presentazione lavoro..

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Metodologie
di
insegnamento
La pedagogia
speciale
Autismo
La PERSONA
nella sua unicità e specialità
Sindrome
di Down
Da esclusione
a inclusione
BES – DSA ADHD
Mutismo
selettivo
Il termine individuo fa riferimento ad ogni singolo ente in quanto
distinto da altri della stessa specie. Il concetto di individuo
richiama quello di persona dal momento che Panezio sostenne
che l’uomo non portava sulla scena della vita la sola maschera
generica dell’essere umano ma anche quella che caratterizzava la
propria individualità sin dalla nascita.
Per persona, dunque, si indica un individuo dotato di libertà, dignità, diritti,
autocoscienza e identità;lapersona è un insieme di SE’,MEe ALTRO :
SE’: per concetto di sé si intende solitamente la rappresentazione che l’individuo
ha di se . Si tratta di una specie di autoritratto, formato da attributi personali di
altro genere.
ME: È l’idea che ho di me stesso tramite la relazione con l’altro.
ALTRO: colui che è altro da me, ciò non significa che sia inferiore o superiore
rispetto a me, semplicemente è colui che permette alla società di riconfigurarsi
incessantemente. Punto di forza e di partenza allo stesso tempo, per poter
conoscere e conoscersi.
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La Pedagogia Speciale, anche denominata Pedagogia Psichiatrica, è una branca
della pedagogia che interviene, con modalità ben definite, nell’area della
disabilità di varia natura (da quella motoria a quella cognitiva, socio-affettiva).
In Psichiatria la Pedagogia speciale interviene, in sinergia con altri trattamenti
educativi, riabilitativi, rieducativi, anche nelle situazioni di disagio psichiatrico, e
quindi tende ad accompagnare la persona nel recupero e nell’attivazione del
potenziale evolutivo inibito o arrestato da una crisi verso quella gradualità che
caratterizza lo sviluppo e l’evoluzione dell’individuo.
La Pedagogia speciale, in generale, ha lo scopo di ricostruire un senso, un
significato ove il significato della persona e del suo esistere vacilla a causa di
elementi di disagio, devianza, marginalità o handicap che impediscono un pieno
sviluppo e una piena espressione del potenziale umano.
Fra i padri della Pedagogia Speciale annoveriamo i primi pedagogisti medici, fra
cui J.M.G.Itard, Séguin, Maria Montessori.
La Pedagogia Speciale evidenzia così la sua funzione di Pedagogia che
educa e sostiene l’evoluzione dell’individuo in presenza di condizioni
particolari di sviluppo.
Per fare ciò mette in campo strumenti, strategie e metodologie speciali
poichè pensate, create e progettate per rispondere a esigenze evolutive ben
precise, a canali di ricezione e comunicazioni diversi da
quelli della media dei soggetti in crescita.
Compito della Pedagogia speciale non è quello di portare la Persona alla normalità
(intesa come la media delle prestazioni nei soggetti), ma di favorire lo sviluppo
pieno del potenziale umano che ogni persona porta con sé, l’autonomia, la
crescita, la progettazione e la piena partecipazione alla società e alla comunità.
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L’integrazione degli alunni in situazione di handicap è un processo che da quasi trent’anni caratterizza la scuola italiana.
Per un lungo periodo, durato secoli, tutte le forme di disturbo psichico
furono assimilate alla malattia mentale e gestite negli istituti, nei manicomi o nel silenzio e nella “vergogna” delle
famiglie, colpite dal pregiudizio e dal bisogno della società dei “sani” di allontanare da sé una rappresentazione di
malattia e di sofferenza.
Durante la prima metà del nostro secolo l’intervento dello Stato in favore dei portatori di handicap è stato
essenzialmente di natura assistenziale.
Durante gli anni ’60 iniziò nel nostro paese il fenomeno della scolarizzazione di massa: le scuole speciali per soggetti
minorati aumentarono progressivamente.
Con gli anni ’70, che furono gli anni della grande “democratizzazione” della scuola e della società, la figura delle
persone handicappate perde la sua “marginalità”: si apre un forte dibattito socio-politico entro il quale matura sempre
di più la critica al modo in cui vengono assistiti, curati ed educati gli handicappati negli istituti.
Prendono avvio così le prime esperienze spontanee di inserimento scolastico.
Durante gli anni ’80 si determinò una consistente evoluzione rispetto al tema dell’handicap: venne superato l’approccio
dell’uguaglianza, per cui il bambino handicappato doveva essere il più possibile come gli altri, per assumere l’approccio
della diversità come risorsa individuale: ciascun alunno è diverso da tutti gli altri, per stili di apprendimento e per
capacità comunicative e cognitive: per questa sua specificità egli vuole essere riconosciuto.
Il termine integrazione ha così sostituito quello di inserimento nell’ambito scolastico e sociale, segnando il passaggio del
bambino disabile inserito nella scuola, isolato ed evitato, alla fase in cui ci si impegna attivamente perché egli sia
pienamente integrato nel gruppo dei suoi coetanei.
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Con la sigla BES si fa riferimento ai BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI ed in modo
particolare a tutti quegli alunni che hanno delle particolari difficoltà e che necessitano
di interventi individualizzati. Avere Bisogni Educativi Speciali non significa
obbligatoriamente avere una diagnosi medica e/o psicologica , ma essere in una
situazione di difficoltà e ricorrere ad un intervento mirato, personalizzato. Nelle scuole
infatti vi sono sia alunni con Bisogni Educativi Speciali con diagnosi psicologica e/o
medica e alunni con Bisogni Educativi Speciali senza diagnosi.
Nel primo caso vi rientrano tutti gli alunni che presentano il ritardo mentale, i disturbi
generalizzati dello sviluppo, il disturbo autistico, i disturbi dell’apprendimento, i
disturbi di sviluppo della lettura ecc.. Infine vi sono le patologie che riguardano la
motricità, quelle sensoriali, neurologiche o riferibili ad altri disturbi organici.
Nel secondo caso, invece, rientrano tutti quegli alunni che non presentano queste
problematiche sopra elencate ma che presentano una situazione meno chiara e più
sfumata. Questa tipologia di alunni è però presente all’interno della scuola in modo
piuttosto considerevole.
Le Origini dei “BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI”
possono essere:
Bisogni Educativi Speciali da “CONDIZIONI
FISICHE ”difficili :
• ospedalizzazioni;
• malattie acute/croniche (diabete, allergie,
ecc.);
• lesioni;
• fragilità;
• anomalie cromosomiche.
Bisogni Educativi Speciali da menomazioni
nelle “STRUTTURECORPOREE ” :
• mancanza di arti;
• mancanza o anomalie in varie parti del
corpo.
Bisogni Educativi Speciali da difficoltà od
ostacoli nella “ PARTECIPAZIONE SOCIALE ” :
• difficoltà nel rivestire i vari ruoli nei
contesti dell’istruzione. (integrazione nelle
attività scolastiche);
• difficoltà nel rivestire i vari ruoli nei
contesti della vita extrascolastica e di
Bisogni Educativi Speciali da ostacoli presenti
nei “FATTORI CONTESTUALI PERSONALI”:
• problemi emozionali;
• problemi comportamentali;
• scarsa autostima;
• scarsa autoefficacia;
• stili attributivi distorti;
• scarsa motivazione;
• difficoltà nell’identità e nel progetto di Sé.
Bisogni Educativi Speciali da deficit nelle “
FUNZIONI CORPOREE ” :
• difficoltà cognitive (attenzione, memoria,
ecc.)
• difficoltà sensoriali
• difficoltà motorie
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Per rilevare la presenza di deficit vengono utilizzati test standardizzati (permettono il confronto con un
campione di riferimento) che consentono la misurazione sia dell´abilità compromessa sia del funzionamento
intellettivo.
E´ quindi necessario escludere la presenza di condizioni che possano influenzare i punteggi nei test (criteri di
esclusione):
- menomazioni sensoriali e neurologiche gravi, disturbi significativi della sfera emotiva;
-situazioni ambientali di svantaggio socio-culturale che possono interferire con un´adeguata istruzione.
Quando sono presenti altre condizioni od influssi ambientali, la cui influenza non è in grado di spiegare
interamente il deficit settoriale è opportuno optare la diagnosi di Disturbo d´Apprendimento (non specifico).
L´importanza di distinguere tra disturbi dell´apprendimento e difficoltà scolastiche è evidente se si pensa che se
è probabile che un bimbo con disturbi dell´apprendimento abbia problemi a scuola non è necessariamente vero il
contrario.
Per affrontare i DSA è necessario un lavoro sinergico fra specialisti, docenti, famiglie.
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L'ADHD (Attention Deficit
HyperactivityDisorder) è l'acronimo inglese
comunemente usato per indicare il
Disturbo da deficit di attenzione e
iperattività (acronimo italiano meno noto,
DDAI). L'ADHD è un disordine dello sviluppo
neuropsichico del bambino e
dell’adolescente, caratterizzato da
incapacità a mantenere attenzione
prolungata, da impulsività e iperattività.
Il soggetto con ADHD è caratterizzato da
gravi difficoltà a mantenere l’attenzione
e, alcune volte, è accompagnato da
difficoltà, ugualmente serie, a regolare gli
impulsi e l’attività fisica, con serie
conseguenze per il funzionamento socioemotivo dell’individuo, l’impegno e la
realizzazione educativa, e lo sviluppo
successivo nel corso della vita.
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È un disturbo dell'ansia infantile caratterizzato dall' incapacità del bambino di parlare in
varie situazioni sociali, infatti non è causato da un ritardo mentale, handicap uditivo o
altri disturbi organici.
I bambini con Mutismo Selettivo non riescono letteralmente a parlare in determinati
ambienti, molto spesso il bambino parla liberamente a casa mentre è muto a scuola e in
altre situazioni. Non cercano di attirare l'attenzione, non cercano di tenere una
situazione sotto controllo. Sono letteralmente così ansiosi che non riescono a parlare.
Nella maggioranza dei casi il mutismo selettivo si riscontra nei bambini introversi, timidi,
ipersensibili, che preferiscono la solitudine alla compagnia dei coetanei. Si tratta cioè di
bambini per loro natura schivi e taciturni, per i quali smettere di parlare equivale a
erigere una barriera protettiva nei confronti del mondo esterno. Il mutismo selettivo per
sua precisa caratteristica è transitorio, cioè destinato a risolversi spontaneamente con il
passare del tempo. E’ davvero raro che una volta scomparso si ripresenti a distanza di
tempo. Resta il fatto che i bambini che lo hanno manifestato tendono a mantenere tratti
caratteriali di riservatezza, timidezza o chiusura (anche se non patologica) verso il
mondo esterno.
•Vulnerabilità: il bambino nelle situazioni sociali esterne alla famiglia vive
un’attivazione costante di disagio, sentendosi minacciato.
•Inadeguatezza: il bambino si vive come incompetente.
•Paura del giudizio altrui
•Vergogna e metavergogna: timore di mostrare la propria vergogna.
Più di frequente il blocco della parola è nei confronti degli estranei (per
esempio, educatrici della scuola materna o insegnanti) ma può capitare che si
manifesti con i genitori e non, per esempio, con i nonni o con i coetanei. In
condizioni favorevoli, cioè evidentemente prive di componenti ansiogene, il
bambino parla in modo del tutto normale, utilizzando un linguaggio fluido e
appropriato.
Negli ultimi decenni la vita scolastica è cambiata profondamente.
Da una parte le innovazioni tecnologiche hanno consentito lo sviluppo di strumenti,
tecniche e strategie del tutto inedite e, con esse, la predisposizione di nuovi ambienti
di apprendimento, plurali e flessibili.
La scuola è chiamata a diventare laboratorio di formazione, contesto in cui più che
trasmettere conoscenze si crei supporto verso la formazione di una cittadinanza
attiva. Al centro di essa non è più l'insegnamento ma l'apprendimento, non più le
conoscenze, il sapere, ma il saper fare, il sapere agito, che renda capaci di
comprendere i costanti cambiamenti e di muoversi agevolmente in essi. La scuola,
affermano le recenti Indicazioni Nazionali per il curricolo, deve promuovere lo
sviluppo di competenze da spendere nel mondo reale. Il lavoro del docente è perciò
cambiato
da esperto che dispensa conoscenze è diventato giuda, facilitatore,
supporto per un apprendimento autonomo, nella costruzione attiva della
conoscenza da parte degli allievi.
Solo rispondendo adeguatamente ai diversi bisogni essa può diventare davvero
inclusiva e le tante buone intenzioni possono concretamente
divenire
buone prassi, in termini di individualizzazione e personalizzazione.
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La sindrome di Down è una condizione genetica caratterizzata dalla
presenza di un cromosoma 21 in più. Naturalmente, nell’ Uomo sono
presenti 46 cromosomi in ogni cellula, 23 di origine materna e 23 di origine
paterna. Ogni persona possiede quindi, in ogni cellula, due copie di ogni
cromosoma. Nelle persone affette da DS il cromosoma numero 21 è
presente invece in triplice copia.
Condizione genetica non vuol dire ereditaria, infatti nel 98% dei casi la
sindrome di Down non è ereditaria.
Esistono tre tipi di anomalie cromosomiche nella sindrome di Down:
Trisomia 21 libera completa (95% dei casi): in tutte le cellule
dell’organismo vi sono tre cromosomi 21 invece di due. Questo tipo di
anomalia è la più frequente.
Trisomia 21 libera in mosaicismo (2% dei casi): nell’organismo della persona
sono presenti sia cellule normali con 46 cromosomi sia cellule con 47
cromosomi.
Trisomia 21 da traslocazione (3% dei casi): il cromosoma 21 in più (o
meglio una parte di esso, almeno il segmento terminale) è il numero 14,
21, o 22.
Solo quest’ultimo tipo di Trisomia può essere ereditaria.
A tutt’oggi non è ancora stato possibile riconoscere con precisione a cosa
siano dovute le alterazioni cromosomiche che portano alla sindrome di
Down.
La sindrome di Down può
essere diagnosticata prima
della nascita grazie ad un
insieme di indagini
strumentali e di laboratorio.
Le più comuni sono:
• BITEST
• TRASLUCENZA NUCALE
• ULTRASCREEN
• TRITEST
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La parola "autismo" deriva dal greco αὐτός
([aw'tos] che significa se stesso. I soggetti che
presentano un Disturbo Autistico sono
caratterizzati dalla presenza contemporanea di
quella che viene definita come la triade del
comportamento autistico; uno sviluppo
notevolmente anomalo o deficitario
dell’interazione sociale e della comunicazione e
una marcata ristrettezza del repertorio di attività
e di interessi.
Quasi contemporaneamente a Kanner, ma
indipendentemente da lui, Hans Asperger, nel 1944,
utilizzò il termine “autistichen psychopathen” per
definire un disturbo che interessava una determinata
popolazione infantile con sintomatologia in gran parte
simile a quella descritta da Kanner per i suoi soggetti,
ma con capacità cognitive nettamente superiori.
1943
Lo psichiatra infantile Leo Kanner fece conoscere
al mondo intero l’esistenza della cosiddetta
Sindrome di Kanner, oggi meglio nota come autismo.
I casi di Kanner presentavano, nei primi anni di vita,
disturbi che erano caratterizzati da:
• "an extreme autistica aloneness", nel senso di un
rimanere mentalmente soli;
• "an anxious obsessive desire for the
preservation of sameness", osservata nella
ripetizione di semplici movimenti o espressioni e
pensieri; in elaborate routine; in una estrema
limitatezza di interessi;
• la presenza di "islets of hability" (isolotti di
capacità), quali una memoria meccanica
eccellente, la capacità di ricordare strutture e
sequenze complesse, un vocabolario stupefacente,
fuorchè per l'uso dei pronomi.
Entrambi diedero particolare attenzione alle stereotipie motorie o linguistiche di questi
bambini, così come alla marcata resistenza al cambiamento, ma Asperger individuò tre
importanti aree nelle quali i suoi soggetti differivano da quelli di Kanner:

Linguaggio: i soggetti di Asperger avevano un eloquio scorrevole. Nei soggetti di
Kanner, invece, non si aveva linguaggio o esso non era usato in maniera "comunicativa";

Motricità: nell’ opinione di Kanner, i bambini risultavano "impacciati" solo rispetto a
compiti di motricità complessa; secondo Asperger essi lo erano in entrambi, motricità
complessa e fine;

Capacità di apprendere: Kanner pensava che i bambini mostrassero prestazioni più
elevate quando apprendevano in maniera meccanica, quasi automatica; Asperger li
descriveva invece come "pensatori astratti".
Triade del comportamento autistico

Compromissione qualitativa dell’interazione sociale reciproca: il bambino
non è capace di impegnarsi in una interazione reciproca a due vie,
specialmente con i coetanei.

Compromissione qualitativa dello sviluppo delle modalità di
comunicazione: il linguaggio può essere assente, ma può anche essere
presente con una difficoltà di conversazione con gli altri, oppure può esserci
la presenza di un linguaggio personale, ripetitivo o stereotipo con assenza di
gioco simbolico.

Modalità di comportamento, interessi e attività limitati, ripetitivi e
stereotipati: il bambino autistico desidera mantenere il suo ambiente
costante. Oggetti, abiti, mobili devono mantenere sempre la stessa
collocazione e lo stesso aspetto perché il cambiamento gli è insopportabile.
Strategie d’intervento
Non esistono cure documentate che permettono di guarire dall’autismo, tuttavia attraverso alcuni
interventi è possibile pensare ad un miglioramento delle capacità di adattamento, d’integrazione e
delle condizioni di vita dei soggetti colpiti.
I programmi d’intervento cosiddetti ‘‘comportamentali’ sono finalizzati a modificare il comportamento
generale per renderlo funzionale ai compiti della vita di ogni giorno (alimentazione, igiene personale,
capacità di vestirsi) e tentano di reindirizzare i comportamenti indesiderati. Tra le tipologie di
intervento più diffuse e potenzialmente efficaci nella gestione clinica del disturbo e nella riduzione
delle sue conseguenze funzionali, vi sono le logiche Applied behavior analysis (ABA) e il metodo
TEACCH.
Nel corso dei decenni numerosi sono stati i trattamenti, farmacologici, riabilitativi, educativi, sociali,
che sono stati proposti e attuati per il Disturbo Autistico come ad esempio:
• Metodo Etodinamico
• Metodo Delacato
• Psicomotricità
• Animal Assited Therapy
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Negli ultimi decenni la vita scolastica è cambiata
profondamente. Da una parte le innovazioni tecnologiche hanno
consentito lo sviluppo di strumenti, tecniche e strategie del
tutto inedite e, con esse, la predisposizione di nuovi ambienti di
apprendimento, plurali e flessibili.
La scuola è chiamata a diventare laboratorio di formazione,
contesto in cui più che trasmettere conoscenze si crei supporto
verso la formazione di una cittadinanza attiva. Al centro di essa
non è più l'insegnamento ma l'apprendimento, non più le
conoscenze, il sapere, ma il saper fare, il sapere agito, che
renda capaci di comprendere i costanti cambiamenti e di
muoversi agevolmente in essi. La scuola, affermano le
recenti Indicazioni Nazionali per il curricolo, deve promuovere
lo sviluppo di competenze da spendere nel mondo reale. Il
lavoro del docente è perciò cambiato da esperto che dispensa
conoscenze è diventato giuda, facilitatore, supporto per un
apprendimento autonomo, nella costruzione attiva
della conoscenza da parte degli allievi
• Pet Therapy
• Circle time
• Role Playing
• Cooperative learning
• Mastery Learning
• La terapia della bambola
Laurea in Scienze della Formazione Primaria
LM-85bis
Corso di Pedagogia speciale AA 2014/2015
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