Relazione 01/10/02

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Relazione 01/10/02
Le procedure di immobilizzazione degli enzimi che stabiliscono il contatto tra il mediatore
biologico e il trasduttore possono essere raggruppate in due categorie:
1. IMMOBILIZZAZIONI FISICHE in cui l’enzima e’ semplicemente trattenuto dal supporto;
2. IMMOBILIZZAZIONI CHIMICHE in cui l’enzima e’ legato covalentemente al supporto.
Per supporto si deve intendere il rivestimento dell’elettrodo.
L’immobilizzazione fisica e’ operativamente piu’ semplice; preserva con maggiore efficienza le
caratteristiche dell’enzima, che pero’ risulta piu’ esposto agli agenti denaturanti (pH, forza ionica,
tipo di substrato, temperatura). L’immobilizzazione chimica e’ sicuramente piu’ complessa, ma i
prodotti formati sono piu’ stabili nel tempo e nei confronti degli agenti denaturanti.
Una differenza sostanziale e’ rappresentata dal fatto che gli enzimi intrappolati fisicamente possono
essere utilizzati per alcune centinaia di analisi, mentre con l’immobilizzazione chimica possono
esserne effettuate diverse migliaia.
Le tecniche di immobilizzazione di enzimi più ampiamente utilizzate sono le seguenti:

IMMOBILIZZAZIONI FISICHE
a) Intrappolamento su gel e incapsulamento: le molecole di enzima si trovano all’interno di un
gel di amido o poliacrilammide o di una membrana polimerica. Il polimero deve essere
impermeabile all’enzima in modo da impedirne la fuoriuscita, ma allo stesso tempo deve
permettere il passaggio dei substrati (analiti). Il vantaggio è che si lavora a temperatura
ambiente, alla quale molti enzimi sopravvivono; lo svantaggio è che può esserci una
denaturazione dell’enzima a causa dei radicali liberi.
b) Adsorbimento: l'enzima è trattenuto sul supporto da legami elettrostatici (ionici, dipolari) e
da legami idrogeno. Il vantaggio di tale tecnica è che è poco distruttiva per l’enzima; lo
svantaggio è che il linkage (=collegamento) dell’enzima è fortemente dipendente dal pH,
dalla temperatura e dal solvente. Comunque, spesso gli enzimi adsorbiti sono insensibili e,
tranne qualche caso, questa tecnica è raramente usata nel design dei biosensori.

IMMOBILIZZAZIONI CHIMICHE
a) Reticolazione tra l'enzima e macromolecole naturali o sintetiche tramite reagenti
bifunzionali. È una procedura abbastanza semplice, ma c’è il problema della bassa attività
enzimatica.
b) Legame covalente tra l'enzima e il supporto insolubile direttamente o tramite una molecola
spaziatrice.
Il legame covalente è l’ideale per la commercializzazione, rendendo stabile il complesso
enzima-supporto, ma è complicato e richiede tempo. Bisogna anche stare attenti al fatto che
alcuni legami possono essere così forti da inibire il movimento delle molecole. Questo
problema può essere risolto usando proteine immobilizzate su elettrodi d’oro, attraverso un
attachment di tioli.
L’immobilizzazione chimica puo’ essere realizzata con glutaraldeide (si lega direttamente
con l’enzima); poliazetidina (reagisce con diversi gruppi funzionali); carbodiimide (reagisce
con gruppi carbossilici per immobilizzare e orientare gli anticorpi negli immunosensori);
oppure con delle reti di nylon che servono solo ad immobilizzare l’enzima e, avendo una
notevole permeabilita’, non funzionano come barriera.

IMMOBILIZZAZIONI SU MONOLAYER AUTO-ASSEMBLATI (SAM)
Un più alto grado di orientazione nell’immobilizzazione si ha in presenza di monolayer autoassemblati (Self-Assembled Monolayer, SAM), ovvero disposizioni di molecole (generalmente
alcani-tioli o molecole contenenti tioli – S + H) ordinate e su un singolo strato su un substrato
(generalmente superfici d’oro).
Tra le tecniche d’immobilizzazione su SAM, le più usate sono le seguenti:
a) Intrappolamento su SAM: può essere realizzato, per esempio, usando alcani-tioli o altre
catene terminanti con tioli immobilizzati sulla superficie di un metallo nobile (Au; Pt; etc.).
La parte sinistra della Fig. 1 mostra un monolayer di tio-lipidi formanti una struttura tipomembrana, in cui le proteine sono immerse con diverse orientazioni. La parte destra della
Fig. 1, invece, mostra un SAM di catene di alcani-tioli di diversa lunghezza che consentono
la formazione di avvallamenti sulla superficie che possono contenere le molecole proteiche.
FIG. 1: intrappolamento su SAM; il punto nero indica il centro di reazione.
b) Attachment non orientato o orientato su SAM: le catene terminanti con tioli sono legate
covalentemente sulla superficie di un metallo nobile.
Sopra, non c’è un’interazione specifica
tra l’estremità del gruppo tiolico e dei
siti sulla superficie proteica. In questo
modo non si ha un controllo
sull’orientazione.
Sotto, c’è un’interazione specifica tra il
gruppo tiolico e un unico gruppo sulla
superficie dell’enzima.
Per valutare la migliore immobilizzazione bisogna procedere sperimentalmente variando diversi
parametri e verificando la risposta del sensore. In particolare, occorre controllare la sensibilita’, il
tempo di vita, il pH, la densita’ enzimatica. Variando la concentrazione dell’enzima varia la densita’
superficiale e la rivelazione all’elettrdo: piu’ la densita’ enzimatica cresce piu’aumenta la
sensibilita’. Ma esiste un valore limite, infatti troppo enzima ostruisce il passaggio e si riduce, cosi’,
la sensibilita’ dell’elettrodo.
Esistono tre principali tecniche di misura con i biosensori. Nella tecnica in Batch il biosensore viene
immerso in una soluzione tampone, il campione e’ aggiunto solo dopo che il segnale di corrente si
e’ stabilizzato. Ad ogni aggiunto si ha un incremento del segnale.
La risposta che si ottiene e’ simile a quella che si ha con la tecnica di misura in flusso, in questo
caso il biosensore e’ inserito in una cella a flusso in cui si fa scorrere soluzione tampone fino a
quando il segnale di corrente diventa stabile; successivamente il tampone viene sostituito dal
campione da misurare.
La tecnica FIA (flow injection analysis) e’, invece, una tecnica ad impulso.
Si mette nuovamente il biosensore in una cella a flusso in cui scorre il tampone ed il campione e’
aggiunto con diverse iniezioni nel flusso del tampone; in questo modo la risposta che si ottiene e di
tipo impulsato. Una certa quantita’ di campione attraversa una valvola costituita da un loop,
raggiunge il sensore e quello che si va a misurare e’ la diffusione del campione.
Un esempio pratico di biosensore e’ quello per la rivelazione dei fenoli. Funziona con diversi
biomediatori e utilizzando l’apposito elettrodo rivela ossigeno (elettrodo di Clark) o chinone
(elettrodo a grafite).
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Specie rivelata
Sensore per i fenoli
Elettrodo ad O2 + tessuto di patata
O2
Elettrodo ad O2 + tessuto fungino
O2
Elettrodo ad O2 + polveri acetoniche di fungo
O2
Elettrodo ad O2 + tirosinasi
O2
Elettrodo stampato di grafite + tirosinasi
chinone
Elettrodo ad O2 + Pseudomonas putida
O2
Elettrodo stampato di Pt + Pseudomonas putida
O2
Elettrodo stampato di grafite + Pseudomonas putida
O2
Ovviamente anche in questo caso bisogna valutare le migliori condizioni per il funzionamento del
biosensore. Con tecniche in batch o di flusso si ha un segnale abbastanza intenso, ma cio’ richiede
concentrazioni abbastanza basse. D’altrocanto, con la FIA si ha un processo di dispersione nel
campione, che permette di arrivare a concentrazioni  14
10-4M.
Il biosensore funziona anche come campanello 12
d’allarme in presenza di campioni con diversi composti
y = 2,91x - 0,55
y = 6,225x - 0,67
R = 0,9998
R = 0,9984
fenolici. E’ chiaro che non permette di distinguerli, ma
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evidenziera’dei problemi solo su un certo numero di
campioni e, tramite metodi tradizionali, sara’ possibile
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l’identificazione dei vari composti.
2
2
glucosio
H2O2
Attivita’ sperimentale
6
4
E’ stata preparata una soluzione di glucosio 0,1 M.
Abbiamo proceduto, poi, alla preparazione di un
2
puntale a GOD per la rivelazione di H2O2 e di glucosio.
Su una porzione di membrana di acetato di cellulosa e’
0
stato depositato un mg di glucosio ossidasi disciolto in
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
4,5
10 l di PBS.
Il tutto e’ stato ricoperto con una membrana da dialisi con peso molecolare di cut-off di 12000 Da.
Le due membrane racchiudenti lo strato enzimatico sono state bloccate sul puntale con un o-ring.
Il puntale e’ stato riempito con una soluzione di KCl contenente un fosfato (che mantiene costante il
pH) e vi e’ stato poi inserito l’elettrodo di riferimento Ag/AgCl.
Il puntale e’ stato inserito in 50 ml di PBS. Dopo che il segnale di corrente si e’ stabilizzato,
abbiamo aggiunto quantita’ crescenti di H2O2 (10, 20, 50 l) per vedere come aumentava
l’intensita’ del segnale. Con questi punti ci siamo costruiti una curva di taratura in H2O2.
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