera Thera, infatti, non è altro che un enorme vulcano di tipo pliniano, un genere di vulcano il cui magma particolarmente viscoso tende a trattenere i gas per periodi molto lunghi e genera quindi enormi pressioni nel sottosuolo: le eruzioni di questo tipo sono molto rare e distanziate nel tempo, ma proprio per questo riescono a raggiungere una potenza distruttiva che va ben oltre la semplice fuoriuscita di lava. Sono passati 17.000 anni dall’ultima eruzione e la terra, ormai, non riesce più a trattenere le energie che si sono accumulate sotto di essa: dopo un’esplosione iniziale, dal cono vulcanico comincia a fuoriuscire una densissima colonna di cenere, detta "colonna pliniana", che il vento sposta rapidamente verso est. Tale è la quantità di polveri rilasciata dal Thera da raggiungere persino il Mar Nero e da condizionare il clima dell’intero pianeta, mentre per chilometri e chilometri piovono frammenti piroclastici, ossia frammenti di lava che possono raggiungere anche dimensioni considerevoli (le cosiddette "bombe piroclastiche"), che ovunque portano morte e devastazione. È a questo punto che il vulcano entra nella sua vera fase critica. Dalle spaccature così venutesi a creare, l’acqua marina entra in contatto con il magma rovente, generando un’esplosione immane che spacca l’isola in più punti (facendole assumere la fisionomia attuale, ossia quella di un piccolo arcipelago) e il cui boato è tanto forte da raggiungere persino l’Egitto: con il cono vulcanico in frantumi, un’immensa nube ardente si riversa fuori dalla terra, un fronte di gas la cui temperatura oscilla tra i 500 e i 1200° e che schizza fuori a una velocità di circa 300 km/h. Le conseguenze dell’eruzione del Thera (Santorini): il crollo della Civiltà Minoica All’indomani dell’esplosione di Santorini, la situazione in cui versano Creta e le altre colonie Minoiche è sicuramente drammatica, con una popolazione falciata dal cataclisma e le città devastate dalle esplosioni o dalle onde anomale. I feriti vengono curati e già si cerca di ricostruire ciò che è stato distrutto, ma i danni che il Thera ha causato vanno ben oltre le semplici possibilità di riparazione materiale e feriscono dritto al cuore l’economia e la cultura di questo popolo. Fino a poco tempo prima, infatti, la vita religiosa e politica minoica era stata diretta da una classe sacerdotale femminile legata a una serie di divinità, tra cui spiccava il culto della Potnia, o "Signora", che null’altro era se non il nome cretese con cui veniva identificata la "Grande Madre" delle culture mediterranee pre-indoeuropee. A queste sacerdotesse spettava il compito di interpretare la volontà degli dèi (è dimostrato l’uso dello zafferano come allucinogeno durante i rituali religiosi) e di soddisfarne la volontà tramite il tributo di sacrifici e la celebrazione di giochi rituali (tra i quali la famosa taurocatapsia,il salto del toro immortalato in numerose pitture murali): queste funzioni costituivano anche la base del potere politico di questa classe, che in tal modo manteneva anche importanti funzioni amministrative. È facile immaginare che la fiducia riposta in questa classe sia stata messa drammaticamente in crisi dalla catastrofe del Thera, interpretata come una punizione divina che le sacerdotesse non erano riusciti né a prevedere (l’abbandono di Santorini deve essere stato causato più dai terremoti che da una vera intuizione di ciò che stava per accadere) né, tantomeno, a stornare. Su questo aspetto è utile ricordare come in più di un sito siano state rinvenute tracce che fanno supporre che nei giorni dell’eruzione si fosse tentato di placare gli dèi persino con dei sacrifici umani, pratica che presso i minoici (come presso molte altre cultura antiche) veniva riservata a casi di eccezionale gravità. Il fallimento persino di questi tentativi estremi deve aver influito in maniera molto pesante sui rapporti di forza della società minoica dell’ultimo periodo. A un simile terremoto politico-culturale, si accompagnò sicuramente una crisi profonda di ciò che fino a quel momento era stato il fondamento della potenza minoica, ossia la talassocrazia, il dominio del mare tramite il controllo delle rotte commerciali e l’uso di forti flotte militari Per secoli le navi minoiche avevano solcato i mari dall’Egitto al Mar Nero e dall’Anatolia alla Spagna, divenendo i fornitori pressoché esclusivi di numerosi prodotti, mentre le loro flotte militari ne avevano esteso l’influenza politico-culturale in tutto l’Egeo e in Grecia (quest’ultimo è un punto ancora controverso, anche se la teoria della cosiddetta "pax minoica", che riteneva questo un popolo totalmente pacifico, sta trovando sempre meno seguito presso gli storiografi). All’indomani dell’eruzione di Thera, però, le flotte navali e commerciali sono state in gran parte affondate dagli tsunami o incenerite dalle nubi ardenti, mentre molte infrastrutture portuali sono state distrutte dai terremoti: i minoici si trovano, così, improvvisamente privi del loro principale strumento di potenza e per di più isolati da quelle rotte commerciali che fornivano alle loro comunità quei beni che le loro isole povere e aspre non potevano offrire. La crisi che seguì a questi eventi rappresentò un colpo mortale per la civiltà minoica e anche se le città vennero presto ricostruite, dando inizio al periodo di massimo splendore architettonico e artistico (la cosiddetta "Fase Neopalaziale"), la potenza della talassocrazia era ormai finita per sempre e quella che era stata una delle più grandi potenze del Mediterraneo si avviò lungo un inevitabile declino che avrebbe portato, circa un secolo e mezzo dopo, alla conquista di Creta da parte dei Micenei. Le conseguenze dell’eruzione del Thera: il Mito di Atlantide L’isola di Thera potrebbe essere Atlantide? Di primo acchito questa potrebbe sembrare una domanda banale, di quelle che vengono proposte nei programmi televisivi del mistero per intrigare il pubblico, eppure si tratta di una teoria seria, che ha trovato molti sostenitori tra gli archeologi e gli storici di tutto il mondo Il primo a parlare di Atlantide fu il filosofo ateniese Platone nei suoi dialoghi Timeo e Crizia: nel primo, il personaggio di Crizia (zio dello stesso filosofo e capo dei "Trenta Tiranni" di Atene) racconta ai suoi compagni di come al legislatore ateniese Solone, recatosi in Egitto per completare la propria istruzione, fosse stata raccontata da un sacerdote di Sais un’antichissima storia riguardante la città di Atene. Secondo questo racconto, novemila anni prima, oltre le Colonne d’Ercole era esistito un vasto continente di nome Atlantide, la cui dinastia regnante aveva spinto la propria ambizione fino a conquistare l’Italia e l’Africa fino, per poi tentate di invadere anche la Grecia. Tali progetti di conquista si sarebbero, però, scontrati con la resistenza della città di Atene, che ora da sola, ora al comando di una coalizione pangreca, sarebbe riuscita prima a respingere l’invasione e poi a liberare tutte le terre aldiquà delle Colonne d’Ercole. A questo punto, l’ira degli dei si sarebbe abbattuta su Atlantide, che in un giorno e una notte sarebbe stata inghiottita dal mare da una serie di terrificanti terremoti e inondazioni. Nel Crizia, invece, lo stesso personaggio ne descrive lungamente la storia e la cultura, presentandola come un impero vasto e ricchissimo, per secoli governato in armonia da una stirpe di dieci re discendenti da Poseidone. Nel Crizia, infatti, vi è scritto come questa città sorgesse nel luogo dove Poseidone, allo scopo di proteggere Clito (una ragazza di cui si era innamorato e con si era unito) aveva circondato la collina dove ella viveva e le terre circostanti con tre cerchie di mare e due di terra perfettamente concentriche e di ugual misura. Successivamente, gli Atlantidei, discendenti del dio e di Clito, avrebbero scavato un lunghissimo canale per collegare la loro capitale con il mare esterno. Questa descrizione ricorda molto da vicino di Thera prima dell’esplosione, che si presentava come un’isola di forma circolare (tipica delle isole vulcaniche) con una laguna interna e un’isoletta minore su cui doveva sorgere il cono vulcanico. Altro punto interessante è il rituale che secondo Platone i dieci re compivano prima di giudicare un reo, secondo cui essi dovevano dare la caccia con bastoni e corde fino a quando non riuscivano a catturare un esemplare adatto per il sacrificio propiziatorio. Il toro era uno dei simboli di Creta e tali "cacce" rituali hanno fatto pensare a molti storici alla già citata taurocatapsia, i giochi sacri che nel mondo minoico (non dimentichiamo che Thera era uno dei capisaldi di quella civiltà) precedevano i sacrifici religiosi. Le conseguenze dell’eruzione di Santorini: Ebrei, Egiziani e Cinesi Dalla descrizione precedentemente fatta dell’eruzione e delle sue conseguenze, sorge spontaneo chiedersi se siano mai state trovate testimonianze di un suo impatto presso altre culture, oltre che per quella greca: la risposta non è univoca, ma vi sono studiosi che sostengono come si possano trovare fonti presso testi ebraici, egiziani e cinesi. Per la prima fonte vengono chiamati in causa, in particolare, le famigerate Dieci Piaghe d’Egitto e l’attraversamento del Mar Rosso da parte degli Ebrei: nel suo libro I misteri delle Civiltà Perdute, il giornalista Philips Graham sostiene che entrambi questi eventi siano dovuti all’eruzione del Thera, portando a riprorva di questa sua affermazione i raffronti con le eruzioni del Krakatoa del 1883 e del Mount Saint Helens del 1980. Secondo Graham, ben nove piaghe su dieci troverebbero spiegazione razionale per un’eruzione, dovendosi escludere solo quella della morte dei figli primogeniti (anche se alcuni studiosi sostengono che essa sia una reminescenza del fatto che molti egiziani perirono per aver mangiato cibi contaminati dalla cenere vulcanica, mentre gli ebrei si salvarono e perché si trattava di alimenti a loro proibiti): ecco una sintesi delle spiegazioni da lui fornite. comando di una coalizione pangreca, sarebbe riuscita prima a respingere l’invasione e poi a liberare tutte le terre aldiquà delle Colonne d’Ercole. A questo punto, l’ira degli dei si sarebbe abbattuta su Atlantide, che in un giorno e una notte sarebbe stata inghiottita dal mare da una serie di terrificanti terremoti e inondazioni. Nel Crizia, invece, lo stesso personaggio ne descrive lungamente la storia e la cultura, presentandola come un impero vasto e ricchissimo, per secoli governato in armonia da una stirpe di dieci re discendenti da Poseidone. Nel Crizia, infatti, vi è scritto come questa città sorgesse nel luogo dove Poseidone, allo scopo di proteggere Clito (una ragazza di cui si era innamorato e con si era unito) aveva circondato la collina dove ella viveva e le terre circostanti con tre cerchie di mare e due di terra perfettamente concentriche e di ugual misura. Successivamente, gli Atlantidei, discendenti del dio e di Clito, avrebbero scavato un lunghissimo canale per collegare la loro capitale con il mare esterno. Questa descrizione ricorda molto da vicino di Thera prima dell’esplosione, che si presentava come un’isola di forma circolare (tipica delle isole vulcaniche) con una laguna interna e un’isoletta minore su cui doveva sorgere il cono vulcanico. Altro punto interessante è il rituale che secondo Platone i dieci re compivano prima di giudicare un reo, secondo cui essi dovevano dare la caccia con bastoni e corde fino a quando non riuscivano a catturare un esemplare adatto per il sacrificio propiziatorio. Il toro era uno dei simboli di Creta e tali "cacce" rituali hanno fatto pensare a molti storici alla già citata taurocatapsia, i giochi sacri che nel mondo minoico (non dimentichiamo che Thera era uno dei capisaldi di quella civiltà) precedevano i sacrifici religiosi. Per quanto riguarda l’attraversamento del mare, invece, Graham chiama in causa gli tsunami successivi all’eruzione, che avrebbero fatto ritirare le acque costiere prima del passaggio degli Ebrei, per poi tornare sotto forma di onda anomala, travolgendo l’esercito egiziano al loro inseguimento. Il "mare" attraversato non sarebbe, ovviamente, il Mar Rosso (come fino a ora sostenuto per via di un’errata traduzione dei testi antichi) ma un generico "Mare di Canne", uno specchio d’acqua sul Mediterraneo da molti identificato con i Laghi Amari o il Lago Sirbonico. È interessante notare come vi siano descrizioni molto simili nella seconda fonte individuata, quella egiziana, consistente nel "Papiro di Ipuwer", anche detto "Lamentazioni di Ipuwer". Il manoscritto, ritrovato nei dintorni delle Piramidi di Saqquara, è di difficile datazione (c’è chi sostiene che sia stato scritto addirittura durante il Nuovo Regno, ossia durante il XII secolo a.c.) ma per coloro che sostengono la teoria da noi esaminata, esso risale al periodo dell’eruzione del Thera, o comunque a tale epoca risalirebbe l’originale da cui è tratto. In esso vi sono le lamentazioni dello scrittore per le condizioni in cui versa l’Egitto, tormentato da feroci calamità naturali e dall’anarchia, ma la cosa che desta più stupore è che molte delle disgrazie descritte sono similari alle piaghe bibliche precedentemente analizzate, soprattutto nel punto in cui si accenna alle acque del Nilo mutate in sangue. Per quanto riguarda la terza fonte, invece, si tratta dei cosiddetti Annali di Bambù, antiche cronache che narrano la storia della Cina dal periodo mitologico al III secolo a.c. In particolare, nelle parti in cui si narra del crollo della dinastia Xia, viene descritto l’apparire di una misteriosa nebbia gialla, che avrebbe portato a un inverno precoce e all’inaridimento dei raccolti: anche se il periodo descritto è proprio quello dell’eruzione, sono in pochi a ritenere plausibile questa identificazione, mentre la gran parte degli studiosi se ne discosta. Il mito di Atlantide(dal Crizia) 1) Anche nel Timeo si parla di Atlantide: Solone, andato in Egitto, venne a conoscenza da alcuni sacerdoti egizi di una antica battaglia avvenuta tra gli Atlantidei e gli antenati degli Ateniesi, che vide vincenti gli Ateniesi; secondo i sacerdoti Atlantide era una monarchia molto potente, con enormi mire espansionistiche; situata oltre le Colonne d'Ercole, politicamente controllava l'Africa fino all'Egitto e l'Europa fino all'Italia. Proprio nel periodo della guerra con gli Ateniesi un immenso cataclisma fece sprofondare l'isola sotto l'Oceano, distruggendo per sempre la civiltà di Atlantide. 2) Platone è l'unico a rappresentare una fonte storica scritta su questo misterioso continente scomparso. 3) Si suppone che Platone avesse appreso di Atlantide durante il suo viaggio in Egitto e grazie ai resoconti che ascoltò direttamente dai sacerdoti egizi 4) Il mito risultava già antichissimo ai tempi di Platone, infatti la distruzione del continente è fatta risalire a 9000 anni prima dell'epoca in cui viveva il filosofo. 5) La traduzione che qui riporto è per lo più letterale: riguardo soprattutto a lingue o antiche o con struttura linguistico-sintattica differente dalla nostra ritengo che siano le più valide anche se in un italiano che può apparire non corrente poichè la fedeltà al testo originale garantisce in primis la veridicità delle informazioni in esso contenute. Prima di affrontare il dualismo Atlantidedegenerata contro Atene-virtuosa (soggetto di due dialoghi platonici), è bene ricordare che la narrazione fantastica di società ricche e perfette, è ricorrente nel mondo greco, e si tratta spesso di isole lontane, felici, in cui vige preferibilmente un sistema di tipo socialista e autarchico, con suddivisione dei compiti e possesso comune dei beni. Teopompo di Chio (storico greco, nato il 378-377 a.C.) descrive due città socialmente opposte, Machìmos ed Eusebès, "degli uomini guerrieri" e "degli uomini pii", situate sul lontano continente di Meropia, anch'esse raffigurazione del dualismo oppositivo tra città virtuosa e città materialista. Diodoro Siculo (storico greco, circa 90-20 a.C.), nella sua opera Biblioteca storica, riassume il racconto dell'isola Panchea, narrata da Evemero di Messene (erudito greco, secc. IV-III a.C.); l'isola è situata nei pressi dell'Arabia felice ed è sede della ricca città di Panara, in cui sacerdoti, agricoltori e soldati sono divisi in caste. Sempre nella Biblioteca storica troviamo il ricordo dell'isola descritta dal poco noto Iambulo (forse III sec. a.C), visitata durante un viaggio immaginario tra l'Etiopia e l'India, dove esiste una società perfetta, anche qui divisa in caste, immersa in una natura generosa, le cui ricchezze sono comuni. Diodoro narra anche le vicende di Lipari nelle Eolie, dove i coloni Cnidii e Rodii, attaccati dagli Etruschi nel VI sec. a.C., si dividono in due gruppi, di cui uno coltiva le ricche terre divenute comuni, e l'altro combatte con successo i pirati, individuando così nella realtà storica motivi utopistici. Antonio Diogene (circa I sec. d.C.) è autore d'un romanzo d'avventura, Le meraviglie di là da Tule, i cui personaggi compiono viaggi in giro per il mondo, in tutti i mari interni ed esterni. Ispirandosi forse a Diogene ed ad altri scritti fantastici di viaggi nell'Oceano,Luciano di Samosata (scrittore greco, nato circa nel 120 d.C.) nel suo Storia vera, narra incredibili navigazioni. Oltre alle isole sacre, inaccessibili ai mortali, quali l'isola dei Beati e l'isola dei Sogni, egli descrive anche strani abitanti all'interno di una balena; e fa persino un viaggio immaginario sulla Luna, accorgendosi quanto appaiano piccole, da lassù, le miserie umane della sua Grecia. Com'è naturale, le società utopiche vengono sempre poste provvidenzialmente nei luoghi meno noti, situati ai confini del mondo e cioè anche della realtà, in cui le condizioni ambientali sono abbastanza ricche e i governanti abbastanza saggi e colti da costruire una comunità felice e stabile. Seppure il termine utopia sia composto dalle parole greche ὀυ τόπος (nessun luogo), ha origine relativamente moderna, risalendo al saggio De Optimo reipublicae statu deque nova insula Utopia (1516), di Tommaso Moro (Thomas More, umanista e politico inglese, 1478-1535), dove il suo stato di tipo comunistico, tollerante verso la libertà religiosa, così perfetto da non potersi realizzare nella realtà, è una risposta alle contraddizioni del suo tempo e alle prime notizie che venivano dal Nuovo Mondo. Come accennato Platone pone in conflitto due città: una Atene virtuosa (e perciò invincibile) contro una Atlantide imperialista, sconfinata, ma corrotta. Nel periodo storico esse sono entrambe perdute; il filosofo infatti rende perfetta la sua costruzione, ponendo Atlantide in un luogo non solo lontano e inaccessibile ma anche passato, dimenticato e oggi scomparso. Non manca chi non veda in questo un abile stratagemma per sottrarsi all'onere della prova. Nei suoi due dialoghi intitolati Timeo e Crizia, dal nome dei principali oratori, scritti circa nel 360 a.C., appare brevemente la storia di questa mitica isola. Nella prima parte il Timeo narra che Crizia, riunito una sera con Socrate, Timeo ed Ermocrate, ricorda quel che ascoltò mentre era un fanciullo di dieci anni, e suo nonno novantenne, di nome anch'egli Crizia, spiegava ad un uomo della sua tribù ciò che aveva appreso da Solone (famoso poeta e abile legislatore, approssimativamente 640-560 a.C., che intorno al 590 a.C. diede una costituzione democratica ad Atene). Solone viaggiò molto, in Anatolia, in Oriente e in Egitto. Egli ebbe istruttivi colloqui con alcuni saggi sacerdoti della città di Sais, sul delta del Nilo. Discorrendo con i sacerdoti, racconta Crizia, Solone si mise a parlare di cose antiche, dei primi uomini e del Diluvio che Zeus scatenò sul mondo per punire le società corrotte. Ma i sacerdoti sorridevano, e sostennero che i Greci in storia erano come fanciulli, nel senso che giudicavano antichissimo ciò che veramente antico non era, e ricordavano un diluvio mentre nella storia ve ne erano stati molti, e ricorrenti furono nel mondo terribili fenomeni naturali. Fuoco dal cielo, che colpisce soprattutto chi vive sulle montagne e nei luoghi aridi. Diluvi, che gonfiano i mari e i fiumi, devastando le terre costiere e le pianure. Terremoti, capaci di distruggere intere civiltà. E i sopravvissuti tornano rapidamente in misere condizioni, perdendo il ricordo delle proprie origini, poichè gli uomini difficilmente scrivono e discorrono di storia e filosofia quando è in forse il pane quotidiano. Per fortuna la valle del Nilo è particolarmente protetta da queste catastrofi, e quando il Nilo allaga non è per distruggere, e i loro templi conservano tutto ciò che essi hanno conosciuto anche del più remoto passato. I sacerdoti egizi narravano volentieri a Solone queste storie, poichè dicevano che la Dea Atena, dopo la città di Atene, aveva fondato anche la città di Sais, gemellando così i due popoli. Solone compose un manoscritto di questo racconto (Crizia afferma, nel Dialogo, di esserne in possesso), che narra "la più grande impresa" che Atene avesse mai fatto, e di cui tutto il mondo Mediterraneo doveva essergli grata. Crizia racconta che novemila anni prima (quindi circa nel 9500 a.C.) il mondo era molto diverso. Al di là delle Colonne d'Ercole, in quel mare ben più vasto del Mediterraneo, che si stende oltre lo stretto, sorgeva un'isola grande come Libia e Asia insieme, chiamata Atlantide, da cui si poteva passare ad altre isole, fino ad un enorme continente. Atlantide fu assegnata agli inizi del mondo al dio Poseidone (Nettuno). In mezzo all'isola c'era una vasta pianura, che arrivava a sud fino al mare, e che era ornata alle spalle da monti con vette altissime. Nella pianura c'era una collina; in quel luogo Poseidone giacque con una giovane donna, che era rimasta orfana, e che generò, durante cinque parti, cinque coppie di figli maschi. Quando furono abbastanza grandi, il Dio incaricò quei figli di regnare sulle sue terre, e al primo, cui diede nome Atlante, donò la parte dove sorgeva la casa materna e che era anche la terra più bella di Atlantide. Il Dio difese quel luogo, scavando tutto intorno tre cinte d'acqua, separate da due di terra, creando così un'isola dentro all'isola, e la arricchì poi con due fonti d'acqua, una calda e una fredda. La grande pianura era una terra ricca, che grazie alle piogge abbondanti e all'irrigazione poteva dare frutti due volte l'anno. In Atlantide c'erano pascoli favolosi che riuscivano a nutrire ogni tipo di bestiame, compresi gli elefanti, e vasti boschi, che fornivano abbondante legname per ogni uso. Vi si trovava anche ogni tipo di metalli, tra cui uno prezioso quasi quanto l'oro, di cui oggi si conosce solo il nome: l'oricalco. Le due fonti calda e fredda alimentarono vasche d'ogni tipo, per i re, per i concittadini, per le donne e anche per i cavalli, che disputavano gare nel loro ippodromo. I re che vi regnarono, uno dopo l'altro, abbellirono quei luoghi continuamente. Scavarono un canale che congiungeva l'isola centrale al mare, in modo che fosse raggiungibile dalle navi. Anche la pianura fu circondata con un'enorme fossa, che raccoglieva le acque che scendevano dai monti, e una fittissima rete di altri canali divideva Atlantide in innumerevoli e popolati settori territoriali. Costruirono templi e reggie, ponti e porti. Per queste ricchezze, per quelle che affluivano dall'estero, nel corso di molte generazioni i regni accumularono enormi tesori. Il popolo di Atlantide divenne eccezionalmente numeroso, assai progredito e ricco, e dominava su tutte le isole circostanti, su parte di un enorme e lontano continente occidentale, ed anche sul mondo mediterraneo fino alla Tirrenia (Etruria) e all'Egitto. I sovrani avevano potere di vita e di morte su tutti i sudditi, ma tra loro i rapporti erano regolati dalle leggi che Poseidone aveva imposto, per primi, ai suoi figli. Si riunivano ogni cinque o sei anni, discutendo dei loro interessi, e nei casi in cui la legge era violata diventavano giudici. Prima di giudicare però compivano un rito sacrificale, uccidendo un toro presso una colonna d'oricalco, nel Tempio, su cui le leggi erano incise. Il tempio di Poseidone era contenuto nella reggia, all'interno dell'Acropoli; di barbarica imponenza, era ricco di statue, ornato d'argento, oro, avorio e oricalco. Là erano stati concepiti i figli del Dio, e in loro ricordo ogni anno venivano offerti sacrifici. Negli affollati porti arrivavano imbarcazioni provenienti da tutto il mondo, e ad Atlantide non mancava un grande esercito, che dislocava gli armati più fedeli fin dentro all'Acropoli. La sola provincia del re supremo, la maggiore delle dieci, poteva contare in caso di guerra su 10.000 carri, 120.000 cavalieri e altrettanti arcieri, più un gran numero di armati in vario modo (un esercito totale di oltre 1 milione di soldati), e 240.000 marinai su 1.200 navi. I primi re, figli di Poseidone, avevano in sé una forte natura divina, sapevano gestire il potere con saggezza, e la ricchezza era per loro quasi un fardello che, inevitabilmente, cresceva grazie alla loro virtù. Ma ad ogni generazione la natura divina si mescolava con quella umana, finchè la virtù dei re si corruppe, essi degenerarono, e il desiderio di possedere il mondo intero li conquistò. Forti della loro potenza, un giorno, i re tentarono di sottomettere anche gli altri popoli mediterranei, per dominare infine anche sull'Asia. Non dimentichiamo che anche l'Atene di quel periodo, forse la vera città utopica del racconto, era però molto diversa. Prima che il tempo ne inquinasse la purezza, la sua civiltà non aveva pari. Intorno alla città grandi pianure, più estese di oggi, fertili, grasse, sempre nutrite d'acqua, davano abbondanti provviste a tutta la popolazione. C'erano boschi e pascoli per il bestiame. Piogge e diluvi eroderanno queste terre, lasciandole oggi, a paragone, impoverite come le ossa di un corpo infermo. La città era retta da leggi sagge. La classe militare viveva separata dagli altri cittadini, senza fasti, ma con decoro; contava circa ventimila guerrieri, uomini e donne, come mai il mondo ne vide. La guerra che impegnò Atene e la Grecia, contro l'improvvisa aggressione, ha comunque del favoloso. La città arrivò a sostenere quasi da sola l'urto degli eserciti invasori. I sacerdoti, nel loro racconto, ricordano con affetto come Atene riuscì, assai generosamente, a liberare molti popoli oppressi, respingendo il nemico nell'Oceano. Ma Zeus osservava da tempo la stirpe di Poseidone e ne era deluso. Giudicò quel mondo ormai troppo degenerato e meritevole di una tremenda punizione. Terremoti e inondazioni devastarono la Terra, fin quando, durante un giorno e una notte, Atlantide sprofondò nel mare, e inghiottito dalla terra fu anche l'esercito ateniese L'Oceano, un tempo navigabile, divenne impraticabile e pericoloso, fino ad oggi, per le melme che lo sprofondamento aveva sollevato. E della gloriosa Atene rischia di scomparire anche il ricordo di questa incredibile vittoria militare, la più grande impresa di tutti i tempi. Mito di Atlantide Presunte posizioni di Atlantide Esempio di mura ciclopiche Porta del Leoni a Micene Tavoletta in Lineare B, da Pilo Il disco di Phaistos (Festo) Gli Achei e la civiltà micenea