MIMESIS un percorso tra Arte e Filosofia Ed. Visiva a.s. 2010 2011 Prof. F. Ardigò Prof.sa R. Zelioli Ed. Visiva prof. Ferdinando Ardigò Noi non siamo una macchina fotografica Prof. F. Ardigò Può un’immagine fotografica, pittorica, scultorea, restituire con la stessa forza l’oggetto della rappresentazione? Ed è vero che più l’immagine riprodotta si avvicina al reale, cioè alla fotografia e più imita la realtà? No, non è sempre vero perché la realtà è più complessa della sua rappresentazione e quindi la rappresentazione ha bisogno di restituire questa complessità che spesso un’immagine fotografica o iperrealista non è in grado di fare. In filosofia questo argomento prende il nome di mimesi e verrà trattato in termini specifici dalla prof. Zelioli, noi in questa fase tratteremo l’argomento solo dal punto di vista tecnico, pittorico, artistico, analizzando diversi artisti paesaggisti e di nature morte. Noi non guardiamo con gli occhi ma con il cervello, il cervello ricompone i segnali che gli occhi raccolgono, più sono semplici e più il cervello li ricompone facilmente. ”È alla non assimilazione alla rappresentazione perfetta che avviene il miracolo dell’identificazione” De vecchi - Cerchiari “arte nel tempo” Scenografia e vedutismo Si diffondono in Europa le scenografie teatrali Il formarsi di teatri stabili favorisce la creazione di nuovi allestimenti quindi nuove opportunità per scenografi specialisti Francia Austria Germania attraggono artisti italiani A Bologna la “quadratura”, era attiva dalla metà del 500, ora (1700 circa) si era avviato un percorso di sovvertimento degli schemi barocchi. La tradizionale impostazione prospettica, che prevedeva un punto di fuga su asse centrale non soddisfaceva più. De vecchi - Cerchiari “arte nel tempo” Ferdinando Bibbiena nel suo trattato architettura civile preparata sulla geometria e ridotta alla prospettiva (1711) propone la cosiddetta “veduta per angolo” , sistema di direttrici prospettiche indipendenti da quelle della sala e inclinato rispetto ad esse secondo un angolo variabile definito da linee diagonali Al centro è collocata la visione per angolo di un edificio, da cui partono gli assi prospettici verso due fuochi laterali ed esterni alla scena. Ne consegue una migliore visibilità De vecchi - Cerchiari “arte nel tempo” / G.C.Argan ”storia dell’arte italiana” “Vedutismo” Col termine “veduta” si intende un ambito distinto dalla semplice pittura di paesaggio, volto alla rappresentazione topografica, in cui l’elemento naturale si integra a quello architettonico Il vedutismo veneziano è molto al di là dei limiti del genere, si inserisce nel vivo della cultura illuministica, preoccupata di mettere in chiaro le strutture ed il funzionamento della mente. Tutto ciò che sappiamo dalla realtà, lo sappiamo dalle rappresentazioni che si formano nella coscienza: non sapremo mai se siano identiche alla realtà, ma vogliamo che siano chiare e positive, capaci di fondere un’esperienza non soltanto personale, di stabilire intese fra gli individui, di costituire una base di esperienza comune a tutta la società. Al principio del settecento, a Venezia l’alternativa è tra veduta di fantasia e veduta esatta. “Quadri di rovine” in cui i resti dei monumenti antichi vengono assunti come esplicita testimonianza di un passato glorioso “capricci”. Di questo genere che prevede la combinazione senza alcuna esattezza storica e topografica, di elementi storici e di fantasia con aperture paesistiche immaginarie, offrono affascinanti esempi anche i veneziani Canaletto e Guardi. Antonio Canaletto 1697-1768 Le particolarità della visione di Canaletto risulta dall’attenzione della resa atmosferica, Dalla scelta di precise condizioni di luce per ogni particolare momento della giornata Da un’indagine della realtà condotta con criteri di scientifica oggettività Proprio nel momento di più decisa affermazione del razionalismo illuminista, si ricerca in pittura una maggiore adesione al reale insistendo sul valore matematico della prospettiva e utilizzando uno strumento come la camera ottica Canaletto pittore paesaggista, nelle sue vedute di Venezia riusciamo a cogliere elementi che una macchina fotografica non sarebbe in grado di rimandarci, nei suoi quadri riusciamo a percepire, di un paesaggio, temperatura, velocità del vento grado di umidità. Perché? Il Canaletto affronta il problema con un metodo critico che fa di lui uno dei più lucidi esponenti della cultura illuministica europea. Le prime vedute veneziane risalgono al 1722-23, verso il ‘30 la sua produzione è già in gran parte assorbita da una scelta clientela inglese: era logico che il pittore illuminista venisse specialmente apprezzato nel solo paese in cui la cultura illuminista si sviluppava e diffondeva senza contrasti. Nelle prime vedute la tecnica è controllatissima: linee diritte, fattura a piccoli tocchi e senza spessori, colori nitidi senza impasti chiaroscurali. Volendo ridurre a verità razionale una spazialità scenografica, cioè fondata sull’illusorio, si serve dello strumento geometrico della prospettiva, la sua prima operazione è dunque di verificare lo strumento prospettico confrontando i suoi dati con quelli della camera chiara. La camera ottica non è un sussidio prospettico, è un modo per sfrondare detergere l’immagine dal falso vedere a cui gli occhi e la mente sono stati abituati dalle infinite astuzie della prospettiva barocca: troppo spesso impiegata, non già a veder chiaro, ma a confondere a bella posta le idee. “la prospettiva del Canaletto non costruisce un’immagine che s’allontana, ma piuttosto le fa emergere dall’indistinto, verso lo spettatore” Francesco Guardi (1712-1793) Guardi vivo e moderno rappresenta un mondo fantastico e onirico Come un fenomeno regressivo rispetto a quello del Canaletto, lascia intendere come egli fosse tornato a quel pur finissimo mestiere pittorico che la tecnica scientifica del Canaletto aveva superato. Il Guardi è infatti un “virtuoso” : come quei musicisti del 700 che dalla esecuzione passano all’interpretazione, dall’interpretazione alla variante , dalla variante alla improvvisazione e, talvolta, all’invenzione creativa. Egli era sempre inteso a stimolare il colore, a impedirgli di adagiarsi , a frantumarlo in miriadi di schegge iridescenti e scintillanti. Comincia a dipingere vedute verso il 1750. Da una nota di colore fa scaturire tutta una gamma di toni fitti che si concludono in una luminosità dilagante, spesso attuata in delicatissime tonalità di madreperla, tutta percorsa da vibrazioni e da fremiti. Ama i muri cadenti, pieni di rampicanti e di muffe . Il suo non è più il paesaggio come “veduta esatta”,ma il paesaggio come esperienza individuale legata non meno che al luogo, al tempo e allo stato d’animo. E’ il preludio al paesaggio romantico. “Bernando Bellotto rappresenta il reale nella dimensione della camera ottica, il risultato è fotografico e le ombre diventano ombre che cancellano il dato reale mentre l’occhio si adatta sempre alla luce e riesce dopo l’adattamento a leggere le cose in ombra in modo dettagliato” Ci sono due modi di interpretare la realtà, uno coglie l’apparenza, “la pelle”, l’altro l’anima delle cose Arnold Hauser “Storia sociale dell’arte” Il rococò è l’ultima fase di una cultura mondana dove il principio della bellezza domina assoluto, l’ultimo stile in cui bello e artistico sono ancora sinonimi. In Watteau, Fragonard, e Chardin e Mozart, tutto è bello e melodioso. In Beethoven, David e Delacroix l’arte diventa attiva , agonistica,. Nella seconda metà del 1700 è avvenuto un mutamento rivoluzionario: è sorta la moderna borghesia che con il suo individualismo e la sua ricerca dell’originalità ha distrutto l’idea di stile come consapevole e deliberata comunità culturale, portando il concetto di proprietà intellettuale al suo significato odierno. Domenico Purificato “come leggere un quadro” Chardin 1699-1779 Cardhin In lui si percepisce perfettamente la qualità della materia degli oggetti “Il meccanismo della sua rappresentazione non è nella perfezione della simulazione che da la percezione, ma in un puro colpo di pennello bianco sopra un fondo blu abbastanza vago” la banalità del segno che consente la percezione I suoi dipinti appartengono al meglio dell’arte del 700 schietti ed onesti, sono in contrasto con il rococò dell’aristocrazia e dell’alta borghesia. Mette in discussione “l’art pour l’art” del rococò. L’arte deve “onorare le virtù e smascherare il vizzo” una tappa nella storia della rivoluzione già in corso “Non si dipinge con i colori ma con il sentimento” così affermava Chardin che credeva in una pittura caratterizzata da una profonda interiorità spirituale, da un equilibrio umano fondato sui moti più teneri e familiari del sentimento, che riguardava anche l’atmosfera particolare, la luminosità che avvolgeva l’opera, e infine il patos della tematica. Chardin si sente l’esponente custode della sana borghesia, non dava avvertimenti solenni, né lezioni di scienza della pittura. Chardin fu chiamato anche “il poeta dell’oggetto” e, chiuso nel proprio mondo di realtà quotidiana, celebrò l’intimità domestica, frutta, fiori, cacciagione, e oggetti domestici di ogni genere. Giorgio Morandi 1890-1964 Morandi rappresenta l’essenza metafisica dello spazio e degli oggetti e la loro variazione di luce superficiale, non era interessato alla materia degli oggetti, i suoi oggetti erano ricoperti da una patina di polvere che copriva la sostanza della materia di cui erano fatti. La Pittura di Morandi è la distruzione metodica della prospettiva fondata sulla geometria euclidea, cioè della concezione dello spazio su cui si fondava, da Giotto in poi. In Morandi la distruzione della prospettiva è evidente , facendo degli oggetti sagome sospese e livellando i piani colorati della tavola delle pareti e degli oggetti. La profondità non esiste più come vuoto capiente in cui siano situate le forme solide degli oggetti , il tessuto spaziale diventa continuo. La pittura da ordine e chiarezza alla realtà, al fine di rappresentarla, la linea è contorno e limite delle cose, il volume consistenza fisica degli oggetti, il tono tinta locale modificata dalla distanza e dalla luce. Morandi ragiona con logica perfetta: se la forma è il risultato a cui si deve giungere al termine del processo. La linea non è il limite delle cose,ma il confine e la mediazione tra valori tonali comunicati, il volume non è rilievo ottenuto con il chiaroscuro ma calibrata distanza tra piani colorati. Nulla è dato in se tutto per relazione. E la relazioni si determinano nel corso dell’esperienza vissuta della pittura: il significato dei valori muta ogni volta perché l’esperienza è vita e la vita è sempre diversa. La pittura di Morandi è la storia di una continua permutazione del valore ma nel senso di una costante crescita qualitativa: anche perciò la sua tematica è costante, gli oggetti entro cui avvengono le mutazioni dei valori sono sempre gli stessi. Se per tutta la vita , ha dipinto sempre le stesse bottiglie, gli stessi barattoli, non certo perché amasse quegli oggetti, ma perché aveva bisogno che l’oggetto arcinoto non facesse problema e non richiamasse e localizzasse sul proprio essere l’interesse conoscitivo che mirava invece al suo essere nello spazio De Pisis Prende il testimone da Cardhin con il ritmo della pittura materica e moderna Non è l’immagine della cosa ma è la cosa stessa la cosa medesima Più è semplice il segno più è miserabile più ci sembra possibile ricostruirlo nella nostra mente come un segno che rappresenta una cosa autentica l’oggetto autentico non vuole la descrizione come una fotografia, vuole solo i segni semplici che noi ricomponiamo nel nostro cervello Filosofia prof.sa Rossella Zelioli Per una definizione MIMESI Dal greco IMITAZIONE • Nella filosofia platonica è il rapporto che intercorre tra Le cose del mondo sensibile copia e Le idee È IMITAZIONE del • In estetica modello È l’essenza dell’ARTE intesa come IMITAZIONE DELLA REALTA’ (da Aristotele a Kant, almeno) Temi aperti: • Pensiero/ Essere La verità e la sua conoscenza • Immagine/ Realtà La verità e la sua rappresentazione Arte e filosofia due MODI di conoscenza Ma anche due MONDI di conoscenza Percorso filosofico proposto • La mimesi nell’antichità (Platone, Aristotele). Il pensiero dell’essere, l’immagine della realtà. L’arte antica come arte mimetica • Il cristianesimo e la svolta allegorica • La modernità e la nascita dell’Estetica • un’arte non mimetica Dalla legge della somiglianza alla teoria della rappresentazione (M. Foucault, Le parole e le cose) Pensiero ed essere Parole e cose Quale distanza e perché? • W. Benjamin e P. Klee • M. Foucault e R. Magritte NB l’Estetica è una disciplina MODERNA e quindi anche e soprattutto la concezione dell’ARTE come attività autonoma dal resto della prassi conoscitiva Temi aperti sono Il rapporto PENSIERO/ESSERE Il rapporto IMMAGINE/REALTA’ Prima dell’Estetica la storia del rapporto pensiero/essere E quindi del rapporto arte/verità è segnata da due concetti di riferimento: • Il concetto di MIMESI • Il concetto di ALLEGORIA Il concetto di Mimesi nell’Antichità classica Platone, Aristotele, Repubblica Poetica Nella filosofia classica • il pensiero E’ l’essere • l’immagine è la realtà • l’arte è la verità MIMESI è il processo di esplicazione di tali identità La MIMESIS –imitazione, copia in senso Platonico- conferisce all’ARTE un valore ONTOLOGICO L’arte è l’Essere perché ne mostra l’IDEA GNOSEOLOGICO ETICO L’arte E’ un processo di CONOSCENZA perché è un percorso veritativo Platonicamente, il VERO è il BENE IDEIN vedere con la mente THEORIA come visione della verità L’arte è MIMETICA perché è un’arte ARCHETIPICA, che propone MODELLI, che mostra l’ESSENZA delle cose KALOKAGATHIA Come identità di estetico e morale Valore POLITICO dell’arte La verità è PAROUSIA, immanenza dell’essere nell’ente Platone La teoria del MONDO copia delle IDEE La filosofia è il pensiero dell’ESSERE • che riconduce il mondo al vero • Eppure che coglie la distanza del mondo dal vero • La teoria delle Idee e la Dialettica • L’erotica come seconda via alla verità La separazione imperfetta e costante tra modello e copia L’inessenzialità della copia rispetto all’essenzialità del modello Questa è la ragione centrale della CONDANNA PLATONICA DELL’ARTE Tale condanna si basa sul concetto di INTERPRETAZIONE, come devianza dalla MIMESI autentica del pensiero (…)Platone considera l'interpretazione appunto come l'atto che S. Givone, intervista RAI copia, che semplicemente riproduce la realtà. Ma se l'imitazione è questa, e se l'arte è l'attività fondata sull'imitazione, è chiaro che l'arte è qualcosa di povero, di misero, è l'attività del copiare, è l'attività di chi si allontana dal reale, perché, se io lo copio, non lo vivo, se io lo copio, appunto, ne dò un'immagine, se ne dò un'immagine, mi allontano dal reale stesso. (…) Il reale per i Greci, e per Platone in particolare, è to on, è l'essere che è. E l' essere che è, l'essere che ha quella dignità che lo porta ad essere, è l'essere che è giusto che sia. Dunque il reale è anche il bene. Ma, se l'imitazione, e se l'arte come attività fondata sull'imitazione, mi allontana dall'essere, perché ne offre soltanto un'immagine, ne dà un'immagine depotenziata, più povera, più pallida, l'arte allontana, nel momento in cui allontana l'essere, anche dal bene. E quindi l'arte è qualche cosa di cui bisogna aver sospetto, perché, se allontana dall'essere e dal bene, allontana anche dalla verità. Se allontana dall'essere, dal bene e dalla verità, certo l'arte inganna, l'arte finge, l'arte è un elemento di disturbo agli occhi di colui che invece deve rivolgersi all'essere, alla verità e al bene Platone condanna soprattutto l'arte tragica. Platone condanna specialmente l’ARTE tragica, la POESIA Perché il poeta tragico • rende DUBBIO il comportamento dell’eroe • Rende DUBBIA la reazione alla vita e alla storia • Rende DUBBIA la posizione dell’uomo nella POLIS L’arte-intesa come arte tragica, come poesia- ha dunque una natura ANTIFILOSOFICA perché non conosce il principale fondamento della filosofia. …Il principio di NON contraddizione… Dubbio da DUBARE, rendere DUE… Aprire un’altra possibilità dove NON c’è possibilità ma solo IDENTITA’! …sarà invece proprio questa possibilità di identificazione con l’eroe e l’accadimento che per Aristotele garantirà la portata educativa della Mimesi tragica, e la sua valenza etica quindi il suo valore POSITIVO in quanto ulteriore dimensione filosofica dell’uomo Mimesis katharsis phronesis Tuttavia, nonostante questa terribile condanna L’ARTE antica ha una natura FONDAMENTALE e POSITIVA per la cultura classica PROPRIO grazie al suo carattere intrinsecamente MIMETICO Perché l’arte IMITA l’Essere e quindi ci mostra l’Essere nella sua verità …alla faccia della paura di Platone… La natura nella sua ESSENZA E’ la realtà, L’Essere nella sua ESSENZA E’ la verità L’ARTE è la capacità umana di riprodurre la realtà al massimo grado di perfezione POSSIBILE (quindi NON di perfezione ESISTENTE… perché qui VALE la distanza modello-copia di Platone! Per gli artisti greci VALE!!!) L’arte RENDE visibile la perfezione dell’IDEA L’esistenza dell’IDEA L’essenza della natura La verità del mondo Per questo l’ARTE antica è NECESSARIAMENTE un’arte MIMETICA Prassitele, Ermes e Dioniso, 330-320 a.C. • Perché la MIMESI è il rapporto CONOSCITIVO tra pensiero ed essere • Perché la MIMESI è il rapporto rappresentativo tra l’immagine e la verità Una riflessione su quanto detto serve per aver chiaro il passaggio che compirà la modernità filosofica, con la rivoluzione copernicana di Kant, verso una possibile e più probabile arte NON mimetica Il concetto di MIMESIS segna profondamente l’ontologia della classicità greca IMITAZIONE • Che rimanda al concetto di SOMIGLIANZA Dipendenza della rappresentazione dal rappresentato Arte MIMETICA e non CREATIVA non AUTONOMA in senso kantiano Ruolo e concezione dell’ARTISTA • La verità APPARTIENE ALLE COSE e NON al soggetto conoscente La verità è IMMANENTE, è nelle cose, NON nel soggetto kantiano MIMESIS, SOMIGLIANZA…NON è riproduzione di una «datità» ovvia e banale Perché…esiste la distanza tra il modello e la copia, certo…Platone conta, eccome! La MIMESI che il pensiero compie (con la filosofia e attraverso l’arte) ha sempre il valore di una scoperta Arte soprattutto come ARTE poetica è dare IMMAGINE alla verità che modella l’esistenza • È portare allo scoperto quel fondamento sovrasensibile che è immanente alle cose • È rendere VISIBILE la verità, nel mondo IMMAGINE come scoperta IMMAGINE e NON come creazione o invenzione come radice etimologica di IDEA: (come per i moderni) FORMA IMMAGINE come forma OGGETTIVA del reale, disegno del pensiero NON come bellezza soggettiva che il genio creativo o il gusto modellano a partire da se stessi Dopo la classicità greca, i rapporti pensiero/essere e immagine/verità si modificano sempre più radicalmente Si modificano profondamente il valore e la portata conoscitiva del concetto di MIMESI Soprattutto attraverso il CRISTIANESIMO MIMESI diventa ALLEGORIA Dal gr. dire altro L’immagine dice ALTRO dal mondo, non dice il mondo Imitazione diventa SIMBOLO Non raffigurare ma TRASFIGURARE NB il valore del SIMBOLICO nell’Occidente medievale (J. Le Goff) Immanenza diventa TRASCENDENZA Raggiungere la verità (=conoscere il divino) non è più indagare le cose ma superarle È credere che esistano MIRACOLI L’identità greca tra immagine e realtà è radicalmente spezzata Il vero è oltre il reale; il pensiero deve superare l’essere; l’immagine dice la verità quando dice di Dio e non più del mondo o dell’uomo Perché il mondo non ha senso in sé ma in quanto creazione di Dio Le immagini diventano sempre più antinaturalistiche e antimimetiche perché le cose sensibili perdono il loro senso intrinseco e rimandano ad altro modernità Fino ad arrivare alla , in cui Kant e la sua rivoluzione copernicana definiscono un soggetto • AUTONOMO nella conoscenza La conoscenza attiene quindi all’uomo stesso, e non più alle cose! • e nella CREAZIONE delle immagini di questa conoscenza il concetto di gusto, il concetto di genio artistico, il concetto di bellezza come criterio soggettivo Nasce l’estetica come disciplina filosofica in senso proprio l’arte come mondo AUTONOMO del pensiero L’arte come MONDO autonomo DAL pensiero Il segno e la cosa, l’immagine e la verità, l’arte e la realtà non sono più in rapporto mimetico …Sono in un «libero gioco» delle facoltà conoscitive e creative umane… Progressivamente e inesorabilmente si rompe il legame greco –allora indissolubileM. Foucault in Le parole e le cose analizza questo passaggio tra la legge della rassomiglianza E la teoria della rappresentazione • Tra l’immagine e la realtà • Tra il segno e la cosa • tra verosimiglianza e rappresentazione Le immagini possono NON dire la realtà Le parole possono non essere più le cose L’arte può essere completamente ARTE NON MIMETICA …Perché il Pensiero ECCEDE l’Essere… …mentre per i greci era sempre e soltanto l’Essere a eccedere il Pensiero… Autonomia dell’ARTE rispetto alla conoscenza e rispetto alla realtà L’artista e la vertigine della CREAZIONE ….un’arte NON mimetica dice di ALTRI mondi… …liberi dalla somiglianza… …Perché l’essere è più misterioso e profondo di quanto colga il nostro pensiero… Ma anche …Il reale è questo mistero indefinibile, che sfugge comunque al pensiero… Un’arte non mimetica ci ricorda che …Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia… W. Shakespeare, Amleto, Atto I scena V Intersezioni non mimetiche W. Benjamin e Paul Klee M. Foucault e René Magritte P. Klee, Ad Parnassum, 1932 R. Magritte, Questa non è una pipa, 1928-29 L’arte non riproduce il visibile, rende visibile P. Klee La realtà non è mai come la si vede, la verità è soprattutto immaginazione R. Magritte Arte MIMETICA parole che SONO cose Legame ontologico essere-pensiero Quindi parola-immagine (antichità classica, fino al ‘500) Vige quella che M. Foucault chiama la legge della SOMIGLIANZA, per cui Questa è una pipa! Legame tra somiglianza (immagine/essere) e affermazione (parola/cosa) Secondo M. Foucault, la pittura occidentale è sempre stata regolata, almeno fino al XX secolo, anche dall’ equivalenza tra il fatto della somiglianza e l’affermazione di un legame rappresentativo. Basta che una figura somigli ad una cosa (o a qualche altra figura) perché nel gioco della pittura si inserisca un enunciato evidente, banale, ripetuto mille volte e tuttavia quasi sempre silenzioso (…) «ciò che vedete è questo». Poco importa, anche qui, in che senso è stabilito il rapporto di rappresentazione, se la pittura sia rimandata al visibile che la circonda o se essa crei da sola un invisibile che le somiglia. M. Foucault, Questa non è una pipa Con Kandiskji, Klee e Magritte si rompe questo rapporto tra somiglianza e rappresentazione, in forme diverse e per finalità diverse, ma accomunate dalla stessa carica di DISSOCIAZIONE. R. Magritte …le parole non sono le cose Magritte (…) procede per dissociazione: rompere i legami [tra somiglianza e affermazione], stabilire la loro ineguaglianza, fare agire l’una senza l’altra (…). Pittura del «Medesimo» liberata dal «come se». Siamo alla massima distanza dal trompe l’oeil. Quest’ultimo vuole fare passare il più pesante carico di affermazione mediante l’astuzia di una somiglianza convincente (…) Il TROMPE L’OEIL come massima apparenza; La pittura semplicemente «mimetica» come semplice apparenza Invece, Magritte, ci dice «questo NON è quello che vedi» E te lo dico, con le parole che dicono la verità del NON Medesimo, l’impossibilità di dire tutto del reale …l’apparenza inganna l’occhio perché vuol passare per la realtà che rappresenta… Il mistero del reale, l’indefinibile del detto R. Magritte, Il tradimento delle immagini, 1928/29 Arte NON mimetica anche se «figurativa» le parole dicono di ALTRE cose; le cose sono libere dalle loro stesse parole Sguardo del pittore come FALSO SPECCHIO che trascende ciò che vede …Un’arte IMITATIVA non è sempre e solo arte che riproduce il reale… Non sappiamo se il surrealismo di Magritte abbia davvero voluto dire tutto questo. Quello che mi preme sottolineare è che Foucault UTILIZZA questa «metafora» della pittura di Magritte per «illustrare» il rapporto che si è creato tra le parole e le cose nella configurazione epistemologica moderna. Infatti in Foucault «alcune opere e alcuni autori si offrono come blasoni della nascita di un’episteme, come emblemi dell’emergenza del nuovo (…)» (Francesco P. Adorno, La pittura di Manet, ed. La Città del sole, Napoli 1996 Foucault legge in Magritte la scomparsa della cosa, o meglio l’impossibilità della parola-segno di far presa sulla cosa Con la modernità portata alle sue estreme conseguenze L’arte è un MONDO di conoscenza e di azione, autonoma e capace di un suo proprio linguaggio Designare e disegnare non si sovrappongono M. Foucault, Questo non è una pipa, ) Paul Klee … l’essenziale è invisibile agli occhi… 1879-1940 Arte NON mimetica MA tesa proprio per questo alla ricerca dell’ESSENZA delle cose Arte NON mimetica ma proprio per questo VERITATIVA L’arte non riproduce il visibile, rende visibile P. Klee La pittura MOSTRA ciò che la conoscenza raggiunge RIVELA È la potenza dell’IMMAGINE in Benjamin Klee –Benjamin, accomunabili per: • Una certa teoria della forma segnica e del colore • La portata conoscitiva dell’immagine Klee Nell’immagine e soprattutto nella sua interna LOGICA compositiva si realizza il compito ultimo dell’artista Rendere visibile l’invisibile Benjamin L’immagine propria della forma artistica (l’opera d’arte) ha il ruolo decisivo per far comprendere un’epoca e il suo senso L’immagine rivela l’attimo veritativo del tempo utopico, introduce l’utopia nell’ovvietà È per queste simili concezioni dell’immagine (e quindi dell’arte) che sia Benjamin che Klee si allontanano da un modello MIMETICO di rappresentazione In entrambi l’arte non imita la natura nel suo apparire, ma piuttosto l’arte ha senso se rivela della Natura l’ESSENZA, l’immagine ORIGINARIA e ORIGINANTE La legge che ne spiega la genesi Certo, l’immagine è fatta di dati sensibili, ha due elementi che la riferiscono al mondo visibile l’IDEA che la spiega, platonicamente la sua forma noumenica e non fenomenica, kantianamente Tali elementi sono il SEGNO e il COLORE • Segno e colore sono anzi le due entità sensibili che veicolano l’invisibile, l’essenziale; sono le uniche due «cose» di cui si serve l’artista per mostrare la verità • Sia in Benjamin che in Klee si legge l’importanza della RIDUZIONE dell’IMMAGINE a tali elementi essenziali, alla loro sola ed esclusiva presenza • Klee parla di un costante procedimento riduttivo della realtà alle sue forme GRAFICHE L’esito del processo riduttivo, cioè l’opera d’arte, deve rendere le linee di forza generative delle forme P. Klee, Strada principale e strade secondarie, 1929 (…)l’artista ha sempre di fronte a sé la natura, alla quale NON rinuncia (…) anche quando attua la riduzione dei mezzi figurativi, sulla sua tela l’articolazione delle linee mantiene sempre un legame con l’immagine naturale. È cioè sempre possibile, nonostante l’astrazione, orientarsi nei suoi quadri, riconoscervi una realtà (…) S. Astarita, Benjamin e Klee: interesezioni P. Klee, Monumenti a G, 1929 P. Klee, Ad Parnassum, 1932 L’artista guarda alla natura come fonte ispiratrice, ma non più per rappresentarne il visibile mediante una “mimesi” esteriore, ma per renderne visibile quell’intimo generare che ne costituisce la verità. La creazione vive come genesi sotto la superficie visibile dell’opera. Volta al passato la vedono tutti gli intellettuali, volta all’avvenire soltanto chi sa creare (P. Klee, Diari 1898-1918) Riferimenti • S. Givone, Storia dell’Estetica, Laterza, 1998 • D. Guastini, Prima dell’estetica. Poetica e filosofia nell’antichità, Laterza 2004 • S. Borutti, Filosofia dei sensi. Estetica del pensiero tra filosofia, arte e letteratura, Raffaello Cortina 2006 • M. Foucault, Le parole e le cose, Bur 1998 • M. Foucault, Questo non è una pipa, SE edizioni, 1988 • S. Dal Bono, Foucault Pensare l’infinito. Dall’età della rappresentazione all’età del simulacro, Mimesis Edizioni, 2007 • S. Astarita, Walter Benjamin e Paul Klee: intersezioni, in Kainos, rivista di filosofia contemporanea, 2005 • S. Givone, La condanna platonica dell’arte, in www.emsf.rai.it/aforismi