MIMESIS
un percorso tra Arte e Filosofia
Ed. Visiva a.s. 2010 2011
Prof. F. Ardigò
Prof.sa R. Zelioli
Ed. Visiva
prof. Ferdinando Ardigò
Noi non siamo una
macchina fotografica
Prof. F. Ardigò
Può un’immagine fotografica, pittorica, scultorea, restituire con la stessa forza l’oggetto
della rappresentazione?
Ed è vero che più l’immagine riprodotta si avvicina al reale, cioè alla fotografia e più imita
la realtà?
No, non è sempre vero perché la realtà è più complessa della sua rappresentazione e
quindi la rappresentazione ha bisogno di restituire questa complessità che spesso
un’immagine fotografica o iperrealista non è in grado di fare.
In filosofia questo argomento prende il nome di mimesi e verrà trattato in termini specifici dalla prof. Zelioli, noi in questa
fase tratteremo l’argomento solo dal punto di vista tecnico, pittorico, artistico, analizzando diversi artisti paesaggisti e di
nature morte.
Noi non guardiamo con gli occhi ma con il cervello, il cervello ricompone i segnali che gli occhi
raccolgono, più sono semplici e più il cervello li ricompone facilmente.
”È alla non assimilazione alla rappresentazione perfetta che avviene il
miracolo dell’identificazione”
De vecchi - Cerchiari “arte nel tempo”
Scenografia e vedutismo
Si diffondono in Europa le scenografie teatrali
Il formarsi di teatri stabili favorisce la creazione di nuovi allestimenti quindi nuove opportunità
per scenografi specialisti
Francia Austria Germania attraggono artisti italiani
A Bologna la “quadratura”, era attiva dalla metà del 500, ora (1700 circa) si era avviato un
percorso di sovvertimento degli schemi barocchi. La tradizionale impostazione prospettica,
che prevedeva un punto di fuga su asse centrale non soddisfaceva più.
De vecchi - Cerchiari “arte nel tempo”
Ferdinando Bibbiena nel suo trattato architettura civile preparata sulla geometria e ridotta
alla prospettiva (1711) propone la cosiddetta “veduta per angolo” , sistema di direttrici
prospettiche indipendenti da quelle della sala e inclinato rispetto ad esse secondo un
angolo variabile definito da linee diagonali
Al centro è collocata la visione per angolo di un edificio, da cui partono gli assi prospettici verso
due fuochi laterali ed esterni alla scena. Ne consegue una migliore visibilità
De vecchi - Cerchiari “arte nel tempo” / G.C.Argan ”storia dell’arte italiana”
“Vedutismo”
Col termine “veduta” si intende un ambito distinto dalla semplice pittura di paesaggio, volto alla
rappresentazione topografica, in cui l’elemento naturale si integra a quello architettonico
Il vedutismo veneziano è molto al di là dei limiti del genere, si inserisce nel vivo della cultura
illuministica, preoccupata di mettere in chiaro le strutture ed il funzionamento della mente.
Tutto ciò che sappiamo dalla realtà, lo sappiamo dalle rappresentazioni che si formano nella
coscienza: non sapremo mai se siano identiche alla realtà, ma vogliamo che siano chiare e
positive, capaci di fondere un’esperienza non soltanto personale, di stabilire intese fra gli
individui, di costituire una base di esperienza comune a tutta la società. Al principio del
settecento, a Venezia l’alternativa è tra veduta di fantasia e veduta esatta.
“Quadri di rovine” in cui i resti dei monumenti antichi vengono assunti come esplicita
testimonianza di un passato glorioso “capricci”. Di questo genere che prevede la combinazione
senza alcuna esattezza storica e topografica, di elementi storici e di fantasia con aperture
paesistiche immaginarie, offrono affascinanti esempi anche i veneziani Canaletto e Guardi.
Antonio Canaletto 1697-1768
Le particolarità della visione di Canaletto risulta dall’attenzione della resa atmosferica,
Dalla scelta di precise condizioni di luce per ogni particolare momento della giornata
Da un’indagine della realtà condotta con criteri di scientifica oggettività
Proprio nel momento di più decisa affermazione del razionalismo illuminista, si ricerca in pittura
una maggiore adesione al reale insistendo sul valore matematico della prospettiva e utilizzando
uno strumento come la camera ottica
Canaletto pittore paesaggista,
nelle sue vedute di Venezia riusciamo a cogliere elementi che una macchina fotografica non sarebbe in grado
di rimandarci, nei suoi quadri riusciamo a percepire, di un paesaggio, temperatura, velocità del vento grado
di umidità.
Perché?
Il Canaletto affronta il problema con un metodo critico che fa di lui uno dei più lucidi esponenti della cultura
illuministica europea. Le prime vedute veneziane risalgono al 1722-23, verso il ‘30 la sua produzione è già in
gran parte assorbita da una scelta clientela inglese: era logico che il pittore illuminista venisse specialmente
apprezzato nel solo paese in cui la cultura illuminista si sviluppava e diffondeva senza contrasti. Nelle prime
vedute la tecnica è controllatissima: linee diritte, fattura a piccoli tocchi e senza spessori, colori nitidi senza
impasti chiaroscurali. Volendo ridurre a verità razionale una spazialità scenografica, cioè fondata
sull’illusorio, si serve dello strumento geometrico della prospettiva, la sua prima operazione è dunque di
verificare lo strumento prospettico confrontando i suoi dati con quelli della camera chiara. La camera ottica
non è un sussidio prospettico, è un modo per sfrondare detergere l’immagine dal falso vedere a cui gli occhi
e la mente sono stati abituati dalle infinite astuzie della prospettiva barocca: troppo spesso impiegata, non
già a veder chiaro, ma a confondere a bella posta le idee.
“la prospettiva del Canaletto non costruisce un’immagine che s’allontana, ma piuttosto le fa emergere
dall’indistinto, verso lo spettatore”
Francesco Guardi (1712-1793)
Guardi vivo e moderno rappresenta un mondo fantastico e onirico
Come un fenomeno regressivo rispetto a quello del Canaletto, lascia intendere come egli fosse
tornato a quel pur finissimo mestiere pittorico che la tecnica scientifica del Canaletto aveva
superato. Il Guardi è infatti un “virtuoso” : come quei musicisti del 700 che dalla esecuzione
passano all’interpretazione, dall’interpretazione alla variante , dalla variante alla
improvvisazione e, talvolta, all’invenzione creativa. Egli era sempre inteso a stimolare il colore,
a impedirgli di adagiarsi , a frantumarlo in miriadi di schegge iridescenti e scintillanti. Comincia a
dipingere vedute verso il 1750. Da una nota di colore fa scaturire tutta una gamma di toni fitti
che si concludono in una luminosità dilagante, spesso attuata in delicatissime tonalità di
madreperla, tutta percorsa da vibrazioni e da fremiti. Ama i muri cadenti, pieni di rampicanti e
di muffe . Il suo non è più il paesaggio come “veduta esatta”,ma il paesaggio come esperienza
individuale legata non meno che al luogo, al tempo e allo stato d’animo. E’ il preludio al
paesaggio romantico.
“Bernando
Bellotto
rappresenta il reale nella
dimensione della camera
ottica,
il
risultato
è
fotografico e le ombre
diventano
ombre
che
cancellano il dato reale
mentre l’occhio si adatta
sempre alla luce e riesce
dopo
l’adattamento
a
leggere le cose in ombra in
modo dettagliato”
Ci sono due modi
di interpretare la realtà, uno
coglie l’apparenza,
“la pelle”,
l’altro
l’anima delle cose
Arnold Hauser “Storia sociale dell’arte”
Il rococò è l’ultima fase di una cultura mondana dove il principio della bellezza
domina assoluto, l’ultimo stile in cui bello e artistico sono ancora sinonimi.
In Watteau, Fragonard, e Chardin e Mozart, tutto è bello e melodioso.
In Beethoven, David e Delacroix l’arte diventa attiva , agonistica,.
Nella seconda metà del 1700 è avvenuto un mutamento rivoluzionario: è sorta la
moderna borghesia che con il suo individualismo e la sua ricerca dell’originalità ha
distrutto l’idea di stile come consapevole e deliberata comunità culturale, portando il
concetto di proprietà intellettuale al suo significato odierno.
Domenico Purificato “come leggere un quadro”
Chardin 1699-1779
Cardhin
In lui si percepisce perfettamente la qualità della materia degli oggetti
“Il meccanismo della sua rappresentazione non è nella perfezione della simulazione che da la
percezione, ma in un puro colpo di pennello bianco sopra un fondo blu abbastanza vago” la
banalità del segno che consente la percezione
I suoi dipinti appartengono al meglio dell’arte del 700 schietti ed onesti, sono in contrasto con il
rococò dell’aristocrazia e dell’alta borghesia. Mette in discussione “l’art pour l’art” del rococò.
L’arte deve “onorare le virtù e smascherare il vizzo” una tappa nella storia della rivoluzione già in
corso
“Non si dipinge con i colori ma con il sentimento” così affermava Chardin che credeva in una
pittura caratterizzata da una profonda interiorità spirituale, da un equilibrio umano fondato
sui moti più teneri e familiari del sentimento, che riguardava anche l’atmosfera particolare, la
luminosità che avvolgeva l’opera, e infine il patos della tematica.
Chardin si sente l’esponente custode della sana borghesia, non dava avvertimenti solenni, né
lezioni di scienza della pittura.
Chardin fu chiamato anche “il poeta dell’oggetto” e, chiuso nel proprio mondo di realtà
quotidiana, celebrò l’intimità domestica, frutta, fiori, cacciagione, e oggetti domestici di ogni
genere.
Giorgio Morandi 1890-1964
Morandi rappresenta l’essenza metafisica dello spazio e degli oggetti e la loro variazione di luce
superficiale, non era interessato alla materia degli oggetti, i suoi oggetti erano ricoperti da una
patina di polvere che copriva la sostanza della materia di cui erano fatti.
La Pittura di Morandi è la distruzione metodica della prospettiva fondata sulla geometria
euclidea, cioè della concezione dello spazio su cui si fondava, da Giotto in poi.
In Morandi la distruzione della prospettiva è evidente , facendo degli oggetti sagome sospese e
livellando i piani colorati della tavola delle pareti e degli oggetti. La profondità non esiste più
come vuoto capiente in cui siano situate le forme solide degli oggetti , il tessuto spaziale diventa
continuo. La pittura da ordine e chiarezza alla realtà, al fine di rappresentarla, la linea è
contorno e limite delle cose, il volume consistenza fisica degli oggetti, il tono tinta locale
modificata dalla distanza e dalla luce. Morandi ragiona con logica perfetta: se la forma è il
risultato a cui si deve giungere al termine del processo. La linea non è il limite delle cose,ma il
confine e la mediazione tra valori tonali comunicati, il volume non è rilievo ottenuto con il
chiaroscuro ma calibrata distanza tra piani colorati. Nulla è dato in se tutto per relazione. E la
relazioni si determinano nel corso dell’esperienza vissuta della pittura: il significato dei valori
muta ogni volta perché l’esperienza è vita e la vita è sempre diversa. La pittura di Morandi è la
storia di una continua permutazione del valore ma nel senso di una costante crescita qualitativa:
anche perciò la sua tematica è costante, gli oggetti entro cui avvengono le mutazioni dei valori
sono sempre gli stessi. Se per tutta la vita , ha dipinto sempre le stesse bottiglie, gli stessi
barattoli, non certo perché amasse quegli oggetti, ma perché aveva bisogno che l’oggetto
arcinoto non facesse problema e non richiamasse e localizzasse sul proprio essere l’interesse
conoscitivo che mirava invece al suo essere nello spazio
De Pisis
Prende il testimone da Cardhin con il ritmo della pittura materica e
moderna
Non è l’immagine della cosa ma è la cosa stessa la cosa medesima
Più è semplice il segno più è miserabile più ci sembra possibile
ricostruirlo nella nostra mente come un segno che rappresenta
una cosa autentica l’oggetto autentico non vuole la descrizione
come una fotografia, vuole solo i segni semplici che noi
ricomponiamo nel nostro cervello
Filosofia
prof.sa Rossella Zelioli
Per una definizione
MIMESI
Dal greco
IMITAZIONE
• Nella filosofia platonica è il rapporto che intercorre tra
Le cose del mondo sensibile
copia
e
Le idee
È IMITAZIONE del
• In estetica
modello
È l’essenza dell’ARTE
intesa come IMITAZIONE DELLA REALTA’
(da Aristotele a Kant, almeno)
Temi aperti:
• Pensiero/ Essere
La verità e la sua conoscenza
• Immagine/ Realtà
La verità e la sua rappresentazione
Arte e filosofia
due MODI di conoscenza
Ma anche
due MONDI di conoscenza
Percorso filosofico proposto
• La mimesi nell’antichità (Platone, Aristotele). Il pensiero dell’essere, l’immagine
della realtà. L’arte antica come arte mimetica
• Il cristianesimo e la svolta allegorica
• La modernità e la nascita dell’Estetica
•
un’arte non mimetica
Dalla legge della somiglianza
alla
teoria della rappresentazione
(M. Foucault, Le parole e le cose)
Pensiero ed essere
Parole e cose
Quale distanza e perché?
• W. Benjamin e P. Klee
• M. Foucault e R.
Magritte
NB l’Estetica è una disciplina MODERNA e quindi
anche e soprattutto la concezione dell’ARTE
come attività autonoma dal resto della prassi conoscitiva
Temi aperti sono
Il rapporto PENSIERO/ESSERE
Il rapporto IMMAGINE/REALTA’
Prima dell’Estetica la storia del rapporto pensiero/essere
E quindi del rapporto arte/verità è segnata da due concetti di riferimento:
• Il concetto di MIMESI
• Il concetto di ALLEGORIA
Il concetto di Mimesi
nell’Antichità classica
Platone,
Aristotele,
Repubblica
Poetica
Nella filosofia classica
• il pensiero E’ l’essere
• l’immagine è la realtà
• l’arte è la verità
MIMESI è il processo di
esplicazione
di tali identità
La MIMESIS –imitazione, copia in senso Platonico- conferisce all’ARTE un valore
ONTOLOGICO
L’arte è l’Essere
perché ne mostra
l’IDEA
GNOSEOLOGICO
ETICO
L’arte E’ un processo di
CONOSCENZA perché è un
percorso veritativo
Platonicamente,
il VERO è il BENE
IDEIN vedere con la mente
THEORIA come visione della verità
L’arte è MIMETICA perché è un’arte
ARCHETIPICA, che propone MODELLI, che
mostra l’ESSENZA delle cose
KALOKAGATHIA
Come identità
di estetico e morale
Valore POLITICO dell’arte
La verità è PAROUSIA, immanenza
dell’essere nell’ente
Platone
La teoria del MONDO copia delle IDEE
La filosofia è il pensiero dell’ESSERE
• che riconduce il mondo al vero
• Eppure che coglie la distanza del mondo dal vero
• La teoria delle Idee e
la Dialettica
• L’erotica come
seconda via alla verità
La separazione imperfetta e costante tra modello e copia
L’inessenzialità della copia rispetto all’essenzialità del modello
Questa è la ragione centrale della
CONDANNA PLATONICA DELL’ARTE
Tale condanna si basa sul concetto di INTERPRETAZIONE, come devianza dalla MIMESI
autentica del pensiero
(…)Platone considera l'interpretazione appunto come l'atto che
S. Givone, intervista RAI
copia, che semplicemente riproduce la realtà. Ma se l'imitazione
è questa, e se l'arte è l'attività fondata sull'imitazione, è chiaro
che l'arte è qualcosa di povero, di misero, è l'attività del copiare,
è l'attività di chi si allontana dal reale, perché, se io lo copio, non
lo vivo, se io lo copio, appunto, ne dò un'immagine, se ne dò
un'immagine, mi allontano dal reale stesso. (…)
Il reale per i Greci, e per Platone in particolare, è to on, è l'essere che è. E l' essere che è, l'essere che
ha quella dignità che lo porta ad essere, è l'essere che è giusto che sia. Dunque il reale è anche il bene.
Ma, se l'imitazione, e se l'arte come attività fondata sull'imitazione, mi allontana dall'essere, perché
ne offre soltanto un'immagine, ne dà un'immagine depotenziata, più povera, più pallida, l'arte
allontana, nel momento in cui allontana l'essere, anche dal bene. E quindi l'arte è qualche cosa di cui
bisogna aver sospetto, perché, se allontana dall'essere e dal bene, allontana anche dalla verità.
Se allontana dall'essere, dal bene e dalla verità, certo l'arte inganna, l'arte finge, l'arte è un
elemento di disturbo agli occhi di colui che invece deve rivolgersi all'essere, alla verità e al bene
Platone condanna soprattutto l'arte tragica.
Platone condanna specialmente l’ARTE tragica, la POESIA
Perché il poeta tragico
• rende DUBBIO il comportamento dell’eroe
• Rende DUBBIA la reazione alla vita e alla storia
• Rende DUBBIA la posizione dell’uomo nella POLIS
L’arte-intesa come arte tragica, come poesia- ha
dunque una natura ANTIFILOSOFICA perché non
conosce il principale fondamento della filosofia.
…Il principio di NON contraddizione…
Dubbio da DUBARE, rendere DUE…
Aprire un’altra possibilità dove NON c’è
possibilità ma solo IDENTITA’!
…sarà invece proprio questa possibilità di
identificazione con l’eroe e l’accadimento
che per Aristotele garantirà
la portata educativa della Mimesi tragica,
e la sua valenza etica
quindi il suo valore POSITIVO in quanto
ulteriore dimensione filosofica dell’uomo
Mimesis
katharsis
phronesis
Tuttavia, nonostante questa terribile condanna
L’ARTE antica ha una natura FONDAMENTALE e POSITIVA per la cultura classica
PROPRIO grazie al suo carattere intrinsecamente MIMETICO
Perché l’arte IMITA l’Essere e quindi ci mostra l’Essere nella sua verità
…alla faccia della paura di Platone…
La natura nella sua ESSENZA E’ la realtà,
L’Essere nella sua ESSENZA E’ la verità
L’ARTE è la capacità umana di riprodurre la realtà
al massimo grado di perfezione POSSIBILE
(quindi NON di perfezione ESISTENTE…
perché qui VALE la distanza modello-copia di Platone!
Per gli artisti greci VALE!!!)
L’arte RENDE visibile la perfezione dell’IDEA
L’esistenza dell’IDEA
L’essenza della natura
La verità del mondo
Per questo l’ARTE antica è NECESSARIAMENTE
un’arte MIMETICA
Prassitele, Ermes e Dioniso, 330-320 a.C.
• Perché la MIMESI è il rapporto CONOSCITIVO tra
pensiero ed essere
• Perché la MIMESI è il rapporto rappresentativo tra l’immagine e la verità
Una riflessione su quanto detto serve per aver chiaro
il passaggio che compirà la modernità filosofica, con la rivoluzione copernicana di Kant,
verso una possibile e più probabile arte NON mimetica
Il concetto di MIMESIS segna profondamente l’ontologia della classicità greca
IMITAZIONE
•
Che rimanda al concetto di SOMIGLIANZA
Dipendenza della rappresentazione
dal rappresentato
Arte MIMETICA e non CREATIVA non AUTONOMA in senso kantiano
Ruolo e concezione dell’ARTISTA
• La verità APPARTIENE ALLE COSE e NON al soggetto conoscente
La verità è IMMANENTE, è nelle cose, NON nel soggetto kantiano
MIMESIS, SOMIGLIANZA…NON è riproduzione di una «datità» ovvia e banale
Perché…esiste la distanza tra il modello e la copia, certo…Platone conta, eccome!
La MIMESI che il pensiero compie
(con la filosofia e attraverso l’arte)
ha sempre il valore di una scoperta
Arte soprattutto come ARTE poetica
è dare IMMAGINE
alla verità che modella l’esistenza
• È portare allo scoperto quel fondamento
sovrasensibile che è immanente alle cose
• È rendere VISIBILE la verità, nel mondo
IMMAGINE come scoperta
IMMAGINE
e NON come creazione o invenzione come radice etimologica di
IDEA:
(come per i moderni)
FORMA
IMMAGINE come forma OGGETTIVA del reale,
disegno del pensiero
NON come bellezza soggettiva
che il genio creativo o il gusto modellano a partire da se stessi
Dopo la classicità greca,
i rapporti pensiero/essere e immagine/verità
si modificano sempre più radicalmente
Si modificano profondamente il valore e la portata conoscitiva
del concetto di MIMESI
Soprattutto attraverso il CRISTIANESIMO
MIMESI diventa
ALLEGORIA
Dal gr. dire
altro
L’immagine dice
ALTRO dal mondo,
non dice il mondo
Imitazione
diventa SIMBOLO
Non raffigurare ma
TRASFIGURARE
NB il valore del SIMBOLICO
nell’Occidente medievale (J. Le Goff)
Immanenza
diventa TRASCENDENZA
Raggiungere la verità
(=conoscere il divino) non è più
indagare le cose ma superarle
È credere che esistano MIRACOLI
L’identità greca tra immagine e realtà è radicalmente spezzata
Il vero è oltre il reale; il pensiero deve superare l’essere;
l’immagine dice la verità quando dice di Dio
e non più del mondo o dell’uomo
Perché il mondo non ha senso in sé ma in quanto creazione di Dio
Le immagini diventano sempre più antinaturalistiche e antimimetiche
perché le cose sensibili perdono il loro senso intrinseco e rimandano ad altro
modernità
Fino ad arrivare alla
,
in cui Kant e la sua rivoluzione copernicana definiscono un soggetto
• AUTONOMO nella
conoscenza
La conoscenza attiene quindi all’uomo
stesso, e non più alle cose!
• e nella CREAZIONE delle immagini
di questa conoscenza
il concetto di gusto, il concetto di genio artistico,
il concetto di bellezza come criterio soggettivo
Nasce l’estetica come disciplina filosofica in senso proprio
l’arte come mondo AUTONOMO del pensiero
L’arte come MONDO autonomo DAL pensiero
Il segno e la cosa, l’immagine e la verità, l’arte e la realtà
non sono più in rapporto mimetico
…Sono in un «libero gioco» delle facoltà conoscitive e creative umane…
Progressivamente e inesorabilmente
si rompe il legame greco –allora indissolubileM. Foucault in Le parole e le cose
analizza questo passaggio
tra la legge della rassomiglianza
E
la teoria della rappresentazione
• Tra l’immagine e la realtà
• Tra il segno e la cosa
• tra verosimiglianza e rappresentazione
Le immagini possono NON dire la realtà
Le parole possono non essere più le cose
L’arte può essere completamente ARTE NON MIMETICA
…Perché il Pensiero ECCEDE l’Essere…
…mentre per i greci era sempre e soltanto
l’Essere a eccedere il Pensiero…
Autonomia dell’ARTE rispetto alla
conoscenza e rispetto alla realtà
L’artista e la vertigine della CREAZIONE
….un’arte NON mimetica
dice di ALTRI mondi…
…liberi dalla somiglianza…
…Perché l’essere è più misterioso e profondo
di quanto colga il nostro pensiero…
Ma anche
…Il reale è questo mistero
indefinibile, che sfugge comunque
al pensiero…
Un’arte non mimetica ci ricorda che
…Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di
quante ne sogni la tua filosofia…
W. Shakespeare, Amleto,
Atto I scena V
Intersezioni non mimetiche
W. Benjamin e Paul Klee
M. Foucault e René Magritte
P. Klee, Ad Parnassum, 1932
R. Magritte, Questa non è una pipa, 1928-29
L’arte non riproduce il visibile,
rende visibile
P. Klee
La realtà non è mai come la si vede,
la verità è soprattutto immaginazione
R. Magritte
Arte MIMETICA parole che SONO cose
Legame ontologico essere-pensiero
Quindi parola-immagine
(antichità classica, fino al ‘500)
Vige quella che M. Foucault chiama
la legge della SOMIGLIANZA, per cui
Questa è una pipa!
Legame tra somiglianza (immagine/essere)
e affermazione (parola/cosa)
Secondo M. Foucault, la pittura occidentale è sempre stata regolata, almeno fino al XX
secolo, anche dall’ equivalenza tra il fatto della somiglianza e l’affermazione di un legame
rappresentativo.
Basta che una figura somigli ad una cosa (o a qualche altra figura) perché nel gioco della
pittura si inserisca un enunciato evidente, banale, ripetuto mille volte e tuttavia quasi
sempre silenzioso (…) «ciò che vedete è questo».
Poco importa, anche qui, in che senso è stabilito il rapporto di rappresentazione, se la
pittura sia rimandata al visibile che la circonda o se essa crei da sola un invisibile che le
somiglia.
M. Foucault, Questa non è una pipa
Con Kandiskji, Klee e Magritte si rompe questo rapporto tra somiglianza e
rappresentazione, in forme diverse e per finalità diverse,
ma accomunate dalla stessa carica di DISSOCIAZIONE.
R. Magritte …le parole non sono le cose
Magritte (…) procede per dissociazione: rompere i legami [tra somiglianza e affermazione], stabilire
la loro ineguaglianza, fare agire l’una senza l’altra (…).
Pittura del «Medesimo» liberata dal «come se». Siamo alla massima distanza dal trompe
l’oeil. Quest’ultimo vuole fare passare il più pesante carico di affermazione mediante l’astuzia
di una somiglianza convincente (…)
Il TROMPE L’OEIL come massima apparenza;
La pittura semplicemente «mimetica» come semplice apparenza
Invece, Magritte, ci dice «questo NON è quello che vedi»
E te lo dico, con le parole che dicono la
verità del NON Medesimo,
l’impossibilità di dire tutto del reale
…l’apparenza inganna l’occhio perché
vuol passare per la realtà che
rappresenta…
Il mistero del reale,
l’indefinibile del detto
R. Magritte, Il tradimento delle immagini, 1928/29
Arte NON mimetica anche se «figurativa»
le parole dicono di ALTRE cose;
le cose sono libere dalle loro stesse parole
Sguardo del pittore come FALSO SPECCHIO
che trascende ciò che vede
…Un’arte IMITATIVA non è sempre e solo arte
che riproduce il reale…
Non sappiamo se il surrealismo di Magritte abbia davvero voluto dire tutto questo.
Quello che mi preme sottolineare è che
Foucault UTILIZZA questa «metafora» della pittura di Magritte per «illustrare»
il rapporto che si è creato tra le parole e le cose
nella configurazione epistemologica moderna.
Infatti in Foucault «alcune opere e alcuni autori si offrono come blasoni della nascita
di un’episteme, come emblemi dell’emergenza del nuovo (…)»
(Francesco P. Adorno, La pittura di Manet, ed. La Città del sole, Napoli 1996
Foucault legge in Magritte la scomparsa della cosa, o meglio
l’impossibilità della parola-segno di far presa sulla cosa
Con la modernità portata alle sue estreme conseguenze
L’arte è un MONDO di conoscenza e di azione,
autonoma e capace di un suo proprio linguaggio
Designare e disegnare non si sovrappongono
M. Foucault, Questo non è una pipa,
)
Paul Klee … l’essenziale è invisibile agli occhi…
1879-1940
Arte NON mimetica MA tesa proprio per questo alla ricerca dell’ESSENZA delle cose
Arte NON mimetica ma proprio per questo VERITATIVA
L’arte non riproduce il visibile, rende visibile
P. Klee
La pittura
MOSTRA
ciò che la conoscenza raggiunge
RIVELA
È la potenza dell’IMMAGINE in Benjamin
Klee –Benjamin, accomunabili per: • Una certa teoria della forma segnica e del colore
• La portata conoscitiva dell’immagine
Klee
Nell’immagine e soprattutto
nella sua interna LOGICA
compositiva si realizza il compito
ultimo dell’artista
Rendere visibile l’invisibile
Benjamin
L’immagine propria della forma artistica (l’opera d’arte)
ha il ruolo decisivo
per far comprendere un’epoca e il suo senso
L’immagine rivela l’attimo veritativo del tempo utopico,
introduce l’utopia nell’ovvietà
È per queste simili concezioni dell’immagine (e quindi dell’arte) che sia Benjamin che Klee
si allontanano da un modello MIMETICO di rappresentazione
In entrambi l’arte non imita la natura nel suo apparire,
ma piuttosto l’arte ha senso se rivela della Natura l’ESSENZA, l’immagine ORIGINARIA e ORIGINANTE
La legge che ne spiega la genesi
Certo, l’immagine è fatta di dati sensibili,
ha due elementi che la riferiscono al mondo visibile
l’IDEA che la spiega, platonicamente
la sua forma noumenica e non fenomenica, kantianamente
Tali elementi sono il SEGNO e il COLORE
•
Segno e colore sono anzi le due entità sensibili che
veicolano l’invisibile, l’essenziale;
sono le uniche due «cose» di cui si serve l’artista per
mostrare la verità
•
Sia in Benjamin che in Klee si legge l’importanza
della RIDUZIONE dell’IMMAGINE a tali elementi
essenziali, alla loro sola ed esclusiva presenza
• Klee parla di un costante procedimento
riduttivo della realtà alle sue forme GRAFICHE
L’esito del processo riduttivo,
cioè l’opera d’arte, deve rendere
le linee di forza generative delle forme
P. Klee, Strada principale e strade secondarie, 1929
(…)l’artista ha sempre di fronte a sé la natura, alla quale NON rinuncia (…) anche quando
attua la riduzione dei mezzi figurativi, sulla sua tela l’articolazione delle linee mantiene
sempre un legame con l’immagine naturale. È cioè sempre possibile, nonostante
l’astrazione, orientarsi nei suoi quadri, riconoscervi una realtà (…)
S. Astarita, Benjamin e Klee: interesezioni
P. Klee, Monumenti a G, 1929
P. Klee, Ad Parnassum, 1932
L’artista guarda alla natura come fonte ispiratrice,
ma non più per rappresentarne il visibile
mediante una “mimesi” esteriore,
ma per renderne visibile quell’intimo generare
che ne costituisce la verità.
La creazione vive come genesi sotto la superficie visibile dell’opera. Volta al passato la vedono
tutti gli intellettuali, volta all’avvenire soltanto chi sa creare
(P. Klee, Diari 1898-1918)
Riferimenti
• S. Givone, Storia dell’Estetica, Laterza, 1998
• D. Guastini, Prima dell’estetica. Poetica e filosofia nell’antichità, Laterza 2004
• S. Borutti, Filosofia dei sensi. Estetica del pensiero tra filosofia, arte e letteratura, Raffaello Cortina 2006
• M. Foucault, Le parole e le cose, Bur 1998
• M. Foucault, Questo non è una pipa, SE edizioni, 1988
• S. Dal Bono, Foucault Pensare l’infinito. Dall’età della rappresentazione all’età del simulacro,
Mimesis Edizioni, 2007
• S. Astarita, Walter Benjamin e Paul Klee: intersezioni, in Kainos, rivista di filosofia contemporanea, 2005
• S. Givone, La condanna platonica dell’arte, in www.emsf.rai.it/aforismi