LO STUDIO I.CO.N.A. Italian Cohort of Antiretroviral Naive Patients NOTA INFORMATIVA PROGETTO ICONA 2004 L’HIV DEI “COLLETTI BIANCHI”: SINGLE E DIPLOMATO ECCO IL NUOVO SIEROPOSITIVO TIPO ITALIANO Roma, 6 luglio 2004 - Maschio, italiano, 37 anni, single, residente nel centro Italia, un lavoro fisso e un discreto livello di istruzione. In una buona percentuale dei casi ha contratto l’infezione da poco attraverso rapporti sessuali con partner occasionali di cui non conosceva lo stato di sieropositività da HIV. E’ questo l’identikit del paziente tipo che emerge dal Rapporto ICONA 2004, la più importante coorte italiana con i suoi 5755 pazienti naive (4036 maschi e 1719 femmine) arruolati al 10 maggio scorso. Lo studio osservazionale - vanto dell’infettivologia italiana con oltre 60 centri e 6 Università coinvolti, giunto al settimo dei 10 anni previsti – rappresenta una delle principali chiavi di lettura dell’andamento dell’infezione nel nostro Paese e consente ai ricercatori di fotografare e annotare i comportamenti della popolazione in terapia. Nel corso del tempo si sono ormai consolidate sia la tendenza all’aumento dell’età media dei nuovi infetti, sia le modalità di trasmissione del virus. Nella maggior parte avviene con rapporti eterosessuali: se nel 1997 era la causa del 30% delle infezioni, oggi siamo quasi al 50%. Le donne, sia italiane che extracomunitarie (gli stranieri nella coorte sono 308: 168 maschi e 140 femmine), sono quelle che pagano il maggior pegno: in entrambi i casi il rapporto eterosessuale rimane il primo fattore di rischio: nel 65,2% delle italiane e addirittura nell’82,1% delle ragazze straniere. Analizzando ulteriormente il dato emerge poi che per il 74,8% delle donne italiane il veicolo è l’uomo di casa: in poco più della metà dei casi (39,6%) la donna non conosce le condizioni di salute del partner, mentre il 35,2% ne è consapevole. Sostanzialmente diverso il dettaglio delle ragazze extracomunitarie. Il partner abituale è ‘colpevole’ nel 42,1%: il 34,2 è HIV non noto mentre “solo” il 7,9% lo è. Tra queste ultime la trasmissione maggiore (39,5%) avviene attraverso rapporti occasionali (è il 18,1% tra le italiane). Da non sottovalutare infine un ulteriore dato allarmante e consolidato: il 3,1% delle italiane e il 4,4 delle straniere si infetta facendo sesso senza protezione con un uomo appena incontrato e di cui conosce la sieropositività. Per quanto riguarda gli uomini il quadro cambia radicalmente: il principale fattore di rischio per gli italiani arruolati nella coorte è la tossicodipendenza (32,9%) seguita dall’omosessualità (27,2%) e dall’eterosessualità (23%). Per il 46,4% degli stranieri è invece l’omosessualità, seguita dall’eterosessualità (38,1). Il dettaglio della modalità di trasmissione eterosessuale dei maschi ci dice che il 62,5% degli italiani si infetta con partner occasionali e il 20,3% con la donna di casa (16,9% HIV non nota e 13,4% HIV nota). Anche per il 53,7% degli stranieri che si ammala attraverso rapporti eterosessuali il tramite è un partner occasionale. Nel 37,3% la causa è invece la compagna della vita (nel 31,3% HIV non nota e nel 6% HIV nota). Negli uomini si inverte la tendenza del rischio occasionale conosciuto. Il 3,5% degli italiani contro l’1,5 degli stranieri fa consapevolmente sesso non protetto con una donna sieropositiva appena incontrata. Altri dati interessanti, di cui si accennava all’inizio, riguardano l’età e la scolarità. Il 52,3% degli uomini e il 51,9% delle donne ha un’età compresa tra i 30 e i 39 anni; il 21,9% dei primi e il 13,1% delle seconde tra i 40 e i 49; l’8,8% dei maschi e il 4,8% delle femmine è addirittura ultracinquantenne, per una media nella coorte di 37,4 anni per gli uomini e di 34,4 per le donne. Come detto, il 58,9% degli uomini è celibe mentre le donne sono in prevalenza coniugate (45,8%). Il 49,1% degli italiani e il 31,2% degli stranieri ha la licenza media, il 32,3 dei primi e il 29,2 dei secondi un diploma, il 5,5% degli italiani e il 4,5% degli extracomunitari ha in tasca una laurea. La maggioranza dei pazienti ha un lavoro: dipendente il 45,2% degli italiani e il 31,5 degli stranieri; autonomo il 16,5% dei primi e il 15,9% dei secondi. Solo il 22,7% degli italiani e il 22,4 degli stranieri è disoccupato. Ultima annotazione, la motivazione della condizione naive: il 36,3% degli italiani non aveva avuto indicazione al trattamento mentre al 33,9% è stato riscontrato solo recentemente lo stato di sieropositività. Ribaltato il dato invece per quanto riguarda gli stranieri: il 60,8% degli arruolati in ICONA è stato diagnosticato da poco contro il 20,3% che non aveva avuto indicazione alla terapia. IL RAZIONALE DELLO STUDIO Gli studi osservazionali, di popolazione, rivestono attualmente un'importanza basilare nell'approfondimento delle conoscenze sull'infezione da HIV. Con l'introduzione in commercio di un numero crescente di molecole attive, è infatti sensibilmente aumentato il numero delle opzioni terapeutiche iniziali e di seconda linea. Gli studi osservazionali si differenziano dagli studi clinici sperimentali e controllati nella metodologia, negli obiettivi ed abitualmente nella durata e nella numero dei pazienti arruolati. Negli studi clinici controllati è valutato il raggiungimento di un numero limitato di end-points primari o secondari su casistiche rigidamente selezionate ed attribuite secondo un criterio di randomizzazione a diversi trattamenti. Il numero dei pazienti arruolati e la durata dello studio è pre-calcolata al fine di garantire significato statistico ad eventuali differenze emerse tra i gruppi che compongono lo studio. Le condizioni sperimentali sono pertanto in buona misura precostituite al fine di conferire massima efficacia allo studio. La numerosità della casistica ed il tempo di osservazione sono fortemente limitati. Gli studi osservazionali si pongono l'obiettivo di fotografare periodicamente le dimensioni di vari parametri su una coorte di soggetti selezionati in funzione di ampi criteri di inclusione. Questi studi si fondano su premesse metodologiche assai meno rigorose rispetto agli studi sperimentali ma nel contempo permettono di ottenere informazioni più aderenti a quanto di fatto avviene 'sul terreno'. La validità statistica dei dati osservazionali, inficiata dal ridotto rigore metodologico e dal numero di variabili praticamente infinite, è recuperata dall'elevata numerosità delle persone arruolate. Gli studi osservazionali non possono sostituire gli studi sperimentali ma li completano verificandone i risultati sul campo su ampie casistiche e per lunghi tempi di osservazione. La varietà di dati raccolti permette inoltre numerose possibilità di aggregazione e la messa in evidenza di varie correlazioni. Numerose coorti internazionali (EuroSIDA, Athena, MACS, Swiss Cohort etc) hanno recentemente portato contributi rilevanti alla conoscenza della storia naturale e farmacologica dell'infezione da HIV. Il progetto I.CO.N.A. nasce con l'obiettivo di dotare i Centri clinici e di ricerca italiani di una coorte di persone sieropositive per HIV di dimensioni paragonabili alle altre coorti internazionali e, nel contempo, di differenziarsi da queste per la tipologia dei soggetti arruolati. I.CO.N.A., "Italian Cohort of Antiretroviral Naive Patients" è infatti l'unica coorte attualmente operativa costituita da pazienti non trattati all'atto dell'arruolamento. E' pertanto l'unica coorte in grado di fornire dati attendibili sul ruolo dei primi trattamenti su parametri epidemiologici, clinici, biologici e comportamentali. Le potenzialità del progetto sono pertanto estremamente ampie e diversificate e possono essere amplificate ulteriormente inserendo nel progetto la raccolta di dati o di materiali biologici indirizzata a studi mirati. Rapporto ICONA 2003 L’AIDS IN ITALIA HA I “CAPELLI BIANCHI” UNO SU TRE SI SCOPRE MALATO DOPO I 40 ANNI In Italia una persona su tre che scopre di essere sieropositiva ha più di 40 anni e 1 su 2 (il 52,8%) ha superato i 30: il 19,4% ha un’età variabile tra i 40 e i 50 e il 7% è addirittura ultra cinquantenne. Uomini e donne di ‘mezza età’ con esistenza delineata, famiglia stabile e carriera al top (il 30,6% ha un diploma e il 5,2% una laurea), che si sono probabilmente infettati alla fine degli anni Ottanta, sicuramente per via eterosessuale (il 35% degli uomini e il 64,4% delle donne) ma che in tutto questo tempo non avevano fatto un test, probabilmente perché non si erano mai considerati a rischio, con la conseguenza di avere contribuito alla diffusione dell’Hiv. Un virus che, secondo gli esperti, nel nostro Paese ha finora infettato 110.000 persone, la metà delle quali è però tuttora inconsapevole del proprio stato e va ad alimentare quel fenomeno pericoloso ed allarmante che è il sommerso. Ma anche chi inizia la terapia non riesce a seguirla fedelmente: ben il 20% interrompe totalmente i farmaci per un periodo di tre mesi. Interruzioni che possono essere estremamente pericolose per l’esito clinico, provocando la ripresa dell’attività di replicazione virale, l’abbassamento dei CD4 e anche la progressione della malattia. La nuova fotografia - non più malattia dei giovani e di alcune categorie definite ma dei quarantenni “normali” - emerge dal Rapporto 2003 di ICONA (“Italian CohOrt of Naive Antiretroviral patients”) La coorte comprende attualmente 5.469 pazienti (il 70,1% maschi e il 29,9% femmine). Il fattore di rischio prevalente si conferma quindi la trasmissione per via eterosessuale, che nel nostro Paese rappresenta a tutti gli effetti il vero campanello d’allarme. Negli ultimi 3 anni questo tipo di trasmissione è passata dal 30,7 al 43,6%. Diversa è la modalità di acquisizione del virus in base al sesso. Fra i maschi il 62,6% si è infettato da un partner occasionale di cui ignorava la sieropositività, mentre, tra le femmine, il 36% dal partner abituale di cui era perfettamente a conoscenza dello stato di malattia. L’interruzione volontaria della cura Ma una delle novità più significative e allarmanti uscite quest’anno da ICONA riguarda l’interruzione volontaria della cura. Su 2.500 persone che assumevano la triplice terapia 553 (20%) hanno interrotto totalmente i farmaci per tre mesi. Di queste, oltre il 50% per decisione autonoma: si sentiva bene, aveva un numero di CD4 superiore a 500 e quindi il farmaco non era più percepito come indispensabile. Il 30% aveva invece smesso a causa della tossicità delle compresse e solo il 4% per fallimento terapeutico. Eppure gli effetti positivi dell’aderenza alla terapia sono scontati: si muore di meno (da 33 ogni mille pazienti nel ’97 a 8 per mille nel 2002), si riduce l’aggravamento della patologia (da 405 del ’97 a 43 per mille persone nel 2002) e quindi calano sensibilmente i ricoveri ospedalieri. Con evidente vantaggio anche per il Servizio Sanitario Nazionale. I costi medi di ricovero per persona-anno si sono infatti abbassati da 4.930 euro del 1997 a 320 euro dei primi tre mesi del 2002. Rapporto ICONA 2002 4 DONNE SU 10 SI INFETTANO CONSAPEVOLMENTE SESSO NON PROTETTO COL PARTNER SIEROPOSITIVO In Italia quattro donne su dieci si sono infettate consapevolmente col virus dell’Aids. Sapevano che il partner era malato, ma hanno avuto comunque rapporti sessuali non protetti: il 36% con il marito, il fidanzato o il compagno, sieropositivo dichiarato; il 3,1% addirittura con un partner occasionale, che prima del rapporto non aveva nascosto la sua condizione. E gli uomini? La percentuale, pur calando sensibilmente, rimane comunque preoccupante, a dimostrazione di come si sia abbassata pericolosamente la soglia dell’attenzione: sono il 13,6% i maschi che hanno deciso di condividere il destino con la donna della loro vita, mentre il 3% lo ha fatto di proposito in un’avventura di una notte con una sieropositiva. Sono questi i dati più clamorosi che emergono dallo studio ICONA, (Italian CohOrt of Naive Antiretroviral patients) - una coorte di 5014 persone sieropositive, di cui 69,9% di maschi (3507) e 30.1% femmine (1507), raccolte su tutto il territorio nazionale da 67 Centri Clinici, coordinati da sei Università italiane. Donna , eterosessuale, la più a rischio A metà della sua strada ICONA porta dunque alla luce quella che forse è solo la punta estrema di un iceberg. Soltanto in Italia, lo scorso anno, oltre il 60% dei 3.500 nuovi casi registrati dall’Istituto Superiore di Sanità è stato diagnosticato quando ormai era in Aids conclamato. E dei 110.000 sieropositivi stimati, almeno il 50%, sempre secondo l’ISS, ignora di essere infetto. L’osservazione dei risultati dello studio dimostra come nel corso degli anni la storia della malattia si sia radicalmente modificata. Se nei primi Ottanta, il 93% di chi si scopriva sieropositivo era tossicodipendente o aveva alle spalle una storia di droga, oggi il gruppo più consistente, il 34,3%, è rappresentato dalle persone infettatesi per via eterosessuale. E anche in questo caso ad essere più vulnerabili sono le donne: il 63,7% contro il 21,3% degli uomini. Non solo. A dimostrazione che sempre di più l’HIV è una malattia della coppia cosiddetta normale, portata tra le mura domestiche dall’uomo, il 39,3% delle donne acquisisce il virus dal partner abituale, sia esso marito o fidanzato, di cui non era a conoscenza dello stato sierologico. Al contrario, per il 63% degli uomini la fonte principale di trasmissione è il partner occasionale Hiv non noto. Aumenta l’età dei sieropositivi Cambia a tal punto l’identikit del nuovo sieropositivo, che anche l’età media dei pazienti è in aumento: l’83% degli uomini e il 69% delle donne ha dai 30 ad oltre 50 anni: gli ultraquarantenni in particolare sono il 29% degli uomini e il 16,5% delle donne. Hanno invece più di 50 anni l’8% degli uomini e il 24% delle donne. Il 66%, inoltre, ha un’occupazione: il 45% è lavoratore dipendente, il 16,1 ha un lavoro autonomo, il 4,9 saltuario, mentre solo il 23,7% è disoccupato. Pochi gli studenti, l’1,3%. I più rappresentanti sono gli operai (il 40,9%), ma ci sono anche impiegati (30,2%), artigiani (19,4%) e dirigenti (5,4%). Interessante anche il dato sulla scolarità: il 37,4% ha un diploma di media superiore e il 5,1% di questi è arrivato alla laurea: solo il 13,6% ha la licenza elementare. Il problema del sommerso, a cui si faceva cenno prima, viene ulteriormente aggravato quando anche in presenza di una diagnosi certa, il paziente decide ugualmente di ritardare la terapia. Un’indagine condotta su 694 pazienti arruolati in ICONA il tempo medio che intercorreva tra il primo test per HIV positivo e la prima visita in un centro specialistico era di circa 6 anni ed in questo periodo queste persone, oltre ovviamente a non fare alcuna terapia specifica, non avevano mai eseguito esami di laboratorio, quali la conta dei linfociti CD4 o la viremia HIV, indispensabili per una valutazione dell’infezione. 101 pazienti, circa il 40% di coloro che sapevano di essere positivi per HIV ma avevano ritardato la presentazione ad un centro clinico, avevano fatto la prima visita quando l’infezione era in uno stadio avanzato, avevano cioè un’immunodeficienza grave o già manifestazioni di AIDS conclamato. L’aderenza alla terapia Uno dei maggiori problemi per i pazienti sieropositivi italiani è attualmente l’aderenza alla terapia. I farmaci antiretrovirali raggiungono e mantengono concentrazioni in grado di inibire la replicazione del virus solo se vengono presi alle dosi e secondo le modalità prescritte. Studi recenti hanno dimostrato che un’assunzione inferiore al 95% della dose prescritta si traduce in un incremento del 30% della probabilità di fallimento terapeutico. Assunzioni incomplete o irregolari comportano concentrazioni inadeguate dei farmaci, che permettono al virus di continuare a replicarsi. L’aver dimenticato anche soltanto una dose nell’arco di tre giorni comporta una riduzione del 50% della probabilità di ottenere un pieno successo della terapia, bloccando la replicazione del virus. Nell’ambito di ICONA è stato quindi promosso un ulteriore studio per valutare l’effettiva aderenza alle prescrizioni e i motivi per cui non viene rispettata. Cosa è emerso? Che tre pazienti su dieci non reggono e abbandonano la cura. Tra le motivazioni principali, c’è prima di tutto il timore di avere in futuro effetti collaterali (il 41%), ma anche di essere visti dagli altri (il 35%) o di aver avuto problemi fisici (il 24%), in particolare astenia (16%), insonnia e ansia (12%) e difficoltà sessuali (8%). Rapporto ICONA 2001 MARITI E FIDANZATI, LA ‘FACCIA PULITA’ DELL’AIDS IL 40% DELLE DONNE INFETTATE DAL PARTNER ABITUALE E’ una giovane donna, tra i 30 e i 33 anni, sposata, o comunque con una relazione stabile, la nuova vittima inconsapevole dell’Aids. Nel 40% dei casi a trasmetterle l’infezione è infatti una persona che un tempo veniva definita ‘al di sopra di ogni sospetto’ - il marito, il fidanzato o il compagno – che proprio per questa sua condizione di insospettabile finisce anche per far allungare pericolosamente i tempi della diagnosi. Nella stragrande maggioranza dei casi (62,6%), i nuovi sieropositivi dalla ‘faccia pulita’ - 35enni diplomati, spesso laureati, con un buon impiego e il conto in banca: sulla carta d’identità alla voce professione l’8% ha scritto dirigente - si sono contagiati attraverso rapporti non protetti con prostitute o transessuali. Con un nuovo, drammatico allarme: il 34% degli eterosessuali in Italia scopre la malattia quando ormai è già in Aids conclamato e la terapia può fare ben poco. Non solo, i rapporti a rischio sono all’origine di un altro grande pericolo: la diffusione, ormai arrivata al 5%, di nuovi ceppi virali, classificati non B, presenti finora solo in Africa, Asia e America latina. Sono questi alcuni dei dati emersi nel 2001 dallo studio ICONA (Italian CohOrt of Naive Antiretroviral patients) - una coorte di circa 5.000 persone sieropositive raccolte su tutto il territorio nazionale da parte di 67 Centri Clinici, coordinati da sei Università italiane. . Aids, malattia della coppia “normale” L’Aids sta dunque diventando sempre più una malattia della coppia cosiddetta normale, portata tra le mura domestiche dal maschio che si infetta attraverso rapporti promiscui o con prostitute. Rispetto a 10-15 anni fa, la storia dell’Hiv in Italia ha infatti subito una profonda modificazione. Se nel 1985 il 93% di chi si scopriva sieropositivo era tossicodipedente o aveva alle spalle una storia di droga, oggi il gruppo più consistente è rappresentato dalle persone infettatesi per via eterosessuale: dal ’97 al 2000, l’infezione eterosessuale è aumentata dal 30 al 42%. Se teniamo conto dei pazienti arruolati negli ultimi due anni scopriamo che più della metà, esattamente il 53,2%, ha acquisito il virus per via sessuale, mentre di contro i tossicodipendenti e gli ex tossicodipedenti sono l’11,7%. Tra gli eterosessuali le più rappresentate sono le donne: il 63% delle 1.430 inserite nello studio ha infatti acquisito l’infezione tramite rapporti sessuali: nel 36% dei casi da partner abituale con infezione da Hiv nota, nel 40% dei casi da partner abituale con infezione da Hiv non nota (marito, fidanzato o compagno). Anche l’età media si sta alzando notevolmente: 33 anni per le femmine, 36 per i maschi -: più del 50% è nella fascia d’età tra i 30 e i 40 anni, ma c’è anche un 14% di donne e un 26% di maschi in età superiore ai 40 anni. Il ritardo di diagnosi Sempre per quanto riguarda gli eterosessuali, il 43,4% ha scoperto di essere Hiv+ di recente, di solito non attraverso il test ma in conseguenza di una qualche sintomatologia Hiv correlata. Quando queste persone arrivano ai Centri sono inoltre già in uno stadio avanzato della malattia, con un discreto livello di immunodepressione, se non addirittura in Aids conclamato (uno su tre fra gli eterosessuali, 12% fra tutta la popolazione). Anche l’infezione per contatti omosessuali non è diminuita, anzi si può dire sia stabile nell’incremento (dal 25,5 del 1996-98 al 27,2% del 1999-2001). I comportamenti sessuali nella Coorte Oltre alle modificazioni nell’andamento dell’epidemia, ICONA sta controllando anche i cambiamenti comportamentali delle persone sieropositive, soprattutto in ambito sessuale. Confrontando le risposte a un questionario fornite dopo sei mesi da 597 persone entrate in terapia antiretrovirale all’inizio dello studio con quelle date da 607 persone non ancora in terapia è stato possibile mettere in luce alcune abitudini interessanti. Per esempio che la proporzione di persone sessualmente attiva rimaneva stabile sia in coloro che avevano iniziato (70% all’inizio dello studio e 71% dopo sei mesi) sia in coloro che non avevano iniziato la terapia (85% e 82%). Tra le persone sessualmente attive, inoltre, l’uso del profilattico aumentava in modo significativo tra chi era in terapia (dal 64% al 75%) rispetto alle persone non in terapia (dal 72 al 75%). In definitiva i nostri risultati non suggeriscono che l’inizio di una terapia antiretrovirale possa determinare, almeno nel breve termine, una minore attenzione della necessità di adottare comportamenti che riducano il rischio di acquisire o trasmettere infezioni. E’ anzi possibile che la coscienza della possibilità di curare l’infezione da Hiv aumenti la capacità individuale di adottare comportamenti protettivi verso la propria salute e quella altrui. Rapporto ICONA 2000 IN ITALIA IL 40% SOSPENDE LA TERAPIA ALLARME PER L’AUMENTO DEI CEPPI RESISTENTI Nel nostro Paese, oltre il 38% delle persone sieropositive sospende o modifica il primo regime di terapia antiretrovirale entro il primo anno dall’inizio della somministrazione. La stragrande maggioranza di questi (il 31,1%) non regge fisicamente alle prescrizioni, mentre una percentuale comunque significativa (il 7,1%) non riesce a seguire le indicazioni del medico, aumentando così esponenzialmente il rischio di creare ceppi resistenti del virus. Solo il 5% dei pazienti interrompe il trattamento per fallimento terapeutico. Il che significa che in assenza di queste due variabili - tossicità e insufficiente “compliance” - l’efficacia dei farmaci si avvicinerebbe al 95%, ma gli effetti indesiderati e le difficoltà di assunzione la abbattono al 60%. Sono questi alcuni dei dati preliminari emersi dallo studio ICONA (Italian CohOrt of Naive Antiretroviral patients), una coorte di oltre 4000 persone sieropositive raccolte su tutto il territorio nazionale da parte di 67 Centri Clinici, coordinati da sei Università italiane. Icona è il primo studio osservazionale al mondo che ha come unico criterio di inserimento nella coorte la condizione ‘naive’, vale a dire l’arruolamento di pazienti che non sono mai stati trattati in precedenza con alcun farmaco antiretrovirale. Il monitoraggio costante di questi pazienti, nella più assoluta riservatezza e nel rispetto dell’anonimato, ha consentito ai ricercatori di avere alcune informazioni fondamentali per capire l’andamento della malattia. Ceppi resistenti Per esempio la presenza di ceppi resistenti ai farmaci nella popolazione mai trattata, il significato di queste mutazioni nel momento in cui inizia il trattamento e come compaiono le mutazioni correlate alle resistenze dall’inizio del trattamento in poi. Dati molto importanti perché hanno una ricaduta pratica immediata: si tratta di sapere se prima di iniziare il trattamento dobbiamo fare il test per le resistenze e, una volta fatto, che significato dare alle mutazioni messe in evidenza. Si è visto che vi è una certa prevalenza di mutazioni correlate agli inibitori della trascrittasi inversa nucleosidici e agli inibitori della trascrittasi inversa non nucleosidici, così come una elevata prevalenza di mutazioni secondarie per gli inibitori delle proteasi (secondarie significa che di per sé non comportano una resistenza ma che ne facilitano la comparsa). In particolare, due mutazioni per gli inibitori delle proteasi, la 10 e la 36, hanno un significato prognostico negativo, nel senso che i portatori di queste mutazioni, falliscono il trattamento molto rapidamente”. Tramite ICONA si è riusciti a scoprire che la frequenza di mutazioni indicative di resistenza agli inibitori della transcrittasi inversa nei naive con infezione cronica è abbastanza bassa (8,9% su 325 soggetti), mentre è elevata la frequenza di mutazioni secondarie indicative di resistenza per inibitori della proteasi (78,8%). La circolazione di ceppi resistenti agli inibitori della transcrittasi inversa è invece più frequente nei sieroconvertiti recenti infettatisi negli ultimi anni di osservazione (11% di 68 soggetti). Fallimento virologico Nei 230 pazienti che hanno mantenuto lo stesso regime terapeutico per 6 mesi, il fallimento virologico si è verificato in 60 (26,1%). E il fallimento virologico non era correlato alla presenza di mutazioni indicative di resistenza agli inibitori della trascrittasi inversa prima dell’inizio della terapia, bensì alla presenza di alcune mutazioni secondarie della regione proteasi (in particolare ai codoni 10 e 36) precedenti l’inizio della terapia. Infine, sono stati identificati 20 persone su 362 testati (5.5%) che erano portatrici di sottotipi non-B di HIV, in genere presenti in regioni non europee: solo 5 di queste erano di nazionalità africana, le altre erano tutte italiane. Lo studio dimostra la circolazione di sottotipi non-B in Italia.