Etica ed economia - Rete Civica di Milano

Etica ed economia
http://www.mix.it/eurispes/EURISPES/indice.htm#1993
Etica ed economia .......................................................................................................... 1
INTRODUZIONE. La ripresa d'interesse per l'etica ..................................................... 4
L'etica fuori dalla chiacchiera .................................................................................... 5
I luoghi dell'etica ........................................................................................................ 6
NOTE ......................................................................................................................... 7
CAPITOLO I . PARTE I. ETICA ED ECONOMIA .................................................... 9
Smith, Marx e Weber ................................................................................................. 9
L'etica fallita: il socialismo di Stato ......................................................................... 12
CAPITOLO I . PARTE II. L'etica del lavoro ............................................................. 15
Eguaglianza giuridica ed eguaglianza economica ................................................... 17
La "Libertà" e le "libertà" ........................................................................................ 19
CAPITOLO II. L'ETICA DELL'IMPRESA: LEZIONI DAL PASSATO .................. 22
Premessa .................................................................................................................. 22
La genesi della scienza economica e il posto dell'etica ........................................... 22
La svolta marginalista e l'impoverimento etico della scienza economica ............... 29
Le critiche alla microeconomia convenzionale e il ritorno dell'etica ...................... 31
Verso un nuovo spettatore imparziale? L'etica dell'impresa come convenzione
sociale ...................................................................................................................... 32
CAPITOLO III. LE BANCHE NEL SECOLO VENTURO ...................................... 36
Radici storiche e culturali della domanda di etica ................................................... 36
"L'era moderna" ....................................................................................................... 36
"Sviluppo, morale, religione" .................................................................................. 37
CAPITOLO III. Etica ed economia ............................................................................. 39
"Oltre l'"auri sacra fames"" ...................................................................................... 39
"Etica e solidarietà nella società tecnologica" ......................................................... 40
CAPITOLO III. LE BANCHE NEL SECOLO VENTURO ....................................... 42
"Ruolo e responsabilità degli imprenditori" ............................................................ 42
"Qualità, risorsa per l'etica" ..................................................................................... 42
L'impresa, "luogo sociale" ....................................................................................... 43
L'impresa banca ....................................................................................................... 43
"Fonti nazionali e comunitarie dell'ordinamento bancario"..................................... 44
"Evoluzione del sistema bancario" .......................................................................... 45
Le fondamentali aree di innovazione della banca .................................................... 47
CAPITOLO III. LE BANCHE NEL SECOLO VENTURO ....................................... 48
"Etica in banca: incontro tra principi e qualità" ....................................................... 48
Costo del denaro e conflitto di interessi ................................................................... 49
Crisi economica e crisi politica: riflessi sulle banche .............................................. 52
Gli "utili" del 1992 e i fattori di cambiamento......................................................... 54
Banche, etica e sviluppo .......................................................................................... 55
Il cammino verso la qualità ...................................................................................... 56
La tutela dei clienti................................................................................................... 57
CAPITOLO III. LE BANCHE NEL SECOLO VENTURO ....................................... 59
"Le privatizzazioni: un'occasione per accrescere la competitività" ......................... 59
"L'internazionalizzazione" ....................................................................................... 59
"Banche e piccole imprese" ..................................................................................... 61
La sfida dell'etica e della qualità per il sistema Italia .............................................. 62
"Oltre i vincoli della "partitocrazia"" ....................................................................... 64
"La lotta alla criminalità e le norme antiriciclaggio" ............................................... 65
"Coesione internazionale contro il riciclaggio" ....................................................... 66
Considerazioni conclusive ....................................................................................... 68
CAPITOLO IV. LE BANCHE ALLO SPECCHIO: UN SONDAGGIO PRESSO I
RESPONSABILI DELLE AGENZIE DI CREDITO .................................................. 69
Premessa .................................................................................................................. 69
Che cos'è una banca ................................................................................................. 69
L'etica della banca .................................................................................................... 70
Vi è conflitto fra etica ed economia? ....................................................................... 72
Quale etica per la banca ........................................................................................... 75
La "qualità" nelle banche italiane ............................................................................ 77
C'è differenza di comportamento etico tra le diverse banche? ................................ 78
Banche e illegalità .................................................................................................... 80
Il comportamento delle banche di fronte alle situazioni illecite .............................. 81
Le banche e i clienti ................................................................................................. 82
Lottizzazione e corruzione ....................................................................................... 84
Appendice statistica ..................................................................................................... 87
Area geografica ...................................................................................................... 100
Tipo di istituto ........................................................................................................ 111
PARTE II. LE INTERVISTE ................................................................................... 114
INTRODUZIONE. La ripresa d'interesse per l'etica
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una progressiva ripresa del tema dei valori e dell'etica
in generale. Non si è trattato di una ripresa del tutto consapevole ed evidente, ma il tema si è
imposto con sempre maggiore insistenza 1. Si potrebbe quasi affermare che l'esigenza di
tornare a riflettere sui valori, tanto individuali quanto comuni, è divenuta improrogabile
contemporaneamente al crescere della consapevolezza di trovarsi all'interno di un periodo
segnato da un profondo smarrimento e da una preoccupante confusione 2.
Scrive a questo proposito il filosofo R. Bodei: "Non sarà difficile rendersi conto di come i
codici di comportamento morale non abbiano più potuto fondarsi seriamente né su norme
santificate dalla tradizione né su comandamenti provenienti direttamente da autorità poste al
di sopra dell'uomo o, comunque, riconosciute da tutti. In precedenza le autorità che avevano
il monopolio dell'interpretazione delle norme nelle società tradizionali scaricavano sugli
individui le responsabilità di scegliersi i modelli dell'azione. Oggi assistiamo invece ad una
sorta di deregulation morale, ad una pluralità di fonti erogatrici di norme, alla fine del costume
e dell'abitudine come base del comportamento, al bisogno di intime convinzioni e non solo di
regole condivise da gruppi di grandi dimensioni" 3. Non mancano certo gli esempi che
confermano la crescente necessità di richiamarsi ai valori o meglio di cercare di ristabilire il
legame tra fatti e valori, di ripensare le ragioni della nostra esistenza sia sul piano individuale
sia su quello della collettività 4.
In pratica non c'è aspetto della nostra vita che non ci costringa ad interrogarci sul senso
dell'esistenza e non ci porti a tentare di interpretare meglio la costellazione di valori che la
orienta. "E' oggi largamente diffusa l'opinione che i "conflitti ideologici", entrati in crisi, abbiano
ceduto il loro spazio al realismo della "scienza tecnologica", portando con sé una duplice
deviazione: da una parte, l'abbandono di una seria ricerca di "senso" e di "valori"; dall'altra
parte, l'adesione acritica alla trionfante "scienza tecnologica", quale criterio unico di
conoscenza e, quindi, quale unico valore" 5.
Per l'economia del nostro discorso dobbiamo escludere il campo filosofico, che, per la sua
stessa natura, è costituzionalmente interessato all'etica, poiché questa ne rappresenta un
tratto fondamentale, un elemento irrinunciabile della sua ricerca.
Naturalmente, questa esclusione forzata non deve essere considerata come una
dichiarazione di indifferenza, ma solo come una scelta strumentale, che, tuttavia, continua a
considerare la riflessione filosofica come lo sfondo entro il quale si articolano le diverse
problematiche. In altre parole, per quanto il nostro discorso debba essere essenzialmente
"pratico", esso non potrà essere disgiunto da una riflessione più generale sull'etica che
sostanzialmente lo orienta. "Vorrei formulare la questione fondamentale della filosofia morale
in questo modo: le persone virtuose, se esistono, come sono possibili?" 6. Questa domanda,
nella sua radicalità, segna il tema di fondo, l'interrogativo al quale non è lecito sottrarsi. Anche
se molte volte potrà sembrarci di aver smarrito il senso di questo problema, è solo facendovi
costantemente ritorno che sarà possibile essere coerenti con lo spirito della nostra ricerca.
D'altra parte, a ben vedere non c'è altra possibilità di ripensare l'etica se non a partire dalle
virtù dichiarate e praticate o, anche, dai vizi che delle virtù sono la negazione. Tuttavia, non si
deve credere che la nostra aspirazione debba essere quella di arrivare alla elaborazione di
una nuova tavola delle leggi, alla rigorosa codificazione di un repertorio di norme valido per
tutti i tempi, gli uomini e le circostanze.
Una tale pretesa, oltre che inutile, rischierebbe anche di essere assurda. Lungo questa linea
riflessiva, si può senza dubbio convenire con Vladimir Jankélévitch: "E' chiaro che non è per
questo che ci viene rivelato un criterio univoco del Bene e del Male [...]. Dire che l'idea della
libertà meritevole o colpevole è sempre sottintesa, non vuol dire necessariamente tornare alle
tavole dei valori della Biblioteca rosa, né invocare il magistero di una coscienza infallibile;
l'etnologo descrive a buon diritto la diversità e la relatività delle prescrizioni etiche. Eppure, è
un dato di fatto: se il contenuto di tali prescrizioni varia secondo il tempo e i luoghi, la loro
forma rimane costante; i segni del pudore e del rispetto, per esempio, si modificano da una
religione all'altra, ma l'intenzione di onorare gratuitamente certe convenienze invisibili, e ciò
per niente e al di fuori di ogni utilità pratica, è universalmente umano in generale; le cose
rispettabili sono relative e contraddittorie, ma non lo è il fatto di rispettarle" 7. Questo lavoro,
più modestamente, cerca di concentrare l'attenzione su una precisa e particolare area, quella
dell'economia e del ruolo delle banche, con l'obiettivo di cercare di capire in quale maniera ed
in quale misura i temi etici vi siano presenti e sentiti.
Non è possibile affrontare il tema dell'etica se non si tiene presente un panorama di
problematiche sociali che chiama in causa, direttamente, la questione dei valori.
L'etica fuori dalla chiacchiera
Ci troviamo di fronte ad una ripresa di interesse per l'etica, tuttavia anche la consapevolezza
di una tale ripresa non deve trarre in inganno. Non è assolutamente detto che la ripresa di
interesse per l'etica implichi necessariamente una rinascita dell'etica stessa: il fatto che si
parli dell'etica con sempre maggior insistenza, non garantisce la concreta ed automatica
riaffermazione dei valori. Potrebbe anzi essere vero proprio il contrario: a forza di parlarne,
scriverne, dibatterne, il tema etico corre il rischio di esaurirsi nella retorica o di cadere nella
banalità, e così, dopo essere diventato moda, esso potrebbe consumarsi e sparire dalla
scena con buona pace degli animi inquieti.
In altre parole, non è infondato il pericolo che il suo destino possa diventare simile a quello di
molte delle grandi questioni che attraversano il mondo dell'informazione per lo spazio
necessario a soddisfare la curiosità del momento o per alimentare una tra le tante polemiche
che ciclicamente infiammano gli animi, per poi spegnersi con la medesima rapidità con la
quale era nata. Senza voler con ciò cedere alla tentazione della polemica, non si può fare a
meno di segnalare la possibilità che un dibattito così importante possa rischiare di cadere
nella chiacchiera, nel "cicaleccio" che spesso avvolge anche le grandi questioni e che,
sempre più, agita la superficie dei problemi senza affrontarne la complessa profondità o
addirittura per nasconderla. Occorre, quindi, essere consapevoli del fatto che non è
sufficiente parlare di un tema, in questo caso dell'etica, perché automaticamente se ne
verifichi una rinascita. Emerge allora la necessità di analizzare dettagliatamente le cause che
hanno determinato o contribuito all'affievolirsi dell'interesse di una particolare questione
all'interno della cultura di una società.
Nel nostro caso ci troviamo di fronte ad una analisi, condivisa da molti studiosi di diverso
orientamento, che segnala un preoccupante venir meno dei valori all'interno della nostra
società. La politica, le istituzioni, l'economia, la convivenza civile, sono tutti luoghi nei quali si
va evidenziando, in termini sempre più marcati, questa crisi dei valori 8. La semplice
segnalazione di tale crisi, il fatto che se ne discuta, rappresenta certamente un momento
importante, ma si tratta pur sempre di un momento preliminare, al quale dovrebbero far
seguito altri e più concreti interventi indirizzati a contribuire al superamento della crisi
individuata. Spesso l'analisi può risultare più difficile ed impietosa della stessa terapia, ma
solo un'analisi corretta è in grado di indicarci gli strumenti di cui abbiamo bisogno. A proposito
di analisi impietosa, si consideri quanto scrive il filosofo Emanuele Severino in merito alla crisi
dei valori: "In crisi non è la civiltà della tecnica, ma le forme della tradizione occidentale, che
da tale civiltà sono portate al tramonto. Non solo la creazione di nuove tecnologie distrugge le
tecnologie obsolete, ma la civiltà della tecnica, nel suo insieme, distrugge le forme tradizionali
nelle quali si è via via presentata la "tecnica" occidentale: la religione, la morale, la politica,
l'arte, la filosofia. Esse sono distrutte non nel senso che sono bandite, ma nel senso che
viene negata la loro pretesa di guidare l'umanità e questa negazione non consiste in un
semplice atto teorico, ma nella maggior potenza della razionalità scientifico-tecnologica
rispetto ad ogni altra forma di razionalità. La crisi dei "valori tradizionali" è la loro impotenza
rispetto alla potenza tecnologica" 9. Di conseguenza chi volesse impegnarsi in favore di una
seria ripresa del dibattito sull'etica dovrà tenere nel giusto conto la necessità di confrontarsi
con la somma delle forze oggettivamente antagoniste ad uno sviluppo della riflessione etica.
E' insufficiente, quando non addirittura fuorviante, la pratica della denuncia che,
paradossalmente, si compiace della cosa denunciata fermandosi però di fronte alla difficoltà
del salto qualitativo dell'analisi. Appare allora evidente la necessità di interrogare con
decisione quelle situazioni sociali ed individuali che più drammaticamente pongono la
questione dell'etica.
I luoghi dell'etica
Se con tanta insistenza si parla di crisi dei valori, c'è da chiedersi dove ed attraverso quali
forme tale crisi diventa evidente 10.
La nostra è, come solitamente si dice, una società del benessere e su questa affermazione
c'è poco da controbattere. Il problema che, invece, merita di essere meglio approfondito è
quello della qualità di questo benessere, sviluppando una riflessione che non si lasci
condizionare dalla impressionante quantità dei beni a disposizione ma la valuti in rapporto ai
bisogni complessi degli uomini. Per troppo tempo si è creduto che fosse sufficiente soddisfare
i bisogni puramente materiali della vita per determinare, meccanicamente, un salto qualitativo
della vita stessa 11. Pur senza disconoscere l'importanza del benessere materiale, oggi
dobbiamo riconoscere che un tale benessere, peraltro distribuito in maniera ingiusta e
ineguale, non è sufficiente da solo a garantire una vita "qualitativamente apprezzabile".
Da qualche anno si discute con sempre maggiore insistenza di bisogni postmaterialistici,
ovvero di innegabili necessità che non trovano la loro soddisfazione nella pura e semplice
circolazione delle merci. Qualcuno, forse con l'intenzione di mitigarne la crudezza, ha
aggiunto al termine povertà l'aggettivo "immateriale". In questa sede non ci interessa
polemizzare con coloro che considerano superate le povertà puramente materiali, ma ci
limitiamo solo a ribadire che le povertà materiali sono ancora, purtroppo, drammaticamente
presenti all'interno della nostra società opulenta e rappresentano la negazione evidente delle
teorie dello sviluppo egualitario del benessere 12.
Tuttavia, si deve riconoscere l'emergere di questa inedita figura del bisogno rappresentata
dalle povertà postmaterialistiche, ma queste nuove povertà, è il caso di ribadirlo, si sono
sommate a quelle antiche che non hanno mai trovato una propria soddisfacente soluzione 13.
La semplice e drammatica questione della permanenza delle povertà materiali è già di per sé
un tema etico, che interroga a fondo la nozione di giustizia sociale e la smaschera mostrando
il limite storico della sua realizzazione. D'altro canto, le povertà postmaterialistiche pongono
un problema che immediatamente si collega a quello dei valori: il venir meno del senso della
propria esistenza, la scomparsa della solidarietà, la sfida della complessità sociale e la
crescita della solitudine, lo sforzo titanico di reggere il peso di una vita consumata come una
merce tra le merci 14.
Possiamo dire che la questione etica, oltre che nelle brillanti analisi sociologiche e nelle
estenuanti discussioni, si mostra in tutta la sua palpabile evidenza nei luoghi della fragilità
sociale e individuale. In questi casi, le nozioni astratte di giustizia, verità, solidarietà, amore
per il prossimo si trovano nella forma storica della negazione e, anche se troppo spesso
appaiono silenziose, esse denunciano il vuoto dei valori entro cui la nostra società si dibatte
e, ancora, direttamente riaffermano la centralità dell'etica.
Qualsiasi discorso sull'etica che voglia sfuggire alle sabbie mobili delle discussioni infinite
deve necessariamente fare i conti con le situazioni concrete di disagio e di sofferenza.
Si tratta di ribadire la priorità della concretezza storica quale correttivo dell'interminabile
discussione, senza per questo disconoscere l'importanza di motivate riflessioni teoriche. Non
si dovrebbe mai dimenticare, come scrivono Francesco Alberoni e Salvatore Veca, che: "Il
campo della morale è quello che si domanda: come dobbiamo vivere? Una domanda che tutti
ci siamo fatta, che tutti ci facciamo continuamente. Per rispondervi, però, non possiamo
rivolgerci a degli esperti, a dei dotti. Con il declino delle grandi religioni tradizionali è diventato
meno importante anche il ruolo dei sacerdoti, di tutti coloro che, un tempo, erano i depositari
di questo sapere. E' un campo in cui ci troviamo più soli e in cui dobbiamo imparare a fare da
soli" 15. E ciò vale anche per il nostro discorso, per l'oggetto di questa indagine. Fare da soli
significa in primo luogo tornare a riflettere sull'elementarmente umano, sull'elementarmente
ragionevole dal quale la complessità spesso ci allontana. Anche sul fronte dell'economia e del
ruolo che le banche e il credito esercitano nell'orientare e nell'indirizzare linee di intervento e
di sviluppo, appare chiara l'inutilità di elaborare sistemi di regole che con altrettanta
sistematicità si prestano ad essere disattese. L'impegno più semplice, e forse per questo più
oneroso, consiste forse nel cercare di riallineare i comportamenti a valori semplici e chiari.
Negli Stati Uniti è diffusa la convinzione che il comportamento morale dia buoni risultati negli
affari: "It pays to be honest", ad essere onesti si guadagna.
In The Power of Ethical Management 16, K. Blanchard e N.V. Peale sostengono la tesi di una
maggiore efficienza delle aziende nelle quali tutti, dirigenti ed impiegati, si comportano bene.
Questo buon comportamento contribuisce al rafforzamento dello spirito aziendale, delle
motivazioni individuali e dell'entusiasmo: insomma ad una presa di coscienza di sé, del
proprio ruolo e della funzione del servizio svolto ed al conseguente rispetto dei propri
interlocutori o fruitori dei servizi erogati.
Già questa sarebbe una rivoluzione.
Gian Maria Fara
NOTE
1 D'accordo con questa ripresa di interesse è S. Maffettone: "[...] assistiamo a quella che
potremmo chiamare rimoralizzazione delle scienze umane. Controversie su questioni pratiche
nascondono spesso conflitti più profondi sulla rilevanza delle diverse assunzioni normative. E
ciò rende utile il lavoro sui fondamenti d'etica, che tradizionalmente discute questioni
normative, per la rifondazione metodologica delle Geisteswissenschaften". S. Maffettone,
Verso un'etica pubblica, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1984, p. 24.
2 Cfr. F. Alberoni, Le ragioni del bene e del male, Garzanti, Milano 1981; F. Alberoni - S.
Veca, L'altruismo e la morale, Garzanti, Milano 1988.
3 Sempre a tale proposito lo stesso Bodei segnala la crisi dei valori e il vuoto nel quale i
soggetti si trovano ad operare: "Le norme devono avere il riconoscimento del soggetto che vi
aderisce (questa è, malgrado le ovvie differenze, la base comune delle riprese del
contrattualismo e dell'utilitarismo). Dal sistema delle virtù [...] si passa al sistema delle
preferenze individuali o degli imperativi morali che, in quanto imperativi, non sono né veri né
falsi. Ci troviamo dinanzi a quella che vorrei definire la lacuna del presente, una sorta di vuoto
che non è soltanto privativo, drammatico, all'interno di una situazione di scisma tendenziale
tra la nostra esperienza e le nostre aspettative. Il presente è sguarnito: il peso del passato,
che fungeva da zavorra stabilizzatrice nelle società tradizionali, è diventato leggero, mentre lo
slancio verso il futuro, che aveva animato ed orientato le società industriali, è diventato
debole". R. Bodei, Comportamenti e valori nella società post-industriale, in Il destino
dell'uomo nella società post-industriale, a cura di A.G. Gargani, Laterza, Roma-Bari 1977, pp.
139-40.
4 "L'idea della separazione forte tra fatti e valori può considerarsi ormai superata anche se
non si può negare che essa è stata in passato utile alla ricerca consentendo alle scienze
sociali di raggiungere faticosamente l'attuale status". Secondo Maffettone questo moralismo
fu probabilmente indispensabile per demarcare il passaggio dall'ottica religiosa dell'uomo
medievale a quella laica dell'uomo moderno e che "un processo siffatto è evidente nella
nascita della scienza politica moderna da Machiavelli a Hobbes". Continua l'autore: "La
separazione tra fatti e valori [...] crea non poche difficoltà ai divisionisti che la sostengono. E
non solo quando si pensa alla stravaganza di un universo di valori totalmente indipendente
dalla conoscenza del mondo, ma anche al converso, quando cioè riflettiamo sull'influenza che
hanno i valori sui fatti". S. Maffettone, op. cit., pp. 22-28. Su questo argomento è utile la
lettura di quello che, in ambito italiano, è un importante punto di riferimento: G. Calcaterra, Il
problema della fallacia naturalistica. La derivazione del dover essere dall'essere, Giuffrè,
Milano 1969.
5 C. Maccari, Mass media e costume sociale, Piemme, Casale Monferrato 1989, p. 36.
6 A. Heller, Le condizioni della morale, Editori Riuniti, Roma 1985, p. 21. Il tema della virtù
attraversa senza soluzioni di continuità il mondo antico, il cristianesimo e giunge sino alla
modernità, conservando tutta la sua forza: basterebbe ricordare l'etica platonica e tanti temi
ad essa ispirati, pur con indubbie novità, nella tradizione filosofica cristiana. La virtù resta il
luogo di fondazione del soggetto e del vivere sociale.
7 V. Jankélévitch, Trattato delle virtù, Garzanti, Milano 1987, p. 29. Per una introduzione al
pensiero di Jankélévitch si consultino i due scritti premessi all'edizione italiana: il primo è di F.
Alberoni, Perché Jankélévitch; il secondo è di R. Maggiori, V. Jankélévitch, filosofo
dell'amore.
8 Per quanto riguarda questo aspetto, basterebbe far riferimento alla cosiddetta questione
morale, che vede impegnati tutti i maggiori rappresentanti politici di diverso orientamento. Sul
versante strettamente filosofico è opportuno far riferimento al recente dibattito sul "pensiero
debole" (P.A. Rovatti, G. Vattimo) e alle numerose discussioni che su tale tema si sono
aperte (C.A. Viano); cfr. Il pensiero debole, a cura di G. Vattimo - P.A. Rovatti, Feltrinelli,
Milano 1983. Per una critica tanto del pensiero "debole" che di quello "forte", si veda E.
Severino, La filosofia futura, Rizzoli, Milano 1989; A. Dal Lago - P.A. Rovatti, Elogio del
pudore, Feltrinelli, Milano 1989.
9 E. Severino, La tendenza fondamentale del nostro tempo, Adelphi, Milano 1988, pp. 33-34.
Per un quadro generale della crisi della moderna civiltà tecnologica, cfr. E. Severino, Técne.
Le radici della violenza, Rusconi, Milano 1988; F. Ferrarotti, La sociologia alla riscoperta della
qualità, Laterza, Roma-Bari 1989.
10 Per un quadro d'assieme della cosiddetta condizione postmoderna, cfr. F. Jameson, Il
postmoderno, o la logica culturale del tardo capitalismo, Garzanti, Milano 1989; J.F. Lyotard,
La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Feltrinelli, Milano 1982.
11 Sul rapporto benessere/qualità, cfr. A.O. Hirschman, Felicità privata e felicità pubblica, Il
Mulino, Bologna 1983.
12 Sul persistere di povertà puramente materiali all'interno della nostra società, cfr. ISPES,
Rapporto Italia '91, Vallecchi, Firenze 1991, in particolare pp. 103-107. Sullo stesso
argomento è importante la lettura del Rapporto Gorrieri, edito dalla Presidenza del Consiglio
dei Ministri (Roma 1985), dei Rapporti annuali della Banca d'Italia degli anni 1985-1990 e del
Rapporto 1990 sull'economia del Mezzogiorno della SVIMEZ, Il Mulino, Bologna 1990.
13 Sui bisogni, cfr. A. Heller, La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli, Milano 1974. Sulla
povertà, cfr. M. Harrington, La povertà negli Stati Uniti, Il Saggiatore, Milano 1971.
14 "La comunicazione di massa e, più in generale, la cultura di massa, alimentano oggi
quell'"euforia dell'infelicità", come l'ha definita Marcuse, che riesce a incanalare le attese
dell'uomo verso una ricerca della felicità racchiusa unicamente nel consumo, nel benessere
materiale fine a se stesso, nell'evasione dai problemi reali, nella dimissione da ogni impegno
comunitario". A. Zanacchi, op. cit., p. 222.
15 F. Alberoni - S. Veca, op. cit., p. 119.
16 K. Blanchard - N.V. Peale, The Power of Ethical Management, William Morrow & C. Inc.,
New York 1988.
CAPITOLO I . PARTE I. ETICA ED ECONOMIA
Quomodo res appetere sine ullo virtutum
amore et sine cultu ingenii ac nudas
edere operas minime probabile est.
Seneca
Smith, Marx e Weber
Il commercio e l'industria si svilupparono, nel mondo occidentale, fuori dalle leggi, spesso
contro le leggi. Il programma politico borghese, di quella classe cioè che aveva acquisito
ricchezza con i commerci e con le industrie, prevedeva la riduzione al minimo dell'apparato
legislativo, amministrativo e consuetudinario che "strangolava" la libertà di commercio e di
intrapresa.
Adam Smith aveva inventato la formula ("la mano invisibile") che, se privata dagli impacci
delle vecchie regole, avrebbe accresciuto il benessere e la felicità di tutti.
Le regole di comportamento furono fondamentalmente benthamiane, e su quelle comunque si
appoggiò la scienza economica che, fin dall'inizio, su questo come su altri temi, concentrò
l'attenzione sul singolo individuo, trascurando l'etica del gruppo. Questa attenzione verso
l'individuo era il punto di arrivo di diverse storie culturali, da quella cristiana che privilegiava il
rapporto diretto dell'uomo con Dio, a quella illuministica che immaginava la razionalità come
uno schema uguale per tutti gli uomini e presente allo stesso modo entro ciascuno di essi.
La grande sintesi di queste etiche può essere riconosciuta a Kant.
Ad essa si contrappone ed acquista sempre più vigore nella prima metà dell'Ottocento un
atteggiamento "romantico" che privilegia l'eroe, l'uomo chiamato dal destino, i popoli come
unità spirituali, e vede nel sentimento e nella passione i motori della storia. Entrambe le
visioni avevano una loro etica, che per alcuni punti coincideva (l'eguaglianza degli uomini, ad
esempio), ma che per altri differivano profondamente.
L'Ottocento si contraddistingue, poi, per l'accettazione o nel rifiuto all'interno delle scienze
sociali delle teorie darwiniane, che, come noto, informarono di sé tutta la scuola positivista ed
influenzarono la grande letteratura verista francese e non solo francese. Nell'Ottocento si
assiste ad una separazione fra il mondo delle scienze, comprese le scienze umane, e quello
della creazione artistica. Quanto più il primo diventa ottimista (in campo economico gli ultimi
grandi pessimisti sono Malthus e Ricardo), tanto più la poesia, la letteratura, la musica, le arti
figurative sprofondano nel pessimismo o si consolano in un decadentismo che offre, in un
desolato deserto di sentimenti, isole di appagamento estetico.
Una sintesi felice fra pessimismo e ottimismo, fra rigore scientifico e afflato umanitario, è
sicuramente riscontrabile in Marx, anche se egli avrebbe forse rifiutato questo giudizio. Tale è
comunque l'interpretazione di Gramsci, ed in effetti lo scientismo pessimista ed addirittura
catastrofico della sua descrizione del capitalismo trova la sua catarsi nell'evento
trasformatore, la rivoluzione, che assume, per il ricordo della rivoluzione francese e
l'esperienza, sia pur fallita, della comune di Parigi, connotazioni escatologiche.
Ma la scienza economica continua a rifuggire dall'etica. Il suo tentativo è quello di decifrare i
fatti e presupporre un principio di utilità che governa gli uomini, principio razionale ed
ipoteticamente uguale per tutti che governa i comportamenti e opera come una mano
invisibile; mano felice secondo alcuni, mano infausta secondo altri. (I socialisti utopisti tentano
di rintrodurre l'etica nell'economia, ma i loro tentativi sono infruttuosi quando non puerili).
Il punto di svolta è sicuramente rappresentato dal giustamente famoso saggio di un non
economista, Max Weber, sull'etica protestante e lo spirito del capitalismo, e non tanto perché
contrappone il comportamento dei protestanti a quello dei cattolici, ma perché indica con
chiarezza che dietro il successo economico esiste un'etica, una particolare etica.
La differenza rispetto alle impostazioni precedenti è assoluta, rivoluzionaria.
Sappiamo che dietro il "buon governo" di Smith vi era un'idea precisa di regole di
comportamento, ma l'etica pubblica e privata di Smith era da lui considerata "naturale" e
uguale quindi per tutti gli uomini e per tutte le situazioni. Del resto egli, professore di morale,
non era tanto interessato all'etica dell'economia, quanto a liberare l'economia dall'etica.
L'economia, come conduzione della casa o della res publica, era stata, nei secoli precedenti,
una parte dell'etica, parte piccola in genere e trattata (in particolare quando si occupava di
argomenti come la moneta, l'interesse o i consumi voluttuari) con sospetto, perché
considerata peccaminosa.
L'economia dunque si stacca dall'etica fondamentalmente con Adam Smith, così come la
costola di un altro Adamo, quello della Genesi, dà vita alla donna.
L'etica maschio e l'economia femmina procedono per strade diverse finché Max Weber ci
dice che l'uno senza l'altra restano sterili e l'agire economico non dà frutti o ne dà di molto
miseri, se l'economia non viene ingravidata dall'etica.
La posizione di Adam Smith non appare più convincente, oggi, quando sappiamo che l'etica è
un complesso di norme e valori variamente distribuito fra le persone, diversamente presente
nelle legislazioni e nei comportamenti amministrativi, variabile da popolo a popolo e,
soprattutto, modificabile nel tempo. Quindi non è indifferente oggi per l'economia occuparsi di
morale o delegarne l'analisi dei valori e dei principi ad altre scienze, perché un complesso di
norme etiche si distinguerà da un altro non solo per i valori ed i principi che esso racchiude,
ma anche e, per quel che ci riguarda, soprattutto, per gli effetti sullo sviluppo economico della
società che li esprime.
Naturalmente resta vero, come ritenevano Smith e Hegel, che la parte più rilevante del
complesso di norme etiche di un Paese è usualmente rispecchiato dall'insieme delle leggi e
degli atti amministrativi e giudiziari che lo governano. Lo Stato esprime quindi, in prima
approssimazione, l'esigenza etica di una società.
Tuttavia, se lo Stato esprime nel concreto (attua) l'esigenza etica, le ideologie, le religioni e il
dibattito culturale e scientifico, rappresentano nelle diverse forme, apodittica, mitica e
analitica, le diverse eticità delle quali sono portatori. A loro volta i partiti, le chiese e il mondo
dell'informazione trasferiscono questi messaggi ai cittadini. Questa tripartizione è una forma
terminale di un lungo processo, giacché, nella storia e nei diversi Paesi, non sempre i tre
momenti (ideologia, religione, scienza) o i tre organismi (partiti, chiese, strumenti di
informazione) hanno agito separatamente.
E' questa della separazione degli ambiti, sia nell'approccio mentale che in quello
organizzativo, un'evoluzione tipicamente occidentale che inizia probabilmente con la morte di
Socrate.
Tale separazione crea evidentemente conflitti, che sul piano dell'analisi vengono risolti in
vario modo. Centrale per il nostro tema è ovviamente la posizione di Marx, che conferisce il
primato all'attività economica: sono gli interessi che questa mette in moto e organizza a dare
forma e significato alle ideologie ed alle religioni, ed in particolare alle classi che sulla base di
quegli interessi si formano. Dominante in una società sarà l'ideologia che riflette gli interessi
della classe al potere, antagonista l'ideologia, o l'eresia, della classe sfruttata.
La posizione di Marx è centrale, perché con un colpo di bacchetta fa scomparire la valenza
autonoma delle ideologie e delle religioni (e quindi dell'etica), facendo discendere queste e
quella da puri conflitti di interessi. Le ideologie e le religioni possono essere variamente
interpretate nella lettura marxiana: come maschere, come effetti, come strumenti di potere.
Mai come cause, come motori, come autori.
A queste conclusioni forse Marx non sarebbe giunto senza le elaborazioni di Adam Smith e di
Bentham, le cui idee circolavano ormai in tutta Europa, ma è certo che egli opera un
ribaltamento totale rispetto a Kant ed a Hegel, con una semplificazione dell'approccio di una
logica elegante e perfetta.
Il fascino di questa interpretazione è quello di unire etica ed economia, e di ridistribuire le parti
del dramma ai diversi attori della scena sociale ed economica, che possono quindi vivere la
loro situazione senza conflitti, sempre che l'ideologia scelta sia rispondente ai propri interessi:
spostando il conflitto fuori di sé, o meglio fuori della propria classe, nei confronti di altre classi
portatrici di interessi (e quindi di ideologie) contrastanti.
La questione ovviamente è complicata dal fatto che gli strumenti di trasmissione dei valori
etici (partiti, chiese, giornali) sono controllati dalla classe dominante, che tende a far aderire
alla propria ideologia anche le altre classi.
Tuttavia, oltre che per gli ovvi effetti pratici, la posizione di Marx è importante anche per il
fascino intellettuale che ha esercitato e che continua a sviluppare. Ancora nel 1920, Vilfredo
Pareto, un economista dichiaratamente antisocialista e antimarxista e tutto sommato un fiero
conservatore, pur riconoscendo alle ideologie ed alle religioni un peso nei processi sociali,
politici ed economici, lo concedeva solo in virtù del fatto che esse, annidandosi nel profondo
del cuore degli uomini, ne condizionano i comportamenti, anche contro i loro stessi interessi
evidenti, che soli dovrebbero spingerli alle scelte ed all'azione. Ma questa posizione avrebbe
potuto essere tranquillamente sottoscritta dallo stesso Marx.
Il punto di svolta, quindi, sia rispetto a Smith che a Marx, è rappresentato da Weber.
La posizione di Weber non appare così drastica come quella di Smith e di Marx e ha avuto
probabilmente meno effetti pratici, ma si presenta oggi come la più convincente, soprattutto
se vista come punto di partenza per analisi successive.
Smith aveva separato l'economia dall'etica e ne aveva garantito l'autonomia, assicurandoci
che il mercato, in uno Stato ben governato, avrebbe accresciuto il benessere di tutti. (La
separazione dell'economia dall'etica è sicuramente precedente a Smith, ma essa dava luogo
alla condanna dell'economia, giacché ciò che non era etico, era colpevole. Nel mondo
cristiano, ad esempio, permettere agli ebrei di esercitare l'usura trovava giustificazione nel
fatto che essi, comunque, erano condannati all'inferno, e quindi l'attività colpevole innanzi a
Dio non li danneggiava).
Marx ristabilisce l'unità, ma capovolge il processo: le norme etiche sono un prodotto storico
che si evolve sotto la spinta dell'economia.
Weber ricompone l'unità, ma abolisce le gerarchie fra i diversi ambiti: le norme etiche sono un
prodotto storico che influenza le forze economiche, che a loro volta modificano le norme
etiche. E' un processo circolare in evoluzione, ma non esclusivo: le norme etiche sono
influenzate dai conflitti di interessi (pur rispondendo a numerose sollecitazioni: cultura, clima,
fatti militari, ecc.); allo stesso modo lo sviluppo (o il non sviluppo) economico trova impulsi o
ostacoli nei valori etici. In particolari momenti storici, inoltre, l'etica può aver giocato, come
Weber cerca di dimostrare nel suo famoso saggio, un ruolo decisivo.
E' vero che l'interpretazione della quale più di sovente si accredita Weber, e cioè quella del
primato, in senso logico e in senso temporale, dell'etica, non può essere scartata, sia per la
forza dell'esempio sul quale è incentrato il saggio, sia perché, ripercorrendo la storia, egli
trova che i mutamenti che hanno dato vita alle rivoluzioni commerciale, agricola e industriale
dal Rinascimento all'Ottocento hanno la loro radice in mutamenti profondi della sensibilità
politica, religiosa e sociale dei popoli.
Possiamo dire che, sia pure con alterne vicende, l'economia è stata governata dai detentori
del potere, che emanavano e facevano rispettare le leggi, e dunque imponevano un sistema
etico che serviva a mantenere il potere e contemporaneamente a fissare i rapporti economici.
Tuttavia è arduo decidere se, ad esempio, lo sviluppo economico e politico dei liberi comuni e
delle repubbliche marinare in Italia sia stato preceduto da una trasformazione dei valori, o non
piuttosto, come insegna Marx, l'accumularsi della ricchezza abbia portato con sé nuovi valori,
che avrebbero dato vita a quel meraviglioso fiorire di cultura e di intelletti che va sotto il nome
di Rinascimento.
Una interpretazione circolare del rapporto tra valori etici e sviluppo economico appare quindi
più confacente al livello attuale delle analisi e delle conoscenze.
L'etica fallita: il socialismo di Stato
Un discorso ed un'interpretazione a parte meritano i processi di trasformazione politica che
modificano in forma repentina gli assetti di potere e il corpus legislativo e amministrativo che
governa la res publica.
Si tratta evidentemente di un argomento che in parte esula da questa indagine, ma al quale è
necessario accennare a causa della modificazione che il crollo del socialismo reale ha
provocato nel dibattito. Infatti, negli ultimi anni, a seguito della caduta del muro di Berlino, si è
accentuata l'attenzione verso i problemi dell'etica del comportamento economico ed in
particolare sull'etica del capitalismo, ovvero, forse più precisamente, essa ha cambiato di
segno e trova le diverse scuole accomunate dall'ansia di fare chiarezza. Nel periodo della
guerra fredda ed in quello successivo del disgelo, quando tuttavia il confronto fra mondo
occidentale e mondo orientale continuava a dispiegarsi sul terreno economico (in particolare,
verso i Paesi in via di sviluppo), il dibattito era fondamentalmente incentrato, da un lato, sulla
immoralità dell'organizzazione capitalistica del mondo (i Paesi ricchi divengono sempre più
ricchi, i poveri sempre più poveri), dall'altro sull'inefficienza delle forme di produzione e di
distribuzione socialiste.
Oggi - quando la via capitalistica allo sviluppo sembra essere l'unica strada scelta non solo
dai Paesi che hanno abbandonato il socialismo reale, ma anche da quelli, come la Cina, che
hanno mantenuto strutture di potere organizzate intorno al partito unico - il dibattito assume
toni diversi.
Cinque domande ci sembra riescano a sintetizzare i problemi che la letteratura cerca di
affrontare.
1. E' utile alla scienza economica interrogarsi intorno ai suoi fondamenti etici?
2. Esiste un legame tra i valori etici di una società ed il suo sviluppo economico?
3. Se questo legame esiste, quali sono questi valori etici, in astratto e nelle diverse
società?
4. Se si vogliono introdurre comportamenti etici nuovi, diversi o semplicemente più ampi
e diffusi nel processo economico, che effetto avrà ciò sul processo economico
stesso? E come, con quali strumenti introdurli?
5. I soggetti che devono attuare i comportamenti etici ed eventualmente richiederli agli
altri sono quelli che conosciamo tradizionalmente: l'uomo, la famiglia, lo Stato? o ad
essi dobbiamo aggiungerne di nuovi, quali l'impresa, il sindacato, gli organismi
economici sovranazionali e internazionali?
Il crollo dei regimi dell'Est rende di pratica attualità la quarta questione, e cioè quella che vuol
sapere quanto l'applicazione di più ampi valori etici riduce l'efficienza del sistema economico
o possa rallentarne lo sviluppo. Questo perché il socialismo reale, avendo tentato di
governare l'economia, nei Paesi d'Europa come in quelli del Terzo Mondo, attraverso
elaborati meccanismi normativi e di controllo, è crollato anche, e soprattutto, per l'incapacità
di fornire standard di vita adeguati alle proprie popolazioni.
Si parva licet componere magnis, il fallimento sul piano economico dei regimi dell'Est porta
alla mente i fallimenti dei tentativi operati nel secolo scorso dalle comunità dei socialisti
utopisti.
Entrambe le esperienze, le une minuscole, spesso con pochi anni di vita, l'altra grandiosa,
planetaria, con settant'anni di sviluppo, sorgono e si rafforzano con l'entusiasmo di ardenti
utopisti mentre il mondo esterno è ostile. Entrambe, dopo le dolorose difficoltà iniziali,
conoscono successi che stupiscono chi li osserva dall'esterno. Quando questi esperimenti
vengono accettati anche all'esterno, i partecipanti cominciano a provare nostalgia per i
costumi di una volta. Il gruppo dirigente accentua la sua ostilità verso quello che giunge dal di
fuori. Si crea una frattura fra l'etica dei governanti e quella dei governati. L'egualitarismo viene
vissuto come una truffa dei capi nei confronti di chi non ha potere, come nella Animal Farm di
Orwell.
Si moltiplicano le norme amministrative e burocratiche che regolano ogni atto, in particolare
quelli economici. La struttura totalmente "etica" della società non ammette cambiamenti ed
evoluzioni. I tentativi di innovazione si scontrano contro rigidità bizantine che fanno
discendere ogni scelta da principi astratti. L'etica del lavoro si perde, in mancanza di ogni
gratificazione e riconoscimento (lo stakanovismo, con il suo carattere eroico, diventa
fenomeno diffuso, se lo diventa, solo nei momenti eroici). Il fallimento economico segna la
fine dell'esperimento politico.
Vi sono, fra i tentativi di socialismo comunitario, alcune minuscole ma interessanti eccezioni.
Vi sono, ad esempio, le comunità di Mennoniti in Paraguay, gli Hamish negli Stati Uniti, i
kibbutz in Israele, dove il principio egualitario si coniuga con il successo economico. Ma nel
caso dei puritani d'oltre oceano il fenomeno è caratterizzato non da una innovazione della
base etica complessiva, ma da un suo congelamento, che si manifesta, ad esempio, anche
nel rifiuto di modificare le fogge dei vestiti (essi indossano ancora abiti del 1660) e di usare le
nuove macchine, ma soprattutto da un profondo sentire religioso, per cui la vita della
comunità, come quella di un cenobio medievale, è rivolta verso l'aldilà e quindi a porre dei
confini ben visibili fra sé e il mondo ed il fluire della storia.
Diverso è il caso dei kibbutz, che presentano tuttavia la particolarità di essere continuamente
in uno stato di difesa dalle aggressioni esterne, e quindi di vivere in uno stato di "eroismo".
Vi è comunque un elemento che contraddistingue ed accomuna queste esperienze ed è la
ricerca del successo economico, come componente essenziale dell'identità del gruppo. Forse
non è inutile rilevare che si tratta di gruppi dove tutti si conoscono personalmente, per cui il
successo della comunità viene vissuto come il successo dei singoli. Questo elemento merita
un'attenzione particolare. Già nel 1979, studiando le cooperative agricole di lavoro italiane,
chi scrive notava come i loro ottimi risultati contrastassero con le analisi della scienza
economica, in base alle quali esse dovrebbero essere meno efficienti di quelle capitalistiche.
Si trovò allora la spiegazione nella domanda di successo rivolta alla cooperativa da parte
della comunità alla quale la cooperativa fornisce il principale momento di identità economica.
Tra gli elementi da massimizzare esisterebbe, nell'equilibrio dell'impresa cooperativa, anche il
benessere che si ricava dalla utilità delle famiglie dei nostri paesani, la "social consciousness"
di A. Sen 1.
Il tentativo di Sen, riproposto con forza negli anni successivi 2, è quello di introdurre nella
logica economica, a fianco della massimizzazione del proprio interesse, altre motivazioni che,
insieme a quella o in conflitto con quella, determinano le scelte - economiche - dell'individuo.
La posizione di Sen è importante. Essa innanzitutto non è un'ovvietà, e cioè non dice
banalmente che il comportamento degli individui non si esaurisce nell'attività economica e
neanche che le scelte economiche sono influenzate da fattori extraeconomici.
Essa dice qualcosa di più e cioè che le stesse scelte economiche dipendono da una serie di
motivazioni che includono sicuramente il proprio interesse, ma non ne fanno l'unico
parametro di scelta. In particolare egli, andando oltre le posizioni di chi sostiene che nel selfinterest entri anche in gioco il rispetto degli interessi degli altri (che, se conculcato, può
ritorcersi e danneggiare chi lo trascura), introduce una nuova categoria e cioè una vera e
propria benevolenza non egoistica, che sarebbe parte essenziale delle scelte anche
economiche.
Questa posizione, tuttavia, che appare storicamente accettabile e logicamente corretta, apre
più problemi di quanti non ne chiuda. Infatti se le economie occidentali hanno registrato
grandi successi economici, non sarà questo forse dovuto al fatto che esse si sono sviluppate
insieme ed al seguito di una scienza economica rigorosamente utilitaristica?
Se l'impostazione di Sen può aiutarci a spiegare numerosi insuccessi della forma di
produzione occidentale quando si è cercato di trapiantarla in altri ambienti, non potrà anche,
una volta che sia stata pienamente accettata e presa come parametro di giudizio delle scelte
economiche ai diversi livelli, ridurre l'efficienza dei nostri sistemi?
La questione quindi si sposta. Ammesso che vi sia fra i comportamenti dell'uomo economico
anche la benevolenza, per la quale sembra sempre valida la definizione di Smith 3, occorre
sapere che tipo di benevolenza, verso chi, con quali valori e sino a che punto essa modifichi
una scala di preferenze dell'economia classica orientata unicamente al proprio interesse.
Si torna quindi al problema posto da Weber, e cioè: quale etica?
CAPITOLO I . PARTE II. L'etica del lavoro
"Etica" trae la sua origine dalla parola greca che vuol dire "costume", "abitudine". Questo ci
ricorda che l'etica si modifica molto lentamente e per chi è religioso e ritiene che essa sia
dettata da Dio non si modifica affatto, almeno nei suoi tratti principali. Essa inoltre è diversa
per i diversi popoli, a seconda della loro storia, del loro modo di produzione e del loro Dio.
Torniamo alla benevolenza. Essa sembra un valore etico centrale, non solo all'indiano Sen,
ma anche a Cristo, che vedeva nell'amore per il prossimo il criterio cardine per interpretare la
Legge.
Tuttavia è immaginabile che la benevolenza verso il mendicante sarà diversa per un
mercante mussulmano di Gibuti, per una negoziante cattolico di Siviglia e per il gestore
protestante di un supermarket, a Los Angeles. Non ci stupiamo quindi di incontrare etiche
diverse, anche per soggetti che adempiono la stessa funzione economica.
Ma codici di valori non uguali producono, ci dice Weber, conseguenze economiche difformi.
Egli stesso ne indica alcuni, e fra questi ci sembra estremamente rilevante il valore del lavoro,
ossia quello che va sotto il nome di etica del lavoro. L'etica del lavoro sorge in Europa per
merito di San Benedetto, un patrizio romano che assiste con sgomento al crollo dell'impero
sotto l'urto dei barbari e della dissoluzione del sistema schiavistico di produzione. Non è un
mistero che l'evangelizzazione dell'Europa sia stata merito dei benedettini e dei numerosi
ordini che da questi presero vita e che posero le premesse della rinascita economica
dell'anno Mille.
Ma per San Benedetto il lavoro è ancora uno strumento di salvazione, perché permette di
aiutare gli altri (le elemosine del convento) e perché occupando il corpo e la mente tiene
lontane le tentazioni del peccato.
Esso è quindi per i monaci benedettini uno strumento. Diventerà un valore nel 1600,
soprattutto grazie ai gesuiti, per i quali fare bene il proprio lavoro è la missione che Iddio ci
affida in terra, il modo di partecipare alla costruzione divina del mondo. In pieno Settecento, il
secolo di Adam Smith, il Robinson Crusoe di Defoe è il manifesto dell'etica del lavoro ed in
generale dei valori della nascente borghesia.
Nell'Ottocento esso è ormai un valore diffuso e dominante: in Thackeray, Manzoni, Hugo.
Goethe lo pone addirittura sopra la religione 4.
Il lavoro è anche il perno centrale nell'economia classica: nella scienza economica, da Smith
sino a Marx, il valore è lavoro (teoria del valore-lavoro). Dunque il lavoro è
contemporaneamente valore etico (misura del comportamento sociale) e valore economico
(metro della ricchezza e del reddito).
L'ideologia borghese trovava facile imporre a tutta la società il lavoro come valore poiché la
gran massa della popolazione viveva in condizioni di pura sopravvivenza, e la cultura del
lavoro era evidentemente la consolazione appropriata per una crudele necessità.
La cultura del lavoro è sopravvissuta sino a noi, anche se ha subito trasformazioni notevoli ed
è stata inglobata entro ideologie e movimenti dalle ambizioni più ampie: si pensi allo
stakanovismo socialista, alla battaglia per il grano del fascismo, al ruolo del lavoro come
strumento di emancipazione femminile. Un'etica del lavoro, pur diversa da quella fiorita in
Occidente, è sicuramente una delle cause del grande successo economico del Giappone.
Il socialismo e la Chiesa cattolica, soprattutto attraverso l'azione dei sindacati, fecero sì che
l'etica del lavoro, valore tipico dei ceti medi, si diffondesse e si rafforzasse in tutta Europa
come uno dei valori dello stesso proletariato.
Le Chiese cristiane, inoltre, rafforzano questa cultura presso il mondo contadino, che in parte
già la possedeva ed in parte vedeva in essa lo strumento per ottenere o ampliare la proprietà,
ponendosi così in una prospettiva di ceto medio.
Tuttavia i rapporti del socialismo, nelle sue varie forme, con l'etica del lavoro non furono
sempre idilliaci. Sul piano descrittivo, ad esempio, il lavoro veniva visto come uno strumento
di abbrutimento piuttosto che di elevazione del proletario e così - come in tutti gli esperimenti
fourieristi - si ipotizzano società dove il lavoro venga ridotto al minimo o trasformato in
piacere.
Anche se Marx non cadde in un simile errore, tuttavia la sua promessa di un lavoro non più
alienato, quando fosse stata abolita la proprietà individuale dei mezzi di produzione, ricalca la
medesima speranza utopica ("Il mondo ha in sé il sogno di una cosa..."). Non si può
escludere che l'illusione di aver raggiunto il lavoro non alienato abbia, nelle società del
socialismo reale, diluito in maniera significativa il valore del lavoro in sé. Infatti i Paesi del
socialismo reale hanno continuato ad ottenere vistosi successi, degni della loro tradizione, in
campo militare, scientifico, sportivo, diplomatico, e persino, nonostante la presenza di pesanti
censure, in quello letterario ed artistico: in campi, cioè, dove il successo è misurabile, per
l'individuo e per i gruppi che lo esprimono, in termini non economici.
E' venuto viceversa a mancare il successo in campo strettamente economico, soprattutto là
dove si richiedeva l'umile e creativa partecipazione di gran parte dei cittadini agli impegni
quotidiani. Ed è venuta in particolare a mancare in quei settori dell'economia che, non
essendo volti alla produzione di merci fisiche, non si prestavano a forme di riconoscimento
del singolo lavoratore o di gruppi di lavoratori sulla base di semplici misurazioni quantitative.
La cultura del lavoro o l'etica del lavoro, inoltre, è entrata in rapporti con il socialismo anche
per altre vie. In particolare nel filone del socialismo scientifico non si può non rilevare la
connessione fra la teoria dello sfruttamento marxista e l'etica del lavoro. Se il valore è dato
dal lavoro, ne segue che tutti i suoi frutti dovrebbero (si noti l'uso di un verbo che indica un
movimento etico) andare ai lavoratori. Da qui nasce la teoria dello sfruttamento dei proletari,
che peraltro erano a quei tempi, ed in molte realtà ancor oggi, effettivamente sfruttati. Non a
caso negli stessi anni nei quali Marx elabora le sue teorie, la scuola economica abbandona il
principio del valore-lavoro ed abbraccia quello dell'utilità.
La teoria dello sfruttamento, se tutto sommato rafforza l'etica del lavoro, porta però con sé
una critica al sistema della proprietà, che, oltre ad essere un diritto variamente riconosciuto
dai diversi ordinamenti, è esso stesso un valore non solo per la classe borghese, ma anche
per innumerevoli famiglie del ceto medio, per i commercianti, per i contadini e per gli artigiani.
Di più, l'accesso alla proprietà e la possibilità di trasmetterne almeno una parte ai figli si
collega strettamente ad altri valori: a quello, ovviamente, della famiglia, ma anche, e in questo
contesto ci pare il rapporto più illuminante, a quello stesso dell'etica del lavoro. Il lavoro può
essere un valore in sé, ma certo il suo richiamo viene enormemente accresciuto se ad esso si
associa il successo.
D'altra parte, l'etica del successo appare molto povera, in termini di creazione di ricchezza e
di sviluppo economico, se non viene associata all'etica del lavoro.
Il giocatore di roulette, il militare, il cortigiano, il signore feudale, il ladro, perseguono a loro
modo il successo, ma una società composta solo da queste figure professionali ha poche
possibilità di sviluppo economico. Il successo, dunque, deve essere associato al lavoro per
produrre effetti economici rilevanti.
Per inciso, appare invece discutibile l'importanza che può aver avuto la frugalità nello
sviluppo: oltre al capovolgimento del nesso di causalità fra investimento e risparmio, dovuto a
Keynes ed alle intelligenti notazioni di Veblen 5, già all'inizio dell'Ottocento Thackeray, con i
due personaggi più riusciti della Vanity Fair, Becky e sir Pitt 6, dimostrava come sia la
prodigalità che l'avarizia siano altrettanto perniciose al successo economico.
La relazione fra dedizione e successo, che è pienamente riconosciuta nell'esercito, nella
scuola, nell'arte dello spettacolo, nelle scienze, deve avere una sua funzione anche
nell'esercizio dei lavori più semplici, che forniscono la base quotidiana del benessere dei
cittadini. Non è oggi azzardato sostenere che il criterio che lascia al consumatore finale la
scelta di chi premiare (arricchendolo) o punire (impoverendolo o facendolo fallire e
costringendolo così a mutare oggetto e modi dell'attività economica) sia ormai comunemente
accettato. Il libero mercato diventa così un valore di guida del comportamento ed è
interessante come un principio quale quello dell'utilità del consumatore, astratto postulato
scientifico, si trasformi in un punto di riferimento etico. Ma il diritto di arricchirsi, che non può
essere completamente disgiunto dal diritto alla proprietà, crea ineguaglianze.
Eguaglianza giuridica ed eguaglianza economica
I tre grandi valori simbolo della rivoluzione francese - liberté, egalité, fraternité - hanno
rappresentato con alterne fortune punti di riferimento etici per il mondo occidentale e
sembrano aver conquistato, almeno a livello di intenzioni, gran parte del mondo.
Tutti e tre i valori hanno legami stretti con l'agire economico, ma il principio dell'eguaglianza è
sicuramente quello che val la pena di esplorare più a fondo.
I padri e gli attori della rivoluzione francese, con poche, anche se straordinarie eccezioni
(basti pensare a Rousseau), ritenevano che l'eguaglianza dovesse essere intesa come
eguaglianza giuridica. In seguito, per influsso del darwinismo e dell'etica sportiva di origine
anglosassone (la vita come una lotta), si giunse al concetto dell'eguaglianza dei punti di
partenza (come ai blocchi delle prove di corsa) o delle pari opportunità. Tale obiettivo fu fatto
proprio dalla socialdemocrazia nei Paesi liberali ed è tuttora uno dei pilastri del welfare state.
La socialdemocrazia prima ed il comunismo in seguito - e in maniera più decisa - allargarono
ulteriormente il concetto dell'eguaglianza. Essi infatti (in particolare il secondo, che poté
condurre sino in fondo l'esperimento avendo in numerosi Paesi la disponibilità assoluta del
potere) cercarono di realizzare un programma teso a ridurre drasticamente le differenze di
reddito e di patrimonio fra le singole persone. Essi hanno cercato cioè di includere nel
principio di eguaglianza anche l'eguaglianza economica.
Di questa aspirazione, che è sicuramente etica, si fecero portatori, nei Paesi capitalisti, i
sindacati ed i partiti comunisti e socialisti, ed anche i partiti cristiani, cercando tuttavia di
avvicinarsi a questo obiettivo senza modificare i fondamentali principi regolatori del mercato e
senza attaccare frontalmente il principio di proprietà, fosse pure quello dei mezzi di
produzione.
Nei Paesi dove le forze sindacali erano più forti ed organizzate, come in Gran Bretagna, in
Francia ed in Italia, vi furono numerose nazionalizzazioni o la creazione di imprese cosiddette
a partecipazione statale. In occasione di queste operazioni, non era raro trovare a
giustificazione dell'intervento, a fianco delle ovvie motivazioni sociali (difesa dell'occupazione,
migliori servizi, tariffe adeguate ai redditi dei meno abbienti) o nazionalistiche (attività
strategiche, impedire il dominio del capitale straniero), anche giustificazioni di tipo liberista,
che affermavano sia la volontà di continuare a gestire queste imprese con i criteri del libero
mercato sia la promessa che esse, condotte dalla mano pubblica, avrebbero avuto un
comportamento più simile a quello della libera concorrenza (e quindi più efficiente) di quello
che avevano con la gestione privata.
L'etica dell'eguaglianza economica e della redistribuzione del reddito (e l'etica di potenza)
erano quindi mescolate con l'etica del libero mercato. Tuttavia in questi Paesi, perlomeno
dopo la seconda guerra mondiale, nessun movimento che avesse seguito di massa ed
esercitasse una qualche funzione politica mise mai in discussione la proprietà individuale di
patrimoni come la casa e la terra. La parola d'ordine, ad esempio, del Partito comunista
italiano nella lotta per la riforma agraria nel secondo dopoguerra fu "la terra ai contadini",
intendendo i singoli contadini.
Diversamente, com'è noto, andarono le cose nei Paesi del socialismo reale, anche se
naturalmente vi furono differenze fra Stato e Stato e, all'interno dei singoli Stati, fra le diverse
categorie economiche. Lo Stato assunse su di sé tutte le funzioni etiche dell'economia ed al
libero mercato si sostituì la prescrizione amministrativa.
Ponendoci nell'ottica suggerita da D. Collard 7, le società dell'Est hanno trattato il principio di
eguaglianza economica come un imperativo categorico in senso kantiano, cercando di
applicarlo sino ai limiti del possibile, spesso senza riguardo o consapevolezza dei suoi effetti
sul benessere del sistema in generale.
Le società occidentali hanno più correttamente teso all'eguaglianza economica come un
ragionevole imperativo ipotetico, da applicare cioè tenendo conto che un dato comportamento
(far sopportare dei costi ad alcuni per beneficiare altri) è vantaggioso sino al punto nel quale il
comportamento stesso non danneggi in maniera eccessiva sia i singoli che l'intera società.
Sia v il valore che i cittadini (n) attribuiscono a qualunque intervento pubblico volto a
soddisfare un'esigenza etica (ad esempio, una migliore distribuzione della ricchezza
attraverso la municipalizzazione di un servizio di trasporti o l'assunzione da parte dello Stato
dei servizi sanitari). v sarà discendente perché vi saranno cittadini che attribuiscono (per
interesse o per altruismo) un grande valore a questo intervento, altri che lo valutano meno,
altri infine che non sono affatto favorevoli (essi si collocano dopo l'incontro di v con l'asse
orizzontale).
Sia la curva C/n la curva dei costi dell'intervento. Essa esprime il costo che ogni cittadino
sarebbe chiamato a sostenere se la sua partecipazione fosse su base volontaria. Ovviamente
anche questa curva è decrescente perché più sarà alto il numero di coloro che sono disposti
a contribuire, minore sarà il costo sopportato da ciascuno. Si suppone che questa seconda
curva sia più concava della curva v.
A sinistra di n*, solo i cittadini che intendono l'intervento in questione come un imperativo
categorico (esso va compiuto comunque, senza tener conto né del costo né di altre
considerazioni) saranno disposti a contribuire, assumendosi dei costi evidentemente molto
elevati.
Tra n* e n**, viceversa, troviamo i cittadini per i quali il costo dell'intervento è inferiore al
valore che essi vi attribuiscono. Se il 50% degli elettori giace a sinistra di n** essi possono
costringere la restante parte della popolazione a dividere i costi con loro, abbassando il costo
per persona, ma distribuendolo su tutti i cittadini.
Naturalmente, qualora il sistema non fosse democratico, anche se i cittadini a destra di n**
fossero una minoranza possono costringere gli altri a partecipare ai costi, sempre che siano
coloro che detengono il potere.
La curva v sintetizza bene, con il suo andamento decrescente, il trade-off tra scelta etica e
scelta edonistica, ed ordina i cittadini (o i gruppi sociali, che è lo stesso) a seconda della
preferenza che essi esprimono nei confronti di una scelta non di mercato. Questa preferenza,
infine, è la risultante, per ciascun individuo, di valori etici e di interessi fra loro conflittuali.
Il grafico serve anche a spiegare il dilemma in cui si trova oggi il welfare state in molti Paesi
dell'Occidente e in particolare in Italia. In effetti che cosa si è verificato nel nostro Paese? Si è
verificato che la curva v si è abbassata con riferimento a gran parte degli interventi finanziati
con la spesa pubblica, in particolare quelli riferiti alla sanità, ai trasporti, alle aziende
pubbliche ed a partecipazione statale. Ciò è avvenuto perché, aumentando il reddito di gran
parte dei cittadini, è sceso sia l'interesse a beneficiare di questi servizi, sia la spinta morale
ad aiutare gli altri ("possono pagarselo da soli").
Ma soprattutto è salita la curva dei costi sia per effetto congiunto dell'inefficienza della
pubblica amministrazione, delle gestioni pubbliche e delle partecipazioni statali (cosicché ogni
singolo servizio fornito risulta più oneroso), sia perché il peso degli interessi del debito
pubblico che grava sul bilancio dello Stato rende più pesante il sacrificio fiscale del cittadino
in assoluto, ed anche, con riferimento al grafico, in relazione ad ogni singolo servizio fornito.
Per effetto del dislocamento delle due curve, n** si sta rapidamente spostando a sinistra.
La maggioranza "altruista" comincia a divenire una minoranza: non perché siamo diventati più
egoisti (o solo lievemente), ma perché la cattiva gestione dei fondi rende troppo costoso
essere altruisti.
Lo stesso grafico si può applicare ai Paesi dell'Est: n** si è spostato a sinistra, l'ideale etico
dell'eguaglianza economica è divenuto troppo costoso e sempre meno apprezzato dalla
popolazione. Ed anche qui probabilmente per colpa soprattutto dell'inefficienza della gestione
economica. La vecchia classe politica viene sostituita con un'altra la cui etica sia più vicina a
quella della maggioranza del popolo.
La "Libertà" e le "libertà"
Articolati e complessi sono i rapporti fra economia e libertà, come dimostra il fatto che da
quest'ultima prendono il nome la più accreditata scuola di pensiero economica così come un
sistema economico, e si definiscono liberali.
Rispetto agli aspetti più politici, quali la libertà di stampa, di religione e di residenza, si può
affermare che questi, con una grande sintesi storica, abbiano rappresentato elementi di
propulsione allo sviluppo economico, nonostante si possano citare casi contrari nei quali
regimi dittatoriali o Stati confessionali hanno ottenuto soddisfacenti ed anche brillanti risultati
economici.
Naturalmente vi sono rapporti significativi che intercorrono tra queste grandi libertà e
l'economia.
Ad esempio la libertà di informazione gioca un ruolo fondamentale nell'accrescere l'efficienza
del mercato e nell'orientare le scelte del consumatore; la libertà di spostamento sia delle
persone che dei capitali opera sia a vantaggio di una maggiore efficienza del sistema che di
una migliore distribuzione della ricchezza tra diversi territori. Si può anzi aggiungere che
l'interesse economico è ancor oggi, come nel Settecento e nell'Ottocento, una importante
leva per il perseguimento di quei valori etici.
Così il maghrebino che si sposta per necessità dall'Africa a Milano accresce il suo reddito e
quello dell'Italia. Il finanziere che disloca i capitali da Francoforte a Mosca si suppone che
accresca il benessere dei russi ed aumenti il reddito dei risparmiatori tedeschi. Ecco perché i
fautori dell'unione europea hanno iniziato la sua costruzione abbattendo le barriere ai
movimenti di merci, di persone e di capitali nella speranza che ciò inducesse o accentuasse il
processo di unificazione politica. L'interesse economico viene quindi visto come qualcosa in
grado di modificare le leggi.
Il processo, tuttavia, non si svolge senza contrasti anche nel settore economico, perché i
vecchi ordinamenti avevano dato vita a interessi e consuetudini economici che si sentono
minacciati dai previsti nuovi assetti. Essi ovviamente lottano contro i cambiamenti.
Come molti altri valori etici, e forse più di altri, la ricerca di nuove libertà e l'ampliamento di
quelle tradizionali si scontrano nel concreto con altri valori etici. Il campo dell'attività
economica è uno di quelli dove questo conflitto si manifesta in numerosi ambiti. Così la libertà
del consumatore si scontra con la necessità di proteggerne la salute o di tutelare il benessere
di altri cittadini, come nel caso del consumo di droghe, medicinali, alcolici, tabacco, ecc. La
mancanza o la distorsione delle informazioni richiede che vi sia un controllo preventivo sulla
qualità dei prodotti, in particolare di quelli che hanno contatto diretto con il corpo. La libertà di
manovrare macchine, di portare armi, di assumersi particolari responsabilità nella
progettazione ed esecuzione di opere e manufatti destinati al mercato, richiedono permessi e
certificazioni che di norma assumono la forma di patenti, esami di Stato, licenze, registrazioni
presso speciali albi pubblici o presso i tribunali.
Questo insieme di norme limitatrici delle libertà risponde tuttavia a più scopi. Spesso vi sono
motivi fiscali, a volte e in particolari regimi motivi di polizia: in generale, tuttavia, e per la
stragrande maggioranza dei casi, essi rispondono contemporaneamente alla tutela dei terzi e
del benessere collettivo, da un lato, e alla difesa degli interessi di particolari gruppi dall'altro.
Così l'esame di Stato per l'esercizio dell'attività medica, da una parte, garantisce i cittadini
sulle competenze professionali del medico, dall'altra può essere usato per limitare l'accesso
alla professione, elevando così il reddito di chi fa parte della corporazione.
Il problema delle libertà pone in essere quasi sempre un conflitto, perché la libertà dell'uno
urta contro le libertà degli altri. Per tracciare il necessario confine fra le libertà dell'uno e
quelle degli altri si ricorre a norme positive, della cui elaborazione ed attuazione di solito viene
incaricato lo Stato.
Tuttavia in settori sempre più ampi viene messa in discussione l'efficacia della normativa
positiva, e soprattutto della sua esecuzione amministrativa: lo Stato ed in generale l'ente
pubblico non riescono a raggiungere in maniera soddisfacente i fini che le norme, gli apparati
esecutivi e quelli di controllo e sanzione si ripromettono. In alcuni settori, come quello dei
rapporti di lavoro, la definizione e il controllo della corretta esecuzione delle norme vengono
affidati alla contrattazione delle parti, e lo Stato si limita a porsi come mediatore e garante. In
altri, in particolare in quelli della produzione e diffusione di informazioni e pubblicità, di
fabbricazione e distribuzione di beni e di erogazione di servizi, si diffondono sempre più forme
di autoregolamentazione e di definizione e certificazione degli standard.
Le associazioni di utenti e di consumatori, quasi sempre su base volontaria ed associativa,
adempiono alla stessa funzione ovvero si pongono come controparte per definire i confini
delle libertà delle imprese.
In settori tradizionalmente riservati allo Stato, della ricerca, dell'assistenza, della cultura, della
conservazione ambientale, divengono sempre più numerose e potenti associazioni di cittadini
che, oltre ad agire come gruppi di pressione per attivare un maggior e più qualificato
intervento dello Stato nei settori di specifico interesse, raccolgono direttamente fondi su base
volontaria e intervengono con azioni concrete per la soluzione del problema che sta loro a
cuore. Tipico è, in questo campo, lo sviluppo negli Stati Uniti, ma anche negli altri Paesi
occidentali, delle organizzazioni rivolte a potenziare la ricerca medica.
Vi è quindi una sostituzione del privato al pubblico che trova la sua ragione in due
caratteristiche di questi organismi: la pubblicità e la base volontaria.
La pubblicità è un elemento decisivo perché molto spesso noi siamo disposti a fare del bene
(sacrificare una parte del nostro reddito a vantaggio di altri), ma non siamo in grado di
valutare se il nostro gesto raggiungerà nel concreto il suo scopo. La pubblicità è quindi
essenziale per convincermi della bontà dei metodi seguiti nel perseguire il fine per il quale si
richiede il contributo, per farmi sapere che esso raggiunge le persone che io ritengo meritevoli
(o idonee o quant'altro), per informarmi che, infine, lo scopo che mi prefiggevo è stato
raggiunto e in che misura. E se non viene raggiunto vorrò sapere quali ostacoli si sono
frapposti.
La pubblicità viene inoltre a selezionare le diverse benevolenze. A ritiene più importante
salvare i panda in via di estinzione, B portare avanti le ricerche contro la leucemia. Appare
ragionevole ritenere che la funzione di benessere dei due soggetti, a parità di reddito
sacrificato, sarà più elevata se ciascuno destinerà tutto o la parte maggiore della sua
beneficienza al fine che più gli sta a cuore. Ciò significa che la contribuzione complessiva dei
due soggetti sarà maggiore se essa verrà distribuita fra essi in funzione delle loro scale di
preferenza.
Lo Stato non garantisce nessuna delle due condizioni: è difficile sapere come e perché
vengono spesi i soldi dell'imposizione fiscale ed inoltre siamo costretti a contribuire nella
stessa proporzione a tutta la spesa pubblica.
Le obiezioni contro lo Stato, che spiegano perché ad esso si vogliono sottrarre sempre più
funzioni, non si limitano a queste. La più importante - e che ad esempio si è rivelata decisiva
nel recente terremoto politico verificatosi in Italia - riguarda il rapporto tra Stato e imprese.
Troppo spesso lo Stato, in molti dei campi nei quali è presente, legifera e ridistribuisce il
reddito senza seguire né una impostazione etica né a vantaggio di una classe sociale, ma
puramente e semplicemente per garantire la permanenza al potere e l'arricchimento della
classe politica. Questo, in Italia, è avvenuto principalmente attraverso lo scambio dei voti e la
pratica delle tangenti.
Grazie alla Magistratura il contribuente italiano è venuto a sapere che le sue tasse servivano
non solo a dare una pensione agli invalidi ma anche a coloro che votavano per il partito del
ministro in carica; non a fornire uno stipendio al chirurgo più abile ma a quello che aveva un
maggiore potere politico; non a sfamare le popolazione del Sahel ma a dare una commessa
ad una società che retribuiva il funzionario o il ministro con una congrua bustarella; non a
dare una casa ai terremotati ma a costruire inutili autostrade su territori di montagna.
Comportamenti così chiaramente "non etici" non solo hanno creato una crescente diffidenza
nei confronti della presenza dello Stato in numerosi settori, ma hanno anche comportato una
critica verso le imprese (ed anche verso libere professioni come quelle dei medici e degli
architetti), complici della svendita dello Stato etico.
Si è assistito in Italia, negli ultimi tempi, ad una revisione dei codici di regolamentazione di
interi settori produttivi (ad esempio quello bancario) o di grandi imprese (ad esempio la FIAT).
Sempre più ampi strati della popolazione ritengono che lo Stato possa sempre meno
adempiere la funzione di regolatore etico dell'economia, e che questa si debba spostare o su
ambiti più ristretti - la regione, il comune - così da rispettare valori etici locali (che a volte
coincidono con quelli etnici), o sovranazionali (a livello CEE od ONU ad esempio) quando
questi debbano essere imposti ad imprese o ad interessi che travalicano i confini dello Stato e
quindi sfuggono al loro controllo. Ma soprattutto acquista sempre più credibilità
l'organizzazione su base volontaria della normativa etica.
Lo Stato deve limitare al più possibile la crescita (che comunque pare inevitabile)
dell'apparato di norme sui comportamenti economici, sia perché ad esso si riconosce sempre
meno una funzione etica, sia perché tali norme sono a volte inefficienti quando non inefficaci,
sia perché la proliferazione delle norme e l'aumento della spesa e delle imposte sembrano
accrescere la corruzione, indebolendo quindi nella società quella base etica che avrebbero
dovuto rafforzare.
CAPITOLO II. L'ETICA DELL'IMPRESA: LEZIONI DAL
PASSATO
Premessa
Il passato che interessa questo capitolo è soprattutto quello della storia delle idee, delle idee
economiche in particolare. L'obiettivo che ci si propone è duplice. In una prima parte,
corrispondente ai primi tre paragrafi, si tenterà di estrarre dalla storia delle idee economiche
alcuni stili di ragionamento 1 che mettono in relazione questioni di natura etica e temi di
analisi economica. In una seconda parte, confinata nell'ultimo paragrafo, uno di questi stili,
quello della storia teoretica e congetturale di Hume e Smith, verrà riproposto in una versione
peculiare: come questi due autori, assieme ad altri filosofi scozzesi del Settecento, si erano
domandati come nascono e si affermano i valori e le convenzioni sociali che rendono
accettabile e al contempo adattano alla vita collettiva il commercio e il mondo del credito e
della finanza, così ci si chiederà qui quali siano i valori condivisi (da tutti o da gruppi di
individui non necessariamente in accordo reciproco) che nella società odierna fronteggiano,
per così dire, il mondo dell'impresa e del credito, e se questi valori creino un ambiente
culturalmente e socialmente favorevole allo sviluppo dell'impresa stessa, quali vincoli
impongano alle sue attività, quali richieste formulino nei suoi confronti. Infine, si cercherà di
indicare come l'impresa e la banca possano reagire costruttivamente a questa domanda
sociale, promuovendo una fase di sviluppo qualitativamente migliore ed eticamente più
accettabile per tutti. Non ci si propone cioè di trattare il tema dei rapporti tra etica e impresa in
un senso direttamente normativo. Quanto alle riflessioni tratte dalla storia delle idee
economiche, queste serviranno da punti di riferimento per interpretare le domande etiche che
vengono oggi rivolte all'impresa. Anche in ciò si ritiene di essere fedeli allo stile di Hume e
Smith, che nella loro analisi empirica dei valori morali seppero mettere in gioco i diversi
linguaggi etico-politici dei loro tempi, appoggiandosi con maestria ora a questo ora a quello, a
seconda della natura dei problemi affrontati. Verrà così formulato una sorta di
convenzionalismo che si distingue fortemente da quello riproposto dai fautori
dell'evoluzionismo hayekiano con intenti liberali e conservatori 2: le convenzioni che si
mettono qui in evidenza possono infatti dar luogo anche a regolazioni politiche o codici di
comportamento autoimposti (ma sempre con un processo decisionale esplicito), che
differiscono comunque dall'ordine spontaneo del mercato.
La genesi della scienza economica e il posto dell'etica
Nella consueta relazione all'assemblea annuale dell'Unione industriali della provincia di
Alessandria del 1988, l'allora presidente dell'associazione, Piergiacomo Guala, titolare di una
impresa di materiali plastici altamente innovativa, faceva riferimento all'insorgere del
fenomeno dell'etica degli affari, indicando quello che era il suo pensiero in proposito: in
sintesi, la sua idea era che la morale può senza dubbio porre alle imprese problemi e
interrogativi cui esse non sono o non sono state finora in grado di rispondere pienamente.
Tuttavia, due erano per lui i valori culturali che sono propri dell'industria moderna:
progettualità, come tensione al futuro e al cambiamento, e razionalità come impegno etico nei
confronti della società e delle sue risorse. L'una e l'altra non esauriscono il problema morale
dell'iprenditore o di qualsiasi altro soggetto, ma debbono certamente rappresentare colonne
portanti del sistema di regole e valori che informa la nostra società alla vigilia del terzo
millennio 3. L'economia, dunque, come moralità inferiore e al contempo base per ogni morale
moderna.
Un altro imprenditore illuminato, più noto del primo, Gianfranco Dioguardi, così inquadrava
pochi anni or sono il problema dell'etica degli affari all'interno della sua proposta di impresa
come laboratorio: L'etica imprenditoriale - l'azione morale intrapresa dall'imprenditore per
ispirare anche coloro che con lui operano - non può prescindere dal concetto di economia,
cioè di saggia amministrazione dell'organismo imprenditoriale, perché è da essa che
dipendono la sua esistenza e la sua sopravvivenza 4. L'economia, dunque, come saggia
amministrazione.
Venendo da imprenditori colti, simili affermazioni non sono certamente irriflesse. Esse
traggono invece linfa da concezioni dell'economia profondamente radicate nella nostra
cultura, anzi, come vedremo, proprio nella tradizione specificamente italiana di pensiero
economico. Per comprenderle, occorre risalire a quel periodo di transizione tra antico regime
e mondo moderno che è il XVIII secolo.
Il primo e il più antico stile di ragionamento morale che affronta problemi economici è senza
dubbio la filosofia pratica aristotelica, trasmessa fino alle soglie del Settecento dalla tradizione
scolastica, rinnovatasi all'alba dell'era moderna soprattutto ad opera di teologi appartenenti
alla Compagnia di Gesù (la cosiddetta seconda scolastica) 5. L'etica aristotelica è
deontologica, nel senso che impone a ciascuno di perseguire il bene in quanto tale,
indipendentemente dalle conseguenze che derivano dal comportamento ad esso conforme.
Essa si accompagna ad una visione statica e gerarchica della società umana, nella quale a
ciascuno è data una posizione e una funzione. Perseguire il bene vorrà dire allora, per
ciascuno, coltivare la perfezione nel ruolo affidatogli dalla sorte (per i teologi scolastici, dalla
Divina Provvidenza). Questa visione di insieme investe naturalmente anche la sfera delle
attività produttive e degli scambi: qui Aristotele e i teologi scolastici distinguono tra attività
naturali, in quanto appunto rispondenti alla finalità cui devono tendere gli esseri umani, e
attività innaturali perché ostili a questi requisiti. Appartengono alle prime quelle attività che
rispettano le regole della giustizia commutativa, che impongono di rispettare l'uguaglianza
negli scambi e attribuire il giusto prezzo a ogni cosa, e della giustizia distributiva, che
impongono di ripartire le risorse e i beni in modo da promuovere il vivere bene. Sono
innaturali invece quelle transazioni che violano il giusto prezzo e speculano sul tempo allo
scopo di lucrare guadagni. Il tempo infatti è di Dio e, come l'aria e l'acqua, è stato dato a tutti
in abbondanza per il bene comune 6. E' noto come da ciò derivi una profonda ostilità della
teologia cristiana per il prestito a interesse, l'usura: una ostilità del resto adeguata a una
società ancora largamente immersa in quella che Fernand Braudel ha chiamato la vita
materiale, in cui l'attività di credito era orientata quasi esclusivamente al consumo 7.
Chi più di tutti deve rispettare le regole ferree della virtù e della giustizia aristotelica è il pater
familias, cui si indirizzano i trattati di quella che, nel mondo classico, viene riconosciuta come
l'unica arte dell' economia o economica: il governo della casa, naturalmente inteso come
branca pratica dell'etica 8. Questa è quella che il Vocabolario degli accademici della Crusca
definisce come arte di bene amministrare gli affari domestici, fornendo come termini di
riferimento latini la coppia oeconomia/dispensatio 9. Bisognerà però arrivare al Vocabolario
universale italiano della società napoletana Tramater (1829-40) perché l'etimologia greca
venga discussa più approfonditamente: il problema è che nomos non vuole dire tanto legge o
amministrazione, quanto, in questo campo, distribuzione, e quindi oikonomìa significa
distribuzione delle cose domestiche, cioè saggia distribuzione delle persone nei diversi
compiti e giusta ripartizione dei frutti del lavoro 10. Nel frattempo, questa definizione del tutto
normativa dell'economia sarà gradualmente estesa dalla casa allo Stato, per semplice
giustapposizione dei due termini: l'economia politica, dunque, non solo è insieme di
prescrizioni e non analisi dei fatti, ma è saldamente sottomessa alle regole della virtù, alla
ricerca dell'armonia, della giustizia distributiva, più che dell'efficienza e del benessere
materiale.
Vi sono naturalmente almeno due risvolti particolarmente inaccettabili per l'uomo e la donna
moderni in questa impostazione: 1) la concezione statica e conservatrice dell'ordine sociale;
2) il fatto che le scelte morali in campo economico sono affidate, naturalmente, alla totale
valutazione discrezionale dell'Hausvater prima, dell'uomo di Stato poi 11. Un'economia etica,
dunque, ma anche profondamente illiberale.
Molti dei tratti di questa visione del mondo coincidono con quelli delle cosiddette scienze
camerali o scienze dello Stato tedesche - la cui area di influenza si estende almeno ai domini
austriaci (Italia inclusa) e all'intero mondo slavo - del XVII-XVIII secolo 12. Anche in questa
tradizione di pensiero non esiste un autonomo oggetto di analisi che venga identificato come
economico. Popolazione e ricchezza sono invece concepiti come le risorse su cui il Sovrano
può far affidamento soprattutto per consolidare e accrescere la potenza politica e militare, e
solo in subordine il benessere, del proprio Paese. A tale scopo egli non solo deve fare
attenzione a misurare il prelievo fiscale in modo da non impoverire la nazione, ma ha il
compito di intervenire minuziosamente in tutti i campi dell'attività produttiva e commerciale,
allo scopo di adeguarla ai fini dello Stato. Nel campo del commercio estero, ciò significa
adesione ai canoni delle politiche mercantilistiche: proteggere la bilancia commerciale e
incoraggiare l'afflusso di metalli preziosi significa infatti promuovere l'autosufficienza del
Paese e accumulare un tesoro che permetta di resistere per lungo tempo ad ogni attacco di
potenze ostili. E' chiaro che l'eticità è in questo caso garantita dall'autorità politica, che
assume su di sé la direzione di tutti i comportamenti individuali 13. Una visione interventista,
dunque, nella quale il Sovrano è onnipotente e onnipresente: il problema è semmai capire se
la sua regolazione dei mercati debba essere diretta e autoritaria, o, come dirà Pietro Verri,
obliqua, agendo cioè attraverso la manipolazione degli interessi che muovono gli individui nel
mercato. E' noto come questa visione degli interessi come strumenti, più che come fini
dell'intervento pubblico, sia anche quella di Montesquieu e del filosofo scozzese James
Steuart (non a caso costretto dalle sue presunte simpatie giacobine a lunghi soggiorni nel
Continente) 14. Forse meno noto è invece che la maggioranza degli utilitaristi settecenteschi,
da Pietro Verri a Cesare Beccaria a Jeremy Bentham, nonostante il linguaggio moderno,
continueranno a condividere questa impostazione dell'economia politica, con la sola rilevante
modifica che consiste nell'invertire la posizione del benessere da mezzo della potenza a fine
prioritario in se stesso 15.
Il cosiddetto paradigma repubblicano civico costituisce il terzo stile protomoderno nel quale
viene posto il problema della moralità della sfera economica: si tratta di una tradizione che,
secondo il maggiore storiografo in questo campo, John G.A. Pocock 16, trae origine dai
Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio di Niccolò Machiavelli, per venire ripreso in
ambiente anglosassone tra Sei e Settecento da James Harrington, prima, e da ideologi
appartenenti al ceto dei gentiluomini di campagna inglesi, poi. Ignorato a lungo tanto dalla
storiografia del pensiero politico quanto da quella del pensiero economico - entrambe
preoccupate di rintracciare nel panorama filosofico e ideologico dell'epoca solo gli
antecedenti del liberalismo ottocentesco - il linguaggio neomachiavelliano, o
neoharringtoniano, si presenta come una versione umanista - collegata ad alcuni filoni
moderati della teologia protestante - della visione aristotelica della polis e della virtù morale di
quello zòon politikòn che è l'uomo (qui inteso proprio nel senso generico del termine).
Secondo questa visione, virtuoso è il cittadino che partecipa attivamente al governo e alla
difesa della comunità politica. La virtù presuppone perciò non solo la disponibilità e l'uso delle
armi (i neomachiavelliani sono contrari alla nascita di eserciti permanenti o mercenari), ma
anche l'agio e il tempo libero (leisure) necessario all'esercizio di queste occupazioni
pubbliche. Presuppone anche l'indipendenza, acciocché nelle funzioni civili il cittadino non sia
sviato dai propri interessi di parte. Ora, nel panorama della società inglese del Settecento,
queste caratteristiche corrispondono esattamente al ritratto - certamente idealizzato - che gli
ideologi neo-machiavelliani facevano del gentiluomo di campagna indipendente, escluso dai
maneggi della Corte e della corrotta alta aristocrazia della metropoli, ma anche estraneo alle
pratiche del lavoro materiale e del commercio. Infatti, mentre il lavoro viene confinato per la
maggior parte dei casi nella sfera domestica allargata (il civis era anche, naturalmente, il
pater familias), dove a donne, servi e contadini era negato ogni accesso alla cittadinanza, il
mercante non risponde ai requisiti della virtù non solo per la mancanza di tempo libero e per il
fatto che i propri interessi commerciali lo rendano poco obiettivo nel valutare il bene comune
e prono a corrompere chi esercita il potere, ma soprattutto perché il carattere mobiliare della
sua ricchezza lo rende infido. Solo chi possiede la terra è disposto a difendere la patria (il
termine stesso evoca la struttura economica, nel senso suddetto, della nazione) dal nemico.
Al mercante resta sempre la possibilità di fuggire con il proprio capitale verso lidi più tranquilli.
La virtù civica è dunque una virtù essenzialmente aristocratica, gerarchica e certamente
sessualmente discriminatoria. Essa guarda inoltre con estremo sospetto il mondo del
commercio e ancor più quello del credito e della finanza, alimentato in un gioco perverso di
corruzione dai bisogni crescenti degli Stati e dal ricorso, da parte loro, alla pericolosa pratica
del debito pubblico 17. Il punto è semmai, come è stato di recente dimostrato 18, che lo stile
neomachiavelliano diviene nel corso del Settecento uno strumento attraverso il quale è
possibile porsi proprio il problema della legittimità morale e politica del commercio e del
credito, e rispondervi affermativamente. Sarà sufficiente, a questo scopo, come sembra fare a
tratti lo stesso Steuart, invertire l'argomento precedente dimostrando la necessità del
commercio per la difesa e il governo del Paese, nonché l'attaccamento ad esso delle classi
commerciali stesse, magari accompagnando il proprio ragionamento con una teoria della
moneta creditizia che sottolinei la sua rilevante importanza nella riproduzione e
nell'allargamento del circuito economico. Da questo punto di vista, il paradigma umanista
civico giustifica anche un interesse diretto per l'analisi economica.
Collegato - sia pure attraverso un tema diverso dai precedenti, quello della giustizia - alla
radice aristotelico-tomistica, passata al filtro della teologia protestante nordeuropea, è anche
il paradigma giusnaturalista, del quale distingueremo qui due varianti significative: quella
hobbesiana e quella che discende da Grozio e Pufendorf.
Hobbes, come è noto, riserva ai problemi economici una trattazione episodica e
frammentaria. Nondimeno appare possibile enucleare almeno due elementi rilevanti nella sua
visione: da un lato, un mercato nel quale dominano valori soggettivi, totalmente privi di giusto
mezzo, la cui determinazione effettiva dipende dai rapporti di potere tra le parti (cosicché, per
esempio, nel mercato del lavoro sono i compratori a fare il prezzo); dall'altro, l'idea della
ricchezza come potere, perseguita dagli individui in quanto mezzo per quest'ultimo, in una
situazione di competizione nella quale solo un'accumulazione senza tregua può consentire di
non soccombere: donde un'attenzione ai rischi sociali derivanti da qualsivoglia posizione di
monopolio 19. Ciò implica un controllo del sovrano - sui cui complessi attributi non è il caso
qui di insistere - che tuttavia non va fino all'interventismo della tradizione cameralista,
confidando largamente sulle capacità autoregolatrici di un mercato dal quale siano espunti gli
aspetti più tipicamente speculativi e le posizioni di privilegio.
Il giusnaturalismo di ascendenza groziana e pufendorfiana deriva dalla teologia naturale l'idea
di un creato regolato dalla provvidenza divina secondo leggi oggettive e universali, tanto nella
sfera naturale, nella quale vige un rigido determinismo, quanto in quella morale, dove esse si
presentano sotto forma di leggi di natura cui gli individui devono adeguarsi nel loro
comportamento privato e nello stabilire le regole della convivenza civile 20. Tramite un
contratto sociale gli individui si associano per proteggere i loro diritti naturali. Esistono, come
è noto, versioni diverse di questo stile di pensiero, da quelle più conservatrici, che tendono a
sottolineare la inevitabile coincidenza tra leggi civili e leggi di natura (è il caso, in Inghilterra,
dei Commentaries on the Laws of England di William Blackstone), a quelle più radicali, le
quali, ispirandosi soprattutto a Locke, sottolineano il carattere imprescrittibile dei diritti
dell'uomo e affermano il diritto alla ribellione contro i sistemi politici ingiusti (è il caso, nel
panorama anglosassone, dei Rights of Man di Thomas Paine). Nel complesso, questa
tradizione tende comunque a individuare una sfera di attività sociali demandate alla libera
scelta dei privati e protetta tanto dalle aggressioni degli altri individui quanto dall'intervento
arbitrario del sovrano; nella misura in cui l'agire così determinato non violi a sua volta i diritti
degli altri e rispetti i principi della giustizia commutativa e distributiva, esso è libero di
esplicarsi nei modi desiderati. Nonostante il rifiuto dell'approccio contrattualista, appartiene a
questo stile di ragionamento la giustificazione smithiana della società commerciale, una
giustificazione trasportata in termini dinamici. Per Smith, la crescita della ricchezza promossa
dal commercio può aver aumentato le ineguaglianze tra gli individui, ma ha prodotto per i
meno favoriti una condizione di vita migliore di quella dei nobili delle corti medievali (si
potrebbe definirlo un principio di differenza rawlsiano realizzato) 21. Ciò conduce non solo
all'accettazione del mercato, ma anche ad un'analisi dei fatti economici concepita come
premessa alla ricerca dei compiti degli individui e della legge (è questa la pista che conduce
in Smith dall'analisi di police, revenue and arms nelle Lezioni di Glasgow alla Ricchezza delle
Nazioni). D'altra parte, Smith è anche il primo a riunire questi spunti in un corpo di riflessioni
organico (ma non autonomo dalla morale, cioè non autoreferente) 22. Prima di lui, i suoi
maestri, come Francis Hutcheson, avevano trattato qua e là di problemi economici nei loro
sistemi di morale e di jurisprudence, a misura che il tema principale lo richiedesse 23. D'altra
parte, quanto ciò non significhi una piena e incondizionata apologia del mercato capitalistico,
lo si può vedere dal fatto che i giusnaturalisti, fino a Smith compreso, guardano con estremo
sospetto ogni attività che differisca dalla produzione e circolazione delle ricchezze materiali:
dal credito, alla finanza, a qualunque prodotto immateriale che provenga dalla sfera dello
Stato (esso appare sempre come un costo sociale puro, anche quando appaia necessario al
bene comune) 24.
Prima di abbandonare questo filone, vale la pena ricordare la teodicea eterodossa di Malthus.
La prima edizione dell'Essay on the Principle of Population (1798) è degna di menzione non
solo per aver esposto il principio della progressione geometrica della popolazione e per aver
accusato il sistema delle Poor Laws di accrescere la miseria delle classi indigenti, ma anche
per aver attaccato l'ideologia del progresso di Condorcet e Godwin sulla base di una teologia
morale pessimistica, secondo la quale la povertà sarebbe voluta dalla provvidenza al fine di
indirizzare le classi povere verso una vita virtuosa e responsabile, nella quale ciascuno si
faccia protagonista della propria salvezza materiale: è la tesi della sferza, come l'ha definita
Antonello La Vergata 25: una tesi che, in versioni più o meno secolarizzate, affascinerà tutta
l'economia politica liberale 26.
Come di recente è stato sottolineato, non tutti i problemi che riguardano le complesse
relazioni tra etica, politica ed economia nel Settecento britannico - e altrove - possono essere
comprese nell'alternativa tra paradigma civico e paradigma giusnaturalista 27. Essenziale per
comprendere la genesi dell'economia politica è il fatto che alcuni filosofi di questo secolo, tra i
quali Hume e Smith, abbiano subìto il fascino del modello scientifico newtoniano al punto di
pensare di applicarlo a quelle che chiamarono le scienze morali. Nacque così un approccio
alle scelte e alle azioni umane che non consisteva più nel giudicare e prescrivere, ma nel
descrivere. E l'oggetto di questa descrizione era duplice: da un lato Hume e Smith cercarono
di comprendere l'origine e l'affermarsi nelle società umane di sistemi di valori morali condivisi
(l'approccio prediletto essendo quello della storia teoretica e congetturale); dall'altro superando l'approccio contrattualista - essi proposero di interpretare le principali istituzioni
sociali e politiche come il frutto di un lento processo di aggiustamento, di una serie di
successive convenzioni, parallele e convergenti con la genesi dei valori morali. Vanno in
questa direzione l'interrogativo humiano su perché l'utilità piace? 28 e l'analisi smithiana dello
spettatore imparziale 29.
Anche il problema della giustificazione del commercio e delle altre attività economiche viene
ad assumere, in questo quadro, un significato nuovo (anche se, come ho già detto, Hume e
Smith si mostrano capaci di far entrare in gioco nel loro ragionamento linguaggi e stili diversi).
Il problema diventa ora quello della capacità delle nuove attività e istituzioni sociali di adattarsi
ai sistemi di valori condivisi e alle convenzioni sociali nei quali cercano di farsi spazio, nonché
come queste evolvono a contatto col nuovo fenomeno. Esemplare di questa impostazione oltre alla riflessione di questi ed altri autori (ricordiamo Montesquieu e Beccaria, tra i tanti) sul
legame positivo tra commercio, libertà e addolcimento dei costumi - è l'analisi smithiana della
mano invisibile, ben diversa dalle caricature efficientiste che ne sono state fatte fino ai giorni
nostri 30. In essa, non solo il gioco degli scambi è messo in relazione con una più
fondamentale propensione degli individui alla conversazione e alla persuasione reciproca 31,
ma l'interesse che lega tra loro gli individui è considerato accettabile solo in quanto, in quelle
circostanze, lo spettatore imparziale lo giudica appropriato ai fini della vita civile. Come ha
sottolineato Amartya Sen, non è dunque in contraddizione con se stesso Smith quando
chiama in causa la nozione stoica di prudenza (una virtù inferiore per lui rispetto alla
benevolenza, ma adatta al comune degli umani) per stigmatizzare i comportamenti basati
sull'avventura speculativa, o per approvare le leggi contro l'usura 32. E' ovvio che una simile
impostazione convenzionalista manifesti l'esigenza di un ricorso massiccio all'analisi
economica, questa volta intesa in un senso più chiaramente sistemico e individualista
metodologico. Vale la pena notare però che individualismo metodologico è qui cosa
profondamente diversa dall'ideologia dell'homo oeconomicus e dall'analisi dei mercati in
termini di ottimalità ed efficienza.
Egualmente attratto dal modello scientifico newtoniano è l'utilitarismo settecentesco, con
Helvétius e Bentham. Quest'ultimo anzi accusa il convenzionalismo di essere rimasto a uno
stadio più baconiano che newtoniano della rivoluzione scientifica in campo morale, per non
aver introdotto il tema della misura dei fenomeni morali 33. Il contrasto tra le due filiazioni non
potrebbe del resto essere più netto. L'utilitarismo reintroduce infatti a pieno titolo il momento
della valutazione e della prescrizione, indicando quale principio alla luce del quale valutare
atti e istituzioni quello della massima utilità per il maggior numero. Un principio che, come ha
più volte chiarito il Sen, implica le tre caratteristiche del benesserismo (sono rilevanti per la
valutazione solo informazioni relative all'utilità per gli individui), del conseguenzialismo (un
atto deve essere giudicato in base alle sue conseguenze sulle persone coinvolte) e dell'
ordinamento per somma (scegliere l'azione o istituzione che implica la più elevata somma di
benessere per gli individui coinvolti) 34. L'aspetto empirista di questo approccio non consiste
dunque nel modo di analizzare i principi etici (che è, come più tardi per la filosofia analitica
anglosassone, puramente argomentativo), ma nell'esame e nella misura degli stati di
benessere della comunità, il termometro essendo rappresentato dalle unità monetarie che gli
individui sono disposti ad allocare tra i differenti beni 35. Il presupposto di questa procedura è
poi costituito dalla teoria sensistica, secondo la quale gli esseri umani agiscono sempre per
fuggire il dolore e ricercare il piacere in tutte le loro forme.
Anche all'interno di questo quadro i moventi e le scelte dei mercanti, degli imprenditori, dei
banchieri, o le istituzioni come il mercato dei beni o quello della moneta, vengono sottoposti
ad una valutazione morale e non si verifica scissione tra economia predittiva ed economia del
benessere (c'è semmai una chiara subordinazione della prima alla seconda). L'analisi del
mercato di Bentham (tralascio qui di parlare della diversa visione di Helvétius), inoltre, si
richiama fortemente a quella smithiana tanto per l'approccio individualista basato sui risultati
inintenzionali delle scelte, quanto per il fatto che entrambi vedono limiti alla validità delle leggi
di mercato.
La differenza è però che adesso la valutazione è compiuta a partire dalla regola
massimizzatrice dell'utilità totale. Ciò non è privo di conseguenze sul merito della valutazione:
sbarazzatosi della congerie di esigenze e intuizioni morali tra loro anche contraddittorie con
cui fanno i conti i convenzionalisti, e delle ambiguità delle concezioni deontologiche delle virtù
o dei diritti, l'utilitarismo è in grado di superare le remore tradizionali della cultura europea
contro il denaro, il rischio, la speculazione, l'attività imprenditoriale e finanziaria: proprio allo
spirito di azzardo dei projectors è infatti dovuto, per gli utilitaristi, il benessere delle società
moderne 36. E' da notare che da una simile impostazione etica deriva anche un'analisi dei
meccanismi dello sviluppo economico nella quale giocano un ruolo attivo la moneta e
l'innovazione.
A entrambi gli stili newtoniani appena analizzati si oppone recisamente quello della virtù
repubblicana democratica, che ha il suo padre fondatore in Rousseau 37 e i suoi continuatori
nei giacobini di Francia (Robespierre) 38 e d'Italia (Vincenzio Russo, per esempio) 39. Con il
contratto sociale rousseauiano, gli individui danno vita a una volontà generale alla quale
alienano le loro volontà particolari. Dovere di ognuno è partecipare attivamente al governo e
alla difesa della nazione, rinunciando, ove necessario, alla cura degli interessi egoistici. A tal
fine il contratto sociale prevede di non tollerare una distribuzione troppo ineguale delle
ricchezze, che conferirebbe ad alcuni un potere eccessivo nelle deliberazioni comuni, né di
lasciare spazio a quei moventi e a quelle attività (il lusso, la speculazione) da cui è derivata
l'ineguaglianza, la corruzione e l'oppressione. Il governo provvederà invece a fornire ai
cittadini le risorse di cui vivere per il tempo durante il quale devono lasciare l'aratro e la
bottega per le armi e le assemblee. La virtù consiste dunque nella frugalità e nella
partecipazione. Da questo punto di vista, la visione rousseauiana è più vicina alla tradizione
civica che al contrattualismo giusnaturalista, con la differenza rilevante di essere egualitaria e
non aristocratica.
Sarebbe tuttavia erroneo pensare che questo stile di ragionamento etico abbia interessato
solo - o prevalentemente - una minoranza di patrioti democratici e repubblicani tra fine
Settecento e larga parte dell'Ottocento. Gran parte della cultura politica ed economica del
Risorgimento italiano, per esempio, sembra esserne partecipe almeno in parte, grazie anche,
come è stato sottolineato 40, alla mediazione di pensatori influenti come Romagnosi.
Smussati gli angoli democratici, ricongiunta la virtù repubblicana a quella aristotelica e
cristiana del pater familias e del sovrano paterno, rimane anche all'interno di una visione
moderata un atteggiamento che guarda sempre alle attività economiche da un lato come
esercizio di una moralità inferiore, prudente, parsimoniosa, civilizzatrice bensì, ma che deve
sempre sottomettersi al giudizio di principi morali più universali, dall'altro come virtuose solo
in quanto svolgano una funzione patriottica, siano funzionali alla causa politica
dell'unificazione nazionale. Né Francesco Ferrara, liberista senza peraltro essere utilitarista,
né la sua Biblioteca dell'economista, riusciranno ad acclimatare durevolmente nell'Italia
ottocentesca l'idea degli economisti classici inglesi e francesi secondo cui il mercato è dotato
di una capacità intrinseca di autoregolazione dai risultati morali, rispetto alla quale lo Stato
deve in larga misura astenersi dall'intervenire. E' peraltro impossibile in questa sede
considerare in che misura la storiografia del pensiero economico abbia ormai assodato che
nell'Ottocento, anche in altri paesi d'Europa - dall'Inghilterra vittoriana 41 alla Francia della
lunga fase post-rivoluzionaria 42 -, i rapporti tra morale e politica non seguono certo lo
stereotipo di un manchesterismo libero-scambista e utilitarista.
Sarebbe interessante proseguire questo esame degli stili di ragionamento etico sull'economia
analizzando l'apporto di altri filoni culturali, come per esempio quello reazionario 43, il
positivismo e l'evoluzionismo, il marxismo. Su quest'ultimo occorre tuttavia spendere qualche
parola alla luce di quanto sarà detto più oltre. Il contributo più rilevante del marxismo alla
storia della cultura economica moderna è senza dubbio rappresentato dall'idea della
transitorietà storica del capitalismo. Da un punto di vista etico, questa visione ha implicato
che i marxisti abbiano compiuto valutazioni sulla giustizia delle istituzioni di mercato a partire
dall'idea di una possibile alternativa di sistema o di modo di produzione: quello comunista, nel
quale più importante della libertà dallo sfruttamento e dalla miseria è la libertà di essere
individui completi, onnilaterali, avendo creato una società [che] regola la produzione generale
e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell'altra, la
mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo
criticare, così come mi vien senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né
critico44. L'uomo onnilaterale del comunismo diviene in questa visione il valore attraverso il
quale giudicare ingiusta l'alienazione all'interno del capitalismo: un tema rilevante per l'etica
economica soprattutto perché, diversamente da quello dello sfruttamento, non pone un
semplice problema di giustizia distributiva (è con questo genere di problemi che l'odierna
etica economica ha prevalentemente a che fare), ma di identità e di qualità della vita degli
individui sottoposti alla divisione del lavoro e ad un'organizzazione sociale della produzione
nella quale non sono gli strumenti ad essere mezzi per i fini delle persone, ma viceversa sono
le cose a dominare, con i loro ritmi, gli esseri umani 45. Esiste del resto tutto un filone di
riflessione che generalizza il problema dell'alienazione a tutte le società in cui esista una
distribuzione ineguale del potere e della ricchezza 46.
La svolta marginalista e l'impoverimento etico della scienza economica
Se fino alla seconda metà dell'Ottocento l'economia politica è stata dunque carica di etica,
sarebbe certamente errato sostenere che, con la svolta marginalista, essa se ne sia
definitivamente emancipata. Ciò non solo perché anche gli sforzi più radicali di costruire una
scienza economica avalutativa si scontrano con la normatività implicita delle premesse di
fondo (individualismo, razionalità) 47, ma anche perché quella parte della scienza che,
distinguendosi dall'economia predittiva, veniva ora qualificata come economia del benessere,
si affidava ai canoni dello stile di ragionamento utilitarista per costruire un sistema di
valutazione morale dei fatti economici. La conseguenza non era l'avalutatività, ma la
restrizione delle informazioni considerate rilevanti per tale valutazione 48.
La teoria economica marginalista, sviluppatasi come noto lungo tre filoni parzialmente diversi,
quello anglosassone, con Jevons e poi Edgeworth e Marshall, quello francofono, dominato
dalle figure di Walras e Pareto, quello austriaco, con Menger e Böhm-Bawerk, rompe con le
impostazioni precedenti proprio a partire dall'analisi del nesso tra valore e distribuzione. La
dimostrazione che, almeno nel caso di una funzione di produzione omogenea di primo grado
(cioè con rendimenti costanti di scala), il prodotto risulta interamente distribuito tra i fattori
secondo la produttività marginale (il contributo) di ciascuno di essi e senza profitti puri, porta
alla negazione dello sfruttamento. La dimostrazione dell'equilibrio economico generale e la
teoria quantitativa della moneta riducono quest'ultima a pura unità di conto e mezzo di
scambio e il mercato a un grande baratto, tagliando così alla radice ogni riflessione sui
problemi di potere, sulle asimmetrie decisionali generate dalla creazione di moneta e sugli
squilibri derivanti dalla sua detenzione come riserva di valore, che caratterizzano il
capitalismo 49 (alla luce del nostro ragionamento, si potrebbe semmai vedere tra le premesse
normative implicite di questa costruzione analitica il coronamento di un'antica diffidenza
morale e politica nei confronti del denaro sporco e del prestito a interesse, che viene ora
neutralizzato e ridotto a una pura forma intermediaria).
Le riflessioni più propriamente valutative vengono poi confinate nella economia del
benessere, che si distingue in una prima versione, canonizzata da A.C. Pigou, basata sulla
cardinalità delle funzioni di utilità e sul principio di utilità di Bentham, ed in una seconda
versione, dovuta soprattutto a Pareto, nella quale, alla luce del Methodensteit e sotto
l'influenza del neopositivismo, si sottopone a critica la possibilità di comparazione
interpersonale delle utilità e si fondano le valutazioni di benessere sociale sul criterio di
ottimalità paretiano, secondo cui una allocazione è ottima quando non è possibile migliorare
la posizione di nessuno senza danneggiare quella di altri 50. Questa seconda versione
comporta notevoli restrizioni delle possibilità di intervento distributivo. E' possibile infatti
dimostrare che se le funzioni di utilità individuali sono confrontabili e aggregabili, e se vige
l'utilità marginale decrescente, una condizione di distribuzione egualitaria ceteris paribus
consente il benessere totale maggiore, giacché una porzione di beni tolta a chi ne ha di più
sottrae a costui una dose di utilità inferiore all'incremento di utilità del beneficiario più povero
51. Il criterio paretiano, invece, non solo impedisce questo genere di redistribuzioni, ma
finisce per avvalorare la corrispondenza tra ottimalità sociale e concorrenza perfetta (
teorema fondamentale dell'economia del benessere), tendendo ad affidare così ad un
mercato che si avvicini a questa condizione, piuttosto che alle politiche sociali dello Stato, la
realizzazione del benessere collettivo (sempre interpretato, comunque, in termini di utilità
degli individui coinvolti). Vale la pena notare che questa costruzione si basa da un lato sulla
restrizione delle informazioni rilevanti a quelle welfaristiche, dall'altro sull'ipotesi di una
razionalità completa degli attori in condizioni di perfetta informazione. E' a partire dalla critica
a questi presupposti che diventerà possibile, pur salvaguardando l'idea di razionalità e
l'impostazione metodologica individualista, la reintroduzione di riflessioni etiche più
complesse sul terreno dell'economia.
Prima di proseguire per questa strada, occorre tuttavia compiere una breve digressione,
considerando almeno alcuni apporti del filone eterodosso della macroeconomia al dibattito
sull'etica degli affari. Come è noto, Keynes da un lato e Schumpeter dall'altro, per negare le
conseguenze analitiche della teoria dell'equilibrio economico generale, si pongono in un'ottica
diversa, quella macroeconomica, accusando la teoria classica di non essere in grado di
rendere conto di alcune caratteristiche centrali del capitalismo: la ricchezza, non la
massimizzazione del profitto, come obiettivo del capitalista e dell'imprenditore; il ruolo del
credito come social accountant delle scelte imprenditoriali e motore dello sviluppo; la funzione
squilibratrice della moneta; il carattere endogeno delle crisi. Ora, tali conclusioni sono rilevanti
anche per il giudizio etico sui meccanismi e sull'ordine sociale capitalistico: in particolare,
viene recuperata una differenza della posizione dei capitalisti, degli imprenditori, degli
speculatori, i quali non sono più immersi nel tutto indistinto delle famiglie prestatrici di servizi
produttivi e allocatrici del reddito tra risparmio e investimento, né nelle distinzioni puramente
funzionali tra individui egualmente razionali e massimizzatori, ma appaiono guidati da
motivazioni ben più distintive e radicali, nelle quali l'obiettivo della ricchezza astratta si
identifica con quello del potere economico e sociale, la concorrenza appare come un gioco
per l'eliminazione del più debole, l'innovazione come distruzione creatrice 52: si può parlare a
questo proposito di una sorta di ritorno a Hobbes, attraverso la lezione (peraltro
esplicitamente antiutilitarista) di Marx 53.
Tuttavia, se è possibile ravvisare in Schumpeter e Keynes una riflessione etica su questi
meccanismi, essa non è certo di condanna. Predomina piuttosto in loro un atteggiamento di
disincantata, cinica considerazione dell'importanza decisiva dei fattori di squilibrio, di rischio e
di potere (gli animal spirits del capitalismo di cui parlava Keynes) 54 nel promuovere lo
sviluppo delle economie moderne, uno sviluppo che viene inteso non in senso banalmente
benesseristico, ma in tutti quegli aspetti che la cultura britannica aveva sempre attribuito alla
funzione civilizzatrice del commercio: buone maniere, civiltà, libertà. Donde la necessità di
salvaguardare quanto più possibile le istituzioni del mercato di fronte alle alternative
dell'irrigidimento burocratico e dei regimi di massa totalitari 55. Non è forse un caso che,
proprio a partire da questa valutazione di fondo, tanto Schumpeter quanto Keynes siano stati
oggetto di un tentativo di recupero da parte della teoria economica ortodossa: il primo
soprattutto grazie al filone di ricerche economico-sociologiche sulla funzione imprenditoriale, il
secondo con la cosiddetta sintesi neoclassica.
L'attacco neoliberista (monetarista soprattutto) al keynesismo teorico e pratico, che ha
caratterizzato gli anni Settanta-Ottanta, rivela però quanto il messaggio di Keynes appaia
dirompente nel mettere in crisi il teorema fondamentale dell'economia del benessere e i suoi
addentellati analitici. Rispetto all'economia marginalista delle origini, si può dire anzi che
Friedman e gli altri monetaristi abbiano esteso le ipotesi di razionalità dei mercati e degli
agenti economici fino a farle valere ben al di là dell'ipotesi di concorrenza perfetta.
Sintomatica è a questo proposito la posizione ottimista di Friedman a proposito della perenne
razionalità dei mercati finanziari 56, che tende a rinviare sulle politiche economiche e
monetarie la responsabilità delle instabilità cicliche e delle crisi. Donde la ribadita moralità del
perseguire, da parte delle imprese, l'obiettivo dell'efficienza economica come premessa per lo
sviluppo, nonché l'asserzione fondamentale secondo cui dovere morale del manager è solo
quello di assicurare la massima profittabilità dell'impresa e non quello di perseguire cause
sociali che si configurerebbero come forme di tassazione involontaria a danno degli azionisti
57.
Il neoconvenzionalismo di Hayek fornisce ulteriori elementi a questo punto di vista etico,
sostenendo che l'ordine sociale assicurato dal capitalismo è un ordine spontaneo, frutto di
una serie di aggiustamenti istituzionali di lunga durata, di un decentramento delle
informazioni, risultato inintenzionale delle scelte individuali, che non può essere sostituito da
alcuna forma più efficiente di organizzazione sociale centralizzata in tutto o in parte 58.
Friedman e Hayek sono, per così dire, gli eroi di tutta una letteratura sull'etica dell'impresa
che negli anni Ottanta ha teso e tende tuttora a ribadire che the business of business is
business. Nelle parole di Cesare Romiti: Colui che ha scelto di fare l'imprenditore ha l'obbligo
morale di perseguire il profitto della sua impresa con tutti i mezzi legittimi a sua disposizione.
E questo è tanto più importante quanto più la società è in sviluppo e quanto più aspira ad
accrescer il suo livello di benessere 59.
Va detto, infine, che i suggerimenti di Hayek, uniti a quelli, per esempio, della scuola delle
scelte pubbliche, nell'individuare i limiti e le inefficienze possibili nell'intervento pubblico,
costituiscono il contraltare al quale guardare oggi ogniqualvolta si critichi la società di mercato
e si ritenga che essa debba essere emendata o affiancata da altre istituzioni e convenzioni.
Essi ci insegnano che qualunque soluzione implichi strutture burocratiche e forme di
programmazione presenta a sua volta costi sociali e rischi di distorsione.
Le critiche alla microeconomia convenzionale e il ritorno dell'etica
Bisogna distinguere, nel dibattito economico contemporaneo, tre filoni principali di attacco alla
visione etica che deriva dal teorema fondamentale dell'economia del benessere. Tutti si
riallacciano alle critiche successive che sono state mosse agli assunti fondamentali della
teoria economica neoclassica, e tutti ritengono che la relazione tra etica ed economia non
possa essere racchiusa nell'idea di efficienza allocativa del mercato né in quella di
profittabilità dell'impresa.
Un primo filone rilevante è quello che considera una iattura il dominio assunto nella teoria
economica moderna da un punto di vista genericamente utilitarista o benesserista, che riduce
le informazioni rilevanti per l'analisi e la valutazione delle istituzioni economiche a quelle
relative all'utilità degli individui 60. Come si è già detto, è in particolare Amartya Sen ad aver
sostenuto che la teoria economica deve muovere dall'assunto che non solo considerazioni di
benessere individuale guidano i singoli nell'azione, ma anche una pluralità di altri valori e
ragioni di principio, eventualmente in contrasto con l'interesse personale. Questi valori vanno
considerati come ragioni sufficienti dell'agire, e non come trasfigurazioni di un fondamentale
impulso a fuggire il dolore e cercare il piacere 61. Parallelamente, quando valutiamo le
istituzioni economiche da un punto di vista etico, dobbiamo distinguere tra i due aspetti del
<169>benessere<170> e della <169>facoltà di agire<170> di una persona. Il primo riguarda i
risultati e le opportunità di una persona in relazione al suo vantaggio personale, mentre la
seconda si spinge oltre e cosidera risultati e opportunità nei termini anche di altri obiettivi e
valori 62. Occorre inoltre considerare che valori come la libertà possono avere per gli individui
un'importanza intrinseca, indipendente dai risultati che consente di raggiungere (come è
invece per gli utilitaristi). Egli propone quindi un modello etico nel quale da un lato vengano
tenute presenti contemporaneamente informazioni relative sia al benessere (importanti per
giudicare in tema di giustizia distributiva) che alla facoltà di agire (importanti per valutare le
esigenze della persona su un piano più complessivo), dall'altro le valutazioni vengano
compiute sia in base alle conseguenze, sia in base al valore intrinseco della libertà. Un
ulteriore punto di attacco da parte di Sen, a partire da questo modello, riguarda le restrizioni
poste dal criterio di ottimalità paretiana a qualunque tipo di redistribuzione delle risorse, per
quanto ineguali esse siano. Con il suo tipico modo di ragionare che sfata i presupposti più
consolidati della teoria economica, egli asserisce che l'indifferenza nei confronti delle
ineguaglianze di benessere richiede essa stessa una giustificazione 63.
Anche Albert Hirschman, a partire da Exit, Voice, and Loyalty (1970) si oppone a una teoria
economica nella quale l'individuo venga considerato solo come una macchina che registra i
prezzi e altre informazioni, facendo notare che egli dispone anche di doni considerevoli di
comunicazione e di persuasione, verbale o meno, che influenzano le operazioni economiche
64. La questione ha rilevanza non solo sul piano analitico, ma anche su quello etico e politico,
in quanto non appare accettabile una visione che si proponga la semplice mediazione degli
interessi individuali. Donde l'esigenza sentita da Hirschman di ritornare alle origini
dell'economia politica, ai problemi posti dalla visione civica, da Montesquieu e da Smith.
Sul versante dell'etica dell'impresa, uno dei risvolti di questa esigenza di allargamento del
punto di vista dell'efficienza è senza dubbio la scoperta del tema della cultura di impresa. E' in
particolare il successo del modello giapponese, nel quale per l'appunto valori diversi da quello
dell'interesse economico sembrano guidare i diversi agenti economici che formano l'impresa,
ad aver attratto l'attenzione su questo tema. Sul piano descrittivo, si possono constatare due
tendenze principali in questa riflessione: da un lato l'accento viene posto sul carattere
convenzionale, di lungo periodo, della cultura di impresa, che è vista dunque come tradizione
(solo imprese di antica istituzione, dunque, possono averla); dall'altro, invece, vi è chi
sottolinea come l'imprenditore stesso sia uno sperimentatore sociale e l'atto imprenditivo
stesso una decisione culturale, mentre l'impresa viene vista come il convergere di numerose
competenze e culture preesistenti, che in essa si pongono a confronto ed eventualmente in
conflitto. Perciò qualunque impresa ha una cultura. Sul piano normativo, questo duplice punto
di vista corrisponde a posizioni altrettanto diverse tra loro. Da una parte vi è la visione
conservatrice, nella quale l'impresa non può essere ridotta a un nodo di contratti ma è invece
una comunità naturale e una tradizione. Il compito morale dell'imprenditore e delle altre forze
che formano l'impresa è quello di vivere e coltivare questa tradizione al di là di egoismi di
parte 65. Dall'altra, troviamo un punto di vista più liberal, che è più disposto ad accettare la
differenza e l'eventuale conflittualità delle varie culture che convergono nelle imprese,
proponendo di vedere queste ultime non come meri apparati di produzione, bensì con una
crescente funzione organizzativa e come laboratori di democrazia industriale, dove la
formazione professionale si possa ampliare per divenire un processo più ampio di sviluppo di
una cultura generale rivolta ai singoli individui 66.
Un altro filone di attacco alle conclusioni dell'economia del benessere paretiana scaturisce
dalle indagini in campo microeconomico che hanno posto in discussione alcuni assunti
fondamentali della teoria marginalistica, dando luogo alla letteratura sui fallimenti del mercato.
Ci si riferisce in particolare ai settori di ricerca che vengono definiti come neoistituzionalismo
e nuova economia keynesiana 67 e alle teorie dell'agenzia 68. Tra gli assunti critici di
partenza di questi filoni, vi è la riflessione avviata da Herbert Simon sulla razionalità limitata
degli agenti economici 69, i contributi della teoria dei giochi 70, quelli sulle asimmetrie
informative, i quali mostrano come i contratti che vengono a stabilirsi nel concreto della realtà
economica siano incompleti, nel senso che divergono da quelli previsti dalla teoria della
concorrenza perfetta, che assumeva la piena trasparenza del mercato. L'esistenza di costi di
transazione legati all'acquisizione di informazioni 71 e la possibilità di opportunismo creata
dalle asimmetrie informative fanno sì che nella pratica vengano scelte dagli agenti soluzioni di
second best rispetto a quelle di equilibrio pieno. Inoltre appare dimostrato che ad ogni livello
delle istituzioni economiche, dai mercati dei fattori, a quello della moneta, a quello dei beni,
alle organizzazioni, esistono spazi di comportamento arbitrario, in assenza di quelle sanzioni
che il modello dell'equilibrio concorrenziale prevedeva 72.
Tutto questo ha conseguenze sul piano dell'etica economica. La constatazione di spazi
discrezionali dell'agire, minando alla base l'idea di efficienza (e quindi giustizia) allocativa del
mercato, reintroduce la necessità di sottoporre le scelte individuali a valutazione etica diretta;
la teoria dei contratti incompleti indica come la cooperazione tra agenti razionali - qualora se
ne diano le condizioni - potrebbe ottenere risultati migliori in termini di benessere della noncooperazione. Donde il ritorno di interesse degli economisti per le grandi opzioni etiche
contemporanee, dal neoutilitarismo 73, alle teorie dei diritti 74, alle varie forme di
neocontrattualismo 75, alle etiche deontologiche. Con l'esclusione parziale di queste ultime, è
da notare che la predilezione degli economisti va a quelle proposte che conservano i canoni
dell'individualismo metodologico e dell'ipotesi di razionalità individuale, sicché, scartato
l'utilitarismo 76 per il carattere meramente allocativo della sua visione della giustizia e per la
sua parziale insensibilità ai problemi della distribuzione dei beni e delle risorse 77, le
preferenze sembrano orientarsi soprattutto verso le teorie contrattualistiche.
Un terzo filone di critiche, particolarmente importante nel nostro Paese, è infine rappresentato
dal neoaristotelismo 78 e dalla dottrina sociale della Chiesa, che alle questioni di etica
economica ha dato importanza a partire dalle encicliche di Giovanni Paolo II, in particolare la
Laborem exercens (1981), la Sollicitudo rei socialis (1987) e la Centesimus annus (1991) 79.
La critica principale che viene da questo filone è quella dei rischi provenienti da una
mercificazione di tutte le relazioni umane, che rischia di vanificare l'ideale di una più piena
valutazione della persona in quanto tale.
Verso un nuovo spettatore imparziale? L'etica dell'impresa come
convenzione sociale
Nell'ambito del dibattito odierno su etica ed economia, la prospettiva convenzionalista
inaugurata da Hume e Smith appare essere ripresa esplicitamente solo da Hayek, in una
versione cioè che tende a vedere nell'ordine del mercato il frutto di una lenta evoluzione
sociale il cui successo è giustificato in particolare dalla capacità di questa istituzione di
valorizzare al meglio le conoscenze specifiche che ciascun soggetto accumula nel tentativo di
soddisfare i propri obiettivi. A questo ordine spontaneo si oppone il punto di vista costruttivista
o {= falso-individualista che deriva secondo Hayek dal razionalismo cartesiano e ha i suoi eroi
eponimi in Bentham e Rousseau: secondo questo punto di vista è possibile che un solo
soggetto si sostituisca alla pluralità degli individui componenti una società, centralizzando
l'informazione e allocando centralmente le risorse secondo obiettivi razionalmente prefissati.
Ma proprio questa pretesa è per Hayek indifendibile. Le decisioni politiche, quando non si
limitino a fissare alcune regole del gioco, come la garanzia delle persone e delle proprietà,
producono ordini sociali meno efficienti e soprattutto desiderabili per gli individui 80.
Credo però che l'identificazione dell'approccio convenzionalista con la difesa hayekiana del
mercato conduca a sottovalutarne l'interesse, in una società complessa che sembra dare
sempre maggior peso ai valori della cittadinanza sociale, dell'ambiente, della differenza, del
volontariato, della solidarietà, forse anche della cultura, senza per questo diminuire nel suo
complesso la consapevolezza del carattere stringente dei vincoli economici e dell'esigenza di
rispettare le regole di una gestione efficiente delle risorse e dei fattori produttivi. Una società
nella quale l'opinione pubblica, per quanto manipolata, riesce a esprimere opzioni
fondamentali rilevanti a favore di questi valori e contro il cristallizzarsi di pericolosi interessi
costituiti. Questo quadro forse un po' idilliaco non vuole far dimenticare che esistono oggi
anche valori diffusi di tutt'altro segno, i quali - quando non sono retaggi antichi mai modificati
dall'evoluzione della società civile - spesso sono stati promossi proprio dall'opportunismo
affaristico e dalla stessa applicazione politica delle ricette neoliberiste.
E' indubbio che lo stesso tentativo di ribadire una centralità sociale dell'impresa e dei suoi
valori, che ha caratterizzato anche nel nostro Paese il dibattito tra le forze sociali negli anni
Ottanta 81, ha avuto l'effetto non voluto di attirare su di essa l'attenzione dell'opinione
pubblica. Sarebbe più corretto dire le opinioni pubbliche, o i diversi segmenti dell'opinione
pubblica, visto che le condizioni poste all'impresa per la sua accettazione sociale sono
sempre più diverse e spesso in contrasto tra loro. Il crollo del comunismo all'Est e all'Ovest
non significa infatti che assieme al declinare della cultura dell'alternativa di sistema
scompaiano anche richieste sociali e culturali antagonistiche proprio in seno alle superstiti
società liberal-democratiche di mercato. Dire opinione pubblica significa dire società civile
complessa, fatta di strati economico-sociali, gruppi di potere, associazioni single issue,
differenze culturali, etniche e così via. Ma significa soprattutto dire che ciascuna istituzione
sociale (comprese quelle economiche e quelle politiche) che si trova all'interno di questo
sistema non solo esiste, produce, forma, fissa regole di azione, organizza, delibera
(ovviamente, sono gli individui che compongono queste istituzioni a compiere queste azioni),
ma è anche al centro, per riprendere una nota immagine benthamiana, di un panopticon che
si differenzia da quello originario per non avere al centro l'osservatore, ma l'osservato. Fuor di
metafora, ognuna di queste istituzioni viene costantemente osservata e giudicata alla luce di
domande e valori sociali condivisi. Questo è ciò che il convenzionalismo di Hayek tende a
mettere in secondo piano: le convenzioni non sono solo regole scaturite da un'evoluzione,
che ci aiutano a economizzare risorse e ad agire, ma, proprio come le vedevano Hume e
Smith nelle loro teorie morali, intuizioni, valori, linguaggi condivisi, a loro volta eredi di lunghe
tradizioni e di una lenta evoluzione, e continuamente in evoluzione e in trasformazione, e
magari in opposizione semantica o sociale. Le istituzioni sociali, insomma, hanno sì energie
proprie, che derivano loro dal potere sociale che si sono conquistate, ma sono anche
sottomesse al giudizio di questo spettatore imparziale che è in tutti noi e che è in ultima
istanza responsabile della loro accettazione e dunque della loro sopravvivenza sociale.
Il mondo imprenditoriale è talmente cosciente di questa pressione, di questo sguardo sociale,
che ha lottato per anni, spesso in ambienti ideologicamente ostili, per ribadire valori propri: il
profitto, la selezione meritocratica. L'ostilità proveniva da varie matrici culturali: quella
socialista e comunista, quella cattolico-popolare, anche se spesso, come abbiamo visto,
aveva radici culturali antiche. Peraltro ci troviamo oggi di fronte alla constatazione che questa
affermazione di una cultura di impresa ha corrisposto alle pratiche di opportunismo e
collusione politica di cui la stampa quotidiana ci parla, e non solo in Italia. La stessa teoria
economica sui fallimenti del mercato ci aiuta a comprendere questo fenomeno, rivelando
come esista una razionalità dell'opportunismo in situazioni non cooperative del tipo di quelle
segnalate dalla teoria dei giochi.
Ma proprio quest'ultimo fatto - se ce ne fosse bisogno - mostra il carattere ineludibile della
questione dell'etica dell'impresa, una questione che non può più essere risolta confinando il
ruolo morale dell'impresa nella profittabilità e nella ricerca dell'efficienza. Il punto è che questa
ineludibilità non appare più oggi solo come esigenza astratta segnalata dalla riflessione degli
economisti e dei filosofi più attenti, ma si traduce in maniera crescente in domande sociali alla
cui risposta l'impresa non può e non potrà sempre più sfuggire.
Se passiamo in rassegna i vari aspetti dell'organizzazione di un'impresa, questo fatto ci
appare ancora più chiaro. Si consideri, per esempio, come lo stesso risparmio privato e i fondi
di investimento abbiano tendenza a selezionare le imprese a seconda del loro carattere
socialmente responsabile 82, rifiutando, per esempio, le azioni di imprese che commerciano
con Paesi in cui vige la discriminazione razziale, o che inquinano l'ambiente, o che hanno
politiche di assunzione discriminatorie. Oppure l'esigenza già discussa di imporre
all'imprenditore e al manager non solo la gestione efficiente dell'impresa, ma anche la
promozione di un progetto culturale e formativo. Quanto alle relazioni industriali, la richiesta di
democrazia industriale, oltre che di giustizia distributiva, certamente in evoluzione, ma non
rinviabile all'interno dei progetti di qualità totale, appare come un'esigenza sempre più
pressante di cultura e di qualità del lavoro (e di rispetto della persona umana), e diviene
sempre più una strozzatura prescindendo dalla quale non è più possibile risolvere il problema
dell'efficienza. Nel rapporto tra impresa e clientela, almeno per quanto riguarda le società più
sviluppate, diviene sempre meno importante la competitività dei prezzi e sempre più rilevante
l'esigenza della qualità, sia nel contenuto tecnologico o stilistico dei prodotti che nella loro
affidabilità e nel correlato di servizi alla clientela o di chiarezza dei contratti. L'impresa sa di
essere sempre più sotto lo sguardo dei clienti e di non poter rispondere alle richieste con uno
sconto sul prezzo di vendita. La valutazione etica è alla base delle scelte di consumo anche
perché finisce per essere influenzata, o per interagire, con la pressione delle organizzazioni di
categoria, ambientaliste, sociali: così un prodotto può non essere comprato perché
proveniente da un Paese razzista, o perché danneggia l'ambiente (è ovvio che questa
interazione può dar luogo anche a nuovi casi di opportunismo e concorrenza sleale, grazie
anche al peso dei mezzi di comunicazione di massa), o un'impresa messa in ginocchio per
l'opposizione di una comunità locale alla sua presenza dilapidatoria in una certa area. Così,
agli istituti creditizi si domanda lo sforzo civico di farsi promotori, assumendone parzialmente i
rischi, dell'economia locale anziché rifugiarsi sotto il comodo usbergo della rendita di Stato.
Si tratta solo di alcuni casi, forse i più fortunati (spesso l'opinione pubblica è all'origine di
fenomeni di pressione di segno opposto, quali la contrapposizione tra manodopera nazionale
e immigrata, fenomeni di consumismo dilapidatorio, richieste di connivenze, opportunismi,
discriminazioni): essi mostrano tuttavia che uno spettatore imparziale produce continuamente
nuovi valori, che si traducono in altrettanti vincoli cui l'impresa, se vuole sopravvivere, deve
saper dimostrare di rispondere.
Che cosa può fare allora l'impresa per permanere come istanza vitale in questo contesto?
Essa deve dimostrare di essere in grado di spostare sul piano del raffinamento culturale, di
un nuovo rinascimento 83, lo spirito imprenditoriale e la competizione. Deve strappare la
gestione dell'impresa al mero affarismo, nel quale il confine tra il lecito e l'illecito appare
cinicamente impercettibile, e saper inglobare le domande etiche provenienti dall'interno e
dall'esterno come variabili strategiche per le proprie scelte. Naturalmente è importante che
questo sforzo venga mantenuto nei limiti di una cultura liberale (anch'essa parte decisiva
dell'odierno spettatore imparziale), e anche di una cultura della differenza (soprattutto per
quanto riguarda le differenze sessuali, di età, di provenienza etnica) 84 e del libero confronto
tra esigenze in conflitto, per non divenire pedagogia paternalista e totalitaria. Insomma, lo
spettatore imparziale moderno non sembra richiedere all'impresa di trasformarsi nell'azienda
morale della letteratura economica antica.
Se tutto questo sia compatibile con gli spiriti animali dell'imprenditorialità, o se si vada con ciò
verso una morte dell'innovazione, come pensava lo Schumpeter di Capitalismo, socialismo,
democrazia, è una questione aperta e di non facile soluzione. La lezione della storia è che
possono anche prevalere, in uno spettatore imparziale, valori contrari all'imprenditorialità, e
questo, certamente, può portare alla morte dell'impresa, alla routine e all'economia
stazionaria. Ora, in una società che non ha risolto - e forse è corretto pensare, non risolverà
mai 85 - il problema economico 86, negare margini allo sviluppo è certamente un disvalore. E
se negare spazio alla libertà imprenditoriale in nome della giustizia distributiva e della qualità
del lavoro può significare diminuire le chances di sviluppo, il problema è rilevante: anche
perché se c'è un punto che le moderne teorie etiche, a partire da Rawls, hanno più volte
sottolineato, è come un'etica economica corretta non debba tener presente solo la condizione
degli attuali stakeholders, ma anche delle generazioni future. E lo sviluppo - purché, ed è una
condizione di tutto peso, non produca guasti irrimediabili al tessuto sociale (cultura compresa)
e all'ambiente - investe prima di tutto l'interesse delle generazioni future.
La domanda corretta da porsi, nel quadro problematico appena illustrato, è perciò la
seguente: esistono nella cultura attuale i sintomi del prevalere di valori avversi
all'imprenditorialità e allo sviluppo? Una prima risposta può essere che una delle ragioni,
proprio a livello di opinione pubblica, su cui si è basata la dissoluzione del socialismo reale è
proprio quello dell'impossibilità in esso di mettere in atto il circolo virtuoso iniziativa
individuale-innovazione-sviluppo-benessere. Sarebbe riduttivo pensare che la visione
prevalente, per chi scendeva in piazza a Berlino o a Praga, fosse solo il miraggio del
consumismo occidentale: il problema era di prospettive e di qualità della vita. In Occidente il
valore dell'impresa e dello sviluppo appare sufficientemente radicato per poter subire
certamente alti e bassi, ma non soccombere. Lo spostamento in avanti delle esigenze di
qualità e di giustizia, pur ponendo vincoli a una visione affaristica della profittabilità, appare
contemperato con questo genere di valori e può stimolare l'imprenditoria a spostare la
competitività su un terreno che ingloba la domanda di cultura. Riprendendo Sen, possiamo
concludere che lo sviluppo puo esserci, ma non è più tollerato che sia solo sviluppo dei
risultati in termini di benessere.
Naturalmente, c'è sempre, per l'impresa, una possibilità di fuga, anzi, forse più di una: qui la
riconsiderazione dei paradigmi passati è rilevante. Una possibilità di sfuggire a questo
ambiente sociale sempre più esigente è infatti data dalla fuga col capitale - paventata dagli
ideologi della virtù repubblicana, aristocratica o democratica, quale simbolo dello scarso
senso civico del mercante - che si presenta oggi nella forma dello spostamento del centro
degli interessi delle imprese multinazionali dai Paesi di origine a zone più arretrate, nelle quali
sono garantite connivenze politiche e una maggior tolleranza di comportamenti dilapidatori a
causa del carattere più gelatinoso, come diceva Gramsci, se non inesistente, della società
civile. L'altra possibilità consiste nel rifugio nella rendita finanziaria ricavata alle spalle di un
bilancio pubblico sempre crescente, nelle connivenze domestiche con la politica ed
eventualmente con la criminalità organizzata, anch'essa, come abbiamo visto, paventata dai
critici country al partito di corte dominante. A questo rischio sembra in parte sfuggire la banca
(eccetto forse certe specializzazioni particolarmente orientate al mercato finanziario
internazionale), per la sua natura di radicamento locale. Ma se essa non è un candidato
all'esito fuga altrove, è invece costantemente tentata dalla ricerca della rendita parassitaria. In
questo senso fa parte dell'etica civica della banca sia l'assumere le dovute iniziative per
essere forza trainante dello sviluppo locale, sia assumere quelle forme organizzative che
consentano al contempo la dimensione minima efficiente (fusioni) 87, la diversificazione delle
funzioni e il radicamento locale (banca universale, quindi).
Se prevarrà invece la soluzione della fuga da queste nuove responsabilità, al di là delle
contraddizioni che essa porterà su sfera planetaria, ciò significherà che da noi il capitalismo
non crollerà per eutanasia o per il raggiungimento di uno stato stazionario non temibile, come
pensava J.S. Mill, ma per un ritorno di quella frugalità armata che non avrà purtroppo i
connotati gradevoli che vagheggiavano i gentiluomini di campagna del Settecento.
CAPITOLO III. LE BANCHE NEL SECOLO VENTURO
Se hai un intelletto e un cuore,
mostra soltanto uno dei due;
se li mostri tutti e due insieme,
non ti sarà riconosciuto nessuno dei due.
Hölderlin
Radici storiche e culturali della domanda di etica
L'interrogativo sull'incidenza o meno della morale sulla politica e sull'economia vive da lunghi
secoli. Oggi che la complessità delle società moderne determina progressivamente una
molteplicità di approcci nell'indagine sociologica ed economica - cui corrisponde una
crescente pluralità di ipotesi interpretative - la domanda riemerge prepotente.
Il disordine contemporaneo è lo scenario entro cui si muovono gli attori alla ricerca di nuove
regole, anche se limitate nel tempo e nel significato. La linearità dei processi appare
impossibile ed è questo il dato da cui scaturiscono, moltiplicate, le ipotesi finalizzate a
garantire un circoscritto controllo del disordine.
"Il percorso dell'ordine e del disordine è, in definitiva, un labirinto di luci e di ombre in cui si
alternano spiragli di luce a tunnel oscuri apparentemente senza via di uscita. La nostra
società è dunque alla ricerca di un "filo di Arianna", di una serie di criteri per ordinare le
esigenze, i desideri, le speranze".
Aguzzando la vista alla ricerca della luce lontana che segna l'uscita dall'oscurità del "tunnel",
la mano ricerca gli appoggi più solidi per garantire saldezza di passo nel percorso irto di
ostacoli, per favorire lo slancio del corpo in avanti, per tornare verso il sole 1.
Nel cedimento dei valori di riferimento tradizionali e nell'incertezza dei supporti ideali all'agire,
emerge nuovamente il bisogno di disegnare motivazioni profonde - oltre la pura ragione
utilitaristica - capaci di proiettare le finalità dell'azione oltre il recinto del contingente e di
assicurare ad essa presupposti morali.
E' questo il contesto in cui si inserisce la ricerca del connubio fra etica e comportamenti, fra
etica ed economia, fra etica ed agire quotidiano dell'impresa e dell'imprenditore. E' la ricerca
dell'etica nel quotidiano.
Funzionale soltanto all'immagine, e dunque alla capacità di competizione dei protagonisti
sociali, o fattore costitutivo dell'incremento qualitativo individuale? La ricerca di cui parliamo
possiede probabilmente entrambe le valenze, in dipendenza degli atteggiamenti e delle scelte
individuali di chi - persona o struttura complessa, animata e diretta da persone - vi si
interessa.
Questione antica quanto attuale, questione di sempre, intrecciata alle radici del sapere
umano ed alle sue codificazioni; materia quanto mai discussa tra filosofi, religiosi e studiosi di
ogni disciplina, animati dalla volontà di comprendere e classificare i comportamenti umani.
"L'era moderna"
La relazione fra il comune senso della morale ed i criteri che nel corso dei secoli hanno
ispirato il concreto agire umano, singolo o di gruppo, si è progressivamente evoluta sull'onda
dei grandi cambiamenti storici, culturali e religiosi.
All'inizio dell'era moderna, Machiavelli tronca impetuosamente il nesso fra le nozioni più
usuali di moralità, applicabili agli individui, e quelli che, a suo avviso, risultano essere i
concreti comportamenti dei reggitori di Stati.
Secoli più tardi gli farà eco, con esplicita chiarezza, Montesquieu: "E' inutile attaccare
direttamente la politica facendo vedere come essa ripugna alla morale, alla ragione, alla
giustizia. Questo tipo di discorsi persuade tutti e non tocca nessuno" ("Ouvres complètes",
vol. I, p. 142).
Altro è il presupposto delle concezioni etiche collegate alla tematica del diritto di natura. Per
Hobbes "natura" è soprattutto l'insieme degli impulsi istintivi finalizzati alla autoconservazione
dell'uomo, ostile a ciascun altro ("homo homini lupus"). L'intelligenza guida però alla
costruzione di un sistema di vincoli e di regole che rendono possibile la convivenza umana,
cioè "il maggior vantaggio possibile razionalmente perseguibile". Di qui una impostazione
dell'etica quale "summa" di norme che disciplinano la condotta degli individui, permettendone
il vivere comune.
Il pensiero di Spinoza muove a sua volta dall'idea di un "amore intellettuale di Dio", che
guiderebbe l'uomo a realizzare con motivazione consapevole, e quindi più elevata, ciò che
comunque non sarebbe possibile interpretare secondo percorsi alternativi ("Ethica more
geometrico demonstrata").
Successivamente, da Hume in poi, la ricerca sociale è impegnata a dimostrare che l'originaria
natura umana non è improntata solamente ad una aggressività totalizzante ma che vi è,
innato, un bisogno di socievolezza, di relazioni umane: condizione della percezione positiva
del vivere, dunque della crescita della società.
Secondo Adam Smith la spinta individuale proiettata al soddisfacimento di interessi personali
riveste un valore così universale da determinare, complessivamente, i presupposti della
crescita economica e, conseguentemente, dell'ordine sociale.
"Sviluppo, morale, religione"
Gli stadi di formazione della società moderna sono stati accompagnati da una costante di
ricerca filosofica, sociologica ed economica attorno alle regole di vita e di competizione, una
ricerca che scorre da Machiavelli a Montesquieu, fino a Smith ed a Marx. D'altronde, il tema
di cui si tratta è uno di quelli indissolubilmente legati all'esistenza umana e motiva la
proiezione costante del pensiero verso un equilibrio complessivamente superiore della
società.
Questione di sempre, quindi, che ci fa guardare con attenzione alle parole di A.O. Hirschman
2, allorché afferma, in relazione all'epoca attuale, che "l'esclusione reciproca della
comprensione analitica e di quella moralizzante potrebbe essere un semplice dato di fatto che
riflette le particolari condizioni storiche in cui in Occidente si è realizzato il progresso
scientifico in vari campi".
Si esprime, in tale considerazione, tutto il conflitto tra concezioni diverse, non di rado
antagoniste, di ciò che è bene e di ciò che è male. Al di là delle differenze storiche, sociali e
culturali, permane il quesito insopprimibile del come circoscrivere la giusta misura del bene.
Codici comportamentali troppo rigidi implicano avversione, ostilità anche violenta per chi si
avvale di regole etiche differenti, mentre la ricorrente necessità di scegliere fra il male minore
offre spazio all'ambiguità ed alla indeterminatezza morale. Nell'agire quotidiano si
ripropongono domande antichissime, mentre ci si chiede quali siano le radici profonde del
nostro codice morale. Quanto incidono nell'interpretazione etica le intenzioni rispetto agli atti
concreti, e in che misura questi possono risultare accettabili o condannabili, a prescindere dai
motivi profondi che li hanno ispirati? Che cosa è oggetto di valutazione morale? La morale
dipende esclusivamente dalla religione?
Cercando sostegno in alcune delle più significative correnti di pensiero riguardanti
l'esperienza empirica, si può affermare ragionevolmente che il senso morale delle società
contemporanee è sostanzialmente connesso alle culture religiose: nelle società
industrializzate, nei Paesi emergenti, nel Terzo Mondo.
Limitiamoci qui al mondo occidentale: riferendoci al suo divenire storico, non si può non
riconoscere che le più persistenti convinzioni attinenti a ciò che è ritenuto un comportamento
etico accettabile, o largamente condiviso, provengono da un contesto religioso dal quale
sovente hanno ricevuto la connotazione di sacro. Il che non ha certo impedito a taluni non
credenti di esprimere personalità universalmente accreditate di forte rigore morale. Questa
attribuzione è comunque avvenuta, o avviene, in relazione ad un sistema di norme
originariamente accreditate in un contesto religioso.
Nell'etica cristiana, la legge morale è la capacità di percepire l'entità divina e in tal modo il
comportamento etico ritorna all'originario connubio con la natura: "La legge di natura [è] la
stessa legge eterna insita negli esseri dotati di ragione, che li inclina alla debita azione ed al
fine debito, ed è la stessa ragione eterna di Dio Creatore, che governa il mondo intero" (così
si esprime Leone XIII nell'enciclica "Libertas praestantissimus" del 1888).
In epoca contemporanea, alcuni pensatori obiettano però che la moralità creatasi nell'alveo
dell'influenza dottrinaria cristiana difficilmente possa essere capace di offrire sufficienti
risposte alla "ipercomplessità" del mondo attuale, alle modificazioni interpretative che
investono molteplici principi della tradizione.
Se, da una parte, l'ancoraggio all'"humus" religioso delle norme morali più diffusamente
riconosciute ed accettate si manifesta in maniera sostanzialmente oggettiva e non facilmente
oppugnabile, dall'altra è sicuramente difficile circoscrivere in assoluto al cristianesimo l'origine
fondativa dell'etica. Il potenziamento enorme della comunicazione e degli strumenti di
conoscenza ha offerto agli occhi ed alla coscienza del mondo ricchissimi patrimoni di cultura
filosofica e morale prodotti nei quattro angoli del globo in tutti i periodi dell'umanità, risorse
che non possono certo essere ignorate. In secondo luogo, la convinzione secondo cui la
coscienza morale origina da un determinato contesto religioso e sociale non consente di
ignorare come talune norme morali, affermatesi in precise epoche storiche, possano oggi
essere considerate almeno parzialmente discutibili. In altri termini, ciò che si vuole
evidenziare è che la ricerca etica, i codici etici di ogni epoca costituiscono una produzione
immateriale, quanto tangibilmente vincolante, della storia e del divenire dell'umanità: ancorati
da un verso a valori immutabili e, dall'altro, ad una ricerca mai sopita, che non può essere
affatto negata ed a cui non si può pregiudizialmente sottrarre dignità, pur nella
consapevolezza della tumultuosità dei tempi attuali e delle loro incertezze. E che il dibattito
non sia infruttuoso lo si riscontra in campo economico, o meglio nel ritorno all'attualità della
ricerca morale applicata all'economia.
CAPITOLO III. Etica ed economia
"Oltre l'"auri sacra fames""
Max Weber traccia una distinzione rigorosa tra la "auri sacra fames", sempre esistita sotto
ogni cielo e in ogni epoca, e la moderna impresa capitalistica.
Un autorevole studioso italiano del sociologo tedesco, Pietro Rossi, lega alla individuazione
del rapporto tra il fenomeno culturale e religioso della Riforma - e del ruolo che in essa ebbe
Calvino - e la forma ormai universale dell'economia del XX secolo, cioè il capitalismo, la
particolare fortuna di cui ha goduto e gode tuttora il lavoro weberiano: "[...] Weber si
accostava a un problema ben più vasto, a quello delle caratteristiche distintive del capitalismo
moderno considerato in un quadro comparativo, e quindi nell'ambito della funzione che l'etica
economica delle religioni ha assolto nella multiforme relazione tra economia e religione" 3.
Weber evidenzia l'influenza della educazione religiosa rispetto alle scelte lavorative,
all'importanza del guadagno, allo stile di vita: "Il cattolico [...] è più tranquillo; munito di un
minore impulso alla prestazione ed al profitto, apprezza un'esistenza quanto più sicura
possibile, sebbene con minori proventi, più di una vita pericolosa, stressante, ma tale da
apportare eventuali onori e ricchezze. Lo scherzoso detto popolare suona: o mangiare bene,
o dormire tranquillamente. Nel caso presente, al protestante piace mangiare bene, mentre il
cattolico vuole dormire sonni tranquilli" 4.
Anche se poi è il sociologo tedesco ad esprimere il bisogno di una analisi attenta sul "ruolo e
la direzione generale in cui il movimento religioso agì sullo sviluppo della civiltà materiale, in
seguito a tali affinità elettive [l'enorme groviglio degli influssi che hanno esercitato
reciprocamente le basi materiali, le forme di organizzazione sociali e politiche ed il contenuto
spirituale delle epoche della civiltà della Riforma]. Solo una volta che questo punto fosse stato
sufficientemente chiarito, si potrebbe fare il tentativo di valutare in quale misura contenuti
della civiltà moderna, nella loro genesi storica, debbano essere attribuiti a quei motivi religiosi,
ed in quale misura ad altri" 5.
Richiamandosi a Benjamin Franklin ed alla sua "mentalità utilitaristica", e trovando in essa lo
specchio di un "ethos" specifico della società occidentale, Weber sostiene che "il capitalismo
per le sue operazioni ha bisogno di una concezione del lavoro quotidiana come di un dovere
per ciascuno, un dovere che va al di là delle proprie esigenze egoistiche, un dovere che non
trova alcun supporto in una concezione edonistica della vita. Per questa ragione, la
concezione del lavoro richiesta dal capitalismo esige una fondazione etica" 6.
I decenni si sono susseguiti con rapidità e il mondo è cambiato profondamente rispetto a quel
contesto in cui Benjamin Franklin enumerava le sue regole auree, mentre il dibattito in seno
alla sociologia economica ha visto il susseguirsi di ricchi momenti dialettici. Il punto di
approdo più recente colloca al centro delle convergenze più significative il principio secondo
cui se "l'agire economico non è più il "locus" dell'asocialità, ma in esso vengono riconosciuti i
caratteri distintivi dell'agire sociale, allora la socialità dell'azione deve essere considerata un
elemento essenziale e ineliminabile dell'azione umana, anche in quel particolare campo di
azione costituito dalla sfera economica [...] Se l'azione economica è sociale, allora anche il
mercato, l'istituzione economica per eccellenza, deve avere una natura sociale" 7.
La sociologia economica affronta, sempre più in profondità, la questione dell'analisi e della
comprensione dei meccanismi di "regolazione" dell'economia. Si studia l'interagire di
comunità, mercato, Stato e associazioni nel determinare l'evoluzione sociale e l'ordine, o il
disordine, economico.
Tra gli altri, Hollingswarth e Lindberg 8 indicano nei meccanismi dei "mercati, delle gerarchie,
clan o comunità e associazioni" le condizioni per la regolazione dell'economia: "la struttura e
la forma delle istituzioni influenzano la produzione e lo scambio; retroagiscono sulle
preferenze; hanno effetti sull'efficienza e la capacità di aggiustamento e sul potenziale di
crescita. Il "self-interest" e lo scambio volontario descrivono solo una porzione della realtà
economica; conflitto, coercizione, ineguaglianza di accesso alle risorse e lotta per il potere
sono altrettanto importanti".
Sono considerazioni che si legano all'invito di Hirschman a ricercare l'equilibrio "tra modi
strumentali e non strumentali di comportamento e d'azione" 9 poiché la dicotomia tra queste
due modalità dell'agire umano è fonte di tensioni molto forti nella società: una dicotomia di
cui, sia pure per motivazioni molto concrete, la scienza economica è stata per molti aspetti
fautrice, concentrandosi essa soprattutto sugli aspetti strumentali dei comportamenti.
"Etica e solidarietà nella società tecnologica"
L'avvento delle società tecnologicamente avanzate accentua progressivamente le esigenze
correlate alla complessità sociale ed al suo (relativo) ordinamento. Modificandosi in ampiezza
e profondità ogni percorso di interrelazione sociale, si amplia la richiesta di valori immateriali
che si coniughino alle regole dello scambio e del perseguimento dell'interesse individuale.
E. di Robilant 10 sottolinea come la società tecnologica avanzata richieda esigenze e
garanzie etiche che non possono che trovare il loro presupposto nel riconoscimento delle
individualità ed in un nuovo sistema di relazioni integrate tra individuo e Stato, tra diritti e
doveri: "nella società tecnologica avanzata lo Stato è uno dei sistemi informativo-normativi e
quindi, sul piano conoscitivo, non legittimato ad avere una posizione di superiorità [...] Le
esigenze etiche e le esigenze operative della persona sono strettamente e reciprocamente
legate, nel senso che le esigenze etiche implicano e permeano quelle operative, e queste, a
loro volta, offrono alle prime un terreno fecondo di attuazione".
Tutto ciò può risultare praticabile in uno Stato, in una società in cui il sistema politicoistituzionale garantisce piena libertà di intrapresa economico-imprenditoriale e, insieme, le
condizioni perché ciò avvenga. Riferendosi in particolare ai testi di F.A. Hayek ("The Mirage
of Social Justice", 1976), E. di Robilant esalta l'integrazione nei sistemi economici - in forma
essenziale, cioè costitutiva - dei valori etici di più radicata rilevanza, quali l'onestà morale e
intellettuale, il rigore comportamentale, l'impegno implicitamente finalizzato al progresso.
Le vicende storiche degli ultimi anni hanno mostrato senza equivoco alcuno l'impraticabilità di
sistemi alternativi a quelli imperniati sulla libertà personale e d'impresa, e sulle regole di
mercato. Contemporaneamente, in Occidente, si è visto quanto il rispetto degli imperativi
morali venga condizionato dalle vicende complessive: in uno Stato che sia sostanzialmente in
una condizione di ripiegamento, in difficoltà nel garantire i principi fondamentali del diritto,
nell'assicurare la fruibilità del territorio ed il pieno sfruttamento delle potenzialità economicoimprenditoriali, è difficilmente ipotizzabile un sistema imprenditoriale libero da macchie e
capace di autopropulsione, efficace anche in quanto eticamente rigoroso.
Risulta infatti convincente il criterio di analisi che lega, con i meccanismi della reciprocità,
l'azione sociale ai comportamenti e all'agire economico. E la premessa torna quindi ad
identificarsi con quella "società civile" di cui vi è bisogno - come sottolinea Dahrendorf affinché le libertà economiche dispieghino i loro risultati migliori.
Il mondo religioso non si sottrae certo ad una propria analisi ed a corrispondenti
pronunciamenti. In particolare, la Chiesa cattolica ha fatto dell'intreccio tra la morale della
solidarietà e la comprensione delle interdipendenze che reggono l'economia una costante del
proprio messaggio, esaltandone la continuità atemporale.
Si tratta di un insegnamento la cui rilevanza non ha più confini, dato che la globalizzazione
dell'economia unisce le fortune e le sfortune dei popoli del mondo, dato che la rivoluzione
delle tecnologie informatiche e l'incidenza delle risorse conoscitive modificano e uniscono
intimamente economia, politica, cultura.
Si può affermare che la cognizione della interdipendenza individuale e sociale ed i vincoli
della solidarietà stanno superando le interpretazioni di stampo volontaristico, più o meno
moraleggianti. Acquisiscono via via i caratteri di una questione strutturale e permanente, cui
tutti sono oramai ancorati. Lo dimostrano - su di un altro versante - i problemi relativi alla
difesa ed al recupero dell'equilibrio ecologico del pianeta, rispetto ai quali a nessuno è
permesso oramai di restare indifferente e che impongono, più che suggerire, una nuova
sensibilità etica per il bene comune.
Quanto all'etica, se considerata soltanto in termini generali o addirittura generici, appare
condivisibile il richiamo di coloro che, in proposito, mettono in guardia dal pericolo di
atteggiamenti prevalentemente conformistici o motivati soprattutto da esigenze di immagine:
Salvatore Veca parla di "rischio inflattivo" riferendosi al susseguirsi delle iniziative più
disparate in materia di criteri e comportamenti etici.
Tuttavia è innegabile l'esigenza di proseguire nella individuazione di fondamenti etici, a
presidio del corretto esercizio delle professioni, dei ruoli di responsabilità, delle attività
economiche; tanto più adesso che le società avanzate affrontano la faticosa ricerca di un
"nuovo ordine" che si sovrapponga alla frammentazione caratteristica delle ipercomplessità.
Un commentatore del giornale degli industriali italiani, Antonio Da Re, sostiene che l'esigenza
di etica insorge decisa allorché si fa strada la consapevolezza che ciascuna attività,
indipendentemente dalla sua specificità e dal livello tecnico-qualitativo, comporta - nelle fasi
di espletamento e realizzazione - una serie di effetti riflessi sulla vita degli altri 11.
E' lo stesso autore a richiamare il contributo dell'ambiente culturale anglosassone con la sua
riscoperta dell'"etica delle virtù": una domanda di etica professionale che scaturisce e torna a
confluire nella stessa causa originaria; l'esigenza di un livello di maturità complessiva più alto,
di una coscienza morale tanto più solida nella misura in cui acquisisce, e rende propri in
forma di sintesi superiore, una pluralità di concezioni etiche.
Non a caso la scuola e l'università vengono di nuovo proposte quali habitat naturali di ricerca
etica e morale. Il concetto di una qualità civile trascendente l'obiettivo del profitto, che si
ritrova in alcuni dei sostenitori del libero mercato e della libertà d'intrapresa, non può restare
estranea a questo dibattito.
Tanto più in Italia, ora che i vertici istituzionali, politici ed imprenditoriali del Paese sono scossi
da una bufera senza precedenti, tale da scoprire un intreccio davvero inquietante - per
estensione e profondità - tra corruzione della politica e degli affari, tra deviazioni delle
istituzioni e della politica e criminalità organizzata.
Il Paese è coinvolto in una vicenda drammatica che fa scricchiolare l'ossatura dello Stato e
l'identità nazionale, con una specificità tutta italiana che va al di là dei fattori di travagliato
mutamento e delle incertezze strutturali che aggrediscono l'insieme delle società occidentali.
Serve una risposta forte quanto estesa, nel senso del diritto e della virtù ancorati sia al
particolare che agli interessi generali. In proposito, Massarenti 12, ci ricorda, facendo
riferimento al saggio di A.H. Goldman, ""Business ethics": profitti, utilità e diritti morali" (1980),
che "la massimizzazione del profitto produce efficienza solo se il mercato è puramente
competitivo, cosa mai vista nella realtà".
CAPITOLO III. LE BANCHE NEL SECOLO VENTURO
"Ruolo e responsabilità degli imprenditori"
Il riconoscimento di un fondamento etico nell'agire economico viene espresso ripetutamente
anche nelle posizioni ufficiali della Confindustria, consapevole di dover concorrere sia alla
risoluzione dei problemi italiani, sia ad una ulteriore fase di sviluppo imprenditoriale, libero dai
nefasti intrecci che sono emersi dalla ormai generalizzata vicenda politico-giudiziaria
denominata "mani pulite". Affrontando i problemi della democrazia italiana e della necessità di
rigenerarla, gli industriali affermano che "per poter adempiere in modo corretto ed efficiente le
sue funzioni e preservare nel tempo il suo stesso ruolo, il mercato ha bisogno anche di
regole, e di autorità che le facciano rispettare. Diversamente, se le regole non ci sono o
possono essere eluse, la logica stessa del mercato tende ad avvitarsi in una spirale
degenerativa che finisce prima o poi per distruggerlo".
Sono affermazioni limpide, che non necessitano di commenti ma che impongono, invece, la
concreta ricerca di misure e comportamenti attuativi. E la partita torna ancora al punto della
individuazione dei presupposti essenziali per il cammino indicato: il lavoro di sensibilizzazione
e formazione culturale con cui arricchire, in economia (certo anche negli altri campi della vita
sociale, a cominciare dalla politica e dalle sue sedi istituzionali, ma è dell'economia che in
particolare vogliamo occuparci in questa sede), le visioni strategiche e le capacità attuative
degli imprenditori e dei manager di ogni livello.
Il problema è del come "fare bene" le cose nell'impresa: per l'imprenditore e il suo profitto; per
l'utente dell'attività dell'impresa; per la società, che è lo scenario in cui si inseriscono
imprenditore ed impresa. Un "fare bene" che richiama l'acquisizione consapevole dei principi
etici inerenti l'azione e di quelli che riguardano le intenzioni. Forse, come dice F.J. Varela,
l'etica "è molto più vicina alla saggezza che alla virtù; alla comprensione di cosa deve essere
il bene piuttosto che alla formulazione di principi corretti".
"Qualità, risorsa per l'etica"
Ci sono motivazioni convincenti per il riferimento costante degli imprenditori ai principi etici:
dalla maturazione della coscienza ecologica alla presa d'atto dei guasti causati dalla
sovrapposizione indebita, o addirittura illegale, fra politica e affari, fra mercato ed istituzioni.
Ce n'è una, in particolare, che si lega fisiologicamente agli obiettivi di ogni singola impresa e
che, a sua volta, non può prescindere dall'accettazione e dal perseguimento di criteri etici: è
la qualità dell'impresa, la scelta della qualità totale come percorso di evoluzione globale,
senza limiti temporali o quantitativi nella ricerca permanente di ulteriori livelli qualitativi; in
correlazione con le scelte strategiche dell'impresa e con il suo ambiente di riferimento.
Ichiro Miyauchi, uno dei moderni "cantori" della qualità, si richiama alle massime di Confucio:
"Riconoscere quel che precede e quel che segue vi avvicinerà alla conoscenza del
processo".
Per Miyauchi sono queste le basi logiche di quel "ragionamento circolare" che permette di
scoprire il dare e l'avere tra individui, tra individuo e Stato, tra le piccole e le grandi cose, tra
ciò che è fisicamente percettibile e ciò che è immateriale.
Provenienti dalle aree più diverse del tempo e del mondo, le risorse del pensiero e delle varie
culture si incontrano, si sovrappongono, si confrontano: può delinearsi così il profilo di un
nuovo umanesimo in cui scienza, tecnologia e saggezza si fondono, contro la barbarie
dell'esasperato tecnologismo e della frantumazione del sapere. E' l'appello di Amartya Sen,
che raccoglie e dà nuovo smalto alla consapevolezza preveggente di Adam Smith secondo
cui il perseguimento del "giusto" profitto è inseparabile da una collaudata dote di motivazioni
morali.
In azienda, l'etica incontra la qualità - e la qualità non può prescindere dall'etica - allorché si
acquisisce la convinzione secondo cui alla base di ogni progresso esiste la motivazione
umana. Il lavoro viene pagato, può essere comperato, l'adesione intima di un individuo a un
progetto invece non può esserlo.
Un impegno grande, dunque, anche per ogni minimo atto che si esprime nell'impresa: "La
preparazione è lunga, l'opera è breve. E questo è la qualità: lunga preparazione, breve opera"
(C. Cattaneo).
Dai filosofi greci alla morale cristiana, dall'universo della cultura orientale all'odierna
managerialità giapponese, riscoprendo i padri della scienza economica, perveniamo a dare
nuova solidità al principio che è fondamento della natura e della storia umana: al centro di
ogni cosa vi è la persona umana, a garanzia della sua volontà di affermazione e di progresso
vi è la sua libertà. L'universo in cui tutto ciò si dispiega è l'habitat definito dalle regole che ogni
gruppo, ogni società che vuole essere "civile", si dà affinché a nessuno venga negato ciò che
Dahrendorf chiama le "chances di vita".
L'impresa, "luogo sociale"
Nel contesto attuale, multiforme e complesso, l'impresa può assolvere con ben altra
completezza del passato il proprio ruolo di "luogo sociale", il cui fulcro è la conoscenza.
Nel suo libro dedicato alla qualità totale 13 V. Cantarelli insiste sul fatto che, dopo oltre
cinquant'anni dall'avvio su scala mondiale del movimento per la qualità, ancora una parte
troppo ampia del mondo imprenditoriale la interpreta soltanto come una forma di controllo
della produzione, mentre si tratta di "una funzione importante", alla stessa stregua della
finanza, della produzione, della ricerca.
Sulla esatta collocazione della "funzione qualità" all'interno dell'impresa si discuterà ancora a
lungo, ma il contributo di Cantarelli è importante per l'individuazione del nesso qualitàdemocrazia: la qualità muove dalla valorizzazione delle risorse intellettuali di ciascuno, e
questo è un fattore che non può non riversarsi nel rafforzamento della personalità individuale
rispetto al contesto sociale di riferimento.
Dopo i richiami ai programmi di qualità in Paesi che cercano una nuova dimensione
democratica - l'Argentina, la Russia non più comunista - l'autore ricorda l'esperienza delle
"Leggi Auroux" in Francia e l'esperienza statunitense attuata nel settore siderurgico: in
entrambi i casi vi è stato il coinvolgimento dei sindacati. Il che ha valore soprattutto negli
USA, laddove si era registrato l'insuccesso dei circoli di qualità, "forme di democrazia
partecipativa senza rappresentanza democratica, essendo esclusi i sindacati".
Particolarmente interessante il percorso realizzato in due grandi stabilimenti siderurgici, dove
sono stati costituiti i LMPT (Labour Management Partecipative Team), con il coinvolgimento
sindacale nei tre livelli individuati per affrontare i problemi delle imprese: quello direzionale,
quello intermedio (tecnico-organizzativo) e quello più direttamente operativo, che si esprime
nell'ambito produttivo.
I risultati sono stati buoni e caratterizzati da particolare progressione, tanto che questa ed
altre esperienze analoghe vengono suggerite da Cantarelli quali termini di riferimento per una
iniziativa, un disegno evolutivo globale di cui gli "uomini qualità" possono essere i principali
interpreti. Un disegno, questo, che si può simbolicamente far coincidere con le affermazioni di
due studiosi particolarmente significativi: Peter F. Drucker esprime il convincimento secondo
cui il "manager ha il compito di creare un insieme che vale più della somma delle sue parti:
un'entità che produce più della somma delle risorse investite"; ed è poi Samuel Johnson ad
ampliare l'orizzonte degli obiettivi: "il business della vita è andare avanti" 14.
L'impresa, dunque, come espressione simbolica, oltre che reale, della volontà umana di
impegno e progresso, della collaborazione sinergica tra energie intellettuali e professionali
diverse.
E' proprio a questa sinergia che sono dedicate alcune considerazioni di Mary Parker Fallet:
"La forma della organizzazione dovrebbe essere tale da consentire o favorire il continuo
coordinamento dell'esperienza degli uomini. La legittimazione dell'autorità deriva dalla
coordinazione, non la coordinazione dall'autorità" 15.
L'impresa banca
La comparazione tra i principi, i suggerimenti, le esperienze che si è cercato di richiamare
finora, e la concreta condizione che viviamo ogni giorno - o di cui cogliamo notizia nella
straordinaria massa di informazioni garantitaci dai mass media - offre un infinito elenco di casi
o situazioni che evidenziano l'implicazione dell'etica nel fare impresa.
In particolare, vogliamo ora soffermarci sul rapporto tra etica e qualità in relazione a quel
particolare sistema di imprese costituito dalle banche italiane.
Avendo già considerato come l'etica possa e debba investire di connotazioni morali ogni
azione professionale o imprenditoriale, e quindi anche le modalità di produzione del profitto
che ne conseguono, in sede di considerazioni teoriche non vi è alcun dubbio che
comportamenti etici debbano orientare anche le attività ed i ruoli delle banche.
Parimenti, essendo la filosofia della qualità totale una metodologia per definizione generale e
omnivalente, anche il secondo dei fattori considerati, cioè la "qualità", appare del tutto
assimilabile nel governo delle banche.
Prima di addentrarci nel merito di tali questioni e di raffrontare i criteri generali a problemi che
si riscontrano nel panorama bancario italiano, è utile richiamarsi ad uno dei più noti studiosi di
economia bancaria, Ugo Caprara.
Alcune sue considerazioni, tratte dagli ultimi saggi, appaiono particolarmente incisive e di
grande chiarezza. Vediamo innanzitutto qual è l'atteggiamento che una banca dovrebbe
esprimere in relazione al contesto in cui opera: "La gestione di ogni tipo di impresa non può
attendere sistematicamente stimolo di manifestazione dell'altrui iniziativa; assurdo è pensare
che una impresa possa perdurare limitandosi a negoziare scambi in dipendenza di riscontrate
possibilità di simultanee contrapposizioni di acquisti e di vendite a prezzi tali da consentire un
divario remunerativo. Anche per la banca [...] l'iniziativa, nel particolare campo che le
compete, le si impone come una indeclinabile necessità. Di credito la banca si alimenta, non
però di credito attinto da imprese sporadicamente disposte ad accordarlo, bensì di credito
promosso da una sua azione diretta e quasi riverberato dalle accresciute capacità di reddito,
e quindi di credito delle imprese tonificate dal suo tempestivo intervento tonificatore [...]".
Né Caprara trascura di sottolineare che "la valutazione dell'affidabilità creditizia, problema
certo tra i più complessi, diventa per la banca impresa di trasformazione di condizioni di
credito, problema di capitale importanza" 16.
Si tratta di una sintesi quanto mai lucida del "circuito virtuoso" che deve intercorrere tra
imprese e sistema bancario in un determinato contesto ambientale. In forma peraltro quanto
mai dinamica, come già aveva indicato, circa quarant'anni prima, nella prima edizione de "La
banca. Principi di economia delle aziende di credito": "Il nostro assunto è di ritrarre la banca
nella sua dinamica, nelle modificazioni impresse al suo svolgimento dai moti alterni della vita
del mercato. Lo spiegamento di quella particolare forma di energia che si chiama "iniziativa"
risalta come una necessità indeclinabile in questa viva e attiva rappresentazione della banca,
chiarendo le ragioni dei suoi comportamenti e ravvivando i sensi universali di tali
comportamenti".
Ed ancora: "La banca va tenuta in una costante tensione economica; condizioni di vita, che
sono per essa condizioni economiche di domanda e di offerta di credito, sgorgano da un
procedere alacre, ricco di immaginazione e di iniziativa. Ad essa compete l'iniziativa sia di far
del credito l'abituale mezzo di pagamento, sia di adattare il volume di questo credito alle
mutevoli esigenze della vita produttiva".
Caprara sintetizza in questi concetti la fisiologica interrelazione tra banche e ambiente di
riferimento, dunque tra banche, imprese e famiglie: è questo l'ambito in cui si concretizzano le
domande sulla individuazione e sulla messa in pratica di comportamenti etici da parte delle
banche, in aggiunta a quelli richiesti dalle relazioni interne alle strutture bancarie.
"Fonti nazionali e comunitarie dell'ordinamento bancario"
Come è noto, nonostante le modificazioni introdotte nell'ultimo decennio dai fattori di
dinamizzazione del mercato - soprattutto le esigenze di investimento dei risparmiatori e di
finanziamento delle imprese, che hanno motivato l'offerta di nuovi prodotti finanziari e la
nascita di nuovi intermediari finanziari - la principale fonte legislativa del diritto bancario resta,
dopo la Costituzione italiana (artt. 41 e 47), il RDL del 12 marzo 1936, n. 375.
Integrato e modificato dalle successive disposizioni di legge, costituisce il riferimento
essenziale per l'ordinamento bancario. Tra gli atti innovativi di maggiore rilievo, e più recenti,
si possono ricordare:
1) la direttiva comunitaria del 15 dicembre 1989, n. 646;
2) la legge del 19 marzo 1990, n. 55, sulla "prevenzione della delinquenza di tipo mafioso";
3) la legge del 10 ottobre 1990, n. 287, attinente ai rapporti banca-impresa (la legge
cosiddetta dell'antitrust);
4) la legge del 15 dicembre 1990, n. 386, sulla "tutela penale dell'assegno bancario";
5) il DL del 3 maggio 1991, n. 143, in materia di riciclaggio.
Come si vede, gli ultimi anni sono stati portatori di un rinnovato dibattito politico-legislativo - e
di atti conseguenti (a prescindere da un più dettagliato esame della loro efficacia, che non è
argomento di queste note) - sul rapporto banca-impresa e sulla assillante questione degli
intrecci possibili fra attività bancaria e interessi della criminalità organizzata.
E' importante, per la domanda dell'utenza circa la trasparenza dell'agire delle banche,
l'"Accordo sulla trasparenza delle operazioni bancarie": l'ABI lo approvò nell'ottobre del 1988,
e va evidenziato quale atto di autonomia normativa degli enti creditizi. Nel giugno successivo
venne esteso ed adattato agli istituti e alle sezioni di credito speciale, dato che comune era
l'esigenza cui si voleva rispondere: l'adeguamento del sistema bancario italiano alle direttive
comunitarie per la tutela del credito al consumo e dei diritti dei clienti.
Le metodologie adottate riguardano principalmente:
1) la pubblicità obbligatoria del costo effettivo del denaro risultante dalle operazioni più
comuni;
2) l'adozione di un linguaggio comune delle banche nella redazione cadenzata delle posizioni
dei clienti;
3) l'adozione di un metodo unificato per il calcolo degli interessi attivi e passivi.
Negli anni più recenti, anche a seguito della direttiva CEE del 12 dicembre 1977, n. 780, che
ha ridimensionato il potere discrezionale delle autorità creditizie nel concedere le
autorizzazioni all'esercizio del credito, in funzione della creazione di un mercato bancario
europeo e della corrispondente crescita della concorrenza, la dottrina ha cominciato ad
esprimere posizioni più favorevoli verso l'incremento della concorrenzialità fra le imprese
bancarie, ivi incluse quelle pubbliche.
La citata direttiva CEE va ricordata proprio per aver evidenziato la qualifica di "imprese" degli
enti creditizi, scelta successivamente ribadita dalle apposite "decisioni" che la Commissione
CEE ha assunto nel dicembre 1986. Per le banche italiane si è trattato di passaggi densi di
significato e portatori di esigenze di riorganizzazione: "La valorizzazione dell'aspetto
concorrenziale origina problemi nuovi e rende più attuale l'esigenza di migliorare l'efficienza
delle aziende di credito, per reggere l'impatto con operatori comunitari".
Di qui la necessità, per le piccole e medie aziende, di procedere a fusioni e concentrazioni,
ridimensionando orgogli di parte, nonché l'esigenza per gli istituti di credito di diritto pubblico
di trasformarsi in società per azioni, con strutture più agili, con possibilità di rifinanziamento,
con una più chiara tendenza al lucro.
Di qui inoltre il bisogno, per le banche italiane non abilitate (in base alla legge bancaria) a
svolgere tutte le operazioni che può compiere ad esempio la "banca universale" tedesca, di
organizzarsi in gruppi polifunzionali, vale a dire in holding cui fanno capo aziende bancarie
ordinarie, "merchant banks", o società del parabancario od altro ancora.
Peraltro, il Trattato istitutivo della CEE a proposito della disciplina della concorrenza vieta
all'art. 85 gli accordi fra imprese, le decisioni di associazioni di imprese e le pratiche
concordate che pregiudichino il commercio fra gli Stati membri ed abbiano, per oggetto o per
effetto, di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato
comune; mentre all'art. 86 vieta lo sfruttamento abusivo, da parte di una o più imprese, di una
"posizione dominante" sul mercato comune o parte sostanziale di questo.
Allo stato attuale, in Italia non si possono individuare vere posizioni dominanti anche a causa
della frammentazione del mercato creditizio. Tuttavia il problema potrà proporsi proprio a
seguito della politica di concentrazione favorita dal sistema comunitario 17.
"Evoluzione del sistema bancario"
Frammentazione del sistema creditizio e tendenza alla concentrazione costituiscono i due poli
del problema che le banche italiane debbono affrontare e su cui, almeno in parte, sembrano
aver cominciato ad agire. Sono inoltre anche questi i temi che motivano il dibattito sui rapporti
tra banca e impresa, un dibattito i cui contenuti offrono ulteriori contributi per le nostre
riflessioni sull'etica applicata all'attività delle banche.
Sergio De Angeli 18 sostiene in merito che "per il rilancio del sistema bancario italiano è
necessario che gli istituti di credito favoriscano meccanismi allocativi molto più diversificati, in
modo da tener presenti le esigenze della clientela, soprattutto di quella di tipo
imprenditoriale".
E' del tutto constatabile dunque come le indicazioni comunitarie e la domanda del mercato
sospingano fortemente il soggetto banca verso la ridefinizione di alcune funzioni ed una
superiore efficienza soggettiva: è la condizione per potenziare l'efficacia complessiva del
sistema bancario, collegata a sua volta con la capacità dell'intero sistema economico
nazionale.
Potenzialmente uniti da interessi strategici che si potrebbe definire coincidenti nel medio e
lungo periodo, industriali e banchieri attivano non di rado - per la verità assai più per opera
dei primi - intense campagne di opinione imperniate sul conflitto di interessi che li separa o li
contrappone, nell'arco temporale di situazioni contingenti che vedono balzare in alto il costo
del denaro.
Considerata la "storicità" della fonti legislative che disciplinano il mondo delle banche e le
caratteristiche intrinseche del sistema Italia rispetto a quelle dei Paesi occidentali più
sviluppati, risulta pienamente comprensibile - o almeno così dovrebbe essere - come il ruolo
e l'attività delle banche italiane non possano che essere contrassegnati da limiti e
contraddizioni, in contrapposizione alle risorse di professionalità, di strutture ed anche di
estesa partecipazione societaria che in esse si riassumono.
Nonostante quello che, in estrema sintesi, potremmo definire il "condizionamento
ambientale", le imprese bancarie hanno loro specifici titoli di merito, ed anche di demerito,
che è interessante cercare di approfondire, o di cui cogliere perlomeno alcuni elementi di
rilievo.
Nel 1991 Consulbank ha realizzato una ricerca mirata a comprendere e valutare le risposte
sia di strategia che di organizzazione che le banche erano impegnate a realizzare rispetto alle
mutate esigenze del mercato.
I risultati della ricerca sono sintetizzati da Guido Di Stefano, nelle pagine de "L'Impresa" 19.
Prendendo spunto da una precedente indagine di cinque anni prima, si afferma che a dispetto
del permanere di rilevanti lacune e di deficit funzionali, il sistema ha comunque realizzato
considerevoli progressi qualitativi.
Sinteticamente, le luci e le ombre vengono così riassunte:
"- la percezione delle trasformazioni in atto nel mercato è più intensa, organica e diffusa;
- gli orientamenti strategici stanno assumendo caratteristiche precise;
- l'innovazione dei prodotti, dei metodi operativi, delle strutture è assai più marcata;
- si stanno sviluppando unità aziendali aventi come ruolo quello di migliorare i rapporti con il
mercato;
- nella "cultura" della banca emergono come sempre più diffusi i concetti di mercato, cliente e
competizione".
Le valutazioni sui fattori negativi attengono complessivamente, e soprattutto, al permanere di
una condizione minoritaria della cultura dell'innovazione, sia essa tecnologica, di mercato od
organizzativa.
Si rileva come permanga una discrasia fra visione strategica ed evoluzione organizzativa,
mentre l'orientamento al mercato appare ancora decisamente in subordine rispetto al primato
delle logiche di produzione; fattori ancorabili, secondo la ricerca, alla insufficiente
consapevolezza dei processi di globalizzazione.
Per riassumere - sulla base dei dati di Consulbank - i termini nei quali la banca è chiamata ad
innovare, si veda la tabella seguente:
Tabella 1
Le fondamentali aree di innovazione della banca
L'innovazione tecnologico-produttiva
Progettazione di nuovi prodotti
Incorporazione della tecnologia nel prodotto
Sistemi di organizzazione delle funzioni generali e specifiche
Struttura del sistema operativo: caratteristiche ed entità delle attrezzature necessarie
allo svolgimento delle attività
Competenze in campo tecnologico dei manager e degli operatori
Know-how specifico
Rapporti con la clientela abituale
Modalità di approccio ai clienti potenziali
Modalità di utilizzo dei prodotti bancari: sviluppo delle nuove applicazioni
Valutazione degli atteggiamenti e dei comportamenti della clientela abituale e
potenziale
Sistemi di vendita e di distribuzione dei prodotti bancari e parabancari
Sistemi di comunicazione con la clientela abituale e potenziale
Le fondamentali aree di innovazione della banca
Banche in movimento, dunque, ma non tanto - perlomeno finora - da conseguire un
mutamento strutturale dei rapporti di reciprocità tra banche e imprese, anche se il carico delle
responsabilità non può essere visto, oggettivamente, soltanto sul versante delle aziende e
degli enti di credito.
Appropriatamente, Corrado Griffa 20 fa risalire alla legislazione degli anni Trenta le
motivazioni di fondo che hanno sostanzialmente impedito alle banche italiane un cammino più
adeguato a sostenere lo sviluppo della imprenditoria nazionale. Questione essenziale che è
bene avere sempre presente, e che non può non essere coniugata con il controllo accentuato
dello Stato sull'economia, originato anch'esso in quegli anni ma prolungatosi - come
orientamento teorico-culturale e come prassi politica (si pensi alle nomine dei vertici delle
banche da parte del Governo, secondo le metodologie consolidate dell'influenza diretta dei
partiti sull'economia) - di fatto sino ai giorni nostri.
CAPITOLO III. LE BANCHE NEL SECOLO VENTURO
"Etica in banca: incontro tra principi e qualità"
Il punto fondamentale della nostra riflessione resta ancorato al come suggerire ambiti di
azione e di comportamento in cui l'impresa banca, perseguendo la realizzazione della sua
"mission", faccia propri ed espliciti più rilevanti contenuti etici: per concorrere alla
realizzazione di un circuito "virtuoso" fra banchieri ed imprenditori, fra banchieri e cittadini, fra
banchieri ed ambiente.
E' importante non sottovalutare - ai fini di una ponderata valutazione del ruolo delle singole
banche o del loro agire complessivo - la connotazione di impresa attribuita da sempre
all'esercizio dell'attività bancaria da parte della dottrina e della giurisprudenza prevalenti.
Non v'è dubbio sull'importanza, a tal fine, dell'art. 2082 del codice civile circa la definizione di
impresa ("una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni
o di servizi"). Un contributo decisivo, in proposito, è stato fornito dal DPR 350 del 1985, la cui
filosofia ispiratrice riconosce come il settore delle attività creditizie sia caratterizzato, tra le
altre, da esplicite finalità di accrescimento della concorrenzialità e della produttività.
Deriva dal DPR in questione un allentamento dei vincoli inerenti la costituzione e l'attività
delle aziende di credito ma - secondo il parere preponderante degli studiosi 21 - tutto ciò
sarebbe bilanciato "da una più severa valutazione delle qualità morali" oltre che professionali
dei più alti rappresentanti e dirigenti del mondo bancario.
In effetti è in aumento la domanda non solo di qualità professionale, ma di affidabilità
complessiva: delle persone cui sono attribuite le varie responsabilità; delle strutture bancarie
in cui esse operano e che sono da loro dirette; della immagine della singola banca e
dell'insieme delle banche. Questioni che sono ben riassunte nelle pagine del citato lavoro di
C. Griffa: "Il comportamento del mondo imprenditoriale dovrà mutare ed essere di continuo
stimolo per consentire alle banche di avvicinarsi ai bisogni delle imprese. Sul fronte operativo,
rapidità e semplicità nella fornitura ed esecuzione dei servizi saranno le direttrici lungo cui
informare il lavoro bancario; è fondamentale la capacità di interpretare i bisogni finanziari e
quindi la migliore allocazione delle linee di credito, merce sempre più rara e quindi cara
(questa realtà dovrà essere portata a conoscenza della clientela e opportunamente
"mercanteggiata" con adeguate commissioni di impegno)".
"Sul fronte finanziario, è necessaria la disponibilità ad aprire i conti aziendali e l'azionariato di
minoranza in ottica stabile e non di breve; ci vuole poi, collegata a questo, un'azione di
razionalizzazione dei rapporti bancari, orientati verso un numero selezionato di partner e non
più fornitori di servizi (e quindi la creazione di home banks). Sul fronte strategico bisogna
stimolare le banche a seguire la via dell'apertura internazionale, anche e soprattutto
attraverso accordi (meglio se di partecipazione incrociata), così da assecondare le imprese
nel loro lavoro odierno".
"Le banche avranno dinanzi a sé un compito titanico: capire chi sono e cosa fanno. Questo
significa analizzare la struttura, l'organizzazione, i prodotti, i conti generali e per prodotto, la
distribuzione, le aree di attività, la posizione competitiva generale per area di attività e per
prodotto, le risorse disponibili. A tale diagnosi dovrà seguire una radicale e disincantata
valutazione degli spazi agibili e delle capacità reattive, attuali e potenziali, per poter definire
una strategia generale basata su punti chiari, semplici, raggiungibili, coerenti (una banca che
si sarà definita come banca retail a livello regionale, con la missione di servire una clientela di
piccole imprese, individui, professionisti e artigiani, non dovrà sviluppare, ad esempio, una
presenza estera, con sedi di rappresentanza, oppure creare una società di intermediazione
mobiliare; una banca votata a servire grandi clienti su operazioni focalizzate e sofisticate
troverà ostacoli seri nello sviluppare una attività di credito al consumo per clientela individuale
e di basso reddito; le incoerenze di missione sono troppo spesso dimenticate, nella illusione
di fare tutto per tutti a tutti i costi)".
"A valle di tale diagnosi e valutazione strategica occorrerà definire una buona missione
aziendale, fissare gli obiettivi da raggiungere nel tempo, identificare le azioni (di breve, di
medio) per fare tale percorso, adottare le misure necessarie per consentire la realizzazione di
tali azioni, assicurare che la struttura abbia recepito tale nuovo orientamento, mettere in atto
un programma di adeguamento delle risorse e di cambiamento organizzativo. Infine, e non
ultimo in graduatoria, non tenersi il tutto all'interno, ma comunicare con l'esterno, con il
proprio mercato, con i clienti identificati come target, che devono capire e condividere le
scelte così intraprese: una bella strategia vale poco se le persone cui è diretta non la
conoscono".
Costo del denaro e conflitto di interessi
Le ipotesi, i suggerimenti e le esigenze considerati nelle pagine precedenti potrebbero essere
interpretati anche come una efficace sintesi delle attese del mondo imprenditoriale, che
includono una implicita domanda di comportamenti etici. La considerazione largamente
prevalente tra gli imprenditori e, in generale, gli utenti delle banche sembra infatti essere
soprattutto questa: non è morale che, mentre il sistema economico langue e le imprese
stentano a governare i bilanci, con il conseguente aggravio della disoccupazione e della
inoccupazione, le banche pensino soltanto a far quadrare i propri bilanci e ad assicurarsi
crescenti margini di profitto.
Il conflitto di interessi e di opinioni si è scatenato ancora una volta dopo il 5 febbraio di
quest'anno, allorché il Tesoro ha modificato la misura della riserva obbligatoria,
alleggerendola. La misura, adottata dietro indicazione della Banca d'Italia, era rivolta a
liberare un considerevole stock di fondi altrimenti immobilizzati sul conto di riserva.
In quei giorni, secondo il Governo, "la riduzione dei tassi tedeschi, del tasso ufficiale di sconto
italiano e la manovra sulla riserva [avevano offerto] nuovi e più consistenti margini al sistema
bancario per finanziare a costi tollerabili l'economia e lo sviluppo" 22.
Di ben altro tipo la valutazione del mondo bancario: la presidenza dell'ABI ha affermato che la
riduzione adottata dal Tesoro avrebbe liberato non più del 50% delle disponibilità aggiuntive
ipotizzate dalla stampa in un primo momento. La posizione degli industriali è stata espressa
in termini così crudi da far ritenere che la manovra non solo non avesse alleggerito la
situazione, ma che gli atteggiamenti delle banche rimanessero quali fattori di ulteriore
aggravamento dei problemi.
Gli ultimi mesi - cosa perfettamente comprensibile in una situazione tanto difficile e
preoccupante come quella dell'Italia - hanno segnato in effetti una particolare recrudescenza
del problema. Vediamo di vagliarne alcuni degli aspetti più significativi.
La questione del costo del denaro si può dire che coincida, o meglio conviva espressamente
con quella della trasparenza, della leggibilità delle condizioni per la clientela, e del loro
adeguamento progressivo alle condizioni di mercato e a quelle richieste dalla armonizzazione
comunitaria. In relazione a quest'ultima, ad esempio, è nato il problema di una tutela minima
dei depositi, che oggi appaiono ben difesi in Germania ed in Italia. Da noi, la manovra di
privatizzazione di parte più o meno consistente del sistema bancario affievolirà quella
garanzia per eccellenza data dal carattere pubblico del nostro sistema bancario. Resta
comunque in vigore il Fondo di garanzia dei depositi, uno dei migliori d'Europa assieme a
quello in vigore in Germania.
Resta da vedere come evolverà la questione in relazione all'ingresso delle banche di altri
Paesi nel mercato nazionale, dato che le banche sono ormai libere di insediarsi ovunque in
ambito CEE, mentre il controllo su di esse resta affidato alle autorità del Paese di origine. Di
conseguenza, anche se non nell'immediato, si porrà il problema di come e se i sistemi di
protezione nazionali verranno armonizzati.
Naturalmente, tutto ciò si pone in relazione a come avverrà la penetrazione dei singoli mercati
ad opera di imprese bancarie straniere. Si veda in proposito la tabella seguente.
Tabella 2
Presenza delle banche straniere e quota delle due banche principali in
ciascuno paese
Stati
Austria
Presenza delle banche straniere (a) Concentrazione bancaria (b)
15,50-7,89
Belgio
46,0
17,90-14,70
Danimarca
1,0
34,28-11,82
Finlandia
1,1
21,64-21,15
16,0
13,40-12,34
Germania
4,0
9,80-7,06
Giappone
2,2
6,87-6,39
Regno Unito
60,0
28,60-26,23
Grecia
13,5
50,85-14,09
3,0
9,58-9,65
91,0
6,41-4,65
2,0
32,86-21,63
Paesi Bassi
10,0
19,82-19,51
Portogallo
3,0
13,41-11,41
11,0
7,08-5,69
USA
6,6
5,27-2,20
Svezia
2,4
25,88-19,14
Svizzera
9,2
22,12-20,20
Francia
Italia
Lussemburgo
Norvegia
Spagna
(a) Quota percentuale controllata in ogni Paese dalle banche straniere
(calcolata sui solo depositi in Grecia, su tutta l'attività bancaria altrove).
(b) Quota controlata in ogni Paese dalla prime due banche nazionali.
Fonte: Ceps Report (da « Il Sole 24 Ore», 1º febbraio 1993).
Nonostante le tante e vigorose polemiche, dall'inizio dell'anno si sono registrati dei
mutamenti, dei ritocchi in basso che registrano differenziazioni fra le banche - almeno queste
sono le interpretazioni della stampa specializzata - nella revisione dei tassi attivi. A gennaio,
subito dopo la variazione del tasso ufficiale di sconto, "Il Sole 24 Ore" dava il seguente
quadro delle variazioni:
Tabella 3
Le attuali condizioni praticate alla clientela e le variazioni intervenute
dall'ultima riduzione del tasso ufficiale di sconto
Banca
BNA
Top Variaz. Data Prime Variaz. Data Variaz. Variaz.
rate
variaz. rate
variaz. altri
tassi
attuale
attuale
tassi passivi
%
%
attivi
21,50
-1,00
1/1
14,00
-1,00
1/1
-1,00 -1,00/0,50 (a)
BNL
20,00
-1,00
23/12
13,50
-1,00
23/12 nessuna -2,50/(b) (c) 0,50 (a)
Banca Pop. di
Bergamo/Credito
Varesino
20,50
-1,25
28/12
14,00
-1,00
28/12
Banca Pop. di
Milano
20,75
-1,00
28/12
14,00
-1,00
28/12 -1,00 (b) -0,50/-0,75 (c) 0,75 (a)
-1,00
Banca Prov.
Lombarda
20,50
(d)
21,50
(e)
-1,25
23,12
14,00
-1,00
23,12
Banca di Roma
21,25
-1,00
24,12
13,50
-1,00
24,12 nessuna -1,25/0,20 (a)
Banca Toscana
20,00
-1,25
28,12
13,50
-1,00
28,12 -1,25 (b)
-2,50 (c)
-1,00
Banco
Ambroveneto
20,75
-1,00
23,12
13,50
-1,00
23,12 -1,00 (b)
-1,00
Banco Lariano
20,50
-1,25
23/12
14,00
-1,00
23/12 -1,00 (c)
-1,00
-1,00
(a)
Banco di Napoli
20,50
-1,00
4/1
13,50
-1,00
4/1 -1,00 (b) -0,50/1,00 (a)
Banco di
Sardegna
19,75
-0,75
4/1
13,50
-1,50
4/1 -0,50 (b)
Banco di Sicilia
20,75
-1,00
23/12
14,00
-1,00
23/12 variabile -0,75/da 1,50 (a)
cliene a
cliente
Cassa di
Risparmio di
Firenze
20,50
-1,00
28/12
13,50
-1,00
28/12
Cariplo
19,00
-1,00
23/12
13,50
-1,00
23/12
-1,00 -0,25-1,50/- 1,25 (a)
2,00 (b)
-1,40 (c)
Cassa di
Risparmio di
Torino
20,00
-1,25
24/12
13,50
-1,00
24/12
n.d. -0,50/1,00
-1,00
(a)
Cassa Risp. di
VR-VI-BL-AN
20,75
-1,00
28/12
14,00
-1,00
23/12
max - max 1,00
1,00
-0,60 (b) -0,50/-0,78 (c) 1,00 (a)
Comit
20,50
-1,00
24/12
13,50
-1,00
24/12 variabile -0,50/-
n.d. -0,25/0,50 (a)
-1,00
-0,50
-0,75/1,00 (c)
-1,00
-1,00
-1,00
da
1,00
cliente a -0,25/cliente 0,75 (a)
Credito Italiano
20,00
-1,00
23/12
13,50
-1,00
23/12
-0,50/- -0,25/1,00 0,75 (a)
Monte dei Paschi
di Siena
20,00
-1,25
28/12
13,50
-1,00
28/12 -1,25 (b) -1,00 -2,25 (c)
0,5/
-1,00
(a)
San Paolo di
Torino
20,00
-1,25
23/12
13,50
-1,00
23/12 -1,25 (b) -0,25/-0,75/- 1,00 (a)
1,00 (c)
Sicilcassa
21,00
-1,00
1/1
14,25
-1,00
1/1 -0,50 (b)
-0,45/0,50 (c)
-0,50
(a)
(a) Certificati di deposito
(b) Prestiti personali
(c) Mutui.
(d) Nei limiti del fido
(e) Oltre i limiti del fido.
Fonte: Elaborazione de «Il Sole 24 Ore del lunedì» (18 gennaio 1993) su dati
forniti dagli istituti di credito.
Crisi economica e crisi politica: riflessi sulle banche
Il braccio di ferro sul caro denaro ha avuto una svolta decisiva con il convegno di Parma degli
industriali italiani, svoltosi a metà dicembre dello scorso anno. Governo e imprenditori hanno
concordato nel rilevare a gran voce come il permanere di un costo troppo alto del denaro
abbia di fatto ridimensionato i possibili benefici della svalutazione del settembre precedente.
I termini utilizzati dagli imprenditori convenuti nella città emiliana sono stati molto forti: i
banchieri sono stati letteralmente definiti "avidi, paurosi ed inefficienti". La violenza verbale
della disputa, se da un lato è comprensibile per le difficoltà drammatiche che si riversano
sull'economia e sulle capacità occupazionali, dall'altra appare suscettibile anche di un'altra
interpretazione concomitante, e tutta politica. Avendo deciso di sostenere l'indirizzo di politica
economica espresso dalla Presidenza del Consiglio, e trovandosi nella esigenza di
individuare obiettivi ed avversari su cui concentrare il malessere profondo degli imprenditori nonché di alleggerire in qualche modo l'impaccio derivante dai casi di concussione e
corruzione che l'inchiesta "mani pulite" ha evidenziato anche tra gli imprenditori, oltre che tra i
politici italiani di ogni livello - la Confindustria può, oggettivamente, essere stata tentata di
esercitare un "affondo" del tutto particolare contro le banche. Oltre tutto, gli assai ardui
problemi che il sistema imprenditoriale italiano esprime a livello di competizione mondiale
sono sì attribuibili alle carenze del sistema ma chiamano in causa anche le politiche di parte
delle imprese più significative.
Alcuni commentatori avveduti hanno fatto bene a non sottrarsi dall'evidenziare quello che è il
cuore dei problemi, al di là dei toni virulenti della polemica: la questione del cambio fluttuante,
nel permanere di una politica di tassi elevati altrimenti giustificabile in presenza di un cambio
fisso da proteggere. Su tutto incombe il problema gravissimo del finanziamento del disavanzo
statale, causa e conseguenza dei tassi elevati, nonché motivo dei processi di
deindustrializzazione, ancorati - più che alle deficienze strutturali del sistema Italia - alla
mancanza di fiducia nelle capacità dello Stato.
Il nodo del costo del denaro coinvolge evidentemente i costi di gestione delle banche,
determinanti nel delineare i costi complessivi che vengono riversati sulla clientela.
Marco Onado scriveva nell'ottobre scorso 23 che "il rischio che il sistema nel suo complesso
corre è quello di trovare un'ulteriore giustificazione per rinviare un processo di ristrutturazione
che finora è stato, per usare termini soavi, blando e parziale. Le trasformazioni strutturali
realizzate dall'inizio degli anni Ottanta sono state assai meno profonde di quelle osservate
negli altri Paesi e meno rapide di quanto auspicato dalla Banca d'Italia [...] Il rischio che
vengano rinviati processi di ristrutturazione fondamentali non riguarda solo i grandi istituti
pubblici, ma è presente in misura proporzionalmente più intensa nelle banche piccole e medie
[...] Queste banche, in quanto creditrici nette sull'interbancario, hanno vinto un autentico terno
al lotto con i tassi degli ultimi mesi".
C'è di che discutere molto e a lungo con gli imprenditori utenti del servizio bancario, dei tassi
ma non solo: e cioè di come la qualità del servizio corrisponda o meno alla trasparenza dello
stesso, e dunque a quei fattori che per l'utenza costituiscono i principali requisiti di eticità
nelle attività bancarie.
Naturalmente il dibattito e le valutazioni possono mutare da banca a banca, da territorio a
territorio, come si riscontra nella tabella seguente che, anche se riferita alla situazione di un
anno fa, favorisce un quadro illuminante della frammentazione del mercato italiano del credito
di conto corrente.
Tabella 4
Tassi applicati all'apertura del conto corrente, per regione, al 15 settembre
1992 e incremento percentuale rispetto al 30 giugno dello stesso anno.
Regioni
Piemonte
Tasso di c/c al 15.9.1992 Incremento °ree; rispetto al 30.6.1992
Minimo
16,75
Massimo
20,25
n.d.
Minimo
Massimo
2,75
5,00
n.d.
n.d.
n.d.
18,50
24,00
3,00
4,00
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
Veneto
17,00
24,75
4,25
n.d.
Friuli V.G.
20,00
23,00
1,75
2,00
Liguria
17,00
21,00
2,00
5,00
Emilia-Romagna
18,00
19,00
3,00
3,75
Toscana
17,00
23,50
3,00
4,00
Umbria
16,00
21,50
2,50
7,50
Marche
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
Lazio
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
Abruzzo
17,50
20,00
3,00
4,50
Molise
18,00
21,00
-
-
Campania
19,00
23,50
3,50
5,00
Puglia
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
Basilicata
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
Valle d'Aosta
Lombardia
Trentino A.A.
Calabria
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
Sicilia
18,50
22,00
3,00
-
Sardegna
21,00
24,00
6,00
6,00
Fonte: Confindustria (da «Il Messaggero», 17 settembre 1992).
Gli "utili" del 1992 e i fattori di cambiamento
Alcuni commentatori fanno rilevare come i mesi trascorsi, di crisi economica e finanziaria,
abbiano comunque giovato ai bilanci delle banche, e parlano del 1992 come dell'ultimo degli
"anni grassi". Il rapporto Monitor economia indica in 7.300 miliardi di lire gli utili netti del
sistema, il 6,9% in più sul 1991 (anche se c'è da ricordare che il 1991 registrò una perdita del
3,8% sul 1990).
Il patrimonio degli istituti risulta cresciuto in due anni assai considerevolmente: 130 mila
miliardi contro gli 83 mila della fine del 1990, costituiti essenzialmente dall'incremento degli
utili. Sono dati che potrebbero rinfocolare le polemiche sul costo del denaro ma il rapporto di
"Monitor" fa riecheggiare altre valutazioni:
- le banche sono appesantite da costi fissi troppo elevati e scarsamente controllabili;
- l'efficienza complessiva del sistema resta ancora inadeguata;
- gli oneri impropri imposti dalla Pubblica Amministrazione non accennano a decrescere e
sono aggravati dall'estendersi delle sofferenze.
Tabella 5
Conti economici delle aziende di credito italiane
In miliardi di lire
1991
= Margine d'interesse
1992 Variazioni %
46.810 58.900
+25,8
+ Ricavi negoziazione titoli
8.105 6.000
-26,0
+ Ricavi da servzi e altri ricavi
7.738 8.400
+8,6
= Margine d'intermediazione
- Costi del personale
62.653 73.300
27.701 30.600
+17,0
+10,5
- Costi operativi e ammortamenti 13.979 16.000
+14,5
= Risultato di gestione
20.973 26.700
+27,3
6.826 7.300
+6,9
= Utile netto
Fonte: Per il 1991, Banca d'Italia; per il 1992, stime «Monitor» (da «la
Repubblica», 28 novembre 1992).
Peraltro, il processo di trasformazione in società per azioni si è avviato, pur tra difficoltà e
lungaggini: alla data dello scorso novembre, su 142 intermediari, banche e istituti di credito
speciale potenzialmente interessati (parliamo di banche pubbliche), 80 avevano assunto la
forma di società per azioni.
Altri fattori di cambiamento si evidenziano dai dati ABI: fra il 1987 e il 1991 la globalità dei
fondi intermediati è cresciuta di circa il 43%, mentre negli stessi anni il numero dei dipendenti
è salito del 3,5% circa (i dati citati non comprendono quelli relativi alle principali casse rurali):
ciò significa che è mutata la produttività del lavoro, almeno per gli anni qui considerati, anche
se in un periodo pressoché analogo (1985-1991) l'incremento del costo per dipendente,
riassunto nella tabella seguente, è stato assai forte.
Tabella 6
Le cifre della crescita del sistema bancario italiano
Anni 1985-1991
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
Fondi intermediati
(a)
736.155 793.167 880.613 957.654 1.069.053 1.165.036 1.252.230
N. dei dipendenti
306.240 311.790 316.607 317.702
315.194
320.873
326.400
Fondi intermediati
per dipendente (b)
2.404
2.544
2.781
3.014
3.392
3.631
3.836
Costo per dip. (b)
51,1
56,6
60,0
64,9
71,0
77,8
85,0
(a) In miliardi di lire.
(b) In milioni di lire.
Fonte: «Il Mondo», 1993.
Banche, etica e sviluppo
La considerazione che si può ragionevolmente evincere dall'insieme dei riferimenti utilizzati
finora è che la questione del rapporto fra banca e ambiente di riferimento - e, di conseguenza,
quella dell'etica applicata all'agire del mondo bancario o della singola azienda di credito - oltre
a risultare straordinariamente complessa, appare come elemento cardine per qualunque
scelta strategica delle banche, per qualsiasi tattica o metodologia operativa applicata alla
esplicazione della "mission".
Luigi Lombardi Vallauri fa riferimento al patrimonio etico universale - il Vangelo, le dottrine
cristiane, l'umanesimo laico - per individuare tre ambiti peculiari in cui attività bancaria ed
etica si fondono 24.
Nella sua analisi sono tre soggetti confluenti, ma tra loro diversi, a doversi ritenere soggetti
all'imperativo o, quanto meno, al messaggio etico: "[...] la banca; i prestatori di denaro; i
prenditori di denaro, con particolare riguardo agli operatori economici più attivi e speculativi".
Riferendosi all'economia comunemente conosciuta e realizzatasi nei Paesi dell'Occidente
industrializzato, l'autore ne sottolinea il considerevole distacco dai modelli teorici che
postulano la concorrenza perfetta. A suo avviso il tramonto del modello socialistacollettivistico deve fornire maggiori energie al riesame critico della concreta realtà del mercato
capitalista così come esso è oggi configurato. Si tratta di riscoprire i contenuti etici
dell'economia di mercato ideale, a partire da quei valori di alto profilo che dovrebbero
costituirne il presupposto. Il riferimento è esplicito: "rispetto dei patti, trasparenza nei confronti
dei clienti, pari informazioni tra essi, lealtà pubblicitaria".
Interrogandosi sulla possibilità di imporre valori etici anche sul fronte che appare, almeno a
prima vista, fisiologicamente ostico ad un approccio simile - la valutazione morale della
provenienza o della destinazione del denaro gestito dalla banca - Vallauri tenta una risposta
in positivo, proponendo un "dirigismo etico", un codice di comportamento concordato fra le
banche, peraltro già attuato, almeno in parte: "La banca che omette di indagare sulla
provenienza del denaro è almeno omissivamente complice, o comunque rischia molto sul
piano etico. Lo stesso vale in uscita: è - o rischia di essere - complice la banca che presta il
denaro al ladro, al sequestratore, al mafioso".
Si tratta, complessivamente, di una serie di considerazioni e di stimoli efficaci ai fini delle
nostra riflessione, cui possono bene affiancarsi altri interrogativi, altre aree tematiche sul
comportamento etico della banca nella società. Ad esempio, nel convegno tenutosi nel
giugno del 1990 a Firenze, per iniziativa dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani, si è dato
particolare risalto al tema del rapporto fra le banche e il cittadino qualsiasi: il piccolo
risparmiatore senza poteri o raccomandazioni da far valere; l'anziano; il minore privo di una
solida tutela.
D'altronde la complessa turbolenza e le inquietudini profonde della nostra epoca scaricano
oggettivamente sulla banca e sul suo operare una serie di interrogativi comportamentali ed
ideali che sono, per così dire, fisiologici. Lo sono quelli che riguardano: il rapporto tra il
denaro e la qualità umana o ecologica degli investimenti produttivi; il rapporto tra il denaro e
la politica, in un'epoca in cui il travaglio del mondo politico-istituzionale ha assunto le
dimensioni di un passaggio storico; il rapporto tra il denaro ed il mecenatismo, in cui si
prefigura un difficile quanto incerto equilibrio; il rapporto tra il denaro ed il comportamento
etico, individuale, dell'operatore bancario.
Trattasi di questioni, sia teoriche che di concreta rilevanza quotidiana, la cui eco rimbalza
continuamente dagli aspetti generali a quelli particolari dell'attività delle singole banche, così
come dell'intero sistema bancario.
Sappiamo come lo straordinario - eccessivo e fuorviante, alla luce dei fatti - sviluppo della
cosiddetta "economia di carta", della finanza facile degli anni Ottanta, oltre ad imporre una
completa rivisitazione della impostazione e dell'impiego della strumentazione finanziaria,
abbia anche determinato frane diffuse nel sistema economico e finanziario. Il problema più
importante è dunque - accanto ai problemi squisitamente economici e finanziari - come
sviluppare una riflessione ben più profonda, anche in termini di contenuti culturali, filosofici,
etici, sul divenire delle attività imprenditoriali: tanto più nella gestione di quella particolarissima
merce che è il denaro.
Il cammino verso la qualità
Abbiamo visto che il mondo bancario, come l'industria e l'insieme delle attività imprenditoriali,
è chiamato a fare i conti con il procedere della realizzazione del grande mercato unico.
Confrontarsi con questo scenario in movimento è obbligato ma può costare caro: l'indagine
realizzata e pubblicata nell'autunno scorso dalla Banca francese Paribas parla di consistenti
incrementi di costi per cambiare le procedure contabili, adattare i programmi e
l'organizzazione informatica e telematica, uniformare le procedure per i Bancomat, aggiornare
la preparazione professionale dei dipendenti e quant'altro si possa immaginare per le
richieste del nuovo grandissimo mercato.
Insomma più costi, minori entrate, minaccia di consistenti licenziamenti, con le banche alla
ricerca di nuovi prodotti o servizi più sofisticati. L'analisi di Paribas potrebbe anche essere
stata finalizzata ad accentuare le difficoltà per consentire migliori contrattazioni nelle sedi
competenti.
Non c'è dubbio, però, che le scadenze temporali entro cui garantire, anche in Italia, una
accelerazione del processo di qualificazione, di efficienza ed efficacia del servizio bancario si
avvicinano sempre più e che tutto questo comporta seri problemi.
E lavoro ce n'è da fare, anche sul versante dei particolari che animano il rapporto bancaclientela. La stampa ha ripetutamente informato 25 sulla estensione numerica dei casi in cui
le banche risultano inadempienti nel rispetto dei tempi previsti per l'estinzione dei rapporti. Il
penultimo capoverso dell'articolo 7 delle "Norme che regolano i conti correnti di
corrispondenza e servizi connessi" riportate nel contratto di conto corrente, stabilisce che "a
ognuna delle parti è sempre riservato il diritto di esigere l'immediato pagamento di tutto
quanto sia comunque dovuto, nonché di recedere in qualsiasi momento, con il preavviso di un
giorno, dal contratto di conto corrente e dalla inerente convenzione di assegno". La banca
può permettersi di farlo, se corrisponde alle sue esigenze, mentre i correntisti devono
attendere mesi per la chiusura di un rapporto voluta per loro decisione. Senza richiamare
Brecht (che giudica ladro chi fonda una banca, non chi la rapina), è pur sempre evidente che
sul versante del rapporto banca-cliente, prima ancora di valutare quali criteri etici adottare, vi
sia una vasta gamma di interventi da effettuare per garantire l'efficienza nella gestione delle
procedure più usuali.
Restando per un momento alla semplice questione del "buon lavoro", si può ricordare che, tra
gli altri, la Andersen Consulting parla - per le banche in particolare - di quality assurance e di
quality management.
"Il primo aspetto definisce la qualità come l'insieme delle azioni pianificate e sistematiche
necessarie a dare adeguata garanzia che un prodotto o servizio risponda alle
esigenze/necessità richieste dal mercato; il secondo evidenzia come la metodologia e le
tecniche del controllo qualità costituiscano uno strumento direzionale efficace al fine di
perseguire obiettivi strategici di un miglioramento aziendale (aumento di quote di mercato,
indice di cross-selling, produttività, motivazione del personale)".
Gli specialisti dei sistemi di qualità sottolineano che "l'efficienza organizzativa fornisce al
servizio lo zoccolo di qualità necessario affinché questo possa prendere forma" e che "essa è
la condizione di base affinché l'attività generi le risorse per il proprio mantenimento e
miglioramento"; evidenziano inoltre che "la qualità del servizio legittima i costi ed indica il
prezzo possibile. In una società affluente come la nostra, la gente è sempre più disposta a
pagare per la migliore qualità" 26.
Nel complesso, si può dire che qualità del servizio bancario, revisione del lay-out delle
agenzie, ampliamento dell'offerta di prodotti e attenzione per l'immagine costituiscono fattori
di grande rilevanza. Altra questione di fondo è la messa a fuoco del lavoro individuale del
personale, che è costitutivo dell'insieme della qualità dell'offerta. L'Arthur Andersen, in un
rapporto redatto d'intesa con l'ABI, ha focalizzato cinque punti essenziali per il servizio del
prossimo decennio 27:
- lo sportello, rivisitato dal punto di vista delle persone e della logistica, come punto di vendita
di prodotti e servizi sempre meno tradizionali;
- la riallocazione delle persone in relazione alle funzioni emergenti;
- lo sviluppo delle professionalità come scelta dominante;
- l'esigenza di cogliere al massimo i vantaggi della leadership tecnologica;
- la qualità del management.
Anche per le banche si tratta di sviluppare e sfruttare il "DNA della cultura d'impresa [...]
attraverso il Pensare e l'Organizzare": giacché "la qualità totale è espressione della presenza
di coerenza e corrispondenza tra la definizione delle strategie e l'uso degli strumenti
gestionali indispensabili per la realizzazione degli obiettivi".
La tutela dei clienti
Nel marzo del 1992 l'Associazione dei banchieri britannici ha emesso le Good Banking
Practices, una summa di standard, di linee guida tendenti ad assicurare alla clientela dei
minimum requirements finalizzati ad evitare casi di non qualità a danno della clientela delle
banche o a risolverli.
In Italia, come già detto, la legge del 17 febbraio 1992, n. 154, relativa alle "Norme per la
trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari", è stata pubblicata sulla
"Gazzetta Ufficiale" n. 45 del 24 febbraio 1992. Tra le nuove norme, come si è accennato in
precedenza, una parte fondamentale riguarda la tutela dei clienti. Significativo, in particolare,
è l'art. 8, ai commi 2, 3 e 4. Impegni per le banche ma impegni anche per la clientela, al fine
di acquisire consapevolezza delle norme di legge che la tutelano e di gestire con sufficiente
cognizione il rapporto con l'azienda di credito, conditio sine qua non per procedere verso
livelli più elevati di fruizione dei servizi.
Al di là delle preoccupazioni o delle prevedibili difficoltà ricordate dalle ricerche citate, resta il
fatto che l'incremento della concorrenza costituisce il vincolo oggettivo che lega l'insieme
delle aziende di credito italiane alla scelta strutturale della qualità. Alessandra Penati
sottolineava recentemente come la moral suasion attivata dalle autorità competenti verso i
banchieri sia sostanzialmente ininfluente, così come lo sono le "strigliate" del Governo: "in un
mercato veramente concorrenziale l'unica suasion che conta è la massimizzazione del
profitto" 28, che richiede a sua volta la qualità necessaria per competere adeguatamente.
Penati, da una parte, riconosce come alle banche siano stati caricati dei costi gravosi per
aiutare la finanza pubblica a galleggiare, costi che si sono poi inequivocabilmente scaricati
sugli utenti; dall'altra, esprime la convinzione che sul versante della "trasparenza bancaria" le
banche potrebbero fare di più, o potrebbero essere obbligate a farlo.
Le ipotesi riguardano la pubblicità dei tassi pagati in relazione al diverso ammontare dei
depositi o, più in generale, di quei dati che potrebbero costituire una sorta di vero e proprio
"listino prezzi".
La novità più recente e significativa è costituita dall'insediamento dell'ombudsman bancario, il
"difensore civico" competente per controversie tra banche e clientele fino ad un ammontare di
5 milioni di lire, per operazioni e servizi attuati dopo il 1ß gennaio del 1993.
Tabella 7
La concorrenza tra sistemi bancari
Valori percentuali
Sistemi
Costi
personale/
Costi totali
1989
Utile netto/
Utile netto/
Attività fruttifere Attività fruttifere
1988
1991
Francia (a)
62,2
0,40
0,25
Gran Bretagna (a)
58,4
1,11
0,48
Germania (a)
54,6
0,34
0,27
Spagna (a)
68,1
1,32
1,37
Italia (a)
Banche pubbliche quotate in
Borsa (b)
71,9
-
0,49
0,71
Banche del mercato ristretto
-
1,9
1,35
BIN e istituti pubblici (c)
-
0,57
0,41
Banche popolari e di credito
ordinario (c)
-
0,71
0,68
Fonti: (a) Salomon Brothers; (b) Akros Finanziaria; (c) Banca d'Italia (da «Il
Sole 24 Ore», 29 dicembre 1992).
L'ADUSBEF - Associazione per la difesa degli utenti dei servizi bancari, finanziari, postali e
assicurativi - polemizza con la nuova struttura, ritenendola di fatto strettamente controllata
dagli ambienti ABI.
Resta il fatto che un altro passo è stato compiuto e che l'evoluzione del confronto tra banche
e clienti si sostanzia di una ulteriore possibilità.
CAPITOLO III. LE BANCHE NEL SECOLO VENTURO
"Le privatizzazioni: un'occasione per accrescere la competitività"
L'agenda degli impegni e delle scadenze del mondo bancario risulta ormai caratterizzata da
alcuni punti specifici: aprire di più le banche al mercato e cogliere l'occasione delle
privatizzazioni per incrementare efficienza, trasparenza e sinergie con i capitali esteri.
Problema, quest'ultimo, quanto mai controverso ma che rappresenta tuttavia un altro
passaggio sostanzialmente ineludibile.
Nel corso di un recente convegno romano inerente alla materia delle privatizzazioni, è stato
ribadito che il sistema bancario è pienamente coinvolto nei percorsi di privatizzazione
dell'economia italiana sia perché racchiude in sé soggetti da privatizzare, sia come strumento
per sostenere e agevolare tale processo.
Quest'ultimo risulterebbe quanto mai opportuno se si accettano e si condividono, almeno in
parte, le tesi di Giulio Sapelli 29, secondo cui le sfide che il sistema imprenditoriale italiano
deve affrontare e superare riguardano i vincoli storici del clientelismo, dello statalismo, del
capitalismo italiano.
Sapelli avvalora la tesi secondo cui le moderne società sviluppate offrono e chiedono un ruolo
"politico" - nel senso migliore del termine - alle associazioni della società civile,
"contestualmente alla possibilità per esse di codeterminare le scelte fondamentali per tutto
l'assetto sociale".
Si tratta di un ragionamento che stimola le banche a cercare, tra le altre cose, la
codeterminazione di comportamenti (reali) di qualità, con il supporto di un'ulteriore
espansione della legislazione in materia di trasparenza, affinché lo sviluppo tecnologico non
sia "senz'anima" ma al servizio della centralità dell'uomo.
Il riferimento al contesto socioeconomico di appartenenza suggerisce anche la possibile
interazione fra ruolo "responsabile" delle banche e soggetti che si attivano per la difesa ed il
recupero ambientale. In effetti, le questioni che richiedono una sensibilità "ecologica" possono
rappresentare per le banche una rilevante occasione: sia per riconsiderare le motivazioni con
cui privilegiare questa o quella scelta di finanziamento, sia per rinnovare - e migliorare - la
propria immagine nei confronti della pubblica opinione.
La questione non è solo italiana e la sensibilità che si richiede alle banche presenta ormai
una connotazione europea: in ambito comunitario, le stime sugli investimenti necessari per
risanare gli ambienti compromessi da produzioni o rifiuti inquinanti oscillano tra i 60 e i 110
miliardi di dollari. Il solo impegno sull'insieme della rete idrica potabile del nostro Paese viene
valutato attorno ai 20 mila miliardi di lire.
Alcune banche italiane si sono mosse in questa direzione, meritoriamente. Lo hanno fatto
valutando probabilmente le specifiche esperienze realizzate all'estero con i cosiddetti "fondi
verdi": si tratta di fondi di investimento basati sui titoli delle società attive nel settore del
recupero ambientale.
Dopo la loro diffusione in Inghilterra, sono stati proposti quasi come una scelta di campo negli
Stati Uniti: tanto che anche gli avversari dei meccanismi e delle figure emblematici di Wall
Street hanno sposato il meccanismo di conciliazione fra business e coscienza ecologica.
In Italia, tra le banche più attive sul versante ambientale abbiamo il S. Paolo di Torino, la
Cariplo - nel biennio 1990-91 sarebbero stati attivati, da questa cassa, circa 500 finanziamenti
a tassi agevolati, su un totale di 100 miliardi di lire messi a disposizione delle imprese agricole
per il recupero ed il trattamento delle acque reflue, per impianti di depurazione, ecc. - e il
Credito Italiano, impegnato ad attivare il suo FarmaChem (per strumentazioni chimicofarmaceutiche).
"L'internazionalizzazione"
I panorami di riferimento per ogni attività economico-imprenditoriale si ampliano
costantemente e questo riguarda anche i parametri entro cui cercare di tracciare e realizzare
il profilo della banca di domani, a partire dal miglioramento della relazionalità quotidiana con
la società circostante. E se ormai "il mondo è un villaggio globale", contano anche i criteri di
raffronto con le aree più significative dell'economia mondiale.
Come è noto, gli obiettivi per il coordinamento delle attività bancarie nel territorio della
Comunità erano stati fissati già dal 1977.
In particolare, riguardavano:
- l'abolizione di gran parte degli ostacoli alla libertà di stabilimento delle aziende di credito;
- la definizione di norme comuni per la concessione di licenze bancarie;
- l'introduzione del principio del controllo da parte del Paese di origine (che oggi però richiede
l'integrazione di funzioni con il Paese ospitante).
Oggi le garanzie per tutte le banche, sul piano della concorrenza e del controllo per eventuali
dislocazioni "facili" dei capitali verso Paesi con minore sorveglianza, poggiano soprattutto su:
- la direttiva CEE del 1989 circa i margini di solvibilità;
- i criteri di tutela dei depositanti e per il contenimento dei rischi da parte delle aziende di
credito.
Altre questioni importanti riguardano il credito al consumo e le norme contro il riciclaggio di
denaro sporco derivante da operazioni illegali, nonché - e sempre di più - i principi per
rendere comprensibile e trasparente all'utenza ogni operazione. E che i competitori siano
sempre particolarmente agguerriti lo si deduce anche dalle tabelle seguenti.
Tabella 8
Venti «big» del credito
Capitalizzazione al 1º luglio 1991 - In miliardi di dollari
Banca
UBS
Paese
Capitale Attività
Svizzera
13,2
180
Francia
13,1
302
Barclays Bank
Gran Bretagna
11,9
260
National Westminster Bank
Gran Bretagna
10,7
233
Germania
10,4
267
Crédit Lyonnais
Francia
9,7
285
Banque Nationale de Paris
Francia
9,3
289
Swiss Bank
Svizzera
9,0
148
Abn-Ambro
Paesi Bassi
8,9
232
Francia
8,7
184
Paesi Bassi
7,1
119
Francia
6,9
174
Germania
6,4
189
Svizzera
6,3
115
Francia
6,1
204
Italia
5,6
99
Gran Bretagna
5,2
89
Germania
5,0
144
Spagna
5,0
87
Italia
4,8
133
Crédit Agricole
Deutsche Bank
Paribas
Rabobank
Gruppo Casse di risparmio Ecureil
Dresdner Bank
Crédit Suisse
Société Gén-rale
Cariplo
Abbey National
Commerzbank
Banco Bilbao Vizcaya
San Paolo di Torino
Fonte: «The Banker»/«Il Sole 24 Ore».
Una pur sommaria lettura del decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 481, di attuazione della
direttiva 89/646/CEE attinente all'insieme delle disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative sull'accesso alle attività creditizie e sul loro esercizio, è sufficiente a cogliere le
motivazioni prioritarie che spingono tutte le banche verso i citati obiettivi - di qualità operativa
e di solidità etica - indipendentemente dall'entità del loro patrimonio e della loro quota di
mercato.
E' ormai al termine quella condizione che ha fatto del sistema bancario italiano, per circa
cinquant'anni, un sistema "protetto": perché non vi era concorrenza delle aziende di credito
straniere; perché sui tassi, sul costo delle operazioni, sulle commissioni dei servizi si
concordava in sede ABI. Una sorta di "cartello", di oligopolio, che ora è in via di
smantellamento, man mano che procede il cammino verso la realizzazione di uno spazio
finanziario europeo.
I capisaldi delle norme innovative già entrate in vigore, e prima ricordate (per la tutela del
credito al consumo e per la trasparenza bancaria), sono i seguenti:
il rapporto tra banca e cliente è documentato per iscritto;
in assenza di previsione, nulla è dovuto dal debitore;
se le condizioni prestabilite peggiorano, il debitore può recedere alle migliori condizioni
preesistenti al patto;
il cambiamento in peggio delle condizioni contrattuali deve essere preavvisato al cliente;
i prezzi dei servizi e le spese sugli stessi debbono essere oggetto di pubblicità da parte degli
intermediari, affinché risultino confrontabili con altri da parte del cliente;
deve essere chiaro per l'utente il cosiddetto TAEG (tasso effettivo annuo globale), vale a dire
il costo complessivo delle operazioni cui è interessato.
"Banche e piccole imprese"
La Commissione CEE sembra pienamente consapevole del fatto che il rapporto con il
sistema bancario e l'accesso al credito costituiscono problemi essenziali per la maggiore
competitività delle imprese di medie e piccole dimensioni, impegnate su di un'area di mercato
non solo enormemente più vasta dei tradizionali mercati nazionali, ma anche molto più
complessa ed instabile.
Di qui la somma dei "programmi" che la CEE ha specificamente messo in campo,
proiettandoli essenzialmente verso questa dimensione d'impresa.
Vediamo in sintesi quelli inerenti al campo creditizio e finanziario:
Tabella 9
Principali programmi CEE inerenti il credito e la finanza
Venture consort
Creato per incoraggiare a partecipazione
congiunta di società ed enti finanziari a progetti
innovatori sotto forma di capitali di rischio
provenienti da vari paesi
Seed capital
Vuole stimolare l'avvio di investimenti nel
settore provato, offrendo e garantendo incentivi
e agevolazioni finanziarie ai Fondi creati dalla
CEE.
Eurotech capital
Vuole promuovere e favorire l'afflusso di
capitali privati verso PMI europee impegnate in
progetti transnazionali di alta tecnologia.
Interprise (Initiative to Encourage
Partnerships among Industries and
L'obiettivo che si prefigge è di sostenere le
azioni a carattere locale, regionale e nazionale
Service in Europe - Iniziativa per
incoraggiare la cooperazione fra
imprese e servizi)
che abbiano il fine di stimolare e aiutare i
contatti tra gli imprenditori e creare
cooperazione fra PMI.
Termie (Tecnologia europea per la
gestione dell'energia)
Ha lo scopo di promuovere, attraverso la
concessione di incentivi finanziari, la
realizzazione e la diffusione di nuove
tecnologie europee per la gestione dell'energia.
Life
E' uno degli strumenti finanziari CEE per
l'ambiente.
Fonte: «Unipol Informa», gennaio-febbraio 1993.
E' la conferma che, in effetti, la strada della qualità, per tutte le banche italiane, non
rappresenta più una libera opzione.
Quanto le indicazioni comunitarie corrispondano al merito dei rapporti tra banche e PMI lo si
riscontra anche in una indagine dell'ISTAO (Istituto di Studi Adriano Olivetti), i cui risultati
sono stati presentati ad Ancona nel novembre dello scorso anno. In particolare, è emerso che
"gli elementi più citati [dalle banche] nella fase di documentazione della pratica di
affidamento" riguardano:
- il bilancio di esercizio;
- l'elenco degli affidamenti;
- le informazioni extra bilancio;
- la quantificazione del fabbisogno finanziario.
Secondo Maria Lisa Barbieri 30, mentre tutti gli intervistati hanno dichiarato di tendere a
privilegiare l'aspetto più qualitativo della valutazione ("[...] troviamo al primo posto le
caratteristiche degli investimenti seguite dalla gestione commerciale in generale, dal mercato
di sbocco e infine dalla concorrenza [...]"), si avrebbe poi l'"impressione" che in realtà tali
elementi risulterebbero i meno approfonditi.
Ancora una volta, sembra emergere il peso preponderante degli "elementi economicofinanziari e patrimoniali" rispetto alla credibilità dei progetti imprenditoriali.
La ricercatrice ha inoltre rilevato una estrema eterogeneità nei tempi del processo decisionale
delle banche che, come è noto, è di estrema importanza per l'impresa richiedente.
Sembrerebbe una conferma implicita di quanto si è già visto in precedenza (il rapporto della
Andersen Consulting) circa la difformità delle risposte del sistema bancario all'incremento
della complessità del mercato, pur in presenza di un inizio di cambiamento strutturale e
comportamentale rispetto agli anni passati.
Impegno reale, nonostante tutto, questo delle banche, se M.L. Barbieri sostiene che non c'è
ancora "per i servizi innovativi una domanda che nasce spontaneamente dal mercato ma che
[è] l'offerta bancaria a cercare di sollecitare la domanda". Anche se poi, prudentemente,
aggiunge che allo stato dell'indagine non risulta chiaro se la scarsa attenzione ai servizi sia
dovuta alla loro particolare tipologia o, invece, alla capacità di promozione della banca.
Il perché della conflittualità diffusa tra banche e imprese ritorna, lucidamente riassunto, in un
altro dei saggi presentati nel convegno dell'ISTAO. Luca Papi 31 rileva che, in base a quelle
che sembrano essere le tendenze generali dell'evoluzione del sistema bancario, il livello di
concorrenza - "dopo decenni di quasi immobilismo" - arriva non di rado a livelli eccessivi,
"soprattutto nel campo dell'intermediazione bancaria tradizionale e nel segmento delle PMI".
Riconosciuto che la scarsità dell'autofinanziamento delle imprese "si risolve con una netta
preferenza per il ricorso al debito", Papi sottolinea che "nonostante il ruolo privilegiato della
banca, permangono una serie di peculiarità delle PMI che rendono più incerto e rischioso il
rapporto con esse. Ne consegue, anche a causa di altri fattori, che il credito alle PMI è
erogato a condizioni più onerose e dietro la presentazione di garanzie più elevate rispetto a
quanto osservabile per le imprese più grandi".
La sfida dell'etica e della qualità per il sistema Italia
Il Paese è costretto a remare contro corrente, non v'è dubbio. Ciò coinvolge le industrie come
le banche, il che induce, motivatamente, ad accettare la sfida di un grande e prolungato
sforzo di qualificazione che coinvolga l'intero "sistema Italia".
All'inizio di febbraio il "Financial Times" ha pubblicato la sua classifica delle 500 migliori
società europee. Solo 25 sono italiane, un terzo in meno dell'anno precedente. Il calo della
Borsa rispetto al 1991 è documentato in maniera impietosa e fa riferimento all'evidente
contrasto tra esigenze di capitalizzazione della Borsa e reale svalutazione della moneta. Dai
dati di stampa, le 11 aziende italiane che mancano all'appello risultano essere: Olivetti, Cir,
Assitalia, Banca Nazionale dell'Agricoltura, Italmobiliare, Fondiaria, Rinascente, Ericson,
Italcementi, Fidis e Banca Toscana. Tra le banche che restano in classifica, Comit passa
dalla 166a postazione alla 250a, il Credit dalla 189a alla 261a. Anche in questo caso, pur con
le naturali riserve verso le analisi di questo tipo, i risultati si commentano da soli. Così pure si
conferma il collegamento tendenziale tra situazione bancaria e situazione industriale; nella
stessa classifica la FIAT scende infatti al 94ß posto rispetto al 53ß antecedente. E i problemi
del sistema industriale si riflettono sui cosiddetti "crediti difficili" delle banche, come è stato
evidenziato, tra gli altri, da uno studio congiunto della Bocconi e della Luiss.
L'intreccio fra banca e impresa, ai fini della competitività complessiva del sistema nazionale,
si evidenzia ancor più nel confronto internazionale. Sono noti i fallimenti italiani nei recenti
tentativi di scalate all'estero, mentre vediamo che per altri Paesi scendono in campo
combinazioni più coese tra forze diverse: "governi, istituzioni di vigilanza, banche e strutture
finanziarie, alleanze imprenditoriali annullano gli sforzi della fantasia acquisitiva delle imprese
italiane".
La partita è aspra ovunque. Gli osservatori internazionali avvertono che in Gran Bretagna,
negli USA, in Francia, le banche stanno vivendo momenti particolarmente difficili: i fattori di
crisi o l'eccessiva aggressività finanziaria inchiodano piccole e medie imprese, o hanno
messo alle corde investitori particolarmente spregiudicati. E se finora, nel complesso, le
banche italiane sono state più lente di altre ad inserirsi nella competizione mondiale, c'è da
chiedersi come riuscirà ad affrontare le prossime scadenze una parte non piccola del
frammentato sistema bancario italiano. La presentazione ormai prossima dei bilanci del 1992
sarà, con ogni probabilità, particolarmente indicativa.
Tabella 10
Rapporto tra patrimonio e attività a fine 1991 delle più importanti banche
europee (a)
Patrimonio libero Patrimonio vincolato
Italia
Comit
6,5
8,8
Credit
6,6
8,3
BNL
6,6
8,5
Cariplo
9,8
10,4
San Paolo di Torino
6,0
7,3
-
7,0
Deutsche Bank
5,6
10,7
Dresdner Bank
5,0
9,0
Commerzbank
4,2
8,1
Banca di Roma
Germania
Francia
BNP
5,2
8,9
Crédit Agricole
6,4
8,7
Crédit Lyonnais
-
8,8
Société Générale
-
9,0
Gran Bretagna
Barclays Bank
5,9
8,7
Natwest
5,5
9,6
Midland
5,5
10,3
Lloyds
6,2
9,7
UBS
>4
10,8
SBS
>4
> 10
Crédit Suisse
>4
10,0
Svizzera
(a) I valori minimi fissati dalla BRI sono rispettvamente 4 e 8%.
Fonte: IBCA (da «Il Sole 24 Ore», 5 febbraio 1993).
"Oltre i vincoli della "partitocrazia""
Sulla valutazione della capacità imprenditoriale dei vertici delle banche, e sulla effettiva
volontà di promuovere trasparenza ed etica, pesa non poco il tradizionale metodo italiano di
imporre criteri partitocratici nella individuazione dei maggiori responsabili del sistema.
Importa evidenziare come l'originaria nomina di carattere pubblico, statale, sia stata motivata
e voluta proprio per il fine di tutelare l'interesse generale, rappresentato dal corretto
funzionamento delle banche, arbitre altrimenti di quella merce particolarissima che è la
disponibilità di denaro.
Nel corso dei decenni, con l'espansione - rivelatasi inarrestabile quanto nefasta dell'influenza dei partiti sull'economia, il sistema bancario è rimasto sostanzialmente
intrappolato nei meccanismi di scambio politico e di potere delle correnti interne ai singoli
partiti, o condizionato dall'influenza individuale dei capi di partito.
La concentrazione partitocratica del sistema di potere italiano si è allargata a dismisura,
scendendo via via dalle nomine dei vertici all'interno della "macchina" delle aziende di credito:
ne sono risultati fortemente influenzati consigli di amministrazione ed aree dei ruoli direttivi,
con la conseguente compressione dei diritti degli azionisti, della efficienza e della efficacia
imprenditoriale. Le deviazioni di uno statalismo eccessivo e strumentalmente interpretato
hanno sicuramente e considerevolmente inceppato la macchina del sistema bancario.
Le problematiche della spartizione e degli equilibri partitici hanno determinato il ricorso più
ampio alla "prorogatio" per moltissime cariche altrimenti scadute.
Alla fine dell'ottobre 1992 il CICR (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio) che non si riuniva da tempo immemorabile - ha finalmente indicato gli occupanti di ben 72
poltrone di banchiere.
Addirittura la Presidenza della Repubblica aveva sollecitato un impegno adeguato contro il
fenomeno perverso della "prorogatio": il Governo vi aveva aggiunto la propria volontà di
troncare, entro il 1992, l'usuale contrattazione partitica per l'assegnazione delle cariche. Oltre
tutto, al di là di un sistema complessivo di potere i cui guasti appartengono ormai più alle
cronache giudiziarie che a quelle politiche, la legge, che richiede competenza e
professionalità per chi è chiamato a governare una banca, lascia sempre meno spazi alle
vecchie abitudini. Per le nomine del 30 ottobre scorso le polemiche non sono certo mancate:
a causa delle numerosissime riconferme di precedenti designazioni basate su quei criteri che
si era dichiarato di voler rinnegare; per la individuazione di persone di sicura cultura e
professionalità ma pur sempre selezionate con le metodologie suddette. I critici hanno fatto
rilevare come il concorso di persone per così dire "al di sopra di ogni sospetto" sia stato
utilizzato per migliorare l'immagine di un metodo e di un meccanismo i cui risultati sono
all'opposto dei motivi di interesse generale che li ispirarono.
Ai primi di dicembre, il CICR ha prodotto oltre 26 designazioni, per concludere infine, al 30
dicembre, con altre 33, riguardanti tutte Casse di risparmio o loro fondazioni, od enti per il
controllo delle nuove Casse S.p.A.
Indubbiamente si è trattato di un'azione importante del Governo per assicurare certezze al
sistema, ma in quale condizione si sia proceduto lo si può dedurre dal fatto che in appena 60
giorni sono state fatte circa 150 nomine, per esigenze che in certi casi si trascinavano
addirittura da un ventennio. Vicende, tutte, che spiegano quanto e quale sia il bisogno di un
periodo di profondo rinnovamento nei metodi di direzione e nelle strutture operative. Il
mercato è ormai altamente competitivo e selettivo, lo si è detto ripetutamente, e richiede
impegni precisi.
"La lotta alla criminalità e le norme antiriciclaggio"
Oggi chi assume l'onere di governare e gestire una banca è cosciente di dover affrontare
anche altri problemi, assurti ormai ad una dimensione che non di rado rischia di essere
dirompente. Problemi che elevano gli interrogativi sulla auspicata, quotidiana attenzione per
l'etica al rango di una scelta assolutamente rilevante non solo per le responsabilità individuali
dei dirigenti, o per quelle collettive dell'agire del soggetto banca, bensì anche per la difesa dei
pilastri fondamentali su cui si reggono lo Stato di diritto e i livelli di civiltà di un Paese: la
questione è quella del come - non del se, che non appare oggettivamente in discussione concorrere con vigore alla lotta contro il riciclaggio del denaro sporco; contro le illecite
commistioni affaristiche, se non addirittura criminali, che si determinano nelle aree deviate
della vita politica ed istituzionale; contro la connotazione sovranazionale che sempre più
questi fenomeni presentano.
La prima norma contro il riciclaggio è stata introdotta nell'ordinamento italiano con il decreto
legge antisequestri n. 625 del dicembre 1979, quello con cui si imponeva l'obbligo di annotare
tutti i movimenti di contante superiore ai venti milioni di lire. La legge 55 del 1990 (antimafia)
ha potenziato il precedente regime, facendo rientrare nell'ambito dei controlli anche le
operazioni frazionate ed estendendo i vincoli - oltre che alle banche e agli uffici postali anche alle fiduciarie, agli agenti di cambio ed ai gestori dei fondi comuni.
Con la legge 197 del 1991 si è proceduto alla costituzione di archivi centralizzati presso ogni
azienda di credito, semplificando così la precedente, estrema difficoltà dei controlli bancari.
La legge lascia peraltro irrisolte questioni rilevanti: l'anonimato dei libretti al portatore,
superiori a 20 milioni, se aperti in tempi precedenti all'emanazione della legge; le operazioni
frazionate debbono essere segnalate solo se il tetto dei 20 milioni è superato in una
settimana ma con movimenti effettuati tutti presso lo stesso sportello bancario.
C'è contrasto di valutazione tra le forze dell'ordine e le banche: le prime chiedono una
maggiore collaborazione, le seconde sottolineano la difficoltà di poter individuare
ragionevolmente le operazioni sospette. Si lamenta che la 197 limiti l'obbligo delle
segnalazioni a ben definite categorie di reati. Il riferimento è "all'articolo 648 bis del codice
civile: riciclaggio di denaro proveniente da rapina aggravata, estorsione aggravata, sequestri
di persona e traffico di stupefacenti". E' il motivo per cui si deve allargare quanto prima il
meccanismo della segnalazione a tutti i reati.
Nel febbraio di quest'anno, Banca d'Italia e ABI hanno definito e indirizzato alle banche un
decalogo titolato "Indicazioni operative per la segnalazione di operazioni sospette".
Tradizionalmente in ritardo nella applicazione delle normative comunitarie, l'Italia questa volta
si è posta all'avanguardia dell'impegno antiriciclaggio. La CEE impone alle banche un loro
coinvolgimento diretto, costituito dall'impegno a dotarsi di procedure interne specifiche. Le
operazioni più a rischio sono quelle effettuate in contanti, quelle per l'estero, le operazioni per
conto terzi.
Altrettanto importante risulta essere la vigilanza sulle cassette di sicurezza, tra le operazioni
che possono far scattare i meccanismi di controllo interni alla banca, in via preventiva rispetto
alla eventuale segnalazione all'autorità bancaria.
Comprensibilmente, la questione decisiva appare quella dell'atteggiamento del management
delle banche e della preparazione degli operatori bancari: sia perché risulterebbero negativi
automatismi e rigidità, sia perché le procedure in questione non possono essere ridotte a
banali standardizzazioni burocratiche. Ancora una volta, i fatti pongono l'accento sulla
esigenza di un profondo rinnovamento nella cultura e nella prassi degli operatori bancari e
delle corrispondenti direzioni aziendali; senza confondere, come sottolineava recentemente
Lamberto Dini, direttore generale della Banca d'Italia, queste pur rilevantissime funzioni con
l'attività investigativa, di esclusiva competenza dei soggetti istituzionalmente ad essa
preposti. Giusto, anche se in nessun modo ciò porta a sottovalutare il salto di qualità, civile ed
etico prima ancora che professionale, richiesto al mondo bancario. Perché coloro che lo
compongono e vi operano vivono in una immaginaria quanto tangibile linea di confine, il cui
presidio richiede insieme capacità economico-imprenditoriali, discernimento morale,
sensibilità sociale.
Dove collocare, giorno dopo giorno, questo confine è indubbiamente compito assai arduo.
Dice Amartya Sen: "La necessità di avvicinare maggiormente l'economia all'etica non si basa
sul fatto che questa sia una cosa facile da fare. Si basa invece su ciò che ricaveremo da
questo [poiché] ci si può aspettare che i vantaggi siano alquanto cospicui" 32.
Sembra quasi che, in termini di moderna efficacia, si riproponga l'appello di un saggio il cui
insegnamento, ricco di umanità, transita attraverso i secoli: "Il sapiente non permetterà che
nemmeno un soldo di cattiva provenienza varchi la soglia della sua casa - è l'ammonimento
di Seneca - ma non escluderà e ripudierà anche grandi ricchezze, se sono un dono della
fortuna o frutto della virtù" 33.
"Coesione internazionale contro il riciclaggio"
Il problema degli interventi contro la criminalità internazionale va affrontato
contemporaneamente da parte dei diversi Paesi, in un'ottica sovranazionale. Le attività illegali
non si fermano ai confini di ciascun Paese e bisogna che i governi dell'Europa affrontino con
decisione assai più forte i problemi di un efficace coordinamento delle misure legislative e
delle attività di polizia. L'esigenza è resa ancor più incalzante dalle condizioni caotiche
dell'Europa orientale, che favoriscono l'ampliarsi delle operazioni illegali. Nel cuore del
Vecchio Continente, la Svizzera continua a ricevere un fiume di denaro di ogni provenienza.
Sotto il peso delle critiche di gran parte degli altri Paesi, gli svizzeri hanno gradatamente
allentato il segreto bancario. In casi particolari, soprattutto per quelli che sono oggetto di
interventi della magistratura, può essere addirittura tolto. In realtà, a detta dei commentatori, i
comportamenti concreti delle banche restano di segno opposto, data l'incidenza che questo
atteggiamento ha sui depositi provenienti da ogni dove: basta ricordare che il giro di affari
annuo per il commercio mondiale di droga viene stimato sui 600 mila miliardi di lire.
Non si è più nella situazione degli anni Cinquanta o Sessanta ma la Svizzera continua ad
essere il crocevia centrale di traffici mondiali: sono quello delle armi, dopo quello della droga,
o le transazioni particolari delle grandi imprese "multi" o "transnazionali".
Sarcastico quanto realisticamente tagliente è il titolo che Jean Ziegler ha dato al suo ultimo
lavoro, "La Svizzera lava più bianco". E' l'autore a ricordare, a proposito dei traffici illegali
provenienti dall'Italia, che Lugano, con i suoi 22 mila abitanti, ha più banche di Boston: ben
82, con l'aggiunta di "centinaia" di finanziarie.
Le stime riguardanti la Svizzera sono impressionanti. Le banche locali avrebbero raccolto 150
mila miliardi di lire provenienti dal traffico di droga; 50 mila versati da personalità di Paesi del
Terzo Mondo; 70 mila originati da tangenti; 80 mila dal traffico di armi; addirittura 250 mila per
evasioni fiscali.
Ogni commento è superfluo, se non il sottolineare ancora che su questo versante evidentemente decisivo per il perseguimento di obiettivi generali di difesa della legalità e dei
livelli di tenuta delle nazioni - la via obbligata è quella di grandi e solide intese internazionali
tra i governi nazionali.
Tabella 11
Tabella 11
Principali caratteristiche dei codici di comportamento degli istituti di credito in
materia di antiriciclaggio in base alla norativa CEE e alle disposizioni vigenti
in Italia, Francia, Gran Bretagna e Svizzera
Le operazioni sotto
controllo
CEE
Versamenti e prelievi di
importo superiore a 15.000
ECU anche se effettuati in
misura frazionata. Tutte le
operazioni anche di
importo inferiore effettuate
per conto terzi.
Italia
I versamenti in contanti
continui e ripetuti o di
importo superiore a 10
milioni; l'utilizzo molto
frequente delle cassette di
sicurezza; le rimesse
dall'estero di importo
rilevante; le operazioni
effettuate per conto terzi
Francia
I versamenti in contanti
per cifre rilevanti sia in
franchi sia in valuta estera
e tutte le operazioni che
esulano per caratteristiche
e importo dal tipo di
attività abituale della
clientela. Le operazioni in
contanti e valuta da e per
l'estero
Le modalità di controllo
Le procedure di
segnalazione
E' lasciata facoltà agli enti
creditizi degli Stati membri
di instaurare specifiche
procedure di controllo
interno e programmi di
addestramento per i
dipendenti sullo specifico
argomento
C'è l'obbligo di segnalazione
all'autorità giudiziaria da
parte di dipendenti e
responsabili delle banche
senza che ciò costituisca
violazione di eventuali
accordi contrattuali in
materia
L'obbligo di segnalazione
scatta per operazioni in
netto contrasto con l'attività
economica prevalente del
cliente in base alle
dichiarazioni stesse del
cliente e a eventuali
ulteriori informazioni a lui
richieste
I dipendenti che verificano il
realizzarsi di operazioni non
conformi alle abitudini del
singolo cliente devono
informarsi all'interno della
banca sul soggetto
interessato e quindi
segnalare ai vertici
dell'istituto i dati relativi
all'operazione e a chi l'ha
compiuta.
I singoli istituti debbono
verificare l'identità dei
clienti. Trale notizie
richieste ci sono quelle
relative al campo
professionale che devono
essere specificate
espressamente.
Tutte le segnalazioni vanno
indirzzate a un organismo
centralizzato che le
recepisce in maniera
riservata. La prima
indicazione parte comunque
sempre dagli impiegati allo
sportello.
Gran Bretagna
Le operazioni che non
rientrano nella pratica
normale di mercato del
Di fronte ad una
Le banche designano un
transazione che può destare funzionario responsabile
sospetti i dipendenti hanno della lotta al riciclaggio con
soggetto, per le quali si
utilizzano intermediari
esterni e risultano
collegamenti con altri
soggettti soprattutto se
residenti all'estero.
l'obbligo di avviare una
serie di verifiche dirette
soprattutto a riscontrare
l'effettiva origine dei fondi
coinvolti.
il compito di fornire
indicazioni sulle operazioni
sospette sia al proprio
istituto che alle forze
dell'ordine.
Il personale è tenuto a
prendere tutte le
informazioni su chi si
rvolge allo spoertello,
soprattutto per i conti per i
quali si richiede una
intestazione di comodo. Le
pezze d'appoggio vanno
conservate per ricostruirne
tutti i passaggi.
Le segnalazioni devono
essere indirizzate ai vertici
degli istituti di credito che,
peraltro possono rifiutasi di
compiere le operazioni per
le quali sussistono dubbi di
correttezza.
Svizzera
I versamenti in contanti
superiori ai 100.000
franchi e quelli in valute
estere. I conti a lungo
inattivi, i servizi richiesti
da persone che non
forniscono tutte le
informazioni, le operazioni
effettuate con intestazioni
fiduciarie.
Fonte: «Il Sole 24 Ore», 15 febbraio 1993.
Considerazioni conclusive
In un periodo così difficile per l'Italia, e di straordinaria rilevanza rispetto alla storia della
repubblica ed al suo futuro assetto, il valore dell'impegno etico individuale confluisce nella
ricerca e nella costruzione di una nuova dimensione politico-istituzionale e sociale del Paese.
E' il momento in cui il senso morale deve tornare ad essere incisivo nei comportamenti
individuali come nelle scelte politiche, e generali e particolari.
Bisogna evitare quella pericolosa dicotomia che Leopardi denunciava: "Parlate di morale
quanto volete ad un popolo mal governato; la morale è un detto e la politica un fatto" 34.
E nel mondo contemporaneo, nel "villaggio globale" ognuno è chiamato ad assolvere un
proprio ruolo ed una propria responsabilità, nella consapevolezza della selva di interrelazioni
che legano i comportamenti individuali e di gruppo, nel bene come nel male.
Il crollo dei tradizionali, rigidi confini tra Est e Ovest spinge ulteriormente alla ricerca delle
risorse necessarie per lo sviluppo di domani, entro le compatibilità economiche, sociali,
ambientali che delineano lo scenario di riferimento.
E' il momento in cui la rilettura dell'originario messaggio di Adam Smith può offrire rinnovati
impulsi alla crescita complessiva degli individui e della società, se condividiamo le parole di
Amartya Sen: "Il sostegno che gli assertori e i difensori del comportamento mosso
dall'interesse personale hanno cercato in Adam Smith è in realtà difficile da trovare sulla base
di una lettura più ampia e meno distorta di questo autore. Il professore di filosofia morale e il
pioniere dell'economia non condussero infatti una vita di manifesta schizofrenia. In realtà è
proprio il restringimento di ottica rispetto all'ampia visione smithiana degli esseri umani a
poter venire visto come una delle principali carenze della teoria economica contemporanea.
Questo impoverimento è strettamente legato all'allontanamento dell'economia dall'etica" 35.
La banca può essere oggi un testimone attivo e dinamico di questa concezione, pur in
presenza di molteplici ostacoli; può arricchire di risorse immateriali ma fondamentali l'antico
mestiere "del commercio dell'oro" e configurarsi così come cardine essenziale del rapporto
tra economia e territorio, tra economia e società civile.
E' questa la scelta che compete ai vertici del potere legislativo come ai gruppi dirigenti delle
singole banche, nessuna esclusa: è la scelta che può complessivamente rafforzare e
qualificare il sistema bancario italiano, traghettandolo oltre le incognite di una fase altamente
competitiva e selettiva.
CAPITOLO IV. LE BANCHE ALLO SPECCHIO: UN
SONDAGGIO PRESSO I RESPONSABILI DELLE
AGENZIE DI CREDITO
Premessa
Il sondaggio compiuto dall'EURISPES per valutare i comportamenti etici ed i valori ai quali
fanno riferimento le persone che nel mondo degli istituti di credito concentrano su di sé la
maggiore quantità di decisioni, ha riguardato 300 responsabili di agenzie o filiali di banca. Di
questi il 60% sono dei direttori e il 40% dei vicedirettori.
Il campione deve essere considerato altamente significativo, pur non trattandosi di un
campione probabilistico. La selezione delle unità infatti è stata operata attraverso una scelta
ragionata mirata il più possibile a diversificare ed a stratificare il campione rispetto alle
variabili territoriali (ampiezza dei comuni e zona geografica) e alla tipologia degli istituti
bancari.
Per quello che riguarda la tipologia degli istituti, il sondaggio si è svolto per il 21% presso
dirigenti di banche di diritto pubblico, per il 15% in banche di interesse nazionale, per il 30% in
banche di credito ordinario, per il 18% in banche popolari, cooperative e casse rurali, per il
16% in casse di risparmio e monti di credito.
I dati sono stati elaborati sia per tipo di banche che per ampiezza del comune dove operano
le agenzie interessate e infine per grandi circoscrizioni territoriali (Nord-Ovest, Nord-Est,
Centro, Sud ed Isole). Le interviste, come già detto, sono state distribuite proporzionalmente
fra i diversi istituti, le diverse ampiezze demografiche dei comuni e le aree territoriali del
Paese in modo da riflettere la composizione dell'universo (Tavole 1/a-d in appendice). Non
sono state prese in considerazione le agenzie e le filiali operanti in comuni inferiori ai 50 mila
abitanti. Nelle suddivisioni operate, i risultati possono ritenersi attendibili per tutte le voci, ad
eccezione dell'area geografica delle isole, a causa del ridotto numero di presenze.
Per questo motivo si raccomanda di usare con cautela i dati riportati nelle tavole in
appendice, mentre nel commento e nelle tabelle in esso inserite, le Isole sono state accorpate
con il Sud, ottenendo così un insieme che offre una maggiore attendibilità.
Che cos'è una banca
Il primo gruppo di domande che sono state sottoposte agli intervistati riguarda l'identità stessa
delle banche con riferimento naturalmente al suo significato etico e sociale. Quasi la metà
(49%) degli intervistati ritiene che la banca sia "un'impresa come tutte le altre" e quindi
appare privilegiare una concezione economicista e forse anche liberista dell'istituto di credito.
E' tuttavia interessante che l'altra metà degli intervistati ritenga che essa abbia una funzione
particolare che supera una concezione meramente utilitarista dell'impresa di credito giacché il
32% ritiene che essa sia soprattutto un "servizio pubblico" e il 19% la considera il "motore
dello sviluppo" (Tavola 2 in appendice).
Del resto, proponendo agli intervistati di indicare quali sono le attività più importanti del loro
istituto, è emerso che il 40% ritiene che il compito fondamentale sia quello di "salvaguardare i
depositi dei clienti", il 24% di farsi carico dello sviluppo e delle difficoltà dell'ambiente in cui lo
sportello è situato e soltanto il 27% ritiene che l'attività più importante della banca sia quella di
"privilegiare la produttività e gli utili".
Tabella 1
Le attività più importanti per una banca
Valori percentuali
Attività
Salvaguardare i depositi dei clienti
Prima Seconda Terza Quarta
risposta risposta risposta risposta
40
33
19
8
Privilegiare la produttività e gli utili
27
36
23
14
Farsi carico dello sviluppo e delle difficoltà del
territorio in cui opera
24
21
37
18
9
10
21
60
100
100
100
100
Incoraggiare l'innovazione finanziando
iniziative interessanti anche se rischiose
Totale (a)
(a) La domanda prevedeve una graduatoria delle quattro modalità ordinate
dalla più importante (prima risposta) alla meno importante (quarta risposta).
Fonte: Eurispes, 1993.
Considerando i valori massimi che ogni finalità proposta ottiene dagli intervistati (40%, 36%,
37% e 60%) la finalità strettamente economica di privilegiare la produttività e gli utili ottiene il
valore più basso anche se è quella preferita nella seconda risposta. Tuttavia, dato l'esiguo
numero delle opzioni fra le quali scegliere, la risposta da ritenere più significativa è di gran
lunga quella che è sta fornita per prima: essa indica una evidente propensione del dirigente di
banca a considerare la sua funzione sulla base di valori etici che prescindono dalla stretta
redditività economica e con riferimento ad un contesto di riferimento sociale più ampio di
quello dell'azienda.
L'etica della banca
Alla domanda se i principi etici che governano il comportamento della banca siano simili o
diversi da quelli ai quali devono fare riferimento le altre imprese economiche la maggioranza
(72%) degli intervistati ritiene che essi non abbiano fondamentalmente natura diversa (Tavola
4 in appendice). Alla luce delle risposte analizzate nel paragrafo precedente e per il fatto che
nessuno degli intervistati abbia fatto obiezione alla domanda così come era stata posta, si
deduce che i dirigenti di banca sono d'accordo con quella che è l'impostazione suggerita dalla
domanda e cioè che vi sia o che vi debba essere alla base del comportamento delle imprese
un insieme di valori etici. Appare anche rassicurante il fatto che una non trascurabile
minoranza (28%) ritiene che i principi etici di comportamento della banca debbano essere
diversi (e probabilmente superiori) dagli obblighi morali delle altre aziende. Le motivazioni
addotte da questa minoranza offrono un ventaglio abbastanza aperto di spiegazioni, dove
non prevale una scelta univoca.
Tabella 2
Perché i fondamenti etici della banca divergono da quelli delle altre imprese
Valori percentuali
Motivi
% di coloro
che riscontrano
diversità di
principi etici
fra le banche e
le altre imprese
Tot. Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Area geografica
Banche Pop./
+
10050- N- N- Centro SudCoop./ 250.000 250.000 100.000 O E
Isole
Casse
28
26
33
28
28
29 30 36
26 19
Motivi addotti della differenza
La banca
24
24
esercita attività
di interesse
pubblico
24
17
29
36 30 21
13
29
La banca deve
tutelare gli
interessi dei
clienti
29
28
29
31
18
43 15 32
40
36
La banca opera
con il denaro
degli altri
17
24
6
19
18
7 22 18
7
14
La banca deve
tutelare il
segreto
bancario
11
8
15
10
11
14 7 21
7
-
La banca è il
perno
dell'economia
4
4
3
5
4
- 7
-
-
7
La banca non
vende offre un
servizio
4
6
-
7
-
- 4
-
-
14
20
14
30
19
25
14 15 21
40
7
Altro
Nota: I totali superano 100 perché alcuni intervistati hanno fornito più di una
risposta.
I dati devono essere considerati indicativi poiché la base dei rispondenti è più
piccola del campione considerato.
Fonte: Eurispes, 1993.
Come si vede dalla Tabella 2 i fondamenti ispiratori del comportamento delle banche rispetto
alle altre imprese sono di diversa natura ma per oltre il 50% degli intervistati discendono da
una visione della banca principalmente come servizio. Al primo posto infatti troviamo la tutela
degli interessi dei clienti a cui si può avvicinare la prudenza che si ritiene necessaria quando
si lavora con il denaro degli altri (17% che occupa il terzo posto in graduatoria); ma anche la
frequenza di risposte che vedono la diversità della banca dipendere dalla considerazione che
essa svolge un'attività considerata pubblica, conferma che fondamentalmente i dirigenti
bancari ritengono di compiere un lavoro al servizio della collettività.
A differenza dei giudizi sulla identità della banca, dove le risposte si distribuivano in maniera
sostanzialmente uguale fra i diversi tipi di istituto, nei diversi comuni classificati a seconda
della loro ampiezza e nelle diverse aree d'Italia, nei confronti di questa domanda, che vuol
fare emergere le peculiarità delle banche rispetto alle altre imprese, si evidenziano delle
differenze fra le diverse categorie di intervistati.
Se è sostanzialmente uguale, fra i diversi gruppi, la percentuale di coloro che considerano
che il fondamento delle banche sia simile a quello delle altre imprese, diversa è invece la
percentuale dei rispondenti sui motivi che provocano una diversità dell'etica delle banche.
Il fatto che la banca dovrebbe darsi uno stile diverso perché opera con il denaro degli altri
trova molto più d'accordo i dirigenti delle grandi banche nazionali e delle banche di credito
ordinario rispetto a quelli delle banche popolari, delle casse di risparmio e delle cooperative.
La presumibile minore consuetudine con il pubblico degli operatori delle grandi banche
probabilmente fa sì che sia sentita con più forza la motivazione più astratta.
La domanda che tendeva ad identificare la principale finalità etica della banca forniva soltanto
tre possibilità di risposta: "favorire lo sviluppo economico", "aiutare e garantire i clienti",
"mantenere il controllo sull'origine e l'impiego del denaro". La terza modalità di risposta è
evidentemente quella che permette di conoscere l'importanza che viene attribuita alla banca
per un suo ruolo attivo nella lotta al riciclaggio del denaro sporco e ad altre operazioni
criminali e illegali. Come si vede nella Tabella 3 questa finalità viene sentita come primaria
solo da una minoranza di intervistati (9%), ma anche come seconda finalità, sia pure con un
valore più alto (31%), non ottiene un grande consenso.
Tabella 3
La principale finalità etica delle banche
Valori percentuali
Finalità
Favorire lo sviluppo economico svolgendo bene il
proprio ruolo nel sistema
Aiutare, proteggere, garantire i clienti
Mantenere il controllo sull'origine e sull'impegno del
denaro
Totale
Prima
risposta
76
Seconda
risposta
15
53
9
31
100
100
Nota: La domanda prevedeva una scelta di due risposte ordinate per
importanza.
Fonte: Eurispes, 1993.
Vi è conflitto fra etica ed economia?
16
Un punto che si è voluto esplorare, anche perché su di esso è aperto un dibattito teorico (si
veda in particolare il primo capitolo di questa ricerca, Etica ed economia) è quello che
riguarda la possibilità di conflitto fra i comportamenti etici e le leggi, fra i comportamenti etici e
le aspettative degli altri, fra i comportamenti etici e il vantaggio economico dell'impresa. In
linea generale si può dire che su tutte e quattro le questioni vi è una maggioranza che ritiene
come l'informare a comportamenti etici l'azione della banca e dei funzionari che ne hanno la
responsabilità non provochi conflitti o possa addirittura favorire i rapporti con gli altri e con il
mondo esterno. Tuttavia questa maggioranza non è molto consistente. Vi è una cospicua
percentuale di dirigenti che ritiene che un comportamento etico possa mettere in conflitto con
le leggi ed i regolamenti (37%) o con le persone con le quali si lavora (42%). Tuttavia è molto
minore la quota di intervistati che ritiene che il perseguimento di finalità etiche possa
danneggiare la persona che lo mette in atto (28%) e ancor minore quella che pensa che essa
possa danneggiare la banca (20%) (Tavole 7/a-d in appendice).
Dando alle diverse risposte un peso da 0 a 100 e calcolando la media ponderata, è possibile
definire per ogni affermazione, l'orientamento delle risposte più verso l'accordo (valori
compresi tra 50 e 100) o il disaccordo (valori da 50 a 0), ottenendo i risultati esemplificati
nella Tabella 4.
Tabella 4
Conflitti e danni provocati dai comportamenti etici nella banca
Grado di accordo per ogni affermazione - Valori medi ponderati (a)
Grado di accordo
Un comportamento etico:
Può porre in conflitto con le leggi o i regolamenti
Totale NO
N- Centro
E
SudIsole
46
47
46
45
43
Può creare conflitto con le persone con le quali
lavora
47
49
46
53
44
Può danneggiare chi lo attua
38
38
38
44
32
Può danneggiare la stessa banca
30
30
32
35
25
(a) La media ponderata è calcolata moltiplicando il valore attribuito ad ogni
grado di accordo per il numero delle risposte e dividendo per il totale degli
intervistati.
Fonte: Eurispes, 1993.
Come si vede il grado di percezione della possibilità di conflitto fra il comportamento etico e le
leggi ed i regolamenti è sostanzialmente uguale in tutte le aree d'Italia, mentre si nota una
qualche differenza nei confronti degli eventuali conflitti interni alla banca: particolarmente
sensibili alla possibilità di conflitti con colleghi, dipendenti e superiori sono i funzionari del
Centro Italia.
Anche all'interno di una sostanziale adesione dei funzionari di tutta Italia all'idea che il
comportamento etico non danneggia né chi lo attua né la stessa banca (l'indice di adesione
su queste affermazioni è infatti orientato al disaccordo, 38 per la prima e 30 su 100 per la
seconda) notiamo una certa differenza di atteggiamento fra le diverse regioni d'Italia. In
particolare sono proprio gli operatori del Sud a ritenere, con più forza degli altri italiani, che un
comportamento etico dei funzionari avvantaggi la banca.
La questione se un comportamento etico della banca e dei suoi funzionari possa creare
conflitti è stato analizzato con domande più puntuali.
Di fronte all'affermazione secondo la quale l'etica e il "giusto profitto" sono inconciliabili,
un'affermazione quindi di carattere estremamente astratto che va al cuore stesso dei principi
che guidano l'economia capitalistica di mercato, troviamo che poco più di un terzo (37%) si
trova d'accordo con l'enunciato, mentre la maggioranza (63%) è composta da funzionari che
sono in pieno (15%) o moderato disaccordo (31%), ovvero non si pronunciano (17%).
Escludendo questi ultimi, resta comunque una consistente percentuale di funzionari (46%)
che ritiene che il "giusto" profitto sia conciliabile con l'etica, contro quel 37% che ritiene che
questo non sia possibile (Tavola 14/a in appendice).
Vi è quindi una maggioranza di funzionari che sposa il principio centrale della scienza
economica liberista (il profitto) come guida all'azione dell'impresa, al punto di ritenere che il
suo perseguimento non ingeneri conflitti con la morale e dando l'impressione di un ceto molto
sensibile ai valori di mercato e della concorrenza. Questo in parte sorprende dal momento
che, come è noto, la stragrande maggioranza delle banche italiane ha avuto ed ha una
proprietà pubblica o cooperativa.
Alla domanda se la crescente concorrenza renda più difficile all'istituto di credito porsi
problemi etici, il 47% degli intervistati si dichiara in disaccordo con l'affermazione e ritiene che
ciò invece aumenterà la sensibilità morale della banca, contro il 40% che afferma che la
ridurrà ed il 13% che non prende posizione (Tavola 14/b in appendice).
Molto più forte il grado di adesione all'affermazione secondo la quale un comportamento etico
può migliorare le prestazioni ed il successo dell'Istituto.
Infatti la frase: "un comportamento etico è, alla lunga, dannoso; può creare una perdita di
clienti e di depositi", ha trovato solo un quarto (24%) dei funzionari d'accordo e ben il 65% in
disaccordo (Tavola 14/c in appendice).
Risultati ancora più confortanti si sono ottenuti con l'affermazione che recita: "un
comportamento etico, anche se può implicare minori profitti, nel lungo periodo, è sicuramente
produttivo perché crea un clima di fiducia". In questo caso infatti l'86% dei funzionari si è
dichiarato d'accordo e solo il 3% in disaccordo (Tavola 14/d in appendice). Vi è quindi una
certa paura (espressa da una consistente minoranza) che comportamenti etici possano
danneggiare l'istituto, ma per quasi tutti vi è la certezza che seguire principi morali sia il
comportamento più produttivo, anche in termini economici.
Dall'insieme delle risposte (ultima riga della Tabella 5, "indice sintetico"), si evince che hanno
più fiducia nella conciliabilità fra valori morali e mercato i funzionari delle filiali ed agenzie
poste nei piccoli centri e quelli del Mezzogiorno. Anche se è azzardato fornire una
interpretazione, dal momento che lo scarto dalla media non appare, anche per questi due
gruppi, estremamente significativo, è tuttavia difficile sottrarsi all'impressione che questa loro
fiducia sull'eticità del mercato capitalistico discenda dalla maggiore consapevolezza che, in
quegli ambienti, si possono avere più frequentemente quei guasti provocati, in molte aree del
nostro Paese, dai sistemi di conduzione ispirati ad una concezione pubblica.
Tabella 5
Conflitto fra valori etici e valori economici
Grado di accordo per ogni affermazione - Valori medi ponderati
Affermazioni
Tot. Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Area geografica
Banche Pop./
+
10050- N- N- Centro SudCoop./ 250.000 250.000 100.000 O E
Isole
Casse
Putroppo etica e
giusto profitto sono
spesso inconciliabili
47
47
47
48
53
32 49 47
51
42
La crescente
concorrenza rende
sempre più difficile
47
47
45
49
47
39 51 47
46
42
per le banche porsi
problemi etici
Il comportamento
etico è alla lunga
dannoso: può creare
una perdita di
clienti e depositi
33
32
34
32
35
29 35 31
33
31
Il comportamento
etico, anche se può
implicare minori
profitti, nel lungo
periodo è
sicuramente
produttivo perché
crea un clima di
fiducia
83
82
84
81
84
84 81 87
79
83
Indice sintetico
sull'esistenza di
conflitti fra etica e
mercato
(conciliabilità=100;
inconciliabilità=0)
64
64
66
63
62
71 62 66
64
67
Fonte: Eurispes, 1993.
Dall'insieme delle risposte (ultima riga della Tabella 5, "indice sintetico"), si evince che hanno
più fiducia nella conciliabilità fra valori morali e mercato i funzionari delle filiali ed agenzie
poste nei piccoli centri e quelli del Mezzogiorno. Anche se è azzardato fornire una
interpretazione, dal momento che lo scarto dalla media non appare, anche per questi due
gruppi, estremamente significativo, è tuttavia difficile sottrarsi all'impressione che questa loro
fiducia sull'eticità del mercato capitalistico discenda dalla maggiore consapevolezza che, in
quegli ambienti, si possono avere più frequentemente quei guasti provocati, in molte aree del
nostro Paese, dai sistemi di conduzione ispirati ad una concezione pubblica.
Quale etica per la banca
Stabilite quali sono le motivazioni e le conseguenze dei comportamenti etici nelle banche,
secondo l'interpretazione che ne danno i loro responsabili, è stato chiesto agli stessi quali
sono i valori che informano l'etica di una banca.
A tale scopo è stata proposta una serie di valori che sono riportati nella Tabella 6. L'elenco di
questi valori non ha naturalmente un valore esaustivo: essi sono stati scelti sia con
riferimento alla particolare attività bancaria, sia a quelli che vengono più di frequente indicati
come valori guida dai manuali di management.
E' da sottolineare che la domanda non era rivolta a conoscere quali sono i valori che,
nell'opinione degli intervistati, dovrebbero guidare l'azione delle banche, ma tendeva piuttosto
a farli esprimere su quella che, sulla base della loro esperienza, è la morale che guida di fatto
oggi in Italia il comportamento delle banche e ne definisce lo stile.
I valori, ai quali è stato riconosciuto maggior peso nella condotta delle banche oggi e che
probabilmente riflettono se non i desideri degli intervistati, certamente però il loro modo di
interpretare il proprio lavoro e la domanda che in questo senso proviene dai vertici, sono, in
ordine decrescente: la professionalità, il profitto, la trasparenza, la competizione, l'efficienza,
mentre valori come la parsimonia, l'onestà ma anche l'audacia occupano gli ultimi posti della
scala.
Tabella 6
Valori che guidano l'azione delle banche
Frequenza di risposte in ordine decrescente - Valori percentuali
Risposte
Valori
Professionalità
58
Profitto
35
Trasparenza
30
Concorrenza
27
Efficienza
26
Rispetto del cliente
23
Riservatezza
23
Correttezza
18
Prudenza
15
Legalità
11
Efficacia
9
Onestà
5
Flessibilità
4
Internazionalità
4
Sfida
2
Potenza
2
Modernità
2
Precisione
1
Parsimonia
1
Audacia
1
Nota: Il totale è superiore a 100 perché gli intervistati hanno fornito più di una
risposta.
Fonte: Eurispes, 1993.
Per quello che riguarda la distribuzione delle risposte rispetto ad altre variabili non vi sono
sensibili differenze fra i diversi gruppi di intervistati. Si può notare, tuttavia, che nei comuni più
piccoli è sentito con maggior peso il valore della massimizzazione del profitto (45% contro il
33% dei comuni più grandi) forse perché contrasta con quella che appare essere la finalità
etica che la banca dovrebbe maggiormente perseguire in quegli ambienti che è quella di
mettersi al servizio del territorio.
Allo stesso modo si nota che sia nel Sud che nelle Isole vi è una minore sottolineatura
dell'importanza della concorrenza fra i principi che guidano la condotta delle banche (16%
contro l'oltre 30% del Centro-Nord) (Tavola 9 in appendice).
Nel perseguire un comportamento etico è anche importante sapere a quale fonte di autorità si
fa riferimento. Si è così chiesto ai funzionari di banca quale fosse il miglior criterio da seguire
per operare scelte eticamente corrette e cioè: se limitarsi ad applicare il più
coscienziosamente possibile leggi e regolamenti, se riferirsi alle volontà e alle esigenze del
cliente, se agire secondo i dettami della propria coscienza anche se questi possono entrare in
conflitto con le leggi o con gli interessi dei clienti. La maggior parte degli intervistati (54%)
ritiene che le leggi, i regolamenti e le procedure consuetudinarie della banca siano sufficienti
a garantire un comportamento etico. Il 28%, e cioè una consistente minoranza, ritiene invece
che occorra privilegiare il dettato che proviene dalla propria coscienza. Il dato è significativo
perché nella domanda erano evidenziati i possibili pericoli di conflitto ai quali un
comportamento così puro può dare luogo. Solo il 16% degli intervistati pone invece come
referente delle proprie scelte l'interesse e/o le esigenze della clientela (Tavola 8 in
appendice).
La "qualità" nelle banche italiane
Agli intervistati è stato anche chiesto quale fosse l'indirizzo etico che viene loro richiesto dai
vertici dagli istituti nei quali operano.
Sono state proposte solo tre tipologie di comportamento tra le quali gli intervistati potevano
scegliere. Tuttavia l'impostazione delle alternative è risultata soddisfacente, giacché solo due
persone su trecento hanno fornito una risposta personale e diversa da quelle suggerite
(Tavola 15 in appendice).
I tre tipi di comportamento proposti rimandano a tre dimensioni dell'etica: l'etica del lavoro,
che non esclude la responsabilità del funzionario, l'etica gerarchica e l'etica pura del mercato
senza assunzioni di altre responsabilità morali da parte del dirigente.
Quasi la metà degli intervistati (48%) ritiene che i vertici del suo istituto gli richiedano
soprattutto una professionalità unita ad una coscienza critica, poco più di un terzo pensa
invece che la direzione centrale voglia dai suoi funzionari solo efficienza economica e voglia
essere investita delle situazioni che possono far sorgere problemi etici e solo il 15%, infine,
ritiene che l'adesione alle norme ed alle istruzioni dei superiori sia tutto ciò che il vertice
chiede ai propri funzionari.
Tabella 7
Cosa chiedono i vertici ai propri funzionari
Valori percentuali
Comportamento da seguire Tot.
Ampiezza dei comuni
Area geografica
+
10050N- N- Centro Sud250.000 250.000 100.000 O E
Isole
Fare bene il proprio lavoro,
senza rinunciare ad una
funzione critica
48
46
42
67 55 51
40
43
Cercare soprattutto di
accrescere il giro d'affari e gli
utili del proprio sportello
delegando la soluzione degli
eventuali problemi etici al
36
41
36
22 33 40
40
34
management
Affidarsi ai regolamenti ed
alle direttive dei superiori
15
12
22
1
2
-
100
100
100
Altro
Totale
10 12
-
-
8
19
23
1
1
-
100 100 100
100 100
Fonte: Eurispes, 1993.
Si può notare come la prima indicazione (fare bene il proprio lavoro...) riassuma, forse in
maniera semplicistica, i comportamenti che vengono richiesti da una gestione tesa alla qualità
totale. Sarebbero quindi quasi la metà degli sportelli italiani che richiedono questo tipo di
comportamento ai propri dirigenti.
E' anche interessante notare le differenze che emergono dai diversi ambienti in cui le banche
operano (non vi sono viceversa scostamenti significativi fra i diversi tipi di banca).
Innanzitutto l'accento sul lavoro e la capacità critica dei direttori verrebbe richiesto soprattutto
alle agenzie ed alle filiali operanti nei piccoli centri.
Più interessante è la distribuzione delle risposte per grandi aree geografiche, dove
apparirebbe che le agenzie del Nord sono in misura maggiore indirizzate verso una gestione
di qualità rispetto a quelle del Centro e del Sud.
Ciò risulta dalla giustapposizione della prima riga della Tabella 7 (etica del lavoro) e della
terza (etica gerarchica). L'etica del lavoro, rafforzata da una coscienza critica del direttore,
viene richiesta soprattutto al Nord, la sottomissione gerarchica, pur essendo comunque
minoritaria, è la più apprezzata al Centro-Sud.
C'è differenza di comportamento etico tra le diverse banche?
Alla domanda se le banche tengono conto dei problemi etici nel loro comportamento gli
intervistati si dividono in due grandi categorie. Da un lato vi sono coloro (41%) che sono
convinti che le banche tengano molto conto dei problemi etici e dall'altro (45%) quelli che
invece trovano che esse siano guidate da comportamenti etici in una giusta misura (né molto,
né poco). Esigua invece (14%) la percentuale di coloro che ritengono che le banche siano
poco attente ai valori morali. Questa percentuale, come si vede dalla Tabella 8, tende a
ridursi ulteriormente nel Sud e nelle Isole, mentre i funzionari delle banche popolari, delle
cooperative e delle casse di risparmio rappresentano la maggioranza (46%) fra coloro che
affermano che i problemi etici hanno molto peso all'interno degli istituti di credito.
Tabella 8
Sensibilità etica delle banche
Valori percentuali
Quanto le banche Tot. Tipo di istituto
Area geografica
tengono conto
Banche Pop./ N-O N-E Centro Suddei problemi etici
Coop./
Isole
Casse
Molto
41
39
46
36
36
43
51
Né molto né poco
45
47
41
45
49
41
43
Poco
14
14
14
19
14
16
5
Totale
100
100
100 100 100
100 100
Fonte: Eurispes, 1993.
Rispetto alla domanda relativa a quale sia oggi in Italia il tipo di banca più attento e sensibile
ai problemi etici, gli intervistati manifestano una netta preferenza verso la piccola banca
locale. Infatti i funzionari delle banche di diritto pubblico, di interesse nazionale e di credito
ordinario si dividono abbastanza equamente tra coloro che ritengono più attenta ai problemi
etici la grande banca nazionale (31%), la piccola banca locale (33%) e coloro che non
trovano differenza nei comportamenti (36%). I funzionari invece delle banche popolari, delle
casse rurali e delle casse di risparmio, dichiarano in netta maggioranza (62%) di credere in
una migliore sensibilità delle piccole banche locali nel confronto con le banche nazionali
(15%). La piccola banca locale è dunque privilegiata anche a livello complessivo del
campione (43%) (Tavola 11 in appendice).
Una differenza abbastanza sensibile nella valutazione dell'eticità delle banche, a seconda che
esse rappresentino istituti di rilevanza nazionale o siano imprese di interesse locale, si
manifesta anche fra il Nord ed il Sud del Paese.
Tabella 9
Piccolo è bello
Valori percentuali
Tipo di banca più
attenta e sensibile
ai problemi etici
Area geografica
Totale Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud e Isole
Piccola banca locale
43
34
57
60
26
Grande banca nazionale
25
25
21
17
36
Non c'è differenza
32
42
22
21
38
..
..
..
2
..
100
100
100
100
100
Non so
Totale
Fonte: Eurispes, 1993.
Come si vede la banca locale incontra il massimo del successo nelle aree (Nord-Est e
Centro) della cosiddetta Terza Italia dove sono state probabilmente artefici importanti dello
sviluppo del reticolo di piccole imprese che si è creato negli ultimi vent'anni. E' pur vero che
sono queste le aree dove le piccole banche sono più presenti, sia nella realtà italiana che,
naturalmente nel nostro campione.
Più interessante è la differenza che si ricava, sempre dalla Tabella 9, fra il comportamento
degli intervistati del Centro-Nord e quelli del Sud. I funzionari meridionali ritengono più
sensibili ai problemi etici le grandi banche nazionali che non i piccoli istituti locali. Ciò
discende evidentemente da una diversa percezione dell'ambiente circostante che, nel Sud e
nelle Isole, si dimostra spesso ambiguo.
I motivi per i quali le piccole banche sono fondamentalmente più sensibili ai problemi etici
sono quasi tutti circoscrivibili al rapporto ed alla migliore conoscenza dei clienti e delle loro
esigenze, nonché al fatto di avere una visione diretta dei problemi del territorio (Tavola 12 in
appendice).
Curiosamente la grande banca nazionale esprimerebbe, per coloro che ne hanno indicato il
primato morale, una maggiore sensibilità etica per gli stessi motivi, sia pure giudicati in
maniera contraria, che fanno la fortuna delle piccole banche.
Infatti la maggiore eticità del grande istituto discenderebbe dal fatto che esso è meno
soggetto alle pressioni ed ai condizionamenti locali e che la sua azione è sottoposta a
maggiori controlli e passa attraverso un numero maggiore di filtri (complessivamente 51%).
Solo il 23% ritiene invece che la maggiore sensibilità ai problemi etici derivi dal fatto che la
grande banca possiede un'organizzazione migliore, una struttura più efficace ed una visione
più ampia (Tavola 13 in appendice).
Banche e illegalità
Numerose sono le situazioni nelle quali la banca si trova ad essere testimone o complice,
magari involontario, di azioni illegali o che servono per coprire, mascherare o aiutare
violazioni giuridicamente rilevanti quando non addirittura criminali. La cronaca degli ultimi
mesi si è occupata di fenomeni di riciclaggio di denaro sporco, di crediti concessi con troppa
facilità per azioni apparentemente truffaldine o poco solide dal punto di vista economico;
infine la stessa lottizzazione partitica delle presidenze e dei consigli di amministrazione può
aver provocato distorsioni al limite della legalità nelle carriere dei dipendenti e nella
destinazione dei crediti.
Si è voluto perciò chiedere ai responsabili delle agenzie e delle filiali da noi intervistati quale
fosse la frequenza di questo fenomeno e su quali operazioni sia più frequente il sospetto da
parte dell'istituto di credito di trovarsi di fronte a operazioni di dubbia legalità. Data la
delicatezza dell'argomento e al fine di evitare rifiuti che avrebbero inficiato la validità
dell'intero sondaggio, non si è però ritenuto opportuno chiedere quale fosse il tipo di reato il
cui fumus sarebbe stato avvertito dai funzionari di banca.
Occorre anche tener presente che il sondaggio si è rivolto a direttori e responsabili di filiali e
di agenzie i quali evidentemente, per la posizione che occupano, non sono in grado di
percepire eventuali illegalità per operazioni di grandi dimensioni o di ampia rilevanza politica,
operazioni che evidentemente non passano attraverso lo sportello ma sono approvate (o
rigettate) nei punti decisionali più alti degli istituti. Si pensi al caso del finanziamento della
vendita di armi all'Iraq da parte della BNL o a trasferimenti bancari (magari su piazze estere)
con finalità corruttrici. Siamo evidentemente fuori dalle possibilità oggettive di controllo dei
responsabili di agenzia. Detto ciò, resta tuttavia molto alta la percentuale di risposte positive
fornite alla domanda: "nell'attività di una banca, capita mai di trovarsi di fronte ad operazioni
che fanno pensare ad attività illecite?".
Il 78% degli intervistati ha risposto "sì" e occorre anche tener conto che una parte dei "no"
(22%) può esser stata dettata più dalla prudenza che da reale convincimento.
La percentuale dei "sì" è sostanzialmente omogenea per i diversi tipi di banche e per le
differenti dimensioni dei comuni; sembrerebbe comunque che vi siano più sospetti di attività
illecite nelle banche dei comuni che hanno fra i 100 ed i 250 mila abitanti: 81% (Tavola 16 in
appendice).
Anche fra le diverse aree geografiche del Paese non vi sono differenze sensibili di risposte,
anche se i funzionari del Centro-Italia riscontrano maggiori insidie.
Per quanto riguarda la frequenza con la quale capita di trovarsi di fronte ad operazioni
presumibilmente connesse ad attività illecite, la stragrande maggioranza degli intervistati
ritiene che essa si verifichi raramente.
Tabella 10
Le banche e le attività illegali
Valori percentuali
Capita mai di trovarsi di fronte ad
Totale Nord- Nord- Centro Sud e
operazioni che fanno pensare ad attività
Ovest
Est
Isole
illecite?
Sì
78
74
81
83
74
No
>
26
19
17
26
Totale
100
100
100
100
100
Fonte: Eurispes, 1993.
La percentuale di coloro che ritengono di trovarsi spesso di fronte a situazioni
presumibilmente connesse ad attività illecite oscilla dall'11% del Nord-Ovest al 3% del NordEst, dall'8% del Centro al 7% del Mezzogiorno. Si tratta tuttavia, data l'esiguità del campione,
di valori troppo piccoli per poter fornire una base per un'analisi conclusiva.
Il dato più rilevante resta quindi che una percentuale molto vicina al 90% in tutte le aree
geografiche afferma di essersi trovata raramente di fronte a situazioni che facessero pensare
ad attività illecite.
Tabella 11
Operazioni presumibilmente connesse ad attività illecite
Valori percentuali
Frequenza Tot. Tipo di istituto Ampiezza dei comuni
Area geografica
con la quale
Banche Pop./
+
10050- N- N- Centro Sudtali situazioni
Coop./ 250.000 250.000 100.000 O E
Isole
si verificano
Casse
Molto spesso
..
-
1
-
1
-
- 2
-
-
Spesso
7
8
6
6
9
8 11 3
8
7
88
89
88
90
85
89 88 87
90
89
4
3
4
4
4
2
4
Raramente
Mai
3
2 7
Fonte: Eurispes, 1993.
Con riferimento alle richieste di operazioni che fanno più facilmente sospettare di essere la
copertura di attività presumibilmente illecite, si nota una precisa prevalenza dei depositi e/o
versamenti (58% delle segnalazioni). Le rimanenti operazioni "sospette" si dividono
abbastanza equamente fra trasferimenti (33%), operazioni finanziarie (27%) e richieste di
credito (21%), che appare quindi l'operazione dietro la quale vi sono meno probabilità che si
celino operazioni illecite (Tavola 18 in appendice).
Il comportamento delle banche di fronte alle situazioni illecite
La prima domanda, rispetto al comportamento pratico degli operatori di sportello a fronte di
possibili operazioni illegali o illecite, è stata quella relativa al giudizio che i direttori di agenzia
e di filiale esprimono nei confronti delle nuove norme emanate dalla Banca d'Italia contro il
riciclaggio.
Occorre subito rilevare una sostanziale e quasi completa adesione degli operatori allo spirito
che ha informato la direttiva ed anche alle procedure che essa prevede. Infatti ben il 70%
degli intervistati è sostanzialmente d'accordo sia sulla loro introduzione che sulla loro
efficacia. Un 13%, pur trovandole utili, rileva che tuttavia la banca resta comunque dotata di
pochi strumenti per poter intervenire in maniera veramente efficace contro il riciclaggio. Infine
solo il 13% le ritiene inutili e/o inopportune (Tavola 21 in appendice).
Tabella 12
Giudizio sulle direttive antiriciclaggio della Banca d'Italia
Valori percentuali
Giudizio
Tot.
Tipo di istituto
Banche
Area geografica
Pop./
N-O N-E Centro SudCoop./Casse
Isole
Norme utili ed opportune
70
71
66
61
73
64
81
Utili ma insufficienti
13
14
12
16
14
14
9
Inutili e/o inopportune
13
11
18
16
12
17
8
4
4
4
7
1
5
2
100
100
Altro
Totale
100 100 100
100 100
Fonte: Eurispes, 1993.
Mentre non vi sono grandi differenze nel giudizio da parte dei direttori delle agenzie a
seconda che siano situate nei grandi o nei piccoli centri, si rileva viceversa una maggiore
indifferenza verso le norme antiriciclaggio da parte dei funzionari delle banche popolari,
cooperative o delle casse di risparmio, pur se la percentuale delle persone critiche nei
confronti delle direttive resta molto contenuta (18%). Fa anche piacere notare che la massima
accettazione di queste norme viene dagli sportelli del Sud (ed anche la minor sfiducia sulle
possibilità delle banche di poter essere efficaci in questa lotta).
Per maggiori dettagli nelle risposte e nella loro distribuzione si rimanda alla Tavola 21 in
appendice, con l'avvertenza che i dati sulle Isole non sono, se staccati dal Sud,
statisticamente significativi.
Per quanto riguarda il margine di autonomia del direttore di filiale e di agenzia di fronte a
situazioni di dubbia legalità, la maggioranza (74%) degli intervistati ritiene che esso sia
adeguato.
In particolare per il 26% sarebbe totale, per il 28% sarebbe molto ampio e per il 20%
sufficiente. Per il 25% esso invece sarebbe inadeguato, o perché molto limitato (14%) o
perché praticamente nullo (11%) (Tavola 19 in appendice).
Nei confronti infine di un dipendente che avesse commesso azioni illecite la metà degli
intervistati ritiene che il comportamento più etico sarebbe quello di denunciarlo, il 31% di
allontanarlo senza dare pubblicità al fatto ed il 15% cercherebbe di recuperare il colpevole
(Tavola 20 in appendice).
Del resto gli intervistati esprimono in larga maggioranza (66%) la convinzione che gli sportelli
operanti in territori ad elevati tassi di criminalità dovrebbero aumentare i controlli su ogni
singola operazione e collaborare strettamente con le autorità segnalando ogni anomalia
(Tavola 30 in appendice).
Le banche e i clienti
Questa sezione del sondaggio aveva l'obiettivo di indagare quale fosse l'azione delle banche
di fronte a comportamenti eticamente riprovevoli, ma non illegali, dei clienti. Si sono presi in
considerazione tre casi: quello di un'azienda che opera in un settore eticamente discutibile,
quello di una evidente incongruenza fra la dichiarazione fiscale ed il reddito del cliente e
quello di un'impresa che evade i contributi previdenziali.
Su tutte e tre le questioni emerge una maggioranza aliena dall'intervenire in alcun modo
(Tavole 22-24 in appendice).
La Tabella 13 sintetizza le percentuali delle risposte ottenute su questo argomento. La
tendenza evidente da parte della maggior parte dei direttori di banca è quella di rifiutarsi ad
erigersi a giudici dei clienti, in particolare per quello che riguarda le evasioni fiscali e
previdenziali.
Qualche parola va spesa per meglio interpretare le risposte alla domanda sulla concessione
di credito ad aziende operanti in settori eticamente discutibili. Nel porre la domanda non ci si
aspettava che l'intervistato rispondesse sulla base della sua interpretazione della definizione
per la verità un poco astratta. Tuttavia, se richiesto, l'intervistatore specificava trattarsi di
operazioni socialmente nocive, più che illegali, quali: industrie inquinanti, usura, edilizia
abusiva, appalti pubblici eccessivamente vantaggiosi, ecc.
Come si vede dalla Tabella 13, circa una metà degli intervistati, di fronte a situazioni di questo
genere, non terrebbe conto del danno sociale che il finanziamento di queste operazioni
procura, mentre l'altra metà rimetterebbe la questione ai superiori.
Tabella 13
Comportamenti della banca nei confronti di clienti eticamente discutibili
Valori percentuali
Comportamento
Azienda operante
in settore
eticamente
discutibile
Cliente evasore
fiscale
Cliente evasore
previdenziale
1
2
3
4
5
1
2
3
4
5
1
2
3
4
5
Non tener conto del
fatto
48
52
43
62
39
62
60
72
62
55
60
64
55
72
51
Chiedere
l'autorizzazione ai
superiori
48
47
56
31
53
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
Parlarne con il cliente
-
-
-
-
-
24
26
23
24
23
27
24
34
16
34
Rifiutarsi
all'operazione e/o
denunciare il cliente
2
-
-
2
7
13
13
5
14
20
12
12
8
12
14
Non sa, non risponde
2
1
1
5
1
1
1
-
-
2
1
-
3
-
1
Totale
100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100
Legenda: 1) Totale; 2) N-O; 3) Centro; 5) Sud-Isole.
Fonte: Eurispes, 1993.
Non si notano grandi scostamenti dalla media se suddividiamo il campione per tipo di banche,
e neppure per classe d'ampiezza dei comuni, se si eccettua forse una maggiore reticenza a
giudicare i comportamenti dei clienti da parte dei funzionari dei comuni fra i 100 ed i 250 mila
abitanti ed una maggiore propensione ad intervenire sulle questioni previdenziali di quelli dei
centri maggiori (Tavole 22-24 in appendice).
Più interessante ci è parso concentrare l'attenzione sui comportamenti nelle diverse aree
territoriali.
Neppure fra queste si notano comunque grandi differenze; tuttavia emerge un
comportamento più preoccupato della moralità dei clienti nel Nord-Est e nel Mezzogiorno,
ossia nelle aree del nostro Paese considerate più permeate di cultura cattolica.
Infatti sia il Nord-Est che soprattutto il Mezzogiorno mostrano una minore tendenza a
considerare le imprese che operano in maniera eticamente discutibile alla stessa stregua
delle altre (fra i meridionali inoltre si trova anche una minoranza decisa a non concedere il
credito in quelle situazioni); così sempre nel Nord-Est e nel Mezzogiorno vi è una maggiore
attenzione all'evasione previdenziale e consistenti percentuali (34%) di funzionari che
ritengono loro dovere parlare della questione con il cliente. Nord-Est e Sud divergono però
nei comportamenti di fronte all'evasione fiscale, che è evidentemente considerata meno
grave nel Veneto che nel Sud.
Lottizzazione e corruzione
I direttori delle agenzie e delle filiali ritengono, con una grandissima maggioranza (80%) che
la proprietà pubblica delle banche sia la causa principale del loro "infeudamento politico".
Tabella 14
La proprietà o il controllo pubblico delle banche sono la causa dell'«infeudamento politico»
delle grandi banche
Valori percentuali
Grado di accordo
Totale Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud-Isole
D'accordo
80
82
86
85
69
Né d'accordo né in disaccordo
10
14
10
3
12
Non d'accordo
10
4
4
12
19
Fonte: Eurispes, 1993.
Come si vede dalla Tabella 14 vi sono, pur nella sostanziale omogeneità delle risposte, delle
tendenze più forti verso la privatizzazione nel Nord che nel Centro e soprattutto nel Sud.
Nell'esprimere un giudizio sugli effetti dell'"infeudamento politico" nelle banche, l'opinione
prevalente è che esso abbia soprattutto causato una perdita di efficienza (67% degli
intervistati), e che abbia condizionato i principi etici delle banche (37%). Tuttavia il 22% degli
intervistati ritiene che esso abbia anche permesso alle banche di ampliare il proprio giro di
affari.
Tabella 15
Effetti dell'«infeudamento politico»
Valori percentuali
Tot. Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Area geografica
Banche Pop./
+
10050NCasse 250.000 250.000 100.000 O
N- Centro SudE
Isole
Ha condizionato i
principi etici della
banca
37
34
43
32
40
45
32
35
39
47
Ha causato
nell'organizzazione
una perdita di
efficienza
67
66
69
66
64
78
68
69
74
57
8
9
6
9
7
7
8 12
6
4
22
22
21
27
20
10
14
20
Sostanzialmente
non ha avuto una
grande influenza
Ha permesso di
21
30
ampliare il giro di
affari delle banche
interessate
E' stato sfruttato
dalle banche per
difendersi dalla
concorrenza
8
8
8
9
6
10
Altro
4
4
3
6
2
Non so/non ricordo
1
1
1
-
2
147
144
151
149
141
Totale (a)
7 15
2
6
-
4
5
-
6
-
-
1
2
-
150 139 167
137
140
(a) Il totale è superiore a 100 perché era possibile più di una risposta.
Fonte: Eurispes, 1993
Come si vede dalla Tabella 15 il Sud sembra più sensibile agli effetti etici e meno a quelli di
efficienza. Curiosamente, tuttavia, non mostra una maggiore preferenza delle altre zone
all'affermazione (comunque minoritaria in tutti gli ambienti) che essa possa aver ampliato il
giro di affari della banca.
Approfondendo il discorso si è poi chiesto se la lottizzazione politica avesse peggiorato il
clima interno delle banche. A questa domanda, che permetteva solo tre risposte (sì, no, non
so) una grande maggioranza di intervistati (76%) denuncia un peggioramento del clima
interno, contro il 12% che non vede differenze ed un altro 12% che non si esprime.
La percentuale di coloro che ritengono che vi sia stato un peggioramento del clima politico
delle banche aumenta al Centro (84%) ed al Sud (87%) (Tavola 28 in appendice).
Con riferimento a quali fossero gli effetti del cambiamento di clima dovuto alla lottizzazione
politica (la domanda è stata posta solo a coloro che erano d'accordo con l'affermazione
precedente) al primo posto troviamo la deformazione delle carriere (73%), al secondo gli
investimenti incauti (54%), al terzo la perdita di professionalità (44%).
Tabella 16
Effetti più evidenti della lottizzazione politica
Valori percentuali
Effetti
Tot.
Tipo di istituto
Banche
Area geografica
Pop./
N-O N-E Centro SudCoop./Casse
Isole
Deformazione delle carriere
73
73
73
77
76
81
57
Investimenti incauti
54
54
54
45
56
66
50
Perdita professionalità
44
46
40
47
36
46
45
Deresponsabilizzazione
28
31
22
32
24
24
30
Immobilismo decisionale
24
20
32
28
40
17
9
Perdita trasparenza
18
20
12
21
16
12
20
Lassismo
15
14
15
8
20
12
20
Totale (a)
255
258
249 258 269
258 234
(a) Il totale è superiore a 100 perché era possibile più di una risposta.
Fonte: Eurispes, 1993.
Come si vede dalla Tabella 16 vi sono differenze fra alcuni gruppi di intervistati. In particolare,
pur essendo la constatazione di una minoranza, l'immobilismo decisionale è più sentito, come
causa della lottizzazione soprattutto nelle banche popolari, nelle casse di risparmio e nelle
cooperative e, con riferimento alle aree geografiche, soprattutto nel Nord-Est (dove è
considerato il terzo effetto nocivo della lottizzazione dopo la deformazione delle carriere e gli
investimenti incauti). Sembra, viceversa, che la lottizzazione non abbia provocato
immobilismo nelle banche del Sud, dove questo effetto è considerato il meno probabile (solo
il 9% degli intervistati lo rileva).
Infine pur essendo comunque, come dovunque, denunciati solo da una minoranza, la perdita
di trasparenza ed il lassismo, sono più avvertiti al Sud che in altri ambienti. In conclusione
possiamo dire che nelle banche la lottizzazione politica abbia provocato soprattutto:
deformazione delle carriere, investimenti incauti e perdita di professionalità.
I bancari tuttavia ritengono che i loro istituti siano stati soprattutto vittime impotenti del
processo di corruzione diffusa dell'Italia, le cui dimensioni sono apparse chiare negli ultimi
mesi.
Tabella 17
Le banche e la corruzione del sistema Italia
Valori percentuali
Risposte
Tot.
Ampiezza dei comuni
Area geografica
+
10050N- N- Centro Sud250.000 250.000 100.000 O E
Isole
Sono anch'esse responsabili
della corruzione
4
Non sono state complici, ma
avrebbero dovuto agire più
responsabilmente
24
26
Non avevamo strumenti
ostacolare il fenomeno
42
Sono state estranee o vittime
del fenomeno
Totale
4
9
3
21
26 26 18
33
23
42
38
49 43 44
40
39
29
27
35
22 27 33
19
35
100
100
100
100 100 100
>
5
-
3
100 100
Fonte: Eurispes, 1993.
Sembra chiaro che i direttori degli sportelli delle banche italiane non ritengono che alle
banche vada attribuita responsabilità nel diffondersi della corruzione.
Solo il 4% ritiene infatti che esse siano state complici o addirittura all'origine dei fenomeni di
corruzione. Tutto sommato c'è una minoranza (anche se consistente: 24%) che ritiene che le
banche avrebbero potuto agire con più responsabilità per combattere il fenomeno. La
maggioranza (71%) degli intervistati ritiene comunque o che esse non avevano strumenti per
combattere la corruzione (42%) o che ne sono state vittime passive (12%), ovvero che sono
rimaste completamente estranee. Qualche dubbio in più sembrano averlo i funzionari delle
grandi città e del Centro Italia. Tuttavia la distribuzione delle opinioni su questo punto è
abbastanza omogenea per ogni gruppo analizzato ed anche per tipo di banca (Tavola 25 in
appendice).
Appendice statistica
Tavola 1/a
Struttura del campione - Ruolo dell'intervistato
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Direttore
60,1
61,0
58,3
60,4
58,0
63,3
61,8
48,1
69,0
55,3
77,8
Vice
direttore
39,9
39,0
41,7
39,6
42,0
36,7
38,2
51,9
31,0
44,7
22,2
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 1/b
Struttura del campione - Istituti di credito
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050- Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Banca
Di diritto pubblico
21,1
32,3
-
22,1
18,0
24,5
28,1
7,8
19,0 31,9 22,2
Di interesse
nazionale
14,8
22,6
-
17,4
12,0
12,2
14,6
10,4
17,2 17,0 18,5
Di credito ordinario
29,5
45,1
-
31,5
26,0
30,6
30,3
33,8
22,4 25,5 37,0
Popolare/cooperativa 16,4
-
47,6
13,4
22,0
14,3
14,6
23,4
13,8 12,8 14,8
15,4
-
44,7
14,1
18,0
14,3
11,2
23,4
22,4 10,6
Cassa rurale ed
artigiana
2,0
-
5,8
1,3
2,0
4,1
-
1,3
5,2
-
7,4
Monte di credito su
pegno
0,7
-
1,9
-
2,0
-
1,1
-
-
2,1
-
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Cassa
Cassa di risparmio
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 1/c
Struttura del campione - Ampiezza demografica dei comuni
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Più di
250
50,0
54,4
41,7
100,0
Area geografica
10050- Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
-
-
51,7
50,6
-
50,0 46,8 48,1
mila
abitanti
Da 100
mila a
250
mila ab.
33,6
28,7
42,7
-
100,0
-
33,7
32,5
34,5 34,0 33,3
Da 50
mila a
100
mila ab.
16,4
16,9
15,5
-
-
100,0
14,6
16,9
15,5 19,1 18,5
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Totale
Tavola 1/d
Struttura del campione - Area geografica
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050- Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
NordOvest
29,9
33,3
23,3
30,9
30,0
26,5 100,0
-
-
-
-
NordEst
25,8
20,5
35,9
26,2
25,0
26,5
- 100,0
-
-
-
Centro 19,5
17,4
23,3
19,5
20,0
18,4
-
-
100,0
-
-
Sud
15,8
17,9
11,7
14,8
16,0
18,4
-
-
- 100,0
-
Isole
9,1
10,8
5,8
8,7
9,0
10,2
-
-
-
Totale 100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0 100,0 100,0
- 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 2
Accordo sulle definizioni di banca
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
La banca...
E' un
servizio
pubblico
31,5
31,8
31,1
28,2
36,0
32,7
32,6
22,1
34,5
42,6
29,6
E' il
motore
dello
sviluppo
18,8
19,5
17,5
20,1
18,0
16,3
22,5
19,5
10,3
19,1
22,2
E'
un'impresa
48,7
47,2
51,5
51,7
43,0
51,0
42,7
58,4
55,2
38,3
44,4
come tutte
le altre
Altro
0,3
0,5
-
-
1,0
-
1,1
-
-
-
-
Non
so/non
ricordo
0,3
0,5
-
-
1,0
-
-
-
-
-
3,7
Nessuna
di queste
0,3
0,5
-
-
1,0
-
1,1
-
-
-
-
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 3/a
Attività più importanti per una banca - 1ª risposta
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Salvaguardare
i depositi dei
clienti
40,3
42,6
35,9
39,6
40,0
42,9
49,4
39,0
37,9
38,3
22,2
Privilegiare la
produttività e
gli utili
26,8
28,7
23,3
24,8
28,0
30,6
23,6
27,3
25,9
29,8
33,3
Farsi carico
dello sviluppo
e delle
difficoltà del
territorio in cui
opera
24,2
20,0
32,0
24,8
22,0
26,5
19,1
27,3
24,1
31,9
18,5
Incoraggiare
l'innovazione
finanziando
iniziative
interessanti
anche se
rischiose
8,4
8,7
7,8
10,7
9,0
-
7,9
5,2
12,1
-
25,9
Non so/non
ricordo
0,3
-
1,0
-
1,0
-
-
1,3
-
-
-
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 3/b
Attività più importanti per una banca - 2ª risposta
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Salvaguardare
i depositi dei
clienti
32,9
33,3
32,0
36,2
30,0
28,6
30,3
39,0
34,5
23,4
37,0
Privilegiare la
35,6
34,9
36,9
34,9
35,0
38,8
39,3
29,9
36,2
34,0
40,7
produttività e
gli utili
Farsi carico
dello sviluppo
e delle
difficoltà del
territorio in cui
opera
20,5
21,0
19,4
20,8
23,0
14,3
20,2
20,8
19,0
27,7
11,1
Incoraggiare
l'innovazione
finanziando
iniziative
interessanti
anche se
rischiose
10,7
10,8
10,7
8,1
11,0
18,4
10,1
9,1
10,3
14,9
11,1
0,3
-
1,0
-
1,0
-
-
1,3
-
-
-
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Non so/non
ricordo
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 3/c
Attività più importanti per una banca - 3ª risposta
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Salvaguardare
i depositi dei
clienti
19,1
15,9
25,2
18,1
23,0
14,3
13,5
14,3
24,1
27,7
25,9
Privilegiare la
produttività e
gli utili
22,8
22,6
23,3
24,8
20,0
22,4
24,7
23,4
19,0
25,5
18,5
Farsi carico
dello sviluppo
e delle
difficoltà del
territorio in cui
opera
36,9
40,0
31,1
34,2
37,0
44,9
44,9
32,5
34,5
23,4
51,9
Incoraggiare
l'innovazione
finanziando
iniziative
interessanti
anche se
rischiose
20,8
21,5
19,4
22,8
19,0
18,4
16,9
28,6
22,4
23,4
3,7
0,3
-
1,0
-
1,0
-
-
1,3
-
-
-
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Non so/non
ricordo
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 3/d
Attività più importanti per una banca - 4ª risposta
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Salvaguardare
i depositi dei
clienti
7,4
8,2
5,8
6,0
6,0
14,3
6,7
6,5
3,4
10,6
14,8
Privilegiare la
produttività e
gli utili
14,4
13,8
15,5
15,4
16,0
8,2
12,4
18,2
19,0
10,6
7,4
Farsi carico
dello sviluppo
e delle
difficoltà del
territorio in cui
opera
18,1
19,0
16,5
20,1
17,0
14,3
15,7
18,2
22,4
17,0
18,5
Incoraggiare
l'innovazione
finanziando
iniziative
interessanti
anche se
rischiose
59,7
59,0
61,2
58,4
60,0
63,3
65,2
55,8
55,2
61,7
59,3
0,3
-
1,0
-
1,0
-
-
1,3
-
-
-
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Non so/non
ricordo
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 4
Confronto tra i principi etici delle banche e quelli di altre imprese
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Uguali
71,8
74,4
67,0
71,8
72,0
71,4
69,7
63,6
74,1
85,1
74,1
Diversi
28,2
25,6
33,0
28,2
28,0
28,6
30,3
36,4
25,9
14,9
25,9
Totale 100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 5
Motivazioni della diversità dei principi etici delle banche rispetto a quelli di altre imprese
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Area geografica
(a) Banche Pop./Casse +250.000 10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Attività di
interesse
pubblico
23,8
24,0
23,5
16,7
28,6
35,7
29,6
21,4
13,3
42,9
14,3
Deve
tutelare gli
interessi dei
clienti/si
occupa
della loro
economia
28,6
28,0
29,4
31,0
17,9
42,9
14,8
32,1
40,0
28,6
42,9
Tratta/opera
col denaro
altrui
16,7
24,0
5,9
19,0
17,9
7,1
22,2
17,9
6,7
-
28,6
Tutta
l'economia
converge
sulle
banche
3,6
4,0
2,9
4,8
3,6
-
7,4
-
-
14,3
-
Non si
vende
nulla/è un
servizio
3,6
6,0
-
7,1
-
-
3,7
-
-
14,3
14,3
C'è il
segreto
bancario
10,7
8,0
14,7
9,5
10,7
14,3
7,4
21,4
6,7
-
-
Altro
20,2
14,0
29,4
19,0
25,0
14,3
14,8
21,4
40,0
14,3
-
107,1
108,0
105,9
107,1
103,6
Totale
(a)
114,3 100,0 114,3
106,7 114,3 100,0
Risposte multiple.
Tavola 6/a
Principale finalità etica delle banche - 1ª risposta
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Favorire lo
sviluppo
economico
svolgendo
efficacemente
il proprio
ruolo nel
sistema
produttivo
Aiutare,
Mantenere il
controllo
sull'origine e
sull'impiego
del denaro
Totale
76,2
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
76,9
74,8
75,8
77,0
75,5
78,7
75,3
67,2
78,7 85,2
proteggere, garantire
i clienti
15,1
13,3
18,4
17,4
12,0
14,3
14,6
14,3
25,9 10,6 3,7
10,2
6,7
10,4
6,9
10,6
11,1
8,7
9,7
6,8
6,7
11,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 6/b
Principale finalità etica delle banche - 2ª risposta
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Favorire lo
sviluppo
economico
svolgendo
efficacemente
il proprio
ruolo nel
sistema
produttivo
15,8
14,9
17,5
16,1
17,0
12,2
11,2
16,9
25,9
14,9
7,4
Aiutare,
proteggere,
garantire i
clienti
53,4
51,3
57,3
51,7
52,0
61,2
50,6
62,3
48,3
48,9
55,6
Mantenere il
controllo
sull'origine e
sull'impiego
del denaro
30,5
33,8
24,3
32,2
30,0
26,5
38,2
19,5
25,9
36,2
37,0
Non so/non
ricordo
0,3
-
1,0
-
1,0
-
-
1,3
-
-
-
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 7/a
Grado di accordo sull'affermazione: "Per chi opera in una banca, un comportamento etico
può talvolta..."
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Porre in conflitto con le leggi o i regolamenti
Del tutto
d'accordo
(100)
19,5
18,5
21,4
18,1
22,0
18,4
20,2
23,4
20,7
10,6
18,5
Molto
d'accordo (75)
17,8
17,4
18,4
18,8
18,0
14,3
16,9
16,9
22,4
17,0
14,8
Né d'accordo
né in
disaccordo(50)
14,8
16,9
10,7
13,4
17,0
14,3
18,0
10,4
5,2
23,4
22,2
Poco
d'accordo (25)
21,8
23,6
18,4
21,5
23,0
20,4
21,3
20,8
20,7
27,7
18,5
Per niente
d'accordo (0)
26,2
23,6
31,1
28,2
20,0
32,7
23,6
28,6
31,0
21,3
25,9
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
46
46
45
44
50
Media
ponderata
100,0 100,0 100,0
41
47
100,0 100,0 100,0
46
45
42
45
Tavola 7/b
Grado di accordo sull'affermazione: "Per chi opera, un comportamento etico può talvolta..."
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Creare conflitto con le persone con le quali si lavora
Del tutto
d'accordo
(100)
13,8
14,4
12,6
14,1
14,0
12,2
10,1
19,5
17,2
8,5
11,1
Molto
d'accordo
(75)
28,5
30,8
24,3
26,2
29,0
34,7
32,6
22,1
34,5
8,5
55,6
Né
d'accordo
né in
disaccordo
(50)
11,4
10,8
12,6
10,7
13,0
10,2
15,7
10,4
6,9
17,0
-
Poco
d'accordo
(25)
24,8
25,1
24,3
24,8
23,0
28,6
25,8
20,8
24,1
36,2
14,8
Per niente
d'accordo
(0)
21,5
19,0
26,2
24,2
21,0
14,3
15,7
27,3
17,2
29,8
18,5
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
47
49
43
45
48
Totale
Media
ponderata
100,0 100,0 100,0
51
49
100,0 100,0 100,0
46
53
32
Tavola 7/c
Grado di accordo sull'affermazione: "Per chi opera in una bancaun comportamento etico può
talvolta..."
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050- Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Finire per danneggiare chi lo attua
Del tutto
d'accordo
(100)
9,7
9,2
10,7
6,0
16,0
8,2
6,7
14,3
13,8
8,5
-
Molto
d'accordo
18,5
20,5
14,6
17,4
15,0
28,6
18,0
14,3
24,1
8,5 37,0
56
(75)
Né
15,1
d'accordo
né in
disaccordo
(50)
16,4
12,6
16,1
12,0
18,4
20,2
13,0
17,2
Poco
d'accordo
(25)
27,2
28,7
24,3
29,5
27,0
20,4
31,5
27,3
15,5 44,7
Per niente
d'accordo
(0)
29,5
25,1
37,9
30,9
30,0
24,5
23,6
31,2
29,3 29,8 44,4
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
38
40
34
35
40
Totale
Media
ponderata
44
38
38
44
8,5 11,1
7,4
30
35
Tavola 7/d
Grado di accordo sull'affermazione: "Per chi opera in una banca un comportamento etico può
talvolta..."
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Finire per danneggiare la stessa banca
Del tutto
d'accordo
(100)
5,7
7,2
2,9
5,4
7,0
4,1
3,4
10,4
3,4
6,4
3,7
Molto
d'accordo
(75)
14,4
13,8
15,5
15,4
11,0
18,4
16,9
10,4
22,4
8,5
11,1
Né
d'accordo
né in
disaccordo
(50)
13,4
13,8
12,6
10,7
14,0
20,4
16,9
15,6
13,8
6,4
7,4
Poco
d'accordo
(25)
27,9
28,7
26,2
26,8
32,0
22,4
23,6
23,4
31,0
36,2
33,3
Per niente
d'accordo
(0)
38,6
36,4
42,7
41,6
36,0
34,7
39,3
40,3
29,3
42,6
44,4
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
30
32
27
29
30
Totale
Media
ponderata
Tavola 8
Nell'attività bancaria per comportarsi eticamente...
Valori percentuali
100,0 100,0 100,0
34
30
32
100,0 100,0 100,0
35
25
24
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
E' sufficiente
restare
nell'ambito
della legge,
dei
regolamenti
e delle
procedure
tecniche
della banca
53,7
54,9
51,5
52,3
55,0
55,1
51,7
55,8
53,4
61,7
40,7
E' necessario
cercare di
favorire
sempre il
cliente e
rispettare le
sue esigenze
15,8
14,4
18,4
16,1
15,0
16,3
15,7
13,0
25,9
10,6
11,1
Bisogna
agire
secondo la
propria
coscienza
anche se
significa
contravvenire
alle regole o
contrastare
gli interessi
del cliente
27,9
29,2
25,2
28,9
26,0
28,6
28,1
29,9
20,7
23,4
44,4
2,7
1,5
4,9
2,7
4,0
-
4,5
1,3
-
4,3
3,7
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Non so/non
ricordo
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 9
Valori che guidano l'azione delle banche italiane
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Professionalità
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
58,4
60,0
55,3
61,1
55,0
57,1
55,1
61,0
50,0
63,8
70,4
4,4
3,1
6,8
6,0
2,0
4,1
4,5
7,8
1,7
2,1
3,7
Trasparenza
30,2
32,8
25,2
32,9
29,0
24,5
28,1
27,3
25,9
38,3
40,7
Efficienza
25,8
23,1
31,1
26,2
25,0
26,5
24,7
31,2
22,4
21,3
29,6
Efficacia
9,1
7,2
12,6
6,0
13,0
10,2
9,0
13,0
5,2
6,4
11,1
Correttezza
17,8
19,5
14,6
16,1
20,0
18,4
22,5
20,8
12,1
12,8
14,8
Riservatezza
22,8
20,0
28,2
23,5
22,0
22,4
20,2
23,4
20,7
36,2
11,1
1,0
1,0
1,0
0,7
2,0
-
2,2
-
-
2,1
-
Flessibilità
Precisione
Rispetto del
cliente
23,2
21,5
26,2
25,5
23,0
16,3
19,1
22,1
24,1
25,5
33,3
Legalità
11,4
11,8
10,7
8,1
13,0
18,4
11,2
10,4
15,5
8,5
11,1
Profitto
35,2
32,8
39,8
34,2
32,0
44,9
39,3
31,2
44,8
29,8
22,2
Modernità
1,7
2,6
-
0,7
3,0
2,0
3,4
-
-
4,3
-
Internazionalità
3,7
5,6
-
3,4
3,0
6,1
4,5
2,6
1,7
8,5
-
Potenza
1,7
2,6
-
2,7
-
2,0
2,2
1,3
-
4,3
-
Audacia
0,7
1,0
-
1,3
-
-
1,1
-
1,7
-
-
Prudenza
15,4
18,5
9,7
13,4
18,0
16,3
15,7
11,7
27,6
6,4
14,8
Concorrenza
27,2
25,1
31,1
26,2
28,0
28,6
27,0
31,2
36,2
17,0
14,8
Onestà
5,4
5,6
4,9
6,7
6,0
-
2,2
5,2
5,2
12,8
3,7
Parsimonia
1,0
1,0
1,0
0,7
2,0
-
1,1
-
1,7
-
3,7
Sfida
2,0
2,1
1,9
2,7
1,0
2,0
3,4
-
3,4
-
3,7
Non so/non
ricordo
0,7
1,0
-
0,7
1,0
-
1,1
-
-
-
3,7
298,7
297,9
300,0
298,7
298,0
Totale (a)
300,0 297,8 300,0
300,0 300,0 292,6
(a) Risposte multiple.
Tavola 10
Quanto le banche tengono conto dei problemi etici
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Molto
41,3
39,0
45,6
41,6
41,0
40,8
36,0
36,4
43,1
53,2
48,1
Né
molto
né
poco
45,0
47,2
40,8
45,0
43,0
49,0
44,9
49,4
41,4
44,7
40,7
Poco
13,8
13,8
13,6
13,4
16,0
10,2
19,1
14,3
15,5
2,1
11,1
Totale 100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 11
Tipo di banca più attenta e sensibile ai problemi etici
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Piccola
banca
locale
43,0
32,8
62,1
41,6
46,0
40,8
33,7
57,1
60,3
14,9
44,4
Grande
banca
25,2
30,8
14,6
22,1
21,0
42,9
24,7
20,8
17,2
36,2
37,0
nazionale
Non c'è
differenza
31,5
35,9
23,3
36,2
32,0
16,3
41,6
22,1
20,7
48,9
18,5
Non
so/non
ricordo
0,3
0,5
-
-
1,0
-
-
-
1,7
-
-
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 12
Motivi per cui una piccola banca locale è più sensibile ai problemi etici
Valori percentuali
Tot.(a)
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Rapporto
immediato/diretto
tra cliente e
banca/tra clienti
e personale
30,5
23,4
37,5
32,3
28,3
30,0
6,7
29,5
42,9
14,3
66,7
Rapporto più
umano/socievole
con il cliente
12,5
10,9
14,1
14,5
6,5
20,0
16,7
9,1
8,6
14,3
25,0
Struttura meno
burocratica
2,3
4,7
-
3,2
2,2
-
3,3
-
2,9
-
8,3
Più vicina alle
esigenze del
cliente
9,4
4,7
14,1
11,3
10,9
-
3,3
13,6
8,6
14,3
8,3
Segue meglio i
clienti
15,6
14,1
17,2
16,1
15,2
15,0
30,0
9,1
5,7
28,6
25,0
Più radicata nel
territorio/lavora
in ambito locale
21,9
18,8
25,0
12,9
37,0
15,0
13,3
34,1
20,0
14,3
8,3
Più vicina e
attenta ai
problemi
locali/alla realtà
in cui opera
27,3
32,8
21,9
30,6
23,9
25,0
43,3
20,5
34,3
14,3
-
6,3
9,4
3,1
6,5
2,2
15,0
6,7
9,1
5,7
-
-
125,8
118,8
132,8
127,4
126,1
Altro
Totale (a)
(a)
120,0 123,3 125,0
128,6 100,0 141,7
Risposte multiple.
Tavola 13
Motivi per cui una grande banca nazionale è più sensibile ai problemi etici
Valori percentuali
Tot.(a)
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Area geografica
Banche Pop./Casse +250.000
Meno
condizionabile/meno
soggetta a pressioni/alle
influenze locali
10050- Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
32,0
31,7
33,3
18,2
33,3
52,4
22,7
37,5
30,0 47,1 20,0
6,7
6,7
6,7
9,1
4,8
4,8
-
6,3
10,0 11,8 10,0
Ha una
organizzazione/struttura
più efficace/più ampia
22,7
21,7
26,7
24,2
19,0
23,8
36,4
18,8
10,0
Opera su un territorio
vasto/struttura capillare/è
nazionale
17,3
18,3
13,3
18,2
14,3
19,0
9,1
18,8
10,0 11,8 50,0
La sua azione è più
soggetta a verifiche e
controlli/più filtri tra
potere decisionale e
cliente
18,7
15,0
33,3
21,2
23,8
9,5
27,3
12,5
40,0 11,8
Altro
12,0
15,0
-
18,2
9,5
4,8
13,6
18,8
- 11,8 10,0
109,3
108,3
113,3
109,1
104,8
114,3 109,1 112,5
100,0 100,0 130,0
Ha più
professionalità/esperienza
Totale (a)
(a)
5,9 40,0
Risposte multiple.
Tavola 14/a
Grado di accordo sull'affermazione: "Purtroppo etica e giusto profitto sono spesso
inconciliabili"
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
100-50Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Del tutto
d'accordo
(100)
12,8
14,4
9,7
12,1
19,0
2,0
12,4
11,7
17,2
6,4
18,5
Molto
d'accordo
(75)
24,2
21,5
29,1
24,2
28,0
16,3
27,0
24,7
27,6
21,3
11,1
Né
d'accordo
né in
disaccordo
(50)
16,8
16,9
16,5
21,5
14,0
8,2
15,7
18,2
12,1
25,5
11,1
Poco
d'accordo
(25)
31,5
33,8
27,2
30,2
23,0
53,1
34,8
31,2
27,6
27,7
37,0
Per niente
d'accordo
(0)
14,8
13,3
17,5
12,1
16,0
20,4
10,1
14,3
15,5
19,1
22,2
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
-
Media
ponderata
47
47
47
48
53
32
49
47
51
42
42
Tavola 14/b
Grado di accordo sull'affermazione: "La crescente concorrenza rende sempre più difficile per
le banche porsi problemi etici"
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Del tutto
d'accordo
(100)
12,8
12,8
12,6
14,8
11,0
10,2
11,2
11,7
17,2
8,5
18,5
Molto
d'accordo
(75)
26,8
27,7
25,2
26,2
32,0
18,4
31,5
29,9
25,9
17,0
22,2
Né
d'accordo
né in
disaccordo
(50)
13,4
13,8
12,6
16,8
10,0
10,2
15,7
14,3
5,2
19,1
11,1
Poco
d'accordo
(25)
28,5
27,7
30,1
24,2
29,0
40,8
32,6
23,4
25,9
42,6
11,1
Per niente
d'accordo
(0)
18,5
17,9
19,4
18,1
18,0
20,4
9,0
20,8
25,9
12,8
37,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
47
47
45
49
47
Totale
Media
ponderata
100,0 100,0 100,0
39
51
47
100,0 100,0 100,0
46
41
44
Tavola 14/c
Grado di accordo sull'affermazione: "Un comportamento fortemente etico è alla lunga
dannoso: può creare una perdita di clienti e depositi"
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Del tutto
d'accordo
(100)
6,4
6,7
5,8
6,7
7,0
4,1
4,5
6,5
6,9
8,5
7,4
Molto
d'accordo
(75)
17,8
16,4
20,4
14,8
21,0
20,4
20,2
19,5
19,0
17,0
3,7
Né
d'accordo
10,4
10,3
10,7
12,8
11,0
2,0
14,6
7,8
8,6
8,5
11,1
né in
disaccordo
(50)
Poco
d'accordo
(25)
31,5
32,8
29,1
32,9
28,0
34,7
31,5
26,0
29,3
40,4
37,0
Per niente
d'accordo
(0)
33,9
33,8
34,0
32,9
33,0
38,8
29,2
40,3
36,2
25,5
40,7
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
33
32
34
32
35
Totale
Media
ponderata
100,0 100,0 100,0
29
35
31
100,0 100,0 100,0
33
36
25
Tavola 14/d
Grado di accordo sull'affermazione: "Un comportamento eticoanche se può implicare minori
profitti nel lungo periodo, è sicuramente produttivo perché crea un clima di fiducia"
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Del tutto
d'accordo
(100)
49,0
47,2
52,4
47,0
50,0
53,1
44,9
61,0
41,4
38,3
63,0
Molto
d'accordo
(75)
36,9
36,9
36,9
35,6
41,0
32,7
40,4
27,3
43,1
46,8
22,2
Né
d'accordo
né in
disaccordo
(50)
10,7
11,8
8,7
14,1
5,0
12,2
9,0
10,4
10,3
14,9
11,1
Poco
d'accordo
(25)
2,3
3,6
-
1,3
4,0
2,0
5,6
-
1,7
-
3,7
Per niente
d'accordo
(0)
1,0
0,5
1,9
2,0
-
-
-
1,3
3,4
-
-
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
83
82
84
81
84
Totale
Media
ponderata
100,0 100,0 100,0
84
81
87
100,0 100,0 100,0
79
81
86
Tavola 15
Indirizzi etici proposti dalle direzioni generali delle banche ai dirigenti
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Fare bene il
proprio
lavoro senza
rinunciare ad
una funzione
critica
48,0
48,7
46,6
45,6
42,0
67,3
55,1
50,6
39,7
44,7
40,7
Affidarsi ai
regolamenti
ed alle
direttive dei
superiori
15,1
14,9
15,5
12,1
22,0
10,2
12,4
7,8
19,0
19,1
29,6
Cercare
soprattutto di
accrescere il
giro di affari
e gli utili del
proprio
sportello
delegando la
soluzione
degli
eventuali
problemi
etici al
management
36,2
35,9
36,9
40,9
36,0
22,4
32,6
40,3
39,7
36,2
29,6
0,7
0,5
1,0
1,3
-
-
-
1,3
1,7
-
-
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Altro
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 16
Possibilità di trovarsi di fronte ad operazioni presumibilmente connesse ad attività illecite
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Sì
77,5
77,4
77,7
75,2
81,0
77,6
74,2
80,5
82,8
80,9
63,0
No
22,5
22,6
22,3
24,8
19,0
22,4
25,8
19,5
17,2
19,1
37,0
Totale 100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 17
Frequenza con cui capita di trovarsi di fronte ad operazioni presumibilmente connesse ad
attività illecite
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Molto
spesso
0,4
-
1,3
-
1,2
-
-
1,6
-
-
-
Spesso
7,4
7,9
6,3
6,3
8,6
7,9
10,6
3,2
8,3
7,9
5,9
88,3
88,7
87,5
90,2
85,2
89,5
87,9
87,1
89,6
89,5
88,2
Mai
3,5
3,3
3,8
3,6
3,7
2,6
1,5
6,5
2,1
2,6
5,9
Non so
0,4
-
1,3
-
1,2
-
-
1,6
-
-
-
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Raramente
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 18
Richieste di operazioni presumibilmente illecite
Valori percentuali
Tot.(a)
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Depositi o
versamenti
58,4
57,6
60,0
62,5
54,3
55,3
51,5
64,5
58,3
71,1
35,3
Trasferimenti
32,9
34,4
30,0
22,3
32,1
65,8
39,4
35,5
18,8
23,7
58,8
Operazioni
finanziarie
26,8
29,1
22,5
26,8
30,9
18,4
31,8
27,4
27,1
21,1
17,6
Richieste di
credito
20,8
22,5
17,5
19,6
23,5
18,4
27,3
19,4
27,1
7,9
11,8
3,5
3,3
3,8
3,6
4,9
-
3,0
1,6
10,4
-
-
142,4
147,0
133,8
134,8
145,7
Altro
Totale (a)
(a)
157,9 153,0 148,4
141,7 123,7 123,5
Risposte multiple.
Tavola 19
Margine di autonomia del direttore di fronte a situazioni di dubbia legalità
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Totale
autonomia
25,8
28,2
21,4
22,8
33,0
20,4
28,1
26,0
27,6
21,3
22,2
Molto ampio
28,2
29,7
25,2
28,2
21,0
42,9
25,8
27,3
25,9
29,8
40,7
Non molto
ampio ma
sufficiente
20,1
18,5
23,3
24,2
16,0
16,3
27,0
19,5
17,2
19,1
7,4
Molto limitato
14,1
11,8
18,4
14,8
13,0
14,3
11,2
18,2
17,2
12,8
7,4
Praticamente
nullo
11,1
11,3
10,7
10,1
15,0
6,1
6,7
9,1
12,1
17,0
18,5
0,7
0,5
1,0
-
2,0
-
1,1
-
-
-
3,7
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Non so
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 20
Comportamento ritenuto più etico nei confronti di un dipendente che ha commesso azioni
illecite
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
"Punire"
l'interessato
denunciandolo
51,0
55,9
41,7
52,3
49,0
51,0
38,2
46,8
65,5
57,4
63,0
Non punire il
dipendente
ma
recuperarlo
15,4
13,8
18,4
17,4
14,0
12,2
19,1
18,2
12,1
8,5
14,8
Allontanare il
colpevole
senza dare
pubblicità alla
cosa
30,9
27,7
36,9
29,5
30,0
36,7
39,3
32,5
20,7
34,0
14,8
2,7
2,6
2,9
0,7
7,0
-
3,4
2,6
1,7
-
7,4
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Non so
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 21
Opinione sulle nuove norme della Banca d'Italia contro il riciclaggio
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Hanno
affrontato
un
problema
che veniva
trascurato
29,9
28,2
33,0
30,9
35,0
16,3
19,1
39,0
31,0
31,9
33,3
Aiutano a
prendere
decisioni su
una serie di
problemi
che erano
già evidenti
ma non si
sapeva
come
risolvere
14,8
13,8
16,5
12,8
18,0
14,3
13,5
19,5
13,8
10,6
14,8
Sono
opportune
anche se le
disposizioni
24,8
29,2
16,5
21,5
23,0
38,8
28,1
14,3
19,0
38,3
33,3
delle
singole
banche
erano già
improntate
ai criteri
che
ispirano
queste
nuove
norme
In realtà
sono meno
utili di
quanto
sembri
perché la
banca non
ha molti
strumenti
per
intervenire
13,4
14,4
11,7
14,8
13,0
10,2
15,7
14,3
13,8
8,5
11,1
Sono
inopportune
perché
aumentano
i costi,
l'onerosità
delle
procedure e
peggiorano
i rapporti
con la
clientela
senza
risultati
apprezzabili
11,1
8,7
15,5
15,4
6,0
8,2
14,6
9,1
15,5
6,4
3,7
Inopportune
perché
onerose
1,0
1,5
-
0,7
-
4,1
1,1
1,3
1,7
-
-
Inutili
perché non
hanno
seguito
1,3
0,5
2,9
1,3
1,0
2,0
1,1
1,3
-
2,1
3,7
Altro
3,7
3,6
3,9
2,7
4,0
6,1
6,7
1,3
5,2
2,1
-
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 22
Comportamento in caso di richiesta di fido da parte di un'azienda operante in un settore
eticamente discutibile
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Area geografica
Banche Pop./Casse +250.000
Come per
qualsiasi
altra
azienda si
concede il
fido
chiedendo
garanzie
per la
solvibilità
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
48,3
49,2
46,6
41,6
57,0
51,0
51,7
42,9
62,1
36,2
Si
47,745,6
concede il
fido solo
dopo aver
avuto il
benestare
della
direzione
generale
51,5
53,0
40,0
46,9
47,2
55,8
31,0
61,7
37,0
44,4
Si rifiuta di
concedere
il fido
2,0
2,6
1,0
4,0
-
-
-
-
1,7
2,1
14,8
Non so
2,0
2,6
1,0
1,3
3,0
2,0
1,1
1,3
5,2
-
3,7
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 23
Comportamento della banca in caso di grandi incongruenze tra dichiarazione fiscale e
situazione bancaria di un cliente
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
La banca
dovrebbe
immediatamente
segnalare
l'incongruenza
all'Autorità
fiscale anche a
costo di perdere
il cliente
12,8
12,8
12,6
18,1
8,0
6,1
12,4
5,2
13,8
25,5
11,1
La banca non
dovrebbe
investire della
questione
l'Autorità fiscale,
ma dovrebbe
parlarne con il
cliente
24,2
26,7
19,4
26,2
15,0
36,7
25,8
23,4
24,1
17,0
33,3
Non è compito
53,0
51,8
55,3
43,0
68,0
53,1
52,8
58,4
51,7
53,2
40,7
della banca
occuparsi delle
questioni fiscali
Non è giusto in
assoluto
intervenire su
questa materia
9,1
7,2
12,6
11,4
8,0
4,1
6,7
13,0
10,3
4,3
11,1
Non so
1,0
1,5
-
1,3
1,0
-
2,2
-
-
-
3,7
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 24
Comportamento della banca in caso di evidente evasione dei versamenti previdenziali da
parte di un cliente
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
La banca
dovrebbe
immediatamente
informare gli enti
previdenziali
anche a costo di
perdere il cliente
9,1
8,7
9,7
12,8
6,0
4,1
9,0
6,5
10,3
10,6
11,1
La banca
dovrebbe
informare i
rappresentanti
dei lavoratori
anche a costo di
perdere il cliente
2,3
2,6
1,9
2,7
2,0
2,0
3,4
1,3
1,7
4,3
-
La banca non
dovrebbe
investire della
questione gli
enti
previdenziali ma
dovrebbe
parlarne con il
cliente
27,2
26,2
29,1
32,2
21,0
24,5
23,6
33,8
15,5
36,2
29,6
Non è compito
della banca
occuparsi delle
questioni
previdenziali
53,0
53,8
51,5
43,0
63,0
63,3
58,4
44,2
65,5
42,6
51,9
Non è giusto in
assoluto
intervenire su
questa materia
7,0
6,7
7,8
7,4
8,0
4,1
5,6
10,4
6,9
6,4
3,7
Non so
1,3
2,1
-
2,0
-
2,0
-
3,9
-
-
3,7
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 25
Opinione sul ruolo delle banche nella corruzione diffusa
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Sono state esse
stesse all'origine
delle deviazioni
del sistema
politicoeconomico
1,0
0,5
1,9
2,0
-
-
1,1
1,3
-
2,1
-
Sono state
complici e
conniventi dei
corrotti e dei
corruttori
3,4
2,6
4,9
3,4
5,0
-
2,2
2,6
8,6
-
3,7
Non sono state
complici ma
avrebbero potuto
agire più
responsabilmente
24,5
25,6
22,3
26,2
21,0
26,5
25,8
18,2
32,8
25,5
18,5
Non avevano gli
strumenti per
ostacolare il
fenomeno pur
essendone
consapevoli
41,6
41,0
42,7
41,6
38,0
49,0
42,7
44,2
39,7
31,9
51,9
Sono state
completamente
estranee al
fenomeno
16,8
16,9
16,5
15,4
17,0
20,4
14,6
19,5
8,6
27,7
14,8
Sono state
anch'esse vittime
del fenomeno
12,1
12,8
10,7
11,4
18,0
2,0
12,4
13,0
10,3
12,8
11,1
0,7
0,5
1,0
-
1,0
2,0
1,1
1,3
-
-
-
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Non so
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 26
Grado di accordo sull'affermazione secondo cui esiste un rapporto tra "mano pubblica" e
processi di "infeudamento partitico" nelle grandi banche
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Del tutto
d'accordo
(100)
47,3
47,2
47,6
47,7
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
49,0
42,9
47,2
55,8
50,0
36,2
37,0
Molto
d'accordo
(75)
32,9
31,3
35,9
28,9
36,0
38,8
34,8
29,9
34,5
27,7
40,7
Né
d'accordo
né in
disaccordo
(50)
10,4
10,8
9,7
12,1
9,0
8,2
13,5
10,4
3,4
14,9
7,4
Poco
d'accordo
(25)
6,0
7,2
3,9
8,1
3,0
6,1
2,2
1,3
6,9
14,9
14,8
Per niente
d'accordo
(0)
3,4
3,6
2,9
3,4
3,0
4,1
2,2
2,6
5,2
6,4
-
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
79
78
80
77
81
Totale
Media
ponderata
100,0 100,0 100,0
78
81
84
100,0 100,0 100,0
79
68
75
Tavola 27
Effetti dell'"infeudamento politico"
Valori percentuali
Tot.(a)
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Ha condizionato i
principi etici della
banca
37,2
34,0
43,0
32,5
40,0
45,0
31,5
34,8
38,8
50,0
42,9
Ha causato
nell'organizzazione
una perdita di
efficienza
66,9
66,0
68,6
65,8
63,5
77,5
68,5
68,2
73,5
43,3
76,2
7,9
9,2
5,8
8,8
7,1
7,5
8,2
12,1
6,1
-
9,5
21,8
22,2
20,9
27,2
20,0
10,0
20,5
30,3
14,3
26,7
9,5
<201> stato
sfruttato dalle
banche per
difendersi dalla
concorrenza
7,9
7,8
8,1
8,8
5,9
10,0
6,8
15,2
2,0
10,0
-
Altro
3,8
3,9
3,5
6,1
2,4
-
4,1
4,5
-
3,3
9,5
Non so
0,8
0,7
1,2
-
2,4
-
-
1,5
2,0
-
-
146,4
143,8
151,2
149,1
141,2
Sostanzialmente
non ha avuto un
grande influenza
Ha permesso di
ampliare il giro di
affari delle banche
interessate
Totale (a)
(a)
150,0 139,7 166,7
136,7 133,3 147,6
Risposte multiple.
Tavola 28
Accordo sull'affermazione secondo cui la lottizzazione politica ha portato a un peggioramento
del clima interno delle banche
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Sì
76,6
77,1
75,6
75,4
77,6
77,5
72,6
68,2
83,7
86,7
85,7
No
11,7
11,8
11,6
10,5
11,8
15,0
9,6
13,6
12,2
10,0
14,3
Non
so
11,7
11,1
12,8
14,0
10,6
7,5
17,8
18,2
4,1
3,3
-
Totale 100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 29
Effetti più evidenti della lottizzazione politica
Valori percentuali
Tot.(a)
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Lassismo
14,8
14,4
15,4
14,0
19,7
6,5
7,5
20,0
12,2
19,2
22,2
Deresponsabilizzazione
27,9
31,4
21,5
23,3
33,3
29,0
32,1
24,4
24,4
26,9
33,3
Investimenti incauti
53,6
53,4
53,8
59,3
40,9
64,5
45,3
55,6
65,9
50,0
50,0
Immobilismo
decisionale
24,0
19,5
32,3
22,1
21,2
35,5
28,3
40,0
17,1
3,8
16,7
Perdita di trasparenza
17,5
20,3
12,3
22,1
9,1
22,6
20,8
15,6
12,2
19,2
22,2
Perdita di
professionalità
43,7
45,8
40,0
44,2
42,4
45,2
47,2
35,6
46,3
34,6
61,1
Deformazione delle
carriere
72,7
72,9
72,3
70,9
75,8
71,0
77,4
75,6
80,5
53,8
61,1
1,1
0,8
1,5
2,3
-
-
-
2,2
-
3,8
-
255,2
258,5
249,2
258,1
242,4
Altro
Totale (a)
(a)
274,2 258,5 268,9
258,5 211,5 266,7
Risposte multiple.
Tavola 30
Comportamento più opportuno di una banca operante in un territorio ad elevato tasso di
criminalità
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Dovrebbe
aumentare i
controlli su
ogni singola
operazione e
65,8
67,2
63,1
65,1
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
71,0
57,1
61,8
63,6
72,4
61,7
77,8
collaborare
costantemente
con le autorità,
segnalando
ogni anomalia
Dovrebbe
comportarsi
come
qualsiasi altra
banca in altre
parti d'Italia
27,2
25,6
30,1
24,8
25,0
38,8
28,1
27,3
22,4
36,2
18,5
7,0
7,2
6,8
10,1
4,0
4,1
10,1
9,1
5,2
2,1
3,7
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Altro
Totale
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 31
Accordo sull'affermazione secondo cui l'essere direttore di una banca conferisce un potere
che può influenzare anche le relazioni personali al di fuori della banca
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Del tutto
d'accordo
(100)
11,4
11,8
10,7
11,4
12,0
10,2
4,5
16,9
17,2
4,3
18,5
Molto
d'accordo
(75)
30,2
31,3
28,2
31,5
31,0
24,5
36,0
29,9
31,0
25,5
18,5
Né
d'accordo
né in
disaccordo
(50)
7,7
7,7
7,8
8,7
7,0
6,1
7,9
7,8
8,6
6,4
7,4
Poco
d'accordo
(25)
25,5
25,6
25,2
25,5
24,0
28,6
30,3
22,1
17,2
31,9
25,9
Per niente
d'accordo
(0)
25,2
23,6
28,2
22,8
26,0
30,6
21,3
23,4
25,9
31,9
29,6
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
44
46
42
46
45
Totale
Media
ponderata
100,0 100,0 100,0
39
43
49
100,0 100,0 100,0
49
Tavola 32
Opinione sulla facilità per un direttore di banca di sottrarsi a richieste di agevolazioni
Valori percentuali
Tot.
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Area geografica
35
43
Banche Pop./Casse +250.000
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Molto
facile
15,1
14,9
15,5
12,1
16,0
22,4
9,0
27,3
8,6
10,6
22,2
Facile
34,9
33,8
36,9
32,2
38,0
36,7
43,8
42,9
29,3
14,9
29,6
Né
facile
né
difficile
32,6
34,4
29,1
38,3
26,0
28,6
32,6
23,4
31,0
48,9
33,3
Difficile
12,8
12,3
13,6
12,1
16,0
8,2
13,5
3,9
20,7
17,0
11,1
Molto
difficile
4,7
4,6
4,9
5,4
4,0
4,1
1,1
2,6
10,3
8,5
3,7
Totale 100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0 100,0 100,0
100,0 100,0 100,0
Tavola 33
Caratteristiche dei candidati da privilegiare nelle assunzioni
Valori percentuali
Tot.(a)
Tipo di istituto
Ampiezza dei comuni
Banche Pop./Casse +250.000
Area geografica
10050Nord- Nord- Centro Sud Isole
250.000 100.000 Ovest Est
Esperienza
5,0
6,2
2,9
7,4
1,0
6,1
5,6
6,5
5,2
4,3
-
Correttezza
21,5
21,0
22,3
20,8
24,0
18,4
19,1
26,0
10,3
21,3
40,7
Competenza
tecnica
25,5
23,1
30,1
27,5
21,0
28,6
25,8
20,8
34,5
25,5
18,5
Buona
preparazione
teorica
19,5
17,9
22,3
18,1
18,0
26,5
13,5
23,4
24,1
23,4
11,1
Senso del
dovere
28,5
28,2
29,1
30,9
26,0
26,5
24,7
29,9
17,2
40,4
40,7
Buona volontà
25,5
27,7
21,4
26,2
22,0
30,6
37,1
24,7
17,2
10,6
33,3
Attitudini
dirigenziali
5,7
6,7
3,9
5,4
7,0
4,1
9,0
5,2
6,9
-
3,7
Ambizione
19,8
18,5
22,3
16,1
26,0
18,4
19,1
23,4
20,7
21,3
7,4
Onestà
35,6
38,5
30,1
36,2
37,0
30,6
37,1
37,7
31,0
42,6
22,2
Riservatezza
12,1
12,8
10,7
10,1
14,0
14,3
10,1
7,8
10,3
29,8
3,7
Religiosità
0,3
0,5
-
0,7
-
-
1,1
-
-
-
-
Intelligenza
38,9
38,5
39,8
37,6
37,0
46,9
49,4
32,5
41,4
31,9
29,6
3,4
4,1
1,9
2,0
7,0
-
7,9
1,3
-
4,3
-
Capacità di
socializzare
21,8
20,5
24,3
21,5
24,0
18,4
19,1
27,3
25,9
10,6
25,9
Moralità
16,8
17,4
15,5
17,4
14,0
20,4
9,0
16,9
29,3
17,0
14,8
Dedizione al
lavoro
14,8
11,8
20,4
17,4
14,0
8,2
10,1
11,7
15,5
12,8
40,7
Rispetto
2,7
3,1
1,9
3,4
2,0
2,0
1,1
1,3
5,2
4,3
3,7
Altro
1,7
2,1
1,0
1,3
3,0
-
1,1
3,9
-
-
3,7
Non so
0,3
0,5
-
-
1,0
-
-
-
1,7
-
-
Intraprendenza
Totale (a)
299,3
299,0
(a) Risposte multiple.
300,0
300,0
298,0
300,0 300,0 300,0
296,6 300,0 300,0
PARTE II. LE INTERVISTE
Premessa
Il dibattito sul ruolo dell'etica nella gestione delle relazioni economiche tra banca ed impresa è
relativamente giovane e si inserisce in quello più vasto del rapporto tra etica ed economia.
Molti aspetti devono essere ancora affrontati, soprattutto alla luce dei nuovi scenari economici
che si sono prospettati sia rispetto ad eventi internazionali, la caduta dei regimi dell'Est, che a
quelli dirompenti della Tangentopoli nostrana.
Le prospettive di analisi teorica, in effetti, recuperano teorie e paradigmi autorevoli; ciò che
manca è invece un discorso sull'etica economica vissuta, sull'individuazione delle dimensioni
di quello che abbiamo definito il "comportamento etico" all'interno della banca e dell'impresa.
Si è reso necessario, quindi, "andare a cercare" l'etica dove è o dove dovrebbe essere,
ascoltando direttamente coloro che ogni giorno affrontano e si pongono concretamente
l'esigenza di un'etica nei rapporti economici.
Gli intervistati
Gli intervistati nel corso dell'indagine (in tutto 38, ma tre interviste non sono state pubblicate
per espresso volere degli interessati) possono essere in linea di massima collocati in tre aree:
gli esponenti del mondo bancario, quelli dell'imprenditoria, e gli studiosi, economisti di fama
internazionale.
La scelta degli opinion leader è stata operata adottando criteri diversi a seconda della
categoria di appartenenza; tre elementi, comunque, sono comuni a tutti gli intervistati: la
"visibilità" e la capacità di "fare opinione", il riconoscimento della loro esperienza nel settore di
attività, il ruolo di responsabilità decisionale che ricoprono all'interno dell'impresa, della banca
o delle confederazioni dei diversi settori economici.
Per quanto riguarda il settore bancario sono stati individuati sia presidenti di banche ed istituti
di interesse nazionale, quali la Banca Nazionale del Lavoro, il Banco di Sicilia, il Medio
Credito Centrale, la Cariplo, l'Istituto San Paolo di Torino, sia presidenti di banche con una
forte connotazione regionale e locale: la Banca Toscana, la Banca Popolare di Ancona, la
Cassa di Risparmio di Jesi, la Cassa di Risparmio di Puglia, e la Cassa di Risparmio di
Foligno. Per quanto riguarda il mondo imprenditoriale, sono stati intervistati sia imprenditori
che dirigenti, nonché rappresentanti di confederazioni di settore a livello nazionale, quali
Confindustria, Confapi, CIDA, Confcommercio. A livello di rappresentanze imprenditoriali
locali vanno segnalati il presidente dell'Unione Industriali di Torino, il responsabile per i
problemi del Mezzogiorno presso la Confindustria, il presidente della Sicindustria.
La rappresentanza degli imprenditori è concentrata soprattutto sulla piccola e media impresa.
A tale riguardo è da segnalare l'intervista rilasciata dal sen. Tommaso Mancia, presidente
dell'Osservatorio sulle Piccole e Medie Imprese presso la Presidenza del Consiglio.
Una particolare menzione meritano inoltre gli interventi del prof. Paolo Savona, intervistato
quando ancora ricopriva la carica di presidente del Fondo Interbancario Tutela dei Depositi, e
attualmente ministro dell'Industria; di Giorgio Benvenuto, quando era segretario generale del
Ministero delle Finanze; del prof. Antonio Martino, preside della Facoltà di Scienze politiche
della LUISS; dell'on. Luciano Violante, presidente della Commissione parlamentare antimafia.
La metodologia
Sul piano metodologico le interviste sono state condotte in modo da poter lasciare spazio per
una elaborazione articolata che non ha seguito lo schema domanda-risposta, bensì ha
assunto la forma di un vero e proprio intervento strutturato nelle aree tematiche suggerite
dalla traccia secondo cui è stato condotto il colloquio. Le interviste sono state realizzate in un
arco di tempo che va da gennaio a maggio 1993.
Attraverso tali interventi è stato dunque possibile ricostruire il complesso mosaico dei
significati e delle manifestazioni dell'etica nella banca e nell'impresa, delineare un quadro
delle opinioni rispetto agli eventi dirompenti che hanno interessato il nostro sistema
economico, ma anche comprendere il futuro dei meccanismi di rinnovamento e di
autoregolamentazione che provengono dai diversi agenti economici, quali ad esempio il
processo di privatizzazione di gran parte delle aziende di Stato, o l'esigenza di un codice sulla
trasparenza da parte delle banche.
I temi
Sintetizzare i molteplici temi affrontati nelle interviste significa in qualche modo forzare la
singolarità e la peculiarità di ogni intervento, rischiando di far perdere all'opinione il suo
valore. E' possibile comunque, attraverso alcuni passaggi tratti dalle interviste, tracciare un
percorso di lettura che merita sicuramente di essere approfondito per i molteplici spunti di
dibattito che offre.
Partendo da un piano di valutazione generale, la prima area tematica da evidenziare è la
definizione del ruolo dell'etica rispetto al modello capitalistico.
Etica e capitalismo. Le osservazioni più interessanti si muovono su un doppio livello di
valutazione tendente a distinguere il capitalismo come "organizzazione economica" dal
capitalismo come "sistema sociale". E' solo rispetto al secondo, afferma Paolo Savona, che si
"possono esprimere giudizi di eticità". Le opinioni manifestate dagli altri studiosi intervistati
concordano nel distinguere tra capitalismo come "fine" o come sistema economico, quindi
come modello economico teorico che non può per sua natura essere definito etico, e
capitalismo come sistema sociale o insieme dei "mezzi" per raggiungere fini economici, che
invece, come dichiara Antonio Martino, "ha una sua dimensione etica".
Più orientato alla possibilità di un nuovo modello di capitalismo è il giudizio di Giampaolo
Carrozza, secondo il quale "è possibile coniugare i principi sani del capitalismo, che sono
quelli orientati al profitto, con quelli del rispetto, della solidarietà e della socialità tipici della
nostra cultura cattolica". Sulla stessa linea si pone il pensiero di Guido Savagnone, che
auspica un capitalismo che rispetti in primo luogo "l'individualità e il valore del singolo".
Per Renato Agostini, il capitalismo ha una sua eticità in quanto offre "occasioni di successo a
chi è disposto ad investire non solo denaro, ma anche intelligenza, capacità innovatrici ed
energia personale".
Sono interessanti anche le posizioni critiche nei confronti del sistema capitalistico: per Marco
Tesi, in Italia sta ancora prevalendo un "capitalismo selvaggio", importato dai Paesi
anglosassoni, che sta condizionando la classe imprenditoriale italiana facendole perdere i
"riferimenti etici". Più articolata la posizione di Fabio Magrino che, parlando delle
responsabilità dell'impresa nei confronti dei danni ambientali, definisce il capitalismo come
"un'economia di costi non pagati".
Tendenzialmente, comunque, il rapporto etica-capitalismo viene letto in maniera positiva,
rivalutando soprattutto la centralità del mercato e le leggi della concorrenza come elementi
regolatori dell'etica in economia.
La definizione del comportamento etico. Quali sono le dimensioni dell'eticità che dovrebbero
entrare nei comportamenti quotidiani di coloro che gestiscono imprese, banche ma anche
informazione, pubblicità, marketing? A questi interrogativi, che costituiscono l'area più ricca di
informazioni, gli intervistati hanno risposto in gran parte proponendo modelli di
comportamento strettamente legati ai principi della professionalità, della coerenza e
dell'orientamento all'efficienza e alla produttività. Per Giampiero Cantoni, comportarsi
eticamente significa "fare al meglio il proprio mestiere, la propria professione e guidare con
efficacia ed efficienza l'impresa". Molto simile anche la lettura che ne dà Fabio Magrino,
secondo il quale "comportarsi eticamente significa garantire trasparenza e correttezza
professionale".
Ma ci sono anche posizioni più orientate ad un'etica globale che pone in primo piano il
rispetto per la persona umana.
Riguardo ai "destinatari" e ai "latori" di un comportamento etico, la maggior parte degli
intervistati ha sottolineato l'esigenza di un'etica diffusa a tutti i livelli della gestione interna
dell'azienda: dal management all'operaio, dal presidente all'impiegato di banca. Anche nei
rapporti tra i diversi attori sociali ed economici il comportamento etico non è unidirezionale;
come afferma infatti sempre Cantoni "il comportamento etico può essere paragonato alla
distribuzione del valore aggiunto": dipendenti, Stato e società sono contemporaneamente i
terminali del comportamento etico.
Rispetto alla natura del comportamento etico, gli economisti Savona e Martino concordano
con la posizione del premio Nobel James Buchanan che sottolinea come i comportamenti
etici abbiano una importantissima valenza economica; conseguentemente l'etica è
individuabile in quei comportamenti istituzionali ed individuali che spingono verso la
produttività.
Interessante la posizione del presidente della Confcommercio, Francesco Colucci, che
articola la definizione del comportamento etico su tre parametri: la qualità del servizio
erogato, la ricchezza prodotta e le condizioni di lavoro del personale. L'armonizzazione di
questi elementi diventa il requisito indispensabile per un comportamento etico che sia anche
produttivo.
E quest'ultima considerazione permette di introdurre il quesito centrale posto ad ogni
intervistato: un comportamento etico favorisce o danneggia l'impresa? Le risposte sono state
inequivocabili: un comportamento etico paga sempre, anche se non nel breve periodo. E' pur
vero, tuttavia, che il comportamento etico non deve essere strumentale solo al
raggiungimento di risultati economici, ma la sua adozione deve essere dettata da una scelta
di ordine morale che prescinda da considerazioni di convenienza.
Etica e banche. Il ruolo dell'etica all'interno del sistema bancario assume nelle valutazioni
degli intervistati forme e modelli di comportamento dai tratti molto peculiari. Da parte degli
esponenti del mondo bancario la valutazione dell'etica "nella" e "della" banca è sicuramente
positiva. Guido Savagnone sottolinea la "funzione sociale del sistema bancario italiano",
Gianfranco Imperatori evidenzia come "le nostre banche abbiano dimostrato una sostanziale
solidità" rispetto a quelle estere.
Diversa è invece la prospettiva degli imprenditori: per Giampaolo Carrozza il sistema bancario
è ancora un oligopolio, troppo protetto; Tommaso Mancia lo vede in ritardo rispetto alle
esigenze del sistema economico e troppo legato ancora al concetto di utile/lucro.
Un'altra questione di grande rilievo affrontata nelle interviste riguarda il ruolo che le banche
dovrebbero assumere rispetto all'attività delle imprese, e in particolare la necessità di un
maggiore coinvolgimento per quanto riguarda la prevenzione di attività finanziarie e produttive
illecite.
L'esigenza di un servizio bancario trasparente ed efficiente, il rispetto per il cliente sia esso il
singolo o l'impresa, la creazione di una "cultura ed etica del servizio", sono stati gli elementi
ricorrenti nella definizione di quello che dovrebbe essere il comportamento etico della banca.
In sintesi, il profilo ed il modello di banca che emerge da questa sezione delle interviste può
ricondursi ad alcuni assunti condivisi dalla maggioranza:
- rispetto al ruolo di prevenzione e di controllo sulle attività illecite che la banca dovrebbe
assumere, sono tutti concordi nell'affermare che la banca non deve fare il poliziotto e non si
deve sostituire alla legge e allo Stato; può soltanto seguire le norme e rispettare sempre
principi di trasparenza e correttezza sia nei confronti dei clienti singoli che delle imprese.
- Per quanto riguarda lo "status economico" della banca, gran parte degli intervistati afferma
che è "un'impresa come tutte le altre" e come tale dovrebbe stare sul mercato e rispettare le
regole della concorrenza.
- Infine c'è la dimensione della "proprietà della banca" che sicuramente può determinare il
suo orientamento etico: il processo di privatizzazione in atto anche nel settore bancario
porterà, ad avviso di molti intervistati, a un aumento di efficienza e di produttività da parte di
istituti bancari prima in qualche modo "protetti" dal giudizio severo del mercato.
Etica e impresa. L'area delle valutazioni concernenti l'eticità del sistema imprenditoriale
italiano è quanto mai articolata ed è caratterizzata sia dai giudizi sulla nostra classe
imprenditoriale, in gran parte positivi, che dalle analisi sulle componenti interne ed esterne
all'impresa che possono condizionare l'eticità dei comportamenti economici.
Gli elementi che permettono di affermare l'eticità dell'imprenditoria italiana vengono individuati
essenzialmente nella capacità di definire relazioni umane tra le varie componenti
dell'organizzazione d'impresa: non a caso i migliori risultati si sono avuti nelle piccole e medie
imprese, dove i rapporti tra imprenditore e lavoratore sono più stretti ed improntati alla
reciproca fiducia. L'eticità di un'impresa ha quindi una doppia direzione: all'interno si
dovrebbe muovere sui principi della trasparenza e nel rispetto di quello che Massimo
d'Eufemia definisce l'"obbligo di lealtà"; nei confronti dell'ambiente esterno valgono gli stessi
principi ma si aggiunge il rispetto della legge: sia essa giuridica o di mercato. E' comunque
quest'ultimo il vero protagonista in grado di fare la fortuna delle imprese: produttività ed eticità
non sono termini antitetici; come sottolinea infatti Antonio Martino "cattiva etica significa
anche cattiva economia".
Gli esempi portati per suffragare tali ipotesi ovviamente non mancano; i settori protetti dalla
lottizzazione politica e alimentati dalle politiche assistenziali hanno dimostrato che non
conformandosi a principi di produttività non hanno potuto soddisfare neanche i canoni etici.
Nell'ambito del discorso sul rapporto tra etica ed impresa è stato inoltre affrontato il tema
"etica e qualità", ovvero come il perseguire comportamenti etici possa influire anche sulla
qualità del prodotto e del servizio. L'affermazione sulla quale concordano la maggioranza
degli intervistati è che i comportamenti etici sono componenti essenziali della qualità,
soprattutto perché agiscono e plasmano le relazioni interne dell'impresa.
Banche e Tangentopoli. Particolarmente interessanti sono gli spunti offerti dalle opinioni
espresse dagli intervistati sulla relazione "banche-Tangentopoli": quale ruolo hanno svolto nel
sistema della corruzione le banche italiane? Sono state vittime o spettatori passivi? Secondo
Salvatore Carrubba, hanno avuto responsabilità nella "rassegnazione alle pratiche di
lottizzazione politica"; più estremo il giudizio di un imprenditore, Antonio Mauri, che attribuisce
alle banche la responsabilità nell'alimentare i meccanismi della corruzione, specialmente in
contesti controllati dal pubblico. L'opinione generale è comunque improntata all'"assoluzione"
del sistema bancario rispetto a Tangentopoli: molto spesso, secondo gli intervistati, le banche
sono state coinvolte senza che se ne rendessero conto o comunque raramente hanno
contribuito attivamente a generare meccanismi di corruzione. La banca ancora una volta
appare una variabile indipendente dal contesto, anche se si riconosce che la sua immagine
ha subito duri colpi soprattutto agli occhi dell'opinione pubblica.
RENATO AGOSTINI
Amministratore delegato della Genny Moda SpA
Rispettare le regole
La "filosofia della qualità" è ormai una scelta obbligata per garantire successo alle imprese.
Più ancora, la qualità è da intendersi come un circuito che ingloba tutti i rapporti, sia "a
monte" (con i propri fornitori) che "a valle" (con i propri clienti) dell'azienda che vuole fare
qualità.
Di conseguenza, entrano nel processo di qualità fattori sia materiali sia relazionali che creano
il clima interno dell'azienda. In definitiva, la qualità non è più un discorso di settore ma di
coinvolgimento globale di uomini, risorse e mezzi. In questo senso poi, rientrano nelle scelte
di qualità anche quelli che si possono definire i comportamenti etici di una azienda: il rispetto
delle leggi, delle norme e degli usi della contrattualistica.
Per una diversa corrispondenza tra imprese e banche
Una valutazione d'insieme sulla eticità o meno dei comportamenti delle imprese non è
possibile, gli atteggiamenti sono molto differenziati.
Analizzando specificatamente la situazione delle banche, ritengo che, un comportamento
etico fondamentale sia quello di darsi e rispettare regole certe e trasparenti soprattutto in
relazione alle scelte inerenti il costo del denaro.
Spesso fanno pesare troppo il monopolio della disponibilità di moneta, il che rende
sperequato il rapporto con le imprese che ne utilizzano i servizi, a danno di queste ultime.
Sappiamo che è anche la Banca d'Italia a determinare molte condizioni di variabilità, con
modificazioni del costo del denaro nel corso dell'anno, il che crea non pochi problemi alle
imprese per le impreviste variazioni dei costi finanziari sui propri conti economici.
Nonostante i fattori esterni ai singoli Istituti di credito, resta il fatto però che molti di essi
impostano il proprio bilancio senza porsi l'obiettivo di migliorare l'efficienza, forti di utilizzare a
piacimento lo spread fra tassi attivi e passivi.
Una modificazione in positivo verrà sicuramente dalla maggiore concorrenzialità dovuta
all'apertura del mercato finanziario su base internazionale.
Quindi etica per la banca è essenzialmente trasparenza ed informazione tempestiva.
Capitalismo e moralità
Il capitalismo ha una sua forza morale nell'offrire occasioni di successo a chi è disposto ad
investire non solo denaro, ma intelligenza, capacità innovatrici ed energia personale.
Certo, un'impresa può raggiungere il successo anche con un comportamento non etico.
Rispettare le regole è una scelta soggettiva e non è detto che un comportamento contrario
non possa garantire ricchezza: almeno per un certo periodo, come dimostrano le recenti
vicende italiane della corruzione di imprenditori e di politici.
D'altronde quando si parla di rispetto delle regole c'è anche da considerare la diversità di aree
relazionali: per un'impresa può essere più facile rispettare le regole con i propri dipendenti
piuttosto che con lo Stato, specialmente quando questo opprime con il fisco e con un eccesso
di burocrazia.
Sicuramente c'è anche nei confronti dell'ambiente sociale circostante un atteggiamento di
attenzione da parte dell'impresa .
Banche e sviluppo locale
Ritornando al ruolo delle banche, si può dire che esse possono svolgere un ruolo significativo
nel concorrere a selezionare gli investimenti locali in funzione di uno sviluppo equilibrato del
territorio: si possono privilegiare quelle imprese che operano con un forte rispetto
dell'ecologia o che addirittura sono impegnate per il recupero ambientale; oppure, ancora, per
quelle che non solo garantiscono occupazione ma che elevano la qualità professionale della
manodopera.
Queste scelte possono essere più facilmente perseguibili da banche di interesse locale che
hanno sicuramente un margine di manovra importantissimo per poter condizionare i
comportamenti delle imprese che operano sul territorio.
Indipendentemente dall'area di intervento, comunque, è necessario che la banca rispetti
quelle regole di trasparenza sottolineate precedentemente. Come dirigente d'azienda insisto
su ciò che vorrei veder garantito dalle banche. E' evidente però che scelte di prospettiva
richiedono a tutte le imprese un proprio comportamento etico: nelle relazioni industriali, in
quelle con gli utenti del servizio o del prodotto che si fornisce, nei rapporti con l'ambiente
circostante, nella consapevolezza della funzione sociale che si esprime oltre a quella
economica.
Regole, non burocrazia
Tutto questo però non può essere un buon motivo per tacere sulle contraddizioni o sulla
parzialità di certe norme che vengono imposte alle imprese.
Da questo punto di vista credo che ci sia un eccesso di aspettative per la proposta di
abolizione del segreto bancario.
Rappresenta senz'altro un elemento di trasparenza ma, se si vuole, ci sono altre vie efficaci
per la lotta contro le risorse finanziarie illegali.
Oltretutto esistono già ora molti vincoli di recente introduzione: rallentano l'attività
amministrativa dell'impresa e non risolvono il problema.
La priorità credo sia quella del controllo degli spostamenti di denaro tramite circuiti telematici,
movimenti di cui non resta traccia.
Inoltre se l'abolizione del segreto bancario è limitata a un solo Paese, si rischia di fermarsi
ancora una volta a semplici affermazioni di principio e non credo sia questo l'obiettivo dello
Stato e dei cittadini onesti.
GIUSEPPE BARTOLOMEI
Presidente della Banca Toscana
Etica ed economia
Il mio intervento in questo contesto non può che partire dalla constatazione che esiste ed è
diffuso un nuovo bisogno di etica provocato anche dal crollo di quelle referenze ideologiche
sulle quali avevamo in qualche misura modellato le nostre azioni.
E questo ci avverte che ogni forma di istituzionalizzazione serve a garantire la sopravvivenza
di una data realtà, ma tendendo a privilegiare il momento statico della vita civile, rischia di
sacrificare quello della creatività e della crescita delle consapevolezze individuali e collettive,
particolarmente importanti in momenti di transizione come l'attuale.
Ciò premesso, l'esigenza di un'etica da esercitare nell'ambito della operatività imprenditoriale
o pubblica non è una novità. Prima che la sociologia moderna la battezzasse come "etica
delle professioni", la Chiesa aveva codificato la materia in un capitolo della morale dedicato ai
"doveri del proprio stato". Tra le due posizioni c'è però una differenza rilevante in quanto una
cosa è dichiarare la logica dei comportamenti professionali autonoma e indipendente dai
convincimenti privati, altra cosa è la posizione della Chiesa che, pur articolando l'azione su
piani diversi, afferma la organica unità delle finalità umane con l'implicito dovere alla
disobbedienza, quando nell'ambito del lavoro o dell'attività pubblica venissero imposte azioni
in contrasto con la propria coscienza. Alla base di tutto questo c'è una precisa concezione
dell'uomo: un uomo chiuso nella feroce volontà individuale del "voler essere", rispetto a quella
che lo vede impegnato a ricercare se stesso realizzandosi attraverso gli altri, nell'assunzione
delle relazioni che lo collegano con lo sviluppo della comunità e dell'ambiente. Comunità che
oggi è l'insieme di tutti i gruppi umani e ambiente che non è più quello di casa nostra, ma ha
ormai una dimensione planetaria.
A stringere sempre più le interdipendenze fra economia, politica ed etica è anche l'aumento
dei poteri provocato dall'enorme sviluppo tecnologico. Fino a pochi anni fa, infatti, la moralità
era organizzata entro gli spazi domestici, quelli rientranti nel proprio dominio, ed esaltava
specialmente l'atto virtuoso individuale. Con l'irruzione sulla scena della tecnologia i
comportamenti cumulativi che essa induce proiettano nel futuro gli effetti di ogni nostra
decisione. Ciò impone che prima di agire ci si debba chiedere se gli effetti delle nostre scelte
siano compatibili con la permanenza di una vita autenticamente umana e vivibile sulla terra.
Quale, cioè, sia il carico negativo col quale dovranno misurarsi le generazioni che ci
seguiranno.
Le attività specifiche di ogni impresa devono essere compatibili col quadro degli interessi
generali che spetta alla politica di definire avendo come riferimento il destino dell'uomo. La
politica non è, come molti finora hanno creduto, onnicomprensiva ed assorbente di ogni
responsabilità individuale. Essa non ha alcun valore salvifico. Resta però lo spazio nel quale
si sviluppa la dinamica della storia, cui ognuno dà un suo contributo.
Etica e privatizzazioni
In particolare per quanto riguarda le privatizzazioni, si può fare azione di interesse pubblico
con mezzi privati, come per esempio fa il volontariato in molti campi. Oppure si possono
soddisfare interessi privati con mezzi pubblici, come dimostra Tangentopoli.
Il controllo pubblico può essere garanzia di eticità quando è gestito democraticamente
secondo una visione generale delle cose, e non in base a interessi di lobby. L'economia di
mercato è uno strumento di competitività e di innovazione molto importante in quanto i suoi
risultati sono una condizione della prosperità, ma non la sola. Essa non esaurisce infatti tutte
le esigenze della società e tanto meno il destino dell'uomo.
Il sistema bancario
La moralità delle banche, si esprime nell'esercizio consapevole della loro funzione di servizio,
particolarmente indispensabile oggi a sostegno delle famiglie e della imprenditorialità piccola
e media. Rispetto a quest'ultima le banche dovrebbero elevarsi a ruolo di consiglieri,
assumendosi una parte del rischio di impresa, e diventando così collaboratrici nella
valutazione stessa degli investimenti produttivi della propria utenza.
GIORGIO BENVENUTO
Segretario generale del Ministero delle Finanze *
Il raggiungimento della qualità
La qualità, intesa come qualità totale, è un obiettivo che può essere raggiunto soltanto
attraverso la congiunzione di fattori materiali e relazionali.
La qualità che il prodotto deve avere, non deve essere un risultato fine a se stesso: ad essa
sono quindi legati i problemi della formazione del personale e della comunicazione.
Soprattutto quest'ultima è un elemento essenziale nelle operazioni di qualità; i risultati che si
ottengono, devono infatti trovare all'esterno il giusto riscontro, sia in termini di verifica sia in
termini di credibilità di ciò che viene comunicato. Nella indicazione di qualità totale si fa
riferimento ad una operazione di carattere complessivo, quindi riferita non solo al prodotto,
ma anche a come viene fatto (rapporto all'interno dell'azienda) e alla definizione della qualità
all'esterno dell'azienda.
L'etica della produzione
In questo senso il concetto di etica assume il significato di rispondenza della qualità che viene
definita a quella che viene indicata. L'etica deve essere tale per cui il risultato è un risultato
vero.
Non essendo a tutt'oggi praticata la qualità totale nel nostro Paese, non è possibile dare un
giudizio "morale" sul comportamento delle imprese. Si può semplicemente affermare che nel
sistema delle imprese esiste e resiste l'abitudine ad avere "altre forme" di appoggio, cioè non
vi è ancora un rapporto corretto con il cliente: nel nostro Paese - a parte le dovute eccezioni è ancora diffusa una cultura in cui il cittadino non viene rispettato. Ciò non è certo limitato al
rapporto impresa-cliente o produttore-consumatore, ma è la stessa mancanza di
riconoscimento che si osserva nel rapporto pubblica amministrazione-cittadino in generale.
Etica e concorrenza
La concorrenza, nella situazione esposta, non avviene ancora nel nostro Paese come
concorrenza sulla qualità, ma in maniera sleale: è la concorrenza di chi non paga le tasse, di
chi ha determinati appoggi, determinate agevolazioni. L'Italia, sotto questo aspetto, vive una
situazione di incredibile ritardo.
L'etica dell'impresa
La necessità è quindi quella di cambiare nella direzione di un recupero dell'etica - nel senso
sopra esposto - da parte delle imprese. Con questo intendo far riferimento, ad esempio, allo
sviluppo che si è avuto negli anni del "miracolo economico" in cui, sono state ignorate le
condizioni dei lavoratori (problema etico, oggi risolto, relativo alla produzione); un problema
irrisolto è invece quello dei costi che vengono fatti pagare al consumatore: nel nostro Paese
manca ancora un corretto rapporto con il cliente o con il consumatore.
Produzione e cultura ambientalista
Per quanto riguarda il problema dell'inquinamento, non è possibile chiedere all'impresa di
affrontare questo problema: qui è mancata da parte del mondo politico e sindacale la
necessaria preoccupazione, in quanto l'ossessione di un problema come quello
occupazionale ne ha assorbito le energie. La mancanza di una spinta - che è invece
necessaria all'affermazione dell'etica - ha concorso quindi al ritardo nella maturazione di una
coscienza ambientale nella gente. Anche oggi, si vede come la gente sia infastidita di fronte a
provvedimenti quali il blocco del traffico urbano, e non riesca a comprendere la distruzione
del patrimonio ambientale. Su questo punto, però, più che imputare tutta la responsabilità
all'impresa, occorre attribuirla sia al ritardo del mondo politico-sindacale sia al fatto che i
movimenti verdi hanno avuto una connotazione fortemente ideologizzata ("paleomarxista"),
per cui hanno fatto battaglie su altre questioni, e sui problemi di carattere ambientale non
sempre sono stati presenti. Non si può chiedere alle imprese di avere una spiccata sensibilità
ai problemi ambientali: occorre che siano le associazioni, i partiti, i sindacati a costringere le
imprese ad assumere questi atteggiamenti.
Il sistema bancario italiano
Rispetto al sistema bancario italiano esprimo delle valutazioni molto critiche, ma sono
convinto che l'Europa lo modificherà profondamente: attualmente non si può dare un giudizio
positivo su come si è sviluppato il sistema del credito nel nostro Paese. Tra l'altro sono un
sostenitore del referendum che pone l'abolizione del sistema delle nomine presso gli Enti.
L'etica possibile nel sistema bancario
In un sistema in cui le banche rappresentano una parte fondamentale, esse devono dare un
contributo nella direzione di limitare le attività "poco pulite" anche se fino ad oggi, purtroppo,
questo contributo è stato in negativo, non in positivo. Anche l'erogazione del credito dovrebbe
avvenire secondo criteri di obiettività, anche se ciò non è avvenuto, in quanto il sistema
bancario è stato occupato dal sistema dei partiti: vi è stato un "panpartitismo" che ha
introdotto praticamente solo brutti vizi nel sistema bancario.
Le banche e l'abolizione del segreto bancario
Quella italiana è una situazione in cui il sistema bancario - pur con le dovute eccezioni rappresenta uno degli ostacoli più grandi, uno dei meccanismi che più di tutti vuole
conservare un sistema sbagliato: in passato sia come sindacalista sia come Segretario
Generale del Ministero delle Finanze, ho criticato il sistema bancario perché è troppo
preoccupato di non vedere da dove provengano i soldi, mentre su questi problemi occorre un
grande coraggio e una grande trasparenza. Con molte difficoltà e con molti ritardi stiamo
comunque andando nella direzione dell'abolizione del segreto bancario: è da un anno che si
discute su come organizzare l'archivio centralizzato che dovrebbe garantire l'equità fiscale e
contribuire ad evitare alcuni fenomeni di economia "criminale". In questo "braccio di ferro" la
posizione delle banche non è quella di un "no" esplicito, è quella tipica in Italia per cui le cose
non si fanno per eccesso di consenso; le riforme non si fanno, non per una opposizione
chiara maggioritaria, ma perché tutti sono d'accordo.
Proprio attraverso l'eccesso di consenso vengono introdotti tanti di quei vincoli per cui, alla
fine, da parte delle banche, non c'è un vero e proprio "no", ma una forma di boicottaggio che
esprime la resistenza al cambiamento di una posizione di comodo, in cui queste hanno
operato sino ad oggi.
ITALO BOCCI
Presidente della Banca Popolare di Ancona
Conciliare legge morale e legge del mercato
Il perseguimento della qualità è da considerare una caratteristica permanente delle imprese,
un impegno ed un obiettivo per il cui raggiungimento sono ugualmente importanti i fattori
materiali e quelli immateriali.
Tra questi ultimi è rilevante, in particolare, quello delle buone relazioni interne all'azienda, la
valorizzazione delle risorse umane.
L'attenzione alle relazioni interpersonali favorisce il richiamo alla componente etica del fare
impresa: l'etica è la componente fondamentale della qualità strutturale dell'azienda.
Si può parlare di comportamento etico come senso di responsabilità e rispetto delle regole.
Per le banche si tratta di riflettere sulla possibilità di conciliare leggi morali e leggi
dell'economia.
Non sempre i due aspetti coincidono e allora bisogna far prevalere la legge morale, anche se
è difficile. Non è accettabile, ad esempio, la regola secondo cui il fine giustificherebbe sempre
i mezzi.
Per una azienda, e per una banca in particolare, infatti la scelta strategica dell'adozione dei
comportamenti etici potrebbe consentire, nel lungo periodo, solidi risultati economici.
Ruolo sociale dell'imprenditoria italiana
Oggettivamente, è difficile esprimere una valutazione onnicomprensiva sul prevalere o meno
della eticità tra gli imprenditori. Cerchiamo di conoscere i nostri clienti, riteniamo
complessivamente più affidabili quanti adottano comportamenti rigorosi ma è evidente che
per una banca la affidabilità economica di un terzo resta il fattore principale.
Non vogliamo certo avere nulla a che fare con alcun comportamento illecito né intendiamo
agevolarlo. Guardando sempre alla strategia di una banca, un atteggiamento permissivo nei
confronti di atti o finalità illegali costituirebbe l'esatto contrario degli obiettivi, vale a dire
perdita di credibilità e di competitività, giacché il successo non è misurabile soltanto in termini
meramente economici.
Il meccanismo della cumulazione capitalistica è il fattore essenziale dello sviluppo ma va
coordinato all'interno dei princìpi etici che regolano la società.
Il perseguimento della ricchezza accompagnato alla valorizzazione degli individui ed allo
sviluppo della collettività costituiscono gli elementi essenziali della nostra società.
Senza l'integrarsi di questi fattori si avrebbe il rischio di una volontà di ricchezza fine a se
stessa, sostanzialmente amorale.
La mia convinzione è che lo sviluppo dell'imprenditoria italiana sia sostanziato da una forte
consapevolezza etica: la ricchezza prodotta viene continuamente reinvestita ed offerta per la
crescita della collettività.
La banca come agente dello sviluppo del territorio
Sono questi gli imprenditori che una banca deve privilegiare e la pur allarmante degradazione
del sistema, manifestatasi con l'emergere degli scandali attuali, non consente
generalizzazioni.
Noi raccogliamo soprattutto risparmio dalle famiglie e lo canalizziamo verso le imprese,
evitando scelte privilegiate verso grandi gruppi.
I criteri di selettività sono quelli della solvibilità dell'impresa, della eticità del suo
comportamento, della credibilità del programma di investimenti. Tuteliamo così i risparmiatori
e favoriamo le piccole e medie imprese che caratterizzano l'ambiente in cui operiamo: è un
circuito prezioso sul quale continuiamo a contare pienamente, nonostante i gravi problemi del
momento.
I volti della scelta etica
La questione del comportamento etico di una impresa è indubbiamente complessa. In teoria
si dovrebbero rispettare sia le regole del rapporto con lo Stato sia quelle attinenti i rapporti
con le persone. La realtà è molto più articolata.
Sicuramente l'azienda privilegia il soddisfacimento delle esigenze e dei diritti dei propri
dipendenti, dei propri collaboratori: la loro soddisfazione è sinonimo di buon rendimento.
Nei confronti dello Stato prevale spesso un atteggiamento di diffidenza, un eccessivo
distacco. Personalmente ritengo che un buon imprenditore debba avere anche senso dello
Stato, consapevolezza di ciò che rappresenta la collettività.
Non si può tacere però sulle gravi carenze dello Stato italiano, sul pericolo di un suo ulteriore
distacco dai cittadini, anche se la risposta più immediata resta per ciascuno l'adempimento
dei propri doveri di cittadino.
Di conseguenza il comportamento etico di un individuo, di un imprenditore, di una banca, è
modellato dal suo modo di relazionarsi con l'ambiente.
Si badi bene, la questione etica non può essere considerata alla stregua di un semplice
problema di immagine.
Il profitto di un Istituto di credito, legittimo quanto necessario, non deve realizzarsi a discapito
dell'utenza e dell'attenzione per lo sviluppo della realtà locale.
La scelta primaria è quella della correttezza di gestione, cui corrisponde - come derivato l'acquisizione di una immagine positiva. Ciò significa anche guardare alle caratteristiche ed
alle finalità dell'imprenditore, per non agevolare obiettivi e politiche aziendali in contrasto con
gli interessi della collettività.
Ancor più vincolante deve essere l'attenzione della banca contro gli illeciti, oggi sostenuta da
norme specifiche che vanno attentamente seguite, giacché la scelta obbligata è quella di
troncare ogni rapporto con attività illegali.
In sostanza, ritengo che la scelta per la massima correttezza ed un certo rigore etico
costituisca un elemento caratterizzante per la vita di una banca.
Se la filosofia che si adotta è questa, il rispetto dei principi, l'adesione alle regole comuni, il
senso della collettività e dello Stato permeano di sé tutto il personale ed i servizi dell'Istituto.
L'esempio è sicuramente determinante, poiché le rigide gerarchie del passato sono ormai
superate.
La scelta del successo nel lungo periodo - che equivale al rispetto massimo dell'utente - può
affermarsi nella misura in cui il management riesce a veicolare questa filosofia nell'intero
corpo della banca.
La condizione necessaria è quella di un linguaggio e di una cultura comuni fra tutti i livelli
direttivi ed operativi, dal Consiglio di amministrazione sino agli operatori degli sportelli più
decentrati.
Ciò è tanto più necessario oggi poiché molte cose importanti stanno cambiando. Penso
all'abolizione del segreto bancario, che richiede anche un mutamento di mentalità. Sono
favorevole all'abolizione del segreto bancario, ma non lo sono se questo comporta mancanza
di riservatezza da parte della banca.
La riservatezza deve continuare ad esistere. I dati delle banche devono essere forniti
all'esterno soltanto dietro richieste motivate.
Le banche devono essere a disposizione per dare qualsiasi informazione, collaborare ma non
sostituirsi alla Magistratura ed alla Polizia tributaria.
Le norme che smantellano il segreto bancario devono essere utilizzate con notevole senso di
responsabilità. Anche questo significa consapevolezza etica della propria funzione sociale.
IRIDIO CACCIAMANI
Direttore della Cassa di Risparmio di Jesi
L'etica fra i fattori dello sviluppo qualitativo
Per una banca è fondamentale l'attenzione ai fattori immateriali che garantiscono la qualità
del servizio e dei rapporti con la clientela.
L'esperienza diretta nella nostra banca ha privilegiato il marketing interno a supporto di una
strategia di qualità globale: dalla collaborazione fra tutte le risorse dell'azienda
all'adeguamento degli investimenti con cui garantire prodotti e servizi rispondenti alle
esigenze del mercato.
Essenziale è il coinvolgimento e la responsabilità del personale. Lo richiedono la sistematica
riorganizzazione degli sportelli, la meccanizzazione dei servizi e l'uso della telematica. Il
nostro punto di forza è la cura costante del rapporto con il cliente anche se questo spesso ha
comportato aggravi di costi.
Le novità portate dalla "legge sulla trasparenza bancaria" svolgono un'azione di stimolo,
anche se indirettamente, per le banche. Aumentando la concorrenza, i fattori del successo
quali immagine, qualità del rapporto con la clientela, il comportamento etico, diventano
imprescindibili.
C'è in questa legge un forte elemento di novità: essa offre strumenti di democrazia
economica che il nostro istituto ha realizzato anche attraverso un'operazione di offerta
pubblica di azioni privilegiate ai risparmiatori. L'iniziativa ha avuto un notevole successo: sono
diventati soci della Cassa più di 3.300 persone.
Tornando al tema più generale ritengo che la qualità dello sviluppo coincida con il
comportamento etico delle imprese: l'industria fa parte di un sistema economico sociale,
produce reddito e profitto, a favore dell'impresa stessa ma anche del sistema in cui agisce.
Non è immorale il perseguimento del profitto. Lo sono invece soggetti e metodi finalizzati al
profitto ma attraverso percorsi da condannare, quali l'evasione fiscale, le falsificazioni di
bilanci, lo sfruttamento indebito dei lavoratori, la produzione o la commercializzazione di
prodotti notoriamente dannosi.
In sostanza, occorre specificare che i connotati etici o il loro contrario possono essere
individuati in relazione al comportamento dei singoli e non al concetto di impresa. Di
conseguenza, si può sostenere che nell'attività bancaria, essendo gran parte dei suoi aspetti
regolamentati per legge, ben poco può essere abbandonato a comportamenti amorali.
La riflessione va spostata su altri versanti: il rispetto della legge sulla trasparenza bancaria, la
garanzia sulla salvaguardia degli affidamenti, la continuità del servizio anche nei momenti più
difficili per la clientela, in particolare per le imprese.
In sintesi, il comportamento etico di una banca si definisce nella qualità del rapporto con la
clientela.
Sinergie fra le forze del mercato e l'interesse pubblico
Il capitalismo, o meglio le leggi di mercato, sono sicuramente morali, sono un "fatto naturale"
legato all'economia di mercato. Ogni tentativo di contrastarle arbitrariamente è stato
caratterizzato da risultati negativi se non addirittura disastrosi.
Il caso dello SME (Sistema Monetario Europeo), che ha tentato di regolare con provvedimenti
amministrativi quella merce particolare che è la moneta, ha subìto la rivincita del mercato,
tanto che la lira ha recuperato credibilità internazionale appena uscita dallo SME.
Si possono tralasciare i riferimenti al socialismo reale, perché la vastità dei danni che ne sono
conseguiti sono sotto gli occhi di tutti.
Sicuramente le forze del mercato vanno in qualche modo regolamentate, come qualsiasi altra
grande riserva di energia esistente in natura.
I meccanismi di mercato, lo spirito capitalista possono essere orientati a fini positivi per la
società; il singolo incapace di perseguire il suo interesse finisce per danneggiare la società,
che poi è chiamata ad aiutarlo.
In Italia ci sono esempi di poca etica in gran parte del capitalismo di Stato: sono largamente
note le vicende dell'EFIM, con i 15 mila miliardi di deficit gravanti sulla collettività.
Eppure il complesso della classe imprenditoriale italiana è sana. La sua capacità di lavoro, di
fare impresa, di investire tutte le proprie risorse non è spiegabile con la sola volontà di
profitto: è invece capacità di affermazione individuale che coincide con l'ambizione positiva di
fare qualche cosa di utile per la collettività, e ciò costituisce fattore etico di sviluppo generale.
Comportamento etico, priorità sociali e difesa della legalità
Sono profondamente convinto che la banca debba orientare il suo comportamento a forti
convinzioni etiche. Anche evitando riferimenti di ordine morale, che peraltro restano
imprescindibili, sappiamo quanto l'attenzione o la disattenzione a regole di comportamento
etico incidano in positivo o in negativo sull'immagine di qualsiasi struttura soggetta
all'interesse dell'opinione pubblica.
La banca, e soprattutto la banca locale, ha bisogno di un'immagine solida, perché il rapporto
tra questa e la clientela è essenzialmente fiduciario.
Sulla connotazione etica di una banca, sulla sua immagine morale, incide inoltre la qualità del
rapporto con i propri dipendenti, come la capacità dell'istituto di integrarsi nei momenti più
importanti della vita sociale locale, anche quando questi impongono dei costi e non
favoriscono un ritorno economico immediato.
La qualità etica della banca è condizione della sua possibilità di consolidamento e di sviluppo
nel tempo. Volendo, si potrebbero massimizzare i profitti in un arco ristretto di tempo ma con
quella che diventerebbe una "politica di rapina" verso l'ambiente circostante.
Etica e capacità di sviluppo finiscono per coincidere, poiché profitti esasperati nel breve
periodo non possono ripetersi nel tempo e la spregiudicatezza contingente potrebbe essere
pagata con un arretramento di posizione.
Si tratta di una scelta comportamentale che investe sia il modo di essere della banca al suo
interno sia i rapporti con la clientela. Infatti, scarsi controlli non solo sulla solvibilità, ma anche
sulla moralità e sulla effettiva professione dei clienti, potrebbero rivelarsi dannosi e per
l'immagine e per il patrimonio della banca.
La questione è aperta per l'insieme del mondo bancario e coinvolge ormai tutti: la battaglia
morale e concreta contro i traffici illeciti non può fermarsi all'ingresso delle banche.
Responsabilità delle banche e dimensione sovranazionale della lotta alla criminalità
In tal senso le norme antiriciclaggio indicano regole assai precise. Al di là di queste esiste
tuttavia un margine di discrezionalità che investe la responsabilità delle singole banche.
Senza ricorrere agli estremi della illegalità e dei fatti delittuosi, va ricordata la
raccomandazione della Banca d'Italia affinché si favorisca il credito per le attività produttive
rispetto a quello per le attività finanziarie: una scelta di valore sociale, dato che l'impiego di
carattere finanziario può risultare più remunerativo dell'altro.
In sintesi, si può realizzare un'etica comportamentale delle banche in tutte le sue funzioni
costitutive, interne o esterne che siano, con una consapevole attenzione per le esigenze delle
imprese.
Avanzo però delle riserve, sul piano pratico e non di principio, e soprattutto per il momento
contingente, sul completo superamento del segreto bancario.
Ciò estenderebbe gli ostacoli alle attività illegali ma la preoccupazione è per le possibili,
quanto diffuse, fughe di capitali.
D'altronde già oggi le norme antiriciclaggio, i limiti per i libretti al portatore rendono più difficile
le attività illegali. Ulteriori misure, rilevanti come il superamento del segreto bancario,
dovrebbero essere concordate su scala internazionale, altrimenti il rischio è che proventi
legali e magari anche illegali finiscano per transitare tutti nelle banche svizzere o austriache.
GIAMPIERO CANTONI
Presidente della Banca Nazionale del Lavoro
I fattori determinanti per la qualità
La qualità è un obiettivo che pervade tutta l'azienda, a monte e a valle del processo
produttivo. Anche i fattori relazionali - quindi - sono di importanza fondamentale. In
un'azienda di servizi, poi, essi assumono un peso davvero critico perché, senza sottovalutare
l'importanza di fattori tecnologici o di processo produttivo, il contatto tra il personale
dell'azienda ed il cliente (fornitore o prenditore di danaro) è il momento topico in cui la qualità
"prende corpo".
Ed è per questo motivo che ritengo che i comportamenti etici debbano essere a pieno titolo
considerati quali componenti essenziali della qualità. Essi rispondono infatti ad un principio
etico fondamentale: fare al meglio il proprio mestiere, la propria professione, guidare con
efficacia ed efficienza un'impresa. Quando un'impresa, poi, è pubblica, questo imperativo
etico diventa ancora più stringente, lo spirito di servizio più marcato. Probabilmente questa è
un'angolazione magari un po' calvinista, ma sono profondamente convinto della assoluta
necessità di esprimere in ogni occasione il meglio di se stessi.
L'eticità dell'impresa italiana
Non è facile definire il "livello di eticità" dell'impresa italiana. Il termine "etico" abbraccia una
latitudine così ampia da rendere assolutamente inconsistente la valutazione. Delimitando il
campo ed assumendo per etica l'esprimere sempre e ovunque il meglio di se stessi, posso
dire con tutta franchezza e tranquillità che il livello non è elevato: sono imprenditore anch'io e
conosco le difficoltà in cui si fa impresa in Italia, le inefficienze diffuse e strutturali che si
frappongono fra noi ed il mercato.
Tuttavia credo che, sgombrato il campo da tutte le diseconomie esterne che ci affliggono, noi
imprenditori possiamo e dobbiamo fare di più per migliorare costantemente le nostre
performance. E fintanto che non raggiungeremo l'eccellenza, che è alla nostra portata, non
potremo dirci - anche eticamente - soddisfatti.
Il comportamento etico: dove e come
Non esistono settori "privilegiati" nei quali si realizza meglio il comportamento etico.
L'esigenza di comportamenti etici è di tutti, a tutti i livelli di responsabilità. A partire dagli
azionisti, dal management, ai quadri intermedi fino all'ultimo magazziniere.
Penso che molti dei problemi del nostro Paese potranno essere affrontati se, oltre alla
determinazione ed alla voglia di farcela, sapremo mettere in campo un forte e diffuso
recupero della dimensione etica nei comportamenti di ogni giorno, anche in quelli minuti.
Non è per banalizzare il discorso "alto" che mi viene proposto, ma si pensi un momento agli
sprechi che hanno luogo quotidianamente in azienda, o nella pubblica amministrazione, nei
servizi pubblici e privati. Sono piccole cose, prese ognuna per sé. Insieme, però, danno la
misura della distanza tra noi e gli obiettivi che ci poniamo. Anche questa è etica. Senza
arrivare agli sprechi grandi e grandissimi che sono sotto gli occhi di tutti.
Rispetto all'etica delle banche italiane non posso valutare in termini generali. Posso parlare
invece del lavoro svolto nel Gruppo che presiedo, dove c'è una tensione nuova ad esprimere
appieno tutte le potenzialità che abbiamo al servizio della clientela e del Paese.
Etica e capitalismo
Per affrontare il rapporto tra etica e capitalismo è necessaria una premessa: il modello
capitalista ha vinto sul suo concorrente più temibile, il marxismo-leninismo.
Sgombrato il campo dal grande antagonista, ho l'impressione che il capitalismo solo adesso
inizi la sua sfida più grande e più vera, quella con il mondo povero e sottosviluppato, che non
ha più appigli dell'ideologia su cui poggiare il proprio orgoglio ed il proprio riscatto, e che può
invece cadere nel viluppo del fondamentalismo religioso o nell'esasperazione nazionalista.
Di fronte a questo scenario, il problema sulla moralità o amoralità del capitalismo rimane un
problema puramente interno ad un sistema che, al contrario, deve poter espandersi in quanto
modello applicabile allo sviluppo di larghissima parte dell'umanità contemporanea.
Certo, nella misura in cui l'Occidente industriale e libero ha elevato le condizioni delle sue
popolazioni, credo che sulla sua "moralità" non vi possono essere dubbi. Non sono da
confondere gli eccessi di un certo "fondamentalismo capitalista" con il diffuso progresso
sociale ed economico che la libera iniziativa privata ha portato là dove si è potuta esprimere.
Etica e impresa
Nel particolare il rapporto dell'impresa con canoni etici non è dei più lineari. Perseguire un
comportamento etico può benissimo danneggiare l'impresa ed abbiamo esempi di vera e
propria esclusione dagli affari per chi non si piega o non alimenta prassi non etiche.
Un elevato profilo etico, peraltro, si costruisce e diventa riconoscibile nel tempo, con duraturi
benefici per quanto riguarda i rapporti con il pubblico, del quale bisogna conquistare la
fiducia, e con le istituzioni, intendendo per esse le tante e diverse rappresentanze degli
interessi. L'eticità è un valore che sono convinto verrà sempre più riconosciuto da strati
sempre più larghi di pubblico e di istituzioni.
Per l'impresa italiana comunque parlerei solo di un'etica del lavoro, spesso durissimo, sempre
operoso, che non ha eguali nel mondo, tenuto conto della sostanziale povertà, dei ritardi con
cui siamo partiti, dei "colli di bottiglia" culturali che ancora ci affliggono.
I terminali del comportamento etico
Il comportamento etico può essere paragonato alla distribuzione del valore aggiunto, che va
in retribuzioni, in imposte ed in dividendi. Dipendenti, Stato e "società" sono i terminali anche
di comportamenti etici.
Non vorrei sembrare troppo organicistico, ma Stato e società siamo noi: quello che diamo con
una mano, riceviamo con l'altra. La tensione al progresso non possiamo demandarla ad altri o
ad entità che astratte non sono.
Ricchezza bruciata per "eccesso di capitalismo" o ricchezza mal distribuita per "difetto di
eticità" sono facce della stessa medaglia, anzi di una moneta cattiva che scaccia quella
buona, secondo la nota legge. E' questo il pericolo maggiore che si corre, e cioè il non
mettere l'uomo, con la sua dimensione anche etica, al centro dei nostri modelli, delle nostre
proposte di rinnovamento. Senza di ciò, potremmo fare della grande ingegneria istituzionale o
organizzativa, ma otterremmo risultati non diversi dal passato.
Comportamento etico dell'impresa e ruolo delle banche
In quanto motori dello sviluppo, le aziende di credito potrebbero a buon titolo "portare la
croce" di aspetti sbagliati dello sviluppo. Ma a loro spetta valutare il merito di credito, non, ad
esempio, l'impatto ambientale. Cosa fare, allora, per uno sviluppo compatibile con
l'ambiente? Credo che stia al legislatore porre i "paletti" e all'amministrazione farli rispettare
con determinazione. Occorre cioè creare una cultura diffusa dell'ambiente, fissare regole
certe e dure sanzioni, comminare queste sanzioni con celerità. Ciò fatto, l'iniziativa
imprenditoriale sarà naturalmente incanalata in un alveo di compatibilità generali, anche
ambientali, e con esse i necessari appoggi creditizi e finanziari. Attenzione, però, perché se lo
Stato non funziona, anche gli interventi ambientali possono divenire fonti di "inquinamento
etico". E' cronaca di questi giorni.
Se invece l'attenzione si sposta sul terreno della prevenzione della criminalità, c'è da dire che
le banche si sono prontamente adeguate alle misure informative e conoscitive stabilite dal
Legislatore, e che hanno sempre collaborato con gli inquirenti, aprendo loro le porte ogni
qualvolta richiesto. E' un impegno che continua, con l'impiego di risorse consistenti. Il punto è
importante e va ribadito: occorre tutelare il rapporto di fiducia tra cliente e banca, ma è
altrettanto vero che il segreto bancario, di fronte alle autorità competenti, semplicemente non
esiste più.
Erogazione del credito e segreto bancario
La selezione del credito è l'attività bancaria per eccellenza. Oltre al proprio capitale le banche
infatti prestano i fondi depositati da terzi. Debbono quindi ben ponderare il rischio di credito,
perché non debbono minare la fiducia dei propri depositanti. Nella ponderazione del rischio
rientrano valutazioni tecniche di situazione economico-finanziaria, di business plans, di
strategie complessive del cliente. La valutazione etica si pone su un piano diverso e può
naturalmente "pesare" sulle scelte anche in misura determinante. Ma è anche vero che la più
"etica" delle domande di credito può andare avanti solo se ha un solido background tecnico.
GIAMPAOLO CARROZZA
Presidente della CIDA
(Confederazione Italiana Dirigenti d'Azienda)
Il progetto sull'etica del servizio
Il tema dell'etica è stato affrontato dalla CIDA con il "progetto sull'etica del servizio". Si tratta
di una iniziativa presa tre anni fa da una delle federazioni dei dirigenti associate nella CIDA,
cioè la FENDAC, con l'obiettivo di stendere un progetto da mettere a disposizione di altri
gruppi organizzati.
La considerazione alla base di questo progetto è stata la convinzione della necessità di
stabilire delle regole "autoimposte", una specie di codici di settore e in qualche modo di
"supercodici", all'interno dei quali inserire le specifiche indicazioni. L'iniziativa si è posta
inoltre la volontà di valorizzare il concetto di servizio, non più visto come "potere" esercitato
da chi lo eroga nei confronti di chi è utente, ma come "valore in sé", come valore relazionale.
Questo concetto, non si deve limitare a regolare i rapporti tra fornitore/azienda e
utente/cittadino; all'interno della stessa azienda i processi di produzione sia di beni sia di
servizi sono in realtà processi relazionali in cui ognuno è, a sua volta, fornitore e utente: ad
esempio nei rapporti tra ricerca, sviluppo e produzione, in quelli tra produzione e
commercializzazione, o tra marketing e vendite. Favorire quindi una cultura del servizio come
valore e quindi di rispetto della dignità e delle esigenze dell'utente è fondamentale in ogni
fase del processo produttivo.
Il raggiungimento della qualità
Il progetto sull'etica del servizio è perfettamente sovrapponibile ai principi della qualità totale.
In realtà, quest'ultima è proposta più come un sistema tecnico per raggiungere certi risultati di
miglioramento e di affinamento del prodotto, mentre vestire queste metodologie di un valore
che vada al di là del semplice artificio tecnico - come è previsto dal progetto sull'etica del
servizio - è un discorso più completo. Non vi è, comunque, alcun punto di conflitto tra il
discorso sull'etica del servizio e quello della qualità totale: anzi, più ci si impadronisce del
primo più si favorisce la seconda.
Il rispetto delle regole
Quando si affronta il tema del comportamento etico, non ci si può limitare al discorso sui
numerosi codici etici o di comportamento che sono stati prodotti: è infatti necessario
combinare questo tema con quello dell'efficacia, cioè quello della condivisione e delle
sanzioni. Occorrono, allo stesso tempo, sia la condivisione e l'accettazione delle regole da
parte di tutti i soggetti del ciclo economico, sia le sanzioni per chi le contravviene. Infatti, ad
esempio, se i dirigenti d'azienda prevedono nel loro codice un certo tipo di comportamento
ma gli altri soggetti/categorie delle aziende in cui lavorano (la proprietà e i lavoratori) non si
riconoscono in questi principi, il codice è del tutto inefficace.
Il comportamento delle imprese
In questo momento quando si parla del comportamento delle imprese è tutto affidato alla
morale individuale: è una situazione confusa nella quale di fronte alle regole vigenti
attualmente, vi sarà chi le rispetta e chi no. Uno dei limiti presenti attualmente è la mancanza
di parità, per cui coloro che vorrebbero fare le cose per bene non le fanno poiché chi si
comporta in modo più spregiudicato ha, in effetti, dei benefici sul mercato. Quindi se il
comportamento etico, trasparente, chiaro, è senza dubbio un investimento che ogni azienda
dovrebbe fare perché questo modo di fare stabilisce una relazione di fiducia con il cliente che
nel tempo sicuramente paga, la presenza sul mercato di alcune aziende che si comportano in
modo più spregiudicato fa sì che queste ultime ne ricevano un beneficio immediato. In questi
casi dovrebbe appunto intervenire un "comitato etico super partes" proprio per sanzionare dall'interno - le aziende che non attuano i modelli di comportamento e le regole autodefiniti.
Etica e capitalismo
Credo che nel nostro Paese ci sia la possibilità di coniugare i principi del capitalismo di tipo
anglosassone, calvinista, puritano, secondo il quale l'eletto è quello che fa più soldi, con la
nostra lunga tradizione di cattolicesimo, di solidarismo, di principi sociali. Si potrebbero quindi
coniugare gli aspetti più "sani" del capitalismo, che sono quelli orientati al profitto, con quelli
del rispetto, della solidarietà, della socialità e quindi di un profitto che deve trovare il suo
riconoscimento tangibile, ma anche un limite negli interessi della collettività. Del resto, i
giovani industriali, quando parlano da anni di capitalismo democratico, si riferiscono proprio a
questo.
Il sistema bancario italiano e l'etica
Il sistema bancario italiano soffre in generale nell'essere un sistema fino a ieri, forse fino ad
oggi, protetto. Quindi un sistema che non ha mai dovuto scontrarsi con i problemi della
concorrenza e della competizione, che poi determinano l'affinamento iniziale degli strumenti e
anche soluzioni più avanzate e culturalmente più premianti. La situazione storica del sistema
bancario italiano ha quindi frenato, non ha fatto emergere questi aspetti. Le banche hanno
potuto così stabilire i tassi di interesse sui depositi con criteri di oligopolio, con
quell'atteggiamento tipico di chi individua il servizio come "potere" e non come valore, come
detto in precedenza. Questi atteggiamenti sono gli effetti di una cultura che non ha avuto
modo di scontrarsi con un mercato competitivo. Spesso sono infatti le situazioni oggettive a
determinare i comportamenti: con il '93, quando in Italia opereranno banche europee, e non
solo, che sono abituate a lavorare con determinati criteri, le cose cambieranno.
La funzione e le possibilità di intervento della banca
Le banche possono avere una funzione di grande importanza verso un sistema creditizio che
accetti anche una percentuale di rischio maggiore rispetto a quello che tradizionalmente le
banche italiane hanno avuto nei confronti dei loro eventuali debitori. Fino ad oggi le banche
hanno prestato i soldi a chi ce li aveva, piuttosto che a chi voleva consolidare la propria
attività. Per quanto riguarda il problema del credito ad attività illegali o dannose per
l'ambiente, certamente un codice di autoregolamentazione può aiutare, anche se per questo
tipo di problemi deve essere la legge, lo Stato ad articolare le sue norme in modo da impedire
i comportamenti illeciti. La possibilità di intervento diretto della banca è quindi minima, perché
è obiettivamente abbastanza difficile rifiutare depositi e, nella mancanza di evidenza
criminosa, negare crediti.
Il segreto bancario
Sulla questione del segreto bancario è importante sottolineare che esistono vari motivi per
sostenerlo come ci sono altrettante valide ragioni per renderlo meno totale. Anche qui occorre
trovare un'articolazione, una legge che possa in qualche misura aprire delle possibilità di
indagine. Infatti oggi, da un lato sono caduti molti dei presupposti che giustificavano la
garanzia del segreto bancario, mentre dall'altro è divenuto molto serio il problema dei flussi
finanziari di provenienza illecita. La possibilità di avere dai conti bancari determinati riscontri è
importante per la collettività: di conseguenza, in qualche misura il segreto bancario dovrebbe
poter essere eliminato. Le banche dovrebbero dare il loro assenso in questa direzione poiché,
anche in questo caso, se vi fossero delle regole fissate per legge, uguali per tutte le banche,
non si creerebbe una condizione di scarsa competitività e quindi non si giustificherebbe il
timore di veder diminuire i depositi. Occorre però che questi nuovi strumenti, proprio per
l'ampia e diversa possibilità di utilizzo ad essi connessa, siano adoperati all'interno di un
sistema corretto, credibile e che si orienti nel rispetto del lavoro e del risparmio.
SALVATORE CARRUBBA
Direttore di "Mondo Economico"
L'esperienza personale
Nel corso della mia attività non si sono verificate situazioni che ponessero particolari "dilemmi
etici". Ciò soprattutto per il fatto che, fin da quando sono entrato a lavorare nell'azienda
editoriale presso la quale ancora mi trovo, conoscevo e condividevo i valori che la guidavano
e che tuttora la guidano.
I rapporti tra banche e imprese
La banca, soprattutto a livello locale, dovrebbe essere espressione dell'ambiente economico
circostante e quindi dovrebbe mantenere un grado di conoscenza delle realtà imprenditoriali
che vada al di là delle strette informazioni necessarie per concedere fidi e prestiti. Credo anzi
che, a queste condizioni, ci sia un grosso futuro per le banche locali, considerata la
frammentazione dei distretti industriali del nostro Paese e la molteplicità, che è anche
ricchezza, del nostro sistema imprenditoriale.
Intensificando i rapporti e la conoscenza con l'ambiente circostante sicuramente sarà più
facile anche controllare l'operato delle imprese. Se queste ultime infatti si sentissero
sottoposte costantemente alla vigilanza da parte del mercato, di cui la banca è parte,
probabilmente le loro strategie decisionali sarebbero ulteriormente sensibilizzate alle richieste
e alle attese del mercato stesso.
Questa funzione "preventiva" forse avrebbe potuto contenere i guasti della corruzione di
Tangentopoli. Le banche in questo contesto hanno avuto una sorta di complicità morale (che
è di grandissima parte della società civile) dovuta alla rassegnazione nei confronti delle
pratiche lottizzatorie che della corruzione sono state fondamento e alimento. In definitiva, il
comportamento etico deve consistere non nelle prediche o nella convegnistica sul tema ma
su comportamenti coerenti, basati sul criterio della trasparenza e del rispetto delle regole
della concorrenza che, in economia, sono il principale viatico per eliminare la corruzione. La
forza di un'azienda è, appunto, sul mercato. Chi vince la concorrenza ha straordinariamente
meno bisogno di una "protezione". Alla stessa stregua, se un'azienda è nota per la sua
scorrettezza, la sua credibilità sarà minima e quindi sarà ben presto espulsa dal mercato.
Etica e rapporti con i dipendenti
Nella mia esperienza, non mi sono mai trovato di fronte ad una "scelta tragica" che
riguardasse i miei dipendenti.
Ritengo che questo possa accadere soprattutto se è l'azienda ad imporre determinati
comportamenti: ma a quel punto il conflitto riguarda il rapporto con l'impresa, non con il
dipendente. In questo contesto poi si inseriscono anche i rapporti con il sindacato che, in
generale, rischia di non essere sempre adeguato alle esigenze cui anche le imprese
dovrebbero adeguarsi per la frequente mancanza di un'autentica cultura del mercato,
indispensabile per parlare di etica in un'azienda. E' necessario comunque non trascurare mai
l'elemento della trasparenza aziendale nel rapporto con i dipendenti.
Il lavoro: missione o business?
Vivo essenzialmente il mio lavoro come l'affermazione di certi valori morali e personali
attraverso il consenso ricevuto dal giornale. In questo senso missione e business non
contrastano tra loro.
Etica e ambiente
Rispetto alla tutela dell'ambiente ritengo che debbano esistere norme chiare, non punitive,
efficaci ma non estremistiche per il controllo dell'inquinamento. L'azienda ha il dovere di
adempiere alle norme in materia di ambiente come a tutti gli altri obblighi, senza farne un
particolare caso di coscienza.
Laddove i vincoli non esistono (ma ormai il caso è sempre più raro) e l'azienda inquini
coscientemente, si tratta di un errore manageriale, prima che di un misfatto etico, che finirà
fatalmente col corrompere anche irreparabilmente l'immagine aziendale. Insomma, non
inquinare conviene, oltre che soddisfa la coscienza.
Etica e pubblicità
Personalmente sono assolutamente contrario a tutte le forme di proibizionismo pubblicitario.
I bambini devono essere tutelati dai propri genitori, la concorrenza può solo crescere con la
diffusione della pubblicità, la coerenza col prodotto è giudicata senza appello dal mercato.
Etica e pubbliche relazioni
L'attività di pubbliche relazioni si può svolgere con professionalità ed efficacia senza incorrere
in un comportamento scorretto. Sono tendenzialmente scettico che una iperregolamentazione possa risolvere i problemi connessi a questo aspetto.
Etica e privatizzazioni
Il processo di privatizzazione sicuramente eliminerà le occasioni per corrompere ed essere
corrotti. Per il settore bancario gli effetti di questo processo saranno positivi soprattutto nei
confronti della clientela: l'aumento della concorrenza sarà uno stimolo ad operare meglio, a
ridurre i costi, ad essere efficienti e a diversificare i servizi. La privatizzazione costringerà le
banche a restare sul mercato senza rete, e quindi renderà più sensibili alle attese generali, tra
le quali vi è sempre di più l'etica.
In queste condizioni, è possibile che non poche potranno essere le aziende espulse dal
mercato.
INNOCENZO CIPOLLETTA
Direttore generale della Confindustria
Etica e sviluppo economico
L'economia moderna si basa in misura rilevante su quelli che vengono definiti valori etici. Ma
è opportuno fare una piccola premessa: per etica si intende, in questo caso, l'esistenza di
regole non scritte che ispirano il comportamento di quanti operano sul mercato. E' qualcosa di
molto diverso da quel che normalmente s'intende con questo termine: non ha niente a che
vedere con i problemi della morale, che appartengono a tutt'altra sfera. Chi opera in un Paese
la cui economia di mercato è appena agli albori, la Bulgaria o la Romania ad esempio, non ha
alcuna sicurezza che il suo interlocutore rispetti le regole e le abitudini di economie libere di
mercato, perché queste non sono mai esistite nel suo Paese. Le naturali certezze che vi sono
quando si intrattengono rapporti economici o commerciali, ad esempio, tra gli italiani e
francesi, inglesi e americani, in questo caso vengono meno. Tutto ciò rappresenta un
ostacolo enorme allo sviluppo economico.
Assai diversa è dunque la situazione nei Paesi che godono di quella che gli economisti
chiamano una "reputazione". Si sa che tacitamente gli operatori seguono una serie di regole:
più il Paese ha questa reputazione, più l'attività economica scorre, e diventa certa, più il
sistema economico si sviluppa. Intesa in questo senso, l'etica gioca un ruolo enorme.
Giustizia, legalità ed etica degli affari
Nel caso più specifico del sistema bancario eticità non vuol dire, a mio avviso, che la banca
non deve riciclare denaro sporco, oppure non fare affari con persone inquisite. Tutto ciò è
normale e necessario rispetto della legge e delle comuni regole di buon senso. Non è questo
il campo di applicazione dell'etica degli affari. Questa si applica in particolare là dove esiste
una diversità nel grado di informazione. Nei rapporti tra banche e imprese valgono le stesse
regole che governano le relazioni tra imprese: il livello di informazione deve essere identico
perché funzioni la concorrenza e si sviluppino gli affari. La teoria economica mostra che tale
rapporto non è sempre equo e che quindi ci sono, in alcuni momenti, soggetti che hanno un
livello di informazione maggiore. Tutto ciò genera un potere che è causa di inefficienza,
ostacola la crescita economica, e del quale quindi occorre disfarsi, se si ha una visione
razionale e di lungo termine. Lo strumento è offerto proprio dai cosiddetti codici etici di
comportamento che impongono, ad esempio, a chi è in possesso di un maggior livello di
informazione di non farne un uso distorto ma di utilizzarlo con il massimo di trasparenza
possibile.
Nel caso in questione, c'è sicuramente, da parte delle banche, una più consistente
concentrazione di informazioni, mentre le imprese, al pari di un cittadino privato, si trovano
spesso in una condizione di necessità, e quindi di dipendenza. Molti economisti paragonano
tale rapporto a quello tra medico e paziente. Il medico ha un grado di informazione massima,
il paziente non ha informazioni di quel che gli succede ed ha un livello di dipendenza totale.
Esiste tutta una serie di codici di comportamento che segnalano al medico cosa deve dire, la
quantità di informazioni massima che deve fornire al fine di dare fiducia al paziente.
Fatte le dovute proporzioni, questo tipo di rapporto vale anche tra le banche e le imprese. E'
vero, l'impresa è meno informata sulla materia che viene trattata. La banca a sua volta può
scegliere se capitalizzare immediatamente questo suo vantaggio sfruttando il rapporto di
soggezione che ha il cliente nei suoi confronti, oppure, attraverso un codice di
comportamento, avviare un'operazione trasparenza. E' un po' quello che, tra mille difficoltà,
stanno tentando di fare anche le banche in Italia nei confronti dei clienti-cittadini. In base a
questo codice, il contratto è esplicito, chiaro in tutti i suoi aspetti, le sue mutazioni vengono
codificate. Si tenta in tal modo di porre cliente e banca grosso modo sullo stesso piano. In
questo senso ritengo che ci sia più che mai bisogno di un rapporto etico tra banca e impresa,
e che esso vada collocato all'interno di un più ampio sistema di relazioni tra le aziende
stesse, e poi tra le imprese industriali ed il cliente.
Banche e sistema dei partiti
Presso l'opinione pubblica probabilmente c'è la convinzione che in qualche modo il sistema
dei partiti abbia usato le banche come strumento di potere ma non condivido tale visione. E'
vero che il sistema bancario italiano è considerato molto legato al mondo politico, e
sicuramente lo è come sovrastruttura: com'è noto, le banche italiane sono, in gran parte,
pubbliche. I vertici degli istituti di credito sono nominati dai partiti. Ma c'è anche da dire però
che il sistema bancario italiano ha saputo separare abbastanza nettamente la funzione banca
da quella di supporto alla politica. Quest'ultimo aspetto è divenuto, per così dire, un extracosto che è andato ad aggiungersi alla funzione propria di un istituto di credito, svolta invece
con i limiti ma anche con le professionalità di una struttura bancaria che opera sul mercato.
Penso quindi che quel che sta accadendo al mondo politico non coinvolga più di tanto il
sistema bancario. Chi opera con gli istituti di credito rimprovera loro altre cose, come una non
sufficiente trasparenza nei rapporti con la clientela, e non la soggiacenza tout court al
soggetto politico.
E' per questo che ritengo che le banche possano svolgere un ruolo positivo nel ricostruire il
nuovo.
D'altro canto uno dei più rilevanti processi di modifica del sistema produttivo, sociale ed
economico del nostro Paese passa attraverso un grosso fenomeno: le privatizzazioni.
Privatizzazioni e ruolo del sistema bancario
Privatizzare vuol dire non solo vendere assets di proprietà dello Stato a privati cittadini, ma
dar vita al nuovo sistema di attività pubblica, che è propria degli stati moderni capitalistici e di
mercato. Ciò significa anche creare delle autorità all'interno dello Stato che abbiano il compito
precipuo di controllare la gestione dei servizi pubblici e di molte attività cedute ai privati
cittadini. Questo tipo di soluzione presuppone un ingente passaggio di attività patrimoniali
pubbliche nelle mani di soggetti privati. L'esperienza di altri Paesi dimostra che questa
operazione non può avvenire che attraverso l'attivazione di un sistema efficiente del credito.
E' necessario procedere il più rapidamente possibile alla privatizzazione di alcune banche, in
modo tale che diventino veri strumenti di mercato. A quel punto il processo delle
privatizzazioni transiterà attraverso il sistema bancario, e quest'ultimo darà un apporto non
trascurabile al rinnovamento del Paese.
Mercato e comportamento etico
Il mercato non è qualcosa che esiste in natura: è quel sistema di regole attraverso cui si
organizza la libera iniziativa. Regole non matematiche, fisiche o chimiche, ma regole semplici
che nascono da un modello di organizzazione sociale, scelto liberamente dai singoli cittadini
di un Paese, e che ha quindi al suo interno dei valori etici. Un mercato che funziona non è la
libertà della giungla, ma il frutto di secoli di abitudini, cultura, leggi. I mercati che si formano
dall'oggi al domani, come nei Paesi dell'Est, non sono invece tali, proprio perché mancano le
regole.
I valori etici non possono che avere un ruolo determinante nella costruzione di un mercato
moderno, proprio perché quest'ultimo è composto sempre meno da leggi che impongano
premi o punizioni, e sempre più dalla reputazione. Da quel sistema di sicurezza cioè - come
dicevo prima - che i cittadini si danno reciprocamente, da regole non scritte che ne ispirano i
comportamenti. E' un'operazione che richiede tempo, ma la reputazione è una regola mille
volte più potente di una qualsiasi norma. Spesso infatti la legge segna l'impotenza degli
uomini di darsi dei comportamenti che in qualche modo siano di rispetto civile. Non a caso, il
mercato moderno nasce e si sviluppa proprio in quei Paesi dove c'è un minor numero di leggi,
ed un maggior numero di consuetudini che sono rispettate.
La sfida europea
I processi di cambiamento e di orientamento verso una maggiore eticità vengono accelerati
per imitazione. In un ambito ristretto, come ad esempio una provincia, gli operatori si
conoscono tra loro e possono contare, mal che vada, su un sistema burocratico-repressivo
che punisca i trasgressori. Ma se si allarga il campo ad una nazione, e poi ancora ad un
continente, ci si rende subito conto che tra loro operano solo quei soggetti che si riconoscono
reciprocamente come affidabili. Non c'è scelta, dunque: o queste regole di affidabilità
vengono accettate, e allora si può operare senza difficoltà con gli altri soggetti, oppure si
viene emarginati.
Facciamo un esempio. Le imprese in Italia difficilmente prima certificavano i bilanci. Questa è
invece un'operazione di forte comunicazione esterna, di trasparenza, che finisce
naturalmente per penalizzare quelle aziende che non dispongono di una certificazione, di un
attestato di affidabilità. E' una sorta di biglietto da visita di cui ormai non si può fare a meno.
La qualità totale: maggiore produttività e più trasparenza
Ho l'impressione che per qualità totale s'intendano un po' troppe cose. Penso che essa debba
essere uno strumento per il miglioramento dei processi di produzione, e per i successi di
un'impresa che riesca a vendere di più a costi più bassi. E se qualcuno persegue la qualità
totale nei propri prodotti, il sistema sicuramente funziona meglio, e c'è anche un maggiore
grado di trasparenza.
Pubblicità e comunicazione
I sistemi di regolamentazione della pubblicità in Italia sono abbastanza simili a quelli degli altri
Paesi. Trattandosi di un rapporto di comunicazione con un potenziale cliente, anche lì ci sono
leggi scritte ma valgono soprattutto forme di autocontrollo. C'è del resto un giurì che funziona
proprio per questo.
Gli effetti di Tangentopoli
Sicuramente stanno cambiando i rapporti tra imprese e strutture pubbliche. E' emerso infatti
con evidenza che in un sistema in cui esisteva una forte domanda pubblica e un conseguente
meccanismo di autorizzazioni, vi era un forte rischio di concussione o di corruzione. Tutto ciò
ha sicuramente distorto il mercato. Le inchieste in corso sono un fatto sicuramente positivo:
servono anche alla formazione di una coscienza collettiva, oltre a fornire degli strumenti
concreti per far fronte ai rischi connessi al rapporto con le pubbliche amministrazioni. Le
indagini della magistratura devono andare avanti. E' auspicabile inoltre che intervenga al più
presto una legislazione ad hoc, in grado veramente di contrastare le distorsioni connesse ad
un rapporto non corretto tra settore pubblico, singole amministrazioni e imprese. Vi sono
alcuni ambiti del diritto che non possono che essere regolati dal diritto. Ma è opportuno
distinguere: i casi di corruzione, più che nell'etica, rientrano nella morale. Se vengono
accertati, vanno puniti con gli strumenti propri delle leggi. L'etica governa invece quel
complesso sistema di relazioni che va decisamente al di là della sfera giuridica: non è vero
che un'economia, se rispetta le leggi, è per questo efficiente. I codici etici offrono qualcosa in
più rispetto alle leggi. Chi ha rapporti con la pubblica amministrazione, ha molte possibilità di
influenzare, fino a diventare esso stesso influenzato o concusso. Ma prima di arrivare all'atto
giuridicamente rilevante, si possono attivare quei meccanismi e quelle regole,
precedentemente esposti, che, se rispettati, riducono notevolmente i fattori di rischio.
Alessandro Cocirio
CONFAPI
http://www.mix.it/eurispes/EURISPES/160/i3.htm
ALDO FUMAGALLI
Presidente dei Giovani Imprenditori della Confindustria
I fattori materiali e relazionali della qualità
Per il raggiungimento della qualità, nel senso oggi prevalente di qualità totale, è necessario,
per l'azienda che voglia essere competitiva, non solo un adeguamento degli standard di
produzione e di processo, ma anche una maggiore efficienza interna all'azienda nel suo
complesso. Si richiede dunque un cambiamento culturale notevole che porti sia a nuove
relazioni interne sia a un diverso rapporto con l'esterno, basato sul concetto di "centralità" del
cliente.
Per quanto riguarda la gestione delle risorse umane, è necessario per la realizzazione della
qualità che il lavoratore si senta coinvolto, partecipando quindi al raggiungimento degli
obiettivi aziendali disegnati.
Il comportamento etico
Parlare di etica nell'economia significa fare riferimento alla libera concorrenza, intesa come
competizione che, all'interno di una giusta architettura normativa e culturale, permetta
maggiori possibilità di scelta nella garanzia di "uguaglianza" reale dei soggetti, per una
evoluzione positiva del sistema. Quindi libera concorrenza come strumento di libertà e di
uguaglianza. Se si vuole riaffermare il principio etico nella conduzione economica, diviene
quindi necessario il prevalere di un forte impegno da parte di tutte le componenti sociali che
combini responsabilità etica, cultura economica e misure normative più adeguate, garantite
da un sistema di controllo efficiente.
Da parte degli imprenditori che noi rappresentiamo è attualmente molto forte la spinta verso
una rapida messa in atto del "Codice etico" approvato dalla Confindustria, anche in relazione
alle sanzioni previste nei confronti di coloro che ne infrangono i principi.
Gli imprenditori italiani
Un altro punto su cui occorre far luce, relativamente al comportamento etico, è quello delle
singole responsabilità. Infatti è noto a tutti che il Movimento dei Giovani Imprenditori di
Confindustria si è schierato - anche attraverso una lettera aperta al Presidente della
Repubblica ed al Presidente del Consiglio - affinché finiscano le protezioni e le collusioni di
cui godono alcune imprese, perché i responsabili di azioni illecite, siano essi politici o
imprenditori, siano individuati, giudicati, e paghino per le loro colpe.
Non si deve comunque investire l'intera classe imprenditoriale di responsabilità che non le
appartengono; posso assicurare, e voglio metterlo bene in evidenza, che gran parte
dell'imprenditoria italiana è impegnata con decisione e volontà sui fronti del recupero della
legalità e del ripristino di un mercato concorrenziale e trasparente, che sia portatore di quelle
istanze etiche che gli sono proprie.
Capitalismo ed etica
Abbiamo più volte fatto riferimento al termine di "capitalismo democratico" proprio per
individuare un sistema che permetta di coniugare i valori della democrazia con quelli del
capitalismo, quelli dell'equità con quelli dello sviluppo, quelli di un mercato trasparente ed
efficiente con quelli della solidarietà verso i più deboli.
Ciò che si deve definire come "non etico" non è il sistema, ma i comportamenti e i fenomeni
degenerativi che alterano la concorrenza e minano il mercato, quali il lavoro nero, l'evasione
fiscale e la corruzione. Non etica è, dunque, la mancanza di regole eque, corrette e
trasparenti, uguali per tutti, che permettano una uguaglianza reale delle possibilità di
confronto sul mercato.
Inoltre avere regole perfette non è sufficiente a garantire la libertà nel sistema, se non sono
anche garantite le condizioni di uguaglianza dei soggetti cui queste regole sono indirizzate.
Ma se esistono meccanismi che deformano i processi della loro attuazione, ad esempio
attraverso forme di discrezionalità, che eludono gli strumenti preposti al controllo del loro
rispetto, le regole servono poco.
Il ruolo delle banche
Il ruolo delle banche è molto importante in quanto queste potrebbero favorire un nuovo
slancio e delle nuove opportunità per tutto il mondo imprenditoriale, stimolando una ripresa
degli investimenti produttivi in luogo di quelli finanziari.
In Francia, ad esempio, in base ad un accordo tra i vertici politici e il sistema finanziario, si è
ricorsi ad un costo differenziato del denaro, più basso per le piccole e medie aziende, volto a
permettere loro l'accesso ai capitali necessari per la loro crescita e ad affrontare le difficoltà
dello sviluppo internazionale.
Proprio a fronte della importanza e della delicatezza del ruolo del sistema finanziario, viene
alla luce la fragilità e la staticità di quello italiano.
Nel nostro Paese è infatti presente un sistema bancario che è poco aperto alla competizione,
che, nei rapporti con i soggetti economici, adotta spesso criteri condizionati da scelte politiche
e che è poco propenso ad assumere rischi imprenditoriali.
Occorre che in questo campo si attui il passaggio da una cultura protezionistica, garantista e
chiusa, ad una cultura della concorrenza, anche in vista dello "scontro" europeo.
Il segreto bancario
Proprio alla luce di quanto sin qui affermato, lo smantellamento del segreto bancario non
dovrebbe trovare nelle banche alcun ostacolo o resistenza.
Anche su questo punto, però, occorre che vi siano delle regole certe e uguali per tutti, che
non ostacolino il necessario processo di confronto sul mercato.
La preoccupazione di una fuga di capitali, quale effetto dell'eliminazione del segreto bancario
in Italia, non è realmente giustificabile, soprattutto se la legislazione finanziaria fa riferimento
ad una sua applicazione comune a livello internazionale.
GIORGIO GRATI
Presidente del Comitato Piccola Impresa della Confindustria
Non ho mai vissuto situazioni di conflitto tra le convinzioni etiche e morali e le esigenze
imprenditoriali. Ho esaminato, nella mia carriera di industriale, proposte di lavoro a mio parere
non sufficientemente garantite. Ma operazioni di moralità e di etica discussa non mi sono mai
capitate.
Probabilmente grazie al fatto che il settore in cui lavoro e la tipologia della mia clientela mi
hanno tenuto al riparo da certe situazioni. Il settore è quello delle boutiques con una
produzione altamente qualificata. Nulla a che fare con il settore degli appalti pubblici in cui è
più facile che si verifichino episodi di comportamenti scorretti.
Le banche e il sistema impresa
Nei miei riguardi le banche hanno sempre avuto un comportamento etico e corretto. Devo
dire però, che sono costretto a seguire e controllare molto attentamente l'azione bancaria. La
banca troppe volte sbaglia. E questo, specialmente per un'azienda come la mia che lavora
con 8, 10 istituti, è un costo penalizzante. Pur ammettendo la loro buona fede, gli errori che
riscontrano sono moltissimi.
Ritengo che si siano molti appunti da fare al mondo bancario nell'atteggiamento che ha nei
confronti dell'impresa in genere. Non parlo tanto a livello personale quanto come presidente
del Comitato Piccola Impresa della Confindustria. In questi anni abbiamo cercato di far
attuare la legge sulla trasparenza bancaria, soprattutto per i piccoli imprenditori. Le banche
spesso firmano contratti e poi, magari a pochissime settimane di distanza, vengono meno ai
loro impegni, rivedendo tutte le condizioni. E ciò è grave.
Il sistema delle garanzie, nell'affidamento dei fidi, andrebbe drasticamente cambiato. La
maggior parte delle nostre banche non ha un comportamento europeo. L'affidamento che una
banca dà ad un imprenditore si basa su criteri da Medio Evo, e cioè sulle garanzie personali.
Non deve essere così. La banca deve dare un affidamento all'azienda per quello che vale. Se
l'impresa non vale è giusto "chiudere i rubinetti" perché significherebbe alimentare attività che
non devono stare sul mercato e che magari danneggiano le altre che svolgono seriamente e
con successo la propria attività. La banca dovrebbe sviluppare il ruolo di consulente
finanziario. E' importantissimo, soprattutto per i piccoli imprenditori. All'estero gli istituti si
comportano così: quando ci sono cicli congiunturali negativi, le banche svolgono la funzione
di consulente per i propri operatori. Invece da noi questo non avviene. Al contrario: quando
c'è una fase recessiva o si "chiudono i rubinetti" oppure si chiedono tassi impossibili da
pagare.
Credo che il sistema bancario abbia avuto responsabilità in Tangentopoli. Non so bene come,
ma posso immaginarlo. Le banche non possono essere state estranee al fiume di denaro che
è girato, sia per Tangentopoli sia per le attività illecite.
Del resto Tangentopoli ha fatto emergere anche un comportamento delle imprese poco
corretto. Questo non mi ha danneggiato dal punto di vista del lavoro. Mi ha danneggiato
moralmente, così come avrà influito negativamente su tutte le altre imprese orientate
all'export. Abbiamo perso molta credibilità. Non solo per il comportamento scorretto delle
imprese. Ma per tutto il marcio che è emerso nel sistema economico e politico italiano. Per
quanto riguarda le imprese, è difficile condannarle complessivamente. Bisogna valutare caso
per caso: il sistema politico è coinvolto fino alle radici, mentre se si considera che in
Confindustria il numero degli iscritti è di 120 mila, la percentuale degli industriali coinvolti è
molto bassa. E bisogna poi dimostrare quanti sono stati concussi e quanto sono a loro volta
corruttori.
I comportamenti non etici in cui può cadere un'impresa possono essere vari; è un
comportamento non etico ottenere appalti, o del lavoro, danneggiando la concorrenza ed
agendo in modo scorretto, attraverso un'azione di corruzione.
Così come eludere il fisco è un atto non etico. Qualche volta forse qualcuno ha delle
giustificazioni per farlo.
Anche nei confronti dei propri dipendenti l'imprenditore si può comportare in modo non etico.
Personalmente ho sempre cercato di mantenere un comportamento etico, perché è nella mia
natura e credo di esserci riuscito. E' possibile che cambi l'atteggiamento di un imprenditore
nei confronti di un proprio dipendente in caso di attrito dovuto ai rapporti sindacali.
Indubbiamente oggi il sindacato ha cambiato il rapporto con l'impresa rispetto a diversi anni
fa. C'è un'etica più rispettosa da parte di entrambi. Nelle piccole città però il sindacato non
sempre si comporta correttamente. I sindacalisti vanno nelle fabbriche a dire ai lavoratori che
c'è un padrone che sfrutta: è un atteggiamento obsoleto e ingiustificabile.
E' importante ai fini di un comportamento etico la trasparenza aziendale, nei confronti dei
propri dipendenti.
La trasparenza deve esserci, nel bene e nel male.
Io vivo il mio lavoro come missione e come business.
Intendo il lavoro come business perché fa parte della natura stessa dell'imprenditorialità. Però
a questo punto della mia carriera, lo faccio anche come missione. Mi potrei permettere di
lavorare in un modo diverso o ridurre l'azienda visto che sono arrivato ad un'età in cui
sarebbe forse meglio lavorare con più tranquillità e non 12 ore al giorno, compresi sabato e
domenica. Sotto questo aspetto è una missione, finalizzata al piacere di lavorare e di dare
lavoro. Quando concludo la campagna vendite, la prima cosa a cui penso è che per l'anno
successivo i miei dipendenti potranno stare tranquilli. Questo è morale.
L'introduzione della qualità totale è importante soprattutto per la produttività. Però può avere
risvolti significativi anche sotto il profilo della qualità, dal momento che anche questo aspetto
è fondamentale per il buon andamento di un'azienda.
Quelle aziende che mettono sul mercato prodotti non sufficientemente sperimentati sono
destinate a chiudere, a sparire. Ritengo che anche il controllo dell'inquinamento sia un
problema prima ancora che tecnico, morale, perché l'imprenditore è tenuto moralmente alla
salvaguardia dell'ambiente. Un'altra questione morale può essere la regolamentazione della
pubblicità proprio per evitare impatti distorsivi soprattutto sull'infanzia, e per evitare episodi di
concorrenza sleale.
Anche nell'uso di pubbliche relazioni occorrerebbe, a mio avviso, una regolamentazione per
lo meno deontologica.
Certamente le pubbliche relazioni non sconfinano in attività poco lecite. Ma la natura delle
pubbliche relazioni dipende in parte dall'imprenditore che se ne serve: è la sua professionalità
e la sua morale che danno l'impronta all'attività del pierre. E poi dipende dall'etica di chi
svolge questo mestiere, come sempre accade.
Le privatizzazioni potrebbero contribuire a moralizzare il sistema economico. Quando avremo
privatizzato e saremo riusciti a non avere più questo "bubbone", sarà molto difficile ottenere
tangenti. Tra privati queste cose non avvengono. Avvengono quando c'è un bene dello Stato,
non riconducibile al singolo.
La stessa privatizzazione delle banche non può che dare risultati positivi. Si potrà verificare
un aumento di professionalità: probabilmente ci sarà un uso più dinamico del denaro, che
potrà favorire sia la banca sia l'imprenditore.
Per concludere, per l'affermazione di un comportamento etico valgono soprattutto i valori
personali. La questione etica non può essere imposta da leggi. Ognuno sa, o dovrebbe
sapere, come comportarsi. Le leggi possono servire: ma, se la morale non è un valore del
singolo, le leggi saranno inevitabilmente trasgredite.
GIANFRANCO IMPERATORI
Presidente del Mediocredito Centrale
I fattori determinanti per la qualità
Un progetto di qualità all'interno di un'attività di servizi come è la banca, richiede soprattutto
una grande attenzione alla definizione e potenziamento delle relazioni interne ed esterne più
che dei fattori materiali. In questo contesto allora diventano importanti anche i comportamenti
etici che rendono "visibile" la qualità al cliente. Alla banca si richiede essenzialmente
affidabilità, riservatezza e corrette valutazioni. Garantire al clienti questi principi significa
offrire un servizio di e con qualità.
Il comportamento etico: dove e come
Il conseguimento di comportamenti etici dovrebbe concentrarsi soprattutto in quei settori che
non si limitano ad offrire un prodotto, la cui qualità è misurabile fisicamente, ma che offrono
servizi, consulenza, prodotti immateriali. In una banca il comportamento etico è quello che
assume l'obiettività nella valutazione del rischio come criterio guida nei rapporti con il cliente.
Essenziale è anche una corretta informazione sulle condizioni applicate e sulle opportunità
del mercato.
Rispetto alla dimensione etica dunque il giudizio che formulerei sulle banche italiane è
sostanzialmente positivo. Rispetto all'estero, ad esempio - dove recentemente la crisi ha
messo in evidenza comportamenti non sempre lineari delle aziende di credito - le nostre
banche hanno dimostrato una sostanziale solidità, che rappresenta uno dei punti di forza
anche rispetto alla valutazione del "rischio Paese" da parte dei nostri partner tranieri.
Etica e capitalismo
Max Weber riteneva che ci fosse una forte correlazione fra etica protestante e spirito di
capitalismo. Anche se dal punto di vista della sua missione, che è e rimane il produrre profitti,
il capitalismo non è intrinsecamente soggetto ad una legge morale, sicuramente è vero che
nella storia sono i Paesi con una più alta concezione etica del lavoro e degli affari (fino a ieri i
Paesi anglosassoni, oggi il Giappone) ad esprimere livelli di eccellenza nello sviluppo del
capitalismo. Un capitalismo amorale finisce, prima o poi, per divorare se stesso.
Etica e impresa
Il primo aspetto che bisogna affrontare se si scende nel concreto a valutare il rapporto
dell'impresa con l'etica, è "quanto conviene" comportarsi eticamente? Il comportamento etico
favorisce indubbiamente l'impresa anche se nel lungo periodo: entra a far parte dei punti di
forza del marketing aziendale. E' vero infatti che nel breve periodo a volte sembrano
premianti comportamenti non perfettamente etici. Ma sono successi effimeri.
Mi sembra comunque che la maggioranza degli imprenditori italiani abbia fatto suo il primo
principio. Soprattutto nella piccola e media impresa, l'impresa di tipo familiare, dove si
esprime un attaccamento al lavoro ed una dedizione pressoché totale all'impresa. Sono
imprese che creano comunità, cioè una forte integrazione a livello comportamentale fra
proprietà e lavoro dipendente.
In generale comunque un vero comportamento etico si concretizza soprattutto nei confronti
della società e del lavoro dipendente. Non è una scoperta recente che agli italiani manchi il
senso dello Stato, pensiamo solo alla questione fiscale. Ma non manca certo il senso della
società. E' però una dicotomia che occorre superare.
Rispetto all'ambiente esterno poi il comportamento etico è fondamentale. L'ambiente esterno
è l'aria critica su cui misurare l'efficienza totale dell'impresa. Un'impresa infatti può essere
efficiente rispetto al suo obiettivo interno (produrre profitti) ma inefficiente rispetto all'ambiente
esterno: comportamenti illegali, evasione contributiva, scarsa attenzione alle problematiche
ecologiche, fonti di finanziamento sospette ecc. Una banca nel valutare il rischio deve
considerare anche questi aspetti che, nel lungo periodo, possono diventare punti critici
dell'impresa e provocarne il fallimento.
Comportamento etico dell'impresa e ruolo delle banche
Il ruolo della banca nel prevenire comportamenti poco etici delle imprese va dal problema
ambientale a quello della criminalità organizzata. Rispetto al primo, nella valutazione dei
progetti di investimento industriale si sta facendo ormai strada anche la valutazione dei rischi
ambientali. Si comincia a pensare ad una "certificazione ambientale" dell'impresa, sul modello
della certificazione dei bilanci. Il danno ambientale appare sempre più chiaramente come un
danno economico che prima o poi si ritorcerà anche contro l'impresa che lo ha generato.
Per ciò che riguarda la criminalità mi sembra che le recenti indicazioni della Banca d'Italia e
gli adempimenti formali ai quali gli istituti di credito sono sottoposti, comincino a delineare un
quadro di intervento complessivo su un problema estremamente delicato, ma essenziale se si
vuole davvero combattere la criminalità organizzata. Occorre evitare, però, che questi
adempimenti formali diventino mera burocrazia come in parte avviene oggi con la
certificazione antimafia.
Erogazione del credito e segreto bancario
Rispetto alla selezione del credito ritengo che una valutazione economica debba contenere al
suo interno anche una valutazione etica. Le moderne teorie di management, pensiamo solo
alla teoria della "X-efficienza", considerano i comportamenti etici delle imprese un fattore di
successo dell'impresa. Non si tratta di discriminare da un punto di vista etico, si tratta di
capire che un comportamento antietico, spesso è anche un comportamento antieconomico.
Rispetto alla normativa sul segreto bancario ritengo che vada armonizzata a livello
comunitario e, se possibile, internazionale. Le banche potrebbero certamente in questa sede
essere un punto di riferimento. Ciò che non è possibile invece, sono decisioni unilaterali: la
banca opera e sempre più opererà in un regime di concorrenza. La trasparenza va quindi
cercata all'interno delle regole della concorrenza. Le banche devono essere a disposizione
dell'autorità giudiziaria, ma sarebbe inutile e dannoso trasferire alle banche compiti che non
rientrano nella loro missione e nelle loro competenze.
FABIO MAGRINO
Caporedattore centrale de "Il Mondo"
Comportamento etico e qualità dei rapporti
Comportarsi eticamente da parte di un'impresa significa in primo luogo garantire la
trasparenza e la correttezza professionale; qualità che, in particolare nel settore dei servizi e
del credito, vengono apprezzate dai clienti.
Ritengo anzi che siano le qualità più importanti che un'azienda di servizi può avere per
proiettare un'immagine positiva nel cliente. In particolare, poi, il comportamento etico va visto
alla luce non tanto dei vantaggi immediati quanto del consolidamento dell'immagine positiva a
lungo termine. Basti pensare ai danni, ai guasti che il comportamento poco etico, o ritenuto
tale dai media e dai clienti, ha provocato nell'opinione pubblica per quanto riguarda alcune
imprese coinvolte nella vicenda e negli scandali di Tangentopoli. Tali imprese infatti sono
state sicuramente danneggiate non solo dal punto di vista dell'immagine ma anche dal punto
di vista concreto del business. E' stata minata la fiducia che i dipendenti riponevano nel
management, nella proprietà e nei rapporti con i clienti e i fornitori.
Per quanto riguarda in particolare gli istituti di credito, si possono rilevare due diverse forme di
coinvolgimento nello scandalo. Una, che è comunque dannosa per l'immagine ma meno
problematica dal punto di vista del codice penale, è quella di un coinvolgimento come puro
tramite in passaggi di denaro derivante da tangenti. In questi casi possono essere state
utilizzate le competenze professionali di alcuni istituti di credito e dei loro servizi, senza che
però vi fosse alcuna complicità da parte di queste aziende.
Purtroppo però il nome di queste banche è apparso sui media collegato a vicende non molto
positive dal punto di vista dell'immagine. Sono ovviamente molto più gravi quei casi, per
fortuna abbastanza rari, in cui vi è stato da parte delle aziende bancarie un coinvolgimento
ben più rilevante.
Per esempio, nella concessione di fidi o di servizi bancari - servizi di intermediazione - ad
aziende coinvolte in Tangentopoli per conto o su pressione di politici anch'essi coinvolti nel
giro delle tangenti.
Etica e fisco
Il legame tra comportamento etico e fisco non può prescindere da un concetto di legalità e di
rispetto delle regole. Eludere il fisco è comunque un atto contrario all'etica, sempreché si tratti
di vera elusione e non si tratti di errore inconsapevole o di errore in cui si è stati indotti da una
normativa incomprensibile, come purtroppo in questo periodo potrà capitare a molti.
I rapporti con i dipendenti: etica ed equità
Nella mia esperienza non è mai capitato, rispetto alla gestione del personale, di comportarmi
in maniera contraria ai miei sentimenti etici. Ciò che può accadere qualche volta è di non
comportarsi con i dipendenti in maniera equa. Ma l'equità, a mio avviso, è diversa dall'etica.
Sicuramente non credo di andare contro i miei sentimenti etici se per un motivo di necessità
dell'azienda sono costretto a fare a meno di un dipendente. Può dispiacere, e ovviamente vi
ricorro soltanto nel caso in cui non vi sia altra soluzione, e devo esserne convinto.
Questa decisione può non essere equa, nel senso che può mettere il dipendente in una
situazione di oggettiva difficoltà, ed è anche capitato. Allora, in questi casi, si cerca con
ammortizzatori sociali o con altri mezzi di venire incontro il più possibile alle esigenze del
dipendente. Comunque distinguerei nettamente tra etica ed equità.
L'etica appartiene a una sfera senz'altro più elevata, ed è la sfera dei principi fondamentali e
intoccabili. Purtroppo, invece, la vita non è sempre equa, non sempre rispetta le esigenze
anche fondate, giuste, sentite e giustificabili di tutti.
In questo momento il sindacato sta attraversando una grossa crisi ma non per motivi etici; è
una crisi storica, è una crisi di ruolo, che deriva anche da una eccessiva ideologizzazione che
queste strutture hanno avuto, anche in aziende del settore bancario. Il rapporto tra sindacato,
lavoratori e impresa è in una fase di grande evoluzione e di grande revisione.
Ritengo che comunque i rapporti debbano poggiare su un comportamento etico dato per
scontato da entrambi i soggetti, azienda e sindacato.
E' quindi la trasparenza aziendale nei confronti dei dipendenti a divenire un elemento
importante ai fini di un comportamento etico. Questo si dovrebbe basare su una reciproca
chiarezza di impegno e lealtà. Ovviamente ciò non implica che l'azienda debba rivelare tutte
le proprie informazioni e le proprie strategie a tutti i dipendenti dell'azienda. Deve esistere un
grado di informazione su queste tematiche correlato al peso rivestito all'interno
dell'organizzazione aziendale.
Il lavoro: missione o business?
Come giornalista, vivo il mio lavoro senz'altro come missione. L'elemento business è
importante, in quanto segno di apprezzamento del mio operato da parte dell'azienda e del
mio datore di lavoro: è chiaro che in un'economia di mercato ogni prestazione deve avere un
suo prezzo di mercato, ogni prestazione deve avere anche un valore venale, che non
sminuisce però il contenuto della missione.
Etica e qualità totale
La qualità totale è uno strumento per migliorare la produttività ed è molto importante in
relazione agli obiettivi di business che l'impresa si pone; ciò è tanto più vero se si considera
un'impresa di servizi bancari. Ma ritengo che questo non abbia nulla a che vedere con la
definizione di un comportamento etico dell'impresa nel senso della qualità del prodotto; è, e
deve essere, un obiettivo dell'impresa in sé e per sé.
Il comportamento etico è la base di tutto l'agire dell'impresa, ma il fare o il progettare un
prodotto deve nascere da un'esigenza di business, di progettualità dell'impresa, non da una
dimensione di eticità dell'impresa. I due principi si pongono su piani completamente diversi.
Si prenda, ad esempio, il caso di imprese che immettono sul mercato prodotti sbagliati o
addirittura dannosi per il cliente. E' chiaramente un errore grave, ma di gestione, non di etica.
Un'impresa che fa scelte del genere è un'impresa mal gestita.
Etica e tutela dell'ambiente
L'inquinamento prodotto dalle industrie non è più soltanto un problema o un ostacolo tecnico,
ritengo anzi che comporti anche responsabilità morali. Verso l'ambiente, verso la sua
salvaguardia, siamo tutti responsabili e a maggior ragione lo è chi produce ed effettua
processi di lavorazione con un alto fattore inquinante. Tuttavia, sono realista e mi rendo conto
che se si considerano i doveri di un'azienda verso l'ambiente soltanto come responsabilità
morali, non si riuscirà mai ad ottenere un effettivo rispetto delle regolamentazioni ambientali.
Il capitalismo è un'"economia di costi non pagati", è un'economia basata sulla possibilità di
molti produttori di scaricare sull'ambiente dei costi che non vogliono affrontare, ma che
consentono loro, proprio non affrontandoli, di vincere la competizione economica.
Il problema tecnico comunque esiste e la lotta all'inquinamento va fortemente supportata da
leggi e da politiche di incentivazione, predisposte dall'autorità centrale o dalle autorità locali,
dirette a incoraggiare fortemente, cioè a rendere economicamente conveniente, l'adozione di
soluzioni meno inquinanti o più rispettose dell'ambiente da parte dell'azienda.
Etica e ruolo della pubblicità
Il ruolo della pubblicità da un punto di vista etico è, a mio avviso, regolamentato
sufficientemente dalle norme che tutelano, o dovrebbero tutelare, i soggetti deboli e che
dovrebbero verificare anche i limiti dell'abuso del messaggio pubblicitario e del buon gusto. In
Italia d'altronde è vietata anche la pubblicità comparativa e questo fatto è, rispetto ad altri
Paesi, una tutela in più.
Se dal piano etico però si passa a quello tecnico-quantitativo, tale regolamentazione si
dimostra insufficiente. Soprattutto alla televisione la quantità di messaggi trasmessi - più o
meno esplicita, perché non sempre compaiono come messaggio pubblicitario - è eccessiva,
ed è sicuramente superiore alla media europea. Inoltre si tratta per lo più di messaggi dal
contenuto informativo scarso o quasi nullo. Una pubblicità che consenta al consumatore di
effettuare un confronto tra prodotti, se operata nell'interesse del consumatore, potrebbe
essere in realtà utile per migliorare la qualità e la comprensione del servizio, per esempio
bancario, da parte del cliente.
Quanto alla coerenza con il prodotto, è soprattutto una questione di scelta di chi redige il
messaggio pubblicitario: è vero che alcuni pubblicitari abusano di riferimenti a situazioni
emozionali e a contesti con un forte contenuto di suggestione emotiva. Penso, ad esempio,
alla campagna di Oliviero Toscani di Benetton: è anche vero però che l'utente è
perfettamente in grado di capire il meccanismo e valutare da sé il prodotto. Non ritengo
comunque che in quest'area sia opportuno un intervento normativo. Occorre solo una
pubblicità più "intelligente"
Etica e pubbliche relazioni
Raramente le pubbliche relazioni sconfinano in attività illegali. Un'attività di pubbliche relazioni
non può e non deve essere illegale, considerato che deve promuovere l'immagine
dell'azienda.
E' una contraddizione in termini pensare ad un contrasto tra etica e pubbliche relazioni. Se è
illegale, non è un'attività di pubbliche relazioni: è lobbying, è fare pressioni, ma non fare
pubbliche relazioni.
Questo tipo di attività in Italia ha sicuramente un handicap rispetto ad altri Paesi. Il fatto è che
aziende e banche si muovono in un ambiente dove non è chiaramente definito il confine tra
pubbliche relazioni e attività di lobbying, per la quale invece negli Usa esiste una
regolamentazione molto precisa e molto severa.
Le pubbliche relazioni non si possono regolare in quanto tali, ma è importante stabilire dei
confini rispetto al lobbysmo, è questo in realtà che andrebbe regolamentato.
Etica e privatizzazioni
La privatizzazione di ampi settori del pubblico sicuramente potrà dare un grande contributo al
sistema economico perché ridurre l'intervento dello Stato, e anche del potere politico locale,
nell'economia, significa comunque rendere il comportamento di queste aziende più vicino a
una logica obiettiva di mercato. Il potere politico agisce sulla base di logiche che sono al di
fuori delle regole di mercato. Ciò può avvenire anche in modo positivo, per esempio agendo
da calmiere sul sistema dei prezzi, oppure tenendo basse le tariffe dei servizi pubblici per
venire incontro a una domanda sociale. Però non c'è nessuna garanzia che questo tipo di
interventi avvengano senza scaricare gli oneri impropri - deficit delle aziende municipalizzate
e via dicendo - sul resto della collettività. Tutto sommato, benché l'economia di mercato non
sia un modello perfetto, penso che rappresenti la migliore garanzia di avere una logica
omogenea all'interno del sistema economico e che quindi sia preferibile all'intervento di
soggetti economici che si pongono al di fuori o al di sopra del sistema di mercato.
Anche nel caso delle privatizzazioni nel settore bancario prevedo soprattutto effetti positivi e il
pericolo di qualche effetto negativo. Gli effetti positivi riguardano innanzitutto le banche di
diritto pubblico e quindi le banche i cui dipendenti hanno contratti che si richiamano al settore
pubblico. Senz'altro la privatizzazione comporterà per loro una forte crescita della produttività.
Meno dirompente sarà invece l'effetto per quanto riguarda le banche di interesse nazionale o
le banche che comunque sono gestite come società di diritto privato, cioè secondo criteri di
gestione simili a quelli delle banche private.
Un elemento positivo sarà la sottrazione di queste banche a possibili aree di influenza politica
o partitica, che significherà dare più importanza al mercato e alla concorrenza, garantire più
trasparenza ai meccanismi di gestione e ai meccanismi premianti all'interno dell'azienda di
credito, con promozioni e carriere più trasparenti e con meno influenza dei meccanismi di
cooptazione e raccomandazione. I pericoli potrebbero essere invece il rischio per molti
bancari di perdere il posto fisso e una possibile "invasione" di stranieri interessati ad acquisire
fette considerevoli del credito italiano.
La "Centesimus Annus"
Il mercato è, a mio parere, più che sufficiente a dettare un comportamento etico senza dover
ricorrere ad autorità trascendenti. Occorre però che lo Stato sappia far rispettare le sue leggi
e che da parte delle aziende ci sia un sano rispetto delle regole della concorrenza e della
trasparenza verso clienti e utenti.
TOMMASO MANCIA
Presidente dell'Osservatorio Nazionale delle Piccole e Medie Imprese
Etica per superare lo Stato imprenditore
Il sistema imprenditoriale italiano sta attraversando gravi difficoltà strutturali. Lo Stato
imprenditore passa la mano e si apre una fase di ulteriore espansione e valorizzazione
dell'imprenditoria privata.
E' una considerazione che va fatta in premessa, perché si tratta di fattori che accentuano
l'evoluzione del sistema imprenditoriale italiano.
Naturalmente rivestono importanza fondamentale i fattori concernenti l'organizzazione del
lavoro, la cura nel realizzare il ciclo di produzione, la qualità del servizio offerto.
Sono punti fondamentali per la gestione della struttura dell'impresa, per il suo rafforzamento.
Accanto a questo, ancor più per le difficoltà attuali, che non sono solo congiunturali ma anche
strutturali, vi è soprattutto bisogno di garantire un clima positivo all'interno delle aziende, di un
confronto o, meglio, di un raccordo-accordo tra le parti sociali.
La stessa cultura di impresa comprende e motiva la rilevanza crescente dei fattori immateriali
che garantiscono la crescita di qualità e la capacità di buone relazioni sindacali contribuisce a
questa crescita.
La varietà dei comportamenti imprenditoriali, corrispondente peraltro alla libertà dei
comportamenti individuali, non permette una generalizzazione riguardo a questi temi. Tuttavia
nella società italiana il processo di crescita, realizzato nella grande maggioranza del mondo
economico-imprenditoriale, consente di affermare come alla base di tale sviluppo ci sia una
forte componente etica.
Il ruolo dell'Osservatorio delle PMI
L'economia italiana si basa soprattutto sulla piccola e media impresa ed in essa, a differenza
della grande struttura di impresa, la minore incidenza del capitale è compensata da rapporti di
scambio sicuramente meno rigidi, meno burocratici.
Laddove ad esempio, esistono solo piccole e medie imprese si è registrata una notevole
crescita qualitativa che deriva prevalentemente dal rapporto stretto tra imprenditore e
lavoratore.
E' una condizione che fa sì che il primo comprenda meglio le ragioni e le funzioni dei secondi,
mentre questi acquistano coscienza dei problemi dell'impresa e dell'imprenditore. Ritengo che
anche questo sia un comportamento etico.
Il periodo che stiamo attraversando è anche un periodo di conflitto fra egoismi contrapposti,
l'antitesi dei valori etici. Per l'Italia l'esigenza è di superare vecchie concezioni assistenzialiste
e creare invece le condizioni di ripresa dello sviluppo economico. Sul piano microeconomico
è ormai incontestabile l'esigenza di un rapporto qualitativamente coinvolgente tra i soggetti
interni al luogo di produzione: è il presupposto etico della nuova cultura di impresa che dovrà
permeare di sé ogni attore all'interno dell'impresa stessa.
Non funzioni contrapposte ma complementari. Le risorse umane e quelle finanziarie debbono
convergere verso comuni progetti: il vecchio tipo di imprenditore delle prime fasi
dell'industrializzazione ormai non esiste più.
Oltre l'assistenzialismo: individualità e coscienza collettiva
Ci troviamo in una fase nella quale si chiude un ciclo e si dovrà andare verso un nuovo
sistema nel quale si chiederà ad ogni cittadino (proprietario, imprenditore, operaio) di avere
maggiore consapevolezza del primato degli interessi generali e della rilevanza dei diritti altrui.
Alcuni di questi valori, o se vogliamo di queste esigenze, si stanno già manifestando con
forza, perché in crisi oggi è la politica che racchiude in sé le condizioni della politica
economica e di quella sociale.
Una nuova fase, dunque, in cui al centro dell'attenzione torna ad essere la responsabilità
individuale. O la classe politica capisce questa trasformazione o perisce.
Il superamento dello Stato imprenditore, che è parte fondamentale di questo cambiamento,
costa ora sacrifici anche gravi, soprattutto in termini occupazionali.
Il sistema economico imprenditoriale ne è coinvolto e l'imperativo di garantirsi competitività fa
ritornare in primo piano l'importanza delle qualità individuali, contro le vecchie concezioni del
primato della scaltrezza.
Fino a poco tempo fa l'astuzia personale era considerata un "valore", a prescindere dalle
capacità individuali, dalla moralità o dalla amoralità di chi la esprimeva. Per troppo tempo si
sono premiati questi comportamenti, anche quando sono stati portatori di corruzione.
E' tutto questo che è in frantumi e che bisogna superare con una rinnovata attenzione per
l'etica, innanzi tutto nella politica e nelle istituzioni ma anche nelle imprese.
I ritardi del sistema bancario
Credo che il sistema bancario sia complessivamente in ritardo nell'adeguarsi alle esigenze
del sistema economico, in quanto ancora troppo legato ad un concetto di utile/lucro.
Di fronte al bisogno della massima reciproca disponibilità dei soggetti dell'intero sistema
economico, le banche restano invece ancorate alla logica monetarista. In economia non si
può soltanto monetizzare.
Il coro delle critiche è d'altronde quanto mai vasto - dal Governo agli imprenditori - dato che
mentre le imprese diminuiscono i profitti, le banche incrementano i propri utili. E' una
contraddizione palese che va sanata.
Il settore bancario si trova di fronte alla concorrenza internazionale che lo costringerà ad
acquisire una maggiore managerialità; c'è da chiedersi infatti, quanta agibilità potranno avere
le banche nel sistema economico italiano rinnovato.
Un nuovo ruolo della banca potrà essere nel coinvolgimento e nella selezione delle attività
imprenditoriali da privilegiare - ad esempio quelle che esprimono una funzione positiva nei
confronti dell'ambiente naturale - o da impedire, quali le attività illegali o criminose.
Anche in relazione a questo ultimo aspetto stiamo vivendo un momento di transizione. I
sacrifici dei giudici Falcone e Borsellino segnano l'inizio di un riscatto da parte dei cittadini, c'è
una nuova consapevolezza nel dover contrastare la criminalità organizzata.
La banca opera in un settore estremamente complesso e delicato e, se vuole essere
pienamente soggetto sociale oltre che economico, deve svolgere un ruolo di primo piano, con
meccanismi adeguati di controllo, nella lotta alla criminalità.
Di fronte alle angosce economiche di tante famiglie di lavoratori, di fronte all'inquietudine e
alla rabbia che può corrodere il sistema civile ed i fondamentali criteri di solidarietà, il sistema
bancario deve saper rischiare fino in fondo nell'esercitare un compito di presidio contro l'uso
illegale delle operazioni bancarie.
Per questo ritengo che il superamento del segreto bancario, oltre ad assolvere allo scopo di
controllo e prevenzione, possa assumere anche il significato simbolico di sensibilità sociale
delle banche: un contributo di maggior democrazia ora che di democrazia, vi è così tanto
bisogno.
WALTER MANDELLI
Membro della Giunta della Confindustria
L'esperienza personale: convinzioni morali ed esigenze dell'impresa
Quando si è a capo di un'azienda possono capitare spesso episodi che pongono di fronte a
dilemmi etici.
Soprattutto può succedere nella storia di un'azienda che ha 70 anni come la mia. D'altra parte
credo che nessun industriale possa dire con sincerità che non gli sia mai capitata una
situazione ambigua.
Personalmente ho sempre reagito a queste situazioni pensando che la cosa più importante
fosse non correre rischi. Non mi hanno mai offerto un'occasione tanto macroscopica da
indurmi in tentazione. Tutti siamo onesti per dieci milioni, non so per dieci miliardi.
I rapporti con le banche
Il dato più importante da sottolineare per valutare lo stato e l'efficienza del sistema bancario
italiano, è la necessità che lo stesso segua al più presto l'esempio di Paesi più sviluppati per
quanto riguarda la trasparenza. E' vero che si stanno facendo degli sforzi ma per adesso
siamo ancora indietro.
D'altra parte ciò è connaturato alla nascita ed alla tradizione bancaria nel nostro Paese,
condizionata a sua volta dallo sviluppo ritardato della società industriale.
Siamo stati un Paese contadino fino a poco tempo fa, le banche sono certamente diverse nei
loro comportamenti da quelle americane o da quelle tedesche o francesi.
Sicuramente il nostro sistema bancario si avvia verso un suo sviluppo ma avrà il difficile
obiettivo di coniugare l'esigenza della velocità della modernizzazione e la garanzia di
sicurezza e gradualità.
L'esperienza di incertezza che sta vivendo il mondo economico-imprenditoriale pone gravi
interrogativi. Non dimentichiamoci che quando c'è stata la grande crisi del '29, il nostro
sistema bancario è andato un po' "per traverso" e quando c'è stata la crisi della Banca
Romana, all'epoca di Crispi e Giolitti, ci sono state delle cose scandalose anche allora...
Il comportamento etico dell'impresa: le sue dimensioni e le espressioni concrete
La mia piccola impresa lavora per il 40-50% con l'estero, e ciò mi ha permesso di conoscere
tante abitudini diverse dalle nostre, ogni Paese ha le sue caratteristiche. Ma la questione
dell'etica, a mio avviso, coinvolge strettamente solo la professionalità. Se si fanno prodotti
che non vanno bene, ci si può attenere a un comportamento etico finché si vuole ma non si
riesce a venderlo. Se invece si fa un prodotto buonissimo e poi si dà la mancia a qualcuno
forse può aiutare ma non serve. Se il prodotto è migliore degli altri sul mercato, non c'è
bisogno di corrompere nessuno.
Tangentopoli ha dimostrato l'illegalità diffusa tra le imprese ma certamente non ha intaccato,
anzi ha valorizzato la faccia onesta ed etica dell'imprenditoria.
Ovviamente ci sono diversi gradi di illegalità dalla corruzione all'elusione del fisco, ma sono
pur sempre problemi etici. Ad eludere il fisco, ad esempio, ci provano tutti, da sempre, in tutto
il mondo. Però ci sono dei Paesi dove si esagera perché il controllo da parte dello Stato non
esiste. Uno di questi è il nostro.
Diverso invece il discorso del comportamento etico nei confronti dei dipendenti e del
sindacato. Ritengo che per mantenere eticamente i rapporti tra le parti sia necessario
rispettare ed attenersi ai contrasti e alle leggi.
In termini di rapporto "di forza" con il sindacato, purtroppo lo spettro della disoccupazione fa
ragionare tutti. In passato il sindacato era molto forte, ha prevaricato alcuni principi del
mercato ed è abbastanza corresponsabile della situazione di crisi del Paese. Prima ancora
che il sindacato fosse troppo forte, prima del 1967, le cose andavano in maniera opposta.
Ritengo, comunque che la trasparenza aziendale nei confronti dei dipendenti sia un aspetto
importante ai fini di un comportamento etico anche se è un principio valido ai fini di tutti i
comportamenti.
Comportamento etico e prodotto
La traduzione di un comportamento etico rispetto al prodotto non si pone soltanto come
raggiungimento della qualità materiale dello stesso ma soprattutto come espressione globale
della professionalità.
Ribadisco che con la professionalità si risolvono anche i problemi etici.
Così, ad esempio, rientra nella professionalità la sperimentazione completa dei prodotti prima
dell'immissione sul mercato, il controllo dei rifiuti di lavorazione ma anche il controllo della
pubblicità. In questo campo poi è sempre possibile migliorare. D'altro canto non si è mai al
"top" perché possono sempre sorgere dubbi su un prodotto già sul mercato e anche
reclamizzato. Fa parte del lavoro di ogni giorno per l'imprenditore e anche dello Stato e di
coloro che devono difendere gli interessi dei cittadini.
Comportamento etico e pubbliche relazioni
L'attività di pubbliche relazioni è sicuramente un settore delicato all'interno dell'azienda, ma
non per questo è legittimo indicarlo come settore a rischio "etico" ed imporre regole più
ferree.
Sono contrario, per principio, alle regolamentazioni, non mi piacciono. E' ovvio però che
debba esserci una sorveglianza, meglio se una "autosorveglianza" di categoria, insomma, un
codice di autoregolamentazione che è prima di tutto un codice di correttezza e rettitudine
personale.
Etica e privatizzazioni
Non vedrei il processo di privatizzazione delle aziende pubbliche come un toccasana
moralizzatore. Perché "moralizzare"? I limiti attuali sono fondamentalmente problemi di
efficienza, di buon funzionamento, di contributo allo sviluppo. Un'impresa che non perde, che
guadagna quattrini, è un'impresa positiva sotto tutti gli aspetti.
E poi non è tanto importante la privatizzazione, può anche non interessare chi è il padrone.
Ciò che conta è che la gestione diventi di tipo privatistico: il che significa che non si
assumono più i figli dei parenti, che non si prestano più i soldi per far piacere ai partiti, e così
via.
L'impresa di fronte alla "Centesimus Annus"
Affinché una azienda funzioni e si possa essere soddisfatti, bisogna che ci sia tutto: la
professionalità, la specializzazione, la libertà, il mercato e anche i principi. Ciascuno ha i suoi,
siano essi di tipo religioso o laico. Si deve essere orgogliosi di quello che si fa, sapendo di
non danneggiare il prossimo e soprattutto cercando, con il proprio lavoro, di contribuire alla
crescita civile di tutti, amici e nemici.
LUDOVICO MARTELLI
Titolare della Martelli SpA di Firenze
L'esperienza personale: convinzioni morali ed esigenze dell'impresa
Nel mio lavoro mi sono trovato spesso in situazioni di conflitto tra quelle che sono le
convinzioni morali e le esigenze dell'azienda. Ma ho una fortuna: il fatto di operare in un
settore nel quale non si lavora né con la pubblica amministrazione né con gli enti pubblici, il
che facilita le cose.
Sembra però che negli ultimi tempi ci sia un peggioramento anche nel settore privato. Nei
confronti di alcuni grossi compratori ci sono forme di "regali", sicuramente non corrette. Fino a
che si resta a piccoli oggetti, tipo borse, ecc., la cosa può essere accettabile, ma oltre non lo
è.
Non ho esperienza diretta di cosa significhi lavorare nel settore pubblico ma credo che il
malcostume sia molto diffuso. Mi sembra ingiusto dire che il settore privato sia assolutamente
migliore. Forse esistono solo minori tentazioni. Quando mi sono trovato a chiedere anche
semplici permessi che mi erano dovuti ed ho trovato mille difficoltà, la tentazione di fare tutto
il possibile per superarli è stata grande.
Rimanendo alle esperienze sul posto di lavoro la grande difficoltà è tra l'affermazione del
"lavoro come momento creativo" nel quale l'uomo si realizza ed il metterla in pratica. E'
difficile realizzare questa aspirazione a tutti i livelli. Ci deve comunque essere una unicità di
comando. E' possibile diffondere la responsabilità ad un numero ristretto di persone tipo i
quadri. Ma è molto difficile coinvolgere realmente tutti. Lo stesso sindacato afferma, a parole,
di volere assumere parte delle responsabilità, ma in concreto questo non avviene.
I rapporti con le banche
Nei rapporti con le banche con le quali opero, non ho riscontrato un comportamento
manifestamente scorretto. Certo le banche sono avvantaggiate dal fatto di operare non solo
in regime di oligopolio ma, nonostante i pareri discordi, di oligopolio fortemente protetto. Se
dunque c'è, generalmente, un rapporto formalmente corretto, si tratta sempre di un rapporto
tra due partner che non sono nella stessa condizione. Questo vale soprattutto per le aziende
piccole, come quella di cui sono titolare.
Le banche comunque non sono in grado di controllare le aziende, hanno una mentalità
strettamente finanziaria. Certamente non solo non conoscono gli aspetti prettamente tecnici e
produttivi, ma neanche quelli legati al marketing. Di contro, spesso, noi imprenditori non
abbiamo una mentalità finanziaria. Sarebbe utilissimo un rapporto in cui si potessero
scambiare le diverse esperienze e si smettesse di parlare lingue diverse.
Riprendendo il discorso sull'eticità della banca, non so se esista una correlazione tra il
sistema bancario e Tangentopoli. Formulo una sola considerazione. L'intromissione dei partiti
nelle banche è sempre maggiore e scende a livelli sempre più bassi. Spesso molti dirigenti
sono "targati con sigle". E' difficile pensare che non ci sia un disegno preciso. Probabilmente
ciò non vale solo per le banche. Molte aziende, in particolare le pubbliche, ma non solo, sono
legate ad un "santo protettore".
Il fatto che per ora non mi sia stata fatta alcuna "offerta" non è per un mio pregio, ma forse
per l'entità limitata dell'azienda.
Il comportamento etico: le sue dimensioni e le espressioni concrete
Un comportamento etico può senz'altro migliorare i rapporti con il cliente e nel lungo periodo
paga.
Esistono ovviamente aziende che hanno provato alcune scorciatoie: penso a chi si è legato a
determinati carri, ad esempio, quando molti imprenditori sono andati al Sud per godere di
facilitazioni incredibili con scarsissimi controlli.
Certo è stato un modo semplice per ottenere commesse e finanziamenti. Ma alla lunga
queste aziende finiscono per morire. Non credo che la scelta delle scorciatoie sia una buona
scelta. Tutt'altro, anche se ci sono quelli "bravi" che riescono ad andare avanti per tanto
tempo.
Questo non vuol dire che chi ha avuto queste facilitazioni lo abbia fatto per santità. Forse non
ne ha avuto l'occasione o non ci è riuscito. Lo dico per evitare falsi moralismi.
Tangentopoli non ha danneggiato la mia azienda, visto il settore in cui operiamo.
Rispetto alla questione fiscale, che in qualche modo discrimina l'eticità dell'impresa, penso
che l'evasione sia sicuramente non giustificata. Sull'elusione ho meno certezze. La scelta
della forma societaria rientra sicuramente nelle regole del gioco.
Una delle massime elusioni degli ultimi dieci anni è quella dei Bot, ma sicuramente non
possiamo considerare le persone che acquistano Bot evasori. Noto poi che la normativa
fiscale sta creando una tale confusione che il cittadino non sa più cosa fare ed in questi casi è
più facile autogiustificarsi.
Relativamente ai rapporti con i dipendenti ed alle scelte etiche ho avuto la fortuna di non aver
mai dovuto fare delle riorganizzazioni d'organico rilevanti.
Senz'altro affermo che è meglio salvare l'azienda riducendo il personale, ma quando si deve
scegliere tra i propri dipendenti capisco che sia una tragedia. Questo specialmente nelle
aziende piccole nelle quali i dipendenti si conoscono personalmente.
Negli ultimi anni poi sono cambiati i rapporti tra imprenditore e sindacato, ma è anche
cambiato, ancora più rapidamente, il contesto in cui questi rapporti si svolgono.
Ricordo un bravo sindacalista che mi voleva spiegare cosa dovevo fare per evitare degli
straordinari nei momenti di punta (confezioni natalizie). Mi faceva grandi discorsi su
programmazione e marketing conoscendone solo il nome. Persone così, al di fuori della
realtà, è bene che cambino mestiere, e credo che lui l'abbia cambiato perché non faceva
neppure l'interesse dei suoi deleganti. Nello stesso tempo sono però cambiate anche le
richieste del mercato. Tutto è più veloce ed improvviso. Ciò comporta una maggiore difficoltà
nei rapporti tra imprenditori e sindacato.
In questo contesto, la trasparenza aziendale favorisce, almeno in parte, questi rapporti.
Nella commissione sindacale sono fortemente sovradimensionate le rappresentanze operaie
e mancano persone che capiscano come funziona realmente l'azienda. Sarebbe positiva la
presenza in commissione di chi lavora, ad esempio, nel marketing o in contabilità.
Ricordo quando, come Comitato Centrale dei Giovani Industriali, proponemmo, negli anni
Settanta, di formare una commissione non vincolata né al sindacato né all'azienda, ma
composta da persone con l'incarico di discutere il piano aziendale a medio termine. Questa
iniziativa fu prontamente bloccata dalla Confindustria, che in quell'occasione poteva
rappresentare la saggezza dei vecchi (e lo posso capire), ma furono anche i sindacati a non
volere realizzare il progetto per "non sporcarsi le mani". Purtroppo qualsiasi cosa si manifesta
in modo conflittuale. Forse se fossi sindacalista farei lo stesso. Credo però che a lungo
andare questo non sia utile.
Ritengo che definire il mio lavoro "missione", sia usare un termine troppo grosso. Non è però
nemmeno solo "business". Nelle aziende più piccole c'è più identificazione tra imprenditore e
prodotto e questo costituisce sia la forza che la debolezza di questo tipo di dimensione.
Comportamento etico e prodotto
Si è tanto parlato di qualità totale ma siamo ancora molto indietro. Comunque è vero che
serve sia per migliorare il prodotto sia la qualità del modo di produrre e sicuramente aumenta
la soddisfazione del consumatore e la qualità dell'ambiente. In questo senso ha sicuramente
un ruolo sociale.
Comprendendo anche il coinvolgimento e la crescita dei dipendenti avrà risvolti di natura
etica rilevanti.
Il problema dei prodotti non sufficientemente sperimentati coinvolge tutte le aziende. Il
lanciare un prodotto non sicuro è un gravissimo errore non solo da un punto di vista morale
ma anche aziendale perché ha effetti deleteri sull'intera immagine dell'azienda.
Relativamente al problema ambientale è ovvio che vi siano responsabilità morali.
Gli imprenditori fino a dieci-quindici anni fa non consideravano, salvo rare eccezioni,
l'ambiente. Non eravamo preparati neppure culturalmente. Ora però spesso ci si scontra con
concezioni astratte e non realistiche. Ci troviamo di fronte a fughe in avanti ed il legislatore si
abbandona all'improvvisazione senza preparare le necessarie strutture. Questa è una grande
responsabilità dello Stato.
Un minimo di buon senso, di compatibilità ci vuole: non ci si può basare solo sull'auspicabile.
Che si debba sempre chiedere di più per ottenere il giusto lo capisco, ma, ad esempio,
pensiamo alla "carbon tax". Non c'è dubbio che è un bene ridurre le emissioni in atmosfera
ma lo possiamo fare solo noi prima degli altri Paesi? Forse il difetto degli italiani sta
nell'anticipare i tempi quando non sono ancora maturi. La Legge Merli è stata fondamentale,
ma spesso è più inquinante un condominio di un'azienda.
Etica e pubblicità
La concorrenza da sola non risolve tutti i problemi. Il mercato vive solo se vi sono regole serie
e rispettate. Nel campo pubblicitario esiste il giurì, che ogni tanto funziona. Per rimanere nel
mio settore, cosmetici, ci sono delle regolamentazioni, ma il controllo sulle promesse
pubblicitarie è troppo blando e dovrebbe essere intensificato.
Una speranza era nel movimento dei consumatori. Ma questo, specialmente all'inizio, si è
mostrato troppo ideologizzato, e quindi ha perso di credibilità.
Non credo nell'equazione, pubblicità come mezzo di persuasione occulta. Questo è un falso:
la pubblicità è uno strumento del marketing che però deve essere regolamentato.
Comportamento etico e pubbliche relazioni
Per quanto concerne le pubbliche relazioni direi che esse non portano necessariamente ad
una illiceità. Non si può generalizzare. L'accusa "pubbliche relazioni = lobby = "qualcosa di
sporco"", è sbagliata.
Vi sono dei casi in cui la lobby ha funzionato benissimo ed è stata utile. Penso al caso
dell'introduzione del casco obbligatorio in Italia che si è resa necessaria dopo aver esaminato
i dati statistici relativi ai decessi per incidenti stradali.
Etica e privatizzazioni
Le privatizzazioni possono migliorare l'eticità del sistema economico italiano anche se non
sono la panacea di tutti i mali. Non ho dubbi che siano un bene per il settore bancario.
La "Centesimus Annus"
Il mercato da solo non è sufficiente a dettare valori. Pur essendo contento che il Papa abbia
menzionato l'impresa ed i suoi valori mi sembra abbia quasi ecceduto.
Il mercato, se assolutamente non regolato, non può essere il luogo ideale dell'eticità. Lo è
però ancora meno quando tutto è regolamentato. Se devo proprio scegliere tra i due estremi,
tra un sistema regolamentato nei minimi particolari ed uno completamente libero preferisco il
secondo.
Ma sono due tesi estreme. Occorrono regole che di solito discendono da valori. Ma l'autorità
trascendente, in quanto laico, non la riconosco e in quanto cattolico non credo debba essere
imposta ai laici.
Mi sembra però che ora ci siano in campo economico, valori comuni.
Penso, ad esempio, alla questione dell'antimonopolio, che è stato discusso dagli americani
un secolo fa senza "scomodare il trascendente".
ANTONIO MARTINO
Preside della Facoltà di Scienze Politiche della LUISS
Il raggiungimento della qualità
Il problema del raggiungimento della qualità è un obiettivo la cui realizzazione dipende in
maniera prevalente dall'organizzazione interna, almeno se vediamo il management e
l'organizzazione giapponese, in cui si coinvolgono i lavoratori - a tutti i livelli - nel controllo
della qualità. Per quanto riguarda il ruolo del comportamento etico, è da ricordare il premio
Nobel per l'economia del 1986, James Buchanan il quale sostiene che i comportamenti etici
hanno una importantissima valenza economica, cioè che un sistema economico può essere
funzionante soltanto nel rispetto di certe regole di comportamento.
Ritengo che l'impresa abbia il diritto di massimizzare il profitto nel rispetto delle regole; certe
volte il comportamento delle imprese è criticabile da un punto di vista etico o perché le regole
non ci sono o perché l'ambiente sociale induce alla violazione delle regole esistenti.
Sotto questo punto di vista ritengo che le responsabilità siano personali, individuali e non
dell'impresa in quanto tale, che di per sé è un'entità astratta.
La responsabilità, quindi, se alcune volte è da attribuire all'imprenditore, altre volte non è
nemmeno sua, ma è da attribuire o all'assenza di regole o alle "induzioni" causate
dall'ambiente sociale.
Abbiamo un sistema bancario che è pesantemente dominato dalla mano pubblica, dalla
presenza dei politici: esso è praticamente, pur con qualche eccezione, un grande cartello
pubblico; il risultato è che non sempre vengono rispettati quelli che dovrebbero essere i criteri
economici di gestione, cioè erogare il credito a chi ne è degno e non darlo a chi invece non lo
è.
Se venissero rispettati questi criteri si avrebbe anche un comportamento accettabile o per lo
meno neutrale sotto il profilo etico. I condizionamenti politici fanno invece sì che il credito
venga rifiutato a chi ne sarebbe degno e venga invece dato a chi non lo è: abbiamo quindi
una cattiva economia che diventa anche cattiva etica.
Il capitalismo e l'etica
Nell'affrontare questo problema bisogna distinguere l'aspetto dei fini dall'aspetto dei mezzi.
Per quanto riguarda i fini l'economia di mercato è neutrale perché quando è funzionante
realizza fini che non sono suoi propri, ma sono quelli posti dai consumatori, dagli utenti finali.
Il problema dei mezzi utilizzati ha invece una sua dimensione etica: un sistema ad economia
di mercato a decisione decentrata non può funzionare efficacemente se non sono accettati
certi valori "etici" senza i quali la convivenza civile non è rispettata.
La classe imprenditoriale italiana è in larga parte corrotta dal fatto che il nostro è un sistema
in cui la commistione tra politico ed economico è sempre stata molto elevata.
A tale riguardo, è ancora attuale la battuta di Gaetano Salvemini: "Nell'Italia fascista il profitto
è privato e individuale e le perdite sono pubbliche e sociali".
Questo continua a succedere ancora oggi ed è appunto cattiva economia perché diffonde
l'inefficienza, e cattiva etica perché gli imprenditori si arricchiscono non servendo i clienti ma
a scapito della collettività, attraverso le elargizioni di pubblico denaro. L'aspetto più
preoccupante a tale riguardo è proprio quello del rapporto tra l'impresa e lo Stato: se
l'impresa accetta le regole del gioco e fa il suo lavoro fino in fondo, potrà guadagnare solo nel
pieno rispetto della regola dell'efficienza, che è di per sé etica; se invece, come accade in
Italia, le imprese si arricchiscono attraverso la collusione con i politici, si ha una distorsione
sia delle regole economiche sia di quelle etiche.
La funzione e l'etica delle banche
La banca ha una grandissima importanza, perché in un sistema funzionante dovrebbe servire
da tramite fra i risparmiatori e gli investitori. E' quindi essenziale alla selezione degli
investimenti e alla crescita del Paese.
A questa importanza di carattere economico dovrebbe corrispondere un'etica mirante a
superare l'attuale prassi della collusione con la politica, per cui il credito va a chi ha gli
appoggi più opportuni .
Non si può invece chiedere alle banche di fare quello che dovrebbero fare la legge, la classe
politica e il governo.
Questi ultimi dovrebbero definire delle regole chiare e la banca rispettarle, ma non le si deve
chiedere l'iniziativa in materie quali il riciclaggio del denaro o la tutela dell'ambiente: la banca
non è qualificata a tale riguardo, non può decidere esattamente che tipo di comportamento
tenere, cosa che deve essere la legge a dire.
L'erogazione del credito
In un sistema concorrenziale la banca avrebbe un solo criterio circa l'erogazione del credito:
decidere nell'interesse dei suoi azionisti, cioè affidare il credito alle persone che danno più
garanzia di saperlo usare con profitto. Quando invece intervengono "altri" criteri, e la
decisione è lasciata alla arbitrarietà del gestore della banca, inevitabilmente si pone un
problema di affidabilità della decisione stessa. Auspico quindi un sistema in cui la banca si
pone come solo obiettivo quello di "allocare" il credito al meglio. Se la persona cui erogare il
credito sia persona socialmente meritevole o meno, è un discorso che non riguarda
direttamente la banca; è un fattore che non dovrebbe intervenire nella decisione, anche
perché laddove manca una evidenza obiettiva tutto è affidato alla discrezionalità del gestore
della banca.
Il segreto bancario
Per quanto riguarda le banche come corporazione, cioè le banche come sistema, non credo
che l'esistenza del segreto bancario faccia una grossa differenza. In un sistema in cui per
tutte le banche, o per nessuna, vige il segreto bancario, ogni singola banca è posta in
posizione di uguaglianza e non vi sono differenze. Diverso è il quesito se il segreto bancario
sia desiderabile o meno; sembra che abbia svolto storicamente un ruolo importante e che
potrebbe continuare a svolgerlo. E' pur vero che lo stiamo demolendo per ragioni valide e
giuste, ma forse con troppa precipitazione: se si dovesse arrivare a una contrazione della
domanda di moneta dovuta allo smantellamento del segreto bancario, questo potrebbe
rappresentare una forte incognita sul piano economico.
ANTONIO MAURI
Consigliere della Confindustria per i problemi del Mezzogiorno
Imprenditore catanese
L'esperienza personale: convinzioni morali ed esigenze dell'impresa
Non ho mai avuto dubbi. Le mie convinzioni morali hanno sempre predominato, anche
quando c'era in ballo lo sviluppo dell'azienda.
Nel mio intimo non ho mai avuto cedimenti. Ed ho avuto la forza di essere sempre coerente
con me stesso.
E' stata una mia precisa scelta: tra diventare un medio imprenditore, piegandomi a situazioni
discutibili, e restare quello che sono, ho preferito sempre la seconda soluzione. Ma non l'ho
vissuta come una rinuncia, o con conflitto: mi sono sempre comportato secondo la mia
morale. E per questo ho subìto parecchie situazioni difficili: non con le banche, ma nei
rapporti con la Pubblica Amministrazione e con i fornitori. L'ho detto più volte: attenzione al
mondo non solo degli appalti ma anche a quello delle forniture.
Le forniture e le gare a trattativa privata danno le possibilità a chi sta dall'altra parte di
scegliere chi invitare.
I rapporti con le banche sono sempre stati molto buoni. Il principio fondamentale è rispettare
a farsi rispettare trattando con loro da pari a pari. E non ho mai avuto problemi. Anche perché
in caso di dissapori non sarei sceso a compromessi ma avrei cambiato istituto.
Anche in Sicilia, quindi, in una terra particolarmente difficile, si può essere imprenditori a testa
alta.
L'imprenditore deve produrre profitto, ma non deve essere disponibile all'arricchimento
illecito. Né a situazioni poco chiare. Ad esempio, chi lavora con me sa che proposte di un
certo genere non hanno alcun seguito. Un caso è accaduto alcuni anni fa, in occasione delle
elezioni. Alcuni candidati si erano rivolti al mondo bancario per ottenere qualche sostegno. Gli
istituti con i quali lavoro si sono addirittura rifiutati di contattarmi: sapevano che mi avrebbero
perso immediatamente.
Anche nei momenti di difficoltà dell'impresa, 30 anni fa, le banche mi hanno sempre più che
rispettato. La banca è un fornitore di una materia prima particolarmente pregiata, il denaro.
Gli industriali devono avere la forza di contrattarlo, di stabilire le condizioni.
Il sistema bancario: più efficienza e disponibilità
Nel loro complesso, le banche non brillano per efficienza e disponibilità, specialmente nei
confronti delle piccole e medie imprese. Ciò è ancora più evidente al Sud, dove gli istituti
capillarmente presenti sulle piazze hanno fatto pagare la loro presenza, anziché metterla a
disposizione degli operatori. Inoltre c'è la pratica usuale di concedere il credito in conto
corrente, più facile da gestire e più remunerativo. Non c'è stato lo sforzo di insegnare al
piccolo imprenditore a quali altri affidamenti accedere, di dare consigli: per esempio, in
passato quando la lira era molto ferma, consigliare finanziamenti in valuta. Ecco, le banche
non sono state una guida per il mondo imprenditoriale. E' pur vero che ci sono mentalità
distorte anche tra gli imprenditori sull'utilizzo dei fidi.
Le responsabilità degli imprenditori
Anche gli imprenditori hanno quindi qualche colpa. Specialmente nel Sud le aziende sono
sottocapitalizzate. E' un errore: se l'impresa fa profitto, ad un certo punto, l'imprenditore deve
anche saper riconoscere la sua forza, fare programmi di sviluppo e di investimenti, sapendosi
gestire economicamente e finanziariamente. Non si può sempre vivere alla mercé degli istituti
di credito.
E' comunque essenziale un rapporto più stretto tra banche ed impresa. L'aiuto che dà una
banca non deve essere solo economico, ma essa deve saper anche consigliare. Non vorrei
esagerare definendo l'istituto di credito un confessore, ma è comunque un fornitore
importante con cui discutere complessivamente le problematiche dell'impresa. La banca sa
guardare avanti. Conosce i problemi non solo della singola azienda, ma di tutto il settore,
tramite i propri uffici. Sarebbe un consulente prezioso. E poi deve dare consigli sul tipo di
credito al quale ricorrere: per esempio, è inutile tenere scoperti di conto corrente per
l'acquisto di macchinari quando si sa benissimo che questo scoperto va tramutato in un
medio termine. Il conto corrente è elasticità di cassa.
Le responsabilità delle banche nel sistema della corruzione
Credo che il sistema bancario abbia avuto le sue responsabilità nell'alimentare i meccanismi
della corruzione. Ciò vale sia per le banche private, ma soprattutto per quelle pubbliche, dove
i vertici hanno gestito gli istituti con criteri fin troppo discrezionali. Era lampante, ancor prima
che venisse fuori in modo eclatante dalle inchieste della magistratura, che le banche talora
avevano utilizzato per la concessione di fidi logiche non professionali. Certi affidamenti
avevano una vistosa matrice politica. Oppure erano concessi per il "raccomandato di turno".
E ciò è successo in tutto il Paese, non solo al Nord, dove i giudici hanno scoperto la
corruzione in modo eclatante.
A farne le spese sono state soprattutto le imprese: l'immagine complessiva di tutta
l'imprenditoria italiana esce offuscata da questa vicenda.
Gli effetti di un comportamento etico
Alla lunga il comportamento etico paga. Se si è sempre molto coerenti con i propri princìpi,
alla fine si vince. Certo è difficile, la tentazione fa l'uomo ladro. A volte si soffre perché ci si
sente penalizzati, non solo nella propria persona ma per l'azienda. Nel senso che farle
perdere opportunità, vuol dire non farla crescere. Se tutti ci comportassimo in modo etico,
sempre, sarebbe più facile.
Spesso invece l'impresa cade in un comportamento non etico. Il più grave è sicuramente il
vivere collusi. La collusione, inoltre, non si subisce soltanto: a volte viene condivisa e
sollecitata. E allora si diventa corruttori. Non è vero che chi ha subìto ha sempre solo subìto.
Quelli che effettivamente hanno subìto, si riconoscono per l'andamento dei loro bilanci. Se
l'impresa è andata avanti, florida, si può stare certi che non hanno solo subìto. E comunque
avrebbero dovuto avere il coraggio di denunciare.
Diverso invece il caso, ad esempio, dei rapporti con il fisco. Evadere il fisco è sempre un atto
ingiusto, un peccato anche se dipende da quanto si evade. Ma anche tra i peccati esistono
quelli veniali e quelli mortali. Comunque se lo stesso fisco talvolta adotta i cosiddetti condoni,
forse è perché sa di essere eccessivamente esoso, un vero e proprio "socio occulto"
dell'impresa.
Etica e rapporti con i dipendenti
Nella piccola impresa si vive come in una grande famiglia: non esiste l'addetto a qualcosa,
ognuno cerca di rendersi utile come meglio può. Molto spesso il problema dei dipendenti
diventa anche un mio problema. Sono portato a dare un contributo non solo economico ma
anche sociale e personale al problema del dipendente per cercare di risolverlo. E' necessario
evitare sempre i "falli di reazione", di essere pacato, di non trascendere. E nel mio caso credo
di esserci riuscito. Nella grande impresa la situazione è diversa: la dimensione personale si
perde molto più facilmente.
Per quello che riguarda i rapporti con il sindacato, non so se sono stati sempre improntati
all'eticità. Soprattutto in caso di alcuni rinnovi contrattuali, pur non avendone la certezza, visto
che la mia impresa è talmente piccola che non ho neanche un contratto aziendale, ho la netta
sensazione che sia accaduto qualcosa di poco limpido.
Ma nella mia azienda la trasparenza verso i dipendenti rimane un valore importante.
Realizzarla, comunque, dipende molto dalle dimensioni dell'impresa.
Qualità totale e comportamento etico
La qualità totale è nata soprattutto per migliorare la produttività. Ma se nella qualità totale
inseriamo anche la conduzione etica dell'azienda, allora nel concetto di qualità entra la
moralità e ci potranno essere effetti positivi sotto questo aspetto. Se poi si scende nel
particolare e si discute sulla qualità del prodotto, allora il comportamento etico diventa
fondamentale e si traduce nel lavorare un prodotto affidabile e sicuro.
Ad esempio, immettere sul mercato prodotti non sufficientemente sperimentati è un
comportamento assolutamente deprecabile. Dico che l'immagine dell'azienda è di primaria
importanza per andare avanti. Dare al mercato prodotti che non sono di grande qualità è una
politica miope: chi si comporta così è destinato a chiudere. Ed è giusto che ci sia la
responsabilità sia penale che civile, in caso di danni.
Un'altra dimensione della produzione che pone questioni etiche è quella dell'inquinamento
che è nato come problema tecnico ma che oggi comporta anche responsabilità morali, e poi
civili e penali.
Etica e pubblicità
Per una "pubblicità etica" servono regole. A volte con la pubblicità si esagera: occorre
maggior rispetto per l'infanzia, ma anche un uso minore dell'"oggetto donna". E vanno
rispettate anche le regole della concorrenza.
Lo stesso discorso può valere per le pubbliche relazioni. Ma non illudiamoci. La moralità
dipende sempre dall'individuo, più che dalle regole.
Privatizzazioni delle partecipazioni statali e moralizzazione del sistema economico
Le privatizzazioni in atto possono sicuramente contribuire alla moralizzazione del sistema
economico. Dalle partecipazioni statali abbiamo avuto gli esempi più eclatanti di corruzione.
Ne sono state gli strumenti. Eliminandole, indubbiamente si fa pulizia. L'auspicio è che la
privatizzazione non avvenga con gli stessi soldi delle partecipazioni statali: non vorrei che gli
imprenditori o le cordate che compreranno una certa banca, magari riescano a comperarsela
con i soldi della stessa banca.
Privatizzare le banche sarà sicuramente positivo, per gli stessi motivi che ho esposto
precedentemente. Il settore bancario privatizzato dovrà essere gestito con criteri
esclusivamente manageriali. E questo, oltre a garantire maggiore trasparenza, dovrebbe
migliorare il rapporto con la clientela. E' fondamentale però che le nomine non siano più
nomine pubbliche, altrimenti si vanificherebbero gli effetti della privatizzazione.
Comportamento etico e mercato
Il mercato non è sufficiente da solo a garantire che il rispetto dei suoi meccanismi induca le
imprese ad un comportamento etico. Tutte le vicende che stiamo vivendo in questi ultimi mesi
dovrebbero far capire che bisogna mutare radicalmente la mente degli uomini, dalle piccole
alle grandi cose. Oggi affrontiamo il problema delle imprese. Domani potremmo affrontare,
per esempio, il problema della Rai: chi lo dice che tutto è trasparente, che per una presenza
in TV occorra solo l'invito o che non si debba pagare un ingresso, che dietro una ripresa non
ci siano altri interessi? Nel settore pubblico sappiamo che, a causa di una certa mentalità,
dall'usciere ai vertici più alti, serve del denaro per oliare gli ingranaggi. E' sbagliato.
Dobbiamo convincerci che ognuno deve fare il proprio dovere. Il posto di lavoro è sacrosanto
e va difeso.
Ma tutti, dal lavoratore, al manager, all'imprenditore, dovrebbero avere comportamenti
coerenti con quella che dovrebbe essere la nostra vera moralità. E quest'ultima nessuno ce la
può imporre dall'esterno: dovrebbe maturare dentro di noi, in base alle nostre riflessioni e
convinzioni. Solo così si può venire fuori dal sistema corrotto che ha distrutto l'Italia. Se
guardiamo tutte le migliaia di miliardi che sono stati dissipati, non possiamo fare a meno di
riflettere. La colpa è dei politici ma non solo: è anche di una parte del Paese che non si è
ribellata prima. E anche la magistratura in parte è stata latitante: doveva muoversi con più
tempestività.
ROBERTO MAZZOTTA
Presidente della Cariplo
Eticità della banca
Per la banca, come del resto per qualunque altra impresa, esiste un preciso dovere nei
confronti della propria clientela che è quello della trasparenza del rapporto. Il cliente deve
essere messo lealmente in condizione di conoscere il prezzo del servizio che gli viene offerto
perché possa fare liberi confronti. La moralità del rapporto con il cliente sta proprio nel porlo
in condizione di scegliere, e non nell'offrirgli le condizioni migliori. E si lavora costantemente
affinché questo avvenga.
In definitiva comunque si può dire che l'eticità sia nell'informazione e nella trasparenza dei
rapporti.
E' vero anche che il principio della trasparenza dovrebbe essere attuato non solo da parte
delle banche ma anche del cliente. E questa è una problematica complessiva. Personalmente
credo si parli troppo di etica e la si pratichi poco... Mi riferisco soprattutto a quegli affaristi che
con sempre maggiore frequenza dissertano di etica: etica ed economia, etica della finanza,
etica del mercato e così via. Sono convinto che l'etica debba essere affermata con i fatti,
rispettando la deontologia professionale che è "scritta" nelle regole del funzionamento
corretto di una professione.
Per chi, come le banche, svolge la professione del raccogliere e prestare denaro, queste
regole, a mio avviso, sono molto semplici: le banche devono operare con la massima
trasparenza delle condizioni e, soprattutto, ma questo vale per tutte le professioni, non
prestarsi mai a svolgere funzioni diverse dalle proprie.
Se il denaro viene prestato e raccolto con trasparenza sul mercato, chiedendo e pagando il
giusto prezzo, senza rendite, difficilmente si presta il fianco a operazioni illecite.
Se, viceversa, ci si presta a erogare finanziamenti che consentono tassi molto elevati, o si
garantiscono depositi a remunerazione molto bassa, più facilmente si è esposti a sostenere
operazioni inopportune. La banca non deve, in conclusione, pretendere di lucrare alte rendite
in qualunque condizione, ma si deve porre sul mercato pagando e chiedendo i giusti prezzi.
Etica e autoregolamentazione
Più che all'autoregolamentazione che garantisce l'etica credo al corretto rapporto con il
mercato, purché sia un mercato realmente aperto e competitivo, non chiuso o protetto. Nel
mercato chiuso, "segmentato", si possono più facilmente creare spazi per alti margini di
rendite e si può dunque prestare il fianco a scorrettezze e inopportunità.
La legge dovrebbe favorire la trasparenza del mercato più che delle singole imprese e la
norma dovrebbe facilitare la correttezza dei rapporti, disciplinandoli secondo le regole della
trasparenza e della comunicazione. C'è un buon esempio che riguarda la disciplina bancaria
in materia di trasparenza, normativa che nel nostro Paese ha proprio seguito il principio che
sottolineavo: la norma non deve mai intervenire per fissare tariffe o prezzi, ma deve precisare
regole che aiutino il mercato e quindi l'utente ad avere corrette informazioni sulle tariffe e sui
prezzi dei servizi.
Ovviamente non si può negare qualche appesantimento formale. Personalmente però credo
sia meglio esagerare se poi, con l'esperienza, si trova il giusto equilibrio, che deve essere
raggiunto con l'impegno di tutti: dalle banche ma anche dagli utenti che devono abituarsi a
leggere, conoscere, cercare le informazioni. Da questo punto di vista ritengo, per esempio,
che la stampa giochi un ruolo essenziale nell'aiutare il consumatore con un'informazione
puntuale e concreta. Vorrei anzi dire che esiste, anche per la stampa, un'etica che consiste
nell'informare più che nel giudicare.
Etica e privatizzazioni
Attualmente nelle banche si stanno verificando importantissime trasformazioni: la banca deve
abbandonare il suo passato di istituzione per divenire totalmente impresa. Deve abbandonare
l'ambito nel quale pensava di poter imporre al mercato le proprie condizioni "ufficiali" e deve
diventare impresa aperta alla concorrenza.
Privatizzare vuol dire porre l'impresa in condizioni di funzionare rispetto al mercato. Ritengo
pertanto che la veste giuridica del capitale sia irrilevante, indifferente rispetto al corretto
rapporto con il sistema della concorrenza.
FRANCESCO PASSERO
Presidente della Cassa di Risparmio di Puglia
CARIPUGLIA SpA
L'esperienza personale: convinzioni morali ed esigenze dell'impresa
E' possibile spesso vivere situazioni di conflitto, se per conflitto s'intende il dissidio tra le
convinzioni personali su quello che si ritiene il bene e la prospettiva del bene collettivo.
Ma un banchiere, in virtù del suo ruolo, deve aspirare ad una etica "pubblica". Ciò significa
armonizzare la prospettiva personale - quello che sembra meglio in un determinato momento
- con quello che può essere il bene o la scelta a più larga ricaduta positiva.
Ad esempio, le mie convinzioni personali, per formazione e cultura, possono portare a
guardare con simpatia un'operazione di credito che sul piano tecnico si rivela invece
un'esposizione troppo rischiosa. E' evidente che in questo caso l'etica lascia il posto ad una
corretta misurazione del danno che, a causa di una convinzione soggettiva, potrebbe ricadere
sull'Istituto.
E' sicuramente un conflitto che tocca l'area della managerialità in genere, cui compete, in una
banca come in una industria, praticare scelte che coniughino i costi più bassi con i benefici
più estesi.
I problemi etici diventano dunque "il sale" della vita dei banchieri. Non esiste, a mio parere,
una soglia minore o maggiore di etica per i clienti o i dipendenti.
L'etica nella e della banca
Esistono invece, e vanno distinte, regole tecniche da regole etiche. Ad esempio: trasparenza
e servizi efficienti non sono una condizione di eticità; semmai li considero, la prima, la verifica
pubblica di immagine di un Istituto che operi nell'interesse collettivo, e, i secondi, gli strumenti
per affinare nei confronti del cliente e del mercato comportamenti che siano condivisi da una
cerchia di operatori sempre più larga.
Così l'osservanza della legge è una condizione, un quadro normativo volto a regolare e
favorire, anche qui, un'etica la cui utilità una banca deve intuire e mettere in opera comunque.
Se l'etica di un Istituto creditizio ha, come credo, una efficacia sugli obiettivi perseguiti e sulla
sostanza e stile del rapporto con la clientela, la "punizione" naturale per un comportamento
non etico esisterà comunque in una disomogeneità rispetto ai fini dell'azienda. Rendendo il
"colpevole" naturalmente marginale rispetto ai fini e alla macchina dell'azienda. Mi pare una
"punizione" di per sé rilevante.
Etica per una banca significa però soprattutto, al di là delle indagini previste dalla legge e
demandate alle autorità competenti, interrogarsi sull'origine e l'utilizzazione dei fondi che le
pervengono quando acquistano evidenza e rilevanza comportamenti sospetti.
Ad esempio, situazioni quali un rapporto privilegiato con le istituzioni politiche, l'elusione
fiscale, la violazione ambientale, la non limpida utilizzazione delle risorse, non si possono
definire redditizie. Una politica di allegre esposizioni non misurate ai fini e alla natura della
controparte, come dimostra la storia passata e recente del nostro Paese, si traduce prima o
poi nel danno e nella sofferenza dell'Istituto. Ne consegue che il solo comportamento
redditizio di un banchiere, in tali circostanze, è di negare l'affidabilità.
Le nuove garanzie di eticità
Il quadro di norme recentemente approvate in materia di istituti di credito, l'adeguamento in
atto alla seconda direttiva Cee, che rivedono profondamente la legge bancaria adeguandola
al mercato europeo, infine lo stesso referendum che ha cancellato il vincolo della nomina da
parte del Tesoro dei presidenti delle Casse di Risparmio sono allo stesso tempo la risposta
che l'economia del Paese ha dato allo strapotere della politica in tema di aziende di credito.
Con un tempismo ed una indubitabile anticipazione rispetto agli altri comparti del Paese, il
sistema del credito ha riconquistato l'autonomia dall'ingerenza politica.
La "convenienza" del comportamento etico
Un comportamento etico non danneggia i profitti delle banche perché, pur ipotizzando una
crescita dei costi necessaria per assicurare maggiore trasparenza di servizi e l'efficienza in
linea, questo aggravio viene compensato da una nuova qualità del rapporto con il cliente, al
quale si deve comunicare la cointeressenza di una partnership, l'essere con lui e l'operare per
lui.
Il dibattito sull'autoregolamentazione
Seguo con attenzione il dibattito sull'autoregolamentazione e penso che sia un obiettivo
fondamentale, in sintonia con la strategia aziendale, divulgare e partecipare le modalità di
cambiamento che hanno investito il sistema bancario, dal nuovo rapporto con l'imprenditoria
all'adeguamento alle leggi di mercato che chiamano in causa competitività ed efficienza.
Il mio osservatorio, in una regione del Sud che si muove a metà tra le aree avanzate del
Paese e le sacche di arretratezza, mi pone tuttavia in una posizione di prudente attesa sulla
neutralità degli effetti di un'autoregolamentazione. Nutro, in altre parole, il fondato timore che
le leggi del libero mercato, se da un lato riscattano da assistenzialismi e coperture, dall'altro
rischiano di penalizzare alcuni istituti del Sud per la loro antica strutturale debolezza come per
la oggettiva rischiosità di una clientela che opera in condizioni difficili.
Le privatizzazioni nel settore bancario
La privatizzazione del settore creditizio, in una più generale tendenza che vede la politica e lo
Stato abbandonare primati nella conduzione dell'economia, è una conquista di autonomia
rispetto a soggetti e a fini non omogenei ad un'azienda che voglia, anch'essa, liquidare i
parassitari ruoli di mediazione e diventare un'impresa di servizi, un partner per lo sviluppo di
una regione, accanto al privato come all'imprenditore, all'amministratore come alla famiglia.
Comunque, il controllo pubblico delle banche, se per tale intendiamo quello dell'Istituto
centrale, rimane una garanzia della convergenza e articolazione dell'operato dei singoli istituti
nel quadro della peculiare rilevanza nazionale che hanno la circolazione della moneta e le
attività creditizie.
In termini invece di singolo istituto ritengo che un'attenzione particolare debba essere posta
ad un azionariato che si ponga in relazione alla sua storia, all'ambiente in cui opera, al quadro
istituzionale. Allo stesso tempo un azionariato che si affidi ad un management armato di
qualità e competenze.
Etica e mercato
I fini dell'etica non sono in conflitto con quelli dell'economia. Se il capitalismo saprà
rispondere alle sfide di libertà e di benessere di fronte alle quali è franato invece il comunismo
reale, mercato e concorrenza governeranno un'economia dei fini, che regoli le ragioni di
scambio di beni e servizi in funzione di un uomo meno dipendente dalla produzione e
consumo di beni materiali.
LEONELLO RADI
Direttore generale della Cassa di Risparmio di Foligno
L'esperienza personale: convinzioni etiche ed esigenze dell'impresa
Situazioni di conflitto nell'esercizio della propria attività imprenditoriale possono porsi, ma è
anche vero che il voler operare con obiettivi corretti, rigorosi, può già eliminare quote ampie di
questa conflittualità. Si crea, cioè, un "clima", una immagine per cui nemmeno vengono poste
situazioni difficili, e se poste, queste possono essere immediatamente spostate su canali
corretti ed accettate per rigore morale.
Non esistono ovviamente situazioni privilegiate per il verificarsi di momenti conflittuali. E' un
problema, o un caso, complessivo. Comunque in particolare si pongono in materia di gestione
del personale e nella trattazione dello specifico del settore.
Gli "accorgimenti" utilizzati per evitare tali situazioni di conflitto e per l'affermazione di proprie
convinzioni morali sono i forti ancoraggi a motivi ed impegni morali validi, fino ad un impegno
di testimonianza religiosa.
Il discorso si può estendere a qualsiasi posizione professionale perché i comportamenti
hanno attinenza con l'attività dell'uomo in tutte le sue espressioni ed assumono maggiore
rilievo e più consistenza quando più accentuato è il contenuto economico dei comportamenti.
Problemi, quindi, generalizzati - anche se con espressioni diverse - per qualsiasi tipo
d'impresa o meglio per qualsiasi attività economica (o finanziaria).
Etica e banche: rapporto con dipendenti e clienti
In banca i problemi etici in rapporto ai dipendenti possono avere una dimensione consistente
per la forte, fortissima, incidenza che ha il personale nella gestione aziendale.
In banca l'efficienza si determina e nasce dalla politica del personale (problema questo
pressoché ignorato - nella sostanza - dal settore). Essere stato per moltissimo tempo un
settore protetto ha determinato gravi distorsioni contrattuali e di gestione.
Accanto a questi problemi ci sono i comportamenti e le esigenze dei clienti, che sono di tipo
diverso. Quantitativamente le problematiche si equivalgono, ma mentre per il personale è
necessaria una strategia, nei rapporti con i clienti c'è un comportamento da modellare
momento per momento, sul caso concreto.
In questi due contesti comunque la trasparenza ed i servizi efficienti, proposti spesso come
parametri di eticità, rappresentano soltanto aspetti prevalentemente formali. Così come non è
sufficiente a definire il comportamento etico di una banca il semplice rispetto della legge.
L'osservanza della legge infatti è un elemento indiscutibile ma spesso è bene andare oltre
tale comportamento per presenze di contenuti etici che forse anche alla legge sfuggono. Il
riferimento alla sola legge può richiamare aspetti formali che non risolvono il rispetto
scrupoloso dei contenuti.
Il ruolo preventivo della banca
Rispetto al ruolo che può operare la banca controllando la provenienza o l'utilizzazione dei
fondi, punterei l'attenzione soprattutto sull'origine di questi fondi. E' infatti un problema nuovo
che si pone in relazione a fatti recenti che possono far sorgere dubbi sulla legittima
provenienza delle risorse (rapine, traffici illeciti, appropriazioni, ecc.).
Per ciò che riguarda la destinazione dei prestiti, la banca ha titolo per valutare
autonomamente il merito del credito che sempre più non ha attinenza solo con il volume di
garanzie patrimoniali offerte bensì con la capacità di buon fine che l'operazione può avere (e
per la banca deve avere).
Sono convinto che le diverse componenti e caratteristiche dell'impresa devono essere tutte
valutate, sempre, perché sono capaci di elevare enormemente il rischio.
C'è un problema etico sostanziale (il rispetto dei risparmiatori il cui credito viene intermediato)
e indotto sulla capacità, per i contenuti dell'operazione, di procedere al rimborso. Oggi il
contesto sociale così positivamente sensibile agli aspetti etici, pone in termini ancor più
accentuati e definitivi l'esigenza di comportamenti coerenti.
E il sistema bancario è sicuramente in grado di far fronte a queste esigenze, anche se
possono esserci ancora carenze professionali sul piano delle analisi delle situazioni aziendali
e degli affari da trattare. E' il problema della formazione e della maturazione che il settore - in
particolare per i quadri intermedi - deve subire.
Ed è un cammino fondamentale da intraprendere per consolidare l'etica nelle attività della
banca. Il comportamento etico può aumentare i profitti della banca, perché riduce le
sofferenze, perché accresce e consolida l'immagine aziendale su aspetti sostanziali.
Etica e privatizzazioni
Il processo di privatizzazione in atto anche nel settore bancario, dovrebbe aumentare la
sensibilità etica delle banche; questo perché la traiettoria dell'efficienza impone
l'agganciamento a modelli di gestione aziendali sempre più "veri": nelle politiche del
personale, nella gestione del credito, in tutte le espressioni dell'attività aziendale.
Sicuramente, infatti, il controllo pubblico non è una garanzia di eticità; teoricamente dovrebbe
esserlo. Bisognerebbe indagare - del resto è già noto - come si esprime questa appartenenza
pubblica dell'attività economica che può indurre ad una etica apparente, formale e come tale
ricercata.
L'etica nella banca dipende da codici interni (che non esistono) o da comportamenti
professionali? Forse solo da questi!
La proprietà di una banca dovrebbe, a mio avviso, basarsi su un azionariato diffuso, cioè
diversificato capace di garantire un'autentica partecipazione alla vita dell'azienda, almeno sul
piano dell'indirizzo e del controllo.
FRANCO RAIS
Presidente del Credito Industriale Sardo
L'esperienza personale: convinzioni morali ed esigenze della banca
Nella mia attività, non mi sono mai trovato in una situazione di contraddizione tra una
convinzione morale ed una esigenza professionale dettata dal ruolo che ricoprivo.
In questi anni - ma direi anche in esperienze precedenti - la giusta scelta dettata da ragioni
professionali e di correttezza ha sempre potuto soddisfare anche una profonda convinzione
morale.
A livello di svolgimento quotidiano del proprio lavoro, comunque, sono convinto che problemi
e dilemmi etici siano presenti sia nel rapporto con la clientela che nel rapporto con i
dipendenti, i quali - nell'esecuzione dei propri compiti - devono soddisfare alcuni valori e
principi, anche perché amministrano il risparmio della collettività. E il dovere primario è quello
di utilizzare al meglio questo risparmio.
L'etica nella banca: legalità e trasparenza
I problemi etici si pongono in primo luogo nei confronti dei clienti, in relazione particolarmente
al controllo nelle istruttorie per quanto riguarda progetti di investimento e di utilizzo del
risparmio. Alla base di tutto c'è un'esigenza di trasparenza. E' infatti compito della banca - e
non solo un dovere derivante dalla normativa vigente - essere sempre trasparente e leggibile
nei propri comportamenti. Certamente - da sola - l'osservanza della legge non basta a
garantire la moralità di una banca, ma occorre anche rispettare i criteri di efficienza e di
efficacia nell'uso del denaro.
Rispetto alla prevenzione delle attività finanziarie illecite è un preciso dovere della banca
rendersi anche conto - dove può - della provenienza dei mezzi finanziari; d'altra parte esiste
una normativa che il legislatore ha dettato proprio per prevenire ed eventualmente reprimere attraverso i canali finanziari - l'origine illegale delle ricchezze. Ma tuttavia, ritengo che non sia
compito della banca fare il poliziotto. Il funzionario preposto all'esercizio del credito, che sta
conducendo un'istruttoria, ha certamente l'obbligo - non solo giuridico ma anche morale - di
rendersi conto della realtà vera del progetto, ma francamente è molto difficile capire se esiste
un rapporto privilegiato o sospetto con le istituzioni politiche.
E' altresì difficile stabilire se una domanda di finanziamento è fatta per eludere gli obblighi
fiscali. Una banca può anche non avere gli strumenti per accertarsene, né può sentirsi
obbligata a compiere accertamenti che sono invece di competenza della pubblica
amministrazione.
Un discorso simile va fatto per quanto riguarda la violazione delle norme di tutela ambientale:
la banca in fase di istruttoria acclara che le norme in materia ambientale, edilizia, urbanistica,
siano rispettate, ma non può andare oltre o esprimere giudizi di carattere politico.
In linea generale, comunque, la banca è un'impresa e come tale deve vivere all'interno delle
problematiche che caratterizzano il mercato.
Il nostro è un mercato aperto, molto competitivo e quindi la banca deve agire rispettandolo, il
che significa che i suoi giudizi non possono andare oltre i vincoli di carattere economico.
Per ciò che riguarda l'esperienza italiana, su questo problema, è difficile dire se il nostro
sistema bancario sia in grado di avvertire il pericolo che il denaro che viene prestato o
depositato possa essere utilizzato per fini illeciti o possa avere provenienza illecita. La banca
rispetta le leggi e pone in essere tutta una serie di accorgimenti per capire se si è di fronte ad
ipotesi criminali, ma è estremamente difficile pensare di poter stroncare uno qualsiasi di
questi canali.
Sicuramente la banca può ricoprire un ruolo importante nell'affermazione dell'etica in
economia dimostrando che il comportamento etico è anche produttivo: nel lungo periodo, è la
banca seria e rispettosa dei principi quella che riesce a stare sul mercato.
Il dibattito sull'autoregolamentazione bancaria
Ritengo che la proposta dell'autoregolamentazione bancaria sia un fatto estremamente
positivo e, in quanto banca, vediamo con favore le iniziative a questo riguardo. Abbiamo, ad
esempio, aderito prontamente ad un invito dell'Associazione Bancaria Italiana in materia di
ombudsman, ed abbiamo deliberato, nell'ultimo Consiglio di Amministrazione, la costituzione
di un "ufficio reclami".
Naturalmente contiamo, utilizzando questi presidi, soprattutto di migliorare noi stessi e la
qualità dei servizi che offriamo ai nostri clienti.
L'autoregolamentazione non costituisce quindi un peso, un costo, ma un'opportunità per
migliorare la qualità dei servizi.
Etica e privatizzazioni
Il processo di privatizzazione delle banche è un fatto da salutare positivamente, così come è
positivo il generale processo di privatizzazione a cui andrà incontro nei prossimi mesi larga
parte dell'economia italiana governata - fino ad oggi - da strutture pubbliche o parapubbliche.
Questo fatto è importante anche da un punto di vista etico perché è il mercato il misuratore
dell'efficienza di un'impresa e quindi privatizzare significa aderire al mercato e ai suoi bisogni.
Un certo tipo di controllo pubblico può essere utile se si estrinseca in una serie di regole
generali all'interno delle quali le imprese devono però poter operare liberamente.
E' possibile che serva un minimo di presenza di capitale pubblico per garantire l'interesse
generale ma, in linea di massima, nel campo del credito si può avere garanzia di eticità
facendo in modo che i risparmi siano utilizzati al meglio e nella maniera più produttiva, e
quindi attraverso un processo di privatizzazione.
Solo così sarà possibile "salvare" un valore estremamente importante in questo campo: l'uso
produttivo e corretto del risparmio.
Questa esigenza di eticità della proprietà si riflette poi anche nella definizione dell'azionariato.
Pur convinto che il tipo di azionariato non determini l'eticità della banca, credo che in
un'economia e in una società come la nostra - in cui il pluralismo è estremamente diffuso e
dove la democrazia è un valore essenziale - un modello di azionariato diffuso possa meglio
garantire una partecipazione dei cittadini, dei risparmiatori anche al governo dell'economia.
Etica e concorrenza
Non so se le regole del mercato della concorrenza possano garantire al 100% e
compiutamente le moralità di una banca; certamente però sono un fattore molto importante
per garantire che le banche utilizzino nella maniera più produttiva i risparmi dei cittadini. Il
mercato non può che essere l'unica misura per valutare la bontà di un'iniziativa, quindi le
regole della concorrenza e le regole del mercato sono un potente fattore che può costruire
banche che rispettino i principi di moralità e di eticità.
BRUNO RAMBAUDI
Presidente dell'Unione Industriali di Torino
L'esperienza personale
I conflitti tra convinzioni personali ed esigenze professionali si pongono inevitabilmente e
credo possa succedere in molti altri tipi di attività e di occupazione. Si sono poste comunque
situazioni del genere nel momento in cui mi sono trovato di fronte a leggi distorcenti la
dinamica del mercato.
I rapporti tra banche e imprese
Nel corso della mia attività ho sempre riscontrato da parte delle banche un comportamento
sostanzialmente corretto.
Tale correttezza ovviamente è generalizzabile all'intero sistema anche se le stesse banche
dovrebbero lavorare per un ruolo più attivo e preventivo nei confronti delle imprese. La banca
moderna, quella che intende svolgere un ruolo di sostegno allo sviluppo, dovrebbe valutare,
ad esempio, il cliente-impresa non solo sotto il profilo patrimoniale, ma anche delle sue
potenzialità di mercato. Un ruolo di controllo più incisivo da parte delle banche può
sicuramente migliorare lo sviluppo delle imprese e addirittura il comportamento generale del
sistema. Infatti rispetto alle vicende di Tangentopoli, ritengo che il sistema bancario non sia
stato all'origine del fenomeno anche se non escludo che possa aver partecipato in qualche
caso.
Il comportamento etico: le sue dimensioni e le espressioni concrete
Un comportamento etico e professionalmente corretto può sicuramente migliorare i rapporti
con i clienti e quindi favorire la crescita dell'impresa, soprattutto sul piano dell'immagine e
dell'affidabilità aziendale di fronte alla concorrenza internazionale. La cattiva fama del
"sistema Italia" può avere ripercussioni gravissime nell'affidamento di una commessa da
parte di un cliente straniero. Ma comportarsi eticamente significa innanzitutto gestire il
complesso dei problemi interni in maniera attenta: dalla situazione fiscale ai rapporti con i
dipendenti. Eludere il fisco, ad esempio, è un atto contrario all'etica sempre, anche in
"determinate circostanze", anche se il diritto dei cittadini di protestare contro un fisco incivile è
uno dei fondamenti della democrazia.
Nei rapporti con i dipendenti ed il sindacato i comportamenti di tutti devono, invece, essere
ispirati dalla consapevolezza che l'impresa è un bene comune per tutti: capitale e lavoro,
dirigenza e dipendenti.
Quindi la trasparenza aziendale nei confronti dei dipendenti diventa una dimensione rilevante
ai fini di un comportamento etico.
Il lavoro: missione o business?
Personalmente vivo la mia attività come business, se nel concetto di business vengono
riconosciuti anche valori quali la professionalità e la capacità di assumersi le proprie
responsabilità professionali.
Comportamento etico e prodotto
L'introduzione del principio della qualità totale è un fattore che non solo migliora il prodotto ed
il processo di lavoro, ma può contribuire anche a definire l'eticità di un'impresa. E diventa
cruciale nel momento in cui si pongono dilemmi, ad esempio, sulla sperimentazione del
prodotto. Escludendo, ovviamente, i prodotti che possono danneggiare l'uomo e l'ambiente,
occorre infatti trovare un punto di equilibrio tra l'esigenza di sperimentare e quella di
rispondere alla velocità del mercato. Essenziale è sempre l'assunzione di responsabilità da
parte dell'impresa che deve rispondere in prima persona dei suoi prodotti, anche in caso di
cattivo funzionamento. Rispetto al prodotto si pongono poi altri problemi di natura "gestionale"
quali, ad esempio, l'esigenza di un mercato pubblicitario regolamentato meglio e soprattutto
autodisciplinato per quanto riguarda la concorrenza e l'impatto sui minori. Lo stesso discorso
può valere per l'attività di pubbliche relazioni che dovrebbe essere regolamentato da una
disciplina di deontologia professionale.
Le privatizzazioni
Il processo di privatizzazione delle aziende pubbliche in atto può senz'altro dare un contributo
alla moralizzazione del sistema economico, soprattutto perché stimolerà una maggiore
concorrenza che avrà come effetti una maggiore efficienza e la diminuzione dei costi.
La "Centesimus Annus"
Non credo sia necessario essere dei "credenti" per essere persone eticamente corrette:
l'etica laica ha dato esempi di grande rigore.
NICOLETTA ROCCHI
Segretario generale della FISAC-CGIL
(Federazione Italiana Sindacale Assicurazioni e Credito)
Etica e impresa: il quadro di riferimento
Il problema del rapporto tra etica ed impresa va affrontato sotto tre aspetti: il primo è quello
relativo alla norma giuridica, intesa anche nei termini di svantaggio concorrenziale; il secondo
riguarda ciò che si è espresso nelle vicende di Tangentopoli, cioè nella connessione tra
politica e affari, e il terzo è l'aspetto più propriamente di economia criminale in senso
finanziario.
Tangentopoli rappresenta la fine di quella specie di modello di welfare state molto italiano, di
quella specie di "keynesismo bastardo" che oggi salta in quanto le condizioni di concorrenza
internazionale vedono questo come un elemento di costo insostenibile anche per un certo
sistema delle imprese.
In questo ambito si è assistito ad una convergenza di interessi tra imprenditori e politici ma
quando questa è venuta meno, il sistema è esploso.
Non si può quindi operare una scissione netta tra politici disonesti ed imprenditori costretti a
pagare; anzi, la cosiddetta società civile ne ha approfittato per inserirsi in questa situazione.
L'aspetto della criminalità negli affari in senso finanziario, è invece un problema di
"modernizzazione" del sistema: basta osservare come, a livello internazionale, quasi tutti i
grandi gruppi finanziari bancari (i primi quattro gruppi giapponesi, i primi due gruppi svizzeri,
le prime tre banche tedesche) siano coinvolti in attività di economia "criminale"; quindi, con la
deregolamentazione dei mercati finanziari e con un sistema di regole che invecchia - in
quanto invecchiano le norme etico-giuridiche - l'economia "criminale" diviene un elemento
premiante.
Si afferma quindi un nuovo modello che tende a svincolarsi dalla legalità, anche in mancanza
di norme internazionali a tale riguardo: la cosa su cui occorre riflettere è che questo è un
modello del futuro e non del passato.
Inoltre con la deregolamentazione valutaria il discorso del controllo dei capitali illeciti diventa
ancora più difficile.
Banche pubbliche e private in Italia
Mentre di solito si dice che il pubblico è peggiore del privato, nel sistema bancario italiano è
sempre stato il contrario: le banche private (si vedano le vicende legate a Sindona, Calvi ecc.)
sono state molto più politicizzate delle banche IRI o pubbliche; specialmente quelle IRI sono
state il massimo della conduzione a carattere privatistico, nel senso che l'azionista non ha
mai interferito sulla conduzione, mentre invece sulle banche private le pressioni politiche di
orientamento sono state molto più pesanti.
Ad esempio, COMIT e Credito Italiano dal punto di vista della correttezza di comportamento
sono state quelle su cui non c'è mai stato nulla da eccepire, a differenza dei grandi gruppi
bancari internazionali che sono comunque collegabili a una serie di episodi documentati di
riciclaggio di denaro illecito. Il piano delle privatizzazioni sembra voler vendere le uniche
banche che potrebbero essere quelle che in qualche maniera sostengono l'economia italiana,
quelle che hanno funzionato realmente a sostegno delle imprese, del sistema industriale
italiano.
La necessità di norme internazionali adeguate
L'essenziale è spezzare la continuità tra economia sana ed economia criminale. Quest'ultima
infatti, anche in assenza di concorrenza, ha un elevatissimo tasso di accumulazione, che però
deve estendere nell'economia legale, altrimenti non ha più la capacità di riprodursi. Occorre
quindi mirare a far saltare questo passaggio delicato, che poi è il tallone d'Achille
dell'economia criminale, in quanto è il momento in cui essa è più esposta, e quindi
individuabile.
Le numerose normative internazionali che sono state elaborate (dal Consiglio d'Europa, dal
G7, ecc.) sono tutte quasi totalmente inadeguate, cioè non servono quasi assolutamente a
nulla.
La legislazione italiana
La legge italiana, in questo ambito, è una buona legge, forse la migliore, ma è stata fatta con
una riserva mentale. Vi sono infatti dei vuoti che la Commissione antimafia voleva colmare, e
cioè la mancanza della banca dati centralizzata (che non permette un controllo realmente
efficiente) e quindi di una sintesi complessiva della situazione. A livello operativo inoltre,
l'impiegato della banca dovrebbe segnalare le anomalie che riscontra soltanto se esse
riguardano alcuni reati specifici (sequestro a scopo di rapina, traffico di stupefacenti) e non gli
altri (come traffico illecito di armi, corruzione, truffa ai danni dello Stato): il lavoratore quindi
dovrebbe capire non solo che c'è del marcio in generale, ma deve anche capire che il marcio
riguarda specificatamente sequestri o commercio di droga. Se questo riguardasse altri reati
l'impiegato di banca non dovrebbe denunciarlo in quanto si troverebbe a violare il segreto
bancario.
Vi sono infine numerosissime società finanziarie "atipiche", attraverso le quali viene riciclata
una grande quantità di denaro illecito, che sfuggono alla legislazione bancaria relativa al
controllo.
La situazione delle banche
Il panorama di quelli che saranno gli effetti complessivi del sistema, la nuova geografia del
sistema bancario in questo momento sono piuttosto confusi: le banche non sono in grado di
definire delle strategie certe. Anche quelle che l'hanno fatto, come il Credito Italiano, che ha
sviluppato negli ultimi anni un'attitudine al mercato domestico, al credito alle famiglie,
articolando moltissimo la sua rete di vendita, adesso si trovano in una situazione di totale
incertezza perché il nuovo proprietario potrebbe cambiare notevolmente le strategie di
impresa.
La ricerca della qualità
E' chiaro che il discorso della ricerca della qualità implica l'esigenza di un coinvolgimento dei
lavoratori. Se fino a ieri poteva arrestarsi alle professionalità alte o altissime, ora questo
coinvolgimento deve essere esteso a tutte le fasce, a tutti i lavoratori dell'azienda e deve
essere oggettivato: infatti il lavoratore è interessato agli obiettivi aziendali solo se vede la
propria convenienza.
Anche il modello della qualità totale implica il coinvolgimento dell'intelligenza del lavoratore
agli obiettivi aziendali. Ciò è tanto più vero nelle banche in cui l'apporto umano è decisivo (il
sistema creditizio è ad alta intensità di lavoro).
Il comportamento etico
Il comportamento etico dovrebbe partire dal management, in quanto se vi è una forte
impronta anche per quanto riguarda l'etica (come è avvenuto nella COMIT da parte di
Raffaele Mattioli), il gruppo dirigente ne risente positivamente.
Invece oggi si assiste, in alcuni settori anche pubblici, all'attuazione di una politica nella
direzione di una corporativizzazione, nel senso di creare quelle piccole "cose", quei tentativi
di "corruzione", che legano il lavoratore alle sorti dell'azienda, non in termini di efficientismo
ma di collusione.
Spesso, soprattutto nel sistema delle Casse di risparmio e di alcune banche pubbliche il
sindacato è stato scavalcato dall'iniziativa del management, che ha cercato il coinvolgimento
dei lavoratori attraverso l'offerta e la contrattazione della remunerazione. Va però tenuto
presente che vi è un rapporto inversamente proporzionale fra risultato economico dell'azienda
e questo fenomeno, nel senso che più le aziende sono "in crisi", più cercano il
"coinvolgimento" dei lavoratori; infatti le banche che funzionano meglio sono quelle dove
queste cose non esistono, mentre in quelle più traballanti questa logica impera; si tratta
spesso anche di quelle banche che possono approfittare di una rendita di posizione, di un
insediamento molto localizzato.
Le banche e il riciclaggio del denaro
Ciampi ha affermato che ci sono delle pesanti responsabilità anche delle banche rispetto alla
non applicazione della normativa antiriciclaggio. Questo è un giudizio, a mio avviso, troppo
generico che andrebbe specificato rispetto ai singoli segmenti; ma se andiamo a sommare le
carenze della legge prima citate a questa situazione, emerge un quadro molto preoccupante.
Capitalismo ed etica
Il capitalismo come sistema-mondo, come si è evoluto oggi, si deve confrontare con una serie
di retroterra culturali eterogenei che incidono profondamente sulla sua natura. Ad esempio il
capitalismo giapponese si muove all'interno di una cultura diffusa che è in parte quella del
confucianesimo, in parte quella del buddismo e soprattutto quella dello scintoismo, come
etica della dedizione personale a qualcuno. Il modello giapponese non sarebbe quindi
importabile in Paesi come l'Italia, con il suo cattolicesimo, o in Paesi a cultura protestante.
Quindi non si può parlare di un capitalismo, ma di tanti, in concorrenza tra loro.
Anche la concorrenza, se prima era soltanto un fatto economico, oggi è giocata sull'intero
assetto sociale.
Comunque, un fattore importante è che il capitalismo come meccanismo in astratto, cioè al di
là dei suoi diversi modelli, ha un difetto strutturale, cioè che implica un'atomizzazione degli
interessi, per cui gli interessi collettivi sono la somma degli interessi individuali. Le valutazioni
degli interessi individuali hanno delle implicazioni in termini di diseconomie esterne a livello
collettivo che non sono testimoniate dalla somma degli interessi individuali.
Quindi, come modello il capitalismo è atomistico e "immediato", cioè è incapace di percepire
vantaggi e svantaggi collettivi in termini anche di lungo periodo.
Il capitalismo di per sé tenderebbe ad una totale deregolazione, anche morale ma deve poi
mediare con una governabilità sociale. Questa mediazione è maggiore o minore a seconda
dei momenti: nei momenti di feroce concorrenza - come l'attuale - la mediazione è più difficile
perché il suo costo, come il costo del welfare o il costo dell'eticità è maggiore quando non si è
in vantaggio concorrenziale.
La convenienza del comportamento etico
Il settore in cui agisce l'azienda è uno dei fattori che maggiormente determina la convenienza
o meno del comportamento etico.
Tra i settori in cui è particolarmente favorita l'azienda che ha comportamenti non etici, uno dei
più indicativi è quello della finanza, e soprattutto della finanza internazionale, dove non
esistono sono norme. In molte situazioni, infatti, il comportamento non etico rappresenta un
vantaggio concorrenziale.
Probabilmente in una impresa editoriale le cose vanno diversamente.
Le possibilità di intervento della banca
Le possibilità di intervento della banca nella prevenzione della criminalità organizzata
dipendono da diversi fattori, quali l'ambiente in cui agisce o i limiti "politici" ad essa imposti.
Ad esempio, relativamente a quanto è accaduto ad Atlanta, ricordo che l'allora presidente
della BNL, Nesi, rispose ad una nostra lettera affermando che, come banca del Tesoro
(funzionando come uno "sportello" del Tesoro), tutta una serie di attività non appartenevano
alla sua capacità decisionale di Presidente.
Una operazione come quella di Atlanta, in effetti, non poteva essere compiuta interamente
all'interno della BNL, ma era legata ad interessi di carattere politico generale che
coinvolgevano USA, Italia ed i loro rapporti con la situazione del Golfo.
Lo smantellamento del segreto bancario
In realtà il segreto bancario è stato demolito in larghissima misura, in termini normativi. Ha
trovato invece sostanzialmente una impraticabilità nei comportamenti delle banche, in quanto
queste sono estremamente restie ad adempiere agli obblighi previsti; anche Ciampi ha
parlato di una "collaborazione passiva".
Evidentemente un certo tipo di "riservatezza", mantenuta anche al di là di certe norme di
legge, garantisce la fiducia del risparmiatore, che chiede questa piccola connivenza. Per cui,
mentre si è assistito in larga misura ad uno smantellamento delle normative, di fatto la
collaborazione da parte delle aziende di credito è carente e difficoltosa.
ENRICO SALZA
Vice Presidente dell'Istituto Bancario San Paolo di Torino
L'esperienza personale
Conflitti tra convinzioni morali e personali ed esigenze professionali non si sono mai poste
soprattutto per una precisa scelta di vita e di comportamento da parte dell'azienda.
I rapporti con le banche
Nella definizione dei rapporti tra banca ed impresa molto dipende dagli interlocutori.
Tra le qualità positive ciò che conta è la velocità di risposta di una banca che debba dare
credito ad un'azienda; e conta alla fine più dei tassi di interesse, talmente contrattati che le
differenze finiscono con l'essere poco rilevanti. In negativo, si riscontra una certa superficialità
nell'esaminare le situazioni imprenditoriali, una carenza di dinamismo nell'analisi dell'impresa.
E' necessario invece approfondire la conoscenza delle imprese con le quali la banca tratta,
anche superando la semplice verifica delle garanzie di solvibilità.
E ritengo che un ruolo di controllo più incisivo da parte delle banche possa migliorare
sicuramente lo sviluppo delle imprese.
Il comportamento etico: le dimensioni e le espressioni concrete
In primo luogo è da sottolineare che un comportamento etico e professionalmente corretto
migliori i rapporti con i clienti e quindi favorisca la crescita della banca.
Per quanto riguarda l'impresa il discorso non cambia anche se investe altri ambiti quali i
rapporti con il fisco e quello con i propri dipendenti.
Per quanto riguarda il primo, è sicuramente non etico, in ogni circostanza e senza nessuna
scusante, l'elusione del fisco.
Nei rapporti con i dipendenti l'eticità invece investe il piano umano.
A volte si rischia di comportarsi in maniera contraria ai propri sentimenti ma nel mio caso non
è mai successo. Mai mi sono comportato in modo contraddittorio rispetto ai miei riferimenti
etici e a quelli dei miei dipendenti.
Questo rapporto positivo con i dipendenti è dovuto anche al ruolo svolto dal sindacato.
Quest'ultimo si è posto in un'ottica più matura rispetto al passato, nel senso che un
sindacalista discute e parla con l'impresa non solo nei momenti conflittuali. Come per la
banca, è corretto per il sindacato domandarsi in anticipo quanto e come cresce l'azienda.
E qui ritorna il discorso della trasparenza aziendale che diventa un aspetto molto importante
ai fini di un comportamento etico che accomuni le tre parti in causa.
Etica e qualità
L'introduzione della qualità totale non è solo uno strumento per migliorare la produttività bensì
diventa un fattore che può contribuire a definire il comportamento etico dell'impresa.
L'obiettivo qualità migliora il prodotto e quindi migliora l'impresa, anche e soprattutto per
quanto riguarda il rapporto con il consumatore. Un esempio di non qualità che è anche non
eticità è rappresentato da quelle aziende che immettono sul mercato prodotti non
sufficientemente sperimentati. Persino il problema dell'inquinamento, che fino a qualche
tempo fa veniva relegato come problema tecnico, è diventato un fatto di costume e di cultura,
quindi anche morale.
In casi più specifici, meno controllabili, come possono essere le attività di pubbliche relazioni
o marketing è difficile regolamentare la morale. Si tratta, di nuovo, di una questione di
professionalità autentica. Un vero professionista ha il suo codice etico e sa di non dover
sconfinare. Se si trova nelle condizioni di farlo, ha la scelta morale tra continuare a prendere
lo stipendio o cambiare mestiere.
Etica e privatizzazioni
Le privatizzazioni delle partecipazioni statali, delle aziende municipalizzate, possono
sicuramente dare un contributo alla moralizzazione del sistema economico. E ritengo che gli
effetti più positivi si riscontreranno nel settore bancario, anche e soprattutto nei confronti della
clientela.
GUIDO SAVAGNONE
Presidente del Banco di Sicilia
I fattori determinanti per la qualità
Non vi è dubbio che al raggiungimento di elevati livelli di "qualità" contribuiscano soprattutto
fattori relazionali. L'elevato contenuto della "prestazione individuale umana" di fatto connota
fortemente il livello qualitativo raggiungibile e ciò particolarmente nelle imprese operanti
nell'ambito dei servizi.
Sicuramente i comportamenti etici si inseriscono tra i fattori immateriali della qualità,
considerato che sono atteggiamenti "positivi" in grado di influenzare responsabilmente e con
giustizia ogni azione dell'individuo e quindi le sue relazioni con gli altri. E' innanzitutto un
comportamento del singolo; inoltre, quando prevale nella maggioranza degli individui che
compongono un aggregato sociale, tipicamente un'impresa, può determinare in quell'impresa
una "tensione etica" ed orientamenti ad essa legati.
E' difficile definire l'etica all'interno del comportamento delle imprese nel nostro Paese. E'
come per le persone; talune esprimono l'etica profondamente nel loro essere, altre soltanto in
qualche aspetto, altre ancora ne sono alquanto deficitarie.
Il comportamento etico: dove e come
L'etica più che in specifici settori, dovrebbe concentrarsi, sempre ed in ogni circostanza, su
un principio basilare: il rispetto per la persona umana, in ogni sua manifestazione. E' un
principio generale sempre applicabile e che distingue ogni azione, perché individua in ogni
relazione la giustizia, l'amore verso il prossimo, la solidarietà. Per le banche, ai diversi livelli,
sarà allora il servizio reso allo sportello dal dipendente, il rispetto dovuto ai prestatori d'opera
e l'attenzione alle loro necessità, l'approntamento di processi produttivi efficienti, la piena
adesione a principi fondamentali per l'attività bancaria, come la riservatezza, la
professionalità, l'integrità morale di chi è chiamato a valutare il merito creditizio; e così via
salendo sino agli amministratori ed alla proprietà, chiamati, entrambi, pur con diverse
responsabilità, a regolare, vigilare ed indirizzare le norme di comportamento dell'azienda.
Per ciò che riguarda l'etica nelle banche italiane formulo una valutazione favorevole. Si tenga
conto che nel nostro Paese il risparmio, e quindi le istituzioni chiamate a gestirlo, e tra queste
in particolar modo le banche, ha ricevuto una grande attenzione dal legislatore che ne ha
sempre garantito la tutela come bene primario. Siamo in presenza di una funzione sociale
che il sistema bancario ha svolto con grande responsabilità, tutelando il risparmio privato e
sovvenendo alle necessità delle imprese con la dovuta flessibilità nei momenti difficili.
A questo si aggiunga una funzione di sviluppo e promozione sociale che parte del sistema,
tipicamente quello pubblico, da sempre ha curato nel territorio e nelle istituzioni locali.
Etica e capitalismo
Il capitalismo può essere morale o amorale, dipende dall'uso che se ne fa; o, più
correttamente, dalle modalità e finalità che nella pratica prevalgono nella applicazione di tale
sistema economico.
Un capitalismo "amorale" è sicuramente un sistema che non tiene conto della individualità e
del valore del singolo. Un capitalismo "morale" invece, è un sistema di valori attento alla
persona umana e non vi è dubbio che favorisca l'impresa; certamente la stessa non viene
penalizzata in un sistema di relazioni che potremmo definire "indifferente" al fatto etico; ma in
un sistema contrario a principi centrati sul valore della individualità umana, l'impresa muore.
Gli ambiti del comportamento etico
Un comportamento etico va intrapreso nei confronti di tutti gli interlocutori, diretti e indiretti,
con i quali l'imprenditore interagisce. Ciò avviene per esempio nei confronti dei dipendenti,
quando assicura loro la giusta paga e condizioni di lavoro adeguate; ma anche nei confronti
dello Stato, quando si garantisca il rispetto delle leggi ed il pagamento delle imposte; più in
generale, ancora, quando sia rispettato l'ambiente inteso non soltanto come quello naturale.
Comportamento etico dell'impresa e ruolo delle banche
Nella valutazione del merito creditizio nei confronti di un'impresa entrano in gioco, tra le tante
variabili, anche la natura dell'attività da finanziare ed i vincoli cui la stessa è soggetta; in
quest'ambito rientra anche la ponderazione di possibili impatti non favorevoli sull'ambiente,
nella più larga accezione come detto in precedenza.
Rispetto alla prevenzione della criminalità organizzata esiste una legislazione molto precisa
sull'argomento, legislazione che le banche sono tenute a rispettare. E posso assicurare che
ciò avviene con molta determinazione e grande attenzione.
Per quanto riguarda l'erogazione di crediti, viene sempre rispettata la selezione, e tra i criteri
che devono ispirare la concessione dei finanziamenti non manca la conoscenza su chi e a
che cosa quel finanziamento debba servire.
PAOLO SAVONA
Presidente del Fondo Interbancario Tutela dei Depositi *
Fattori "etici" e "relazionali" nell'obiettivo qualità
Per ottenere una crescita costante della qualità è certamente necessaria una combinazione
ottimale di fattori materiali e "relazionali" o "etici". Nella nozione di fattori relazionali intendo
ricomprendere sia la dimensione culturale (l'etica generale, religiosa e sociale dell'individuo)
sia la vera e propria formazione professionale dell'individuo, un elemento forse ancora più
importante di ciò che comunemente viene chiamato "clima relazionale".
Nelle esperienze dirette di gestione del personale ho avuto modo di constatare che il
comportamento e - in generale - l'attaccamento al lavoro e la produttività del lavoratore sono
determinati molto di più dalla sua "cultura lavorativa" che non dal modello di direzione
aziendale, dalla qualità dei rapporti con i suoi superiori o dal suo stesso stato di salute.
Si dice che la superiorità dell'operaio giapponese rispetto all'europeo consista proprio nel
fatto che uno dei principi fondamentali del confucianesimo - che molto peso ha avuto nello
sviluppo del Giappone - sia quello dell'obbedienza.
Si può quindi fondatamente affermare che i comportamenti etici sono da considerare tra i
fattori immateriali della qualità, ponendo però attenzione particolare al significato che viene
attribuito al termine. Se per la Chiesa, ad esempio, significa - presumibilmente - rispettare i
dieci comandamenti o seguire l'insegnamento della sua dottrina sociale, per un marxista può
voler dire seguire con ortodossia la dottrina "marxista-leninista".
Nel definire il termine "etica" condivido l'affermazione data da Buchanan, il quale cerca di
individuarla nei comportamenti istituzionali e in quelli individuali che spingono verso la
produttività, fonte del benessere individuale e del benessere sociale.
Le imprese e l'etica
Una volta definito il termine "etica", si può anche affermare che il comportamento delle
imprese nel nostro Paese - con riferimento a quelle private - è etico, in quanto e nella misura
in cui esse hanno operato con criteri di efficienza, hanno migliorato il benessere sociale,
hanno quindi contribuito ad aumentare il gettito fiscale, a creare uno stato di benessere ed
hanno aumentato i posti di lavoro.
Viceversa, nel lungo periodo, si è rivelato non etico il comportamento delle imprese a
partecipazione statale perché hanno distrutto ricchezza; hanno inoltre dato l'illusione ai
lavoratori di avere posti di lavoro stabili, mentre oggi quegli stessi lavoratori si ritrovano
disoccupati, senza risorse, o con risorse poste a carico della collettività e senza prospettive
future.
E' proprio sulla base di questo esempio che si rafforza la necessità di una esatta definizione
del termine "etica".
In definitiva, tutti i settori protetti o assistiti sono quelli che non rispondono ai canoni etici,
perché presentano più bassa produttività e più elevata inflazione.
Ciò che non è etico, che distrugge la quiete e l'armonia sociale, è rappresentato, quindi, da
tutto quanto gravita in settore protetto o in settore assistito, che è una forma di protezione
indiretta - come possono essere la cantieristica navale o l'acciaio - in cui le perdite dovute alla
creazione di nuovi posti di lavoro - improduttivi - sono poi scaricate sul bilancio dello Stato.
I rapporti in Italia, in questo senso, sono di 3 a 7: cioè il 30% è esposto alla concorrenza,
quindi è etico, mentre il 70% non è esposto alla concorrenza, quindi difetta di etica; in questo
comparto ci sono - o c'erano, almeno giuridicamente - anche le banche. Oggi giuridicamente
non vi sono più, sebbene sia necessario un certo tempo per trasformare l'impulso giuridico in
impulso pratico.
Capitalismo ed etica
Per il capitalismo, come organizzazione economica, non è possibile pronunciare alcun
giudizio di "eticità"; se ci si riferisce invece al capitalismo come sistema sociale, allora
l'apprezzamento diviene un problema di preferenze. Ritengo migliore un sistema in cui
l'individuo sia più responsabile e meno garantito - il che è tipico del capitalismo - rispetto a
quello nel quale è concesso all'individuo il massimo delle garanzie, ma gli si toglie la libertà e
ogni impegno di responsabilità.
Al di là della moralità o amoralità, vi possono essere comunque dei dubbi "etici" generati dalla
constatazione che il capitalismo, attraverso la pubblicità, "inietta" bisogni crescenti
nell'individuo e lo costringe a produrre sempre di più per soddisfarli.
Rispetto ad un metodo di ragionamento più tradizionale, il capitalismo connette mezzi a
mezzi, non mezzi ai fini dell'uomo: sebbene la realtà sia certamente questa, non accetto una
"condanna" definitiva perché allo stesso tempo vedo che, se si stabilisce un rapporto mezzifini, la filosofia morale diviene la determinante anche dell'economia.
La convenienza del comportamento etico
Se per "etica" intendiamo lo sviluppare la produttività e il generare poca inflazione, quindi
crescita economica, creazione di posti di lavoro e benessere sociale, allora indubbiamente
ritengo che il comportamento etico - definito secondo una logica di Public Choice, di scuola di
pensiero che introduce cioè l'etica nell'economia - favorisca l'impresa.
La classe imprenditoriale italiana è certamente portatrice di valori etici, nella misura in cui
contribuisce con la sua attività a sviluppare produttività, a tenere bassa l'inflazione, a creare
posti di lavoro e, quindi, a creare benessere sociale. Non lo è, invece, quando nega il
mercato, chiede protezioni, paga tangenti, cioè quando attua comportamenti antimercato.
Vi è un altro aspetto del problema che è stato sottolineato dagli economisti "classici" - o
meglio dalla filosofia morale di Hume di cui Smith si è appropriato - e cioè il fatto che non sia
necessario che l'individuo persegua intenti sociali nella sua azione; l'importante è che li
raggiunga, pur seguendo istinti individuali come l'utilitarismo. Vi è quindi una distinzione tra
intenzioni ed effettivi risultati: può così esserci una intenzione condannabile eticamente quale l'egoismo - a fronte dell'effetto finale - etico - che è il benessere generale.
L'imprenditore può essere quindi tacciato di grande egoismo, ma la creazione di posti di
lavoro e di benessere che egli determina riequilibra e controbilancia il giudizio.
Sotto questo aspetto si assiste oggi ad un processo di riadeguamento delle opinioni: anche la
Chiesa ha accettato il mercato (in quanto si è resa conto che questo è lo strumento più
efficiente per creare ricchezza e benessere) pur continuando a pretendere - come in un certo
senso lo pretendeva il comunismo - che anche l'individuo persegua intenti sociali.
Le imprese e l'ambiente circostante
Le imprese in generale, siano esse banche ovvero imprese produttive, modificano la struttura
sociale.
A seconda del tipo di comportamento, di tecnologie e di investimenti che si fanno, si modifica
profondamente la struttura sociale: così come l'automobile rende invivibile la città, se non
viene dotata della marmitta catalitica.
La necessità di un intervento culturale correttivo
Occorre quindi un forte intervento culturale, da concentrare principalmente nella scuola, per
ricostituire gli elementi etici che inducono a non commettere errori. Vi è una stretta relazione
tra attività economica e comportamento culturale: l'etica nasce nel momento in cui l'impresa sia essa bancaria o produttiva - si rende cosciente del fatto che con la sua attività modifica
l'ambiente che la circonda e con il suo impegno culturale ristabilisce le condizioni di vivibilità o
ne corregge gli eventuali effetti negativi.
La mia preoccupazione è volta più alle modifiche ambientali, nel senso di culturali, intangibili,
che non a quelle ambientali tangibili, perché queste ultime, attraverso le tecnologie moderne,
con un buon investimento, sono ripristinabili abbastanza rapidamente; ciò che è difficile
ripristinare sono i danni causati dalle rapine culturali e psicologiche, per cui l'individuo si
abbrutisce nelle sue relazioni sociali. Basta osservare, ad esempio, che cosa succede a
Roma o nei grandi centri urbani, dove l'automobilista o l'autista dell'autobus è disposto anche
ad investirti perché è nervoso, perché la vita sociale lo rende asociale: questi sono i veri
danni che può creare lo sviluppo produttivo, lo sviluppo del benessere, quando non è
accompagnato da un forte intervento culturale correttivo.
La selezione del credito
La selettività della domanda, ferma restando la ampia possibilità di intervento da parte delle
banche, dipende da molti fattori. Innanzitutto vi può essere una banca che ha delle precise
strategie e, quindi, può decidere di finanziare un settore particolare che considera il suo
fattore critico di successo. Ciò comporta naturalmente una migliore informazione rispetto alle
altre istituzioni creditizie presenti sul mercato, una specializzazione e quindi un successo
sulla concorrenza, perché si offre un credito migliore: questa è la selettività raccomandabile.
Vi può invece essere una banca che si trova in una situazione in cui non può fare selezione:
se si vuole farla sopravvivere e con essa la sua economia, praticamente si deve finanziare
tutto. La specializzazione allora è nel modo in cui si concede il credito: cercando, ad esempio,
di non finanziare iniziative destinate a morire nell'arco di pochi anni.
La funzione etica dell'impresa
La funzione etica dell'impresa si esprime dappertutto, se si segue la linea di lettura sin qui
sostenuta, secondo cui è etico ciò che è produttivo e a bassa inflazione, ciò che crea
benessere e posti di lavoro.
La proprietà ed il management dovrebbero essere il simbolo della eticità dell'impresa.
Nelle relazioni sindacali il comportamento etico si identifica con il comportamento leale, anche
se questo talvolta richiede durezza.
Nei rapporti con l'utenza, in Italia, siamo ancora - probabilmente - agli albori della civiltà, in
quanto non vi è tutela sufficiente per il consumatore. E' la singola impresa che si dà dei criteri
di tutela della specie perché sa che altrimenti distruggerebbe il mercato.
Il segreto bancario
Ritengo che in realtà il segreto bancario, poco alla volta, sia scomparso del tutto. Sebbene
questo risultato di per sé non sia da ritenere negativo, mi sembra necessario puntualizzare
che, determinate situazioni, la sua esistenza poteva agevolare maggiore iniziativa
imprenditoriale.
Però è evidente che, se si giunge al sospetto che con il segreto bancario non si tutela l'agire
etico, quanto piuttosto la malversazione e la criminalità, allora è chiara la inopportunità di una
sua difesa; a questa conclusione è giunta sia l'autorità italiana sia, soprattutto, quella
svizzera, che ha agito in tal senso anche a costo di rinunciare a parte del privilegio di piazza
finanziaria protetta, ma divenendo almeno un po' più serena ed eliminando il rischio di
divenire un ricettacolo di denaro sporco ovvero sinonimo di money laundry.
Per quanto riguarda la situazione italiana, occorre tener presente che non si può passare con
facilità da una struttura di mercato protetto da segreto bancario ad una di perfetta
trasparenza, se non ancora una volta educando eticamente tutti; questa educazione - e le
eventuali responsabilità per i ritardi - non può essere limitata al presidente o al direttore
generale della banca, ma deve avere diffusione capillare e generale sino a giungere anche
allo sportellista.
E' necessaria una cultura diffusa; occorre, cioè, da questo punto di vista, insegnare che resta
pur sempre violazione del segreto bancario e dell'etica professionale divulgare o riferire a
terzi estranei informazioni concernenti le attività normali delle imprese o dell'individuo, mentre
è un dovere, oggi anche sanzionato, che si segnalino alle autorità competenti le operazioni
che si ritengano sospette.
GIORGIO TAMBORINO
Amministratore delegato della Banca "Vincenzo Tamborino" SpA
L'esperienza personale: convinzioni morali ed esigenze dell'impresa
Chiunque possieda sane convinzioni morali può andare incontro a situazioni di conflitto più o
meno frequenti, più o meno gravi. Qualcuna ne è capitata anche a me, ma ritengo di averla
agevolmente superata con umiltà e spirito di servizio sovrapponendo all'immediata esigenza
aziendale sia il rispetto per le relazioni di lavoro identificabili con le aspirazioni del personale,
sia il rispetto delle relazioni di fornitura e di scambio, cioè le esigenze e le aspettative della
clientela.
Prendiamo ad esempio una situazione che può essere frequente. Noi lavoriamo in base a
normative che ci vengono dettate dalla Banca d'Italia. Può capitare di aver finanziato un
cliente che può presentare dei problemi economici.
A quel punto può richiedere un mutuo: la nostra è una zona agricola, non ci sono grandi
attività industriali, ma grossi patrimoni terrieri, di conseguenza la formula del mutuo viene
utilizzata di frequente. In questo modo consolidiamo il rischio e ci tuteliamo.
Se lo stesso cliente utilizza servizi finanziari di altre banche e viene a trovarsi in una
situazione di insolvibilità anche con questi istituti di credito, ci si può trovare nella situazione in
cui le banche determinano la crisi finanziaria del cliente.
La banca da me diretta vorrebbe sottrarsi a questa regola sulla considerazione dell'esistenza
di rapporti di conoscenza e magari d'amicizia che non si possono sottovalutare. Le regole
però sono precise. L'organo di vigilanza può chiederci di mettere in sofferenza il cliente.
Allora subentra il conflitto: a livello etico, per l'azienda e per le regole vigenti, si dovrebbe
applicare la sofferenza.
Ma a livello umano come si fa? Noi siamo una piccola banca, privilegiamo principalmente il
rapporto umano, di conoscenza, un aspetto che non si può annientare.
Va detto che casi come quello descritto sono più frequenti al Sud; basti pensare che noi
viviamo una situazione che rispetto alla media italiana è molto più grave: infatti in Valle
d'Aosta la percentuale di sofferenza è pari all'1%, ad Agrigento è attestata sul 24%, da noi è
prossima al 16%.
Il conflitto come esigenza dell'impresa
Il conflitto a mio avviso è una situazione comune ad ogni genere di impresa, compresa la
banca. Rispetto ad un altro tipo di azienda la banca ha più vincoli, deve rispettare dei
regolamenti che le industrie non hanno. C'è un organo di vigilanza che emette circolari per
l'intero settore, grandi e piccole banche, e che devono essere rispettate. Siamo più
condizionati e questo è inevitabile: noi amministriamo denaro altrui ed è necessario che
esista un organo di vigilanza. Devo dire che il ruolo svolto dalla Banca d'Italia si è rivelato
fondamentale: il sistema bancario è riuscito ad imporre regole che hanno eliminato gli
scompensi prodotti da cattive gestioni e hanno stimolato le banche a migliorare. Il problema è
che queste norme, come la legge antiriciclaggio, impongono costi elevati: c'è una massiccia
serie di oneri, come ad esempio le richieste di fotocopie da parte della magistratura o della
finanza, oltre alle ricerche che occorre fare. Abbiamo sollevato la questione più volte.
L'esigenza di un comportamento etico si pone sia nei confronti dei dipendenti che nei riguardi
dei clienti. Tuttavia non mi sembra possibile una quantificazione delle differenti
problematiche, perché ritengo estremamente ampia la definizione di "azienda etica" quando è
impegnata a gestire contemporaneamente eventi politici, economici e sociali sia all'interno sia
all'esterno di se stessa. I problemi esistono e sono rilevanti nei confronti dei dipendenti ed
anche della clientela.
Il comportamento etico della banca: trasparenza ed efficienza
La trasparenza, intesa sia in senso generale sia in riferimento alla legge che ha recentemente
regolato l'attività di pubblicità e comunicazione nei confronti della clientela, insieme ad un
servizio efficiente, ovvero il massimo livello possibile di qualità, non esauriscono a mio avviso
il concetto di comportamento etico della banca. E' necessario un adeguamento continuo e
sistematico alle esigenze del cliente, ai suoi problemi ai quali va data la necessaria soluzione.
Insomma deve realizzarsi una vera e propria relazione di partnership.
La realizzazione di partnership con gli imprenditori potrebbe verificarsi incentivando il ruolo di
merchant bank degli istituti di credito, come avviene in altri Paesi. In Italia ancora non esiste
questo ruolo, anche perché alla banca è ancora delegata una funzione diversa: ad esempio ai
depositi di conto corrente la clientela vuole che corrisponda un rendimento; all'estero invece è
considerato un servizio: non solo non pretendono rendimenti, ma pagano per poter tenere un
conto. Questa concezione obsoleta che esiste da noi falsa il ruolo che la banca potrebbe
assumere in realtà diverse, provocando costi aggiuntivi. Dovremmo arrivare ad un nuovo
modello per poter essere partners coinvolti all'interno della gestione. Ma ritengo che il sistema
bancario non sia cresciuto tanto da poter vincere già da oggi questa sfida. Non è facile. Gli
istituti di credito finora hanno sempre avuto un trattamento riservato, tenuti nella "bambagia",
anche perché la maggior parte delle banche è pubblica e lo Stato ha sempre cercato di
tutelarsi. Ma ora la Banca d'Italia sta spingendo l'azienda banca a maturare. In questo quadro
anche la legge sull'antiriciclaggio è importante, perché ci impone le segnalazioni. Ci stimola a
non essere ciechi, a non fare operazioni di routine, tipo esattoria.
Siamo stati solleciti nel preparare il personale alle nuove norme vigenti ma ritengo che
servono esperti, consulenti esterni. Spesso dipende dalle persone. La legge è fatta bene, è
abbastanza completa. Ma l'aspetto più importante, ineliminabile, è la maturazione di una
coscienza da parte del singolo operatore. Si sta cercando di porre rimedio a eventuali
manchevolezze stabilendo parametri e utilizzando meglio il software. Da questo punto di vista
la realtà di una grande banca è diversa dalla realtà della piccola. E più facile nascondere
movimenti sospetti in una grande banca. Nella piccola, a meno che non ci sia la connivenza
dei vertici, è difficilissimo far passare inosservati certi passaggi. La grande banca, inoltre, ha
più spesso rapporti con grandi clienti o con istituzioni pubbliche. Ed è più difficile motivare
migliaia di dipendenti. Noi pungoliamo i nostri operatori. Dico sempre ai miei collaboratori: la
mia azienda ha superato due guerre mondiali e vogliamo andare avanti. Ci tengo che le cose
vadano bene, al di là dell'aspetto economico, anche per motivi di tradizione.
L'osservanza della legge e la moralità della banca
L'osservanza della legge da sola non garantisce la moralità di una banca, in quanto il
comportarsi eticamente non può risolversi nella semplice definizione di un codice di
comportamento ma presuppone una vera e propria maturazione della coscienza sociale e
personale.
In genere chi sbaglia deve essere punito secondo i comuni e diffusi canoni di valutazione
delle responsabilità, stando però attenti a non sconfinare in inutili atteggiamenti integralisti.
Allo stato attuale ritengo che possa essere lo stesso mercato a punire, emarginandola,
un'azienda banca che non dimostra un comportamento etico all'interno nei confronti dei propri
dipendenti, e all'esterno nei riguardi della propria clientela.
Alla luce della più recente normativa, mi riferisco alla legge antiriciclaggio, credo che la banca
abbia anche l'obbligo di entrare nel merito dell'origine e dell'utilizzazione dei fondi che le
arrivano.
Indipendentemente dal fatto che siano più o meno redditizie, le operazioni che implicano
rapporti sospetti con istituzioni politiche, l'elusione di fisco e previdenza, violazione di norme
ambientali, traffico d'armi, non possono lasciare la banca indifferente anche se non esiste una
normativa analoga a quella precedente. La legge sull'antiriciclaggio impone alla banca non
più un atteggiamento passivo, bensì una collaborazione attiva. Sono valutazioni che la banca
può fare sulla base di indici di anomalia ed avvalendosi delle attitudini professionali nel
conoscere e saper valutare i clienti. In ogni caso una banca etica deve saper rispondere
anche alle aspettative sociali e quindi deve saper realizzare alcune scelte. E cioè finanziare
iniziative di ricerca compatibili con la salvaguardia dell'ambiente e la conservazione delle
risorse. Inoltre favorire investimenti che, pur nel rispetto degli essenziali requisiti economici,
offrano opportunità di sviluppo nelle zone dove è necessario superare condizioni di inferiorità
sociale ed economica. E comunque una banca etica deve sempre dissociarsi da operazioni
che appaiono non perfettamente in linea con gli obblighi sociali.
Va detto che l'organizzazione e la struttura del sistema bancario si sono evolute negli ultimi
anni sotto il profilo tecnologico, informatico e della professionalità, soprattutto nelle sedi
periferiche. Oggi il sistema bancario è senz'altro in grado di avvertire la presenza di questi
pericoli e reagire. Un grande impegno comunque è richiesto ai singoli operatori, in base alla
loro professionalità e serietà.
Un'azienda in genere, e quindi anche una banca, trova il presupposto della propria
legittimazione sociale nella capacità di produrre reddito. Ma deve trattarsi indubbiamente di
profitto etico. Qualunque altro tipo di profitto non deve poter concorrere alla formazione del
risultato economico finale ed il fatto di perderlo non deve essere considerato un danno.
Autoregolamentazione delle banche
Cerco di intervenire quanto più possibile sul dibattito dell'autoregolamentazione bancaria,
mantenendo, spero con coerenza, una posizione precisa. Tutto il sistema del libero mercato,
del quale fa parte la banca sia pure con una regolamentazione di comportamento più rigida di
quella prevista per le aziende di altro genere e questo grazie all'encomiabile atteggiamento
della Banca d'Italia, si trova di fronte ad ampie responsabilità. Per cui vanno ampliate le base
morali dei singoli e vanno riscoperti e rafforzati tutti quei valori che trascendono gli interessi
particolari, a vantaggio degli interessi sociali e della collettività. In concreto sul piano dei
comportamenti non mi riesce facile una risposta universalmente valida; credo però che
l'autoregolamentazione dei comportamenti, intesa come costante valutazione delle proprie
azioni nel senso dell'etica e della morale, sia imprescindibile. Eventuali normative a carattere
generale potrebbero essere d'aiuto, ma non potrebbero sostituire la maturazione morale e le
scelte del singolo.
Privatizzazioni e ruolo delle banche
Ritengo inoltre che dalla privatizzazione del settore non possano derivare rischi per l'etica
bancaria. Anzi.
Del resto il controllo pubblico sull'impresa, inteso nel senso più generale possibile, non ha
dato fino ad oggi risultati positivi e la stessa opinione pubblica, in occasione dei referendum,
ha espresso un parere contrario a tutto ciò che è pubblico e quindi di politicamente connotato.
Specialmente nelle banche. L'ingresso dei privati potrebbe migliorare la situazione. Ci sarà
certo il pungolo del mercato concorrenziale che farà funzionare con maggiore efficienza
queste strutture.
A mio parere il mercato quando viene lasciato funzionare soltanto attraverso le leggi della
libera concorrenza, e cioè della domanda e dell'offerta, della naturale formazione dei prezzi,
della diversa capacità e potere contrattuale delle aziende, opera come difesa dei principi
morali. Solo quando viene consentito a qualcuno di alterare questi princìpi attraverso
strumenti di malgoverno e corruzione il mercato e le regole della concorrenza non sono più in
grado di garantire difese morali, e finiscono per divenire variabili di comportamenti non etici.
Ciò vale per tutte le aziende compresa la banca. La libera concorrenza da sola è quella che
"pulisce", che rende etico un mercato.
MARCO TESI
Segretario nazionale della FIBA-CISL
(Federazione Italiana Bancari Assicurativi)
Il raggiungimento della qualità
Se si vuole aumentare la qualità del prodotto, l'unica strada che l'azienda deve seguire è
quella di coinvolgere e motivare i lavoratori, rendendoli partecipi di quello che stanno facendo.
Lo stesso lavoratore se non è motivato anche dal punto di vista del raggiungimento del suo
risultato (salario), darà un minor contributo al raggiungimento di un prodotto di qualità.
I comportamenti etici
Troppo spesso i comportamenti etici vengono dimenticati - fatto che diviene, a mio parere, un
ostacolo al raggiungimento degli obiettivi - ed i lavoratori non vengono coinvolti sul significato
profondo del loro lavoro, mentre se lo fossero sarebbe sicuramente migliore anche il risultato.
Ciò che invece accade nella maggioranza dei casi è che l'imprenditore si pone, come
obiettivo, in via quasi esclusiva il profitto, inteso come risultato immediato, e non coinvolge il
lavoratore; ciò che ne risulta è che la qualità stessa del prodotto non può che peggiorare.
L'imprenditore, che necessariamente ha l'obiettivo di produrre ricchezza (l'impresa deve
produrre ricchezza), non deve perseguirla senza riferimenti etici. Il primo impatto del
comportamento etico è quello verso i lavoratori della propria impresa, che non devono essere
assoggettati a condizioni moralmente discutibili; poi vi è il piano del rapporto con il
consumatore, e con l'esterno in generale.
Il comportamento delle imprese
In linea di massima non si può definire etico il comportamento delle imprese. Nel mondo
industriale infatti si tiene poco conto dell'ambiente (di esempi ce ne sono quanti ne vogliamo)
e, per quanto riguarda il rapporto con i lavoratori, si assiste ad un utilizzo di grosse
espressioni quali: "Si vogliono realizzare nuove relazioni industriali, nuove relazioni sindacali",
ma in realtà si mira soltanto a deregolamentare, cioè a far sì che l'imprenditore abbia mano
libera nella gestione della forza lavoro.
Un vero comportamento etico, da parte dell'impresa deve riguardare l'insieme delle persone
che sono dentro l'impresa, a cominciare certamente dall'imprenditore, dalla dirigenza, ma
deve coinvolgere anche gli stessi lavoratori; diversamente il risultato etico non si realizza.
Comunque, se si facesse una scala di responsabilità etica, è evidente che l'imprenditore,
avendo il potere decisionale, sarebbe in testa.
Il comportamento delle banche
Anche per le banche vale la logica della ricerca accanita del profitto; quindi la ragione
fondamentale dell'impresa bancaria, quella di raccogliere risparmio e impiegarlo, viene
vissuta nella pura logica di mercato per realizzare l'interesse più alto possibile; le banche non
si pongono più di tanto il problema che attraverso gli investimenti, in qualche misura, si possa
migliorare una realtà sociale, una comunità, ecc.
Teoricamente questa finalità esisteva negli statuti delle Casse di Risparmio, ma attualmente,
e la trasformazione in società per azioni ne è una riprova, anche per loro il mercato diviene
qualcosa di assoluto. La concorrenza fa sì che tutto si misuri sul risultato economico e
vengono quindi stravolti tutti i riferimenti di carattere sociale, che sono anche etici.
Il sistema bancario italiano avrebbe potuto e dovuto favorire l'instaurazione di una maggiore
etica degli affari ma non l'ha fatto; anzi, l'attuale momento storico, che vede prevalere questa
logica di mercato, ha fatto superare alcuni limiti e vincoli che alcuni banchieri si ponevano
proprio sul piano morale. Oggi prevale il risultato d'impresa e la banca ha un comportamento
meno etico rispetto al passato. E certamente nel futuro lo sarà ancora meno, perché, ad
esempio, il Mercato Comune esalta il sistema concorrenziale delle imprese che, per questa
via, potrebbero diminuire anche la qualità stessa dei prodotti, poiché l'imprenditore vuole
subito il risultato economico e, conseguentemente, tende ad una costante riduzione dei costi
(a cominciare da quello del lavoro e della protezione sociale).
La concorrenza sfrenata, come tende ad essere in questo periodo storico, inoltre non solo fa
sì che si perda la protezione sociale della gente, ma anche che i prodotti offerti diventino
sempre più scadenti.
Il capitalismo e l'etica
Il capitalismo rischia di avere sempre minori riferimenti morali, soprattutto con il venir meno di
interventi di indirizzo e di controllo da parte delle autorità pubbliche. Lo stesso benessere
materiale raggiunto attraverso il capitalismo, senza apprezzabili comportamenti etici, procura
anche un danno, nell'essere della persona, difficile da rimediare. Il prevalere della ricerca
forsennata del profitto, in assenza di controlli sociali, non solo fa correre il rischio che il
capitalismo perda, se mai ne aveva, ogni riferimento all'etica, ma procurerà danni incalcolabili
per la convivenza civile.
Le conseguenze del comportamento etico
Se l'imprenditore volesse veramente guardare a comportamenti di lungo periodo, credo che il
comportamento etico avvantaggerebbe l'impresa; se invece questi vuol vedere - in maniera
miope - il risultato immediato, il comportamento etico diviene un ostacolo, come avviene nella
quasi totalità dei casi.
La classe imprenditoriale
L'imprenditoria in genere ha, strutturalmente, un valore etico: stimolare al lavoro, all'impegno,
alla creatività, all'attività umana in genere, alla creazione di un maggior numero ma anche di
migliori prodotti. In Italia sta invece prevalendo un capitalismo "selvaggio", anche se non
ancora ai livelli di Paesi come la Gran Bretagna; a mio avviso stiamo importando nel nostro
Paese cattivi esempi di capitalismo. La classe imprenditoriale italiana sta perdendo sempre di
più i riferimenti etici.
Tale comportamento scarsamente etico, viene ad avere riflessi negativi sia nei confronti dello
Stato, sia dei lavoratori, sia della società in genere. Il recupero di questa dimensione, nella
maniera più ampia possibile, avrebbe riflessi positivi sullo Stato (ad esempio, nella vicenda di
Tangentopoli gli imprenditori hanno avuto una immagine non molto differente da quella dei
politici), e sulla società in genere.
Anche il rapporto tra impresa e ambiente pone questioni etiche: vi sono intere zone del nostro
Paese divenute invivibili perché non si sono applicate nemmeno le leggi dello Stato. In questo
caso vi sono colpe delle autorità che non hanno fatto rispettare le leggi ma anche degli
imprenditori i quali, con il ricatto occupazionale ("o così oppure chiudiamo"), continuano ad
inquinare tranquillamente.
L'etica nel comportamento delle banche
L'assenza di un comportamento etico da parte delle banche incide negativamente su tutto il
sistema. Attualmente queste non intervengono in alcun modo, nel decidere un finanziamento,
nel merito della "finalità etica", o della "ecologicità" dell'attività per la quale è richiesto il
finanziamento stesso. Si pone quindi la necessità - anche se utopica - di costituire, come è
stato proposto da qualcuno, un "comitato etico" per le banche, formato da personalità di
rilievo, finalizzato a indirizzare verso determinate scelte. Questo comitato, aiutando a "ripulire"
la società, consentendo solo le attività migliori, rappresenterebbe un vantaggio per le
imprese, per la società e per i cittadini.
Un ulteriore momento di assenza di comportamento etico si può riscontrare nel caso in cui un
banchiere non si ponga alcun problema fiscale sui bilanci presentati dall'impresa che chiede
un finanziamento. Spesso questi bilanci sono "in rosso" solo perché l'imprenditore vuole
frodare il fisco e, di conseguenza, la banca, senza alcuna valutazione etica, concede
tranquillamente il prestito.
Il problema del riciclaggio del denaro
In relazione al problema del riciclaggio la banca potrebbe fare molto. La sensazione è che,
invece, si tenda a scaricare tutto il problema burocratico, ed eventualmente penale, sul
dipendente: vengono poste delle regole ma poi gli si dice di non essere "troppo fiscale"
perché i clienti vanno serviti. Di fronte a determinati clienti, il "responsabile" dice all'impiegato
di "lasciar correre", e questo è tanto più vero in una scala che va dal Nord al Sud d'Italia.
Recentemente in una banca del sud, ad esempio, gli impiegati hanno indetto uno sciopero di
sette giorni per mancanza di precise direttive su come operare a proposito delle rilevazioni
sull'antiriciclaggio. Se l'hanno fatto, evidentemente, sapevano che qualcosa non andava.
Anche a proposito del traffico di armi e di altri illeciti, la banca potrebbe fare molto e non lo fa;
anche qui si preferisce il risultato economico immediato, giustificandosi con la logica del "se
non lo faccio io, lo fa qualcun altro".
Il segreto bancario
Lo smantellamento del segreto bancario farebbe chiarezza sotto molti aspetti. Potrebbe infatti
contribuire a risolvere numerosi problemi, da quelli fiscali a quelli della criminalità.
Una iniziativa del genere andrebbe però nella direzione contraria al modo di vivere e alla
mentalità stessa della gente. Vi è una mentalità, una cultura prevalente che forse non
accetterebbe l'eliminazione del segreto bancario e, nell'immediato, procurerebbe grandi
difficoltà monetarie, finanziarie ed economiche.
Inoltre la banca non può essere promotrice di una iniziativa che automaticamente la
danneggerebbe, anche per la mancanza di direttive comuni in ambito europeo. Lo
smantellamento del segreto bancario in un Paese solo significherebbe soltanto lo
spostamento di capitali - oggi peraltro permesso - verso quei Paesi con una legislazione
bancaria più "favorevole".
LUCIANO VIOLANTE
Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia
Etica e impresa
Il rispetto delle regole di mercato costituisce elemento indispensabile del "comportamento
etico", all'interno di un determinato sistema imprenditoriale. Rappresenta anche uno dei fattori
che concorrono ad attivare un rapporto di fiducia con la società civile e le sue istituzioni.
Etica e banche
In questo quadro si inserisce ed assume importanza rilevante il comportamento di una banca,
i cui criteri di eticità si configurano nel rifiuto del denaro sporco, nella segnalazione delle
operazioni sospette, nella prestazione dei propri servizi agli imprenditori che hanno subìto
minacce estortive.
Gli imprenditori che hanno rifiutato di pagare il racket si vedono chiudere i conti bancari.
In generale per le banche si tratta di riflettere sulla possibilità di conciliare leggi morali e leggi
sull'economia: credo che la responsabilità maggiore, in questo senso, l'abbiano quelle banche
che discriminano i propri clienti sulla base della loro appartenenza-estraneità al sistema di
potere legale ed illegale. In questo modo vengono penalizzate le capacità imprenditoriali e
sono favoriti non solo il clientelismo ma anche la corruzione.
Sono favorevole al superamento del segreto bancario, che peraltro non è opponibile alla
magistratura.
Per tornare comunque al discorso generale, le banche possono attivarsi in modo da
oltrepassare in positivo il semplice rispetto delle leggi: è una condizione in ogni caso
auspicabile per tutti.
Più etica privata c'è in giro, più si rafforza l'etica pubblica. Per converso non ci può essere
un'etica pubblica forte se sono deboli le etiche private.
L'etica è del tutto compatibile con il capitalismo: senza un'etica il capitalismo diventa pura
rapina e sopraffazione.
Per concludere non si può chiedere agli imprenditori italiani un comportamento esemplare se
tutti gli altri partners tengono comportamenti medio bassi. In questo senso oggi il
comportamento medio degli imprenditori si ispira al comportamento medio di tutti gli altri
soggetti della società, naturalmente con importanti eccezioni tanto verso il basso, tanto verso
l'alto.
PAOLO TARGETTI
Titolare della Targetti Sankey SpA
L'esperienza personale: convinzioni morali ed esigenze dell'impresa
Nel corso della mia attività non si sono mai presentate situazioni di conflitto e ciò per una
scelta precisa della nostra azienda, evitare i grandi appalti e gli appalti pubblici. Il nostro
orientamento è sempre stato verso il libero mercato, in particolare l'export: quasi il 50% di ciò
che produciamo è esportato. E quindi affrontiamo il confronto aperto, e se vogliamo anche
molto cattivo, sul mercato libero che ti punisce o ti premia a seconda se sei bravo o no. E
comunque i "premi" che riconosce il mercato non sono tali da poter creare dei problemi di
natura morale.
I rapporti tra banca e impresa
Generalmente e formalmente i rapporti tra le banche e la mia impresa sono corretti anche se
ogni tanto abbiamo rapporti con istituti con cui abbiamo qualche incomprensione.
Premesso che il panorama bancario italiano è generalmente molto buono, occorre prestare
molta attenzione al comportamento di alcuni istituti perché quando questo non è men che
corretto finisce per falsare la libera concorrenza. Sarebbe comunque utile un controllo più
diretto della banca sulla trasparenza delle imprese con cui ha rapporti di affari, se occorre,
anche cambiando le regole del rapporto.
Ora i rapporti sono troppo formali. Sicuramente non dovremmo inventare nulla di nuovo, ci
sono esperienze a livello europeo che funzionano; poiché i nostri istituti si stanno
internazionalizzando si dovranno comportare di conseguenza. All'estero c'è un'attenzione
maggiore per l'imprenditore, per la sua professionalità e per la sua moralità, oltre alle
garanzie che può offrire. E questo può migliorare il sistema dei rapporti perché obbliga anche
l'imprenditore ad essere più corretto, più trasparente.
Corruzione e sistema bancario
Ho il sospetto che un sistema bancario, i cui vertici sono stati sempre sotto il controllo politico,
possa essere stato una sorta di cinghia di trasmissione fra i partiti-apparato ed il sistema delle
tangenti. Immagino che troppo spesso le presidenze di alcune banche, nominate da
particolari correnti partitiche abbiano "chiuso gli occhi" nei confronti di certe istanze. Sono
solo supposizioni, ma se pensiamo alla ricostruzione dell'Irpinia o alle banche che nel Sud, e
non solo nel Sud, riciclano denaro sporco abbiamo facili conferme.
Nella nostra regione però si sono verificati pochi casi di inquisiti. Si conoscono episodi di
imprese che hanno avuto facilità nell'ottenere linee di credito rispetto ad altre; le
discriminazioni, quando ci sono, sono censurabili e poco opportune.
Etica e fisco
Chi evade il fisco non può essere giudicato solo da un punto di vista morale, in un senso più
globale, in un mercato aperto molto competitivo, l'imprenditore che non rispetta le regole del
gioco, ed il fisco fa parte delle regole, sicuramente si troverà ingiustamente avvantaggiato nei
confronti di coloro che lo rispettano.
Considero invece giustificabili, intelligenti e misurate, azioni di elusione fiscale. L'elusione
deriva da una lettura molto intelligente della legge e da tecnicismi formalmente corretti
tendenti a ridurre l'impatto fiscale. E', tutto sommato, un modo di sfruttare con bravura i
"buchi" che si trovano nelle normative vigenti.
I rapporti con i dipendenti
Negli anni passati i rapporti con i dipendenti sono stati molto complessi poiché spesso animati
da forme di rivalsa reciproca; il sindacato aveva grande strapotere che lo portava a
comportamenti miopi e puramente rivendicativi, non animati da particolare sensibilità, che
giustificavano forme di rivalsa da parte nostra.
Oggi con la consapevolezza dei grandi problemi sia l'impresa che il sindacato si sono dati dei
comportamenti molto più corretti, più pragmatici, meno legati ai principi ideologici, senza i
quali l'azienda stessa non va avanti.
Nel momento in cui si sente la necessità di affermare la qualità totale, è importante il
coinvolgimento di tutti i lavoratori che devono formare una squadra compatta. Tutti questi
obiettivi di competitività, di qualità, di efficienza, comportano grande trasparenza nei rapporti
con i dipendenti.
Il sindacato ha capito i tempi durissimi che il sistema impresa sta attraversando e pur
soffrendo è cambiato e quindi bisogna aiutarlo in questo processo di modernizzazione.
Il lavoro: business o missione ?
Vivo la mia attività professionale molto spesso come una missione, soprattutto quando ci
sono risultati immateriali che stimolano ad andare avanti e quando ciò che si va "predicando"
crea proselitismo ed entra nella testa e nel cuore delle persone che ti sono vicine. Poi
continuo ad andare avanti e si affrontano aspetti meno esaltanti e tutto riacquista la
dimensione del business.
Comportamento etico e prodotto
Il rispetto del consumatore e la garanzia di alta qualità di un prodotto costituiscono due
principi ai quali un imprenditore deve attenersi e che fanno parte integrante dell'etica degli
affari. E' l'elemento ispiratore del concetto di qualità totale.
Il prodotto rappresenta quindi una cartina di tornasole, il parametro più importante per
valutare il grado di sensibilità etica dell'impresa.
Nel nostro Paese il consumatore non è molto educato nel pretendere dal mondo della
produzione e dei servizi il rispetto dei suoi diritti. I consumatori dei Paesi industrializzati
stranieri hanno invece livelli di maturità maggiori pronti a punire il produttore superficiale che
non persegue alti standard qualitativi facendolo rapidamente uscire dal mercato; la
distribuzione a sua volta è talmente selettiva che si finisce per pagar cari gli errori e per
essere radiati dal mercato stesso. In Italia la sensibilità del consumatore sta crescendo ora. Il
mercato comunitario libero dovrebbe portare anche da noi questi comportamenti.
Il rispetto dell'ambiente da parte di un'impresa è indicativo del grado di sensibilità etica. La
scarsa attenzione all'ambiente della nostra società, è prima di tutto una mancanza di
preparazione culturale, della conoscenza di semplici norme comportamentali che si
acquisiscono con l'educazione. Occorre riconoscere che sulla educazione ambientale si fa
ancora troppo poco e non è ancora ben sviluppata nelle scuole, se ne parla ma non si
insegna ai giovani ad affrontarla consapevolmente. E questo ci dà già una misura di quanto
siamo in ritardo. Non è pensabile che una società che non venga educata ai problemi
ecologici al momento opportuno, quello della formazione, diventata matura li scopra poi da
sola. La competizione che impone il mercato aperto alle imprese, fa scegliere a queste, delle
scorciatoie non sempre lecite. Occorre che la società imponga delle regole molte precise e
sia pronta a punire chi non le rispetta.
La stessa affermazione potrebbe essere fatta a proposito della pubblicità.
Ci vogliono delle regole migliori e più efficaci e soprattutto un maggior controllo ed una
capacità di reazione da parte dei consumatori. L'organo di autodisciplina non è riuscito a
svolgere un'azione accettabile perché funziona solo nei casi limite in cui vi è una palese
infrazione. Ma quando si debbano giudicare comportamenti al limite della correttezza e della
liceità l'organo di autodisciplina mostra i suoi limiti. Gli stessi media non sono pronti a
denunciare questi fenomeni anche perché direttamente interessati ed una loro presa di
posizione finirebbe per procurare danni economici che vengono considerati più importanti dei
meriti morali.
Comportamento etico e pubbliche relazioni
Se per pubbliche relazioni si intendono le attività di lobby ritengo che se impostate seriamente
siano fondamentalmente utili e corrette. Ricordo di aver organizzato un pomeriggio di lavoro
su questo argomento presso l'Associazione degli Industriali di Firenze invitando Samaritana
Rattazzi che è una delle poche operatrici di un'agenzia di lobby dichiarata e che svolge
questa attività in maniera continuata nell'interesse di chi richiede la sua opera. Se oggi è
possibile usare il cellulare dobbiamo ringraziare lei: perché a suo tempo informò tutti i membri
del Parlamento degli svantaggi e dei vantaggi che una determinata legge restrittiva avrebbe
portato, così come sta sostenendo l'azione dei familiari delle vittime di Ustica. E' un'opera
correttissima, se dichiarata, trasparente e fatta in modo da influenzare, attraverso
l'informazione, le scelte di chi deve decidere provvedimenti legislativi.
Etica e privatizzazioni
La privatizzazione di enti ed aziende pubbliche non può essere di per se stessa un modo per
raggiungere un maggiore livello di moralizzazione negli affari. Se pensiamo ad esempio alle
aziende municipalizzate che operano in regime di monopolio temo che un privato, chiamato
ad agire in un regime di questo tipo, anche se in presenza di controlli, poi finisca per
approfittare di questo status. E' auspicabile che le municipalizzate, o quelle imprese
pubbliche difficilmente privatizzabili, vengano gestite in modo privatistico con criteri più
competitivi, più orientati al mercato e quindi con la possibilità di promuovere le risorse umane
migliori, di allontanare i peggiori e quando non ben gestite anche di fallire. Credo nella
privatizzazione ma soprattutto in un mercato aperto.
Nell'ambito del settore bancario le privatizzazioni possono contribuire, sotto la spinta della
concorrenza, a migliorare le performance, ottimizzare le risorse in maniera più efficace di
quanto normalmente siamo stati abituati a vedere in una struttura pubblica. Ma ci sono anche
effetti negativi: qualche volta il privato fa solo ciò che è conveniente, mentre talvolta la società
ha bisogno di servizi e prestazioni che non rispondano solo a logiche economiche.
La "Centesimus Annus"
Non credo che un imprenditore nell'esercitare la sua professione debba essere guidato da
valori trascendenti. L'argomento comporterebbe un approfondimento troppo lungo, perché
sarebbe interessante confrontare il trend delle diverse economie a seconda dei
condizionamenti siano essi legati alla morale confuciana, luterana e cattolica ed i diversi
risultati che producono nello sviluppo della società. La società, infatti, ed anche l'economia
finiscono per essere influenzate da questi valori, la coscienza, il senso di responsabilità nei
confronti della società, l'obbedienza alle regole, ed i comportamenti individuali sono
condizionati dalla morale cristiana in modo diverso rispetto ad altre confessioni. Non vorrei
semplificare troppo sugli effetti, ma basta ricordare quanto ha recentemente affermato un
noto studioso dei comportamenti sociali: "i popoli di cultura cattolica sono buoni, i popoli con
cultura protestante sono bravi".