Guarigione clinica e
guarigione “personale”
Verso servizi di salute mentale
Recovery-oriented
di Simone Bruschetta e Raffaele Barone
Guarigione clinica
della schizofrenia
Estrema variabilità degli esiti
 Nel confronto fra i diversi individui
 Fra diversi gruppi di individui (in
differenti contesto storici e socioculturali)
 All’interno di ciascun individuo
(tenendo conto delle differenti dimensioni
dell’esito: clinico, funzionale, sociale, ecc.)
Davidson & McGlashan, 1997
20-25%
decorso sfavorevole
50-65%
decorsi eterogenei,
ma con recupero significativo
20-25%
completa guarigione
Guarigione Clinica
Gli studi sull’esito a lungo termine della schizofrenia
PERCENTUALI DI GUARITI O SIGNIFICATIVAMENTE MIGLIORATI
Follow-up da 22 a 37 anni
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
9 studi in diverse aree del mondo, dal 1975 al 2001, su complessivi 2888 pazienti
Guarigione Clinica
Gli studi sull’esito a lungo termine della schizofrenia
PERCENTUALI DI GUARITI O SIGNIFICATIVAMENTE MIGLIORATI
Follow-up INFERIORI a 10 anni
60
50
40
30
20
10
0
1
1910
2
1920
Hegarty et al., 1994
3
1930
4
1940
5
1950
6
1960
7
1970
8
1980
9
1990
Guarigione Clinica
Gli studi sull’esito a lungo termine della schizofrenia
PERCENTUALI DI GUARITI O SIGNIFICATIVAMENTE MIGLIORATI
Follow-up da 22 a 37 anni
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
9 studi in diverse aree del mondo, dal 1975 al 2001, su complessivi 2888 pazienti
Decorso significativamente più
favorevole nei Paesi in via di sviluppo
(Studi OMS)
60
Esito migliore
50
Esito peggiore
40
30
20
10
0
NIGERIA
1
DANIMARCA
2
L’esito sfavorevole nella schizofrenia non è
necessariamente una componente della storia
naturale del disturbo, quanto piuttosto il
risultato dell’interazione fra l’individuo ed
il suo contesto sociale ed economico
Warner, 2007
Uso di farmaci antipsicotici ed esiti
(Studi OMS)
% PAZIENTI IN TRATTAMENTO
% ESITI FAVOREVOLI
PAESI IN VIA DI
SVILUPPO
PAESI SVILUPPATI
70
60
50
40
30
20
10
0
Guarigione Clinica
Gli studi sull’esito a lungo termine della schizofrenia
PERCENTUALI DI GUARITI O SIGNIFICATIVAMENTE MIGLIORATI
Follow-up INFERIORI a 10 anni
60
50
Introduzione dei
farmaci antipsicotici
40
30
20
10
0
1
1910
2
1920
Hegarty et al., 1994
3
1930
4
1940
5
1950
6
1960
7
1970
8
1980
9
1990
Quanto sono efficaci i farmaci
antipsicotici?


“La vasta e convincente utilità clinica dei farmaci
antipsicotici ha apportato dei cambiamenti
rivoluzionari nella psichiatria moderna. Essi
mostrano un’efficacia notevole, anche se
sono essenzialmente dei palliativi.
L’efficacia antipsicotica è più evidente nelle
sindromi acute. La mancanza di
motivazione e della capacità di vivere in
modo indipendente rimangono delle sfide
irrisolte anche con i farmaci di ultima
generazione”
Chicago Follow-up Study
% di pazienti in recovery
Follow-up 20 anni
Harrow et al., 2012
Pazienti SENZA
antipsicotici
Pazienti in
trattamento con
antipsicotici
Disturbi d’ansia e Disturbi
depressivi
“Solo la metà dei pazienti risponde agli
antidepressivi e solo un terzo ottiene la piena
remissione dei sintomi”
Rush et al., STAR*D Report, 2006
MIGLIORAMENTO
Confronto di efficacia fra antidepressivi,
psicoterapia, placebo e nessun trattamento
FARMACI PSICOTERAPIA PLACEBO
Kirsch, 2010
NESSUN
TRATTAMENTO
Confronto di efficacia (riduzione dei
sintomi) fra antidepressivo Sertralina, Erba
di San Giovanni e placebo
Jonas, JAMA 2002
Probabilità di remissione da un episodio di depressione
maggiore. Confronto fra attività fisica a casa, attività fisica
in palestra, antidepressivo Sertralina e placebo
Blumenthal et al., 2007
SEMBRA
CHE LA SUA
DEPRESSIONE SIA
Se GRAZIE AL
GUARITA SOLO
PLACEBO…
FANTASTICO!
ME NE DIA UNA DOSE
DOPPIA LA PROSSIMA
VOLTA!
Antipsicotici vs. Placebo?
“Le evidenze disponibili sembrano dimostrare
che la risposta al placebo negli studi sulla
schizofrenia sono simili per dimensioni, qualità e
impatto, a quelli osservati nella depressione”.
Kinon et al., 2011
Effetti del placebo nell’attivazione di trasmissioni nervose
mediate dai recettori degli oppioidi
Benedetti et al., 2005
A cosa è dovuto l’effetto
placebo?
“Le evidenze finora accumulate indicano che
l’effetto placebo è un autentico fenomeno
psicosociale, attribuibile all’insieme del
contesto terapeutico.”
 “Questo contesto psicosociale è costituito sia
dal paziente stesso che dalle sue
interazioni con il medico e l’ambiente di
trattamento.”

Finniss et al., Lancet, 2010
Fattori terapeutici in psicoterapia
Modelli e
Tecniche
15%
Caratteristiche
e punti di forza
del paziente
40%
Speranza/Aspe
ttative
15%
Relazione
paziente terapeuta
30%
Lambert, 1992
I fattori “placebo” nella valutazione di
efficacia degli interventi riabilitativi
In molti casi il team che applica l’intervento innovativo
è guidato da un giovane ricercatore entusiasta,
fortemente motivato al successo del nuovo
programma che si va testando, confrontandolo con un
trattamento “standard”.
Ma, in confronto, l’intervento standard è offerto da
un’anziano psichiatra che usa la stessa pratica da
trent’anni mentre sogna solo di andare in pensione e
come avvelenare il direttore del suo ospedale.
In queste circostanze, il fatto che il nuovo intervento
sia risultato più efficace di quello standard non
autorizza a ritenere che i suoi vantaggi siano
generalizzabili!

Hemsley & Murray, 2000
Riassumendo…
Esito più favorevole nei paesi in via
di sviluppo (dove l’uso dei farmaci è
molto limitato)
 Limitata efficacia dei farmaci
rispetto al placebo (cioè alle risorse
personali e al contesto psicosociale)
 Peso prevalente dei fattori
terapeutici aspecifici (indipendenti
dalle tecniche) in psicoterapia e nei
programmi riabilitativi

Ne consegue…
Una quota fondamentale, che può arrivare
all’80%, dei processi di guarigione dei disturbi
psichiatrici sembra essere indipendente dallo
specifico intervento “tecnico”, ma è piuttosto
determinata da
Risorse interne all’individuo
Attivazione e potenziamento di tali
risorse interne in seguito all’instaurarsi di
una relazione di aiuto
Fattori culturali, sociali, economici
I Processi di guarigione in psichiatria
Interventi tecnici
(terapie) tecnici (“terapie”)
Interventi
Fattori interni all’individuo e
in relazione
al all’individuo
contesto
Risorse
interne
psicosociale
in relazione al contesto psicosociale
John S. Strauss
“Quando, seduto sul pavimento del
soggiorno, ho iniziato a
riesaminare tutte le elaborazioni
grafiche relative ai soggetti
inclusi nella ricerca, sono rimasto
affascinato dalle cifre e dalla
meravigliosa precisione…
Ma non riuscivo a riconoscervi le
persone che avevo intervistato e
conosciuto. Non ero più in contatto
con loro…”
Riflettendo sul decorso del disturbo
e osservando i grafici sparsi sul
pavimento, mi sentivo sconcertato e
mi rendevo conto che, più di ogni
altra cosa, andava perduta la singola
persona, con la sua specifica
volontà…
Mi resi conto allora che si trattava
di due diverse dimensioni: quella
della persona, con la sua ricca e
profonda esperienza umana; e quella
del mondo dei dati, con la sua
“[Qualche anno dopo] durante uno studio di
follow-up che prevedeva interviste
ripetute, una paziente mi disse: ‘Dottore,
ma perché non mi chiede mai cosa faccio io
per aiutare me stessa?’
Sto ancora cercando di rispondere
compiutamente a questa domanda.
La paziente stava sollevando la questione
della soggettività.
Non considerava sé stessa unicamente una
vittima della sua malattia, un oggetto i
cui sentimenti e le cui azioni fossero
irrilevanti al fine di misurare il
peggioramento o il miglioramento. Stava
chiedendo perché io, noi operatori della
salute mentale, non includiamo questi
aspetti soggettivi nelle nostre teorie,
nelle nostre azioni, nella ricerca.”
Strauss, 2008
In salute mentale, queste due
dimensioni influenzano non solo le
nostre idee, ma anche l’analisi dei
dati raccolti: incidono su ciò che
notiamo, tralasciamo, eliminiamo.
Ma in realtà si tratta di due
aspetti di un unico universo.
Il nostro compito non consiste
nello scegliere l’uno o l’altro, ma
nel confrontarci con entrambi gli
aspetti, che, congiunti, ci aiutino
a capire cosa stiamo tentando di
studiare, curare, prevenire”
Strauss, 1998
Psicopatologia
deliri
allucinazioni
disorganizzazione del
discorso verbale
• grave disorganizzazione
del comportamento
presenza di sintomi
negativi,
• appiattimento affettivo
• Alogia
• Avolizione
• disturbi dell'attenzione
•
•
•
DSM-IV-TR, 2000
Vissuto soggettivo
perdita del senso di
sé, sostituito
dall’identità di
paziente psichiatrico
 perdita di potere, di
scelta e di valori
personali
 perdita di senso, di
ruolo sociale
 perdita di speranza,
con rinuncia e ritiro

Spaniol et al., 1997
Recovery clinica
Almeno per 2 anni:
•
•
•
•
Totale remissione
dei sintomi
Lavoro a tempo
pieno o part-time
Vita indipendente
senza assistenza
Vita sociale (relazioni
con amici)
Liberman et al., 2002
Recovery personale
Acquisizione/restituzion
e di potere e controllo
sulla propria vita
 “Essere connessi”:
relazioni interpersonali
e partecipazione alla
vita sociale “normale”
 Ricostruzione di
un’identità positiva
(nonostante la malattia
e la disabilità)

Tew et al. 2011
Recovery Personale









Non è necessariamente il ritorno a uno stato precedente alla
malattia
Piuttosto, è il forgiarsi un nuovo modo di vivere sotto il proprio
controllo, sula base di un rinnovato senso di auto-efficacia
Recovery è superare il trauma di avere una psicosi, le conseguenze
dei trattamenti, la perdita delle capacità e delle opportunità di
accesso ad attività che hanno un valore personale per il paziente
Il mutuo-aiuto e l’auto aiuto possono essere fondamentali e
confermare reciprocamente l’autostima
La speranza è una componente essenziale
Richiede uno sforzo sistematico, che comprende l’assunzione del
rischio, piuttosto che il suo evitamento sistematico
Il diritto di sbagliare è parte integrante del processo
Implica uno spostamento del focus dal modello del deficit da
rimediare ai punti di forza da incrementare
E’ perfettamente complementare e integrata alla recovery clinica e
alla psichiatria evidence-based
Recovery Personale
La recovery personale può essere descritta
quindi come un funzionamento normale…
 Io lavoro, e ciò mi prende una gran parte
del tempo e delle energie, forse troppo…
Sono sposata e questa è una grande cosa,
proprio centrale… E poi… le cose che ci
sono da fare ogni giorno, fare la spesa,
pulire la casa, pagare le bollette, trovare i
soldi per andare avanti…
Recovery nei Servizi
Vi sono delle conoscenze ed una
consapevolezza fondamentale che vanno
sviluppate per muoversi verso pratiche
centrate sulla persona
 Sostenere l’utente nel riprendere il
controllo e recuperare ciò che è stato
perduto: diritti, ruoli, decisioni,
responsabilità, potenzialità, supporto
 Programmare dispositivi di inetrventi ed
attività che sostengono gli utenti nei
I contributi fondamentali
- evidenze basate sulle pratiche Il sapere proviene dall’esperienza vissuta del
superamento e della gestione dei problemi di
salute mentale
 Mettere in discussione le pratiche degli
operatori e incentivare le pratiche
collaborative e democratiche
 Mettere in discussione le pratiche
esclusivamente fondate su ristretti criteri
“evidence-based”

Sfide
- organizzazione rigida dei servizi e
focalizzazione sulla malattia 




Da pazienti fruitori di trattamenti a persone
Da operatori “professionali” a operatori che mostrano
confidenza, empatia e familiarità
Da modelli e metodi a scelta e vita quotidiana
Dal potere delle prove di efficacia al potere delle
persone
Da “Governo clinico” a tempo, disponibilità e
negoziazione
Recovery come ri-orientamento
Un insieme di valori che offrono un alternativa
all’approccio dei servizi basato sul “mantenimento” e
sulla “stabilizzazione”
 Individuazione delle barriere che una persona
sperimenta come connesse alla disabilità e lavorare
insieme a lei per minimizzarne l’impatto sulla sua vita
 Cercare o creare ambienti di vita che favoriscano
l’incremento dell’autostima, della fiducia, e
dell’accettazione di sé

(Derek Turner, UK)
Recovery come ri-orientamento
Recovery è la risposta a un sistema che è soddisfatto del
paradigma del “mantenimento” e della stabilizzazione, a
sua volta basato su un “modello biochimico”, che
finisce per mantenere i pazienti in una condizione di
dipendenza dalla competenza professionale
dell’operatore.
 Recovery si riferisce al fatto che l’utente è l’esperto
della sua malattia.
 Recovery è uno “strumento” per il cambiamento
organizzativo

(Derek Turner, UK)
Questioni frequenti per gli operatori
(Davidson)

Un altro carico di lavoro sulle spalle di operatori
già sovraccarichi? (“oltre a tutto ciò che già facciamo,
ci si aspetta che ci occupiamo anche di recovery?”)

Un’altra di quelle cose per cui non ci sono
abbastanza risorse (“un altro compito non finanziato.
Non abbiamo abbastanza risorse per quello che
cerchiamo di fare, come possiamo fare di più?”)

Come si concilia la recovery con tutto ciò che
si suppone stiamo già facendo ? (“tempo fa c’era
la doppia diagnosi, poi l’evidence-based, adesso la
recovery. E domani?”)

In realtà non c’è niente di nuovo.
(“Perché tutta questa agitazione? Si tratta di cose che
tutti già facciamo.”)

Come fai a riparare una macchina mentre la
stai guidando?
Un assunto comune
Alla base di queste preoccupazioni, c’è l’idea
che recovery è qualcosa che noi dovremmo
fare. Il carico, qualsiasi esso sia, è prima di
tutto su di noi operatori
E se invece recovery fosse qualcosa che
la persona (il paziente) ha bisogno di fare
per sè stesso?
Recovery è. . .
ciò che una persona con malattia mentale fa
per gestire la sua malattia
. . . mentre continua a perseguire i propri
sogni e obiettivi
. . . mentre si costruisce o si ricostruisce
una vita sicura, dignitosa, significativa nella
comunità in cui decide di vivere
. . . mentre continua a occuparsi delle
conseguenze di avere un disturbo mentale
Di conseguenza, occorre una divisione
del lavoro
Se recovery è ciò che la persona con un
disturbo mentale fa,
l’assistenza orientata alla recovery è ciò
che gli operatori della salute mentale
possono offrire a sostegno degli sforzi che
per conto proprio la persona fa per iniziare
e portare avanti il suo percorso di recovery
Sviluppare “nuove competenze”
Per le persone con disturbi mentali, ciò richiede un
ribaltamento di prospettiva: dal liberarsi dalla malattia o
dall’essere guariti dalla malattia, a imparare a vivere con
essa, gestirla, e ad avere una vita piena malgrado essa.
Per gli operatori e per i servizi, ciò richiede un analogo
ribaltamento: dal “prendersi cura” delle persone
all’incrementare l’accesso a tutte le opportunità di
vivere, lavorare e partecipare alla vita sociale, offrendo
il supporto in vivo affinchè esse approfittino al meglio
di tali opportunità.
Elaborare un modello di Servizi
Recovery-oriented attraverso la
trasformazione
Non c’è modo di creare un sistema di
assistenza “guidato dall’utente” senza che gli
utenti lo guidino effettivamente. Esso
richiede un approccio collaborativo basato
sulle cose a cui le persone in recovery
danno valore e di cui hanno bisogno.

Il nostro compito non è solo di alleviare
la sofferenza della persona

E’ anche di aiutare la persona a vivere
(piuttosto che a sopravvivere)
Ridefinire la trasformazione

Le persone che sono considerate
“carichi” per il sistema, cominciano ad
essere viste come le più grosse risorse di
quel sistema.
Le persone in recovery
… sono la fonte primaria per identificare i
punti di forza e tracciare la strada
 … sono la posta in gioco più alta; quella
che ha più da guadagnare e più da perdere
nel processo
 … possono essere l’antidoto più efficace
contro lo stigma e la discriminazione
 … hanno un forte desiderio di “restituire”
e hanno molto da offrire (energie, idee,
sostegno)

Ma come possono sapere i “nostri
pazienti” cosa è necessario che cambi?

Quando si tratta di fare diagnosi e curare
le malattie, o valutare e rimediare i deficit,
la competenza è nostra.

Quando si tratta di vivere una vita piena
nella comunità, ogni persona ha diritto di
decidere che tipo di vita vuole vivere, e di
avere la “competenza” per sapere ciò che
gli serve per fare ciò.
Trasformazione non significa fare più cose di
quelle che già stiamo facendo;
ma significa fare di più le cose che
funzionano bene e fare diversamente quelle
che non funzionano bene.
Le persone con un disturbo mentale
possono essere già “in recovery” – il nostro
compito e sostenerle nei loro sforzi.
Sostenere la recovery è il nostro lavoro
quotidiano.
Strasformazioni dei servizi per una
Inclusione attiva delle persone in recovery
 Le
persone in recovery sono attivamente e significativamente
coinvolte in tutti gli aspetti decisionali dell’organizzazione, anche
quelli apicali
 Le persone in recovery hanno opportunità ottimali di scelta
informata e decisioni che riguardano il loro progetto terapeutico.
 Le persone in recovery sono regolarmente invitate a condividere
le proprie storie con altri utenti del servizio, nonchè di offrire
formazione.
 Lo staff incoraggia gli individui ad esercitare le loro responsabilità
e a dare significativi contributi al proprio progetto terapeutico e al
sistema nel suo complesso.
 Le persone in recovery sono rimborsate per il tempo che essi
prestano nella pianificazione, nell’implementazione, o nella
valutazione dei servizi e nelle attività di formazione.
Trasformazione dei servizi a Livello di sistema
 La
soddisfazione verso il servzio deve venire valutata di routine e
usata regolarmente per pianificare e attuare miglioramenti
 Le pratiche costrittive non sono ammesse e ritiene gli operatori
responsabili dell’offerta di strumenti per ottonere scelte libere e
consapevoli
 Persone in recovery vengono introdotte nel servizio con
qualifiche e compiti diversi e a loro adatti
 L’inclusione di persone in recovery va di pari passo con lo
sviluppo di servizi offerti da pari che funzionano in modo
indipendente, anche se con modalità di collaborazione, da quelli
degli operatori
 La scelta delle persone in recovery di rivelarsi come tali è del
tutto libera, ed è vista al massimo come un modo di contrastare
lo stigma
 La valutazione del percoso della persona è un processo continuo
e non si limita all’osservazione dei sintomi e della stabilizzazione
 I dati sulla soddisfazione vengono resi pubblici
Superare la dipendenza
istituzionale

Più che essere attribuibile unicamente alla
disabilità del paziente, la dipendenza
istituzionale sembra essere un fenomeno
interattivo, relazionale, alimentato anche
dai pregiudizi e dalla mentalità degli
operatori e dall’organizzazione dei servizi
Nordt, 2006; Fakhoury et al., 2005
La dipendenza istituzionale
Nella relazione operatore-utente vi sarebbe il
costante rischio della “seduzione narcisistica”:
l’operatore si sente sempre più indispensabile
alla sopravvivenza fisica e psichica del paziente; il
paziente “gratifica” l’operatore mantenendosi in
una posizione di dipendenza, “autosqualificandosi”. (Sassolas, 2007)
 Superare la dipendenze istituzionale significa
rivalutare le opinioni degli utenti sulle persone
con le quali condividere gli affetti (relazioni), sul
posto in cui vivere (casa) e sulle modalità
attraverso le quali mantenersi (lavoro)

Studi sulle opinioni degli utenti

Per ciò che riguarda il posto in cui vivere, le
persone con disabilità psichiatrica non
differiscono dal resto della popolazione,
preferendo vivere in un’abitazione stabile, sicura
e dignitosa, piuttosto che in una struttura
residenziale
Tanzman, 1993; Srebnik et al, Goldfinger, 1999; Forchuk et al, 2006
Studi sulle opinioni degli utenti

Dagli studi sul punto vista degli utenti
emerge sempre più chiaramente che gli
esiti desiderati dai pazienti differiscono
notevolmente dagli esiti perseguiti dai servizi
Lasalvia et al., 2007; Ruggeri et al., 2007
L’abitazione indipendente con supporto
flessibile
(Supported housing)

Il modello basato sull’abitazione indipendente con
supporto flessibile ed individualizzato, associato ad
una reperibilità 24h, è stato valutato in merito
all’efficacia ed accreditato come best practice negli
USA ed in Canada
Rigway & Rapp, 1997; Public Health Agency of Canada,1997; SAMHSA, 2003
Il ruolo chiave dell’abitazione

Vivere la condizione di “una persona a casa propria”
costituisce di per sé un potente impulso ai processi di
recovery, in quanto:
- è la risposta ad un bisogno fondamentale e universale
- accresce il senso di controllo e la responsabilità
personale sull’ambiente
- restituisce al paziente radicamento stabile e
appartenenza al territorio
- permette ai servizi la riabilitazione in vivo e la
negoziazione dei bisogni di supporto
Sostegno abitativo:
residenzialità e domiciliarità

Va riconosciuto come strategico il ricorso al
sostegno di tipo domiciliare, con personale
specializzato, negli abituali contesti abitativi
dell’utente, al fine di prevenire e ridurre il ricorso
frequente alla residenzialità e favorire le dimissioni
di quei pazienti che hanno riacquistato le capacità
relazionali e di autonomia personale necessarie a
vivere nella comunità locale.

Il Dipartimento di salute mentale deve promuovere
diverse forme di sostegno abitativo in integrazione
con i Piani di Zona, in raccordo con gli Enti Locali,
l’impresa sociale, le reti associative.
Sostegno abitativo:
residenzialità e domiciliarità (2)

Vanno riconosciute, valorizzate e promosse tutte
quelle esperienze che si possono indicare come
sostegno abitativo, ovvero gruppi-appartamento e
case famiglia che rispondono ai bisogni di inclusione
sociale con una attenzione al reinserimento
lavorativo.

Vanno valorizzate le risorse - anche relazionali messe a disposizione dall’utente nella convivenza (da
tre a cinque componenti), tese a riguadagnare la
propria autonomia e la propria autodeterminazione.

Va privilegiata la presenza di operatori qualificati a
fascia oraria, flessibile e finalizzata ai bisogni
individuali degli utenti.
Concertazione locale e
partecipazione

Necessità di riorganizzare in modo significativo i rapporti tra Asl,
servizi del territorio e comunità di riferimento.

Considerare il territorio non più solo come uno spazio delimitato,
cioè come un contenitore di problemi, ma come una comunità,
quindi un soggetto insieme al quale ricercare soluzioni, agire
possibilità e organizzare decisioni.

Ogni dipartimento deve promuovere l’attivazione di un tavolo di
concertazione locale per l’attuazione di politiche di salute mentale
di cui è competente

Definizione da parte della Asl di un piano di azione Locale per la
Salute Mentale
Contesti di cura e spazi di vita (1)

L’intervento clinico è per definizione territoriale: si realizza con la
famiglia e nella comunità di appartenenza della persona sofferente,
nella partecipazione ai processi di costruzione da parte del
soggetto del personale spazio di vita in queste due dimensioni.

Questo punto di vista critica l’uso di singoli approcci terapeutici
come efficaci in sé e quindi una organizzazione essenzialmente
ambulatoriale in servizi di salute mentale comunitari.

La sofferenza psichica può essere considerata alla stregua di un
restringimento dello spazio di vita di un paziente. I sintomi
psicopatologici avrebbero essenzialmente la funzione di proteggere
tale spazio di vita, che, benchè ristretto resta l’unico che nella
condizione di crisi permette al paziente di continuare a vivere
Contesti di cura e spazi di vita (2)
Quanto più è grave la sofferenza mentale
che una persona sperimenta tanto più
bisognerà attivare risorse in ambiti diversi.
 Il paziente: individuare e mettere in atto le
misure terapeutiche
 il sostegno familiare al fine di far
comprendere meglio la natura del disturbo
ricostruendo un senso di competenza della
famiglia nel sostenere il percorso di cura.
 Rete affettiva.
 Rete sociale: ambito lavorativo, agenzie
sociali…

Dispositivi terapeutici
comunitari
Contesti nei quali il paziente vive, lavora, si cura
e si relaziona, abitati da gruppi di persone
(operatori, familiari, pazienti ecc…) che
condividono la titolarità e la responsabilità del
progetto terapeutico
 Un contesto di vita-cura può essere definito
dispositivo terapeutico comunitario in presenza
di:
-una teoria di riferimento e un linguaggio
condiviso
-un’organizzazione del lavoro che dia spazio alla
narrazione collettiva della storia clinico-sociale
del paziente e alla riflessione sulla relazione tra
tutti i soggetti coinvolti

Dispositivi terapeutici
comunitari(2)
-una metodologia improntata alla condivisione
democratica del potere decisionale sul
trattamento
-un progetto interculturale, pluri-istituzionale e
multimodale in grado di incidere
contemporaneamente sul nucleo familiare e sul
contesto comunitario di riferimento del
paziente
-intenzione clinica di costruire un campo mentale
comunitario che funzioni come campo gruppale,
cosa che richiede a ciascun operatore clinico
una continua ri-negoziazione del proprio ruolo
in rapporto ai sempre nuovi bisogni del paziente
e al mutare delle richieste della comunità
sociale
La comunità che cura
L’operatore clinico deve:
-contribuire a co-costruire intorno al paziente un
gruppo di professionisti, di familiari e di cittadini con
cui condividere la titolarità della presa in carico
-disporre di riferimenti teorici in grado di orientarlo
sulle implicazioni sociali dell’operare quotidiano per
poter continuare a pensare
-riferirsi costantemente a un progetto terapeutico
personalizzato, partecipando al monitoraggio della
sua realizzazione e alla valutazione dei risultati in
rapporto agli obiettivi

La comunità che cura (2)
Il gruppo di lavoro trans-disciplinare, interistituzionale e multi-culturale che opera nei vari
contesti della comunità locale per farsi carico
della sofferenza mentale, confrontandosi con
tutte le variabili in gioco,possiamo definirlo
come “la comunità che cura”
 La comunità che attiva efficaci processi di cura
non può che produrre lo sviluppo della
comunità in senso di prevenzione e promozione
della salute mentale per tutto il contesto
urbano
