Cosa sono i microrganismi? Le prime forme di vita comparse nel pianeta Forme di vita unicellulari Autonome, in grado di metabolizzare, riprodursi differenziarsi, comunicare, evolvere Dotate di piccole dimensioni Visibili solo al microscopio Classificazione alghe Protisti superiori (eucarioti) protozoi miceti Regno dei protisti Protisti inferiori (procarioti) batteri Differenze tra procarioti e eucarioti Caratteristiche Dimensioni Organizzazione genetica Nucleo circondato da membrana DNA complessato agli istoni Numero di cromosomi DNA extracromosomiale Geni Divisione per mitosi Citoplasma Reticolo endoplasmico Apparato del Golgi Mitocondri Lisosomi Ribosomi Membrana citoplasmatica Parete cellulare Procarioti 0,3-2μm Eucarioti > 5μm Assente Presente Assente Presente Uno Più di uno Plasmidi Mitocondriale Contigui o riuniti in operoni Discontinui Assente Presente Assente Assente Assenti Assenti 70 S Assenza di steroli Formata da peptodoglicano Presente Presente Presenti Presenti 80 S Presenza di steroli Se presente, formata da polisaccaridi Forma dei batteri La forma è una condizione: • Fissa • Geneticamente determinata • Conferita dalla parete cellulare Forma dei batteri Cocchi: forma rotondeggiante Forma dei batteri Bacilli: forma a bastoncello Forma dei batteri Spirilli: forma a spirale Forma dei batteri Vibrioni: forma a virgola Disposizione dei batteri Indica il modo con il quale le cellule, riproducendosi, si dispongono nello spazio mantenendo o meno uno stretto rapporto di continuità. E’ condizionata dal modo in cui si susseguono nello spazio i diversi piani di divisione cellulare in successive generazioni Disposizioni più frequenti Diplococchi (cocchi uniti a coppie) Streptococchi (cocchi uniti a catenelle) Cocchi Stafilococchi (cocchi uniti in ammassi irregolari) Tetradi (cocchi uniti in gruppi di quattro) Sarcine (cocchi uniti in gruppi di otto, forma cubica) Bacilli Diplobacilli (bastoncelli uniti a coppie) Streptobacilli (bastoncelli uniti a catenelle) Disposizioni più frequenti Diplococchi Streptococchi (alcuni esempi) Stafilococchi Tetradi Diplobacilli (bastoncelli uniti a coppie) Streptobacilli (bastoncelli uniti a catenelle) Colorazione di Gram • Colorazione più importante e usata in batteriologia. • Prende il nome dal patologo danese che la mise a • • • • • • punto. Permette di distinguere i batteri in Gram+ e Gram-. Colorazione differenziale. Utilizzando differenti coloranti in tempi successivi, individua differenze strutturali della cellula batterica. Le differenze strutturali riguardano la parete cellulare. I batteri Gram+ si colorano in viola. I batteri Gram- si colorano in rosso. Colorazione di Gram (esecuzione) • Si allestisce il preparato • Si versa sul preparato una soluzione di cristalvioletto • Si allontana il colorante e si versa sul vetrino un • • • mordenzante: il liquido di Lugol (i mordenzanti sono sostanze che formano un composto insolubile con il colorante facilitandone l’unione col substrato) Si tratta il vetrino con una soluzione decolorante formata da alcool e acetone Si applica un colorante di contrasto: la fuxina (rossa) I batteri Gram+ trattengono il primo colorante risultando colorati in violetto, i batteri Gram- si decolorano assumendo la colorazione rossa di contrasto Colorazione di Gram (esecuzione) Gram positivi Gram negativi Fissazione Cristal violetto Liq. di Lugol Decolorazione Colorazione di contrasto Colorazione di Gram (esempi) Gram + Gram - A cosa è dovuto il diverso comportamento dei batteri nella colorazione di Gram? • E’ dovuto ad una diversa permeabilità degli involucri cellulari che è maggiore (tale da consentire l’asportazione del complesso cristalvioletto-liquido di lugol da parte del decolorante) nei batteri Gram negativi e minore nei Gram positivi che in tal modo trattengono il primo colorante. • La Gram positività e la Gram negatività, dovuta alla differente architettura molecolare della parete, è espressione di una dicotomia evolutiva dal profondo significato clinico. Struttura della cellula procariotica Il carattere citologico più importante è rappresentato dalle piccole dimensioni e dall’assenza di compartimenti intracellulari separati da membrane. Pilo o fimbria Membrana Parete Capsula Citoplasma Flagello Ribosomi Sost. nucleare Mesosoma Caratteristica è la struttura cromosomica, estremamente semplice, immersa direttamente (senza interposizione di membrana nucleare) nel citoplasma. Cromosoma batterico (sostanza nucleare) • Si trova all’interno del citoplasma. • Appare come un materiale filamentoso, costituito da DNA • • • • • immerso nel citoplasma non separato da alcuna membrana. Viene considerato l’equivalente di un cromosoma (cromosoma batterico o cromonema). E’ fortemente raggomitolato la sua lunghezza, se disteso, supera di 1000 volte la lunghezza della cellula. E’ privo di estremi liberi, presenta struttura circolare con implicazioni sulla duplicazione cellulare e sulla genetica batterica. Non è legato ad istoni ma è complessato a proteine acide dalle quali è facilmente dissociabile. E’ collegato alla membrana in corrispondenza di zone caratteristiche che rappresentano l’origine della duplicazione durante la riproduzione cellulare. Duplicazione del DNA Il cromosoma batterico prende contatto con zone particolari della membrana che rappresentano l’origine della duplicazione. Il processo continua da entrambi i lati e termina al punto opposto rispetto all’origine. Contemporaneamente al distacco delle emieliche si ha la formazione del filamento complementare. Terminato il processo si formeranno due nuovi filamenti di DNA ciascuno dei quali sarà formato da un’elica parentale e dal filamento complementare, assicurando la esatta ripartizione del corredo genetico Plasmidi: definizione Sono elementi genetici extracromosomiali a struttura circolare, presenti nel citoplasma batterico, di dimensioni minori rispetto al cromosoma, dotati di relativa autonomia replicativa e in grado di condizionare caratteri fenotipici importanti sotto il profilo dell’azione patogena, della resistenza agli antinfettivi e della sopravvivenza nell’ambiente. Grandezza e numero dei plasmidi • La grandezza dei plasmidi si misura in kilobasi • • • • (lunghezza media di un gene). Esistono plasmidi più piccoli di poche kb e plasmidi più grandi con più di 1000 kilobasi. I plasmidi più grandi sono presenti in un’unica copia. I più piccoli possono essere presenti in più copie. Tutti i plasmidi possiedono una serie di geni che codificano gli elementi necessari e sufficienti alla loro duplicazione e ripartizione tra le cellule figlie al momento della divisione cellulare. Trasferimento intercellulare dei plasmidi • I plasmidi oltre a venir trasmessi verticalmente da cellula • • • madre a cellula figlia, possono trasferirsi orizzontalmente tra cellule diverse. Esistono plasmidi autotrasmissibili e non autotrasmissibili. I plasmidi autotrasmissibili possono trasferirsi grazie al contatto cellula-cellula e sono detti coniugativi. La trasmissione mediante coniugazione viene controllata da geni tra. I plasmidi non autotrasmissibili non contengono geni tra, il loro trasferimento per coniugazione è reso possibile dalla presenza di plasmidi coniugativi che coabitano nella stessa cellula. Funzioni dei Plasmidi Le funzioni dei plasmidi sono numerose; anche se non “indispensabili” sono utili a garantire la sopravvivenza dei batteri in particolari situazioni o habitat metaboliche Utilizzazione di sostanze,produzione di pigmenti etc. resistenza Agli antibiotici, agli ioni, ai raggi U.V. virulenza Produzione di esotossine, batteriocine, polimeri adesinici biologiche Modificazione e restrizione di DNA estraneo Tipi di plasmidi Plasmide F è un plasmide coniugativo, contiene geni tra che promuovono il trasferimento del plasmide stesso da una cellula donatrice ad una cellula ricevente. Può integrarsi nel cromosoma batterico rendendo possibile la mobilizzazione intercellulare di geni cromosomici. Plasmide R è un plasmide autotrasmissibile capace di codificare per la produzione di enzimi in grado di conferire resistenza nei confronti di diversi farmaci antibatterici e di operare il trasferimento interspecifico di tali resistenze. Plasmidi batteriocinogeni codificano per la produzione di batteriocine cioè di proteine “tossiche” in grado di uccidere batteri della stessa specie, ma innocue per le specie che le producono. Tali sostanze vengono espresse di prevalenza quando sia necessario ristabilire un alterato equilibrio in particolari nicchie ecologiche. Citoplasma Il citoplasma batterico è estremamente semplice, privo di molti elementi morfologici che caratterizzano il citoplasma delle cellule eucariotiche quali: • reticolo endoplasmico • apparato del Golgi • mitocondri • lisosomi • vacuoli Citoplasma : composizione • • • • H2O Componenti inorganici: sodio, magnesio, calcio, ferro etc Macromolecole organiche Polimeri Le sostanze organiche contribuiscono maggiormente a generare una elevata pressione osmotica che contraddistingue l’interno della cellula. Tale pressione è maggiore nei Gram+ e minore nei Gram- Inclusioni citoplasmatiche Occasionalmente nel citoplasma sono presenti granulazioni (inclusioni) citoplasmatiche, di diversa composizione aventi il significato di accumuli di materiale di riserva. • Glicogeno Sono costituiti da: • Acido β-idrossi-butirrico • Polisaccaridi • Polifosfati I granuli di polifosfati sono detti” metacromatici” presentano il fenomeno della metacromasia si colorano diversamente rispetto al colore utilizzato. Sono particolarmente abbondanti in Corynebacterium diphteriae costituendone un carattere distintivo importante utile per l’identificazione. Ribosomi Rappresentano lo strumento universale delle sintesi proteiche per qualunque tipo di organizzazione cellulare: procariotica o eucariotica. I ribosomi procariotici, tuttavia, presentano differenze fondamentali rispetto agli eucarioti Caratteristiche • Sono presenti nel citoplasma in numero elevato (fino a 15000) • Funzionalmente identici ma strutturalmente differenti rispetto ai procarioti • Le differenze indirizzano l’azione selettivamente tossica di alcuni antibiotici • Hanno un coefficiente di sedimentazione 70S (80S per gli eucarioti) • Sono costituiti da due subunità una più grande 50S e una più piccola 30S Ribosomi Forma Complessivamente globulare, la subunità più piccola alloggia in una cavità presente nella subunità più grande Composizione 60% RNA 40% proteine Una unità ribosomiale completa contiene: 55 proteine e tre tipi di RNA: 5S, 16S, 23S Organizzazione strutturale La subunità più grande contiene 34 proteine(1L, 2L etc.) e due RNA (5S, 23S) La subunità più piccola contiene 21 proteine (1S, 2S etc. e un RNA (16S) Membrana citoplasmatica • Delimita esternamente il citoplasma • Si trova al di sotto della parete cellulare • E’ strutturalmente simile ma funzionalmente differente rispetto alla membrana degli eucarioti Composizione chimica Proteine 60% Lipidi 40% Carboidrati tracce Proteine •Integrali: sono situate nello spessore della membrana •Periferiche: sono situate superficialmente Lipidi assenza di steroli, presenza di fosfolipidi quali: •Fosfatidil-glicerolo •Difosfatidil-glicerolo •Fosfatidil-etanolamina •Fosfatidil-serina •Fosfatidil-inositolo Acidi grassi •Assenza di acidi grassi polinsaturi •Presenza di acidi grassi ramificati e derivati dal ciclopropano Glicerolo •Esterificato con aminoacidi quali: lisina, alanina, glicina, ornitina Carboidrati Legati ai lipidi (glicolipidi) Legati a proteine (glicoproteine Struttura Modello a mosaico fluido I fosfolipidi formano un doppio strato continuo, con le parti apolari rivolte verso l’interno (porzione idrofobica) e le parti polari rivolte verso la porzione esterna idrofila. Funzioni della membrana citoplasmatica • • • • Delimita esternamente il citoplasma • partecipa al processo di riproduzione cellulare (duplicazione DNA, formazione del setto interno di divisione) • • • • opera il contenimento degli organi interni della cellula presiede agli scambi rende possibile il trasporto attraverso la cellula tramite meccanismi: attivi (contro il gradiente di pressione osmotica), passivi (leggi dell’osmosi), facilitati (carriers) rende possibili i processi di respirazione cellulare in assenza dei mitocondri promuove la formazione del setto di divisione asimmetrica nella sporulazione partecipa alle fasi intermedie e finali del processo di biosintesi del peptidoglicano (componente fondamentale della parete cellulare) promuove il rilascio di enzimi implicati nella resistenza batterica agli antibiotici. Mesosomi Nelle sezioni ultrasottili esaminate al m.e. la membrana citoplasmatica presenta delle invaginazioni che si approfondano nel citoplasma e possono assumere una struttura complessa ricca di microtubuli e microfilamenti. A queste strutture più frequenti e complesse nei Gram+, denominate mesosomi sono state attribuite diverse funzioni in rapporto alla divisione cellulare, alla secrezione di esoenzimi e ai processi di fosforilazione ossidativa. In realtà i mesosomi sono risultati essere degli artefatti dei processi di fissazione. Il fatto che essi tendano a formarsi in zone precise della membrana suggerisce che la membrana stessa possa presentare regioni con particolari specializzazioni strutturali e funzionali Parete cellulare Caratteristiche • Struttura più importante e caratteristica dei batteri • Delimita esternamente la cellula batterica, al di fuori della membrana citoplasmatica • Struttura fondamentale per garantire l’integrità cellulare • Posseduta universalmente da tutti i batteri ad eccezione del genere Mycoplasma (assenza di parete) e del genere Chlamidia (parete di diversa composizione) • Struttura esclusiva dei batteri, non ha corrispondenza negli eucarioti; i miceti hanno parete cellulare, ma costituita da polisaccaridi e proteine Parete cellulare Funzioni e proprietà •Assicura protezione alla cellula nei confronti degli agenti esterni e della lisi osmotica •Definisce la differente forma ai batteri con la sua struttura rigida e compatta •Fornisce un bersaglio all’azione selettivamente tossica di alcuni antibiotici che vanno ad interferire a vario livello nel processo di biosintesi del principale componente della parete Parete cellulare Struttura Il componente fondamentale della parete è un polimero il peptidoglicano formato da due aminozuccheri alternati tra loro e uniti da un legame β-glucosidico rappresentati da: •N-acetilglucosamina •N-acetilmuramico Ad ogni residuo di ac. muramico è legato un tetrapeptide costituito da: •L-alanina •D-glutammico •L-lisina •D-alanina Organizzazione strutturale della parete La parete cellulare dei batteri risulta diversamente strutturata nei batteri Gram+ e nei batteri Gram-. Tale diversa organizzazione determina il differente comportamento dei batteri alla colorazione di Gram permettendo di effettuare una distinzione fondamentale dal punto di vista clinico. Parete cellulare Gram positivi Costituente fondamentale il peptidoglicano, formato da: •N-acetilglucosamina •Acido N-acetilmuramico •Tetrapeptide •Ponte trasversale formato da 1 a 5 aminoacidi uguali o diversi tra loro Dimensioni •80-90 mμ Parete cellulare Gram positivi Struttura • Tridimensionale • Costituita da numerose catene lineari, parallele tra loro, per uno spessore di 80-90 mµ dei due aminozuccheri legati con legame β-glucosidico • Ogni residuo di ac. muramico lega il tetrapeptide formato da aminoacidi alternativamente in configurazione L eD • Il ponte trasversale collega due catene tetrapeptidiche poste su scheletri lineari adiacenti legando il 3° ed il 4° aminoacido della catena (L-lisina D-alanina) Parete cellulare Gram positivi Struttura • Tridimensionale Monomero costitutivo del peptidoglicano E’ una molecola formata da: una unità di N-acetilglucosamina legata con legame β 1-6 glucosidico ad una unità di ac. N-acetilmuramico il quale lega il tetrapeptide ed il ponte trasversale. Ogni monomero è legato al monomero successivo tramite un legame β 1-4 glucosidico. Tale legame viene idrolizzato dall’enzima lisozima, il quale pertanto ha azione depolimerizzante il peptidoglicano scindendone cioè i vari monomeri costitutivi. Altri costituenti la parete dei Gram+ Caratteristiche Acidi teicoici Lunghi filamenti che si protendono all’esterno della cellula Composizione chimica Esteri fosforici del glicerolo e del ribitolo altamente polimerizzati con gruppi OH variamente sostituiti Funzioni degli acidi teicoici Antigeni di superficie (utili per la sierotipizzazione). Formano una fitta rete all’esterno della cellula ostacolando l’ingresso delle sostanze a basso peso molecolare. Con le loro cariche elettriche negative formano un “letto anionico” capace di attrarre cationi che fungono da cofattori per taluni enzimi. Rendono possibile l’adesione a svariate superfici (adesine) Altri costituenti la parete dei Gram+ Proteine Sono occasionalmente presenti in talune specie es. Proteina A di Staphylococcus aureus (azione antifagocitaria) Proteina M di Streptococcus pyogenes (fattore di adesività condiziona l’invasività e la virulenza) Lipidi Sono presenti in alcuni generi e soprattutto in elevata quantità nel genere Mycobacterium. Parete cellulare dei batteri Gram-positivi peptidoglicano Parete ac. teicoico Membrana plasmatica Parete cellulare GramCaratteristiche E’ resa più complessa rispetto ai Gram+ dalla presenza di una membrana posta esternamente ad un sottile strato di peptidoglicano Costituenti • Membrana parietale esterna • Peptidoglicano • Spazio periplasmico • Membrana citoplasmatica I batteri Gram- rappresentano l’unico esempio di organizzazione cellulare delimitata da una doppia membrana Il peptidoglicano dei batteri Gram• Ha uno spessore minore rispetto ai Gram positivi (10-20μm) • E’ composto da pochi scheletri lineari paralleli tra loro dei due aminozuccheri (N-acetilglucosamina e N-acetilmuramico). • Il 3° aminoacido della catena tetrapeptidica legata ad ogni residuo di acido muramico è l’acido meso-diaminopimelico (L lisina nei Gram+). • Le catene tetrapeptidiche per il 50% sono sciolte, per il restante 50% sono legate tra loro con legame peptidico diretto realizzato tra il terzo aminoacido di una catena e il quarto della catena adiacente • Struttura bidimensionale meno compatta rispetto ai Gram+ Parete cellulare GramMembrana parietale esterna • Avvolge la cellula al di fuori del peptidoglicano • Protegge la cellula batterica conferendole capacità di resistenza verso sostanze dannose. • Presenta maggiore densità rispetto alla membrana citoplasmatica. • Presenta caratteristiche di permeabilità del tutto peculiari che la rendono poco permeabile alle sostanze idrofobe e permeabile alle sostanze idrofile a basso peso molecolare. • E’ collegata tramite delle lipoproteine al peptidiglicano sottostante. • Ha una struttura tipicamente asimmetrica, il foglietto fosfolipidico più esterno è sostituito da un originale composto: il lipopolisaccaride o LPS Parete cellulare Gramlipopolisaccaride Sostituisce il foglietto fosfolipidico più esterno, consiste di tre porzioni: 1) una porzione lipidica (lipide A) rappresenta l’endotossina cioè la frazione tossica. Al lipide A è legata una porzione polisaccaridica proiettata all’esterno della membrana e composta a sua volta da due parti: a) una catena di zuccheri (parte centrale o core) con struttura costante in tutti i Gram negativi appartenenti alla stessa specie b) una lunga catena polisaccaridica di composizione differente nei batteri appartenenti alla stessa specie con spiccate proprietà antigeniche (antigene O) Le catene polisaccaridiche presenti sulla superficie dei Gram- sono strutture polari in grado di legare cationi bivalenti formanti “ponti” che rendono la membrana assai compatta, tendenzialmente idrofila e capace di escludere i composti idrofobici. La permeabilità della membrana esterna: il sistema delle porine I batteri Gram- proteggono la cellula dalla interazione con composti idrofobici dannosi circondandosi di polimeri idrofili (core polisaccaridico e antigene O). La compattezza della membrana esclude tuttavia il passaggio di sostanze idrofile essenziali al metabolismo. Per assicurare il passaggio dei metaboliti, la membrana è dotata di canali speciali per la diffusione passiva di molecole idrofile. Questi canali, chiamati porine, sono proteine che presentano un foro centrale di lume limitato e che si riuniscono in coppie o in trimeri assicurando il passaggio delle sostanze indispensabili al metabolismo. L’organizzazione della parete cellulare dei Gram- rende ragione della particolare resistenza di tali batteri a taluni farmaci e della loro presenza in particolari distretti organici (ambiente intestinale) Periplasma o spazio periplasmico E’ un comparto ben definito compreso tra il peptidoglicano e la membrana citoplasmatica. Ha la funzione di racchiudere e contenere in uno spazio delimitato una serie di molecole proteiche che garantiscono l’esercizio di funzioni fisiologiche importanti per il batterio. Parete cellulare dei batteri Gram-negativi lipopolisaccaridi porina Membrana esterna Parete lipoproteine peptidoglicano Membrana plasmatica Spazio periplasmico Sintesi del peptidoglicano La via biosintetica che conduce alla sintesi del peptidoglicano è fondamentale per comprendere il meccanismo d’azione di numerosi antibiotici che debbono la loro azione all’inibizione di tale sintesi in taluni momenti essenziali. La biosintesi del peptidoglicano è il processo tramite il quale la cellula sintetizza ciascun monomero di peptidoglicano. Le fasi finali del processo, consistenti nella estensione dei singoli monomeri in corti polimeri, nella formazione di legami crociati tra polimeri lineari e nel loro inserimento nella parete deteminandone l’allungamento è catalizzata da enzimi capaci di legare covalentemente la penicillina e gli altri β-lattamici noti come PBP (Penicillin-binding proteins). Sintesi del peptidoglicano Biosintesi del peptidoglicano (a livello citosolico) Nel citoplasma una molecola di N-acetilglucosamina–fosfato (NAG-P) si lega all’uridin–trifosfato con formazione di UDP-NAG e liberazione di P UDP-NAG si lega ad una molecola di fosfoenolpiruvato in una reazione inibita dall’antibiotico fosfomicina (analogo strutturale), formando UDP-NAG-piruvato Il piruvato viene ridotto ad ac. lattico con formazione di acido N-acetilmuramico o NAM L’ NAM legato all’UDP (UDP-NAM) funge da accettore per i seguenti aminoacidi: L-alanina, D-glutammico, L-lisina e infine il dimero D-alanina D-alanina (una racemasi trasforma una L-alanina in D-alanina e una sintetasi catalizza la formazione del dimero) L’inserimento del dimero è inibito dall’antibiotico cicloserina (analogo strutturale) del dimero stesso Biosintesi del peptidoglicano (a livello della membrana) L’NAM-pentapeptide staccato dall’UDP si lega ad un vettore lipidico della membrana rappresentato da una molecola di bactoprenolo All’ NAM-pentapeptide legato al vettore lipidico viene aggiunta una molecola di N-acetilglucosamina con formazione di una unità basale completa di peptidoglicano Una serie di unità basali complete sono polimerizzate e legate trasversalmente tramite l’intervento delle PBP1A e 1B che agiscono sia da enzimi transglicosilanti (legame β 1,4 glicosidico tra N-acetilglucosamina di una unità e NAM dell’unità adiacente) sia da enzimi transpeptidanti (legami di transpeptidizzazione tra polimeri lineari di peptidoglicano adiacenti La polimerizzazione delle unità basali e la liberazione dal vettore lipidico sono inibite dai glicopeptidi (vancomicina e teicoplanina) Biosintesi del peptidoglicano (a livello della parete) I corti polimeri di peptidoglicano, liberati dal vettore lipidico, sono trasferiti all’esterno della membrana dove viene staccata la molecola terminale di D-alanina e l’energia liberata viene utilizzata per l’inserimento, ad opera di altre PBP (2 e 3) dei frammenti polimerici nei siti di allungamento della parete in corrispondenza di tagli operati dalla PBP 4 che rappresentano le zone accettrici le molecole peptidoglicaniche neosintetizzate. Tutte le operazioni terminali di polimerizzazione, transpeptidizzazione e inserimento delle unità peptidoglicaniche nella parete catalizzate dalle PBP, risultano bloccate dagli antibiotici β-lattamici (penicilline e cefalosporine) che agiscono legandosi alle proteine enzimatiche e dagli antibiotici glicopeptidici (vancomicina e teicoplanina) che agiscono legandosi al dimero D-ala D-ala impedendo la polimerizzazione. Attivazione delle autolisine o mureino-idrolasi L’azione battericida dei farmaci in grado di bloccare la biosintesi della parete non è esclusivamente dipendente dal blocco della sintesi del peptidoglicano, quanto dall’attivazione di enzimi autolitici (autolisine) che avrebbero il compito di rimuovere il tratto di peptidoglicano alterato. In presenza del farmaco capace di bloccare la sintesi del peptidoglicano, l’azione delle autolisine produce una “breccia” nella parete favorendo la lisi osmotica e la conseguente azione battericida del farmaco. Protoplasti e sferoplasti Protoplasti: derivati dei batteri Gram+, ottenibili in laboratorio, privi di parete cellulare Sferoplasti: derivati dei batteri Gram-, ottenibili in laboratorio, privi di parete cellulare Caratteristiche • Presentano sempre forma rotondeggiante qualunque sia la forma originale (la parete è essenziale per definire la forma) • Perdono la capacità riproduttiva (ruolo della parete per la vitalità cellulare) • Devono essere mantenuti in ambiente con pressione osmotica uguale alla pressione osmotica interna per evitare la lisi Come si ottengono i protoplasti o gli sferoplasti in laboratorio? I protoplasti si possono ottenere trattando i batteri Gram+ con lisozima o con farmaci che ostacolino la sintesi del peptidoglicano (penicilline) Gli sferoplasti, dal momento che la membrana esterna è impermeabile al lisozima, possono essere ottenuti rendendo la membrana esterna dei Gram- permeabile al lisozima previo trattamento con agenti chelanti i cationi come l’EDTA. Si ottengono così forme rotondeggianti che mantengono tracce di membrana. La fase L dei batteri I batteri in fase L sono forme cellulari che si ottengono in vivo, prive di parete cellulare. Tali forme vengono isolate da varie affezioni ad andamento subacuto o cronico. I batteri in fase L a differenza dei protoplasti sono in grado di riprodursi contribuendo alla cronicizzazione dell’infezione. L’eziologia batterica sostenuta da batteri in fase L influenza sia la terapia (si escludono antibiotici che interferiscono con la sintesi del peptidoglicano) che la diagnosi (tecniche particolari di isolamento). Strutture polisaccaridiche esterne Glicocalice Il glicocalice è un complesso di sostanze per lo più polisaccaridiche che avvolgono la cellula batterica all’esterno della parete cellulare, rappresentate dallo “strato cristallino” o “strato S” o dalla capsula. Il glicocalice, pur non essendo una struttura essenziale per il batterio è presente in tutte le fasi della vita lasciando intuire un ruolo fondamentale nei fenomeni di permeabilità selettiva e adesione della cellula batterica prerequisito essenziale di ogni processo infettivo. Strato cristallino o strato S E’ uno strato formato da subunità proteiche spesso uguali tra loro, a volte legate a carboidrati disposte con una precisa simmetria cristallina, spesso associate in tetrameri, pentameri o esameri a formare un involucro pluristratificato che avvolge esternamente la cellula. Funzioni • Rappresenta un ulteriore involucro protettivo • Può intervenire nei fenomeni di “adesione” alle superfici mucose, momento fondamentale di ogni processo infettivo. Capsula E’ un involucro mucoso e amorfo che può essere abbondantemente presente sia nei batteri Gram+ sia nei Gram- E’ il risultato della secrezione di materiali di alta viscosità (etero o omopolimeri polisaccaridici) che rimangono adesi alla superficie esterna della cellula conferendo proprietà di adesività a particolari superfici con possibilità da parte del batterio di colonizzare specifici distretti (superfici dei denti, mucose etc.) o peculiari nicchie ecologiche. Composizione della capsula Generalmente la capsula è costituita da: polisaccaridi (levani e destrani) polisaccaridi complessi es. Streptococcus pneumoniae poliribitolfosfati es. Haemophilus influenzae poli D glutammato es. Bacillus anthracis Qualunque sia la sua composizione, la capsula è legata alle strutture sottostanti, direttamente se le cariche elettriche sono di segno opposto, altrimenti se le cariche sono dello stesso segno (-), interverranno dei cationi che effettuerannno legami a ponte tra la capsula e la parete cellulare Capsula Funzioni • Azione antifagocitaria impedisce la fagocitosi da parte dei fagociti dell’ospite (i batteri più invasivi che debbono attraversare il torrente ematico per raggiungere il bersaglio sono sempre capsulati) • Strumento di adesione il materiale capsulare rappresenta un efficace strumento per l’adesione batterica alle superfici mucose o inerti dell’organismo ospite contribuendo fortemente alla formazione di “biofilm” che favoriscono la persistenza del processo infettivo Come si evidenzia nei batteri la presenza della capsula? La presenza della capsula si evidenzia facilmente sospendendo i batteri in una goccia di inchiostro di china ed osservando al microscopio. I batteri provvisti di capsula sono evidenti per l’alone chiaro, non penetrato dall’inchiostro, di cui è circondata la cellula batterica in contrasto con il fondo scuro delle particelle di inchiostro. Formazione della capsula La formazione della capsula può essere influenzata da: 1. Fattori ambientali (presenza dei precursori dei componenti capsulari) 2. Fattori genetici (presenza di geni capaci di costituire il componente capsulare: es. capsula dello Streptococcus pneumoniae) Che cos’è il biofilm? Il biofilm è una formazione complessa formata da un’estesa matrice di materiale polisaccaridico contenente numerosi batteri in grado di interagire tra loro, che può invadere ampie zone di mucosa quali: la mucosa respiratoria (infezioni da Pseudomonas nella fibrosi cistica), le fasce connettivali intermuscolari (fascite necrotizzante), superfici connettivali come le valvole cardiache, oppure superfici di materiali inerti introdotti a scopo terapeutico come fili di sutura e vari impianti protesici (cateteri vescicali, catetere venoso centrale, protesi vascolari, protesi valvolari cardiache). All’interno del biofilm i batteri sono relativamente resistenti all’azione degli effettori delle difese antimicrobiche e rappresentano un più difficile bersaglio per i farmaci antibatterici. La crescita all’interno del biofilm rappresenta pertanto una delle cause più frequenti di infezioni persistenti e una delle condizioni infettive di più difficile approccio. Strutture appendicolari della cellula batterica Alla superficie della cellula batterica possono essere presenti una serie di appendici rappresentate dai flagelli e dalle fimbrie o pili. Si tratta di strutture proteiche filamentose formate da monomeri capaci di autoassemblarsi a formare strutture di varia lunghezza, cilindriche che si protendono all’esterno della cellula. Flagelli Sono appedici molto sottili, di aspetto ondulato, con spessore costantemente inferiore al potere di risoluzione del microscopio ottico e assai lunghe ( più lunghe della cellula a cui appartengono) che si protendono all’esterno della cellula batterica. Sono organi di propulsione, permettono cioè ai batteri di muoversi. I batteri che hanno i flagelli sono detti: “mobili”, quelli che ne sono privi:” immobili”. Il movimento conferito dai flagelli è un movimento “vero” più evidente rispetto ai moti oscillatori (moti browniani) delle specie immobili. Come è possibile dimostrare la presenza dei flagelli? Lo spessore dei flagelli (~120 Ǻ) inferiore al potere di risoluzione del microscopio ottico, ne impedisce la visione all’osservazione microscopica a meno di non usare soluzioni di sali (nitrato di argento), in grado di depositarsi sui flagelli, ispessendoli e permettendone la visione. La presenza dei flagelli può essere dimostrata indirettamente apprezzando il movimento dei batteri con un metodo chiamato: metodo della goccia pendente. Tale metodica utilizza un particolare vetrino più spesso dei vetrini portaoggetto con una escavazione circolare centrale, chiamato cellula di Koch. Movimento dei batteri: metodo della goccia pendente Procedimento Si pone una goccia di sospensione batterica sul coprioggetti. Si ungono con vasellina i bordi del vetrino allo scopo di farlo aderire al vetrino cellula di Koch Si prende la cellula di Koch con la concavità rivolta verso il basso e si fanno aderire i due vetrini. Si capovolge il tutto, in modo che la goccia di sospensione batterica “penderà” all’interno della cavità. I batteri, all’osservazione micro scopica, se mobili si muoveranno vivacemente, assai più rispetto alle specie immobili Dislocazione dei flagelli sulla cellula batterica La presenza dei flagelli, tranne rare eccezioni, è una caratteristica esclusiva dei batteri di forma cilindrica (bacilli, vibrioni e spirilli) i quali a seconda della zona di inserzione dei flagelli si distinguono in: Monotrichi un solo flagello polare lofotrichi un ciuffo di flagelli polari anfitrichi due flagelli polari Peritrichi flagelli lungo il contorno Struttura del flagello I flagelli sono formati dalla ripetizione di subunità di una particolare proteina chiamata flagellina che si autoassemblano a formare una struttura elicoidale. Le singole subunità vengono sintetizzate dalla cellula, trasportate lungo l’interno cavo del flagello e depositate all’apice determinandone l’allungamento. Le flagelline di specie batteriche diverse, sono differenti tra loro, sono dotate di spiccate proprietà antigeniche e rappresentano l’antigene H dei batteri mobili Ultrastruttura del flagello Ogni singolo flagello è costituito da tre parti: • Il filamento elicoidale che protrude dalla cellula (“filament”) • Un gancio tubulare che attraversa gli strati esterni di diametro leggermente maggiore rispetto al filamento (“hook”) • Un corpo basale che ancora il flagello alle strutture cellulari e rappresenta il “motore” del movimento rotatorio del flagello Ultrastruttura del corpo basale Il corpo basale è formato da subunità di almeno 15 proteine che si aggregano a formare una struttura tubolare chiamata bastoncello e da una serie di anelli, quattro nei batteri Gram negativi, chiamati: Anello L (lipopolisaccaride) in corrispondenza della membrana esterna Anello P (peptidiglicano) in corrispondenza della parete cellulare Anello S (supermembrana) subito al di sopra della membrana Anello M (membrana) in corrispondenza della membrana Nei batteri Gram+ la struttura del corpo basale è più semplice in rapporto alla diversa organizzazione degli strati esterni e presenta solo l’anello M e quello S. Il movimento dei flagelli • Il movimento dei flagelli avviene attraverso la loro rotazione in corrispondenza del corpo basale e del gancio. • I flagelli batterici non presentano, a differenza delle ciglia degli organismi eucarioti, movimenti ondulatori, bensì rotatori. • Il movimento rotatorio dei batteri può avvenire in senso orario o antiorario. Essendo il passo dell’elica sinistrorso, il movimento orario è più disordinato, quello antiorario risulta più direzionato. • Il senso della rotazione (orario o antiorario) è condizionata da chemiorecettori di superficie che rispondono a stimoli ambientali. • L’energia che determina il movimento rotatorio è generata dal potenziale di membrana durante il trasporto di elettroni nel corso della fosforilazione ossidativa Fimbrie o pili • Sono appendici proteiche che si proiettano al di fuori degli involucri cellulari esterni • Sono presenti solo nei Gram negativi (circondano la cellula) • Originano dalla membrana citoplasmatica e si estendono per 0,2 µm all’esterno. • Sono formate dalla ripetizione di una o due proteine (piline) specifiche per le diverse specie batteriche, organizzate con simmetria elicoidale a formare rigide strutture cilindriche • Alcune proteine, presenti all’estremo libero delle fimbrie conferiscono loro la specifica capacità di legarsi a particolari substrati (adesine). • Una particolare classe di pili è rappresentata dai fili F o pili sessuali. • Sono più lunghi delle fimbrie adesiniche e svolgono un ruolo fondamentale nei processi di “coniugazione” batterica, permettendo lo scambio di materiale genetico. Processo di sporulazione Le spore batteriche sono cellule peculiari per attributi morfologici e funzionali, capaci di sopravvivere nell’ambiente esterno allo stato di quiescenza. Vengono prodotte da un limitato numero di specie per lo più saprofite. Tra i batteri di interesse clinico, gli sporigeni più importanti appartengono a due generi Genere Bacillus sporigeni aerobi Genere Clostridium sporigeni anaerobi Processo di sporulazione La produzione della spora non costituisce una tappa obbligata del ciclo di sviluppo di uno sporigeno, ma si verifica in seguito a condizioni ambientali sfavorevoli (scarsa presenza di nutrienti e di acqua). Nel batterio sporigeno vanno perciò distinte due condizioni alternative: Le cellule termolabili e metabolicamente attive si l’accrescimento vegetativo dividono per scissione binaria alla massima velocità consentita dalle condizioni ambientali sporificazione Vengono sintetizzati tutti i componenti peculiari della spora Significato della spora La sporulazione va considerara come un processo di differenziamento cellulare indotto dal variare delle condizioni ambientali, e rappresenta il risultato di informazioni genetiche che, alternativamente espresse possono consentire la formazione di due tipi cellulari tra loro profondamente diversi: La spora la forma vegetativa La spora matura •E’ profondamente diversa dalla forma vegetativa per composizione chimica, organizzazione strutturale, proprietà fisiologiche •E’ termoresistente, disidratata, priva di evidente attività metabolica. •E’ resistente a molti agenti fisici e chimici, antibiotici e solventi. •E’ in grado, nonostante l’estrema dormienza, di rispondere a determinati stimoli ambientali ed andare incontro al processo di germinazione che comporta interruzione dello stato di quiescenza e ritorno alla forma vegetativa. La spora germinata • • • • E’ un’entità termolabile Idratata Metabolicamente attiva In presenza di nutrienti, a concentrazioni non limitanti dà luogo ad una cellula capace di moltiplicarsi Proprietà delle spore resistenza Calore Essiccamento Congelamento Agenti chimici Radiazioni quiescenza metabolica disidratazione-rifrangenza difficoltà tintoriali per scarsa assunzione del colorante Struttura della spora Dall’interno: • Protoplasto • Membrana interna • Parete sporale • Corteccia sporale • Membrana esterna • Tunica profonda • Tunica intermedia • Tunica superficiale • Esosporio Protoplasto • E’ assente l’RNA messaggero • Sono assenti enzimi per la biosintesi di alcuni aminoacidi • Sono assenti enzimi per la biosintesi dei nucleotidi • Sono assenti enzimi per la biosintesi degli acidi tricarbossilici • E’ presente una copia del cromosoma batterico • Sono presenti i componenti della sintesi proteica • Sono presenti proteine enzimatiche e strutturali • Sono presenti proteine di riserva • Sono presenti gli enzimi per il trasporto terminale degli elettroni Protoplasto (composti a basso p. molecolare) Il protoplasto sporale è caratterizzato dalla presenza di composti a basso peso molecolare spesso complessati tra loro quali: • Acido dipicolinico (si forma da un intermedio della catena biosintetica della lisina, è presente solo nella spora, ne costituisce il 5-15% del peso secco • Aminoacidi (lisina, arginina, ac. glutammico) • Poliammine (spermina e spermidina) • Ioni (Ca++) • Acido 3 fosfoglicerico ( intermedio della glicolisi, rappresenta la riserva energetica della spora) Stato chimico-fisico del protoplasto sporale La caratteristica più saliente del protoplasto sporale è la condizione chimico-fisica in cui si trovano i suoi componenti a causa dell’estrema disidratazione e dell’elevato contenuto di molecole a basso peso molecolare. In assenza di acqua tali composti favoriscono interazioni dirette tra le macromolecole con formazione di legami polari e non polari che portano alla formazione di un gel denso ed esteso chiamato “matrice”o “stroma” della spora. Le macromolecole proteiche in assenza di acqua vengono immobilizzate tramite la formazione di legami realizzati dai composti a basso peso molecolare, pertanto nella spora tali molecole risultano inattive ma non denaturate. Strato della corteccia La corteccia è compresa tra la membrana interna e quella esterna della spora. E’ costituita da peptidoglicano disposto in diversi strati concentrici intorno al protoplasto. E’ distinta in due porzioni: • La più interna denominata parete della spora, ha struttura compatta, presenta numerosi legami trasversi e non va incontro ad autolisi durante la germinazione • La più esterna è costituita da peptidoglicano più lasso 50% dei residui di ac. muramico non presentano il tetrapeptide 20% dei residui di ac. muramico legano una sola L-alanina 30% dei residui di ac. muramico legano il tetrapeptide completo Nel 10% si formano legami trasversi tra le catene tetrapeptidiche Strato delle tuniche (coats) • Costituisce il 50% del volume totale della spora • E’ formato da numerosi strati proteici, densi, compatti, rigidi e sovrapposti. • E’ costituito da proteine (80% delle proteine totali della spora). • Le proteine sono ricche di: cisteina, valina, ac. glutammico e lisina. • La cisteina favorisce la formazione di legami disolfuro intra e inter-molecolari. • Il risultato è una struttura rigida, poco deformabile, pluristratificata, resistente all’azione enzimatica e a molti solventi. Esosporio • • • • • E’ la struttura più esterna della spora Non è sempre presente E’ di tipo membranoso La sua funzione non è chiara E’ formata da proteine, lipidi e polisaccaridi Formazione della spora Il processo di sporificazione evolve in stadi morfologici successivi ed è il risultato di un processo di differenziamento controllato da informazioni genetiche espresse in sequenze temporali definite. 1. Formazione del filamento assiale In questo stadio il cromosoma si rilassa a formare un filamento assiale disposto secondo l’asse maggiore della cellula. 2. Formazione del setto asimmetrico nella cellula ad una estremità compare un setto che divide il protoplasto in due comparti diseguali contenenti ciascuno un cromosoma completo, il comparto più piccolo sarà la sede di formazione della spora. 3. Formazione della prespora In questo stadio si ha la proliferazione delle membrane settali con formazione di una duplice membrana che circonda il comparto cellulare più piccolo (pre-spora). Vengono sintetizzate proteine che operano il trasporto attivo di aminoacidi e ac. dipicolinico, permettendone l’accumulo nel protoplasto sporale 4. formazione della corteccia o cortex Tra le due membrane viene stratificato il peptidoglicano utilizzando le stesse vie che nelle forme vegetative operano la sintesi del peptidoglicano della parete. Due enzimi specifici, sintetizzati allo scopo, determinano le modificazioni strutturali del peptidoglicano corticale. Si verifica accumulo di DPA e di Ca++ nel protoplasto e inizia acquisizione di termoresistenza 5. formazione delle tuniche o coats Vengono sintetizzate proteine specifiche, ricche di zolfo, che vanno a costituire il rivestimento più esterno della spora. 6. endospora matura In questa fase si completa la formazione degli involucri sporali e la spora viene liberata all’esterno in seguito alla lisi dello sporangio. Germinazione E’ il processo in cui cessa la condizione di spora e si ha il ripristino delle attività vegetative. La trasformazione di una spora quiscente in una forma vegetativa è il risultato di 3 processi sequenziali: 1. Attivazione è un processo reversibile che rende le spore pronte a germinare, se esposte a specifici “induttori” della germinazione; questi sono sostanze quali: aminoacidi o nucleosidi che non vengono utilizzati come substrati dalla spora, ma piuttosto si legano a strutture recettoriali, determinandone modificazioni in grado di attivare il metabolismo degradativo. L’attivazione può essere indotta: dall’esposizione a temperature elevate o a seguito di eventi naturali come l’invecchiamento e l’usura degli strati. Germinazione 2. germinazione È un processo irreversibile caratterizzato da una serie di reazioni degradative che portano alla depolimerizzazione della corteccia, con l’eccezione della porzione più interna, ad opera di un enzima litico simile al lisozima e alla perdita di composti spora-specifici. 3. esocrescita L’esocrescita della spora germinata si attua quando vengono forniti nutrienti a concentrazioni non limitanti. Durante l’esocrescita si verificano una serie di eventi che ripristinano le condizioni metaboliche della crescita vegetativa Riproduzione dei batteri I batteri si riproducono per “schizogonia” o divisione semplice: una cellula madre cioè si divide e forma due cellule figlie perfettamente uguali tra loro, perché ciò possa avvenire è necessario che il patrimonio genetico venga egualmente ripartito, il DNA pertanto deve potersi duplicare. Questo processo assicura la corretta ripartizione del corredo genetico tra le cellule figlie. Il materiale genetico dei batteri (DNA) è organizzato in un’unica molecola di forma circolare. Il processo di duplicazione ha inizio da un punto di origine posto sulla membrana citoplasmatica e termina dal lato opposto Fasi della riproduzione batterica Duplicazione del cromosoma batterico: il materiale cromosomico, ancorato alla membrana citoplasmatica, si duplica generando due nuovi cromosomi ancorati ciascuno separatamente alla membrana Accrescimento delle membrane: si verifica l’accrescimento delle membrane batteriche e il conseguente allungamento della cellula, partendo dalla zona di membrana che separa le due strutture cromosomiche Allontanamento delle strutture cromosomiche: continuando l’accrescimento della cellula, le due strutture cromosomiche si distanziano sempre di più l’una dall’altra Separazione delle cellule figlie: la separazione è causata dalla formazione di un setto che parte dalla membrana e si approfonda nel citoplasma in direzione centripeta Distacco delle cellule: all’interno del setto di membrana si forma un setto di parete permettendo il definitivo distacco delle cellule. Se il setto non si completa le cellule neoformate rimangono unite in aggruppamenti spaziali caratteristici. La curva di crescita dei batteri I batteri, se le condizioni sono opportune per lo sviluppo, si riproducono assai velocemente e il loro numero aumenta in breve tempo. Misurando la quantità di batteri presenti nell’unità di volume di un terreno liquido a diversi intervalli di tempo, si può costruire un grafico che rispecchia la cinetica del processo replicativo della popolazione batterica della coltura. Il grafico ha un aspetto caratteristico, simile per tutti i batteri e può essere suddiviso in diverse fasi. Curva di crescita: fasi Misurando il numero di batteri vivi presenti in una unità di volume a vari intervalli di tempo e riportando i valori in un diagramma ad assi cartesiani nel quale in ascisse si pone il tempo e in ordinate il log del numero dei batteri vivi si ottiene una curva che può essere suddivisa in 4 fasi. 1) Fase di latenza in questa fase non si ha aumento nel numero dei batteri. La durata di questa fase può essere molto diversa a seconda delle specie batteriche e delle condizioni di coltura; è dovuta alla necessità per i batteri di sintetizzare gli enzimi necessari alla metabolizzazione dei substrati presenti nel terreno (fase di adattamento metabolico) Curva di crescita: fasi 2) Fase esponenziale o logaritmica Quando tutti i batteri hanno terminato i processi metabolici necessari alla riproduzione, inizia la fase esponenziale nella quale si ha un rapido incremento nel numero dei batteri in rapporto al tempo. Questa fase non può durare all’infinito poiché determina un rapido esaurimento di nutrienti con allungamento del tempo di moltiplicazione. 3) Fase stazionaria Il numero di batteri vivi si mantiene costante, il modesto numero di batteri che ancora si dividono bilancia quelli che muoiono. 4) Fase di morte o di declino Il numero di batteri cala progressivamente in quanto il numero di batteri che muoiono supera quelli che sopravvivono o ancora riescono a dividersi Le colture continue Normalmente si dice che una coltura è giovane, quando è in fase logaritmica di sviluppo e vecchia quando si trova in fase stazionaria. La distinzione tra giovane e vecchia non riguarda la cellula batterica ma è dovuta alle condizioni del mezzo di coltura e alla disponibilità di nutrienti. E’ possibile mantenere una coltura batterica giovane per il tempo che si desidera utilizzando particolari sistemi di coltura (chemostati) in cui da una parte si ha continua sottrazione di terreno invecchiato e dall’altra si ha aggiunta di uguale quantità di terreno fresco. In tal maniera si mantiene indefinitivamente la coltura in condizioni ottimali, per cui si ha la moltiplicazione di tutti i batteri presenti. La coltivazione dei batteri Terreni di coltura: sono dei substrati artificiali nei quali è possibile coltivare (far crescere e moltiplicare) i microrganismi in laboratorio al di fuori degli ambienti naturali. Coltivare i batteri è essenziale per poterli studiare, per valutare i fattori che ne influenzano lo sviluppo, per saggiare l’attività di sostanze dotate di attività antibatterica. Requisiti dei terreni di coltura: Appropriato apporto di elementi nutritivi Opportuno grado di umidità Opportuno valore di pH Idoneo potenziale ossido-riduttivo Sterilità Classificazione dei terreni di coltura In base alle esigenze nutritive: Terreni minimi (contengono gli elementi essenziali per lo sviluppo) Terreni generali (utili per quasi tutti i microrganismi) Terreni per batteri esigenti (contengono sostanze specificatamente richieste da taluni microrganismi In base alla composizione: Terreni selettivi (permettono lo sviluppo solo di taluni batteri in quanto contengono sostanze che inibiscono lo sviluppo degli altri) Terreni elettivi (permettono lo sviluppo di un gruppo di batteri senza impedire lo sviluppo degli altri) Terreni differenziali (differenziano i batteri in base al comportamento biochimico) Terreni selettivi e differenziali (permettono lo sviluppo solo di alcuni batteri e li differenziano in base al comportamento biochimico Classificazione dei terreni di coltura In base alla consistenza Terreni Terreni Terreni Terreni liquidi (consistenza liquida es. brodo) solidificabili (brodo con aggiunta di 1,5-2% di agar) semisolidi (<quantità di agar utile per la motilità batterica) coagulati (contengono siero). L’agar è un polisaccaride estratto dalle alghe, non è utilizzato dai batteri come nutriente ma è usato per rendere solido un terreno liquido. L’agar fonde alla temperatura di 100°, rimane liquido fino a 45° e solidifica a temperatura ambiente. I terreni a base di agar: 1) assumono la forma del recipiente durante la solidificazione 2) possono essere miscelati con sostanze termolabili es. sangue 3) Offrono la possibilità di inoculare sospensioni batteriche (agar germi) Fattori che influenzano la crescita dei microrganismi • Temperatura (batteri psicrofili, mesofili, termofili) • Ossigeno (aerobi, anaerobi, facoltativi) • Anidride carbonica (5-10% necessaria per talune • specie) Fattori di accrescimento (alcuni batteri non riescono a sintetizzare taluni metaboliti che debbono essere loro forniti) Principi e tecniche di sterilizzazione Definizione la sterilizzazione è l’operazione la quale, mediante tecniche fisiche o chimiche, determina l’uccisione di tutti i microrganismi (patogeni e saprofiti) presenti in un materiale La disinfezione, invece, con l’impiego di sostanze chimiche ad azione germicida determina l’uccisione solamente dei patogeni. La sterilizzazione si può ottenere mediante: calore: (fiamma diretta, calore umido, secco, vapore sotto pressione) filtrazione radiazioni gas Sterilizzazione mediante calore Fiamma diretta utilizza il becco Bunsen, serve per sterilizzare l’ansa e per il “flambaggio” dei bordi dei recipienti durante le operazioni di apertura e chiusura. Calore umido molto efficace, uccide i microrganismi a temperature inferiori rispetto a quelle utilizzate con il calore secco grazie alla maggiore conducibilità termica del vapore. Si attua con: 1) liquidi caldi (acqua): bollitura, pastorizzazione 2) Vapore fluente o sotto pressione (sterilizzazione con vapore fluente, tindalizzazione, autoclave) Bollitura Si ottiene utilizzando liquidi alla temperatura di 100°, uccide i microrganismi in forma vegetativa; usata per siringhe, materiali da medicazione. Pastorizzazione Serve per ridurre la carica batterica da un materiale ad es. il latte (prende il nome da Pasteur). Sterilizzazione mediante vapore fluente Per vapore fluente si intende il vapore acqueo alla temperatura di 100°, esso possiede grande forza di penetrazione. Un sistema impiegato per formare vapore fluente è la pentola di Koch, un recipiente a chiusura non ermetica all’interno del quale l’acqua bolle alla temperatura di 100°. Sterilizzazione frazionata (Tindalizzazione) Si applica quando il materiale da sterilizzare non tollera le alte temperature (terreni contenenti proteine del latte o siero). L’apparecchio usato è il gelatinizzatore di koch. Tecnica Si sottopone il materiale a tre trattamenti termici a 80° per 30’ a distanza di 24h uno dall’altro. Si uccidono sia le forme vegetative sia le spore e si ha solidificazione del terreno. Sterilizzazione con vapore sotto pressione Metodo riservato al materiale che può tollerare le alte temperature (terreni di coltura e soluzioni stabili al calore). Apparecchio utilizzato: autoclave. Autoclave L’azione sterilizzante è data dalle temperature raggiunte dal vapore saturo sotto pressione. Esiste corrispondenza tra i valori di pressione e temperatura: alla temperatura di 121° corrisponde la pressione di 1 atm capace di permettere la sterilizzazione del materiale in un tempo di 15-30 min. Tecnica: 1. Porre il materiale chiuso con tappi all’interno dell’apparecchio. 2. Chiudere il coperchio dell’autoclave. 3. Accendere l’autoclave, l’acqua bollendo genera vapore che sostituisce l’aria presente nella camera di sterilizzazione. 4. Attendere che il vapore fuoriesca dal rubinetto di scarico e chiudere il rubinetto stesso 5. Controllare la corrispondenza tra temperatura e pressione e lasciar agire il tempo richiesto. 6. A sterilizzazione avvenuta, per aprire l’autoclave attendere che la pressione sia tornata ai valori ordinari. Sterilizzazione con calore secco Principio sterilizzante: aria fortemente riscaldata Apparecchio impiegato: forno Pasteur È un apparecchio nel quale l’aria calda generata da resistenze circola nel comparto interno. La sterilizzazione si ottiene regolando la temperatura a 160-180° C per 2 h. Utile per sterilizzare: vetreria e strumentario resistente alle alte temperature, ma non per i terreni di coltura Sterilizzazione per filtrazione Si usa per sterilizzare liquidi contenenti sostanze labili al calore come: vitamine, proteine del siero etc. Procedimento: il materiale da sterilizzare viene fatto passare attraverso una membrana provvista di pori il cui diametro permette il passaggio del liquido ma non dei batteri. I filtri più usati sono monouso da inserire in: 1. imbuti sterilizzabili 2. contenitori preconfezionati monouso 3. su siringa Sterilizzazione con radiazioni Sterilizzazione con radiazioni Le radiazioni ionizzanti sono radiazioni elettromagnetiche con un’energia tale da provocare la formazione di ioni e altri composti reattivi dalle molecole con le quali entrano in collisione. Tali molecole reattive degradano biopolimeri come il DNA e le proteine con conseguente morte della cellula. Le radiazioni sono usate per prodotti farmaceutici e materiale suscettibile al calore. Le radiazioni debbono essere applicate ad una lunghezza d’onda inferiore a 300nm, si impiegano: Raggi gamma ( si ottengono da una sorgente di cobaldo 60) Raggi X non usati in campo alimentare, alterano i caratteri organolettici, sono prodotti da un filamento riscaldato che scorre all’interno di un tubo vuoto. Sterilizzazione gassosa Sterilizzazione gassosa Si usa per materiale in plastica monouso Si impiega ossido di etilene al 10% e CO2 al 90% (per ridurre l’infiammabilità) Si usano apparecchiature simili alle autoclavi Temperatura: 55°, tempo necessario: 4-8 h in presenza di umidità. Provoca alchilazione dei gruppi sulfidrilici e aminici, delle proteine e dei gruppi iminici degli acidi nucleici. Terminata la sterilizzazione, allontanare i residui di ossido di etilene tramite areazione in speciali camere di areazione. (sistema di sterilizzazione lento). Metodo utile anche per apparecchiature, materiale per disinfezione, superficie delle compresse. L’azione patogena dei batteri Un batterio può essere definito patogeno, quando è in grado di penetrare, attecchire e moltiplicarsi nell’organismo umano, danneggiandolo con la produzione di sostanze tossiche denominate tossine. I meccanismi dell’azione patogena sono pertanto: la moltiplicazione in vivo la produzione di tossine Virulenza: indica il grado della patogenicità. Fattori di virulenza: Sono i mezzi con cui si esprime la patogenicità dei microrganismi Vie di ingresso dei batteri nell’ospite Le vie che normalmente permettono l’ingresso dei microrganismi nell’ospite sono rappresentate da: Via orale (attraverso gli alimenti) Apparato respiratorio (attraverso l’aria inspirata) Congiuntiva dell’occhio Apparato genito-urinario La moltiplicazione in vivo dei batteri Avvenuta la penetrazione nell’ospite, nella maggior parte delle infezioni, la colonizzazione batterica si verifica a livello delle mucose tramite: Adesine strutture superficiali di natura proteica capaci di legarsi alle membrane eucariotiche o a proteine della matrice intercellulare Polisaccaridi capsulari La moltiplicazione batterica è seguita dalla formazione di biofilm cioè di una struttura complessa formata da una matrice polimerica autoprodotta capace di invadere ampie zone di mucosa. I batteri stabilmente insediatisi a livello delle mucose possono: Rimanere localizzati nella sede primaria d’infezione Raggiungere l’area riccamente vascolarizzata della sottomucosa Diffondere per via ematica colonizzando tessuti e organi a distanza Evasione delle difese antibatteriche dell’ospite I batteri insediatisi nell’organismo mettono in opera meccanismi capaci di evadere le difese dell’ospite rappresentati dai fattori di virulenza, suddivisi in: Aggressine sostanze non tossiche che promuovono l’attecchimento e l’invasione dei batteri impedendo le difese dell’ospite: •mediante inibizione della migrazione macrofagica •attraverso strutture di superficie ad azione antifagocitaria (antigeni di superficie, proteina M di S. pyogenes, capsula, etc.) •attraverso enzimi che favoriscono la diffusione tissutale (ialuronidasi, chinasi, proteasi, collagenasi, DNAsi) •mediante la produzione di leucocidine in grado di danneggiare i leucociti •mediante produzione di catalasi e superossidodismutasi in grado di resistere ai meccanismi di killing intracellulare dei macrofagi Tossine Si suddiviono in eso ed endotossine a seconda che siano prodotte dal batterio e secrete all’esterno o che facciano parte della struttura cellulare batterica. Differenze tra esotossine ed endotossine Esotossine • • • • • • • • Prodotte da Gram+ e GramNatura chimica: proteica Termolabili Cronolabili Fortemente antigeni Convertibili in anatossine Tossicità elevata (DL50-μg) Azione tossica specifica Endotossine • Prodotte solo da Gram• Lipopolisaccaridica • Termostabili • Cronostabili • Debolmente antigeni • Non convertibili in anatossine • Tossicità minore (DL50-mg) • Azione tossica non specifica Esotossine Natura chimica: generalmente proteica con qualche eccezione monomerica Struttura: dimerica multimerica multifattoriale Antigenicità: elevata Possibilità di tossine diverse antigenicamente anche se prodotte dallo stesso batterio. Possibilità di tossine simili antigenicamente, ma prodotte da batteri diversi Classificazione delle esotossine in base alla specificità dell’azione tossica • Tossine citolitiche ledono le membrane delle cellule bersaglio provocandone la morte • Tossine neurotrope il bersaglio è rappresentato dalle cellule del sistema nervoso centrale o periferico • Enterotossine agiscono a livello delle cellule della mucosa intestinale specialmente dell’intestino tenue • Tossine pantrope sono in grado di danneggiare qualsiasi cellula attraverso l’alterazione, la deregolazione o il blocco di alcuni eventi metabolici. Tossine citolitiche: emolisine Bersaglio cellulare d’azione delle tossine Struttura cellulare bersaglio emazie ed altri tipi cellulari membrana citoplasmatica Meccanismo d’azione • Formazione di pori o canali di transmembrana alcune tossine sono formate da polipeptidi con carattere anfilitico che si inseriscono nel doppio strato lipidico della membrana formando piccoli pori o canali che mettono in comunicazione il citosol con l’ambiente esterno (tossina a di Staphylococcus aureus, streptolisina O di Streptococcus pyogenes, emolisina di Bordetella pertussis) • Azione enzimatica sui lipidi di membrana alcune tossine sono veri e propri enzimi in grado di idrolizzare alcuni componenti lipidici della membrana. L’attività enzimatica è di tipo fosfolipasico c e ha come bersaglio la fosforilcolina. Meccanismo d’azione tossine citolitiche La emolisina α di Staphylococcus aureus è una proteina monomerica che polimerizza sulla membrana delle cellule bersaglio formando oligomeri eptamerici tubulari che si inseriscono nella porzione lipidica della membrana causando la formazione di pori che alterano gli scambi della cellula con l’ambiente, causandone la morte Tossine neurotrope (tossina butulinica e tetanica) Sono tossine che interferiscono con il meccanismo di trasmissione degli impulsi, a livello periferico (tossina butulinica) o centrale (tossina tetanica). Tossina butulinica agisce attraverso il blocco della trasmissione colinergica presinaptica mediata dall’acetilcolina (Ach). Agisce pertanto su: • terminazioni pregangliari • terminazioni postgangliari parasimpatiche • terminazioni dei motoneuroni Viene inbita la liberazione di Ach con paralisi flaccida dei muscoli viscerali e striati; la morte interviene per arresto cardio-circolatorio Tossina tetanica agisce a livello del SNC bloccando l’impulso nervoso inibitore del riflesso da stiramento muscolare per cui ad ogni contrazione muscolare segue la contrazione del muscolo antagonista con paralisi di tipo spastico. Enterotossine: tossina colerica La tossina colerica, prototipo delle enterotossine è formata da una subunità A (attiva), circondata da 5-6 subunità B (subunità di legame). La subunità A è costituita da due catene: A1 e A2. Il frammento A1 ha attività ribosilante e esplica l’azione sulla proteina G attivatrice dell’enzima adenilato ciclasi, il quale converte l’ATP in AMPc. Viene così a prodursi una notevole quantità di AMCc che provoca la fuoriuscita di ioni con conseguente perdita di liquidi che si riversano nel lume intestinale. Tossine pantrope: tossina della pertosse E’ prodotta da Bordetella pertussis, è composta da una subunità A e da 5 subunità B. La subunità A è quella enzimaticamente attiva e ribosila la proteina G inibitrice dell’adenilato ciclasi che acquista un più elevato livello di attività. La tossina interagisce con differenti tipi cellulari e determina nelle cellule bersaglio effetti diversi indotti dall’incremento dell’AMPc e dall’alterata trasmissione del signaling di membrana quali: • inibizione dell’attività fagocitaria dei macrofagi • aumento della sensibilità all’istamina • aumentata produzione di insulina Bersaglio dell’azione delle tossine colerica e della pertosse Tossina pantropa della difterite E’ il principale strumento di patogenicità di C. diphteriae. E’ una tossina A-B (l’estremo COOHterminale forma il componente B di legame, mentre l’estremo NH2-terminale rappresenta la parte tossica. La tossina, diffondendo, si lega a recettori di membrana tramite l’estremo B e viene scissa ad opera di proteasi nei due componenti che rimangono uniti tramite un ponte disolfuro. La tossina viene introdotta poi nella cellula per endocitosi e dopo interruzione del ponte disolfuro ad opera di sostanze riducenti il componente A viene liberato nel citosol. Esso possiede attività ADP-ribosilante, stacca la nicotinamide dal NAD trasformandolo in ADP ribosio che si lega al fattore di allungamento EF-2 della sintesi proteica. Il complesso EF-2ADP-riboso che ne risulta è inattivo, di conseguenza la sintesi proteica è bloccata con morte cellulare. Tossina carbonchiosa e adenilato ciclasi batteriche La tossina carbonchiosa è una tossina multifattoriale formata da tre proteine diverse che singolarmente sono prive di potere patogeno. Esse sono: Fattore edematogeno (EF): è un’adenilato ciclasi che provoca l’accumulo intracellulare di AMPc con conseguente raccolta di liquidi negli spazi interstiziali Fattore letale (LF): è una metalloproteasi in grado di attaccare alcune chinasi che intervengono nelle cascate di segnali indotti da diversi stimoli di membrana. La conseguenza è il rilascio di grandi quantità di citochine mediatrici dello shock cui si devono gli effetti letali della tossina Componente PA (protective antigen): è la proteina la quale legata alla superficie della membrana permette l’ancoraggio del fattore I° (EF) e del fattore III° (LF) Tossina del carbonchio Il fattore protettivo PA rappresenta il componente “binding” il quale una volta ancorato sulla membrana viene attaccato da proteasi che distaccano un frammento che scopre un recettore che permette l’ancoraggio dei fattori EF e LF. Nelle forme di carbonchio cutaneo, meno gravi, agisce fondamentalmente il fattore edematogeno; nelle forme sistemiche, di tipo inalatorio, più gravi, agisce il fattore letale che causa il rilascio di citochine mediatrici dello shock. Tossine che agiscono come “superantigeni” enterotossine stafilococciche (SE) tossina dello shock tossico (TSST) tossine pirogene streptococciche (SPE) superantigene streptococcico Staphylococcus aureus Streptococcus pyogenes Meccanismo d’azione Attivazione di linfociti T dovuta alla capacità delle tossine di legare direttamente (senza una precedente internalizzazione) le proteine dell’MCH II e di legare aspecificatamente la catena β del recettore del linfocita T helper. Si attivano in tal modo un gran numero di linfociti Th con conseguente rilascio di interleuchine responsabili della sintomatologia clinica. Superantigeni L’antigene convenzionale, viene esposto nell’MHC classe II al riconoscimento del recettore della cellula T con capaci tà combinatoria specifica. Il superantigene invece lega direttamente, senza internalizzazione, le proteine del MHC e in maniera aspecifica la catena β del recettore del linfocita T helper. Endotossine Le endotossine sono rappresentate dal lipopolisaccaride (LPS) che costituisce lo strato periferico della membrana esterna dei batteri Gram negativi. Risulta costituito dal lipide A, dal core e dall’antigene O Lipide A Core antigene somatico (unità ripetitive) Organizzazione strutturale dell’LPS Lipide A rappresenta la porzione tossica dell’LPS (endotossina), è formato da glucosamina fosforilata ed esterificata con diversi acidi grassi saturi Core struttura polisaccaridica legata al lipide A caratterizzata dalla presenza di zuccheri particolari come l’acido cheto-deossioctonoico e da un eptoso Antigene O porzione polisaccaridica specifica ancorata al core formata da una lunga catena, spesso ramificata, costituita da subunità tri-tetra o penta saccaridiche formate da zuccheri diversi nelle differenti specie batteriche, cui conferisce determinati caratteri antigeni. Caratteristiche delle endotossine Le endotossine, considerata la loro particolare natura chimica, sono termostabili e cronostabili e assai poco dotate di potere immunogeno. Non sono pertanto detossificabili in preparazioni omologabili alle anatossine o tossoidi che si possono invece preparare da numerose esotossine. Azione tossica delle endotossine Il meccanismo alla base dell’azione tossica delle endotossine è molto complesso e può essere considerato il risultato della massiccia stimolazione di “sensori” in grado di coinvolgere vari elementi cellulari implicati in una serie di risposte intese ad esercitare un’azione protettiva dell’organismo nei confronti dei Gram-. Tali reazioni possono risultare notevolmente dannose e sfociare nel cosidetto shock endotossico. In passato si riteneva che l’ LPS danneggiasse le cellule bersaglio con un’azione diretta, oggi si è scoperto che il TNF (tumor necrosis factor) e l’IL-1 (interleuchina 1) prodotti dai macrofagi in risposta all’azione dell’ LPS sono i principali mediatori dello shock endotossico. Effetti tossici della liberazione dell’endotossina In conseguenza dell’ interazione del lipide A con i macrofagi e del rilascio di mediatori quali TNF e IL-1 si avrà: 1) Azione pirogena 2) Produzione di prostaglandine per att. via metabolica ac. arachidonico 3) Aumento permeabilità vascolare 4) Vasodilatazione 5) Ipotensione e shock emodinamico 6) Azione mitogena sui linfociti 7) Rallentamento metabolismo del ferro Effetti dell’attivazione del complemento per la via alternativa 1) Aumento del C3a e del C5a 2) Danneggiamento degli endoteli 3) Aggregazione piastrinica 4) Attivazione via intrinseca della coagulazione 5) Possibilità di coagulazione intravasale disseminata Presenza di endotossina e innesco di meccanismi difensivi dell’organismo La presenza dell’ LPS nell’organismo stimola un sistema di efficacissimi sensori che rappresenta lo strumento per attivare una serie di fattori difensivi dell’organismo in grado di contrastare, il più delle volte efficacemente, l’invasione da parte di GramCiò spiega come mai il sistema in grado di permettere l’interazione dell’ LPS con i macrofagi, alla base dell’ azione dannosa dell’ LPS si sia mantenuto durante l’evoluzione. Trasferimento intercellulare del materiale genetico Il genoma batterico presenta una notevole “plasticità” in grado di conferire possibilità evoluzionistiche e di adattabilità. Tale possibilità è accresciuta da meccanismi di trasferimento intercellulare di materiale genetico, che pur non paragonabili ai processi di riproduzione sessuata, rappresentano un fondamentale presupposto evoluzionistico. Meccanismi di trasferimento del materiale genetico Trasformazione assunzione di DNA presente in forma solubile nell’ambiente Trasduzione trasferimento di geni batterici da una cellula ad un’altra tramite virus batterici (batteriofagi). Coniugazione trasferimento diretto di materiale genetico attraverso un contatto fisico tra cellule diverse. Trasformazione Fu scoperta da Griffith che indagava sulla patogenicità dello Streptococcus pneumoniae, sul finire degli anni ’20. Inoculando nel topino una miscela di pneumococchi non capsulati e quindi avirulenti vivi, con pneumococchi capsulati virulenti uccisi, il topino moriva e i batteri isolati erano rappresentati da pneumococchi capsulati vivi. La spiegazione era la trasformazione dei batteri incapaci di produrre la capsula in batteri in grado di sintetizzare tale struttura ad opera di “materiale” ceduto dai batteri virulenti, ma uccisi. La sostanza trasformante fu identificata nel DNA dei batteri uccisi, 30 anni dopo, ad opera di Avery, Mc Leod e MC Cartey Per poter assumere DNA trasformante la cellula deve trovarsi in una condizione chiamata stato di competenza che coincide con l’elaborazione di una sostanza: il fattore di competenza. Tale proteina induce la sintesi di proteine tra le quali una autolisina che digerisce una porzione della parete e una nucleasi che digerisce uno dei due filamenti del DNA. Il filamento residuo viene introdotto nella cellula e saldato in corrispondenza di zone di omologia del DNA del ricevente. Trasduzione Trasferimento di geni batterici da una cellula all’altra per mezzo di virus batterici (batteriofagi o fagi). Meccanismo sicuro in quanto i geni trasdotti viaggiano all’interno del fago, al riparo dalle nucleasi ambientali Vengono trasferiti solo pochi geni (quelli che possono essere inglobati nella testa fagica) E’ la conseguenza di “errori” che possono accadere nella replicazione dei batteriofagi Batteriofagi o fagi Sono particolari virus che compiono in proprio ciclo riproduttivo all’interno di una cellula batterica. Sono costituiti da un acido nucleico, in genere DNA, incluso in un contenitore proteico (testa), che continua con la coda, la quale termina con una piastra recante delle fibre capaci di legarsi alla superficie batterica. Processo riproduttivo dei fagi Il processo riproduttivo dei batteriofagi avviene in diverse fasi che prevedono: 1) adsorbimento del fago sulla supercifie cellulare dello specifico ospite 2) iniezione del DNA fagico all’interno del batterio. 3) trascrizione dei messaggeri fagici 4) sintesi delle componenti fagiche in diverse copie 5) montaggio delle componenti fagiche così da costituire particelle mature infettanti 6) lisi della cellula batterica 7) fuoriuscita delle particelle fagiche Processo riproduttivo dei fagi (fasi) La prima fase del processo consiste nell’adsorbimento del fago sulla superficie dello specifico ospite, attraverso le strutture caudali che si legano a specifici recettori per i fagi. Essendo elevato il numero dei recettori è possibile che più particelle fagiche si adsorbano Successivamente l’acido nucleico del fago viene iniettato all’interno della cellula batterica, passando attraverso la coda e ha inizio la trascrizione. I messaggeri fagici vengono trascritti e tradotti secondo precise seguenze temporali e sono distinti in: precoci immediati precoci ritardati ritardati Trascrizione messaggeri fagici I primi messaggeri che vengono trascritti e tradotti codificano per la formazione di un prodotto genico immediato rappresentato da nucleasi in grado di idrolizzare il DNA dell’ospite. I geni precoci ritardati, codificano per enzimi fagici che producono una nuova base nucleotidica la 5-idrossimetilcitosina che rimpiazza la citosina del DNA fagico. Ciò impedisce alle nucleasi batteriche di idrolizzare le copie di acido nucleico fagico che si stanno costituendo in questa fase. I geni ritardati sono quelli che codificano per le altre componenti strutturali fagiche come: le teste, le code e le fibre Costruzione e rilascio di particelle fagiche Completata la sintesi di acido nucleico e di proteine strutturali in molteplici copie, il fago comincia a “comporre” tutti i materiali in particelle mature. Le particelle fagiche cominciano ad accumularsi all’interno della cellula (da 100 a 300 fagi) finchè non inizia il fenomeno della lisi e la fuoriuscita delle particelle stesse pronte a raggiungere nuovi ospiti e a iniziare un nuovo processo. Questo ciclo riproduttivo che si conclude con la lisi della cellula ospite è detto ciclo litico e i fagi che lo attuano sono detti fagi virulenti Fagi virulenti e fagi temperati Fagi virulenti: ciclo litico con lisi della cellula bersaglio Fagi temperati: ciclo lisogeno, il fago può rimanere all’interno della cellula ospite come elemento extracromosomiale (profago) oppure si integra nel genoma batterico in zone di omologia di sequenza nucleotidica e viene replicato ad ogni duplicazione (profago integrato). In conseguenza di adeguati stimoli il profago va incontro a espressione genica, avvia un ciclo litico con produzione di progenie e lisi cellulare. La cellula che ospita un fago temperato è perciò detta lisogena. Trasduzione generalizzata trasduzione generalizzata il trasferimento genico interessa un frammento qualsiasi di DNA proveniente dalla cellula donatrice Questo tipo di trasferimento viene attuato da fagi virulenti o da fagi temperati nei quali si sia avuta l’induzione al ciclo litico. In entrambi i casi specifiche nucleasi tagliano il genoma batterico creando “pezzi” che possono venire erroneamente inglobati nelle teste fagiche durante le fasi di montaggio. Si formeranno pertanto particelle fagiche anomale che conterranno nella propria testa, al posto dei geni fagici, geni batterici. Tali particelle anomale infettando un successivo ospite trasferiranno geni batterici derivanti dall’infezione precedente Trasduzione generalizzata Un fago, durante le fasi finali di assemblaggio, incorpora erroneamente nella propria testa un tratto di cromosoma batterico ottenuto a seguito dell’azione delle nucleasi. Trasduzione specializzata Trasduzione specializzata Il trasferimento genico interessa geni adiacenti al punto di integrazione del profago Questo tipo di trasferimento è attuato dai fagi temperati nei quali si sia avuta l’integrazione del profago nel cromosoma batterico. Quando si verifica l’induzione al ciclo litico può accadere che i geni fagici vengano erroneamente escissi in seguito al taglio effettuato dalle nucleasi. Tale taglio può lasciare taluni geni fagici a valle nel cromosoma batterico, mentre a monte, insieme ai geni fagici possono essere escissi geni batterici, adiacenti al punto di integrazione del profago. Si formeranno perciò fagi che conterranno nel proprio ac. nucleico anche geni batterici. Tali fagi infettando un nuovo ospite trasferiranno tali geni, che non sono geni qualsiasi come nella trasduzione generalizzata, bensì geni adiacenti al punto di integrazione nell’infezione precedente. Trasduzione specializzata Il fago di E. coli si inserisce tra il gene gal e il gene bio, nel caso di un taglio anomalo geni batterici vengono escissi con il DNA fagico o da un sito o da un altro. I fagi che si ottengono sono difettivi avendo perso geni fagici, ma sono comunque infettanti e possono integrare il loro genoma nei batteri suscettibili. Coniugazione •Trasferimento di materiale genetico da un batterio all’altro attraverso un contatto tra le due cellule. •E’ presente nei batteri che possiedono particolari plasmidi detti “coniugativi”. •Tali plasmidi presentano elevata frequenza di trasferimento intercellulare e occasionalmente possono trasferire un tratto di cromosoma. •Il plasmide coniugativo più conosciuto è il plasmide F. Coniugazione Il plasmide coniugativo più conosciuto è il plasmide F. F è una molecola circolare di DNA bicatenario capace di replicarsi autonomamente. Un terzo dei geni del plasmide sono geni tra che codificano la produzione di un “pilo F”. Se cellule contenenti un plasmide F (F+) sono mescolate con cellule che prive (F-) si ha la formazione di “coppie coniugative” per l’attacco del pilo F alla cellula F-. In seguito a tale contatto uno dei due filamenti del plasmide viene tagliato e passa nella cellula F-. Completato il trasferimento, il filamento di DNA viene completato con la sintesi del filamento complementare e viene ricircolarizzato. La cellula ricevente ora possiede un plasmide F completo che è in grado di trasferire ad una cellula F-. Integrazione del plasmide F Il genetista italiano Cavalli Sforza scoprì che il plasmide F può integrarsi nel cromosoma della cellula ricevente che sarà chiamata Hfr (alta frequenza di ricomb.). Quando una cellula Hfr entra in contatto con una cellula F- si ha trasferimento di geni cromosomici, che inizia nel punto in cui il fattore F si è integrato e procede lungo il cromosoma in direzione fissa. Il trasferimento dura fino a che si realizza il contatto tra le due cellule, la possibilità pertanto che uno specifico gene sia trasferito dipenderà dalla sua distanza dal punto di inizio del trasferimento.