Notte di San Giovanni Erbe e tradizioni Spezie e aromi sono l'anello di congiunzione fra erboristeria e dietetica. Possiamo definire aromatiche tutte le erbe usate nella tradizione culinaria occidentale, in genere parti aeree della pianta che non contengono principi irritanti revulsivi: rosmarino, prezzemolo, cerfoglio, estragon, maggiorana, finocchio, basilico, salvia, ginepro, timo, erba cipollina, zafferano ecc. (senape gialla e peperoncino contengono principi revulsivi che li accomunano, per l'uso, alle spezie). Quando, nei secoli passati, il sale da cucina era una merce preziosa, le erbe aromatiche e le spezie avevano un grande ruolo nel campo gastronomico e non solo. Oggi che il sale è a disposizione in grande abbondanza, i sapori dati dalle erbe aromatiche e dalle spezie sono stati emarginati nell'alimentazione quotidiana. Sicuramente tutto ciò è un grave errore alimentare perché le erbe aromatiche fresche, oltre a procurare un piacere olfattivo apportano principi nutritivi, vitamine e Le erbe aromatiche si chiamano così perché emanano aromi gradevoli e sono sostanze formate da olii essenziali che possono minerali utili nella digestione e nel metabolismo cellulare. svolgere la loro massima azione di stimolazione olfattiva quando sono fresche. Tutte queste piante sono accomunate da un’alta concentrazione di olio essenziale, il principio attivo più volatile della pianta, quello che, liberandosi dalle cellule vegetali con l'aiuto di un calore più o meno forte, ne costituisce il profumo. Tutti gli olii essenziali hanno il potere di distruggere germi e batteri senza ledere i tessuti viventi. Indizi della conoscenza di questa importante proprietà, dimostrata oggi a livello di laboratorio, li troviamo in tutte le epoche e in tutte le civiltà. L'usanza di profumare il corpo con essenze vegetali, così importante per gli egiziani e i popoli del medio ed estremo oriente, gli unguenti balsamici usati durante le grandi epidemie per allontanare il contagio, i suffumigi nelle camere dei vaiolosi, l'abitudine di conservare la biancheria nella lavanda; si trattava di precauzioni igieniche empiriche e spesso inadeguate ma che devono avere un fondamento di verità data la loro diffusione costante nel tempo e nello spazio. Gli olii essenziali, contenuti nelle spezie e nelle erbe aromatiche esercitano doppiamente la loro azione disinfettante: sui germi eventualmente contenuti negli alimenti fra cui i responsabili del deterioramento dei cibi; e sui batteri già presenti nel nostro organismo. La funzione di disinfettare e conservare più a lungo i cibi (particolarmente delle spezie, in cui gli olii essenziali si combinano con i principi piccanti) ha determinato l'enorme importanza delle spezie nell'economia commerciale del medio evo (è noto che la cucina del passato era molto più aromatica della nostra, non avendo a disposizione gli attuali metodi di conservazione) analogamente gli aromi sono molto usati nei paesi caldi dove i batteri prolificano più facilmente ed è frequente il rischio di infezioni di vario genere, particolarmente infezioni intestinali. Da questi indizi è logico supporre che l'uso costante e variato di spezie e aromi nella cucina quotidiana aiuti a prevenire una quantità di disturbi e malattie infettive oltre a svolgere le proprietà curative preventive specifiche di ogni pianta. Molto meno facile è dimostrare e quantificare l'effetto disinfettante interno. Perché la sua azione è preventiva graduale, quasi insensibile. Tuttavia possiamo osservare tutti i cosiddetti aromi da cucina, usati con altri dosaggi in preparazioni erboristiche e farmaceutiche, svolgono diverse funzioni curative. Il cha finocchio evita le fermentazioni, contribuisce a sgonfiare il ventre e ad eliminare i gas intestinali Le piante e le erbe sono state per il passato la base della terapia, tra queste le specie aromatiche occupavano un posto preminente. Era logico che gli uomini ricorressero a certi vegetali per curare le loro malattie arrivando a fare con discernimento ciò che gli animali fanno per istinto. Nella quasi totalità dei casi i principi attivi sono molecole aromatiche. Queste non sono molecole semplici: gli oli essenziali sono miscugli di sostanze chimiche diverse e quindi, pur ammettendo una funzionalità specifica ad alcuni raggruppamenti molecolari, dobbiamo altresì dedurre che determinati rapporti di funzioni chimiche sono i fattori determinanti l'attività terapeutica degli oli essenziali allo stato grezzo, cioè come contenuti nelle erbe. Con il termine di oli essenziali, si definiscono i principi aromatici contenuti nei vegetali e ricavati per distillazione. Oltre che per la diversa composizione chimica, e le diverse caratteristiche fisiche, questi oli si differenziano da quelli stabili, o comunque dai grassi che sono contenuti nei vegetali, perché volatili. Le cellule che immagazzinano le essenze, possono trovarsi in qualsiasi parte della pianta: (nelle foglie, nel fiore, nei semi, nelle gemme, nei frutti ed anche nelle radici e nel legno). L'uso delle erbe aromatiche ebbe una grande diffusione in Francia e in Italia, mentre nei paesi dell'est e del centro-nord (Germania, Olanda, Polonia, Russia) rimasero, e tutt'ora lo sono, maggiormente attaccate alle spezie. Sta a noi saper leggere nel piatto tutte le informazioni storiche e di salute in esso contenute. Mentre se analizzassimo il ruolo che le spezie e le erbe aromatiche hanno ricoperto fuori dal campo alimentare noteremo che esso si è affievolito sempre più con il passare del tempo, fino a scomparire quasi del tutto. Infatti prima dalle civiltà sviluppatesi avanti Cristo e da Romani e Greci poi, queste sostanze odorose erano usate nei modi più svariati nel campo religioso, sociale ma soprattutto pratico. Esse venivano impiegate durante i sacrifici nei quali la vittima bruciava su roghi profumati da spezie e tutti gli oggetti sacri erano cosparsi e impregnati di queste fragranze. Oppure erano utilizzate in questioni di ordine pratico, come per esempio nella creazione di olii cosmetici particolari come quello al rosmarino, che serviva per purificare la pelle, o di prodotti molto vicini ai nostri colluttori alla menta per rinfrescare il cavo orale ed erano infine utilizzate nelle prescrizioni mediche, come sostanze capaci di portare sollievo e beneficio al malato. Spezie ed erbe aromatiche hanno avuto una loro secolare storia di competizione gastronomica Le erbe aromatiche sono indigene dell'area mediterranea italiana, mentre le spezie in epoca romana arrivavano dall'Africa, prima tramite carovane (fino alla costa libica) poi con le navi. Le spezie che per più di un millennio erano state segno distintivo della tavola ricca, amate e desiderate, a poco a poco scomparvero nell'Europa del XVI secolo. Le nuove scoperte geografiche permisero una grande disponibilità di spezie ma la grande pioggia di profumi e di sapori che investì la tavola rinascimentale provocò più tardi una stanchezza verso di loro, cosicché le élites, soprattutto in Francia, abbandonarono le spezie e le sostituirono con l'erba cipollina, lo scalogno e la maggiorana, cioè erbe povere e contadine. Più che il sapore, è l’odore, o meglio, il profumo a caratterizzarle. Più che il gusto è l’olfatto ad essere gratificato dalla loro presenza nei piatti, anche i più semplici. E sono estremamente evocative: del mare, del sole, del vento e, per qualcuno, dell’infanzia. Sono le erbe aromatiche, gli "odori" dell’orto. Per intenderci: prezzemolo, salvia, rosmarino & company, tipici "frutti" dell’area mediterranea e, come tali, tipici prodotti che ci appartengono. Ci siamo evoluti e la cucina, da luogo in cui si quietava il bisogno primario di nutrirsi, è diventata “tavola rotonda” attorno a cui si annusa, si osserva, si ascolta, si assaggia e si parla di cibo. Perché tutto questo interesse per il nostro gusto e per i mille modi di soddisfarlo? Perché, se “siamo ciò che mangiamo”, il cibo “buono” è un modo per migliorare la qualità della vita … Del gusto siamo stati dotati biologicamente per motivi precisi. La natura ci ha messo nella bocca e nel naso gli strumenti per riconoscere buono e cattivo, gustoso e disgustoso. Così l'evoluzione ci ha portati a preferire il dolce, tipico di alimenti ad alto potere energetico e nutritivo, all'amaro, tipico di molte sostanze tossiche. Secondo gli studiosi, la capacità di riconoscere istintivamente gli alimenti commestibili, e addirittura quelli curativi, risale alla preistoria ed è stata trasmessa fino ad oggi dalla tradizione. L'uomo sarebbe dotato di una memoria genetica che capisce, senza preventiva informazione, cosa gli fa bene e cosa gli fa male, tanto che i bambini in alcune regioni dell'Africa mangiano fango e terra quando hanno carenza di sostanze minerali. I sensi in passato erano però molto più acuti, mentre oggi siamo meno capaci di distinguere le sfumature del gusto… Olfatto e gusto non sono chiaramente separabili l'uno dall'altro, infatti per molti aspetti si sovrappongono; entrambi sono sensi chimici, rispondono cioè ad agenti chimici naturali o artificiali; entrambi proteggono il tratto gastrointestinale da sostanze non digeribili o addirittura nocive. Da un punto di vista neurologico l'olfatto appartiene al cervello antico, é un senso che si sviluppa in modo indirettamente proporzionale alla vista e agli altri sensi. E' il senso che ha una via di accesso diretta al cervello e che in modo molto forte evoca memorie e ricordi. Olfatto e emozioni ovvero Il Senso Della Memoria La stretta correlazione con il sistema limbico è la ragione per la quale spesso odori gradevoli o sgradevoli possono involontariamente scatenare emozioni. Si trovano esempi di questo fenomeno in numerose occasioni quotidiane. Tutti noi sappiamo quanto possono essere evocativi i profumi: il ricordo di un avvenimento, di un'atmosfera, di un luogo o di una persona resta spesso legato a n particolare odore. L'olfatto è quindi il senso della memoria. Seguendo una scia odorosa si può viaggiare nel tempo, rievocando emozioni, sensazioni ed esperienze vissute in momenti e in luoghi lontani. Basta un soffio di profumo nell'aria per riportarci indietro al tempo della nostra infanzia o in luoghi lontani, che abbiamo conosciuto. Il sistema limbico è strettamente connesso con i nostri ricordi più reconditi. Dalla notte dei tempi, nel giorno del Solstizio d'Estate, quando il Sole nel Cancro raggiunge la sua massima inclinazione sull'equatore celeste, avviene il passaggio fra il mondo dello spazio e quello del tempo, dove il vero si confonde con l'illusione e tutto diventa possibile: è la notte della vigilia di San Giovanni Battista. Le fattucchiere, come i monaci esperti in erboristeria, nella notte di mezza estate raccoglievano le erbe, poiché il sodalizio fra il Sole (fuoco) e la Luna (acqua) rendeva la rugiada prodigiosa, donando così alle piante ulteriore potere curativo. Nel Medio Evo, nella quiete delle abbazie, i padri avevano acquisito l'uso curativo delle erbe, e nei loro orti la notte del Santo era dedicata alla raccolta delle pianticelle prodigiose (chiamate erbe dei semplici), utili per curare i bisognosi, mentre per maghe e stregoni era la notte dei Sabba, dei grandi fuochi, dove venivano arse le erbe per mettersi in contatto con le forze supreme; le ceneri e le foglie rimaste sarebbero servite per preparare componenti principali per le pozioni magiche. Ma queste piante non appartengono solo al culto della magia segreta; un tempo, il giorno della festa di San Giovanni si allestiva sul sagrato delle chiese dedicate al Santo la fiera delle erbe; qui ci si procuravano coroncine d'iperico per allontanare gli spiriti maligni, la lavanda (chiamata anche spiga di San Giovanni), la verbena per riti propiziatori e divinazioni, la menta (detta erba santa), il rosmarino, l'aglio, la cipolla e molte altre. I nonni della nostra terra raccomandavano comunque di mettere più piante aromatiche possibile: timo, rosmarino, salvia, basilico, maggiorana, noce, rosa, alloro, finocchio selvatico, fiore di tiglio, caprifoglio... E' usanza ancora oggi diffusa quella di raccogliere il giorno prima del patrono fiori ed erbe da tenere a bagno, fuori di casa, durante la notte di S.Giovanni. La mattina seguente poi la stessa acqua viene utilizzata per lavarsi. Si dice che questa operazione procuri giovamento in particolare alla pelle, ma che sia anche una protezione contro le malattie in generale. "La guazza di Santo Gioanno fa guarì da ogni malanno” Tra i fiori utilizzati nella zona spicca il giallo della ginestra, non dovrebbe però mancare l'iperico detto anche erba di S.Giovanni. Nella notte del 24 Giugno gli antichi credevano che gli elementi della natura (aria, acqua, fuoco e terra) si caricassero di particolari poteri. Le erbe (in particolare se bagnate dalla rugiada notturna) erano ritenute in grado di guarire i malanni e di scacciare i demoni e le streghe: in qualche luogo d'Italia era consuetudine, per chi si trovava per strada dopo il calare del sole, di portare sotto la camicia un mazzo di erbe di S.Giovanni San Giovanni…uno , che se fosse vissuto adesso avrebbero considerato tosto, urlava nel deserto, si vestiva di pelli di cammello, gran barba e capelli…morto per le bizze di Salomè Tra le streghe, la leggenda vuole che ci siano anche Erodiade e sua figlia Salomè condannate a vagare per il mondo su una scopa per espiare la colpa di aver fatto decapitare San Giovanni. IPERICO (hypericum perforatum) Il suo nome scientifico è HYPERICUM PERFORATUM, sulla etimologia del nome sono state fatte molteplici ipotesi, e così ipericum potrebbe significare “posta sopra la casa” o “posta sopra l’immagine” (intendendo immagine sacra), ciò che conta è comunque l’idea dell’ ”al di sopra” che sta appunto ad indicare le caratteristiche di protezione da influenze negative da cui il suo ulteriore e famosissimo nome popolare di scacciadiavoli. Ciò che appare, invece, certa è la derivazione dell’aggettivo perforatum, le sue foglioline verdi ed ovalizzate presentano, infatti, delle minuscole ghiandoline contenenti olio che appaiono trasparenti e fanno sembrare la foglia bucherellata. Noto anche come erba di San Giovanni, erba rossa e scacciadiavoli, per la credenza che proteggesse dalle stregonerie. Sostanze chimiche contenute: Ipericina, Olii volatili, Resina, Tannini, Flavonoidi Agisce come I-MAO sul sistema nervoso centrale, in quanto facilitando la produzione della serotonina (noto come "ormone della felicità") dona senso di benessere e soddisfazione a chi lo assume. Il pigmento rosso della pianta erbacea contiene l'ipericina, principio attivo responsabile dell'effetto antidepressivo, quindi efficace nella cura di depressioni, ansia e insonnia; inoltre da studi più approfonditi risulta che quest'erba esercita buona azione antivirale. L'unguento balsamico a base d'Iperico è ottimo per lenire tensioni muscolari, lombaggine e slogature. L'infuso aiuta nelle difficoltà respiratorie con problemi di infezione, e sembra che questo rimedio possa rendere più lievi i disturbi polmonari. Nella medicina popolare l'Iperico, sottoforma d'impiastro o tintura, viene usato per guarire le ferite più profonde, ulcere, piaghe, scottature e lenire i dolori reumatici. I suoi utilizzi sono tantissimi e, taluni rivalutati da ultimo, conosciuti fin dall’antichità. Oggi infatti si dà grandissima rilevanza al potere antidepressivo della pianta cosa che quanto meno era già nota ai Cavalieri Templari (studiosi di mille e più discipline oltre che crociati), i quali, forse per primi, scoprirono che, oltre a poterla utilizzare per lenire le ferite e le ustioni riportate in guerra, il suo effetto era prodigioso nel migliorare l’umore tra le fila dei combattenti e anche per alleviare la sofferenza di feriti costretti a letto per diversi mesi. Questo uso fu tramandato alla scuola medica salernitana (culla della fitoterapia) e riscoperto negli ultimi anni. Efficacissimo per guarire ferite, ustioni, tumefazioni e in generale disturbi della pelle, è anche utilissimo nei massaggi per il trattamento di reumatismi, lombaggini, lussazioni, ematomi e crampi. E’ inoltre uno dei rimedi migliori in caso di mal d’orecchie. In uso interno è molto valido come calmante per lo stomaco, come coadiuvante del sonno, come diuretico, analgesico ed anche vermifugo. Da qualche tempo se ne studia l’utilizzo anche nel trattamento dell’AIDS. Nella bellezza è valido aiuto contro i segni dell’invecchiamento LAVANDA (Lavandula spica) La derivazione etimologica del nome non lascia dubbi e ricorda l'uso che i Romani facevano di questa pianta: la usavano per profumare l'acqua dei bagni e come detergente. L'essenza ricavata dalla distillazione di questo piccolo fiore possiede qualità terapeutiche così numerose e potenti che risulta difficile individuare un campo d'azione elettivo. E' una vera panacea per qualsiasi male Con la Lavanda non si sbaglia mai. Ha un notevole potere analgesico, antivelenoso ed è capace di stimolare i processi di rigenerazione dei tessuti lesi. La dolcezza della lavanda è rivolta in modo particolare a gli anziani e ai bambini. La sua freschezza è quella della pulizia interiore, la sua energia fra Yin e Yang offre il dono dell'equilibrio, della calma e della chiarezza. Il suo effetto rigenerante sul sistema nervoso è riconosciuto e largamente impiegato in psicoterapia per vincere la paura, la confusione mentale, l'instabilità di stati d'animo, l'isteria, e può essere indossata dagli attori contro il panico da palcoscenico. La lavanda ha incantato gli uomini fin dall'antichità. I Greci, che la chiamavano nardus ritenendola originaria dell'omonima città siriana, e i Romani, che "l'appellavano" asarum, dal nome del serpente velenoso che pensavano si nascondesse nel folto dei suoi cespugli, già utilizzavano l'essenza dei suoi fiori per profumare l'acqua per le abluzioni, soprattutto termali, o per la pulizia delle case. Nel medioevo le foglie aromatiche di questa pianta venivano sparse sui pavimenti delle abitazioni per le già note proprietà antiparassitarie e antisettiche. Fu proprio in questo periodo che si diffuse una leggenda, che ebbe origine a Grasse, città della Provenza in cui lavoravano valenti maestri guantai e profumieri. Questi utilizzavano la lavanda per profumare le pelli conciate e, strano a dirsi, sfuggirono tutti ad una terribile pestilenza. Durante le epidemie, dunque, nelle case venivano tenuti fasci di lavanda per tener lontana la terribile malattia. Nel Rinascimento il suo estratto resinoso diventò un ottimo diluente per i magnifici colori dei pittori fiamminghi. Chi non associa la particolare fragranza della lavanda alla freschezza del bucato della nonna, all'infanzia, a quella colonia leggera che ne portava il nome…. all'odore di pulito? Gli odori hanno questa particolare virtù di evocare i ricordi MENTA (Menta piperita) È una pianta utilizzata fin dall'antichità, il suo nome ha addirittura origini mitologiche. La menta è una pianta aromatica della famiglia delle Laminacee. Ne esistono di diverse specie: la menta piperita, la mentuccia, la menta romana e il mentaccio. Della menta si utilizzano le foglie, che vengono raccolte a Giugno, e le sommità fiorite, in Luglio e Agosto. La menta è apprezzata per l'uso in cucina soprattutto in medio oriente, India e nord Africa, ma anche in Italia e Spagna. Viene usata anche per tisane e per aromatizzare the e altre bevande. È ricca di sostanze amare, resina e di olio essenziale che contiene mentolo, che è usato come anestetico. Essiccata e messa sul cibo favorisce la digestione ed in infuso contro il nervosismo, diarrea e mestruazioni irregolari. Il tè alla menta è digestivo e rinfrescante. Viene usata soprattutto nella cucina romana (carciofi e piselli), e serve ad aromatizzare tutto il cibo; non si usa la menta piperita che serve solo ad aromatizzare liquori e dolci. Il nome Mentha, secondo la mitologia Greca, deriva da quello di una ninfa: Minte, amata da Ade, che Proserpina, sua moglie, per gelosia, tramutò in pianta. La menta era conosciuta in tempi remoti per le sue proprietà medicinali. I Cinesi, anticamente, ne vantavano le proprietà calmanti e le sue virtù antispasmodiche. Ippocrate considerava la menta un afrodisiaco, mentre Plinio ne vantava l'azione analgesica. MAGGIORANA (Origanum Majorana) Nota fin dall'antichità, fu subito considerata un simbolo di felicità. Ampiamente in uso ai tempi dei Romani. Le sue foglie, insieme a quelle del timo avrebbero impedito al latte di inacidire durante i temporali ed il suo profumo la introdusse fra gli aromi in cucina. Greci ritenevano la maggiorana un dono di Afrodite e quindi la associavano all'idea di felicità. Dal Medio Evo essa fu sempre coltivata negli orti europei; pare che le sue foglie strofinate sui mobili e sui pavimenti di legno li rendano particolarmente lucenti; foglie e fiori racchiusi in sacchetti odorosi profumano delicatamente la biancheria. Per gli egiziani la maggiorana era una pianta sacra che donavano in offerta al dio Osiride. In India, si credeva che Shiva e Vishnu amassero la maggiorana. Nella mitologia greca, c'è una leggenda che racconta come la dea Afrodite curava le ferite di suo figlio Enea con la maggiorana. È un arbusto perenne originario della Persia. La maggiorana è una pianta simile all'origano. Si utilizzano le foglie e le estremità fiorite, che vengono essiccate in piccoli mazzi appesi all'ombra. Pianta dal sapore molto simile a quello dell'origano, viene utilizzata in cucina fresca o essiccata come pianta aromatizzante per verdure e carni. Contiene olio essenziale, tannino e sostanze amare. Viene usata in cucina per particolari preparazioni, per ripieni di pollo, ragù e salsa curry. L¹infuso si impiega nei casi di nervosismo , come tonico e stimolante, come espettorante nei casi di tosse e catarro bronchiale e infine è utile per combattere emicranie e spasmi intestinali. AGLIO (Allium Sativum) La fama dell'aglio nella storia è stata sempre un trionfo: menzionato nell'Antico Testamento, era distribuito dal Faraoni egizi agli schiavi che costruivano le Piramidi per rinvigorirli. Gli atleti greci, prima dei Giochi olimpici, ne masticavano gli spicchi. Gli stessi Romani ne dedicarono la pianta a Marte, Dio della guerra, per le sue virtù fortificanti ed igieniche. Oggi le possibilità curative dell'aglio possono risultare utili soprattutto in campo preventivo. Per esplicare appieno tutte le sue potenzialità, dovrebbe essere consumato crudo. La moderna ricerca farmacologica ci viene incontro permettendoci di sfruttare i vantaggi dell'aglio senza effetti sull’alito. In tutte le farmacie sono infatti reperibili prodotti fitoterapici a base d'aglio e, tra questi, vanno ricordati in modo particolare i confetti a base d'aglio essiccato che minimizzano i problemi legati all'alitosi pur possedendo un'efficacia paragonabile a quella dell'aglio fresco. L'aglio contiene sali minerali, proteine, oligopeptidi, fruttosani, glucosidi, vitamine, fosfolipidi, sostanze di natura solforata (alliina e allicina). E' antisettico, antibatterico, antifungino, ipotensivo, antiipertensivo, ipocolesterolemizzante, ipolipidemizzante, antiaggregante. (41kcal/100 g). Contiene solfuro di allile, il quale stimola la produzione di glutatione perossidasi, importantissimo nell'organismo per la difesa dai radicali liberi. Inoltre il solfuro ha benefici effetti in caso di arteriosclerosi, diabete, abuso di fumo di sigaretta. La tossicità è assente, può dare solo a volte disturbi digestivi. Aglio, cipolla e porro: La parte della pianta che viene utilizzata e' il bulbo. I bulbi crescono sotto terra ma non sono radici. Si sviluppano per il sovrapporsi di numerose foglie, che, arrotolandosi le une sulle altre, finiscono col creare un ingrossamento che noi chiamiamo, appunto, bulbo. Quello dell'aglio e' costituito da tanti spicchi a forma di mezza luna. A qualcuno di voi sara' capitato di vedere a casa, nella dispensa, spuntare da qualcuno di questi spicchi un germoglio verde. E' l'unico modo di cui l'aglio dispone per riprodursi. La sua pianta, infatti, non produce semi. Per evitare che l'aglio germogli - e lo puo' fare anche in frigorifero - e' bene farlo seccare all'aria per circa 10 giorni. Dell'aglio esistono varieta' bianche e rosse. Queste ultime sono generalmente piu' grosse ma si conservano meno a lungo. Molti sono gli usi che si fanno in cucina dell'aglio, ma ce n'e' uno che forse non conoscete. Provate a sotterrarne un bulbo in giardino vicino a una pianta di rose: il loro profumo diventera' piu' intenso e la pianta non verra' piu' attaccata da quei piccoli insetti verdi (gli afidi) che tanto spesso le fanno fare una brutta fine. Il bulbo della cipolla, invece, e' composto da vari strati. La sua forma e' compatta e puo' assomigliare ad una trottola o ad un fuso o essere semplicemente rotondeggiante. A seconda della varieta', lo strato piu' esterno della cipolla assume colori diversi. Ci sono quindi cipolle bianche, rosse, gialle e viola Le cipolle si possono differenziare anche in "estive" ed "invernali". Le prime vengono raccolte in primavera-estate, sono generalmente bianche e destinate ad essere consumate subito. Anche quelle invernali sono raccolte in estate, ma prima di essere utilizzate vengono messe a riposare in magazzino per circa sei mesi. Infine, eccoci arrivati al porro: a causa della sua forma allungata, che lo fa sembrare un vero e proprio fusto, viene considerato un "bulbo-stelo. Rispetto a quelli dell'aglio e della cipolla, il sapore e l'odore del porro sono molto piu' leggeri, anche se chi lo ha mangiato, seppure in piccole dosi, porta con se' un odore che puo' risultare sgradevole. ROSMARINO Rosmarinus officinalis Il rosmarino deve il suo nome alle due parole romane ros e marinus, che significa rugiada marina, forse perché proprio nelle zone costiere trova il suo abitat naturale. Pianta governata dal sole, il rosmarino, ha ispirato antiche leggende. Ovidio, nelle Metamorfosi, racconta la storia della principessa Leucotoe, figlia del re di Persia, che sedotta da Apollo, intrufolatosi furtivamente nelle sue stanze, dovette subire l'ira del padre, che la uccise per la sua debolezza. Sulla tomba della principessa i raggi del sole penetrarono fino a raggiungere le spoglie della fanciulla, che lentamente si trasformò in una pianta dalla fragranza intensa, dalle esili foglie e dai fiori viola-azzurro pallido. Da questa leggenda deriva l'usanza degli antichi Greci e Romani di coltivare il rosmarino come simbolo d'immortalità dell'anima; i rami venivano adagiati fra le mani dei defunti e bruciati come incenso durante i riti funebri. Secondo una leggenda i fiori del rosmarino una volta erano bianchi. Divennero azzurri quando la Madonna, durante la fuga in Egitto, lasciò cadere il suo mantello su una pianta di rosmarino. Si dice che nel XIV o XVII secolo la regina Isabella d'Ungheria, settantenne, rugosa e piena d'acciacchi, ritrovasse la salute e una seconda giovinezza, tanto da essere chiesta in sposa dal re di Polonia, grazie ad un'acqua che prende il suo nome. La ricetta è semplicissima: alcolaturo di rosmarino, lavanda e menta. Peccato che non se ne conoscano le dosi. Nel Medioevo veniva usato per scacciare spiriti maligni e streghe durante le pratiche di esorcismo. Con il legno di rosmarino si costruivano cucchiai, scatole, pettini, come talismani. Si credeva che questa pianta avesse poteri magici contro avvelenamenti, malattie e cattive sorti. Un’antica credenza popolare suggerisce di mettere foglie di rosmarino sotto il letto, per evitare brutti sogni e di tenerne un vaso sulla finestra accanto alla porta perché il suo profumo tiene lontano le malattie. I romani non usavano il rosmarino per condire gli alimenti ma bensì per aromatizzare il vino, dal medioevo si inzia ad usarlo in cucina mentre da sempre lo si è utilizzato in medicina. Il rosmarino è molto utilizzato in Italia, per condire carni e prodotti da forno, ma è molto meno utilizzato all'estero. E' ricco di olio essenziale. In infuso agevola la digestione, è contro le vertigini e l'inappetenza. In cucina è utilizzato molto come aroma, soprattutto per carne e pesce alla griglia o arrosto e per l'agnello al forno. E' sconsigliato per le donne in gravidanza. FINOCCHIO SELVATICO (Foeniculum vulgare) Il finocchio è una tipica pianta mediterranea, che già i Greci apprezzavano e che i Romani contribuirono a diffondere in tutta l’Europa continentale. Plinio ne raccomandava le virtù terapeutiche e più tardi, Carlo Magno sempre per le qualità taumaturgiche, ne ordinava la coltivazione nei giardini erboristici dell’Impero. Fare tutta la storia del finocchio, equivarrebbe a risalire alle radici del genere umano, perché il suo polline e i suoi frutti sono stati rinvenuti in abitazioni antichissime. Forse però, non tutti sanno, che Maratona, il nome della pianura ellenica in riva all’Egeo dove gli Ateniesi sconfissero i Persiani nel 400 a.C., significa in greco “campo di finocchi”, perché lì la pianta nasce spontaneamente. Invece il verbo “infinocchiare”, deve la sua origine al particolare utilizzo del gambo di finocchio selvatico fatto dai tavernieri del medioevo. Il vegetale, offerto ai clienti che attendevano il vino ordinato, per il forte e stuzzicante sapore “imbrogliava” il palato, non consentendo di distinguere il vino cattivo da quello buono. Sempre nel medioevo, i semi della finocchiella (finocchio selvatico) venivano usati per aromatizzare piatti di maiale o conservare salumi come la finocchiona. Olii essenziali (anetolo 60% e fencone 15%), proteine, acidi organici, flavonoidi. Esiste anche una qualità coltivata di finocchio selvatico, di cui si consuma la parte carnosa delle foglie. L’estrazione mediante distillazione in corrente di vapore permette di ottenere un olio che contiene un’alta percentuale di anetolo. SALVIA (Salvia officinalis) La Salvia è stata tenuta in grande considerazione fin dai tempi più antichi; la sua efficacia era ritenuta estremamente valida dalla Scuola Medica di Salerno, che denominava questa pianta Salvia salvatrix. Tutte le specie di Salvia sono estremamente aromatiche e la officinalis è importante anche dal punto di vista culinario. L'origine del nome Salvia deriva dal latino salus, salute, con riferimento alle riconosciute proprietà curative e medicamentose di questa Labiata. La Salvia ha mantenuto, con lo scorrere del tempo, inalterata la sua reputazione: infatti, ancora oggi, si usa per aromatizzare le vivande, per proteggere indumenti e tessuti dalle tarme negli armadi, come cura di bellezza e per vincere i malesseri. E' efficace, si dice, per curare stati di malinconia e calmare le crisi di asma. Il suo profumo intenso e il suo gusto sono invitanti, però non bisogna abusarne, perché la Salvia contiene le stesse sostanze tossiche dell'assenzio, ed è perciò controindicata ai temperamenti sanguigni e ipertesi. La salvia è un arbusto sempreverde appartenente alla famiglia delle Labiate, originario della zona dell'Asia minore e del Mediterraneo. Le foglie sono ovali e rugose, i fiori di colore azzurro o violetto. Nota fin dall'antichità come erba medicinale, il suo utilizzo in cucina iniziò solamente nel medioevo. La salvia viene utilizzata in cucina soprattutto per piatti di carne e di legumi. Può essere utilizzata in infuso per facilitare le mestruazioni, per la digestione, contro le bronchiti e come cicatrizzante. E' molto impiegata in cucina sia fresca che secca, per dare aroma a minestre, carni, fegatini di pollo, cacciagione, pesce e marmellate. E' sconsigliata per le donne in allattamento. TIMO (Thymus vulgaris) Il nome Timo deriva dal Greco "Thymos" che significa Profumo, caratteristica evidente di questa pianta molto aromatica. Il timo era "l'antibiotico naturale" utilizzato dal popolo. Gli antichi Egizi lo utilizzavano nel processo di imbalsamazione.I Greci solevano fare delle fumigazioni per combattere le malattie infettive. Ippocrate già ne conosceva le proprietà antisettiche così come Dioscoride. I luoghi ove cresceva il Timo erano considerati sacri. I filosofi Romani solevano sorbire un infuso di questa pianta per stimolare le attività cerebrali. In Sardegna il timo viene chiamato "Erba di Santa Maria" in onore alla leggenda che vuole Maria in riposo, durante la fuga in Egitto, appoggiata proprio ad un cespuglio di quest'erba. E’ un arbusto perenne della famiglia delle Laminacee, che cresce in tutte le regioni che si affacciano al mediterraneo. Ha foglie piccole e ovali, di colore grigio. Il timo era noto fin dagli egizi, che lo usavano nelle imbalsamazioni, i romani sfruttavano le sua proprietà antiputride per conservare le derrate alimentari, mentre i greci amavano molto il miele prodotto con il nettare di questa pianta. Galeno, medico e filosofo greco, lo suggeriva in polvere a chi soffriva di dolori articolari, e lo considerava il più potente antisettico conosciuto. Gli Etruschi e i Romani, cominciarono ad introdurre il timo in cucina ed a profumare con esso vini e formaggi. Del timo si utilizzano le foglie e le inflorescenze, che si raccolgono da maggio a luglio. I ramoscelli che stanno in basso sono più ricchi di oli essenziali aromatici. In cucina il timo si utilizza per aromatizzare carni (soprattutto cacciagione e carni che richiedono una lunga cottura) e pesci, impiegato anche per insaporire salse e nei sali aromatizzati. ALLORO (Laurus nobilis) Introdotta in Europa dall'Asia Minore, questa bella pianta ebbe in Grecia la sua leggenda, dedicata ad Apollo; con i suoi rami si incoronavano gli eroi, i personaggi illustri delle arti e della vita sportiva. La corona di alloro si usa anche oggi come segno di raggiungimento di un titolo accademico ("Laurea") o di una vittoria sportiva. Secondo la mitologia romana Apollo, il dio del Sole, si innamorò di una splendida ninfa dei boschi di nome Dafne. La giovane per "sfuggirgli" durante un inseguimento, invocò la dea Diana, dea della caccia, la quale, per aiutarla, la trasformò in un albero. Apollo sconsolato prese alcune foglie e ne fece una corona che portò sempre vicino al cuore. Quell'albero era l'Alloro. Dal Peloponneso, le piante di alloro si sono diffuse in tutta Europa in particolare nei giardini, raggiungendo le coste della Manica e dell'Atlantico. E' pianta usata in cucina, per profumare intingoli e aromatizzare selvaggina; è bene fare attenzione e non confondere le sue fogli con quelle del lauroceraso o dell'oleandro che sono tossiche. Dell'alloro vengono usate le foglie che si raccolgono tutto l'anno e queste più sono giovani e più hanno principi attivi. L'alloro è ricco di oli essenziali (Cineolo, pinene, linalolo, acetato di terpineolo) impiegati per le distorsioni o i dolori reumatici; è stimolante, diuretico, stomachico, espettorante e antipiretico. Un infuso di alloro aiuta la digestione e combatte i dolori di stomaco, l'inappetenza e l'influenza. BASILICO (Ocimum basilicum) Ocimum = profumo, indica l'intensa fragranza aromatica dell'erba; basilico, dal greco basilikós = regale, è riferito al portamento della pianta, elegante nella sua semplicità. L'erba regale ha, infatti, fusto eretto, che raggiunge un'altezza di 30-60 cm, con foglie opposte, di colore verde intenso sul lato superiore e verde-grigio in quello inferiore. È una pianta erbacea annuale, originaria dell'India, che può arrivare fino a mezzo metro di altezza. E' stimolante, antispasmodico e disinfettante; è utile nella digestione difficile, nell'alitosi, ansia, stanchezza ed emicranie. Viene usato di solito crudo sulle pietanze per aiutare la digestione o come infuso contro l'influenza, crampi ecc... In cucina è una spezia tra le più usate e da aroma alle minestre, zuppe di marmellate, ossibuchi, costolette e sughi; inoltre viene usato anche per fare liquori. Nell'antichità il basilico era considerato una pianta divina. In India, patria di origine dell'elegante erba, vi è un basilico sacro, chiamato tulasi, identificato con la dea della bellezza, della quiete e dell'armonia, Lakshmi, sposa di Víshnu. Greci e Romani credevano che per far crescere una sana piantina di basilico fosse necessario seminarla accompagnando l'operazione con insulti e maledizioni. A quest'antica usanza si deve il detto proverbiale Cantare il basilico, imprecare contro qualcuno senza mezze misure. Una novella diffusa in tutta Italia, denominata in Toscana Il basilicone, narra la storia d'amore, a lieto fine, tra una ragazza, Caterina, apprendista sarta, che tutte le mattine innaffia una rigogliosa pianta di erba regale, e il bel principe, che, percorrendo quella strada tutti i A parte che er basilico c'incanta giorni, finisce per notarla, innamorandosene. Aldo Fabrizi perché profuma mejo de le rose, cià certe doti medicamentose che in tanti mali so' 'na mano santa. VERBENA OFFICINALIS Il nome Verbena deriva dal Celtico ferfaen, da fer (scacciare via) e faen (pietra), poiché la pianta era molto usata per curare problemi della vescica, soprattutto calcoli. Un'altra origine del nome è indicata da alcuni autori da Herba veneris, per le qualità afrodisiache attribuitele dagli antichi. Un'altra origine del nome è indicata da alcuni autori da Herba veneris, per le qualità afrodisiache attribuitele dagli antichi. I sacerdoti la usavano per sacrifici, da cui il nome Herba Sacra. Il nome Verbena era il nome classico romano per 'piante d'altare' in generale, e per questa specie in particolare. I druidi la aggiungevano alla loro acqua lustrale, e maghi e stregoni la usavano ampiamente: è per questo che ad essa è associato come simbolo l'incantesimo Nella notte del solstizio, la pianticella più ricercata è un'erba dai fiori azzurroviolacei; una pianticella umile, ma talmente magica che gli indovini, nel Medioevo, le attribuivano delle proprietà a dir poco miracolose, e per questo fu chiamata anche "erba del Mago": la Verbena. Detta anche "artiglio di diavolo", veniva bruciata per mettersi in sintonia con l'universo, per evocare gli spiriti, aumentare le facoltà profetiche e lanciare incantesimi, ed infine per preparare potentissimi filtri d'amore. La Verbena, simbolo di pace e prosperità, veniva anche usata come talismano; sminuzzata, era messa in un sacchettino, che veniva poi appeso al collo contro mal di testa e morsi d'animali velenosi. Per risvegliare la passione amorosa e donare armonia alla propria vita sentimentale, si usava l'infuso; si narra che le giovani spose il giorno delle nozze portassero con sé un mazzetto fiorito di verbena, che le avrebbe aiutate a superare la prima notte. Antiche opere di magia descrivono una formula curiosa sull'amore: si prende una pianta di Verbena, una volta triturata si strofina leggermente il ricavato sulla mano sinistra, poi con la stessa si segna il simbolo della croce sulla propria fronte, successivamente su quella della persona amata, recitando questa formula: "Catos, si accordi il tuo desiderio con il mio, come quello di San Giuseppe con Maria, nel nome del Padre del figlio e dello Spirito Santo così sia". TIGLIO Il nome botanico, Tilia Cordata, deriva dal greco Ptìlon, penna leggera, ala, per la caratteristica brattea laterale dei peduncoli dell’infiorescenza. Curiosità: i fiori, molto profumati, sono ricercate dalle api e danno un ottimo miele; secchi sono usati in medicina, in quanto contengono mucillagine e un olio essenziale. Un mito greco racconta che la ninfa Filira, figlia di Oceano, viveva nell’isola del Ponto Eusino. Un giorno Crono si unì a lei ma, sorpreso dalla moglie Rea, si trasformò in uno stallone allontanandosi al galoppo. Quando Filira ebbe partorito, si accorse che il divino neonato, Chirone, era un mostro mezzo uomo e mezzo cavallo. Ne provò una tale vergogna che chiese al padre di essere mutata nell’albero che da allora portò in greco il suo nome. I Greci crearono il mito di Filira perché questa pianta ha sempre evocato con il suo aspetto e profumo la femminilità, tant’è vero che i Greci la consideravano sacra ad Afrodite. Come la quercia questo elegante e possente albero fa da sfondo ai riti e alle misteriose cerimonie tipiche delle saghe nordiche, particolarmente celebrate dagli antichi popoli germanici. La sacralità del tiglio e la s ua possibilità di arrivare alla venerabile età di mille anni, hanno fatto assumere a quest’albero il simbolo della longevità. Nella leggenda di Filemone e Bauci, il marito si trasforma in quercia, tipico albero maschile, mentre la moglie diventa un dolce tiglio. Forse in ricordo di quella delicata storia d’amore e di venerazione per gli dei, il fiore del tiglio è diventato il simbolo dell’amore coniugale. ROSA E' il fiore più cantato dai poeti e nominato dagli antichi scrittori. Si trovano rappresentate nel Vecchio Testamento e nelle tombe egiziane. Omero ci dice che Aurora, la dea del mattino, con "dita di rosa" dipinge di colore il mondo ad ogni alba. Saffo, Catullo, Anacreonte, Virgilio, Ovidio ed Erodoto, Plinio ed Ippocrate erano stregati dal suo fascino, i trovatori medioevali s'ispiravano al suo simbolo; Dante paragona l'amore paradisiaco al centro di una rosa. In tempi più vicini a noi Lorenzo il Magnifico, Shakespeare, che ne parla nell'Enrico IV e in Molto Rumore per nulla, D'Annunzio, Pascoli, Pasolini e Eco non hanno saputo resistere alla tentazione di usarla come paragone per esseri umani o divini o come titolo di un'opera. Ma alla rosa venivano attribuiti anche significati magici. Apuléio, nella favola dell'Asino d'oro, racconta come Lucio, stanco di essere condannato a restare nel corpo dell'animale, invochi Iside per ritornare uomo che gli consiglia di mangiare una corona di rose. Nella Bella e la Bestia (o Belinda e il Mostro), Bella chiede "solo una rosa" al padre che parte per un viaggio; al suo ritorno la riceve, ed è una rosa magica che non appassisce mai, cresciuta nel giardino della Bestia e che la farà innamorare di lui. Troviamo le rose anche nel Piccolo Principe di Saint-Exupéry: "Coltivano cinquemila rose in un unico, modesto giardino, e non trovano ciò che cercano. E pensare che quel che cercano lo possono trovare in un'unica rosa. Ma gli occhi sono ciechi, con il cuore bisogna cercare" SAGGINA Saggina: pianta arbustiva alta anche 2.50 m. (detta anche scopa, scoparia, saggina...), tipica della macchia mediterranea. Nella notte di San Giovanni alla scopa di saggina viene attribuito lo stesso potere “antistreghe” dell’aglio Si ricorda che in tale notte nelle valli marchigiane del centro-nord si usava anche esporre alla finestra una bottiglia contenente acqua ed albume d’uovo; le ragazze il mattino successivo sulla base della forma assunta dall’albume traevano auspici sul mestiere del futuro sposo. E’ considerata in tutta Europa un'erba dai poteri soprannaturali perché secondo la leggenda sarebbe stata la prima ad essere calpestata da Gesù bambino. Un'altra leggenda la vuole legata a Brigit, la dea celtica della poesia, dell'arte medica e di quella dei metalli. Secondo un'antica credenza, un mazzetto di saggina appeso alla soglia di casa, aveva il potere di proteggere dalle streghe. Inoltre se le giovani contadine ne sorbivano l’infuso attiravano irresistibilmente il loro innamorato, se la fanciulla ne teneva in bocca una fogliolina, il fidanzato baciandola si legava a lei per sempre. Nella notte di San Giovanni poi, per difendersi dalle streghe che potevano penetrare nelle case, s’intrecciavano dietro le finestre e le porte rami di rosmarino, ginepro, olivo benedetto, lauro, fico e noce; oppure semplicemente un barattolo di sale e una scopa di saggina. Si diceva infatti, che, prima di entrare, le streghe fossero costrette a contare a uno a uno i granelli di sale e i fili di saggina della scopa; ma non riuscissero mai a finire prima della mezzanotte, quando dovevano dileguarsi perché cominciava il giorno tutelato dal Santo. LONICERA CAPRIFOLIUM I greci chiamavano questa pianta periclymenon da pericleio = circondo, chiudo da ogni parte, ispirandosi al suo portamento volubile e rampicante che spesso danneggia la pianta ospite. Una pianta dai fiori così vistosi non poteva non possedere proprietà medicinali; fin dall'antichità se ne consigliava il decotto di foglie per stimolare la funzione urinaria. Oggi in fitoterapia se ne consigliano le foglie e i fiori per le loro proprietà antisettiche, stimolanti generali e antireumatiche e, per uso esterno, sono efficaci nelle stomatiti, nelle dermatosi e sulle ferite. Unica parte da non consumare sono le bacche per il loro contenuto tossico. Secondo un'antica tradizione i fiori della Lonicera, posti nella stanza da letto di una fanciulla, favorirebbero sogni d'amore, così come portata in una casa dove vi siano giovani da sposare propizierebbe un matrimonio. Anche se l’amore non dovrebbe mai essere così…soffocante. caprifoglio... NOCE (Juglans regia) Il nome juglans deriva dal latino Jovi glans, ghianda di Giove. Non si sa con sicurezza quale sia il territorio d'origine del noce; probabilmente proviene dall'Asia occidentale, da dove, fin da epoca remota, è stato ampiamente diffuso. In Europa il noce è da lungo tempo una delle essenze piú pregiate per il legno e i frutti. Il legno, color bruno scuro, pesante, durevole, con belle venature, viene utilizzato per mobili di pregio. Le ceppaie (radiche), marezzate di scuro, sono ricercate e impiegate per impiallicciati e rivestimenti. I frutti sono drupe verdi, la cui parte esterna (mallo), carnosa, molto ricca di tannino, viene impiegata per conciare. La parte interna, detta comunemente noce, legnosa, contiene il seme (gheriglio) edule, aromatico e gustoso. Le foglie hanno impieghi officinali nelle malattie della pelle; dal mallo infine si estrae un principio tintorio ed in infusione nell' alcool per produrre il nocino. Peculiare del noce è la produzione di sostanze tanniniche e aromatiche soprattutto dalle foglie (in particolare lo juglone). Queste sostanze ostacolano fortemente la presenza di altre essenze (legnose o erbacee) nell' area coperta dalla proiezione della chioma. Più che di un' azione velenosa si tratta di un' azione reppellente nei confronti delle altre specie vegetali. Curiosità: la somiglianza del gheriglio con il cervello umano portò alla convinzione medievale che la noce potesse curare le infermità mentali. Nell’antica Grecia il noce fu dedicato ad Artemide (Diana), gemella di Febo (Apollo). Nella mitologia si narra che Dioniso (dio che insegnò il culto della vite e l’arte di estrarre il vino), ospite di Dione, re della Laconia, s’invaghì di Caria, figlia minore del sovrano; ma le sorelle Orfe e Lico, invidiose e gelose, avvertirono il padre. Dioniso, dopo averle ammonite più volte s’infuriò, facendole impazzire e trasformandole in rocce. Caria, per la gran tristezza, morì poco dopo e il dio che l’aveva tanto desiderata la trasformò in un albero di noce dai frutti fecondi. Il noce è l’albero della saggezza, simboleggia la fertilità e la longevità, inoltre dona forza nelle avversità della vita. Nel Medioevo quest’albero è stato demonizzato: in quel tempo la pianta si presentava come portatrice del male e delle creature malefiche, come ad esempio il famoso noce di Benevento. Una leggenda narra che la notte di San Giovanni Battista le streghe, con a capo la dea romana Diana (Artemide), vagavano nella notte a cavallo di una scopa per raggiungere il convegno che si teneva sotto al gran noce di Benevento. Questo racconto sembra sia stato ispirato da un’interpretazione erronea di un fatto realmente accaduto sotto il regno di Costante II, che aveva come persona di primo piano il vescovo S. Barbato (663-682 d. C.). Si narra che il Santo fece sradicare il famoso “noce di Benevento” per sopprimere alcune feste pagane in onore si Diana. Tuttavia, nonostante le varie superstizioni, pare che ancor oggi la notte solstiziale di San Giovanni, come tradizione, le donne si ritrovino sotto le fronde dell’albero, senza calze né scarpe, per percuotere delicatamente i rami con un bastone di legno, per far scendere le noci con il mallo ancora verde ed intatto, con lo scopo di preparare il famoso nocino. Perché questo abbia davvero virtù magiche, nella preparazione si raccomanda di non usare oggetti di metallo. Sembra questo liquore che sia un toccasana per vari disturbi, ottimo come digestivo. Ricetta di casa Ingredienti 350 g di alcool a 95°, 19 noci piuttosto piccole verdi, 4 chiodi di garofano, 2 g di cannella, 3 scorze di limone (solo la parte gialla), 500 g di zucchero, 300 g d'acqua. Preparazione Il giorno di San Giovanni, 24 giugno raccogliete e chiudete in un vaso le noci tagliate in quattro spicchi con l'alcool. Il giorno successivo aggiungete le altre spezie e lasciatele in macerazione fino al 3 agosto agitando tre volte al giorno. Filtrate ed aggiungete lo zucchero che avrete preparato a parte sciogliendolo in acqua calda, non bollente. Lasciate raffreddare ed imbottigliate. Prima di poter consumare questo liquore dovremo attendere tre mesi.