LA GUERRA IN ITALIA 1943-1945
La campagna d’Italia, iniziata con l'invasione della Sicilia il 10 luglio 1943 e conclusa dalla capitolazione tedesca il
2 maggio 1945, non fu tanto la conseguenza di chiare scelte strategiche quanto il risultato di un compromesso fra gli
alleati e di indecisioni da parte tedesca.
Gli Stati Uniti volevano attaccare l'Europa continentale occupata dai nazisti sbarcando in Francia, perché quella era
la strada più diretta per distruggere le forze armate tedesche e sconfiggere la Germania. La Gran Bretagna invece
premeva per attaccare i Balcani, per difendere gli interessi inglesi in Medio Oriente e contenere l'espansione
sovietica. Gli angloamericani trovarono un accordo di compromesso sull'obiettivo intermedio di invadere la Sicilia e
l’Italia meridionale per proteggere le rotte nel Mediterraneo, occupare le basi aeree della piana di Foggia e forzare
l’Italia alla resa.
Anche in Germania si sostenevano strategie diverse: abbandonare l’Italia centro- meridionale e le isole ritirandosi
subito sull'Appennino lungo la linea Pisa-Rimini (più o meno la futura linea Gotica), oppure combattere una lenta
ritirata lungo tutta la penisola. Hitler, inizialmente favorevole a ritirarsi, fu convinto alla difesa ad oltranza dai
successi delle armate tedesche nei contenere l'avanzata alleata dopo lo sbarco a Salerno il 9 settembre 1943, il
giorno dopo l’annuncio dell'armistizio con l’Italia.
Durante l’inverno 1944, mentre gli eserciti contrapposti si dissanguavano lungo la Linea Gustav a Cassino e nella
testa di ponte di Anzio, i contrasti fra gli alleati tornarono in superficie. Dopo la liberazione di Roma il 4 giugno
1944, la Gran Bretagna sostenne ancora la possibilità di invadere l’Istria e i Balcani e giungere alla Germania da
Sud. Gli Stati Uniti pero rifiutarono di distogliere altre forze dalla preparazione dell’invasione delta Francia, e la
campagna d’Italia continuò come una guerra di attrito con l’unico obiettivo di trattenere distanti dai fronte nord
occidentale il maggior numero di divisioni della Wehrmacht.
L'attaccio iniziale contro la linea Gotica scattò nel settore adriatico il 25 agosto 1944. Tuttavia dopo una prima
rapida avanzata l'impeto dell’8a armata britannica si spense contro la resistenza delle truppe tedesche rinforzate da
sette divisioni trasferite in fretta dall’Appennino centrale che, cosi sguarnito, venne attaccato dalla 5" armata
americana il 10 settembre 1944 al Passo del Giogo. Alla fine di settembre gli alleati erano riusciti a penetrare le
difese della Gotica lungo la costa adriatica e in Toscana, ma l'arrivo del maltempo e la mancanza di rimpiazzi e di
rifornimenti bloccò l’avanzata impedendo uno sfondamento decisivo fino alla pianura Padana: un altro inverno di
patimenti attendeva i combattenti e la popolazione. L'offensiva finale alleata scattò solo il 9 aprile 1945, portando in
un mese alla dissoluzione dell'esercito tedesco e alla liberazione di tutta l’Italia del Nord in concomitanza con
l'insurrezione generale guidata dalle forze della resistenza. II 2 maggio 1945 le truppe germaniche capitolavano
senza condizioni. In due anni di battaglie, gli alleati avevano subito circa 312 000 morti, feriti e dispersi, i tedeschi
336 000. All’Italia venti mesi di guerra erano costati 187 000 morti (compresi 120 000 civili, dei quali circa 40 000
periti nei bombardamenti) e 210 000 dispersi, inclusi più di 100 000 civili.
LA LINEA GOTICA
"Linea Gotica" {Gotensteliung) fu il nome dato dai tedeschi all'insieme di fortificazioni costruite sull'Appennino
tosco-emiliano per difendere la pianura Padana dall’avanzata degli alleati da Sud. Nell'estate 1944, quando
sembrava che essa dovesse essere travolta dalle truppe alleate, i tedeschi preferirono cambiarle il nome in "linea
Verde" {GruneUnie), meno altisonante, ma il termine linea Gotica e rimasto generalmente in uso.
La tattica di ritirarsi lentamente su linee fortificate successive (come la "Gustav" a Cassino) fu adottata con successo
dalla Wehrmacht durante tutta la campagna d’Italia. I tedeschi avevano iniziato a studiare la possibilità di fortificare
l'Appennino già nell'agosto 1943, quando gli alleati stavano ancora combattendo in Sicilia, ma i lavori veri e propri
iniziarono solo nella primavera 1944, sotto la direzione della organizzazione Todt.
La Gotica non era una linea continua di fortificazioni, ma un insieme di difese, disposte in profondità
sull'Appennino sfruttando gli elementi naturali del terreno, che traversava l’Italia dalla costa tirrenica a nord di
Viareggio a quella adriatica a Pesaro, per circa 300 km in linea d'aria. Comprendeva migliaia di opere campali
rinforzate in legno, pietra o cemento armato, e fossati anticarro (fra i quali uno lungo 5 km a Santa Lucia presso il
Passo della Futa), il tutto protetto da filo spinato e estesi campi minati. Per fortuna degli alleati, i lavori della Gotica
erano molto in ritardo sulle previsioni e al momento dell’attacco l'Appennino centrale era ancora sguarnito rispetto
alle coste, più vulnerabili e quindi meglio fortificate.
Sulla carta l’approccio alla Linea Gotica dell’operazione “Olive” 26 Agosto 1944, la linea rossa rappresenta la
Linjea Gotica, quella blu le posizioni degli Alleati.
I punti più deboli delta linea erano il Passo della Futa e la costa adriatica, che quindi furono fortificate con maggiore
impegno. Alla Futa, a parte il lungo fossato anticarro, vennero approntate casematte in cemento armato (in alcuni
casi con torrette di carri armati Panther con cannone da 75 mm), piazzole armi, e ricoveri truppe. La linea di difesa
avanzata comprendeva trinceramenti difesi da filo spinato ed estesi campi minati, e alla Futa vennero concentrate
due delle cinque divisioni tedesche poste a difesa di tutto l'Appennino centrale.
Per questi motivi, gli americani decisero di attaccare al Passo del Giogo, difeso da poche truppe e meno fortificato,
ingannando i tedeschi sui le loro vere intenzioni con un forte attacco diversivo della 343 divisione di fanteria sulla
direttrice della Futa, a cavallo della dorsale della Calvana e attraverso Calenzano e Barberino. Le operazioni alleate
nel settore tirrenico, sotto il controllo del IV Corpo d'armata americano comprendente anche truppe
delCommonwealth, assunsero carattere secondario rispetto allo sforzo a nord di Firenze, e le unita schierate lungo la
costa toscana condussero operazioni su scala relativamente limitata sino alla primavera 1945.
Nell’immagine qui sotto, Uomini del 370th Infantry Regiment salgono verso le montagne a nord di Prato. Foto Bull
- 9 aprile 1945 (111-SC-205289) Archivio NARA.
L'ATTACCO DEL II CORPO D'ARMATA PER ESPUGNARE IL PASSO DEL GIOGO
I piani americani
L'ordine di attacco contro II Passo del Giogo prevedeva una manovra parallela contro i rilievi ai due lati del la
Strada Statale 6524 (oggi 503): la catena di Monticelli a Ovest (settore della 91a divisione fanteria) e il monte
Altuzzo a Est (settore della 85a divisione fanteria). Le unità avrebbero goduto dell'appoggio dell'artiglieria
dell'intero II corpo d'armata e di un'intensa preparazione di bombardamenti aerei condotta prima in profondità, poi a
ridosso del fronte.
I grandi numeri non ingannino: la 5a armata americana includeva dieci divisioni da combattimento su 262000
effettivi, tuttavia gli scontri di prima linea, le azioni decisive sul terrene, furono sostenute da unità con meno di mille
uomini: poche compagnie di fanteria di qualche battaglione. Da parte tedesca la sproporzione era ancora più
marcata. La sola 4" divisione paracadutisti, già sotto organico, teneva un fronte di quasi venti chilometri dalla Futa
al monte Pratone, praticamente senza disponibilità di riserve. Fra i suoi uomini solo pochi erano veterani di Cassino,
quasi tutti erano rimpiazzi privi di addestramento appena giunti dalla Germania, talvolta senza mai avere sparato un
colpo di fucile.
Obice da 240mm sulla stada del Passo del Giogo
Le posizioni tedesche
Le difese tedesche su Monticelli includevano postazioni in cemento armato o scavate nella roccia, e ricoveri
rinforzati con legname e terra di riporto. Le linee di difesa sulla cresta erano protette da fasce di filo spinato di un
metro d’altezza per cento di profondità. Le due uniche vie di approccio naturale alla cresta (due gole di un
fiumiciattolo) erano state minate. Sul versante Nord la Todt aveva costruito dei ricoveri estesi per venti metri dentro
la montagna (con capienza di venti uomini) e aveva scavato nella roccia un rifugio da cinquanta posti per il
comando. Gli avamposti difensivi coprivano la strada statale poco oltre l'Omomorto.
Sull'Altuzzo, le linee tedesche compivano un semicerchio in quota, ancorato a Ovest ad una cresta prominente che
dominava la statale, e raccordato a Est con la vetta del monte (quota 926). Gli avamposti coprivano gli accessi ai
massiccio sotto la cresta Ovest e sulla dorsale principale a quota 782.
L'attacco a Monticelli (12-18 settembre 1944)
Il 363 reggimento della 91a divisione fanteria americana si illude di potere conquistare sia l'Altuzzo che i Monticelli
senza l'aiuto della 85 divisione, ma incontra una resistenza maggiore del previsto, con pesanti e precise
concentrazioni di mortaio e fuoco di mitragliatrici, e subisce contrattacchi notturni dei paracadutisti tedeschi. L'uso
dell’artiglieria d'appoggio e ostacolato dall'incertezza sulle posizioni delle proprie truppe. Solo nel tardo pomeriggio
del 15 settembre, quando i reparti di prima linea riescono a dirigere il fuoco di artiglieria contro le postazioni
tedesche, la compagnia B del 1° battaglione raggiunge la linea di cresta sul versante Ovest, ridotta ormai a soli 70
uomini sui duecento iniziali.
La compagnia, isolata sulla cresta di Monticelli sotto un fuoco intenso, resiste per due giorni senza rifornimenti a
molti contrattacchi. La situazione si stabilizza solo il 17 settembre, quando il 3 battaglione sull'ala destra riesce a
raggiungere quota 871, la più alta di Monticelli. Nel settore della compagnia B, che ha sopportato lo sforzo
maggiore, si contano più di 150 morti e 40 prigionieri tedeschi, contro 14 morti e 126 feriti americani. Ma le perdite
complessive da entrambi i lati sono molto più alte.
L'attacco a monte Altuzzo (12-18 settembre 1944)
La 85a divisione di fanteria assegna il compito di conquistare il monte Altuzzo al 338" reggimento, che manda
avanti il 1 battaglione. Ma le difficoltà di orientamento sul terreno e le scarse o errate informazioni sulla situazione
disorganizzano l'attacco delle compagnie di punta contro i due costoni dell’Altuzzo (verso quota 782 e verso la
cresta Ovest, soprannominata dagli americani "Peabody peak" dal nome del comandante della compagnia B).
L'azione si rompe in una serie di combattimenti fra pochi uomini, con ripetuti contrattacchi tedeschi spezzati solo
dall’intervento dell'artiglieria americana che colpisce anche le retrovie, decimando il 1 battaglione del 12 reggimento
paracadutisti che presidia le posizioni su monte Altuzzo.
II 15 settembre i tedeschi chiamano in linea il 3 battaglione, che riconquista le posizioni perdute. Il comando
tedesco, che ha compreso finalmente di trovarsi di fronte all'attacco principale del II corpo d'armata, ordina
tardivamente l'afflusso delle poche riserve disponibili verso il Giogo, mandando in linea tutti gli uomini abili. Fra
questi anche 400 lituani arruolati dalla Wehrmacht, parecchi dei quali si arrendono agli americani alla prima
occasione.
Il 16 settembre il 1 battaglione del 338 fanteria attacca nuovamente raggiungendo finalmente la cima di monte
Altuzzo. Ma la chiave dello sfondamento e in realtà la conquista di monte Pratone e monte Verruca da parte delle
unità alla destra dello schieramento americano il 17 settembre: una breccia di 8 km nelle difese della Gotica.
Il comando tedesco comprende di essere sconfitto e ordina la ritirata sui monti oltre Firenzuola.
II 18 settembre il Passo del Giogo e in mano americana. In sei giorni di combattimento le perdite del II corpo
d'armata ammontano a 2731 uomini. Le cifre tedesche sono ignote, ma certamente più alte, soprattutto per l'effetto
del fuoco d'artiglieria abbattutosi sui pochi rincalzi diretti verso le prime linee.
Sulla carta l’attacco alla Linea Gotica 10-18 sett. 1944
L'ITALIA DIVISA IN DUE: LA CADUTA DEL FASCISMO E L'ARMISTIZIO DELL'8 SETTEMBRE 1943
L’Italia entro in guerra a fianco della Germania nel giugno 1940. I primi successi nazisti in Polonia e Francia
facevano sperare Mussolini in una rapida vittoria che nascondesse l’impreparazione militare e la generate debolezza
del paese. Ma fu un errore: tre anni dopo, quella guerra disastrosa era costata all'Italia continue sconfitte sui fronti
dell'Africa, dei Balcani e in Russia, gravi distruzioni, povertà, quasi 100 000 caduti militari e più di 25 000 morti fra
i civili (oltre la metà sotto i bombardamenti alleati).
Dopo lo sbarco anglo-americano in Sicilia la monarchia sabauda compromessa con il fascismo decise infine di
deporre Mussolini nel tentativo di salvare la dinastia regnante.
II Duce fu arrestato il 25 luglio 1943, con la complicità dei maggiori dirigenti del partito fascista: il regime
ventennale finì fra il giubilo della popolazione, che sperava nella pace, senza che i militanti fascisti opponessero
alcuna resistenza. Ma le aspirazioni popolari per una rapida uscita del paese dalla guerra, invero difficilmente
realizzabili ora che l’Italia era divenuta un campo di battaglia, si scontrarono subito con i fatti. In un clima di totale
indecisione politica e impreparazione militare, il nuovo governo guidato dal maresciallo Pietro Badoglio,
formalmente ancora alleato dei nazisti, avviò segretamente le trattative che portarono all'armistizio con gli alleati,
che fu reso noto l'8 settembre 1943. In ottobre, il nuovo governo dichiaro guerra alla Germania divenendo
"cobelligerante" degli alleati.
I tedeschi, temendo il cambiamento di fronte della monarchia nonostante le assicurazioni ricevute, avevano già
cominciato a spostare nuove truppe in Italia dopo l'arresto di Mussolini. All'annuncio dell'armistizio completarono
l'occupazione della penisola vincendo la sanguinosa resistenza di pochi reparti italiani.
La fuga del Re e degli alti comandi verso le zone del Sud in mano agli alleati, infatti, provocò quasi ovunque il
disfacimento del Regio esercito. Abbandonata senza ordini e stanca della guerra, la maggior parte dei soldati italiani
si sbandò. Più di seicentomila militari caddero nelle mani dei tedeschi che li deportarono in Germania, dove ne
morirono circa 40000.
Quasi tutti gli internati rifiutarono di riprendere le armi accanto ai nazisti, e fra i militari italiani sorpresi all'estero
dall’armistizio 70000 si schierarono contro i tedeschi, subendo in due anni circa 40000 morti.
L’Italia, spezzata in due dall'avanzata lungo la penisola degli alleati sbarcati a Salerno il 9 settembre 1943, si trovo
così divisa anche politicamente, sotto due governi che reclamavano entrambi la loro legittimità: quello monarchico
ai Sud e quello fascista della Repubblica sociale italiana (RSI) al Nord, costituito il 23 settembre nei territori ancora
occupati dai nazisti che avevano liberate Mussolini dalla prigionia sul Gran Sasso trasferendolo sotto loro controllo
a Salò.
LA VITA QUOTIDIANA DELLE POPOLAZIONI
Come tutte le altre comunità italiane, con l'entrata in guerra nel 1940 la Toscana conobbe i lutti dei soldati morti o
dispersi al fronte, il razionamento e la scarsità di tutto.
Nell'estate del 1944, quando il fronte raggiunse la nostra regione, le razioni mensili di generi alimentari acquistate
con la carta annonaria erano limitatissime: per esempio 180 grammi di olio e grassi e 150 grammi di carne (osso
incluso).
Le campagne pativano meno delle città, dove il collasso delle vie di comunicazione bombardate dagli alleati rendeva
sempre più difficile trovare da mangiare, se non ai prezzi esorbitanti del "mercato nero" (un fiasco d'olio poteva
costare fino a 1100 lire, un kg di zucchero 180 lire, quando un operaio guadagnava - se lavorava - sulle 3 lire l'ora),
e nel giugno 1944 la mancanza di pane provoco manifestazioni di piazza in numerosi centri della regione.
La guerra combattuta, che lascia le tracce più crudeli, fu quella compresa fra la fine del 1943 e la liberazione
nell’inverno 1944, il periodo che vide l'occupazione nazista, la nascita della Resistenza e il passaggio della guerra.
Firenze, città d'arte, fu quasi del tutto risparmiata dai bombardamenti aerei, e Calenzano fu colpita
involontariamente quando alcuni bombardieri alleati si liberarono del loro carico per sfuggire ai caccia tedeschi,
provocando alcuni morti e feriti.
Molti altri centri toscani pero furono meno fortunati. II 30 dicembre 1943 i bombardieri alleati compiono
un'incursione diurna su Borgo San Lorenzo, provocando ingenti danni, causando un centinaio di morti e moltissimi
feriti, e costringendo gli abitanti a sfollare nelle campagne.
Le tragedie e le distruzioni si moltiplicarono nei mesi successivi. Quasi tutte le maggiori località toscane furono
bombardate o cannoneggiate, talvolta interamente rase al suolo. II cammino delle truppe tedesche in ritirata
nell'estate 1944 fu segnato da uno stillicidio di uccisioni immotivate e da eccidi di massa particolarmente efferati, tra
i quali spiccano quelli di Sant'Anna di Stazzema e del Padule di Fucecchio, perpetrati spesso senza neppure il
pretesto di compiere una rappresaglia antipartigiana.
Con l'avvicinarsi del fronte, inoltre, i tedeschi evacuarono la popolazione per una fascia di 20 km di fronte alla linea
di difesa principale della linea Gotica, minando o distruggendo tutti i ponti, le strade e le altre vie di comunicazione
in quella zona.
L'ordine di sfollamento venne impartito fra la fine di agosto e gli inizi di settembre, sotto minaccia di fucilazione. Le
popolazioni della Toscana erano sempre di più ai centro delle battaglie combattute fra gli eserciti alleati e i tedeschi,
e fra i nazifascisti e le forze partigiane attive sull'Appennino, in perenne rischio di mitragliamenti aerei,
rastrellamenti, rappresaglie, violenze e requisizioni.
LA RESISTENZA NELL'ITALIA OCCUPATA
Accanto al significato politico per il future dell’Italia, e anche senza contare l'opposizione più o meno aperta di
larghe fasce della popolazione al fascismo e ai tedeschi, la resistenza "combattuta" fu importante anche sul piano
militare. Si calcola che la repressione antipartigiana abbia impegnato costantemente quasi 300000 militari della RSI
e della Wehrmacht, e le perdite inflitte ai tedeschi nella fase cruciale dell'autunno 1944 (quando gli alleati cercavano
di sfondare la Linea gotica) raggiunsero la cifra considerevole di circa quattrocento uomini al mese. Inoltre, i lavori
delle fortificazioni tedesche sull'Appenino subirono forti rallentamenti per effetto delle azioni partigiane. Allarmati
rapporti tedeschi riconoscevano che i partigiani ponevano un pericolo serio alle truppe al fronte, ai rifornimenti e al
funzionamento delle industrie di guerra italiane (che contribuivano al 12% dello sforzo bellico tedesco). Più in
generale, la presenza sui territorio delle forze partigiane, che in pratica limitava il controllo della RSI alle sole fasce
pianeggianti del Nord Italia e alle città, rafforzò l'ostilità della maggioranza degli italiani contro tedeschi e fascisti,
portò al fallimento della leva della RSI, impedì ai tedeschi di trasferire forzatamente in Germania tre milioni di
lavoratori italiani, come nei loro piani, e salvò dalla distruzione della Wehrmacht in ritirata una buona parte
dell'apparato industriale settentrionale, facilitando la ripresa economica dell’Italia nei dopoguerra.
L'importanza militare della resistenza
La resistenza armata contro tedeschi e fascisti inizio subito dopo l'8 settembre e si concluse con la liberazione
dell’Italia settentrionale nell'aprile 1945. I primi gruppi di combattenti irregolari si costituirono spontaneamente
subito dopo l'armistizio, soprattutto al Nord. Nei mesi successivi il movimento del la resistenza si allargo e assunse
connotati politici più chiari sotto la direzione dei riorganizzati partiti antifascisti.
Questi, dopo la liberazione di Roma nei giugno 1944, sostituirono il governo Badoglio alla guida politica dell’Italia
liberata accanto all'amministrazione militare alleata. I partiti dirigevano la resistenza attraverso il Comitato di
Liberazione Nazionale (CLN) e le sue articolazioni regionali, ed erano collegati clandestinamente alle forze nei
territori occupati dai tedeschi, anche se talvolta i quadri locali si muovevano con molta autonomia.
A partire dall’inverno 1943 le prime "bande" di ribelli (come spesso amavano essi stessi chiamarsi) si consolidarono
in formazioni meglio organizzate, prevalentemente "Garibaldi" (socialisti e comunisti) e "Giustizia e Libertà " (laici
progressisti), con accanto anche alcune formazioni cattoliche e, soprattutto in Piemonte, "autonome" di orientamento
monarchico. Al momento della massima espansione nella primavera 1945 le formazioni partigiane includevano circa
120000 effettivi. Nei venti mesi di occupazione tedesca i combattenti in montagna furono in totale circa 200000,
quelli attivi nelle città altri 100000.
I morti fra i partigiani furono quasi 45000, 21000 i feriti gravi, mentre le rappresaglie tedesche e fasciste sulla
popolazione civile, particolarmente sanguinose in Toscana, causarono circa 10000 morti.
LA RESISTENZA IN TOSCANA
La resistenza toscana ha avuto vita relativamente breve rispetto a quella dei Nord, perché la regione fu liberata entro
la fine del 1944. Ciò nonostante, tra combattenti e patrioti i toscani attivi nella resistenza furono quasi 30 000.
Inoltre, per la prima volta dall'inizio della campagna d’Italia gli alleati incontrarono un movimento bene organizzato
politicamente e militarmente. Nel giugno 1944 il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (CTLN) composto dai
partiti antifascisti si proclamo organo di governo legittimo della regione, decidendo che le forze partigiane
avrebbero dovuto prendere il controllo delle città liberate prima delle truppe alleate, per insediarvi
un’amministrazione italiana. L'obiettivo fu spesso raggiunto, come nel caso emblematico di Firenze passata sotto
governo dei CTLN l’11 agosto 1944, nonostante che gli alleati avessero ordinato il disarmo dei partigiani la
settimana prima: ordine revocato di fronte alla ferma determinazione dei partigiani stessi, che minacciarono di
opporvisi con le armi.
La Toscana a quel tempo era una regione legata molto strettamente all’agricoltura, soprattutto nelle zone di
montagna, e il legame fra partigiani e contadini fu uno dei tratti più caratteristici della resistenza nella regione. I
primi non potevano sopravvivere sulle montagne o sfuggire ai rastrellamenti senza t'appoggio dei secondi, e gli uni e
gli altri del resto erano accomunati dalla speranza di un riscatto sociale nel dopoguerra.
Accanto alle azioni di guerriglia militare contro i tedeschi, uno degli obiettivi più importanti dei partigiani quindi fu
quello di sottrarre i prodotti agricoli destinati all'ammasso dalle autorità fasciste, requisendoli ai contadini (e
restituendo loro segretamente una percentuale di quanto sottratto) o partecipando con questi di nascosto ai raccolto.
La diffidenza e l’ostilità verso fascisti e tedeschi quindi furono sentimenti moto diffusi, anche per merito delle
simpatie che i partigiani seppero conquistarsi fra i ceti popolari e nelle campagne, da dove essi stessi per lo più
provenivano. I bandi di arruolamento della RSI emanati nel febbraio e nel maggio 1944 cosi ebbero solo l'effetto di
spingere la maggior parte dei giovani alla macchia.
Dopo la liberazione di Firenze la resistenza continuò lungo tutto l'Appennino tosco-emiliano, in modo particolare
nella zona fra Firenzuola e Imola e nelle Apuane e in Garfagnana. In queste aree le forze partigiane ebbero
un'importanza e un'organizzazione paragonabili a quelle, molto forti, del cuneense. A nord del capoluogo la
formazione più importante fu senz'altro la 36 brigata Garibaldi "Bianconcini", attiva soprattutto nell'Imolese
dall'aprile all'ottobre 1944 e arrivata a contare più di 1200 partigiani impegnati in azioni importanti come
l'occupazione di
Palazzuolo e Firenzuola. Alla fine di settembre i partigiani del III battaglione della "Bianconcini" furono
protagonisti, assieme agli americani dei 350 reggimento fanteria, di uno scontro sul monte Battaglia che porto quasi
allo sfondamento alleato verso la pianura Padana.
LA RESISTENZA IN MUGELLO
Per approfondire la conoscenza sulla Resistenza in Mugello si raccomanda la lettura di "Giorni da Lupo - fascismo e
resistenza a Vicchio di Mugello tra l'estate '43 e l'estate '44" di Fernando Gattini edito nel 1995 dal Comune di
Vicchio e dal quale abbiamo adattato il presente capitolo.
Il Mugello in quel periodo presentava la fisionomia di un’area tendenzialmente povera. Il Mugello, si è sempre
caratterizzato, fin dall’antichità, come terra di passaggio verso la Romagna, attraverso la Faentina (di origine
etrusca), e verso i popoli del Nord, della Padania, attraverso i valichi appenninici, ma nonostante fosse attraversato
da importanti vie di comunicazione le sue capacità di relazione economica e sociale si risolvevano quasi
esclusivamente nel rapporto con Firenze con scarsi contatti con altre realtà.
La sua struttura economica era basata su una realtà industriale scarsamente sviluppata (fatta di piccole industrie e
concentrata per lo più nei comuni di Barberino e di Borgo San Lorenzo) ed un’agricoltura scarsamente agevolata
dalla conformazione del suo territorio. L’agricoltura costituiva la risorsa più importante ed era concepita secondo gli
schemi della mezzadria tradizionale, con fattorie di notevoli dimensioni, divise in poderi, nei quali vivevano e
lavoravano intere famiglie di contadini.
A fronte di questa situazione, pensare che la partecipazione della popolazione del Mugello alla Resistenza sia stata
marginale è un valutazione sbagliata. Al contrario, quello che accadde in questa terra ha assunto grande importanza
strategica per il successivo sviluppo della lotta di liberazione in tutta la regione. Fattore fondamentale è stata la
configurazione del suo territorio e per la contiguità con Firenze.
La Resistenza toscana fu di breve durata rispetto a quella di altre regioni del nord Italia, ma fu un movimento assai
vasto e bene organizzato, teso a conquistare il consenso della popolazione per proporsi come forza di autogovemo
delle zone liberate dagli alleati. In Mugello le formazioni più importanti erano la 2" Brigata Carlo Rosselli (Giustizia
e Libertà ) costituita a Ronta nell'ottobre 1943 e la 36" Brigata Garibaldi "A. Bianconcini" attiva dal gennaio 1944 e
arrivata a contare più di 1250 partigiani impegnati in azioni importanti come l'occupazione di Palazzuolo e
Firenzuola. A queste si affiancavano varie "bande" minori.
Con la stabilizzazione del fronte sulla Linea Gotica, il passaggio appenninico diviene fondamentale, sia per i
tedeschi che per gli alleati. Per questo l’area fu fortemente interessata dal passaggio della guerra, e le popolazioni
non risposero in maniera passiva alle esigenze della lotta di liberazione. Il rapporto con Firenze è invece una
costante sempre presente nella storia del Mugello, che ha vissuto, si è sviluppato, si è costruito un’identità nel
rapporto e nelle risorse che ha dato all’evolversi della storia fiorentina. Durante la Resistenza questo rapporto vive
una stagione di grande intensità, non solo per il contributo dei giovani mugellani che, al fianco di “Potente”,
contribuirono alla liberazione della città, ma perché, qui, i partigiani fiorentini trovarono rifugio, possibilità di
organizzarsi e di fare un’azione di proselitismo. In questo quadro si genera l’origine del movimento partigiano.
La nascita e la crescita del movimento partigiano nella Provincia di Firenze, ha avuto il suo centro nel Mugello e
principalmente sul Monte Giovi. Il movimento in Toscana è sorto e cresciuto in modo diverso da come è avvenuto al
nord. A nord interi raggruppamenti di esercito regolari presero la strada della montagna ed assunsero, già dai primi
tempi, caratteristiche di vere formazioni militari. Questo, in particolar modo in Piemonte, anche se successivamente
le stesse furono ntegrate da civili che volontariamente presero la strada della montagna.
Vi è quindi una diversità sostanziale tra le formazioni partigiane della Toscana e quelle del nord, sia di carattere
politico che militare, maturata anche nel periodo in cui queste hanno operato.
Al nord è forte, almeno in una parte del movimento, una chiara forma di inquadramento militare, soprattutto nel
modo di combattere. Vi sono differenze anche negli orientamenti politici ai quali le diverse formazioni si
richiamavano, più varie a nord, dai garibaldini a Giustizia e Libertà, con tanti autonomi che si richiamavano al
movimento cattolico, come pure interi raggruppamenti chiaramente monarchici. Assenza assoluta o quasi di questi
ultimi movimenti in Toscana. Organizzazione paramilitare o militare del nord, spontanea e popolare in Toscana,
nelle cui file non vi sono elementi militari se non raramente, e non certo determinanti, con qualche ufficiale e
l'assenza assoluta di ceto medio, anche intellettuale.
I partigiani toscani assomigliano più agli uomini di Pancho Villa, che ad un esercito, basta guardare le fotografie
dell'epoca. Nel nord, in particolare in Piemonte, vi erano ufficiali di ogni grado, provenienti dall'esercito, che hanno
caratterizzato anche l'inquadramento militare delle stesse formazioni.
Non dimentichiamo poi che la diversità del movimento partigiano in Toscana da quello del nord è segnata dalla
diversità delle condizioni socio-economiche delle due zone, non solo dalle diverse condizioni geografiche. Si pensi
alle campagne toscane, interamente popolate da contadini mezzadri, il cui rapporto con il padrone è di sudditanza e
pieno sfruttamento. Per il contadino la lotta partigiana e l'opposizione al fascismo significa il riscatto della sua
condizione, l'affrancamento dal continuo ricatto del proprietario che in ogni momento poteva togliergli la terra: la
propaganda dei partiti di sinistra, aveva posto con chiarezza questo serio problema.
Anche per questo i contadini toscani furono i primi ad aiutare i partigiani e divengono parte integrante delle stesse
formazioni. Queste considerazioni sono utili per cogliere le condizioni in cui operavano i partigiani in questa realtà,
e che nel mese di maggio si trovavano a gestire una situazione di relativa calma. Non avvennero scontri di rilievo
perché le pattuglie partigiane cercarono di evitarli.
Innanzitutto c'era bisogno di rafforzarsi, di predisporsi per un nuovo impegno. Si volevano evitare eventuali
rappresaglie contro le popolazioni civili che già tanto avevano sofferto nei mesi precedenti, ed anche perché stavano
maturando grossi eventi militari.
Gli eserciti alleati stavano avvicinandosi a Roma. Le forze partigiane della Toscana avranno di lì a poco i nuovi
problemi in quanto dovranno operare nelle retrovie del nemico, e quindi non sarà possibile evitare scontri. I tedeschi
scorrazzavano per la vallata e con l'avvicinarsi del fronte iniziano i rastrellamenti: fanno razzia di tutto ciò che ad
essi serve.
Non hanno più rifornimento di viveri e quindi se li procacciano nelle campagne. I contadini cercano di salvare il
salvabile nascondendo le loro bestie ovunque. Anche gli uomini non sono sicuri. I giovani e gli uomini in età da
arruolamento vengono catturati per essere inviati in Germania, chi si ribella rischia di essere ucciso.
Infatti il Mugello rappresenta uno dei casi dove la collaborazione tra contadini e partigiani fu più proficua. Tanto
più, in un’area ancora saldamente “bianca” e cattolica, con una fonte tradizionale mezzadrile, dove però, nel corso
della lotta partigiana i comunisti rappresentarono senza alcun dubbio la forza largamente egemone.
Dalle prime azioni improntare sulla spontaneità, sul coraggio individuale dei singoli, ai primi raggruppamenti a
Gattaia, a Villore, a Monte Giovi, alle discussioni per trovare forme organizzative adeguate all’esigenza di un
coordinamento con i partigiani che venivano da Firenze, sino alla successiva necessità di una direzione politica.
Si comprende anche un dato di grande importanza, che ancora deve essere studiato: la capacità che ebbe il
movimento partigiano locale di adeguarsi alle varie fasi della lotta, che non sono solo esigenze militari, ma anche
organizzative e politiche. Vedi il passaggio da una lotta spontanea, per piccoli gruppi, alla necessità di un
coordinamento, l’acquisizione di una struttura politica ed organizzativa autorevole, ad una forza di lotta per dei
precisi obbiettivi e con delle finalità più chiare.
Tutto questo presuppone l’acquisizione di una consapevolezza precisa, capace di trasferire l’aspirazione alla libertà,
la rabbia contro gli oppressori in qualcosa di più maturo e mirato.
Questo dato esige una duplice riflessione: politica e storiografica. Per quanto riguarda la prima è necessario rilevare
che, nel rapporto tra contadini e partigiani, quest’ultimi ebbero l‘intuizione e l’accortezza di farsi carico di precise
esigenze dei contadini. La difesa del suolo, la difesa del patrimonio zootecnico, la difesa del raccolto nei confronti
dei proprietari, erano parole d’ordine largamente condivise sia dagli uni che dagli altri, perché erano anche condivise
le condizioni di vita ed i relativi problemi. Questo spiega perché vi fu un legame così profondo, che in altre realtà i
nazifascismi cercarono di rompere con stragi ed eccidi (l’eccidio di Padulivo, l’eccidio di Campo di Marre, la
distruzione di Vicchio).
La seconda riflessione introduce un elemento di grande rilevanza storica: nel dopoguerra il Mugello appare come
un’area segnatamente di sinistra, con una forte presenza comunista. La situazione non era così caratterizzata prima
della guerra. Un approccio alla comprensione deve partire da lontano, quando, tra la fine del secolo e i primi decenni
de1‘900 il Mugello è ancora considerato come terra con caratteristiche strutturali arcaiche, semifeudali, con una
forte presenza della chiesa (anche sotto il profilo economico) una forte aristocrazia e una rigida mezzadria come
elemento portante dell’economia. Con la nascita del movimento socialista i rapporti sociali non modificano di molto.
Sarà la grande guerra la cesura tra una mentalità ed un’altra. L‘egemonia cattolica si trasforma. Nascono sindacati ed
organizzazioni bianche, non più controllabili dai proprietari e con l’affermazione del fascismo nasce anche il
conflitto con il movimento cattolico.
IL FASCISMO DOPO L'8 SETTEMBRE:LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
L’8 settembre è infatti data decisiva per capire gli episodi che si susseguirono. É in quest’anno che maturano le
condizioni per la sconfitta del nazi-fascismo. É l’anno della svolta internazionale che condiziona in maniera diretta il
corso degli eventi in Italia.
Lo svolgimento degli avvenimenti documenta il fallimento delle scelte belliche dei tedeschi. Infatti, se la battaglia
d’Inghilterra, l’opposizione posta dagli americani ai giapponesi nel Pacifico, la tenacia della resistenza sovietica
avevano dimostrato l’impraticabilità della guerra lampo progettata dallo stato maggiore tedesco, la battaglia di
Stalingrado segna con chiarezza l’inversione di tendenza nell’andamento bellico.
I russi prendono l‘iniziativa sul fronte orientale, mentre lo sforzo economico e militare statunitense garantisce la
supremazia aerea in Europa e il ribaltamento delle posizioni nel Pacifico. I tempi erano dunque maturi per un attacco
alla potenza giapponese e per uno sbarco alleato in Europa.
Gli angloamericani conquistando il controllo del Mediterraneo, creano le condizioni per uno sbarco in Sicilia, sbarco
che avviene tra il 9 ed il 10 luglio, senza che l’esercito italiano riesca ad opporre una significativa resistenza.
Per il regime Fascista il colpo fu durissimo: lo sfacelo interno raggiunse il suo culmine.
La disastrosa conduzione della guerra si aggiunge alla mancanza di materie prime e di approvvigionamenti che
creavano enormi difficoltà nell’industria, alla conseguente crisi economica ed al malcontento generale. Malcontento
generale che si esprime con gli scioperi avvenuti nelle fabbriche del Nord ed in particolare a Torino, nel marzo del
1943.
In questa situazione Vittorio Emanuele III, per timore di essere travolto dagli eventi insieme a Mussolini (che aveva
fino ad allora incondizionatamente appoggiato), concepì una manovra di sganciamento tesa a separare le sorti di
Casa Savoia da quelle del fascismo e diretta a precostituire le basi per una soluzione conservatrice moderata.
Contava, per questo, sull’opposizione interna al Gran Consiglio del Fascismo, facente capo a Dino Grandi, il quale,
il 25 luglio 1943, propose un ordine del giorno di sfiducia nei confronti di Mussolini.
La storia ci racconta che Mussolini fu messo in minoranza; nel prenderne atto, il re ne ordinò l‘arresto e lo sostituì
con il generale Pietro Badoglio alla guida di un governo di tecnici.
A vent’anni dalla conquista del potere, il regime fascista cadeva tra l’entusiasmo generale, sotto il peso dei propri
errori e lasciando l’Italia in una situazione drammatica, con gli alleati saldamente attestati al sud, le truppe tedesche
in grado di controllare il resto della penisola ed una protesta popolare antifascista che rivelava l’abisso che si era
scavato tra la nazione ed il regime.
In una tale situazione il governo iniziò a negoziare segretamente con gli alleati per giungere ad un armistizio, reso
noto l’8 settembre.
Lo sbandamento assunse una dimensione tragica. Nessuna misura era stata presa per prevenire la reazione tedesca,
ed in molte zone le truppe italiane rifiutarono di passare sotto il comando tedesco, combattendo disperatamente
prima di soccombere.
Contemporaneamente, pochi giorni dopo l’armistizio, Mussolini, liberato dai paracadutisti tedeschi, ricostituì a Salò
un governo fascista, la Repubblica Sociale Italiana, mentre nell’Italia meridionale, occupata dagli alleati, operava il
governo Badoglio.
Alla grande gioia per la caduta del fascismo faceva da contraltare la mancanza di libertà e l’aprirsi di un conflitto
che si prevedeva durissimo, in un contesto economico di grande miseria. La Repubblica sociale italiana (RSI), lo
Stato fascista che governava i territori non ancora liberati dall'occupazione nazista, venne costituita il 23 settembre
1943, dopo che I tedeschi avevano liberato Mussolini, imprigionato dalla monarchia nel luglio precedente. Le forze
armate fasciste comprendevano cinque divisioni e altrireparti minori, che alla fine della guerra avevano avuto oltre
4000 caduti. Le "camicie nere" vennero inquadrate nell'esercito e trasformate in Guardia Nazionale Repubblicana,
con compiti di polizia analoghi a quelli dei Carabinieri. I reparti che si macchiarono dei peggiori atti criminali
furono pero le "Brigate nere" formate nell'estate 1944 e impiegate nelle azioni di repressione antipartigiana. Le
Brigate nere raccoglievano gli elementi fascisti più estremisti. Quelli della zona di Firenze, sfollati a nord subito
prima dell'arrivo degli alleati, si distinsero per la brutalità dimostrata nei rastrellamenti in Valtellina.