Roberto Albarea, Domenico Izzo: Manuale Interculturale, Edizioni ETS, 2002; pp. 235 di Pedagogia Recensione di Juliana Raffaghelli - Febbraio 2007 Abstract This work can be considered as a handbook because of its comprehensive approach, useful to whom is interested on the issues of intercultural education. The intercultural education is defined by authors as a dimension of every single educational context, into the school or out of it, having as framework both social reality in it own development, and the mesh of cultural phenomena . Therefore, the reader will find at the inner of this handbook both references of theoretical-institutional nature, as much as a research guide, and, in the end, an instrument for operational planning. The book, that mention an historic scenery that goes from cultural relativism to the global perspectives, is accompanied from a rich bibliography, a glossary and a list of centers and services for the intercultural educational and social work. Questo libro si presenta come manuale, e quindi come testo comprensivo per chi approccia la problematica dell’educazione interculturale. Essa è intesa dagli autori come dimensione di ogni spazio formativo, scolastico ed extrascolastico, avente come quadri di riferimento sia la realtà sociale nel suo divenire sia i fenomeni culturali nei loro intrecci e sviluppo. Per tanto, il lettore troverà all’interno di questo manuale sia riferimenti di carattere teorico-istituzionale, che una guida alla ricerca, ed infine, uno strumento sul piano operativo. Il testo, riferito ad uno scenario storico che va dal relativismo culturale alle prospettive della globalità è corredato di apparati bibliografici, di un ricco glossario e di un elenco di Centri e Servizi per l’intercultura. Recensione Il libro rappresenta un interessante contributo agli studi nel settore della pedagogia e dell'educazione interculturale. Facente parte della collana in Scienze dell'educazione: studi, manuali e ricerche (diretta da Leonardo Trisciuzzi e Simonetta Ulivieri), il presente manuale avrebbe per scopo il proporsi ad uso didattico, intendendo fare il punto sullo statuto scientifico dei vari settori disciplinari che costituiscono il vasto complesso ambito delle scienze dell'educazione, in particolare in questo caso la pedagogia interculturale. In questo senso si potrebbe indicare l'opera come uno dei più recenti contributi in Italia, che raccoglie saggi, ricerche, progetti ed opinione sulla problematica dell'educazione interculturale. “L'educazione interculturale, pur non costituendo una materia di insegnamento, prevede una serie di attività e di metodologie -trasversali a tutte le materie presenti in ogni ordine scolastico) con le quali vengono affrontati problemi di alto valore educativo. Lo scopo primario dell'educazione interculturale è quello di guidare gli educandi alla consapevolezza della molteplicità dei valori sociali, storici e culturali nel genere umano in modo che siano realizzati comportamenti di conoscenza, confronto e rispetto.”(pp9) Il libro si articola in una introduzione e dodici capitoli dove si parte dall'assetto teorico e disciplinare sottostante alla problematica dell'interculturalità, per passare, dal sesto capitolo in poi a fornire un approccio specifico alle scienze dell'educazione, nonché ad analizzare strumenti per la pratica dell'educazione interculturale. Il manuale si compone dunque di due parti, dove la prima è di carattere teorico ed illustra, ciò che serve a riconoscere ed a valutare i fenomeni interculturali; la seconda parte è una campionatura di casi, di esperienze e di progetti, la quale può servire ai lettori per riscontrare analogia e per trarne suggerimenti. Entrambe le parti sono inquadrate da un'impostazione comune, definita nel primo capitolo come “Le dimensioni sociali della cultura”. Poiché vengono trattati, in tutto il testo, fenomeni socioculturali sotto il profilo educativo, è possibile trovare all’interno del 1 libro frequenti riferimenti, oltre che alla pedagogia ed alla didattica, alle discipline sociali. Ciò crea un approccio multidisciplinare che, secondo gli autori, è giustificato da due motivi: a) la necessità di andare alla radice di quei fenomeni socioculturali che spiegano l'insorgere di problemi educativi -i.e. I flussi migratori-; b) nessun fenomeno sociale o socioculturale, dal punto di vista della ricerca, può essere affrontato o definito da una sola disciplina quale l'economia, il diritto, la storia, la sociologia o altre discipline. Tali motivazioni vengono confermate in pieno quando gli autori si occupano delle problematiche del funzionalismo e relativismo culturale, lo strutturalismo in antropologia, transcultura, acculturazione ed infine intercultura. Una definizione della quale non possiamo fare a meno, punto di partenza obbligato per capire il framework che il libro tenta di dare, è quello dei fenomeni interculturali: per gli autori, essi indicano comportamenti, individuali o collettivi, medianti i quali si stabiliscono relazioni, in misura complessiva o parziale, tra culture differenti. “Le distanze oggi contano sempre meno e tali fenomeni [interculturali] non si verificano più esclusivamente in territori chiusi. Sono da tenere presenti la molteplicità e la poliformità di tali fenomeni, giacché le analisi non riguardano...le singole totalità culturali quanto gli incontri tra culture per questo o quel settore, in vista di questi o quegli scopi, a seconda delle più svariate occasioni. Fenomeni interculturali sono i contatti culturali, i dinamismi culturali e i relativismi culturali. Questi fenomeni, legati a loro volta a vicende sociali di vario tipo, si verificano quando gruppi appartenenti a comunità differenti si incontrano ed interagiscono, dando luogo a processi di mutamento e integrazione culturale. Vige una legge: i fenomeni interculturali, sua pure nelle forme più semplici di contaminazioni linguistiche o scambi di informazioni, sono condizionati da aspettative e reatività reciproche degli individui e dei corpi sociali.” Per tanto i fenomeni interculturale non sono fenomeni primitivi, come in tanti casi si vuole segnalare, determinanti dei comportamenti per natura, ma essi stessi sono provocati da fenomeni di altra natura: economici, giuridici, politici, ecc. E questo è un punto di partenza importante che verrà ripreso in tutte le discussioni teoriche ed analisi di pratiche che gli autori faranno lungo l'opera. Questo sembra un passaggio importante, perchè molti analisi sull'intercultura sono stati fatti seguendo stereotipi di comportamenti che si supone siano rintracciabili in una determinata cultura, e da lì al confronto di “profili” culturali, quanto al pregiudizio su abitudini e pratiche, occorre ben poco. Come gli autori lo indicheranno, i processi di reificazione1 provoca la “desocializzazione” delle espressioni culturali, vengono ad esse sottratte i dinamismi sociali che le hanno creato, a vantaggio d'immunità del gruppo che si autocostituisce in nome della condivisione dei simboli per cui, in caso di accuse o di minacce, il gruppo, l'istituzione, la corporazione, ecc. “non si tocca”. Gli autori prendono in questo senso chiara posizione. Nel primo capitolo, scritto da Domenico Izzo, e autore dei primi sei capitoli del volume, si tenta dunque di sostenere la tesi che indica che la cultura e l'educazione hanno entrambe dimensioni sociali; ed è perciò impossibile occuparsi della pedagogia interculturale al di fuori delle premesse, delle condizioni e delle prospettive sociali che la determinano. Entro questo teorema, il capitolo è dedicato a dimostrare come in realtà, formazione e cultura si sovrappongano, si integrino e si incrementino a vicenda. Nella stessa occasione l'autore punta a porre i termini di una questione sulla quale nel volume si torna più volte ed alla quale viene dedicato il quarto capitolo: il relativismo culturale. Come riepilogo 1 Cfr. Berger & Luckmann, “La realtà come costruzione sociale”, Il Mulino, Bologna, 1969, e ripresa in Remotti, “La cultura”, in Enciclopedia delle Scienze Sociali, Istituto della Enciclopedia, Roma, 1992, vol.II, pp 651-652. La definizione che segue è stata citata dagli autori a pp.72: “Il fenomeno di reificazione (...)è il processo che consente di consolidare i simboli condivisi e, salvaguardandoli per quanto si può dal flusso esperienziale del loro impiego, attribuendo loro il ruolo di presupposti e di condizioni della vita sociale (...). Il trucco della reificazione dei simboli condivisi consiste quindi nella negazione del loro carattere sociale; ma è un trucco vitale per fornire presupposti al funzionamento della vita della società e, a loro interno, alla sopravvivenza degli individui” 2 l'autore tenta di illustrare la figura, le competenze e i compiti dell'esperto per l'educazione e l'integrazione interculturale. Nel secondo capitolo, troviamo una attenta disamina sulla questione del funzionalismo all'interno dell'antropologia culturale, dell'etnologia e della sociologia, come movimento che concettualizza la cultura in funzione dell'attività umana. La definizione di cultura da diversi focus disciplinari viene quindi trattata. “Quando ci si accinge a spiegare un fenomeno sociale, bisogna dunque ricercare separatamente la causa efficiente che lo produce e la funzione che esso assolve...” L'autore riporta Durkheim indicando che ci si serve del termine funzione poiché i fenomeni sociali non esistono in vista dei risultati utili che producono, determinando necessariamente la corrispondenza tra il fatto considerato e i bisogni generali dell'organismo sociale e in che cosa consista questa corrispondenza, senza preoccuparsi se essa sia stata intenzionale o meno. Più tardi si occupa del funzionalismo nell'etnologia, con autori come Malinowsky e Benedict; e del funzionalismo in antropologia culturale attraverso la discussione di concetti come tratti culturali, culture, cultivation, tradizione culturale (Radcliffe-Brown, 1972; Talcott Parsons, 1937) L'autore conclude dopo quest'analisi, che “...chi si occupa di pedagogia interculturale può giovarsi della teoria dell'interdipendenza tra strutture sociali e strutture culturali, a patto che sia disposto a liberarsi da un paio di preconcetti. Il primo preconcetto consiste nel credere che un fenomeno culturale sia unico autonomo, innato; il secondo, nel considerare un fenomeno culturale qualsiasi come attributo specifico o addirittura congenito di un gruppo sociale” (pp.46-47) Nel terzo capitolo, l'autore fa un'analisi dei termini specifici Cultura, civiltà ed incivilimento, per la ricostruzione ed inquadramento della tematica dei fenomeni interculturali. Eloquente è il seguente passaggio che riporto interamente: “...Il dibattito su Kultur e Zivilisation, con relative distinzioni concettuali a seconda degli autori, pur appartenendo alle competenze delle scienze sociali, va tenuto tuttora presente per mettere in guardia i ricercatori che lavorano nel campo della formazione. Questi ultimi non dovrebbero mai venire meno alla necessità di interpretare e spiegare l'aspetto culturale dei fenomeni educativi secondo schemi razionali, il che vuol dire schemi non inquinati da pre-concetti e pulsioni emotive.(pp.60) Il quarto capitolo, dedicato alle culture come oggetto di analisi, s'inoltra nel dibattito che l'autore dice di essere ricorrente, nel campo di tutte le discipline che se ne occupano, è quello del carattere generale o addirittura universale dei fenomeni culturali. “... Secondo alcuni esperti, il problema appare rilevante quando esso venga formulato in chiave storico-empirica e non su base epistemologica. Alrti pensano il contrario. Il dibattito, a parer nostro, appare costretto e ristretto in un circolo vizioso: in effetti, se non esiste una prioritaria rilevazione storico-empirica neppure si avverte l'opportunità di domandarsi se i fenomeni culturali hanno un valore di trasferibilità in luoghi diversi da quelli dove si sono manifestati(...)l'unica costretta scelta a noi sembra quella di sottoporre i fenomeni socioculturali che ci interessano all'esame di una disciplina sociale che, per il fatto di apprarire la più congrua alla natura dell'oggetto da esaminare, può funzionare come disciplina di base”(pp. 65). L'autore traccia così una linea decisa nel modo di approcciare l'analisi delle culture e dei fenomeni che nei contatti fra esse intercorrono, ovvero fenomeni interculturali, della cultura classica e moderna, della cultura post-moderna, per finire con il luogo possibile delle diverse culture nella società italiana ed il ruolo dell'educazione nel generare il dialogo tra di esse. Il quinto capitolo, dedicato al relativismo culturale, analizza criticamente le tendenze in ricerca sociale di studio di fattori evitando di ricostruire il processo che ha prodotto taluni fattori. Essendo che i paesi di accoglienza di grandi masse migratorie non soltanto sono destinati a divenire multiculturali, ma saranno, prima o poi, interessati ad impartire un'educazione “interculturalizzata” per tutti, l'autore indica il risorgere di un relativismo culturale che si fonda nel concepire ogni cultura come provvista di propri quadri di riferimento a cui non intende rinunciare del tutto. L'autore sottolinea che vi sono fasi di sviluppo del relativismo culturale, dinnanzi alle quali nel libro si prende posizione per inquadrare le azioni di educazione interculturale. Una prima fase veniva contraddistinta 3 come una metodologia di confronto tra i costumi, le lingue i riti, le culture insomma variabili di popolazioni stanziali nei loro territori, dove l'atteggiamento degli esperti era quello di persone inclini a riconoscere le ragioni di tali variabilità e non solo a riconoscerne l'esistenza, ma anche l'incidenza e la significatività. “...Ogni fenomeno culturale (valori norme, comportamenti, ecc.) -questa fu la toria vincente- deve essere giudicato nel contesto in cui viene espresso” (pp.81) L'affermazione comportava due giudizi di merito, ovvero a) che nessuna cultura può essere giudicata interiore o superiore rispetto ad altre, b) ogni cultura avrebbe un suo fondamento e ragion d'essere. La relatività veniva così trattata come riferimento ad un contesto o come relatività delle specificità rispetto alla cultura in genere. Per l'autore, questa prima fase, pur essendo un passo in avanti, indica una forte difficoltà di concepire il dialogo interculturale. “...In sostanza, la stessa tesi si chiudeva in un cerchio: un contesto per ogni cultura e una cultura per ogni contesto (...)Infatti i critici(...)più attenti hanno scorto(...)una scelta conservatrice...” Lo sviluppo di questa prima fase si fece strada, quella della concezione della cultura come risposta a bisogni naturali e non dell'uomo. In questa fase l'autore riconosce il teorema del diritto di ogni popolo a difendere la propria cultura, e quindi, a riconoscere l'inalienabilità di ogni popolo a vedere riconosciuti i propri diritti di identità. Le culture sono, per questa tappa, non cosa, entelechia, bensì processo di sviluppo al quale ogni popolo ha diritto di partecipare. Una seconda fase per l'autore è quella che ha inizio con i grandi flussi migratori (in europa) e le analisi statistiche di conformazione dei gruppi e fenomeni social-demografici che hanno luogo con queste nuove popolazioni entranti, con questo mosaico multiculturale. Le classificazioni, per l'autore, sono tipizzazioni che comportano punti di vista soggettivi, e valutare le “culture” può essere complicato e rischioso. “Se il primo relativismo si riferiva ad un contesto di appartenenza, relativamente semplificato, il secondo relativismo dovrebbe dovrebbe confrontarsi con un contesto d'approdo , senz'altro più complesso...Il relativismo culturale, sia della prima che della seconda fase, è materia di competenza dell'antropologia culturale e della sociologia, ma i problemi basilari e prioritari, comunque concreti, in cui esso si imbatte o che esso stesso solleva vanno affrontati sul piano del diritto: accoglienza, residenza cittadinanza, istruzione, ecc...” (pp.86) Per l'autore si potrebbe dunque postulare un principio: una serie di diritti e di doveri per le varie etnie, possiblimente pattuiti attraverso incontri delle autorità con persone rappresentative o con singoli individui. “...Assicurate queste premesse e queste condizioni, il sistema formativo (principalmente ordinamento scolastico) potrebbe assolvere, senza alcun trauma aggiunto dal caos, il suo compito, a patto che venissero eliminate le strutture che sono inadeguate per tutti: cittadini ed immigrati...” (pp.86). Il sesto capitolo è mirato, alla riflessione sulla formazione e il pregiudizio quanto alle culture “altre”. Definendo il pregiudizio come un atteggiamento sfavorevole nei confronti di persone o di gruppi, dovuto a scarsità di informazioni o da testimonianze infondate. In questo senso l'autore richiama il ruolo delle politiche educative nel proporre la formazione al centro della problematica interculturale, o più specificatamente, la formazione come spazio di disattivazione del pregiudizio, sia nell'ambito della comunità scolastica, sia in ambiti lavorativi. “...La formazione non avviene soltanto nella scuola: si impone in tutti i luoghi dove si problematizza la realtà, dove si fa esperienza collettiva, dove si progetta, dove si impara a cooperare, dove ci sono creatività e spirito d'impresa. E dove c'è formazione autentica si restringono gli spazi al pregiudizio...” (pp.107) Con il settimo capitolo si apre la seconda parte del libro, a cura di Roberto Albarea, ricca di esempi, pratiche, progetti , per capire la densità dell'intervento in materia di educazione interculturale. Questo percorso si apre pieno di metafore nella proposta di “decolonizzare le menti. Intorno a questa pregnante e provocatoria asserzione, che l'autore prende da un contributo sull'educazione comparata (Gnisci, 2000), ci si constatta che , nel contesto di un mondo sempre più interagente in tutte le sue parti occorre passare dallo stato di fatto multiculturale ad una società che interagisca con una logica interculturale, implicita, esplicita e contestuale. L'autore propone un lavoro di ricerca e di 4 riflessione, che sarebbe sorretto da una motivazione scientifica ed una etica insieme, ovvero “...esperire concretamene i processi educativi, formali non formali ed informali, che possono essere determinanti nella promozione di atteggiamenti, idee, valori e modelli culturali ed interculturali in una fase dello sviluppo (fascia di età dai 6 ai 14 anni) che è decisiva per le ulteriori sclete future, per la strutturazione dell'identità, per opzioni verso preferenze e stili di vita che permarranno in quanto fondanti l'evoluzione successiva dell'individuo...” L'autore quindi lavora sulle esperienze formative in ambito dell'istruzione primaria e media inferiore, ed analizza ulteriormente il ruolo dell'educatore, come compito indirizzato a favorire una informazione critica e una formazione di base dei giovani e dei soggetti in età evolutiva. Nel capitolo vengono fatti ampi riferimenti alle opere di Bruner e Gardner, in quanto accademici che hanno dato un contributo significativo per gli sviluppi della pedagogia interculturale, con i dibattiti proposti attraverso le loro opere 2. L'autore conclude il suo inquadramento per l'azione educativa interculturale, come uno spazio ad una “...coscienza interculturale (che) dovrà essere planetaria, nel senso che sarà costituita sia dal particolare che dall'universale, sia dall'unità che dalla molteplicità, sia dal diverso che dall'identico, sia dall'io che dall'altro. Una coesistenza, sia antagonista che complementare, del singolo e del multiplo: da tale dialettica potrà nascere una nuova cultura partecipata...” Con l'ottavo capitolo si apre la prospettiva sulle conoscenze, criteri e reti concettuali in azione negli interventi educativi. Per l'autore l'educazione è un campo di influenze reciproche e complesse che si può articolare a due livelli: a livello macro delle decisioni politiche, e a livello micro, dell'insegnamento pratico. Fra i due livelli vi sarebbe una vasta gamma di posizioni intermedie, ed in tale sezione, si colloca ciò che Albarea chiama il sapere agito, zona importante perchè getta luce su uno o l'altro livello. In questo capitolo si discutte la questione del curricolo e gli scopi formativi dello stesso, del ruolo dell'educatore e dell'insegnante, e della Scuola in generale in una società in cambiamento. L'autore riprende ampiamente la proposta di Morin3 nella sua proposta di Scuole di vita, ovvero una proposta educativa che punti ad un umanesimo pregnante di una nuova condizione umana, semplice nei valori esenziali, complessa nell'approccio alla realtà, in un intreccio fra utopia e realismo. I capitoli nove, dieci, undici e dodici sono dedicati a esempi e casi di studio dove si pongono di rilievo le concezioni e paradigmi di formazione interculturale. Il non capitolo, intitolato approda la tematica delle interrelazioni attraverso l'esempio di formazione alla cittadinanza e la mondialità, con ricchi esempi di percorsi formativi e schede comprensive elaborate sulla base delle esperienze di organizzazioni coinvolte nella cooperazione ed il volontariato internazionale nelle testimonianze ed i racconti del “Sud del mondo” nelle scuole del nordest italiano. Tali percorsi avrebbero avuto per obiettivo il miglioramento di doti comunicazionali e relazionali in ambiti multiculturali, sulla base della capacità di decentramento degli studenti nel capire l'altro (mondo). L'autore costruisce un'interessante schematizzazione delle connessioni dinamiche fra intercultura ed ambiti di intervento educativo/formativo. Il decimo capitolo riprende la questione della comunicazione dal punto di vista della lingua, ovvero, la seconda lingua, e l'impatto che ciò ha nel bambino straniero quanto nella scuola accogliente. L'undicesimo capitolo si addentra nella questione del tempo educativo extrascolastico, in rapporto al tempo dedicato all'istruzione, per il trattamento delle problematiche interculturali. In questo caso, viene ripresa fondamentalmente la questione dell'inserimento dei genitori stranieri, attraverso l'azione educativa che gravita, in un 2 Nel caso di Bruner, si fa riferimento al saggio “La cultura dell'educazione” (1996), Feltrinelli, Milano 1997; nel caso di Gardner, viene ampiamente analizzato il volume “Formae Mentis. Saggio sulla pluralità dell'intelligenza” (1983), Feltrinelli, Milano, 1987. 3 Morin, E., “La testa ben fatta. Riforma dell'insegnamento e riforma del pensiero” (1999), Cortina, Milano 2000. 5 modo od altro, nella sfera di azione dell'istituzione scolastica che crea reti con il territorio. L'autore fornisce preziosi orientamenti di riflessione sulle suddette azioni educative: la considerazione del problema delle pari opportunità lavorative per le donne, la rilevanza dell'associazionismo etnico, il ruolo dell'informazione, i fattori determinanti provenenti dallo scenario europeo, l'importanza dei facilitatori per l'integrazione, e principalmente, il concetto di autoformazione guidata, come leva strategica per l'educazione dell'adulto che accompagna in parallelo l'inserimento del bambino. L'ultimo capitolo, dedicato a progetti, percorsi, esperienze, chiude il libro con una ricchissima presentazione di casi, che nelle parole dell'autore, “...non si tratta (...) di un'arida elencazione quanto piuttosto di indicazioni problematizzanti e piste a procedere che vanno saldate, elaborate e adattate ai vari contesti...” (pp.197) L'autore punta ad una ricostruzione fra esperienza e conoscenza, in un rapporto di complementarietà, di passaggio e di incentivazione tra l'una e l'altra, che da luogo a forme di elaborazione originali e proprie del soggetto dinnanzi al problema dell'interculturalità. Un glossario di circa 100 termini completa questo excursus, tentando di abbracciare in tutti i casi un determinato settore di studio e di ricerca ed illustra i termini di uso specialistico, spiegandone il significato ed indicandone l'uso corretto. Per esempio, di terminologia esenziale (società, cultura, istituzione, ecc.), di termini che hanno generato parecchia confusione, quali multicultura ed intercultura, acculturazione, inculturazione, socializzazione. Oppure di terminologia nuova, cui uso viene spesso contraddistinto come passepartout (internazionalizzazione, mondializzazione, integrazione). E' possibile apprezzare, a chiusura di questo breve sguardo sull'opera, quanto la stessa sia piena di validi riferimenti per la problematizzazione, di orientamenti teoricometodologici, nonché di strumenti per il lavoro quotidiano dell'educatore esperto. Indice (I) Le dimensioni sociali della cultura (II) Funzionalismo e cultura (III) Cultura e Civiltà (IV) Le culture come oggetto di analisi (V) Relativismo culturale (VI) Formazione e pregiudizio (VII) Decolonizzare le menti (VIII) Quadri concettuali per l’azione educativa (IX) Le interrelazioni. Un esempio:cittadinanza e mondialità. (X) La relazione attraverso la lingua (XI) Scuola ed extra scuola (XII) Progetti, percorsi, esperienze. Glossario. Bibliografia. Indice dei nomi. Autore Roberto ALBAREA è professore associato di Pedagogia generale all’Università di Udine. Ha come campi di ricerca l’educazione estetica, l’educazione permanente e degli adulti e l’educazione interculturale. Domenico IZZO è uno dei maggiori esponenti della “Scuola pedagogica di Firenze”. Ha insegnato a lungo nell’Ateneo fiorentino Pedagogia e Metodologia e Didattica. Si occupa prevalentemente degli aspetti politici e sociali dell’educazione. Bibliografia essenziale dell’autore: Roberto ALBAREA - Albarea, R. (1990) Arte e Formazione estetica (in J. Maritain), Marelli, Verona Albarea, R. (1992) Donna e cultura a scuola, Upsel, Padova Albarea, R. (1996) Scuola primaria e educazione musicale in Europa. Comparazione di curricula e implicazioni interculturali, Franco Angeli 6 - Albarea R. e Zanuttini, L., A cura di, (1996) La formazione degli insegnanti di scuola secondaria, Contributi pedagogici e psicologici. Forum Editrice Universitaria Udinese, Udine Albarea, R. e Rossi, P., A cura di, ( 2004 ) Percorsi in formazione, Diventare insegnanti nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria. Forum Editrice Universitaria Udinese, Udine Albarea R., Bargellini C., Giani P. (2004) Acqua fonte di democrazia. Riflessioni e percorsi di partecipazione a partire dall'acqua, EMI, Bologna Albarea R., Burelli, A., A cura di (2006) Sostenibilità in educazione, Forum Editrice Universitaria Udinese, Udine Bibliografia essenziale dell’autore: Domenico IZZO - Izzo, Izzo, Izzo, Izzo, Izzo, Izzo, D. D. D. D. D. D. (1990), (1993), (1994), (1996), (1997), (1999), Politica educativa e organizzazione scolastica Formazione e ricerca educativa in Germania L’educazione come politica sociale Manuale di pedagogia generale Manuale di pedagogia sociale Organizzazione, formazione e dirigenza scolastica Links http://www.edizioniets.com/didatticamente/ [Rivista della SSIS-Toscana Articoli di Domenico Izzo: Il "sistema formativo" come campo di ricerca 1-2 (2004); Mauro Laeng, un lungo itinerario pedagogico di ricerca tra religione e scienza 1-2 (2005) Quaderni di Didatticamente: 1. Pedagogia del lavoro e della formazione] 7