LA REINVENZIONE DEL TEATRO
Reinventare il teatro, un obiettivo ambizioso e difficile, ma forse riuscito.
Il Teatro è morto ! Viva il Teatro !
L’ambizione del regista Marco Pernich è sempre stata quella di far rivivere il
teatro, di dargli lo smalto e la vitalità che aveva al tempo di Shakespeare, di
riportarlo alla ribalta della vita, di toglierlo dagli scantinati dove lo aveva visto
dare i suoi ultimi segnali di vitalità quando lui era un ragazzo, o dalle polverose
soffitte dove la borghesia lo aveva relegato, con tutti i suoi lustrini e paillettes,
appena dopo la sua scuola e il suo esordio, quando era un giovane. Sì, perché il
regista non è più giovane come vorrebbe far credere anche a se stesso, ma questo,
che forse lo spaventa, invece gli giova e finalmente il suo sogno di ridare vitalità
al Teatro con la T maiuscola, di reinventarlo, forse gli è riuscito.
Già aveva introdotto qualche novità in passato, come quella di far interpretare
brani di un ruolo ad attori diversi, facendo raccontare storie corali a più voci dove
le personalità e i personaggi, oltre che gli attori, si sovrapponevano e si
sostituivano sulla scena ottenendo il meraviglioso risultato di dare spazio al vero
teatro, che si rappresentava nella mente e nella fantasia di ciascuno spettatore.
Come se il vero spettacolo non fosse quello che lui metteva in scena con i suoi
attori non importa quanto giovani ed alle prime armi (tant’è che gli riusciva
benissimo proprio con gli studenti dei suoi seminari), ma per vederlo ci si dovesse
spostare nel mondo delle idee, della fantasia, in una nuvola eterea sopra il teatro
dove si coagulavano le tante fantasie scatenate e sollecitate dalle sue scene nelle
menti degli spettatori.
Beh, quando uno invecchia perde il pudore, perde i freni, osa di più senza neanche
accorgersene e questo al vecchio Pernich ha giovato assai.
Infatti il nocciolo di questa idea da lui così brillantemente e altrettanto
silenziosamente, in sordina, quasi vergognandosene, introdotta nel teatro, ha oggi
prodotto un arbusto, un alberello che è germogliato nel deserto.
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Pernich con i suoi attori ha reinventato il Teatro coinvolgendo platealmente gli
spettatori nell’azione e addirittura nella scrittura di esso.
Il tentativo non è nuovo: abbiamo visto gli attori nudi del Living negli anni 60
aggirarsi disperati in platea, ed è da anni che si ripete con successo il gioco
dell’Improvvisazione Teatrale, inventato nel ‘77 in uno stadio del ghiaccio a
Montreal, ma il superamento plateale della quarta parete, l’abbattimento
temporaneo della separazione tra azione scenica e pubblico, il passare degli attori
dal loro ruolo sul palcoscenico all’interpretazione vera e inventata del personaggio
fuori dal testo e dal contesto, tra il pubblico, interloquendo con gli spettatori,
peggio, rispondendo alle loro domande, questo traccia, ha tracciato l’altra sera un
solco nella storia del Teatro, quello con la T maiuscola, tanto profondo e tanto
naturale che il pubblico ha reagito con immediatezza e partecipazione, rimanendo
coinvolto in una modalità teatrale nuova come se non si fosse visto altro negli
ultimi dieci anni. E tutto ciò, come sempre capita per gli eventi significativi della
storia degli uomini, in una qualsiasi sera di maggio del 2010, in un piccolo teatro
gestito dall’Arci, in una improbabile periferia milanese.
Ma andiamo con ordine.
Questa cesura, questa rivoluzione, questa reinvenzione parte giustamente da un
altro momento di svolta avvenuto nel teatro in Italia negli anni venti ad opera del
genio di Pirandello. Nei Sei Personaggi, più che negli altri lavori del ciclo
Maschere Nude, Pirandello fa del teatro sul fenomeno teatrale, ma non solo sulla
sua rappresentazione, ma anche sulla sua creazione e sul processo creativo,
generatore della fantasia.
Questo, che viene catalogato come Metateatro, rappresenta una rivoluzione, tanto
che il pubblico non lo capisce e alla prima, a Roma nel ’21, quasi smonta il teatro;
ma anche oggi tra il pubblico evoluto di 90 anni dopo si sentiva mormorare:
“speriamo bene, io questo genere di teatro non lo capisco” o ancora “a me
piacciono le storie reali e quelle complicate mi fanno venire il mal di testa”.
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Bene, si parte da questo momento di svolta, che mette in discussione il ruolo
dell’attore, della fantasia, della rappresentazione nei confronti della realtà, fino a
farsi essa stessa realtà più reale dei fatti, per continuare idealmente il discorso e la
rivoluzione, ribaltando e invertendo i ruoli degli attori, del pubblico e dell’autore.
Rivoluzioni e innovazioni non sono una novità nel teatro, che è arte viva e vitale,
o almeno lo è stata per lungo tempo in passato, proprio per il suo contatto diretto e
l’interazione viva col suo pubblico.
Shakespeare, con la sua nuova capacità di combinare il gusto popolare con una
complessa caratterizzazione dei personaggi, una poetica raffinata e una notevole
profondità filosofica; Molière e Goldoni, l’uno con i suoi personaggi della
commedia umana, l’altro con la rappresentazione dei vizi (molti) e delle virtù
(poche) della borghesia mercantile; Pirandello con la rappresentazione dei
paradossi di una borghesia combattuta e in evoluzione tra libido e morale. Il teatro
dell’assurdo con la fuga verso gli aspetti più curiosi derivanti dall’assorbimento
dell’idealismo nella vita quotidiana. Fino a che il teatro di parola e di pensiero
trova il suo apice nel teatro politico di Brecht paradossalmente in ciò contiguo a
quello del socialismo reale (e a quello più lontano cinese di opere come “Sorgo
rosso”) orientati ad educare il popolo, modificando così il corso degli eventi e
della storia.
E dopo la fine del teatro di parola, avvenuta per autoestinzione in una civiltà
ormai sempre più legata all’immagine: il Teatro Sacro, l’incontro tra oriente ed
occidente favorito e determinato dal lavoro di Grotowski e di Barba, con la sua
evoluzione nel teatro sacro di Kantor in occidente e del Kathakali in oriente da
una parte e di quello dei saltimbanchi del teatro di strada e del Cirque du Soleil
dall’altra.
Ma questa rivoluzione non è da meno, certo se ne era visto qualche prodromo col
regista in scena di Kantor o con il coinvolgimento del pubblico, non solo come già
tradizionalmente nel lavoro dei Clown, nel Cirque.
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Anche l’Improvvisazione Teatrale per un certo verso e le Cene con Delitto, ormai
tanto di moda, coinvolgono il pubblico, ma la novità, nel nostro caso, è la
strutturazione di questa interazione e del coinvolgimento che lo integra
pienamente nel lavoro di drammaturgia e di rappresentazione.
L’inizio si è già visto: con due attori che fanno dei lavori e si esercitano come ad
una prova generale, mentre il pubblico entra in sala; poi arrivano la regista, il
bravissimo Amministratore e la prova generale ha inizio.
Ad un certo punto, come da copione, si dipana il secondo piano Pirandelliano dei
Personaggi che entrano di prepotenza nella prova generale, e fin qui niente di
nuovo; poi invece, in due punti distinti della rappresentazione ecco la novità, la
rivoluzione.
La Regista abbatte o attraversa la quarta parete e si rivolge al pubblico, nella
prima occasione sollecitando le domande e le curiosità degli spettatori, mettendo
in relazione gli attori e il pubblico stesso, in modo che i primi spieghino al
secondo quel che non si vede e che non sta scritto della loro storia, delle loro
emozioni e delle motivazioni sottostanti alle azioni.
Nella seconda occasione di interazione col pubblico la Regista gli chiede di
riscrivere il finale.
Bravi tutti gli attori: l’Attrice della compagnia con la sua forte carica energetica,
che interpreta con realismo ed un filo di ironia il ruolo dell’interprete “moderna”
tutta Yoga e meditazione; l’Amministratore con la sua lisca nella pronuncia e i
gesti strascicati che ci immaginiamo continuino anche giù dal palcoscenico nella
vita reale, tanto sono bene interpretati, la Regista con il suo fare un po’ isterico
che ci ha ricordato qualche personaggio reale della vita teatrale milanese di
qualche anno fa; l’Attor giovane, sufficientemente leggero e narciso da farsi poi
coinvolgere nel suo doppio di Madama Pace; e poi, tra i personaggi ,il
padre/marito bravissimo/a nel portare il personaggio tra il pubblico e nel
rispondere a tono in maniera più che realistica alle domande di esso, e la/e
Figliastra/e con un’interpretazione giocata tra il collegio delle monache e il
bordello, tra tristezza e seduttività che ne spiega lo sdoppiamento, unito dalla
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sciarpa di seta rossa, e infine la Madre e il Figlio, entrambi interpretati a forti
tinte, la Madre così caricata nell’interpretazione da risultare infine un archetipo
espressionista di madre dolente.
Infine il colpo di scena finale, vero coup de theatre, che risolve brillantemente
l’innovazione della riscrittura del testo, giocandola tra il serio e il faceto, tra il
giallo e il dramma con una modernissima contaminazione di generi e stili che ben
si addice ad una novità assoluta.
Lo spettatore non saprà mai (a meno di rivedere almeno due repliche con
soddisfazione del botteghino e del vero Amministratore) se le scene “fuori testo”
o se il finale riscritto siano veramente tratti dalle indicazioni del pubblico o non
siano di repertorio, ma non importa, non cambia poi tanto, tutto ciò è valso a
portare giù in teatro, dalla nuvola eterea dove di solito sta, giù tra palcoscenico e
platea, quel teatro fantastico, che è poi il vero teatro, che è rappresentato dalle
immaginazioni di tutti gli spettatori.
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