Notte di San Giovanni
Erbe e tradizioni
Spezie e aromi sono l'anello di congiunzione fra
erboristeria e dietetica.
Possiamo definire aromatiche tutte le erbe usate nella
tradizione culinaria occidentale, in genere parti aeree della
pianta che non contengono principi irritanti revulsivi: rosmarino,
prezzemolo, cerfoglio, estragon, maggiorana, finocchio, basilico, salvia,
ginepro, timo, erba cipollina, zafferano ecc. (senape gialla e peperoncino
contengono principi revulsivi che li accomunano, per l'uso, alle spezie).
Quando, nei secoli passati, il sale da cucina era una merce preziosa, le
erbe aromatiche e le spezie avevano un grande ruolo nel campo
gastronomico e non solo. Oggi che il sale è a disposizione in grande
abbondanza, i sapori dati dalle erbe aromatiche e dalle spezie sono stati
emarginati nell'alimentazione quotidiana. Sicuramente tutto ciò è un
grave errore alimentare perché le erbe aromatiche fresche, oltre a
procurare un piacere olfattivo apportano principi nutritivi, vitamine e
Le erbe
aromatiche si chiamano così perché emanano aromi
gradevoli e sono sostanze formate da olii essenziali che possono
minerali utili nella digestione e nel metabolismo cellulare.
svolgere la loro massima azione di stimolazione olfattiva quando sono
fresche.
Tutte queste piante sono accomunate da un’alta
concentrazione di olio essenziale, il principio attivo più
volatile della pianta, quello che, liberandosi dalle cellule vegetali con
l'aiuto di un calore più o meno forte, ne costituisce il profumo. Tutti gli
olii essenziali hanno il potere di distruggere germi e batteri senza
ledere i tessuti viventi. Indizi della conoscenza di questa importante
proprietà, dimostrata oggi a livello di laboratorio, li troviamo in tutte le
epoche e in tutte le civiltà. L'usanza di profumare il corpo con essenze
vegetali, così importante per gli egiziani e i popoli del medio ed
estremo oriente, gli unguenti balsamici usati durante le grandi
epidemie per allontanare il contagio, i suffumigi nelle camere dei
vaiolosi, l'abitudine di conservare la biancheria nella lavanda; si
trattava di precauzioni igieniche empiriche e spesso inadeguate ma che
devono avere un fondamento di verità data la loro diffusione costante
nel tempo e nello spazio.
Gli olii essenziali, contenuti nelle spezie e nelle erbe aromatiche
esercitano doppiamente la loro azione disinfettante: sui germi
eventualmente contenuti negli alimenti fra cui i responsabili del
deterioramento dei cibi; e sui batteri già presenti nel nostro organismo.
La funzione di disinfettare e conservare più a lungo i cibi
(particolarmente delle spezie, in cui gli olii essenziali si combinano
con i principi piccanti) ha determinato l'enorme importanza delle
spezie nell'economia commerciale del medio evo (è noto che la cucina
del passato era molto più aromatica della nostra, non avendo a
disposizione gli attuali metodi di conservazione) analogamente gli
aromi sono molto usati nei paesi caldi dove i batteri prolificano più
facilmente ed è frequente il rischio di infezioni di vario genere,
particolarmente infezioni intestinali.
Da questi indizi è logico supporre che l'uso costante e variato di spezie
e aromi nella cucina quotidiana aiuti a prevenire una quantità di
disturbi e malattie infettive oltre a svolgere le proprietà curative
preventive specifiche di ogni pianta. Molto meno facile è dimostrare e
quantificare l'effetto disinfettante interno. Perché la sua azione è
preventiva graduale, quasi insensibile. Tuttavia possiamo osservare
tutti i cosiddetti aromi da cucina, usati con altri
dosaggi
in
preparazioni
erboristiche
e
farmaceutiche, svolgono diverse funzioni curative. Il
cha
finocchio evita le fermentazioni, contribuisce a sgonfiare il ventre e ad
eliminare i gas intestinali
Le piante e le erbe sono state per il passato la base della terapia,
tra queste le specie aromatiche occupavano un posto preminente.
Era logico che gli uomini ricorressero a certi vegetali per curare le loro
malattie arrivando a fare con discernimento ciò che gli animali fanno
per istinto.
Nella quasi totalità dei casi i principi attivi sono molecole aromatiche.
Queste non sono molecole semplici: gli oli essenziali sono miscugli di
sostanze chimiche diverse e quindi, pur ammettendo una funzionalità
specifica ad alcuni raggruppamenti molecolari, dobbiamo altresì
dedurre che determinati rapporti di funzioni chimiche sono i fattori
determinanti l'attività terapeutica degli oli essenziali allo stato grezzo,
cioè come contenuti nelle erbe.
Con il termine di oli essenziali, si definiscono i principi
aromatici contenuti nei vegetali e ricavati per distillazione. Oltre
che per la diversa composizione chimica, e le diverse caratteristiche
fisiche, questi oli si differenziano da quelli stabili, o comunque dai
grassi che sono contenuti nei vegetali, perché volatili. Le cellule che
immagazzinano le essenze, possono trovarsi in qualsiasi parte della
pianta: (nelle foglie, nel fiore, nei semi, nelle gemme, nei frutti ed anche
nelle radici e nel legno).
L'uso delle erbe aromatiche ebbe una grande
diffusione in Francia e in Italia, mentre nei paesi dell'est e del
centro-nord (Germania, Olanda, Polonia, Russia) rimasero, e tutt'ora lo
sono, maggiormente attaccate alle spezie.
Sta a noi saper leggere nel piatto tutte le informazioni storiche e di
salute in esso contenute. Mentre se analizzassimo il ruolo che le spezie
e le erbe aromatiche hanno ricoperto fuori dal campo alimentare
noteremo che esso si è affievolito sempre più con il passare del tempo,
fino a scomparire quasi del tutto. Infatti prima dalle civiltà sviluppatesi
avanti Cristo e da Romani e Greci poi, queste sostanze odorose erano
usate nei modi più svariati nel campo religioso, sociale ma soprattutto
pratico. Esse venivano impiegate durante i sacrifici nei quali la vittima
bruciava su roghi profumati da spezie e tutti gli oggetti sacri erano
cosparsi e impregnati di queste fragranze. Oppure erano utilizzate in
questioni di ordine pratico, come per esempio nella creazione di olii
cosmetici particolari come quello al rosmarino, che serviva per
purificare la pelle, o di prodotti molto vicini ai nostri colluttori alla
menta per rinfrescare il cavo orale ed erano infine utilizzate nelle
prescrizioni mediche, come sostanze capaci di portare sollievo e
beneficio al malato.
Spezie ed erbe aromatiche hanno avuto una loro
secolare storia di competizione gastronomica
Le erbe aromatiche sono indigene dell'area mediterranea italiana,
mentre le spezie in epoca romana arrivavano dall'Africa, prima
tramite carovane (fino alla costa libica) poi con le navi. Le spezie che
per più di un millennio erano state segno distintivo della tavola ricca,
amate e desiderate, a poco a poco scomparvero nell'Europa del XVI
secolo. Le nuove scoperte geografiche permisero una grande
disponibilità di spezie ma la grande pioggia di profumi e di sapori
che investì la tavola rinascimentale provocò più tardi una stanchezza
verso di loro, cosicché le élites, soprattutto in Francia, abbandonarono
le spezie e le sostituirono con l'erba cipollina, lo scalogno e la
maggiorana, cioè erbe povere e contadine.
Più che il sapore, è l’odore, o meglio, il profumo a caratterizzarle. Più
che il gusto è l’olfatto ad essere gratificato dalla loro presenza nei
piatti, anche i più semplici. E sono estremamente evocative: del mare,
del sole, del vento e, per qualcuno, dell’infanzia. Sono le erbe
aromatiche, gli "odori" dell’orto. Per intenderci: prezzemolo, salvia,
rosmarino & company, tipici "frutti" dell’area mediterranea e, come
tali, tipici prodotti che ci appartengono.
Ci siamo evoluti e la cucina, da luogo in cui si quietava il bisogno
primario di nutrirsi, è diventata “tavola rotonda” attorno a cui si
annusa, si osserva, si ascolta, si assaggia e si parla di cibo.
Perché tutto questo interesse per il nostro gusto e per i mille modi di
soddisfarlo?
Perché, se “siamo ciò che mangiamo”, il cibo “buono” è un modo per
migliorare la qualità della vita …
Del gusto siamo stati dotati biologicamente per motivi precisi. La
natura ci ha messo nella bocca e nel naso gli strumenti per riconoscere
buono e cattivo, gustoso e disgustoso. Così l'evoluzione ci ha portati a
preferire il dolce, tipico di alimenti ad alto potere energetico e
nutritivo, all'amaro, tipico di molte sostanze tossiche. Secondo gli
studiosi, la capacità di riconoscere istintivamente gli alimenti
commestibili, e addirittura quelli curativi, risale alla preistoria ed è
stata trasmessa fino ad oggi dalla tradizione. L'uomo sarebbe dotato
di una memoria genetica che capisce, senza preventiva informazione,
cosa gli fa bene e cosa gli fa male, tanto che i bambini in alcune
regioni dell'Africa mangiano fango e terra quando hanno carenza di
sostanze minerali. I sensi in passato erano però molto più acuti,
mentre oggi siamo meno capaci di distinguere le sfumature del
gusto…
Olfatto e gusto non sono chiaramente separabili l'uno dall'altro, infatti
per molti aspetti si sovrappongono; entrambi sono sensi chimici,
rispondono cioè ad agenti chimici naturali o artificiali; entrambi
proteggono il tratto gastrointestinale da sostanze non digeribili o
addirittura nocive.
Da un punto di vista neurologico l'olfatto appartiene al cervello antico, é
un senso che si sviluppa in modo indirettamente proporzionale alla vista e
agli altri sensi. E' il senso che ha una via di accesso diretta al cervello e che
in modo molto forte evoca memorie e ricordi.
Olfatto e emozioni ovvero Il Senso Della Memoria
La stretta correlazione con il sistema limbico è la ragione per la quale
spesso odori gradevoli o sgradevoli possono involontariamente scatenare
emozioni.
Si trovano esempi di questo fenomeno in numerose occasioni quotidiane.
Tutti noi sappiamo quanto possono essere evocativi i profumi: il ricordo
di un avvenimento, di un'atmosfera, di un luogo o di una persona resta
spesso legato a n particolare odore. L'olfatto è quindi il senso della
memoria. Seguendo una scia odorosa si può viaggiare nel tempo,
rievocando emozioni, sensazioni ed esperienze vissute in momenti e in
luoghi lontani.
Basta un soffio di profumo nell'aria per riportarci indietro al tempo della
nostra infanzia o in luoghi lontani, che abbiamo conosciuto.
Il sistema limbico è strettamente connesso con i nostri ricordi più
reconditi.
Dalla notte dei tempi, nel giorno del Solstizio d'Estate, quando il
Sole nel Cancro raggiunge la sua massima inclinazione
sull'equatore celeste, avviene il passaggio fra il mondo dello spazio
e quello del tempo, dove il vero si confonde con l'illusione e tutto
diventa possibile: è la notte della vigilia di San Giovanni Battista.
Le fattucchiere, come i monaci esperti in erboristeria, nella notte di
mezza estate raccoglievano le erbe, poiché il sodalizio fra il Sole
(fuoco) e la Luna (acqua) rendeva la rugiada prodigiosa, donando
così alle piante ulteriore potere curativo.
Nel Medio Evo, nella quiete delle abbazie, i padri
avevano acquisito l'uso curativo delle erbe, e nei
loro orti la notte del Santo era dedicata alla raccolta
delle pianticelle prodigiose (chiamate erbe dei
semplici), utili per curare i bisognosi, mentre per
maghe e stregoni era la notte dei Sabba, dei grandi
fuochi, dove venivano arse le erbe per mettersi in
contatto con le forze supreme; le ceneri e le foglie
rimaste sarebbero servite per preparare componenti
principali per le pozioni magiche.
Ma queste piante non appartengono solo al culto della
magia segreta; un tempo, il giorno della festa di San
Giovanni si allestiva sul sagrato delle chiese dedicate al
Santo la fiera delle erbe; qui ci si procuravano coroncine
d'iperico per allontanare gli spiriti maligni, la lavanda
(chiamata anche spiga di San Giovanni), la verbena per riti
propiziatori e divinazioni, la menta (detta erba santa), il
rosmarino, l'aglio, la cipolla e molte altre.
I nonni della nostra terra raccomandavano comunque di
mettere più piante aromatiche possibile: timo, rosmarino,
salvia, basilico, maggiorana, noce, rosa, alloro, finocchio
selvatico, fiore di tiglio, caprifoglio...
E' usanza ancora oggi diffusa quella di raccogliere il giorno prima del patrono fiori
ed erbe da tenere a bagno, fuori di casa, durante la notte di S.Giovanni.
La mattina seguente poi la stessa acqua viene utilizzata per lavarsi.
Si dice che questa operazione procuri giovamento in particolare alla pelle, ma che
sia anche una protezione contro le malattie in generale.
"La guazza di Santo Gioanno fa guarì da ogni malanno”
Tra i fiori utilizzati nella zona spicca il giallo della ginestra, non dovrebbe però
mancare l'iperico detto anche erba di S.Giovanni.
Nella notte del 24 Giugno gli antichi credevano che gli elementi della natura (aria,
acqua, fuoco e terra) si caricassero di particolari poteri.
Le erbe (in particolare se bagnate dalla rugiada notturna) erano ritenute in grado di
guarire i malanni e di scacciare i demoni e le streghe: in qualche luogo d'Italia era
consuetudine, per chi si trovava per strada dopo il calare del sole, di portare sotto la
camicia un mazzo di erbe di S.Giovanni
San Giovanni…uno , che se fosse vissuto adesso avrebbero considerato tosto, urlava
nel deserto, si vestiva di pelli di cammello, gran barba e capelli…morto per le bizze di
Salomè
Tra le streghe, la leggenda vuole che ci siano anche Erodiade e sua figlia Salomè
condannate a vagare per il mondo su una scopa per espiare la colpa di aver fatto
decapitare San Giovanni.
IPERICO
(hypericum perforatum)
Il suo nome scientifico è HYPERICUM PERFORATUM, sulla etimologia del
nome sono state fatte molteplici ipotesi, e così ipericum potrebbe significare
“posta sopra la casa” o “posta sopra l’immagine” (intendendo immagine
sacra), ciò che conta è comunque l’idea dell’ ”al di sopra” che sta appunto ad
indicare le caratteristiche di protezione da influenze negative da cui il suo
ulteriore e famosissimo nome popolare di scacciadiavoli. Ciò che appare,
invece, certa è la derivazione dell’aggettivo perforatum, le sue foglioline verdi
ed ovalizzate presentano, infatti, delle minuscole ghiandoline contenenti olio
che appaiono trasparenti e fanno sembrare la foglia bucherellata.
Noto anche come erba di San Giovanni, erba rossa e
scacciadiavoli, per la credenza che proteggesse dalle
stregonerie.
Sostanze chimiche contenute: Ipericina, Olii volatili, Resina, Tannini, Flavonoidi
Agisce come I-MAO sul sistema nervoso centrale, in quanto facilitando la
produzione della serotonina (noto come "ormone della felicità") dona senso di
benessere e soddisfazione a chi lo assume. Il pigmento rosso della pianta erbacea
contiene l'ipericina, principio attivo responsabile dell'effetto antidepressivo, quindi
efficace nella cura di depressioni, ansia e insonnia; inoltre da studi più approfonditi
risulta che quest'erba esercita buona azione antivirale. L'unguento balsamico a base
d'Iperico è ottimo per lenire tensioni muscolari, lombaggine e slogature. L'infuso
aiuta nelle difficoltà respiratorie con problemi di infezione, e sembra che questo
rimedio possa rendere più lievi i disturbi polmonari. Nella medicina popolare
l'Iperico, sottoforma d'impiastro o tintura, viene usato per guarire le ferite più
profonde, ulcere, piaghe, scottature e lenire i dolori reumatici.
I suoi utilizzi sono tantissimi e, taluni rivalutati da ultimo,
conosciuti fin dall’antichità. Oggi infatti si dà grandissima
rilevanza al potere antidepressivo della pianta cosa che quanto
meno era già nota ai Cavalieri Templari (studiosi di mille e più
discipline oltre che crociati), i quali, forse per primi, scoprirono
che, oltre a poterla utilizzare per lenire le ferite e le ustioni
riportate in guerra, il suo effetto era prodigioso nel migliorare
l’umore tra le fila dei combattenti e anche per alleviare la
sofferenza di feriti costretti a letto per diversi mesi. Questo uso
fu tramandato alla scuola medica salernitana (culla della
fitoterapia) e riscoperto negli ultimi anni.
Efficacissimo per guarire ferite, ustioni, tumefazioni e in
generale disturbi della pelle, è anche utilissimo nei massaggi
per il trattamento di reumatismi, lombaggini, lussazioni,
ematomi e crampi. E’ inoltre uno dei rimedi migliori in caso di
mal d’orecchie.
In uso interno è molto valido come calmante per lo stomaco,
come coadiuvante del sonno, come diuretico, analgesico ed
anche vermifugo. Da qualche tempo se ne studia l’utilizzo
anche nel trattamento dell’AIDS.
Nella bellezza è valido aiuto contro i segni dell’invecchiamento
LAVANDA
(Lavandula spica)
La derivazione etimologica del nome non lascia dubbi e
ricorda l'uso che i Romani facevano di questa pianta: la
usavano per profumare l'acqua dei bagni e come detergente.
L'essenza ricavata dalla distillazione di questo piccolo fiore
possiede qualità terapeutiche così numerose e potenti che
risulta difficile individuare un campo d'azione elettivo.
E' una vera panacea per qualsiasi male
Con la Lavanda non si sbaglia mai. Ha un notevole potere
analgesico, antivelenoso ed è capace di stimolare i processi di
rigenerazione dei tessuti lesi. La dolcezza della lavanda è
rivolta in modo particolare a gli anziani e ai bambini. La sua
freschezza è quella della pulizia interiore, la sua energia fra
Yin e Yang offre il dono dell'equilibrio, della calma e della
chiarezza. Il suo effetto rigenerante sul sistema nervoso è
riconosciuto e largamente impiegato in psicoterapia per
vincere la paura, la confusione mentale, l'instabilità di stati
d'animo, l'isteria, e può essere indossata dagli attori contro il
panico da palcoscenico.
La lavanda ha incantato gli uomini fin dall'antichità. I Greci, che la
chiamavano nardus ritenendola originaria dell'omonima città siriana, e i
Romani, che "l'appellavano" asarum, dal nome del serpente velenoso che
pensavano si nascondesse nel folto dei suoi cespugli, già utilizzavano
l'essenza dei suoi fiori per profumare l'acqua per le abluzioni, soprattutto
termali, o per la pulizia delle case. Nel medioevo le foglie aromatiche di
questa pianta venivano sparse sui pavimenti delle abitazioni per le già
note proprietà antiparassitarie e antisettiche. Fu proprio in questo
periodo che si diffuse una leggenda, che ebbe origine a Grasse, città della
Provenza in cui lavoravano valenti maestri guantai e profumieri. Questi
utilizzavano la lavanda per profumare le pelli conciate e, strano a dirsi,
sfuggirono tutti ad una terribile pestilenza. Durante le epidemie,
dunque, nelle case venivano tenuti fasci di lavanda per tener lontana la
terribile malattia.
Nel Rinascimento il suo estratto resinoso diventò un ottimo diluente per
i magnifici colori dei pittori fiamminghi.
Chi non associa la particolare fragranza della lavanda alla freschezza del
bucato della nonna, all'infanzia, a quella colonia leggera che ne portava il
nome…. all'odore di pulito?
Gli odori hanno questa particolare virtù di evocare i ricordi
MENTA
(Menta piperita)
È una pianta utilizzata fin dall'antichità, il suo nome ha addirittura origini
mitologiche. La menta è una pianta aromatica della famiglia delle Laminacee. Ne
esistono di diverse specie: la menta piperita, la mentuccia, la menta romana e il
mentaccio. Della menta si utilizzano le foglie, che vengono raccolte a Giugno, e le
sommità fiorite, in Luglio e Agosto. La menta è apprezzata per l'uso in cucina
soprattutto in medio oriente, India e nord Africa, ma anche in Italia e Spagna.
Viene usata anche per tisane e per aromatizzare the e altre bevande. È ricca di
sostanze amare, resina e di olio essenziale che contiene mentolo, che è usato come
anestetico. Essiccata e messa sul cibo favorisce la digestione ed in infuso contro il
nervosismo, diarrea e mestruazioni irregolari. Il tè alla menta è digestivo e
rinfrescante. Viene usata soprattutto nella cucina romana (carciofi e piselli), e
serve ad aromatizzare tutto il cibo; non si usa la menta piperita che serve solo ad
aromatizzare liquori e dolci.
Il nome Mentha, secondo la mitologia Greca, deriva da quello di una ninfa: Minte,
amata da Ade, che Proserpina, sua moglie, per gelosia, tramutò in pianta. La menta
era conosciuta in tempi remoti per le sue proprietà medicinali. I Cinesi, anticamente,
ne vantavano le proprietà calmanti e le sue virtù antispasmodiche. Ippocrate
considerava la menta un afrodisiaco, mentre Plinio ne vantava l'azione analgesica.
MAGGIORANA
(Origanum Majorana)
Nota fin dall'antichità, fu subito considerata un simbolo di felicità. Ampiamente in uso ai
tempi dei Romani. Le sue foglie, insieme a quelle del timo avrebbero impedito al latte di
inacidire durante i temporali ed il suo profumo la introdusse fra gli aromi in cucina. Greci
ritenevano la maggiorana un dono di Afrodite e quindi la associavano all'idea di felicità.
Dal Medio Evo essa fu sempre coltivata negli orti europei; pare che le sue foglie strofinate
sui mobili e sui pavimenti di legno li rendano particolarmente lucenti; foglie e fiori
racchiusi in sacchetti odorosi profumano delicatamente la biancheria.
Per gli egiziani la maggiorana era una pianta sacra che donavano in offerta al dio Osiride.
In India, si credeva che Shiva e Vishnu amassero la maggiorana. Nella mitologia greca, c'è
una leggenda che racconta come la dea Afrodite curava le ferite di suo figlio Enea con la
maggiorana.
È un arbusto perenne originario della Persia. La maggiorana è una pianta simile
all'origano. Si utilizzano le foglie e le estremità fiorite, che vengono essiccate in piccoli
mazzi appesi all'ombra. Pianta dal sapore molto simile a quello dell'origano, viene
utilizzata in cucina fresca o essiccata come pianta aromatizzante per verdure e carni.
Contiene olio essenziale, tannino e sostanze amare. Viene usata in cucina per particolari
preparazioni, per ripieni di pollo, ragù e salsa curry.
L¹infuso si impiega nei casi di nervosismo , come tonico e stimolante, come espettorante
nei casi di tosse e catarro bronchiale e infine è utile per combattere emicranie e spasmi
intestinali.
AGLIO
(Allium Sativum)
La fama dell'aglio nella storia è stata sempre un trionfo: menzionato nell'Antico Testamento,
era distribuito dal Faraoni egizi agli schiavi che costruivano le Piramidi per rinvigorirli. Gli
atleti greci, prima dei Giochi olimpici, ne masticavano gli spicchi. Gli stessi Romani ne
dedicarono la pianta a Marte, Dio della guerra, per le sue virtù fortificanti ed igieniche.
Oggi le possibilità curative dell'aglio possono risultare utili soprattutto in campo
preventivo. Per esplicare appieno tutte le sue potenzialità, dovrebbe essere consumato
crudo.
La moderna ricerca farmacologica ci viene incontro permettendoci di sfruttare i vantaggi
dell'aglio senza effetti sull’alito. In tutte le farmacie sono infatti reperibili prodotti
fitoterapici a base d'aglio e, tra questi, vanno ricordati in modo particolare i confetti a base
d'aglio essiccato che minimizzano i problemi legati all'alitosi pur possedendo un'efficacia
paragonabile a quella dell'aglio fresco.
L'aglio contiene sali minerali, proteine, oligopeptidi, fruttosani, glucosidi, vitamine,
fosfolipidi, sostanze di natura solforata (alliina e allicina). E' antisettico, antibatterico,
antifungino, ipotensivo, antiipertensivo, ipocolesterolemizzante, ipolipidemizzante,
antiaggregante. (41kcal/100 g).
Contiene solfuro di allile, il quale stimola la produzione di glutatione perossidasi,
importantissimo nell'organismo per la difesa dai radicali liberi. Inoltre il solfuro ha benefici
effetti in caso di arteriosclerosi, diabete, abuso di fumo di sigaretta.
La tossicità è assente, può dare solo a volte disturbi digestivi.
Aglio, cipolla e porro: La parte della pianta che viene utilizzata e' il bulbo. I bulbi crescono sotto terra ma
non sono radici. Si sviluppano per il sovrapporsi di numerose foglie, che, arrotolandosi le une sulle altre,
finiscono col creare un ingrossamento che noi chiamiamo, appunto, bulbo.
Quello dell'aglio e' costituito da tanti spicchi a forma di mezza luna. A qualcuno di voi sara' capitato di
vedere a casa, nella dispensa, spuntare da qualcuno di questi spicchi un germoglio verde. E' l'unico modo
di cui l'aglio dispone per riprodursi. La sua pianta, infatti, non produce semi. Per evitare che l'aglio
germogli - e lo puo' fare anche in frigorifero - e' bene farlo seccare all'aria per circa 10 giorni. Dell'aglio
esistono varieta' bianche e rosse. Queste ultime sono generalmente piu' grosse ma si conservano meno a
lungo. Molti sono gli usi che si fanno in cucina dell'aglio, ma ce n'e' uno che forse non conoscete. Provate
a sotterrarne un bulbo in giardino vicino a una pianta di rose: il loro profumo diventera' piu' intenso e la
pianta non verra' piu' attaccata da quei piccoli insetti verdi (gli afidi) che tanto spesso le fanno fare una
brutta fine.
Il bulbo della cipolla, invece, e' composto da vari strati. La sua forma e' compatta e puo' assomigliare ad
una trottola o ad un fuso o essere semplicemente rotondeggiante. A seconda della varieta', lo strato piu'
esterno della cipolla assume colori diversi. Ci sono quindi cipolle bianche, rosse, gialle e viola
Le cipolle si possono differenziare anche in "estive" ed "invernali". Le prime vengono raccolte in
primavera-estate, sono generalmente bianche e destinate ad essere consumate subito. Anche quelle
invernali sono raccolte in estate, ma prima di essere utilizzate vengono messe a riposare in magazzino per
circa sei mesi.
Infine, eccoci arrivati al porro: a causa della sua forma allungata, che lo fa sembrare un vero e proprio
fusto, viene considerato un "bulbo-stelo. Rispetto a quelli dell'aglio e della cipolla, il sapore e l'odore del
porro sono molto piu' leggeri, anche se chi lo ha mangiato, seppure in piccole dosi, porta con se' un odore
che puo' risultare sgradevole.
ROSMARINO
Rosmarinus officinalis
Il rosmarino deve il suo nome alle due parole romane ros e marinus, che
significa rugiada marina, forse perché proprio nelle zone costiere trova il suo
abitat naturale. Pianta governata dal sole, il rosmarino, ha ispirato antiche
leggende.
Ovidio, nelle Metamorfosi, racconta la storia della principessa Leucotoe, figlia
del re di Persia, che sedotta da Apollo, intrufolatosi furtivamente nelle sue
stanze, dovette subire l'ira del padre, che la uccise per la sua debolezza. Sulla
tomba della principessa i raggi del sole penetrarono fino a raggiungere le
spoglie della fanciulla, che lentamente si trasformò in una pianta dalla
fragranza intensa, dalle esili foglie e dai fiori viola-azzurro pallido.
Da questa leggenda deriva l'usanza degli antichi Greci e Romani di coltivare il
rosmarino come simbolo d'immortalità dell'anima; i rami venivano adagiati fra
le mani dei defunti e bruciati come incenso durante i riti funebri. Secondo una
leggenda i fiori del rosmarino una volta erano bianchi. Divennero azzurri
quando la Madonna, durante la fuga in Egitto, lasciò cadere il suo mantello su
una pianta di rosmarino.
Si dice che nel XIV o XVII secolo la regina Isabella d'Ungheria,
settantenne, rugosa e piena d'acciacchi, ritrovasse la salute e una
seconda giovinezza, tanto da essere chiesta in sposa dal re di
Polonia, grazie ad un'acqua che prende il suo nome. La ricetta è
semplicissima: alcolaturo di rosmarino, lavanda e menta. Peccato
che non se ne conoscano le dosi.
Nel Medioevo veniva usato per scacciare spiriti maligni e streghe
durante le pratiche di esorcismo. Con il legno di rosmarino si
costruivano cucchiai, scatole, pettini, come talismani. Si credeva
che questa pianta avesse poteri magici contro avvelenamenti,
malattie e cattive sorti.
Un’antica credenza popolare suggerisce di mettere foglie di
rosmarino sotto il letto, per evitare brutti sogni e di tenerne un
vaso sulla finestra accanto alla porta perché il suo profumo tiene
lontano le malattie. I romani non usavano il rosmarino per condire
gli alimenti ma bensì per aromatizzare il vino, dal medioevo si
inzia ad usarlo in cucina mentre da sempre lo si è utilizzato in
medicina. Il rosmarino è molto utilizzato in Italia, per condire carni
e prodotti da forno, ma è molto meno utilizzato all'estero. E' ricco
di olio essenziale. In infuso agevola la digestione, è contro le
vertigini e l'inappetenza. In cucina è utilizzato molto come aroma,
soprattutto per carne e pesce alla griglia o arrosto e per l'agnello al
forno. E' sconsigliato per le donne in gravidanza.
FINOCCHIO SELVATICO
(Foeniculum vulgare)
Il finocchio è una tipica pianta mediterranea, che già i Greci apprezzavano e che i
Romani contribuirono a diffondere in tutta l’Europa continentale. Plinio ne
raccomandava le virtù terapeutiche e più tardi, Carlo Magno sempre per le qualità
taumaturgiche, ne ordinava la coltivazione nei giardini erboristici dell’Impero.
Fare tutta la storia del finocchio, equivarrebbe a risalire alle radici del genere
umano, perché il suo polline e i suoi frutti sono stati rinvenuti in abitazioni
antichissime. Forse però, non tutti sanno, che Maratona, il nome della pianura
ellenica in riva all’Egeo dove gli Ateniesi sconfissero i Persiani nel 400 a.C.,
significa in greco “campo di finocchi”, perché lì la pianta nasce spontaneamente.
Invece il verbo “infinocchiare”, deve la sua origine al particolare utilizzo del
gambo di finocchio selvatico fatto dai tavernieri del medioevo. Il vegetale, offerto
ai clienti che attendevano il vino ordinato, per il forte e stuzzicante sapore
“imbrogliava” il palato, non consentendo di distinguere il vino cattivo da quello
buono. Sempre nel medioevo, i semi della finocchiella (finocchio selvatico)
venivano usati per aromatizzare piatti di maiale o conservare salumi come la
finocchiona. Olii essenziali (anetolo 60% e fencone 15%), proteine, acidi organici,
flavonoidi. Esiste anche una qualità coltivata di finocchio selvatico, di cui si
consuma la parte carnosa delle foglie. L’estrazione mediante distillazione in
corrente di vapore permette di ottenere un olio che contiene un’alta percentuale di
anetolo.
SALVIA
(Salvia officinalis)
La Salvia è stata tenuta in grande considerazione fin dai tempi più antichi; la sua efficacia era
ritenuta estremamente valida dalla Scuola Medica di Salerno, che denominava questa pianta
Salvia salvatrix. Tutte le specie di Salvia sono estremamente aromatiche e la officinalis è
importante anche dal punto di vista culinario. L'origine del nome Salvia deriva dal latino
salus, salute, con riferimento alle riconosciute proprietà curative e medicamentose di questa
Labiata. La Salvia ha mantenuto, con lo scorrere del tempo, inalterata la sua reputazione:
infatti, ancora oggi, si usa per aromatizzare le vivande, per proteggere indumenti e tessuti
dalle tarme negli armadi, come cura di bellezza e per vincere i malesseri. E' efficace, si dice,
per curare stati di malinconia e calmare le crisi di asma. Il suo profumo intenso e il suo gusto
sono invitanti, però non bisogna abusarne, perché la Salvia contiene le stesse sostanze
tossiche dell'assenzio, ed è perciò controindicata ai temperamenti sanguigni e ipertesi.
La salvia è un arbusto sempreverde appartenente alla famiglia delle Labiate,
originario della zona dell'Asia minore e del Mediterraneo. Le foglie sono ovali e
rugose, i fiori di colore azzurro o violetto. Nota fin dall'antichità come erba
medicinale, il suo utilizzo in cucina iniziò solamente nel medioevo. La salvia viene
utilizzata in cucina soprattutto per piatti di carne e di legumi. Può essere utilizzata in
infuso per facilitare le mestruazioni, per la digestione, contro le bronchiti e come
cicatrizzante. E' molto impiegata in cucina sia fresca che secca, per dare aroma a
minestre, carni, fegatini di pollo, cacciagione, pesce e marmellate. E' sconsigliata per
le donne in allattamento.
TIMO
(Thymus vulgaris)
Il nome Timo deriva dal Greco "Thymos" che significa Profumo, caratteristica evidente di
questa pianta molto aromatica. Il timo era "l'antibiotico naturale" utilizzato dal popolo.
Gli antichi Egizi lo utilizzavano nel processo di imbalsamazione.I Greci solevano fare delle
fumigazioni per combattere le malattie infettive. Ippocrate già ne conosceva le proprietà
antisettiche così come Dioscoride. I luoghi ove cresceva il Timo erano considerati sacri.
I filosofi Romani solevano sorbire un infuso di questa pianta per stimolare le attività
cerebrali.
In Sardegna il timo viene chiamato "Erba di Santa Maria" in onore alla leggenda che vuole
Maria in riposo, durante la fuga in Egitto, appoggiata proprio ad un cespuglio di quest'erba.
E’ un arbusto perenne della famiglia delle Laminacee, che cresce in tutte le regioni che si
affacciano al mediterraneo. Ha foglie piccole e ovali, di colore grigio. Il timo era noto fin
dagli egizi, che lo usavano nelle imbalsamazioni, i romani sfruttavano le sua proprietà
antiputride per conservare le derrate alimentari, mentre i greci amavano molto il miele
prodotto con il nettare di questa pianta. Galeno, medico e filosofo greco, lo suggeriva in
polvere a chi soffriva di dolori articolari, e lo considerava il più potente antisettico
conosciuto. Gli Etruschi e i Romani, cominciarono ad introdurre il timo in cucina ed a
profumare con esso vini e formaggi. Del timo si utilizzano le foglie e le inflorescenze, che si
raccolgono da maggio a luglio. I ramoscelli che stanno in basso sono più ricchi di oli
essenziali aromatici. In cucina il timo si utilizza per aromatizzare carni (soprattutto
cacciagione e carni che richiedono una lunga cottura) e pesci, impiegato anche per insaporire
salse e nei sali aromatizzati.
ALLORO
(Laurus nobilis)
Introdotta in Europa dall'Asia Minore, questa bella pianta ebbe in Grecia la sua
leggenda, dedicata ad Apollo; con i suoi rami si incoronavano gli eroi, i
personaggi illustri delle arti e della vita sportiva. La corona di alloro si usa anche
oggi come segno di raggiungimento di un titolo accademico ("Laurea") o di una
vittoria sportiva.
Secondo la mitologia romana Apollo, il dio del Sole, si innamorò di una
splendida ninfa dei boschi di nome Dafne. La giovane per "sfuggirgli" durante
un inseguimento, invocò la dea Diana, dea della caccia, la quale, per aiutarla, la
trasformò in un albero. Apollo sconsolato prese alcune foglie e ne fece una corona
che portò sempre vicino al cuore. Quell'albero era l'Alloro. Dal Peloponneso, le
piante di alloro si sono diffuse in tutta Europa in particolare nei giardini,
raggiungendo le coste della Manica e dell'Atlantico. E' pianta usata in cucina, per
profumare intingoli e aromatizzare selvaggina; è bene fare attenzione e non
confondere le sue fogli con quelle del lauroceraso o dell'oleandro che sono
tossiche. Dell'alloro vengono usate le foglie che si raccolgono tutto l'anno e
queste più sono giovani e più hanno principi attivi. L'alloro è ricco di oli
essenziali (Cineolo, pinene, linalolo, acetato di terpineolo) impiegati per le
distorsioni o i dolori reumatici; è stimolante, diuretico, stomachico, espettorante e
antipiretico. Un infuso di alloro aiuta la digestione e combatte i dolori di stomaco,
l'inappetenza e l'influenza.
BASILICO
(Ocimum basilicum)
Ocimum = profumo, indica l'intensa fragranza aromatica dell'erba; basilico, dal greco
basilikós = regale, è riferito al portamento della pianta, elegante nella sua semplicità. L'erba
regale ha, infatti, fusto eretto, che raggiunge un'altezza di 30-60 cm, con foglie opposte, di
colore verde intenso sul lato superiore e verde-grigio in quello inferiore. È una pianta
erbacea annuale, originaria dell'India, che può arrivare fino a mezzo metro di altezza.
E' stimolante, antispasmodico e disinfettante; è utile nella digestione difficile, nell'alitosi,
ansia, stanchezza ed emicranie. Viene usato di solito crudo sulle pietanze per aiutare la
digestione o come infuso contro l'influenza, crampi ecc... In cucina è una spezia tra le più
usate e da aroma alle minestre, zuppe di marmellate, ossibuchi, costolette e sughi; inoltre
viene usato anche per fare liquori.
Nell'antichità il basilico era considerato una pianta divina. In India, patria di origine
dell'elegante erba, vi è un basilico sacro, chiamato tulasi, identificato con la dea della
bellezza, della quiete e dell'armonia, Lakshmi, sposa di Víshnu. Greci e Romani credevano
che per far crescere una sana piantina di basilico fosse necessario seminarla
accompagnando l'operazione con insulti e maledizioni. A quest'antica usanza si deve il
detto proverbiale Cantare il basilico, imprecare contro qualcuno senza mezze misure. Una
novella diffusa in tutta Italia, denominata in Toscana Il basilicone, narra la storia d'amore, a
lieto fine, tra una ragazza, Caterina, apprendista sarta, che tutte le mattine innaffia una
rigogliosa pianta di erba regale, e il bel principe, che, percorrendo quella strada tutti i
A parte che er basilico c'incanta
giorni, finisce per notarla, innamorandosene.
Aldo Fabrizi
perché profuma mejo de le rose,
cià certe doti medicamentose
che in tanti mali so' 'na mano santa.
VERBENA
OFFICINALIS
Il nome Verbena deriva dal Celtico ferfaen, da fer (scacciare via)
e faen (pietra), poiché la pianta era molto usata per curare
problemi della vescica, soprattutto calcoli. Un'altra origine del
nome è indicata da alcuni autori da Herba veneris, per le qualità
afrodisiache attribuitele dagli antichi.
Un'altra origine del nome è indicata da alcuni autori da Herba
veneris, per le qualità afrodisiache attribuitele dagli antichi. I
sacerdoti la usavano per sacrifici, da cui il nome Herba Sacra. Il
nome Verbena era il nome classico romano per 'piante d'altare'
in generale, e per questa specie in particolare. I druidi la
aggiungevano alla loro acqua lustrale, e maghi e stregoni la
usavano ampiamente: è per questo che ad essa è associato come
simbolo l'incantesimo
Nella notte del solstizio, la pianticella più ricercata è un'erba dai fiori azzurroviolacei; una pianticella umile, ma talmente magica che gli indovini, nel
Medioevo, le attribuivano delle proprietà a dir poco miracolose, e per questo fu
chiamata anche "erba del Mago": la Verbena.
Detta anche "artiglio di diavolo", veniva bruciata per mettersi in sintonia con
l'universo, per evocare gli spiriti, aumentare le facoltà profetiche e lanciare
incantesimi, ed infine per preparare potentissimi filtri d'amore. La Verbena,
simbolo di pace e prosperità, veniva anche usata come talismano; sminuzzata, era
messa in un sacchettino, che veniva poi appeso al collo contro mal di testa e morsi
d'animali velenosi. Per risvegliare la passione amorosa e donare armonia alla
propria vita sentimentale, si usava l'infuso; si narra che le giovani spose il giorno
delle nozze portassero con sé un mazzetto fiorito di verbena, che le avrebbe
aiutate a superare la prima notte.
Antiche opere di magia descrivono una formula curiosa sull'amore: si prende una
pianta di Verbena, una volta triturata si strofina leggermente il ricavato sulla
mano sinistra, poi con la stessa si segna il simbolo della croce sulla propria fronte,
successivamente su quella della persona amata, recitando questa formula:
"Catos, si accordi il tuo desiderio con il mio, come quello di San Giuseppe con
Maria, nel nome del Padre del figlio e dello Spirito Santo così sia".
TIGLIO
Il nome botanico, Tilia Cordata, deriva dal greco Ptìlon, penna leggera, ala,
per la caratteristica brattea laterale dei peduncoli dell’infiorescenza.
Curiosità: i fiori, molto profumati, sono ricercate dalle api e danno un ottimo
miele; secchi sono usati in medicina, in quanto contengono mucillagine e un
olio essenziale.
Un mito greco racconta che la ninfa Filira, figlia di Oceano, viveva nell’isola del
Ponto Eusino. Un giorno Crono si unì a lei ma, sorpreso dalla moglie Rea, si
trasformò in uno stallone allontanandosi al galoppo. Quando Filira ebbe partorito,
si accorse che il divino neonato, Chirone, era un mostro mezzo uomo e mezzo
cavallo. Ne provò una tale vergogna che chiese al padre di essere mutata
nell’albero che da allora portò in greco il suo nome. I Greci crearono il mito di
Filira perché questa pianta ha sempre evocato con il suo aspetto e profumo la
femminilità, tant’è vero che i Greci la consideravano sacra ad Afrodite.
Come la quercia questo elegante e possente albero fa da sfondo ai riti e alle
misteriose cerimonie tipiche delle saghe nordiche, particolarmente celebrate dagli
antichi popoli germanici.
La sacralità del tiglio e la s ua possibilità di arrivare alla venerabile età di mille
anni, hanno fatto assumere a quest’albero il simbolo della longevità.
Nella leggenda di Filemone e Bauci, il marito si trasforma in quercia, tipico albero
maschile, mentre la moglie diventa un dolce tiglio. Forse in ricordo di quella
delicata storia d’amore e di venerazione per gli dei, il fiore del tiglio è diventato il
simbolo dell’amore coniugale.
ROSA
E' il fiore più cantato dai poeti e nominato dagli antichi scrittori. Si
trovano rappresentate nel Vecchio Testamento e nelle tombe egiziane.
Omero ci dice che Aurora, la dea del mattino, con "dita di rosa" dipinge di
colore il mondo ad ogni alba. Saffo, Catullo, Anacreonte, Virgilio, Ovidio
ed Erodoto, Plinio ed Ippocrate erano stregati dal suo fascino, i trovatori
medioevali s'ispiravano al suo simbolo; Dante paragona l'amore
paradisiaco al centro di una rosa. In tempi più vicini a noi Lorenzo il
Magnifico, Shakespeare, che ne parla nell'Enrico IV e in Molto Rumore
per nulla, D'Annunzio, Pascoli, Pasolini e Eco non hanno saputo resistere
alla tentazione di usarla come paragone per esseri umani o divini o come
titolo di un'opera. Ma alla rosa venivano attribuiti anche significati
magici. Apuléio, nella favola dell'Asino d'oro, racconta come Lucio, stanco
di essere condannato a restare nel corpo dell'animale, invochi Iside per
ritornare uomo che gli consiglia di mangiare una corona di rose. Nella
Bella e la Bestia (o Belinda e il Mostro), Bella chiede "solo una rosa" al
padre che parte per un viaggio; al suo ritorno la riceve, ed è una rosa
magica che non appassisce mai, cresciuta nel giardino della Bestia e che la
farà innamorare di lui. Troviamo le rose anche nel Piccolo Principe di
Saint-Exupéry: "Coltivano cinquemila rose in un unico, modesto giardino,
e non trovano ciò che cercano. E pensare che quel che cercano lo possono
trovare in un'unica rosa. Ma gli occhi sono ciechi, con il cuore bisogna
cercare"
SAGGINA
Saggina: pianta arbustiva alta anche 2.50 m. (detta anche scopa, scoparia,
saggina...), tipica della macchia mediterranea. Nella notte di San Giovanni alla
scopa di saggina viene attribuito lo stesso potere “antistreghe” dell’aglio
Si ricorda che in tale notte nelle valli marchigiane del centro-nord si usava
anche esporre alla finestra una bottiglia contenente acqua ed albume d’uovo; le
ragazze il mattino successivo sulla base della forma assunta dall’albume
traevano auspici sul mestiere del futuro sposo.
E’ considerata in tutta Europa un'erba dai poteri soprannaturali perché secondo la
leggenda sarebbe stata la prima ad essere calpestata da Gesù bambino. Un'altra
leggenda la vuole legata a Brigit, la dea celtica della poesia, dell'arte medica e di
quella dei metalli. Secondo un'antica credenza, un mazzetto di saggina appeso
alla soglia di casa, aveva il potere di proteggere dalle streghe. Inoltre se le giovani
contadine ne sorbivano l’infuso attiravano irresistibilmente il loro innamorato, se
la fanciulla ne teneva in bocca una fogliolina, il fidanzato baciandola si legava a
lei per sempre.
Nella notte di San Giovanni poi, per difendersi dalle streghe che potevano
penetrare nelle case, s’intrecciavano dietro le finestre e le porte rami di
rosmarino, ginepro, olivo benedetto, lauro, fico e noce; oppure semplicemente un
barattolo di sale e una scopa di saggina. Si diceva infatti, che, prima di entrare, le
streghe fossero costrette a contare a uno a uno i granelli di sale e i fili di saggina
della scopa; ma non riuscissero mai a finire prima della mezzanotte, quando
dovevano dileguarsi perché cominciava il giorno tutelato dal Santo.
LONICERA CAPRIFOLIUM
I greci chiamavano questa pianta periclymenon da pericleio = circondo, chiudo da
ogni parte, ispirandosi al suo portamento volubile e rampicante che spesso
danneggia la pianta ospite.
Una pianta dai fiori così vistosi non poteva non possedere proprietà medicinali; fin
dall'antichità se ne consigliava il decotto di foglie per stimolare la funzione
urinaria. Oggi in fitoterapia se ne consigliano le foglie e i fiori per le loro proprietà
antisettiche, stimolanti generali e antireumatiche e, per uso esterno, sono efficaci
nelle stomatiti, nelle dermatosi e sulle ferite. Unica parte da non consumare sono le
bacche per il loro contenuto tossico.
Secondo un'antica tradizione i fiori della Lonicera, posti nella stanza da letto di
una fanciulla, favorirebbero sogni d'amore, così come portata in una casa dove vi
siano giovani da sposare propizierebbe un matrimonio. Anche se l’amore non
dovrebbe mai essere così…soffocante. caprifoglio...
NOCE
(Juglans regia)
Il nome juglans deriva dal latino Jovi glans, ghianda di Giove. Non si sa con
sicurezza quale sia il territorio d'origine del noce; probabilmente proviene
dall'Asia occidentale, da dove, fin da epoca remota, è stato ampiamente diffuso.
In Europa il noce è da lungo tempo una delle essenze piú pregiate per il legno e i
frutti. Il legno, color bruno scuro, pesante, durevole, con belle venature, viene
utilizzato per mobili di pregio. Le ceppaie (radiche), marezzate di scuro, sono
ricercate e impiegate per impiallicciati e rivestimenti. I frutti sono drupe verdi, la
cui parte esterna (mallo), carnosa, molto ricca di tannino, viene impiegata per
conciare. La parte interna, detta comunemente noce, legnosa, contiene il seme
(gheriglio) edule, aromatico e gustoso. Le foglie hanno impieghi officinali nelle
malattie della pelle; dal mallo infine si estrae un principio tintorio ed in infusione
nell' alcool per produrre il nocino.
Peculiare del noce è la produzione di sostanze tanniniche e aromatiche soprattutto
dalle foglie (in particolare lo juglone). Queste sostanze ostacolano fortemente la
presenza di altre essenze (legnose o erbacee) nell' area coperta dalla proiezione
della chioma. Più che di un' azione velenosa si tratta di un' azione reppellente nei
confronti delle altre specie vegetali.
Curiosità: la somiglianza del gheriglio con il cervello umano portò alla
convinzione medievale che la noce potesse curare le infermità mentali.
Nell’antica Grecia il noce fu dedicato ad Artemide (Diana), gemella di Febo (Apollo). Nella
mitologia si narra che Dioniso (dio che insegnò il culto della vite e l’arte di estrarre il vino),
ospite di Dione, re della Laconia, s’invaghì di Caria, figlia minore del sovrano; ma le
sorelle Orfe e Lico, invidiose e gelose, avvertirono il padre. Dioniso, dopo averle ammonite
più volte s’infuriò, facendole impazzire e trasformandole in rocce.
Caria, per la gran tristezza, morì poco dopo e il dio che l’aveva tanto desiderata la trasformò
in un albero di noce dai frutti fecondi.
Il noce è l’albero della saggezza, simboleggia la fertilità e la longevità, inoltre dona forza
nelle avversità della vita.
Nel Medioevo quest’albero è stato demonizzato: in quel tempo la pianta si presentava
come portatrice del male e delle creature malefiche, come ad esempio il famoso noce di
Benevento.
Una leggenda narra che la notte di San Giovanni Battista le streghe, con a capo la dea
romana Diana (Artemide), vagavano nella notte a cavallo di una scopa per raggiungere il
convegno che si teneva sotto al gran noce di Benevento.
Questo racconto sembra sia stato ispirato da un’interpretazione erronea di un fatto
realmente accaduto sotto il regno di Costante II, che aveva come persona di primo piano il
vescovo S. Barbato (663-682 d. C.). Si narra che il Santo fece sradicare il famoso “noce di
Benevento” per sopprimere alcune feste pagane in onore si Diana.
Tuttavia, nonostante le varie superstizioni, pare che ancor oggi la notte solstiziale
di San Giovanni, come tradizione, le donne si ritrovino sotto le fronde dell’albero,
senza calze né scarpe, per percuotere delicatamente i rami con un bastone di
legno, per far scendere le noci con il mallo ancora verde ed intatto, con lo scopo di
preparare il famoso nocino. Perché questo abbia davvero virtù magiche, nella
preparazione si raccomanda di non usare oggetti di metallo. Sembra questo
liquore che sia un toccasana per vari disturbi, ottimo come digestivo.
Ricetta di casa
Ingredienti
350 g di alcool a 95°, 19 noci piuttosto piccole verdi, 4 chiodi di garofano, 2 g di
cannella, 3 scorze di limone (solo la parte gialla), 500 g di zucchero, 300 g d'acqua.
Preparazione
Il giorno di San Giovanni, 24 giugno raccogliete e chiudete in un vaso le noci
tagliate in quattro spicchi con l'alcool. Il giorno successivo aggiungete le altre
spezie e lasciatele in macerazione fino al 3 agosto agitando tre volte al giorno.
Filtrate ed aggiungete lo zucchero che avrete preparato a parte sciogliendolo in
acqua calda, non bollente. Lasciate raffreddare ed imbottigliate. Prima di poter
consumare questo liquore dovremo attendere tre mesi.