Lezione 1 - 2: Cretesi e Micenei

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Lezione 1 - 2
Prima dei Greci
Cretesi e Micenei
“Se a un Ateniese colto dell’età di Pericle avessero
chiesto di parlare della storia più antica delle città
greche, egli non avrebbe avuto difficoltà a raccontare
le innumerevoli leggende che circolavano al suo
tempo su fatti, dei ed eroi del glorioso passato che
ogni città della Grecia antica era orgogliosa di
vantare.
“Alla tradizione letteraria greca, da Omero in poi, era
ben chiara l’esistenza di una età eroica che aveva
preceduto le grandi realizzazioni dell’età classica e
con la quale la Grecia di Pericle e Fidia si poneva in
stretta continuità.
“Ma se allo stesso Ateniese colto fosse stato chiesto
di indicare con esattezza a quanto indietro nel tempo
risalissero eroi, leggende ed eventi narrati dal mito
allora la risposta sarebbe stata assai vaga. Del loro
passato più antico i Greci non coglievano né
l’articolazione culturale né tantomeno la profondità
cronologica, che si devono invece esclusivamente
alla ricostruzione moderna
“La civiltà micenea, che si forma sul continente greco
tra la prima e la seconda metà del II millennio a.C.,
trae origine per molti versi dalla civiltà minoica, che
si forma a Creta pochi secoli prima e costituisce il
primo esempio in Europa di entità politica e culturale
complessa, cioè di entità statale.
“Si vuole piuttosto sottolineare come una storia della
Grecia antica non sia comprensibile senza porre il
giusto accento su fenomeni di continuità e di
frattura, i quali sia geograficamente sia
cronologicamente devono essere isolati e apprezzati
nella loro giusta dimensione. In definitiva l’unicità
della Grecia classica si spiega con la forza di una
tradizione che da una certa data in poi appare
continua, e della quale lingua, memoria storica,
“portamenti antropologicamente ricorrenti ed
elementi artistici risultano parte integrante.
Le Isole del Mar Egeo sono state abitate fin dai tempi più
antichi, dapprima ospitando gli embrioni della futura Civiltà
Occidentale e poi divenendo il ponte naturale attraverso il
quale Europa e Asia hanno commerciato, si sono combattute
e si sono studiate vicendevolmente.
Tutto ciò è avvenuto nonostante questa sia una delle zone
simicamente più instabili del pianeta, costituendo il punto il
cui ben quattro placche tettoniche (euroasiatica, egea, turca
e africana) si muovono e si sovrappongono.
Nel corso dei secoli questi moti hanno generato terremoti,
maremoti e attività vulcaniche, ma hanno anche dato vita
al fenomeno distruttivo più potente che l’Umanità abbia
mai conosciuto, un mostro di terra e di fuoco la cui potenza
è superiore a quella di migliaia di testate nucleari.
Il suo nome è Thera e questo vuole essere il racconto del suo
ultimo, terribile, risveglio e delle ripercussione che esso ha
avuto sulla Storia dell’Umanità.
I quattro giorni che sconvolsero la Storia
Siamo nel Mediterraneo Orientale, in un periodo compreso
tra il 1627 a.c. e il 1600 a.c.
La Civiltà Minoica ha raggiunto il suo apice di potenza e
l’isola di Thera - chiamata anche Santorini - é uno dei suoi
capisaldi, forte sia della sua posizione commercialmente
strategica sia di una conformazione fisica unica,
sviluppandosi come un gigantesco porto naturale con
un’unica apertura verso sud.
In passato sull’isola si sono già verificate attività eruttive di
modeste entità, ma si è trattato sempre di eventi sporadici,
che non hanno intaccato il benessere della popolazione e chi
sono sempre apparentemente risolti dopo il giusto numero
di sacrifici a Poseidone, il dio che scuote la terra: stavolta,
però, la situazione è ben diversa e
nessuna delle ecatombi fatte dai
sacerdoti minoici potrà impedire il
disastro che sta nascendo nel
sottosuolo.
Tutto comincia con una serie di scosse di terremoto che
scuotono l’isola per mesi, mentre le acque circostanti
divengono ricolme di cadaveri di pesci, uccisi dalle esalazioni
di zolfo rilasciate da spaccature sottomarine.
I danni sono ingenti e i morti sicuramente molti: dopo aver
visto fallire le preghiere e i sacrifici dei loro sacerdoti, gli
abitanti si convincono a lasciare Santorini (come suggerito
dal fatto che non sono stati trovati scheletri o resti umani
sotto i detriti, come invece avvenuto per Pompei) e cercano
rifugio sulle isole vicine.
Inutilmente.
L’intera Thera, infatti, non è altro che un enorme vulcano di
tipo pliniano, un genere di vulcano il cui magma
particolarmente viscoso tende a trattenere i gas per periodi
molto lunghi e genera quindi enormi pressioni nel
sottosuolo: le eruzioni di questo tipo sono molto rare e
distanziate nel tempo, ma proprio per questo riescono a
raggiungere una potenza distruttiva che va ben oltre la
semplice fuoriuscita di lava.
Sono passati 17.000 anni dall’ultima eruzione e la terra,
ormai, non riesce più a trattenere le energie che si sono
accumulate sotto di essa: dopo un’esplosione iniziale, dal
cono vulcanico comincia a fuoriuscire una densissima
colonna di cenere, detta "colonna pliniana", che il vento
sposta rapidamente verso est. Tale è la quantità di polveri
rilasciata dal Thera da raggiungere persino il Mar Nero e
da condizionare il clima dell’intero pianeta, mentre per
chilometri e chilometri piovono frammenti piroclastici, ossia
frammenti di lava che possono raggiungere anche
dimensioni considerevoli (le cosiddette "bombe
piroclastiche"), che ovunque portano morte e devastazione.
È a questo punto che il vulcano entra nella sua
vera fase critica. Dalle spaccature così venutesi
a creare, l’acqua marina entra in contatto con il
magma rovente, generando un’esplosione
immane che spacca l’isola in più punti
(facendole assumere la fisionomia attuale,
ossia quella di un piccolo arcipelago) e il cui
boato è tanto forte da raggiungere persino
l’Egitto: con il cono vulcanico in frantumi,
un’immensa nube ardente si riversa fuori dalla
terra, un fronte di gas la cui temperatura oscilla
tra i 500 e i 1200° e che schizza fuori a una
velocità di circa 300 km/h.
Le conseguenze dell’eruzione del Thera
(Santorini): il crollo della Civiltà Minoica
All’indomani dell’esplosione di Santorini, la
situazione in cui versano Creta e le altre
colonie Minoiche è sicuramente drammatica,
con una popolazione falciata dal cataclisma e le
città devastate dalle esplosioni o dalle onde
anomale. I feriti vengono curati e già si cerca di
ricostruire ciò che è stato distrutto, ma i danni
che il Thera ha causato vanno ben oltre le
semplici possibilità di riparazione materiale e
feriscono dritto al cuore l’economia e la cultura
di questo popolo.
Fino a poco tempo prima, infatti, la vita
religiosa e politica minoica era stata diretta da
una classe sacerdotale femminile legata a una
serie di divinità, tra cui spiccava il culto
della Potnia, o "Signora", che null’altro era se non il nome
cretese con cui veniva identificata la "Grande Madre" delle
culture mediterranee pre-indoeuropee.
A queste sacerdotesse spettava il compito di interpretare la
volontà degli dèi (è dimostrato l’uso dello zafferano come
allucinogeno durante i rituali religiosi) e di soddisfarne la
volontà tramite il tributo di sacrifici e la celebrazione di
giochi rituali (tra i quali la famosa taurocatapsia,il salto del
toro immortalato in numerose pitture murali): queste
funzioni costituivano anche la base del potere politico di
questa classe, che in tal modo manteneva anche importanti
funzioni amministrative.
È facile immaginare che la fiducia riposta in questa classe sia
stata messa drammaticamente in crisi dalla catastrofe del
Thera, interpretata come una punizione divina che le
sacerdotesse non erano riusciti né a prevedere (l’abbandono
di Santorini deve essere stato causato più dai terremoti che
da una vera intuizione di ciò che stava per accadere) né,
tantomeno, a stornare. Su questo aspetto è utile ricordare
come in più di un sito siano state rinvenute tracce che fanno
supporre che nei giorni dell’eruzione si fosse tentato di
placare gli dèi persino con dei sacrifici umani, pratica che
presso i minoici (come presso molte altre cultura antiche)
veniva riservata a casi di eccezionale gravità.
Il fallimento persino di questi tentativi estremi deve aver
influito in maniera molto pesante sui rapporti di forza della
società minoica dell’ultimo periodo.
A un simile terremoto politico-culturale, si
accompagnò sicuramente una crisi profonda di
ciò che fino a quel momento era stato il
fondamento della potenza minoica, ossia
la talassocrazia, il dominio del mare tramite il
controllo delle rotte commerciali e l’uso di forti
flotte militari
Per secoli le navi minoiche avevano solcato i
mari dall’Egitto al Mar Nero e dall’Anatolia alla
Spagna, divenendo i fornitori pressoché
esclusivi di numerosi prodotti, mentre le loro
flotte militari ne avevano esteso l’influenza
politico-culturale in tutto l’Egeo e in Grecia
(quest’ultimo è un punto ancora controverso,
anche se la teoria della cosiddetta "pax
minoica", che riteneva questo un popolo
totalmente pacifico, sta trovando sempre
meno seguito presso gli storiografi).
All’indomani dell’eruzione di Thera, però, le
flotte navali e commerciali sono state in gran
parte affondate dagli tsunami o incenerite
dalle nubi ardenti, mentre molte infrastrutture
portuali sono state distrutte dai terremoti: i
minoici si trovano, così, improvvisamente privi
del loro principale strumento di potenza e per
di più isolati da quelle rotte commerciali che
fornivano alle loro comunità quei beni che le
loro isole povere e aspre non potevano offrire.
La crisi che seguì a questi eventi rappresentò un colpo
mortale per la civiltà minoica e anche se le città vennero
presto ricostruite, dando inizio al periodo di massimo
splendore architettonico e artistico (la cosiddetta "Fase
Neopalaziale"), la potenza della talassocrazia era ormai finita
per sempre e quella che era stata una delle più grandi
potenze del Mediterraneo si avviò lungo un inevitabile
declino che avrebbe portato, circa un secolo e mezzo dopo,
alla conquista di Creta da parte dei Micenei.
Le conseguenze dell’eruzione del Thera: il Mito di Atlantide
L’isola di Thera potrebbe essere Atlantide?
Di primo acchito questa potrebbe sembrare una domanda
banale, di quelle che vengono proposte nei programmi
televisivi del mistero per intrigare il pubblico, eppure si
tratta di una teoria seria, che ha trovato molti sostenitori tra
gli archeologi e gli storici di tutto il mondo
Il primo a parlare di Atlantide fu il filosofo
ateniese Platone nei suoi dialoghi Timeo e Crizia: nel primo,
il personaggio di Crizia (zio dello stesso filosofo e capo dei
"Trenta Tiranni" di Atene) racconta ai suoi compagni di come
al legislatore ateniese Solone, recatosi in Egitto per
completare la propria istruzione, fosse stata raccontata da
un sacerdote di Sais un’antichissima storia riguardante la
città di Atene.
Secondo questo racconto, novemila anni prima, oltre le
Colonne d’Ercole era esistito un vasto continente di nome
Atlantide, la cui dinastia regnante aveva spinto la propria
ambizione fino a conquistare l’Italia e l’Africa fino, per poi
tentate di invadere anche la Grecia.
Tali progetti di conquista si sarebbero, però, scontrati con la
resistenza della città di Atene, che ora da sola, ora al
comando di una coalizione pangreca, sarebbe
riuscita prima a respingere l’invasione e poi a
liberare tutte le terre aldiquà delle Colonne
d’Ercole. A questo punto, l’ira degli dei si
sarebbe abbattuta su Atlantide, che in un
giorno e una notte sarebbe stata inghiottita dal
mare da una serie di terrificanti terremoti e
inondazioni.
Nel Crizia, invece, lo stesso personaggio ne
descrive lungamente la storia e la cultura,
presentandola come un impero vasto e
ricchissimo, per secoli governato in armonia da
una stirpe di dieci re discendenti da Poseidone.
Nel Crizia, infatti, vi è scritto come questa città
sorgesse nel luogo dove Poseidone, allo scopo
di proteggere Clito (una ragazza di cui si era
innamorato e con si era unito) aveva
circondato la collina dove ella viveva e le terre
circostanti con tre cerchie di mare e due di
terra perfettamente concentriche e di ugual
misura. Successivamente, gli Atlantidei,
discendenti del dio e di Clito, avrebbero
scavato un lunghissimo canale per collegare la
loro capitale con il mare esterno.
Questa descrizione ricorda molto da vicino di
Thera prima dell’esplosione, che si presentava
come un’isola di forma circolare (tipica delle
isole vulcaniche) con una laguna interna e
un’isoletta minore su cui doveva sorgere il
cono vulcanico.
Altro punto interessante è il rituale che
secondo Platone i dieci re compivano prima di
giudicare un reo, secondo cui essi dovevano dare la caccia
con bastoni e corde fino a quando non riuscivano a catturare
un esemplare adatto per il sacrificio propiziatorio.
Il toro era uno dei simboli di Creta e tali "cacce" rituali
hanno fatto pensare a molti storici alla già citata
taurocatapsia, i giochi sacri che nel mondo minoico (non
dimentichiamo che Thera era uno dei capisaldi di quella
civiltà) precedevano i sacrifici religiosi.
Le conseguenze dell’eruzione di Santorini: Ebrei, Egiziani e
Cinesi
Dalla descrizione precedentemente fatta dell’eruzione e
delle sue conseguenze, sorge spontaneo chiedersi se siano
mai state trovate testimonianze di un suo impatto presso
altre culture, oltre che per quella greca: la risposta non è
univoca, ma vi sono studiosi che sostengono come si
possano trovare fonti presso testi ebraici, egiziani e cinesi.
Per la prima fonte vengono chiamati in causa, in particolare,
le famigerate Dieci Piaghe d’Egitto e l’attraversamento del
Mar Rosso da parte degli Ebrei: nel suo libro I misteri delle
Civiltà Perdute, il giornalista Philips Graham sostiene che
entrambi questi eventi siano dovuti all’eruzione del Thera,
portando a riprorva di questa sua affermazione i raffronti
con le eruzioni del Krakatoa del 1883 e del Mount Saint
Helens del 1980.
Secondo Graham, ben nove piaghe su dieci troverebbero
spiegazione razionale per un’eruzione, dovendosi escludere
solo quella della morte dei figli primogeniti (anche se alcuni
studiosi sostengono che essa sia una reminescenza del fatto
che molti egiziani perirono per aver mangiato cibi
contaminati dalla cenere vulcanica, mentre gli ebrei si
salvarono e perché si trattava di alimenti a loro proibiti):
ecco una sintesi delle spiegazioni da lui fornite.
comando di una coalizione pangreca, sarebbe
riuscita prima a respingere l’invasione e poi a
liberare tutte le terre aldiquà delle Colonne
d’Ercole. A questo punto, l’ira degli dei si
sarebbe abbattuta su Atlantide, che in un
giorno e una notte sarebbe stata inghiottita dal
mare da una serie di terrificanti terremoti e
inondazioni.
Nel Crizia, invece, lo stesso personaggio ne
descrive lungamente la storia e la cultura,
presentandola come un impero vasto e
ricchissimo, per secoli governato in armonia da
una stirpe di dieci re discendenti da Poseidone.
Nel Crizia, infatti, vi è scritto come questa città
sorgesse nel luogo dove Poseidone, allo scopo
di proteggere Clito (una ragazza di cui si era
innamorato e con si era unito) aveva
circondato la collina dove ella viveva e le terre
circostanti con tre cerchie di mare e due di
terra perfettamente concentriche e di ugual
misura. Successivamente, gli Atlantidei,
discendenti del dio e di Clito, avrebbero
scavato un lunghissimo canale per collegare la
loro capitale con il mare esterno.
Questa descrizione ricorda molto da vicino di
Thera prima dell’esplosione, che si presentava
come un’isola di forma circolare (tipica delle
isole vulcaniche) con una laguna interna e
un’isoletta minore su cui doveva sorgere il
cono vulcanico.
Altro punto interessante è il rituale che
secondo Platone i dieci re compivano prima di
giudicare un reo, secondo cui essi dovevano dare la caccia con
bastoni e corde fino a quando non riuscivano a catturare un
esemplare adatto per il sacrificio propiziatorio.
Il toro era uno dei simboli di Creta e tali "cacce" rituali hanno
fatto pensare a molti storici alla già citata taurocatapsia, i
giochi sacri che nel mondo minoico (non dimentichiamo che
Thera era uno dei capisaldi di quella civiltà) precedevano i
sacrifici religiosi.
Per quanto riguarda l’attraversamento del mare,
invece, Graham chiama in causa gli tsunami
successivi all’eruzione, che avrebbero fatto ritirare le
acque costiere prima del passaggio degli Ebrei, per
poi tornare sotto forma di onda anomala,
travolgendo l’esercito egiziano al loro inseguimento.
Il "mare" attraversato non sarebbe, ovviamente, il
Mar Rosso (come fino a ora sostenuto per via di
un’errata traduzione dei testi antichi) ma un
generico "Mare di Canne", uno specchio d’acqua sul
Mediterraneo da molti identificato con i Laghi Amari
o il Lago Sirbonico.
È interessante notare come vi siano descrizioni
molto simili nella seconda fonte individuata, quella
egiziana, consistente nel "Papiro di Ipuwer", anche
detto "Lamentazioni di Ipuwer".
Il manoscritto, ritrovato nei dintorni delle Piramidi
di Saqquara, è di difficile datazione (c’è chi sostiene
che sia stato scritto addirittura durante il Nuovo
Regno, ossia durante il XII secolo a.c.) ma per coloro
che sostengono la teoria da noi esaminata, esso
risale al periodo dell’eruzione del Thera, o
comunque a tale epoca risalirebbe l’originale da cui
è tratto.
In esso vi sono le lamentazioni dello scrittore per le
condizioni in cui versa l’Egitto, tormentato da feroci
calamità naturali e dall’anarchia, ma la cosa che
desta più stupore è che molte delle disgrazie
descritte sono similari alle piaghe bibliche
precedentemente analizzate, soprattutto nel punto
in cui si accenna alle acque del Nilo mutate in
sangue.
Per quanto riguarda la terza fonte, invece, si
tratta dei cosiddetti Annali di Bambù, antiche
cronache che narrano la storia della Cina dal
periodo mitologico al III secolo a.c.
In particolare, nelle parti in cui si narra del crollo
della dinastia Xia, viene descritto l’apparire di
una misteriosa nebbia gialla, che avrebbe
portato a un inverno precoce e all’inaridimento
dei raccolti: anche se il periodo descritto è
proprio quello dell’eruzione, sono in pochi a
ritenere plausibile questa identificazione,
mentre la gran parte degli studiosi se ne
discosta.
Il mito di Atlantide(dal Crizia)
1) Anche nel Timeo si parla di Atlantide:
Solone, andato in Egitto, venne a conoscenza
da alcuni sacerdoti egizi di una antica battaglia
avvenuta tra gli Atlantidei e gli antenati degli
Ateniesi, che vide vincenti gli Ateniesi;
secondo i sacerdoti Atlantide era una
monarchia molto potente, con enormi mire
espansionistiche; situata oltre le Colonne
d'Ercole, politicamente controllava l'Africa
fino all'Egitto e l'Europa fino all'Italia. Proprio
nel periodo della guerra con gli Ateniesi un
immenso cataclisma fece sprofondare l'isola
sotto l'Oceano, distruggendo per sempre la
civiltà di Atlantide.
2) Platone è l'unico a rappresentare una fonte
storica scritta su questo misterioso continente
scomparso.
3) Si suppone che Platone avesse appreso di
Atlantide durante il suo viaggio in Egitto e
grazie ai resoconti che ascoltò direttamente
dai sacerdoti egizi
4) Il mito risultava già antichissimo ai tempi di
Platone, infatti la distruzione del continente è
fatta risalire a 9000 anni prima dell'epoca in
cui viveva il filosofo.
5) La traduzione che qui riporto è per lo
più letterale: riguardo soprattutto a lingue o
antiche o con struttura linguistico-sintattica
differente dalla nostra ritengo che siano le più
valide anche se in un italiano che può apparire
non corrente poichè la fedeltà al testo
originale garantisce in primis la veridicità delle
informazioni in esso contenute.
Prima di affrontare il dualismo Atlantidedegenerata contro Atene-virtuosa (soggetto di
due dialoghi platonici), è bene ricordare che la
narrazione fantastica di società ricche e
perfette, è ricorrente nel mondo greco, e si
tratta spesso di isole lontane, felici, in cui vige
preferibilmente un sistema di tipo socialista e
autarchico, con suddivisione dei compiti e
possesso comune dei beni.
Teopompo di Chio (storico greco, nato il
378-377 a.C.) descrive due città socialmente
opposte, Machìmos ed Eusebès, "degli uomini
guerrieri" e "degli uomini pii", situate sul
lontano continente di Meropia, anch'esse
raffigurazione del dualismo oppositivo tra
città virtuosa e città materialista.
Diodoro Siculo (storico greco, circa 90-20
a.C.), nella sua opera Biblioteca storica,
riassume il racconto dell'isola Panchea,
narrata da Evemero di Messene (erudito
greco, secc. IV-III a.C.); l'isola è situata nei
pressi dell'Arabia felice ed è sede della ricca
città di Panara, in cui sacerdoti, agricoltori e
soldati sono divisi in caste. Sempre nella
Biblioteca storica troviamo il ricordo dell'isola
descritta dal poco noto Iambulo (forse III sec.
a.C), visitata durante un viaggio immaginario
tra l'Etiopia e l'India, dove esiste una società
perfetta, anche qui divisa in caste, immersa in
una natura generosa, le cui ricchezze sono
comuni. Diodoro narra anche le vicende di
Lipari nelle Eolie, dove i coloni Cnidii e Rodii,
attaccati dagli Etruschi nel VI sec. a.C., si
dividono in due gruppi, di cui uno coltiva le
ricche terre divenute comuni, e l'altro
combatte con successo i pirati, individuando
così nella realtà storica motivi utopistici.
Antonio Diogene (circa I sec. d.C.) è autore
d'un romanzo d'avventura, Le meraviglie di là
da Tule, i cui personaggi compiono viaggi in
giro per il mondo, in tutti i mari interni ed
esterni.
Ispirandosi forse a Diogene ed ad altri scritti
fantastici di viaggi nell'Oceano,Luciano di
Samosata (scrittore greco, nato circa nel 120
d.C.) nel suo Storia vera, narra incredibili
navigazioni. Oltre alle isole sacre, inaccessibili
ai mortali, quali l'isola dei Beati e l'isola dei
Sogni, egli descrive anche strani abitanti
all'interno di una balena; e fa persino un
viaggio immaginario sulla Luna, accorgendosi
quanto appaiano piccole, da lassù, le miserie
umane della sua Grecia.
Com'è naturale, le società utopiche vengono
sempre poste provvidenzialmente nei luoghi
meno noti, situati ai confini del mondo e cioè
anche della realtà, in cui le condizioni
ambientali sono abbastanza ricche e i
governanti abbastanza saggi e colti da
costruire una comunità felice e stabile.
Seppure il termine utopia sia composto dalle
parole greche ὀυ τόπος (nessun luogo), ha
origine relativamente moderna, risalendo al
saggio De Optimo reipublicae statu deque
nova insula Utopia (1516), di Tommaso
Moro (Thomas More, umanista e politico
inglese, 1478-1535), dove il suo stato di tipo
comunistico, tollerante verso la libertà
religiosa, così perfetto da non potersi
realizzare nella realtà, è una risposta alle
contraddizioni del suo tempo e alle prime
notizie che venivano dal Nuovo Mondo.
Come accennato Platone pone in conflitto due
città: una Atene virtuosa (e perciò invincibile)
contro una Atlantide imperialista, sconfinata, ma
corrotta. Nel periodo storico esse sono entrambe
perdute; il filosofo infatti rende perfetta la sua
costruzione, ponendo Atlantide in un luogo non
solo lontano e inaccessibile ma anche passato,
dimenticato e oggi scomparso. Non manca chi
non veda in questo un abile stratagemma per
sottrarsi
all'onere
della
prova.
Nei suoi due dialoghi intitolati Timeo e Crizia, dal
nome dei principali oratori, scritti circa nel 360
a.C., appare brevemente la storia di questa mitica
isola. Nella prima parte il Timeo narra che Crizia,
riunito una sera con Socrate, Timeo ed Ermocrate,
ricorda quel che ascoltò mentre era un fanciullo di
dieci anni, e suo nonno novantenne, di nome
anch'egli Crizia, spiegava ad un uomo della sua
tribù ciò che aveva appreso da Solone (famoso
poeta e abile legislatore, approssimativamente
640-560 a.C., che intorno al 590 a.C. diede una
costituzione democratica ad Atene). Solone
viaggiò molto, in Anatolia, in Oriente e in Egitto.
Egli ebbe istruttivi colloqui con alcuni saggi
sacerdoti della città di Sais, sul delta del Nilo.
Discorrendo con i sacerdoti, racconta Crizia,
Solone si mise a parlare di cose antiche, dei primi
uomini e del Diluvio che Zeus scatenò sul mondo
per punire le società corrotte.
Ma i sacerdoti sorridevano, e sostennero che i
Greci in storia erano come fanciulli, nel senso che
giudicavano antichissimo ciò che veramente
antico non era, e ricordavano un diluvio mentre
nella storia ve ne erano stati molti, e ricorrenti
furono nel mondo terribili fenomeni naturali.
Fuoco dal cielo, che colpisce soprattutto chi vive
sulle montagne e nei luoghi aridi. Diluvi, che
gonfiano i mari e i fiumi, devastando le terre
costiere e le pianure. Terremoti, capaci di
distruggere intere civiltà. E i sopravvissuti tornano
rapidamente in misere condizioni, perdendo il
ricordo delle proprie origini, poichè gli uomini
difficilmente scrivono e discorrono di storia e
filosofia quando è in forse il pane quotidiano. Per
fortuna la valle del Nilo è particolarmente protetta
da queste catastrofi, e quando il Nilo allaga non è
per distruggere, e i loro templi conservano tutto
ciò che essi hanno conosciuto anche del più
remoto passato.
I sacerdoti egizi narravano volentieri a Solone
queste storie, poichè dicevano che la Dea Atena,
dopo la città di Atene, aveva fondato anche la città
di Sais, gemellando così i due popoli. Solone
compose un manoscritto di questo racconto
(Crizia afferma, nel Dialogo, di esserne in
possesso), che narra "la più grande impresa" che
Atene avesse mai fatto, e di cui tutto il mondo
Mediterraneo doveva essergli grata.
Crizia racconta che novemila anni prima (quindi
circa nel 9500 a.C.) il mondo era molto diverso. Al
di là delle Colonne d'Ercole, in quel mare ben più
vasto del Mediterraneo, che si stende oltre lo
stretto, sorgeva un'isola grande come Libia e Asia
insieme, chiamata Atlantide, da cui si poteva
passare ad altre isole, fino ad un enorme
continente. Atlantide fu assegnata agli inizi del
mondo al dio Poseidone (Nettuno). In mezzo
all'isola c'era una vasta pianura, che arrivava a sud
fino al mare, e che era ornata alle spalle da monti
con vette altissime. Nella pianura c'era una collina;
in quel luogo Poseidone giacque con una giovane
donna, che era rimasta orfana, e che generò,
durante cinque parti, cinque coppie di figli maschi.
Quando furono abbastanza grandi, il Dio incaricò
quei figli di regnare sulle sue terre, e al primo, cui
diede nome Atlante, donò la parte dove sorgeva la
casa materna e che era anche la terra più bella di
Atlantide. Il Dio difese quel luogo, scavando tutto
intorno tre cinte d'acqua, separate da due di terra,
creando così un'isola dentro all'isola, e la arricchì
poi con due fonti d'acqua, una calda e una fredda.
La grande pianura era una terra ricca, che grazie
alle piogge abbondanti e all'irrigazione poteva
dare frutti due volte l'anno. In Atlantide c'erano
pascoli favolosi che riuscivano a nutrire ogni tipo di
bestiame, compresi gli elefanti, e vasti boschi, che
fornivano abbondante legname per ogni uso.
Vi si trovava anche ogni tipo di metalli, tra cui uno
prezioso quasi quanto l'oro, di cui oggi si conosce
solo il nome: l'oricalco. Le due fonti calda e fredda
alimentarono vasche d'ogni tipo, per i re, per i
concittadini, per le donne e anche per i cavalli, che
disputavano gare nel loro ippodromo.
I re che vi regnarono, uno dopo l'altro, abbellirono
quei luoghi continuamente. Scavarono un canale
che congiungeva l'isola centrale al mare, in modo
che fosse raggiungibile dalle navi. Anche la pianura
fu circondata con un'enorme fossa, che raccoglieva
le acque che scendevano dai monti, e una
fittissima rete di altri canali divideva Atlantide in
innumerevoli e popolati settori territoriali.
Costruirono templi e reggie, ponti e porti. Per
queste ricchezze, per quelle che affluivano
dall'estero, nel corso di molte generazioni i regni
accumularono enormi tesori.
Il popolo di Atlantide divenne eccezionalmente
numeroso, assai progredito e ricco, e dominava su
tutte le isole circostanti, su parte di un enorme e
lontano continente occidentale, ed anche sul
mondo mediterraneo fino alla Tirrenia (Etruria) e
all'Egitto.
I sovrani avevano potere di vita e di morte su tutti i
sudditi, ma tra loro i rapporti erano regolati dalle
leggi che Poseidone aveva imposto, per primi, ai
suoi figli.
Si riunivano ogni cinque o sei anni, discutendo dei loro
interessi, e nei casi in cui la legge era violata
diventavano giudici. Prima di giudicare però compivano
un rito sacrificale, uccidendo un toro presso una
colonna d'oricalco, nel Tempio, su cui le leggi erano
incise.
Il tempio di Poseidone era contenuto nella reggia,
all'interno dell'Acropoli; di barbarica imponenza, era
ricco di statue, ornato d'argento, oro, avorio e oricalco.
Là erano stati concepiti i figli del Dio, e in loro ricordo
ogni anno venivano offerti sacrifici.
Negli affollati porti arrivavano imbarcazioni provenienti
da tutto il mondo, e ad Atlantide non mancava un
grande esercito, che dislocava gli armati più fedeli fin
dentro all'Acropoli. La sola provincia del re supremo, la
maggiore delle dieci, poteva contare in caso di guerra
su 10.000 carri, 120.000 cavalieri e altrettanti arcieri,
più un gran numero di armati in vario modo (un
esercito totale di oltre 1 milione di soldati), e 240.000
marinai su 1.200 navi.
I primi re, figli di Poseidone, avevano in sé una forte
natura divina, sapevano gestire il potere con saggezza,
e la ricchezza era per loro quasi un fardello che,
inevitabilmente, cresceva grazie alla loro virtù. Ma ad
ogni generazione la natura divina si mescolava con
quella umana, finchè la virtù dei re si corruppe, essi
degenerarono, e il desiderio di possedere il mondo
intero li conquistò.
Forti della loro potenza, un giorno, i re tentarono di
sottomettere anche gli altri popoli mediterranei, per
dominare infine anche sull'Asia.
Non dimentichiamo che anche l'Atene di quel
periodo, forse la vera città utopica del racconto, era
però molto diversa. Prima che il tempo ne
inquinasse la purezza, la sua civiltà non aveva pari.
Intorno alla città grandi pianure, più estese di oggi,
fertili, grasse, sempre nutrite d'acqua, davano
abbondanti provviste a tutta la popolazione.
C'erano boschi e pascoli per il bestiame. Piogge e
diluvi eroderanno queste terre, lasciandole oggi, a
paragone, impoverite come le ossa di un corpo
infermo.
La città era retta da leggi sagge. La classe militare
viveva separata dagli altri cittadini, senza fasti, ma
con decoro; contava circa ventimila guerrieri,
uomini e donne, come mai il mondo ne vide. La
guerra che impegnò Atene e la Grecia, contro
l'improvvisa aggressione, ha comunque del
favoloso. La città arrivò a sostenere quasi da sola
l'urto degli eserciti invasori. I sacerdoti, nel loro
racconto, ricordano con affetto come Atene riuscì,
assai generosamente, a liberare molti popoli
oppressi, respingendo il nemico nell'Oceano. Ma
Zeus osservava da tempo la stirpe di Poseidone e
ne era deluso. Giudicò quel mondo ormai troppo
degenerato e meritevole di una tremenda
punizione. Terremoti e inondazioni devastarono la
Terra, fin quando, durante un giorno e una notte,
Atlantide sprofondò nel mare, e inghiottito dalla
terra fu anche l'esercito ateniese
L'Oceano, un tempo navigabile, divenne
impraticabile e pericoloso, fino ad oggi, per le
melme che lo sprofondamento aveva sollevato. E
della gloriosa Atene rischia di scomparire anche il
ricordo di questa incredibile vittoria militare, la più
grande impresa di tutti i tempi.
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