La formazione del dogma
Cristologico
Paolo di Samosata
Cristo sarebbe stato un uomo comune, riempito come i
profeti dalla sapienza divina, ma in una misura assai
più ricca di quelli. Dottrina adozionista.
Il Concilio di Antiochia del 268 condannava la
dottrina adozionista di Paolo di Samosata
Malchione e Imeneo
Al Concilio di Antiochia prendono la parola Imeneo e
Malchione che difendono la divinità del Cristo.
Sul rapporto in Gesù Cristo del divino e dell’umano
Imeneo dice che si può “paragonare” al rapporto tra
l’anima e il corpo nell’uomo.
Malchione va ancora oltre; per lui l’unione di corpo e
anima è più che un paragone: il Logos è in Gesù ciò
che in noi è l’uomo interiore. Per Malchione non c’è
posto per un’anima umana, con la sua libertà umana.
Apollinare di Laodicea
Confessa che l’Unico Dio è Uno e Identico: un solo essere
(usìa) e una sola natura incarnata (physis) della Parola di Dio.
Ancora più esplicitamente di Malchione nega l’anima umana
di Gesù (Nus), sede della libertà della volontà e dell’autentico
io. A tal proposito egli porta delle argomentazioni:
•due esseri che sono chiusi in se stessi e dei quali ognuno ha un
suo proprio principio di vita, non possono formare una sola
persona vivente;
•se Gesù aveva nus di uomo, allora la nostra salvezza starebbe
su piedi deboli, poiché la natura umana secondo la sua natura è
mutevole, cioè aperta al male.
Ario
Ario aveva affermato che solo Dio è ingenerato; il
Figlio non è eterno ma creato. Il Figlio allora è
subordinato al Padre.
Il Concilio di Nicea (325)
(Contro Ario)
Il Concilio di Nicea afferma l’intatta divinità del
Figlio: non è una creatura, non “vi fu un tempo in
cui non c’era”. Il Figlio è esistito da sempre ed è
consustanziale al Padre, generato e non creato.
La generazione non implica la creazione
Tolto ogni dubbio sulla divinità del Figlio, bisognava
però risolvere un’altra questione: come era presente
tale divinità in Gesù di Nazareth?
Dio aveva preso il posto dell’uomo, togliendo così
spazio ad una attività genuinamente umana, o in
Gesù di Nazareth troviamo il Dio unito all’uomo
come due soggetti compresenti?
Si configurano così, a poco a poco, due modelli per
spiegare il mistero dell’uomo-Dio:
1. Il modello che chiameremo “Logos-sarx” che
tendeva a spiegare l’unità del Logos e della sarx
(carne) attraverso lo schema neoplatonico della
sintesi naturale del corpo e dell’anima: il Logos
prende il posto dell’anima ed entra in unione vitale
con il corpo per formare un essere unico
fisicamente, “uno e medesimo Dio”.
2. Il modello che chiameremo “Teos-anthropos”
tende a sottolineare la distinzione tra il creato e
l’increato, tra la natura ed il Logos, tra l’uomo
Gesù e il Logos: “l’uno e l’altro” uniti insieme.
Al primo modello aderisce la scuola alessandrina;
al secondo modello la scuola antiochena:
la scuola alessandrina insisterà sull’unità (Dio
fattosi uomo),
quella antiochena sulla distinzione (Dio e uomo).
Cerchiamo, ora, di cogliere la storia della
formazione dei due modelli.
La scuola Alessandrina - Atanasio
Atanasio sembra aderire alla forma embrionale
del modello “Logos-sarx”. Egli parla di Geù
Cristo come uno e medesimo, partendo dal
principio dello scambio “Dio si è fatto uomo
per divinizzarci”. Tale principio lo prende da
Ireneo; ma mentre Ireneo lo leggeva nell’ottica
della santificazione dell’esistenza umana
mediante l’obbedienza, Atanasio cede ad una
considerazione più statica e la divinizzazione
svolge un ruolo maggiore (“soltanto colui che è
veramente Dio può divinizzarci”).
Dato questo spostamento nell’idea dello
scambio, Atanasio non ha bisogno di
riconoscere nel Figlio incarnato un principio
umano di attività, un’anima umana. Anche
se egli non la nega, innanzitutto essa non ha
per lui nessuna importanza teologica.
D’altra parte, però, lo stesso assioma
presuppone che Gesù sia veramente uomo:
“avrebbe giovato poco a noi uomini se non
fosse stata vera carne quella che egli ha
assunto”.
Atanasio, quindi, in un secondo momento, sente
la necessità di mantenere integra l’umanità di
Gesù, prendendo le distanze da Apollinare:
“la Parola è nata nella carne come uomo con
anima, sentimenti, ragione. Infatti, siccome il
Signore si è fatto uomo per noi, è impossibile
che il suo corpo sia stato senza mente; e nella
Parola è avvenuta la redenzione non solo del
corpo ma anche dell’anima”.
Nei suoi ultimi anni, quindi, Atanasio ha ravvisato
la necessità di riconoscere in Gesù un’anima
umana; ma esclusivamente sulla base del principio
dello scambio e non perché per lui fosse importante
teologicamente l’attività umana di Gesù.
Quando egli elenca gli aspetti umani di Gesù, essi
sono sempre la passività, fame, sete, ignoranza,
dolori e morte. Atanasio, rimane, in fondo, nello
schema Logos-sarx, seppur perfezionandolo.
Concilio di Costantinopoli I (381)
(Contro gli Apollinaristi)
Il Concilio di Costantinopoli del 381, che ha come
base la professione nicena, si oppose sia all’eresia
apollinarista, che negava l’integrità dell’umanità di
Cristo, sia a quella macedoniana che negava la
divinità dello Spirito Santo. Debellò anche e
definitivamente l’eresia ariana nelle sue varie
articolazioni.
Il simbolo contiene alcune aggiunte cristologiche:
(si è incarnato) dallo Spirito Santo e da Maria Vergine:
ampliamento dello scarno «si è incarnato» di Nicea. In
questo modo l’evento Cristo non viene considerato solo in
relazione al Padre, ma anche in relazione allo Spirito Santo e
a Maria Vergine;
e del suo regno non ci sarà fine: frase biblica (Lc 1,33) che
intende rispondere alla dottrina di Marcello di Ancira il
quale, col pretesto di salvaguardare l’unità in Dio, negava la
sussistenza eterna di Cristo e quindi l’eternità della sua
incarnazione, affermando che dopo la parusia l’unione
ipostatica del Verbo si sarebbe dissolta e con essa il mistero
dell’incarnazione
Il Simbolo niceno-costantinopolitano afferma la perfetta
divinità di Cristo e la sua perfetta umanità.
Gesù è vero Dio e vero uomo,
ma in che modo è realizzata questa unione nel Cristo?
Questo sarà il problema risolto da Efeso e Calcedonia.
I Padri Cappadoci
Gregorio di Nazianzio difende l’anima umana di Gesù perché
attraverso essa Dio si è mescolato con la carne e gli opposti sono stati
congiunti: l’affinità tra l’umano e il divino è cercata nella natura
immateriale dell’anima
Introduce il termine natura: l’unità dell’Uomo-Dio è concepita come
unione di due nature pensate in modo statico.
Egli dice che in Gesù si può parlare di qualcosa e qualcosa d’altro in
Gesù, ma non “uno e un altro”: due nature che si congiungono in un
solo qualcosa.
Gregorio di Nissa
In Lui c’è la distinzione delle due nature, ma l’unità del soggetto.
Gesù è il medesimo Verbo esistito prima dei tempi che ha sofferto e
vive in eterno.
La scuola Antiochena - Eustazio
L’inizio e lo sviluppo della cristologia antiochena sono avvolti
nell’oscurità. L’inizio della cristologia antiochena sembra doversi
collocare in Eustazio di Antiochia.
Difensore del concilio di Nicea difende la divinità di Gesù. Egli
comincia a distinguere in Cristo
1. tra Dio che consacra
2. e colui che viene consacrato;
• tra l’uomo che soffre
• e Dio che abita in lui, lo risuscita e lo glorifica.
In questo modo la divinità del Logos non è intaccata e neppure
l’umanità dell’uomo.
Dio e l’uomo vengono distinti come due soggetti, come “uno e un
altro”. Eustazio, però, non usa questi termini, ma parla di “qualcosa e
qualcosa d’altro”.
Diodoro di Tarso
Diodoro di Tarso è contro un’unica natura e unica Ousìa
Egli rifiuta il termine “mescolanza” del Dio con l’uomo.
Distingue il Figlio di Dio e il figlio di Maria
e l’uno è abitato nel secondo.
L’uomo nato da Maria è Figlio per grazia
Dio-Parola è Figlio per natura
Giovanni Crisostomo
Discepolo di Diodoro, sembra abbia voluto correggere
volutamente il maestro. Per lui il Logos inabitò nell’uomo.
Non parla di due figli, ma di un solo qualcosa mediante
l’unione e il collegamento, non mediante mescolanza o
mediante distruzione delle nature, bensì mediante
un’inesprimibile unione.
In Lui predomina la preoccupazione antiochena circa la
mutazione della Parola e circa la mescolanza delle nature.
Più equilibratamente del suo maestro egli sostiene nell’uomoDio tanto distinzione quanto unità.
Teodoro di Mopsuestia
In Teodoro di Mopsuestia la tradizione antiochena raggiunge la sua forma
più ponderata. Anche egli parla del Dio che inabita nell’uomo.
Gesù non era un uomo comune, ma tuttavia era vero, compreso il Noùs: in
quanto luogo della libertà (e perciò del peccato di Adamo) è anche il luogo
dove fu raggiunta la vittoria su Satana.
Non ammette un’unità naturale: significherebbe certamente mutazione della
natura divina. È unità mediante “beneplacito”, mediante la grazia.
Egli parla di due distinte nature in un “unica persona (prosopon)”. Sembra
avvicinarsi alla definizione calcedonese “due nature in una persona”.
In realtà Teodoro usa il termine prosopon ma non nel senso di ipostasis, ma
nel senso di maschera, ruolo. Fa l’esempio del re che per mostrarsi tale
indossa la porpora. Ma la porpora è accidentale. Egli vuole certamente
rendere ampia e intima quanto più possibile l’unità del figlio dell’uomo con
il Figlio di Dio ma non si spinge troppo in avanti e continua a sottolineare la
distinzione.
Nestorio
Nestorio, insediato come vescovo di Costantinopoli
(428) si prefisse il compito di purificare la capitale da
tutte le macchie di eresia. Egli trova la comunità divisa
circa il titolo mariano di “teotokos”. Nestorio preferisce
l’appellativo di Cristotokos, in quanto Maria non ha
generato la divinità, bensì un uomo, strumento della
divinità. Maria è madre di Cristo e cioè dell’unione di
Dio e uomo e non di Dio.
Questo significava porre soggetti diversi: il Verbo di Dio,
da un lato, e Gesù Cristo, dall’altro. La loro unità veniva
concepita da Nestorio in termini di «congiunzione».
Nestorio rifiuta ciosì il realismo dell’incarnazione: il
Verbo di Dio appare nel soggetto umano dell’homo
assunptus come in un qualsiasi altro.
L’uomo Gesù non sarebbe, dunque, identico al Verbo di
Dio fattosi uomo, né il Verbo sarebbe diventato uomo in
maniera personale.
Con ciò, pertanto, svanisce la realtà della mediazione di
Gesù Cristo: la sua morte sulla croce non è più quella del
Figlio di Dio.
Il grande conflitto Cristologico
I monaci della capitale rifiutarono la dottrina di Nestorio e si
rivolsero a Cirillo di Alessandria e a Celestino in Roma. Cirillo
scrive a Nestorio invitandolo a riparare. Nestorio da una
risposta fredda e rifiuta. Cirillo scrive una seconda lettera dove
commenta la confessione di fede di Nicea. Nestorio risponde
duramente: Cirillo non ha compreso la dottrina di Nicea.
Ambedue le parti nel frattempo si erano rivolte a Roma.
Nestorio viene visto come un nuovo Paolo di Samosata, che
vede in Gesù un uomo comune. Celestino radunò a Roma un
sinodo che condannò la dottrina di Nestorio e da incaricò a
Cirillo di eseguire la sentenza se Nestorio si fosse rifiutato di
ritrattare. In possesso di carta bianca, Cirillo compilò uno
scritto con una confessione cristologica con dodici anatemi.
1. Gesù è Dio nel vero senso della parola e quindi Maria è teotokos.
2. Il Verbo ha assunto la carne in unità di sostanza.
3. Le 2 sostanze (divina e umana) sono unite ma non con un semplice
rapporto di autorità (l’una è sottomessa all’altra) ma con una unione di
natura.
4. Non bisogna dividere le espressioni del NT in quelle riguardanti Dio e
in quelle riguardanti l’uomo
5. Gesù non è un portatore di Dio, ma Dio stesso
6. Non bisogna dire che Dio è il Signore di Gesù
7. Non bisogna dire che Gesù era mosso dal Verbo
8. Non dire: adoriamo Gesù con Dio, come uno con un altro
9. Non dire: Gesù si serve di una forza divina a lui estranea
10. Non dire: l’uomo nato dalla donna è altro da Dio
11. La carne del Signore è vivificante in quanto corpo di Dio
12. Dio ha sofferto nella carne
Il Concilio di Efeso (431)
(Condanna di Nestorio)
Nestorio doveva sottoscrivere tutto questo. Nestorio non
sottoscrisse la nuova confessione di fede.
Per ristabilire la pace, l’imperatore Teodosio convocò un
concilio ecumenico in Efeso. Cirillo e Nestorio e altri
vescovi occidentali erano giunti ad Efeso; ma gli
orientali e i legati papali erano ancora per via. Scaduta la
data fissata per l’inizio del concilio Cirillo fece pressione
per l’apertura del concilio nonostante l’assenza degli
orientali. Viene letta la confessione di fede di Nicea e la
seconda lettera di Cirillo come anche la risposta di
Nestorio. La lettera di Cirillo viene approvata, la risposta
di Nestorio è condannata e viene deposto Nestorio.
Il Concilio di Efeso non ha prodotto una definizione dogmatica.
Il dogma di Efeso è da trovarsi nella seconda Lettera di Cirillo a
Nestorio che fu ufficialmente approvata dal Concilio. In codesta
lettera si afferma che il Verbo di Dio ha unito a sé l’umanità di
Gesù «secondo l’ipostasi» (in maniera personale).
Questo significava che la relazione tra il Verbo e Gesù è quella
di reale e concreta identità: il Verbo di Dio in Gesù ha
personalmente assunto la carne umana.
In questo modo si riconosce che il Verbo di Dio è diventato
uomo in maniera personale, è nato ed ha sofferto.
In questo contesto storico l’unione ipostatica riportata da Cirillo
non esprime ancora la pienezza di significato che la
precisazione terminologica le attribuirà più tardi.
Alcuni giorni più tardi giungono gli orientali, tra cui
Giovanni di Antiochia. Anch’essi non persero tempo e in
una loro assemblea condannarono Cirillo.
Infine giungono i legati romani che approvano la
condanna di Nestorio.
Per mettere fine alla confusione l’imperatore sospende il
concilio e fa arrestare tanto Cirillo (che sarà liberato
quanto prima) quanto Nestorio (sarà esiliato).
Nestorio e Cirillo confessano entrambi l’unità dell’uomo
Dio e con ciò pensano a una unità secondo l’essere.
Nestorio, conformemente alla tradizione antiochena da
maggior rilievo al fatto che questa unione è una grazia
divina del tutto singolare e comporta un’adesione
volontaria di Gesù al Logos nella libertà umana; poiché
egli pensa a una unità secondo l’essere supera la formula
antiochena “dell’uno e un altro”.
Cirillo invece parla di un unione “fisica”.
Entrambi tengono fermo che Gesù Cristo è interamente e
immutabilmente e nel contempo uomo vero e completo.
Entrambi distinguono anche in questa unità il divino e
l’umano, anche se Nestorio dà maggior rilievo alla
distinzione delle “nature” e Cirillo invece all’unità del
soggetto per la quale può essere detto del figlio di Dio
anche l’umano e dell’uomo anche il divino
(communicatio idiomatum).
L’intera opposizione starebbe allora in una diversità di
accenti e di terminologia? Per nulla affatto. Entrambi
sentono nelle espressioni dell’altro una lesione contro il
centro della fede.
Per la tradizione antiochena di Nestorio questo centro stava
nella piena divinità del Logos; mentre Cirillo, facendo il
Logos stesso soggetto della nascita da Maria, soggetto dei
dolori e della morte, sembrava mettere in pericolo questa
divinità.
Ma per Cirillo il centro della salvezza stava proprio nel fatto
che Dio stesso ha assunto la nostra esistenza umana, vi ha
preso parte e l’ha santificata.
Il modo con cui Nestorio voleva distinguere il divino
dall’umano e asserire l’umano esclusivamente a proposito di
Cristo, il soggetto composto e non invece a proposito del
Figlio di Dio stesso, significava agli occhi di Cirillo una
negazione della redenzione.
Il Simbolo della riunificazione (433)
Dopo il tragico svolgimento del concilio, Giovanni di
Antiochia si è adoperato per ristabilire la pace. Così ad Efeso
gli orientali sotto la sua guida avevano accettato una breve
confessione cristologica, compilata da Teodoreto di Ciro e
l’avevano presentata all’imperatore:
“Noi confessiamo il nostro Signore Gesù Cristo l’unigenito Figlio di Dio,
perfetto come Dio e perfetto come uomo con un’anima reale e con un corpo,
nato secondo la divinità prima dei tempi dal Padre
e secondo l’umanità negli ultimi giorni dalla vergine Maria;
il medesimo di un solo essere con il Padre secondo la divinità
e di una stessa natura con noi secondo l’umanità;
infatti avvenne un’unione di due nature
e perciò noi confessiamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore.
Tenuto conto di questa unione senza mescolanza
noi confessiamo la santa Vergine come madre di Dio
perché Dio-Logos si è fatto carne ed è diventato uomo
e ha unito a sé fin dal concepimento il tempio che ha assunto da lei”.
Gli orientali con questa confessione
1. condannano la mutabilità del Logos a causa di una
nascita umana e di una morte;
2. vennero incontro alla preoccupazione di Cirillo,
confessando un solo Signore e un solo Figlio;
3. rifiutano, come aveva fatto anche lo stesso Nestorio,
la tradizionale terminologia antiochena “uno e un
altro” e spiegano che “il medesimo” è Dio e uomo;
4. infine accogliendo il titolo “teotokos” prendono le
distanze da Nestorio.
Così viene ristabilita l’unità e la comnunione.
Eutiche e il Monofisismo
Mediante il simbolo della riunificazione era stata ricostituita
l’unità. Ma non doveva continuare per molto tempo.
Eutiche, archimandrita dei monaci di Costantinopoli, infatti,
fece riprendere la discussione, rifiutando il simbolo della
riunificazione.
Eutiche, pur ammettendo che Cristo proviene da due nature,
rifiutava di affermare che rimane in due nature dopo il
processo di unione. Egli concepiva l’unione delle due nature
a mo’ di «mescolanza» (krasis), mediante la quale l’umano
viene assorbito nel divino con il conseguente risultato che
Cristo non è «consostanziale» con noi nell’umanità.
Dopo il processo di unione in Cristo vi è una sola natura.
Poiché l’umanità veniva assorbita nella divinità del
Verbo, Gesù dopo l’unione non rimane veramente uomo.
Si mette in pericolo così la realtà dell’unica mediazione
di Gesù Cristo tra Dio e l’umanità e la realtà
dell’incarnazione.
Tali erano le implicazioni del monofisismo (una sola
natura che si realizza dopo l’unione).
Il Concilio latrocinio (Efeso 449)
Il patriarca di Costantinopoli Flaviano scomunicò Eutiche ma
egli trovò protezione presso Dioscoro, patriarca di
Alessandria, succeduto a Cirillo.
L’imperatore Teodosio allora convoca un concilio in Efeso,
passato alla storia col nome di Concilio latrocinio per la
condotta del presidente Dioscoro. Il concilio non solo depose
Flaviano ma anche il patriarca di Antiochia, Teodoreto di
Ciro e altri antiocheni.
Il papa Leone Magno manda un’esposizione dogmatica, il
Tomus ad Flavianum per tentare di evitare la catastrofe. Il
papa concorda con Cirillo d’Alessandria nell’affermare
l’unità in Cristo, ma parla esplicitamente di «due nature»,
ciascuna delle quali mantiene le proprie proprietà.
Il patriarca di Costantinopoli Flaviano scomunicò Eutiche ma
egli trovò protezione presso Dioscoro, patriarca di
Alessandria, succeduto a Cirillo.
L’imperatore Teodosio allora convoca un concilio in Efeso,
passato alla storia col nome di Concilio latrocinio per la
condotta del presidente Dioscoro.
Il concilio non solo depose Flaviano ma anche il patriarca di
Antiochia, Teodoreto di Ciro e altri antiocheni.
Il Tomus Ad Flavianum
Il papa Leone Magno manda un’esposizione dogmatica, il
Tomus ad Flavianum per tentare di evitare la catastrofe.
Il papa concorda con Cirillo d’Alessandria nell’affermare
l’unità in Cristo, ma parla esplicitamente di «due nature»,
ciascuna delle quali mantiene le proprie proprietà.
Papa Leone Magno protesta contro l’assurdità secondo la
quale l’uomo-Dio prima dell’unione sarebbe di due nature e
dopo di essa di una sola natura.
Per Leone c’è un legame tra nascita e natura: due nascite, due
nature che riguardano lo stesso soggetto.
Il Concilio di Calcedonia (451)
Marciano, successore dell’imperatore Teodosio convoca
un concilio a Calcedonia che si svolse, sotto la direzione
dei funzionari imperiali e ad esso presero parte 600
vescovi d’oriente, due africani e i legati papali.
1. Le decisioni del concilio-latrocinio furono annullate,
2. Dioscoro fu condannato, a causa della sua condotta.
3. L’ortodossia di Flaviano di Teodoro di Mopsuestia,
Teodoreto di Ciro e Ibas di Edessa fu riconosciuta.
Flaviano nella cristologia avevano introdotto il termine
ipostasis come parallelo a prosopon.
Il Logos dopo essere diventato carne e uomo “è presente
da due nature in una sola ipostasis e in un solo prosopon.
Nella teologia trinitaria già si usava il termine ipostasis
per indicare che ogni persona della Trinità è un reale
“qualcuno”.
Adesso si usa anche nella cristologia: ora si afferma: due
fiusis (nature), una ipostasis (persona).
Per Flaviano c’è una reale unità, ma questa unità non sta
nella fiusis, bensì nella ipostasis (persona) del Figlio.
Eutiche aveva affermato: prima dell’unione il Cristo è di
due nature, ma dopo l’unione è una sola natura. Negava
così l’omousios con la natura umana.
Contro questa posizione è Papa Leone Magno nel suo
Tomus ad Flavianum.
Per Leone a causa delle due nascite ci sono due nature:
nasce da Dio e quindi ha la natura divina, nasce da una
donna e quindi ha la natura umana. Tutt’e due riguardano
però lo stesso soggetto, il Figlio di Dio: nelle due nascite
e nelle due nature egli è “uno e identico”, cioè una sola
persona (ipostasis).
La stragrande maggioranza dei partecipanti al concilio
accolse tale Tomus e decise di riconoscerlo assieme alla
seconda lettera di Cirillo a Nestorio e al simbolo di
riunificazione come pietra dell’ortodossia.
I vescovi non volevano formulare nessuna nuova
confessione di fede. Ma i rappresentanti dell’imperatore,
il quale desiderava chiarezza, la richiesero. Alla fine si
afferma:
Uno e identico Figlio, nostro Signore Gesù Cristo, il medesimo perfetto
nella sua divinità e il medesimo perfetto nella sua umanità, vero Dio e
vero uomo, di anima razionale e di corpo, consostanziale al Padre per la
divinità, e consostanziale a noi per l’umanità, simile in tutto a noi,
fuorché nel peccato, generato dal Padre prima dei secoli secondo la
divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria
vergine e madre di Dio, secondo l’umanità, uno e medesimo Cristo
Signore unigenito, da riconoscersi in due nature, senza confusione,
immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la
differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi,
salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare
una sola persona e ipostasi; egli non è diviso o separato in due persone,
ma è un unico e medesimo figlio, unigenito, Dio, Verbo e Signore Gesù
Cristo, come un tempo hanno insegnato i profeti e poi lo stesso Gesù
Cristo, e infine come ci ha trasmesso il simbolo dei padri.
La definizione di Calcedonia si compone di due parti:
Nella prima parte
1. Si afferma l’unione in Gesù Cristo della divinità e umanità e
all’interno di questa unione viene affermata la distinzione: egli
stesso è «consostanziale» (omousios) al Padre secondo la
divinità e a noi secondo l’umanità.
2. Si parla di una doppia generazione: dal Padre prima dei secoli
rispetto alla divinità e da Maria negli ultimi giorni rispetto
all’umanità.
3. Viene nuovamente indicato il motivo soteriologico
dell’incarnazione: «per noi e per la nostra salvezza».
4. Si riferisce a Maria il titolo «Madre di Dio».
Nella seconda parte
Chiarimenti aggiuntivi, resi in linguaggio filosofico che intendono
mostrare come in Cristo coesistano l’unità e la distinzione.
Le due nature in Cristo sono congiunte:
senza confusione - immutabili
Contro Eutiche
« Senza confusione e senza mutamento» sottolinea il fatto che la distinzione
delle nature perdura e che vengono mantenute le proprietà di ciascuna
Indivise - inseparabili
Contro Nestorio
«Senza divisione e separazione» indica che le due nature non sono l’una accanto
all’altra, come se si trattasse di soggetti sussistenti diversi. Ciò che appartiene a
ciascuna delle due nature viene «salvaguardato», essendo confluito in un’unica
persona.
Communicatio Idiomatum
Il Figlio di Dio ha reso partecipe l’umanità assunta della dignità
della sua persona: nell’esprimere il mistero dell’Incarnazione si
realizza una specie di comunicazione di proprietà tra l’umano e il
divino, che si chiama “communicatio idiomatum”.
All’unica persona di Cristo bisogna attribuire tanto tutte le
proprietà e azioni della sua natura divina quanto quelle della sua
natura umana (es.: si può dire “Dio è nato da Maria” o “è morto
per noi”).
Non si possono attribuire a una natura di Cristo le proprietà e le
azioni dell’altra natura (es.: non si può dire che la divinità è
nata nel tempo).
Mentre si può raddoppiare: es.: “Gesù, in quanto Dio è nato
prima del tempo...”; “il Figlio di Dio, in quanto uomo è nato nel
tempo”.
Costantinopoli II (553)
La corrente anti-Calcedonia, la cui parola d’ordine era l’unica
natura, trovò larga eco nei monaci, soprattutto in Egitto e in Siria
Talvolta si giunse a un attacco indiretto contro il concilio di
Calcedonia, come nella “disputa dei tre capitoli”, in cui
l’imperatore Giustiniano, Papa Virgilio e poi il secondo Concilio
di Costantinopoli (553) pronunciarono una condanna postuma di
Origene, Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto di Ciro e Ibas di
Edessa perchè ritenuti sostenitori di Nestorio.
Monoergetismo e monotelismo
Monoergetismo: per accattivarsi i monofisiti, Sergio di
Costantinopoli (inizio del VII sec.) insegnò che Cristo aveva
una unica operazione.
Monotelismo: cercando l’unità religiosa, l’Imperatore Eraclio
smise di parlare del monoergismo e passò a sostenere che in
Cristo c’era una sola volontà. Lo impose a tutta la Chiesa (638).
Massimo il Confessore ottenne che il Papa Martino I
convocasse un concilio in Laterano (649) che condannò
entrambi gli errori.
Nell’anno 681, il concilio ecumenico di Constantinopoli III li
condannò solennemente: “Vi sono in Lui (Cristo) due volontà e
due operazioni naturali, senza divisione, senza cambio, senza
separazione, senza confusione”.
Constantinopoli III (681)
Constantinopoli III, 681 confessò “due operazioni naturali senza
divisioni, senza cambio, senza separazione, senza confusione, nello
stesso Signore nostro Gesù Cristo, il nostro vero Dio: una operazione
divina e l’altra una operazione umana”.
San Tommaso d’Aquino (Compendium theologiae, c. 212, n. 419):
“La natura è il principio di operazione. Per questo in Cristo non
c’è una sola operazione poiché si tratta di un unico soggetto, ma due
operazioni perché sono due le nature”.
BREVE SINTESI CONCLUSIVA
ANTIOCHIA: 268
Condanna della dottrina adozionista
NICEA: 325
Cristo è divino
COSTANTINOPOLITANO I: 381 Cristo è umano
In Cristo l’elemento umano e quello
divino sono uniti in maniera personale
CALCEDONIA: 451
In Cristo l’unità personale non
distrugge ne riduce l’integrale
individualità delle due nature.
COSTANTINOPOLITANO II 553 Introduce ufficialmente il termine
“unione ipostatica”
COSTANTINOPOLITANO III 681 Cristo possedeva una volontà divina
e una volontà umana
EFESO: 431