FRAMMENTI DI CRISTIANESIMO

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Ignazio Petriglieri
FRAMMENTI DI
CRISTIANESIMO
La fede come esperienza
ARMANDO
EDITORE
PETRIGLIERI, Ignazio
Frammenti di cristianesimo. La fede come esperienza ;
Roma : Armando, © 2014
128 p. ; 20 cm. (Scaffale aperto – filosofia)
ISBN: 978-88-6677-718-2
1. Spiritualità e cristianesimo
2. Vita della Chiesa
3. Riflessioni sulla fede
CDD 238
© 2014 Armando Armando s.r.l.
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21-07-110
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Sommario
Introduzione
Capitolo I: Una spiritualità per il nostro tempo
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
La misericordia, chiave della vita cristiana
Gesù nostro contemporaneo
Il fondamento della Parola di Dio: per il
50° anniversario della Dei Verbum
Risonanza sulla Verbum Domini di Benedetto XVI
La simbologia teologica del pane
La preghiera nella vita del cristiano
Per una spiritualità dell’anno liturgico
Per una spiritualità ecologica
Capitolo II: Vita della Chiesa
1.
2.
3.
Comunione, evangelizzazione e missione
Testimonianza e operosità della fede
Chiesa ed educazione: un impegno che viene
da lontano e guarda lontano
4. Ancora su Chiesa ed educazione: ripartire
dal Vangelo per formare all’essenziale
5. La religiosità popolare
6. La riflessione teologica nella Chiesa locale
7. L’impegno sociale dei cattolici
8. Caritas et veritas: per un’attuazione
della dottrina sociale della Chiesa
9. Per una idea evangelica di economia e di sviluppo
10. In Gesù Cristo il nuovo umanesimo
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Capitolo III: Interludio su Maria
1.
2.
3.
4.
La Madre di Gesù, paradigma degli eletti di Dio
Maria nella storia della fede
La gratitudine a Maria in una preghiera di Paul Claudel
Dopo un pellegrinaggio a Lourdes:
una riflessione sul dolore
Capitolo IV: Il ministero ordinato
1.
2.
Ubi Episcopus ibi Ecclesia
“Chi accoglie voi accoglie me” (Mt 11, 40):
significato della visita del vescovo alla sua Chiesa
3. Ancora sulla visita pastorale: la potenza di un incontro,
la forza di un ricordo
4. Significato ecclesiale della visita ad limina
5. In memoria del vescovo Salvatore Nicolosi
6. Il modello sacerdotale del curato d’Ars
7. L’esempio di Pietro e Paolo: la roccia della fede
e la buona battaglia
8. Sulla mobilità del clero
9. Il presbitero Giuseppe Pisasale e l’attuazione
di un modello sacerdotale
10. Il diaconato
Capitolo V: Profili degli ultimi tre Pontefici
1.
2.
3.
4.
5.
Giovanni Paolo II, l’uomo afferrato da Cristo
Per l’elezione di Benedetto XVI
Sulle dimissioni di Papa Benedetto
Per l’elezione di Papa Francesco
La prima grande lezione di Papa Francesco:
il potere è servizio
Conclusione
Atto di affidamento delle famiglie alla Santa Famiglia
di Nazareth
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Introduzione
Questo libro è il frutto di un discernimento sulla fede cristiana, fatto con gli occhi del cinquantenne. A un certo punto della
vita ci si accorge della necessità di verificare quanto si è accumulato nel proprio bagaglio esperienziale per operare un bilancio
che permetta di ponderare i risultati e di ripartire con maggiori e
più essenziali motivazioni.
L’ordine dei capitoli indica già una prospettiva. Non si può
intraprendere un cammino, quale è l’esistenza cristiana, senza
un fondamento spirituale che ispiri la prassi e dia spessore alle
scelte. Il cristianesimo si trova sempre posto di fronte ad una
duplice tentazione: o quella di esprimere pubblicamente la fede
imponendosi in modo plateale e vistoso, oppure quella di rinchiudersi in uno spiritualismo che appaga gli animi ma che non
incide profondamente nell’ambito sociale. È ovvio che bisogna
evitare, per quanto è possibile, questi opposti perché è nella natura della fede diffondersi come la luce.
Dall’altra parte però, si preconizza e si teme il destino minoritario cui va incontro l’avvenimento cristiano, come se tutto
dipendesse da noi. Quando un’azienda o un’istituzione debbono
incrementare il profitto e la posizione nel contesto dell’agone
socio-economico, devono ricorrere a una propaganda più incalzante e più persuasiva. Non così è però per la fede cristiana, che
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non si basa sulla propaganda, ma sull’annuncio di una Persona e
sulla condivisione di un’esperienza. È vero che la fede degli altri
originariamente non dipende da noi in quanto è dono teologale,
ma è anche vero che Gesù ha raccontato ai suoi discepoli la parabola dei talenti (cfr. Mt 25,14-30) per investirli della responsabilità del Regno di Dio.
Le osservazioni riportate in questo libro vogliono rispondere
al compito di dar conto della fede con il filtro di un’esperienza
particolare, che è appunto quella dell’autore. Una riflessione teologica non consiste in una semplice esposizione di acquisizioni
personali su un determinato oggetto. Oltre al confronto, ha bisogno di misurarsi con il presupposto della Parola di Dio e della
Tradizione. Per questo richiede responsabilità intellettuale e capacità di confronto. Grazie a questi supporti, si può comunicare
quanto si vive sulla propria carne. La meta è Cristo e a Lui non
si giunge da soli; così si tocca con mano la necessità della Chiesa
che concretamente rende possibile la reciprocità.
Singole vicende si sono caratterizzate come storia di un coinvolgimento personale in un grandioso progetto, la cui realizzazione non può avvenire in modo astratto e ideale. L’esistenza
cristiana è il frutto di esperienze particolari che ruotano attorno
ad un asse. Il cristianesimo, infatti, proprio perché non si riduce
a una dottrina o a una morale, coinvolge il vissuto di un uomo
orientandolo a Cristo risorto, asse della storia. Ogni esperienza è
un frammento che dà forma ad un’esistenza.
Il termine frammento dice rapporto con un tutto e, in quanto
tale, è evocativo della singola esperienza di fede. Il linguaggio
teologico, grazie ad H.U. von Balthasar1, se ne è appropriato perché sembra il più idoneo a rappresentare una verità importante: il
frammento indica un pezzo di storia, una minuscola realtà che ha
1
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H.U. von Balthasar, Il tutto nel frammento, Jaca Book, Milano 19902.
il potere di rimandare al Tutto. La rappresentazione più perfetta
è data dalla visione cattolica dell’Eucaristia, per la quale un pezzo di pane e qualche goccia di vino sono contemporaneamente
segno e realtà di Cristo. A sua volta, una piccola parte degli elementi eucaristici non è meno segno e meno realtà del Mistero di
cui è ricettacolo.
È importante cogliere la differenza fra il frammento e il coccio.
Mentre un pezzo di pane non è il pane intero, ma è già completo in
sé perché può già adempiere al compito di sfamare, i cocci di un
vaso rotto, da soli, non servono a niente. Un frammento è un’esperienza particolare perché da sola indica una determinata concezione della vita, la chiara individuazione di un senso. Qualora
singoli fatti e situazioni assumessero valore di coccio, sarebbero
indicativi di un animo disgregato, in quanto mancherebbero di
quel carattere unitario dato dal senso. L’esperienza particolare di
una persona altro non è che l’inveramento parziale di un progetto
globale. Messa accanto a tante altre, si rivela necessaria, nella sua
frammentarietà, per raggiungere lo scopo ultimo.
Anche i vari paragrafi di questo libro sono paragonabili a dei
frammenti, perché rappresentano i pezzi di un tutto; ogni pezzo è
relativo all’altro: proprio per questo non sono delle “monadi”.
Dicevamo poc’anzi che la disposizione dei capitoli indica già
una prospettiva. Dal fondamento si passa alla prassi per trovarsi
di fronte a paradigmi concreti. A un tratto ci si accorge che al
centro di questa vicenda si staglia la figura della Madre di Gesù.
Dinanzi a Lei non resta che contemplare un modello che mette
in crisi tutti i tentativi che si distanziano dalla prospettiva di Dio.
Un sì libero, responsabile e privo di calcoli ha dato una svolta
alla storia. Da quel sì se ne sono succeduti tanti altri che hanno
contribuito a imprimere una certa direzione agli eventi. Così in
Maria si vedono il preannuncio e la realizzazione di tutte le esperienze di fede pensabili e possibili.
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Si potrebbe obiettare che, mentre c’è un capitolo – il quarto –
interamente dedicato al ministero ordinato, ne manca uno in cui
si tratti espressamente dei laici. Per la verità, oltre al fatto che il
libro è dedicato a tutti i testimoni del Vangelo, i primi due capitoli richiamano l’urgenza spirituale richiesta dalla vita attiva. Tutti
siamo cercatori di Dio e tutti abbiamo bisogno di supportarci
reciprocamente per rispondere a questo bisogno dello spirito. La
trasmissione della fede, in verticale (Tradizione) e in orizzontale
(comunione), sia in senso passivo che attivo, è l’unica strada che
permette questo itinerario per il fatto che avviene nella Chiesa.
12
Capitolo I
Una spiritualità per il nostro tempo
1. La misericordia, chiave della vita cristiana
Il tema della misericordia attraversa come un filo rosso tutto
il messaggio biblico. Per capirne la dinamica e coglierne tutta la
portata teologica ed etica, bisogna andare direttamente alla fonte,
in particolare alle parole e ai gesti di Gesù di Nazareth.
Il fatto che Dio agisca secondo misericordia non definisce
unicamente la sua peculiarità, ma ha anche un risvolto pedagogico perché chiede all’uomo di andare oltre la sua pura istintività per aprirsi a relazioni risananti. Infatti, se viene a mancare
questa disponibilità, il circuito di male si allarga all’infinito e
i rapporti, invece di rinsaldarsi, si indeboliscono, causando la
chiusura dell’io. La misericordia, come oggetto di fede, mi chiede di superare il limite dei miei giudizi per impostare e mantenere i rapporti in una prospettiva di ascesi dello spirito, sulla linea
dell’inno alla carità di 1 Cor 13.
1.1 La testimonianza biblica
Alla base di ogni riflessione c’è il confronto con l’agire di Dio,
che mostra negli interventi a favore del suo popolo un volto sempre
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misericordioso, anche quando sembra che l’ira e la collera, causate dalla durezza di cuore e dall’infedeltà, lo facciano retrocedere dal proposito di un’alleanza duratura. Israele percepisce la
misericordia di Dio come un dono e non può certo essere insensibile a questa elezione che richiede adesione, fedeltà e osservanza
della legge. L’Antico Testamento sembra caratterizzarsi come il
racconto di avvenimenti in cui si alternano episodi di adesione al
patto stipulato al momento dell’elezione e situazioni di infedeltà
di fronte agli impegni presi. Ma l’atteggiamento di Dio è sempre
ispirato alla magnanimità. La storia della salvezza è dunque ritmata da esperienze di peccato da parte del popolo e dall’azione
risanatrice di Dio. Da questa fede deriva una grande certezza, che
muove la storia di Israele: “Buono e pietoso è il Signore, / lento
all’ira e grande nell’amore… Non ci tratta secondo i nostri peccati, / non ci ripaga secondo le nostre colpe” (Sal 103, 8-10).
Il Nuovo Testamento ha reinterpretato gli episodi salvifici
dell’Antico e li ha riletti alla luce del compimento dell’alleanza
in Cristo. Questi non si è presentato come un giudice; ha condannato il peccato, si è scagliato contro i falsi profeti e ha usato
parole durissime contro gli ipocriti. Ma si è rivolto con accogliente disponibilità nei confronti di chi, avendo preso coscienza
dell’errore, si è pentito ed è tornato a Dio. Egli non ha predicato
una misericordia a basso prezzo; ha chiesto al suo interlocutore
di riconoscere e di ponderare il male prima di pronunciare le
parole del perdono.
Non basta avere davanti a sé un passo evangelico a caso per
capire l’impegno che comporta questo suo atteggiamento; bisogna avere sotto gli occhi tutto il messaggio neotestamentario per
rendersi conto di quanto sia decisivo il suo esempio prima ancora
della sua parola. Nei racconti della passione si comprende come
i gesti e le parole della sua vita pubblica trovino conferma nel
momento massimo della debolezza e dell’abbandono, non più
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dell’acclamazione. Appeso sulla croce chiede al Padre di perdonare i suoi crocifissori perché non sono in grado di capire quello
che stanno facendo. Con il perdono non vuole tanto deresponsabilizzare quelli che hanno decretato la sua condanna, quanto
sanare la loro incapacità di riconoscere la sua testimonianza di
inviato di Dio (cfr. Lc 23, 33-34). Questa condanna porta a compimento la condizione del rifiuto che aveva caratterizzato il suo
ministero pubblico.
I Vangeli della passione ci fanno vedere il Figlio di Dio sottomesso al giudizio degli uomini. Quel suo silenzio non indica passività, ma il supremo accoglimento dell’incomprensione
che aveva caratterizzato la sua missione in questo mondo. Infatti
quella era la volta definitiva in cui la sua identità veniva disconosciuta. L’atto finale del perdono è l’ultimo gesto di magnanimità
del Crocifisso nei confronti di chi l’aveva rifiutato. Non avrebbe
potuto emettere l’ultimo respiro prima di concedere il perdono
ai suoi crocifissori, senza che questi l’avessero chiesto. Durante
la sua vita terrena ha guarito molte infermità fisiche, ma alla
guarigione esteriore ha accompagnato il risanamento interiore:
“Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati” (Mt 9, 2). Ora il
prezzo del perdono che deve pagare è molto alto, perché lo deve
rivolgere ai suoi malfattori. Ma fino all’ultimo non si tira indietro: il suo perdono è senza condizioni. È la conferma più alta di
quanto ha detto e fatto. La sua vicenda terrena si chiude così con
un gesto che ha avuto un portata cosmica: mentre ha preso su di
sé tutto il male del mondo, i peccatori sono riconciliati con Dio.
1.2 La misericordia riporta l’uomo alla giustizia originaria
Ci si domanda: perché la giustizia di Dio si manifesta con la misericordia? Non disponiamo di una risposta che appaghi la nostra
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logica; abbiamo solo un’affermazione che ci dice la sproporzione fra il nostro modo di pensare e quello di Dio: “Quanto il cielo
sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei
pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Is 55, 9). L’atteggiamento
misericordioso di Dio, definitivamente realizzato dal Figlio suo,
è la dimostrazione che Egli non ha creato l’uomo per il peccato e
per il male. In questo mondo l’uomo si trova a confrontarsi con
la realtà del male perché deve fare i conti con un’altra proposta,
quella che viene “dal suolo”, secondo il racconto genesiaco. Il
peccato ha origine da una presunzione, che è quella di sostituirsi
a Dio, di confidare nell’onnipotenza dell’uomo. Solo il paradigma del Figlio di Dio incarnato poteva riportare le cose allo stato
originario. Infatti, Egli, che era Dio, ha vissuto la sua vicenda
terrena in stato di totale obbedienza al Padre. Quello che non ha
fatto l’uomo, posto in principio al di sopra del creato, l’ha fatto
il Figlio di Dio. In Lui la creazione riprende l’equilibrio perduto
e la salvezza ha fatto il suo ingresso in questo mondo (si veda
l’incontro di Gesù con Zaccheo in Lc 19,1-10).
Il suo esempio non ha tanto un valore etico, quanto ontologico. Egli ci restituisce alla nostra creaturalità, ci fa riscoprire chi
siamo veramente. Al di fuori di Lui, la nostra identità e il nostro
profilo entrano in confusione. Figli nel Figlio, non possiamo rientrare nel circuito della grazia senza misurarci con Lui. La sua
testimonianza non si fonda solo sul principio della pro-esistenza;
sarebbe molto riduttivo limitare la sua singolarità alla dimensione dell’alterità come categoria dominante delle sue relazioni e
dei suoi incontri. Egli è l’uomo-Dio obbediente al Padre, che si
misura sempre con Lui. Se tutto si riducesse al bene compiuto
lungo le strade della Palestina, i Vangeli ci avrebbero dovuto trasmettere l’immagine di un super-uomo che ha fatto dell’altruismo il suo ideale di vita. La stessa predicazione, che andava oltre
i parametri dell’insegnamento rabbinico ufficiale, tanto da la16
sciare stupiti i suoi ascoltatori, non poteva essere recepita senza
il presupposto dell’obbedienza al Padre. Tutto è stato compiuto
in comunione con Lui. La fecondità della sua missione poggiava
su questo fondamento.
La garanzia della misericordia di Dio è alla base della comprensione del ruolo che l’uomo occupa nel mondo. Chiamato a
riprendere coscienza della sua identità creaturale, egli può agire
rifuggendo dalla tentazione di sostituirsi a Dio. Gli squilibri nella
storia sono sempre stati prodotti dalla sproporzione del rapporto
che l’uomo ha inteso instaurare con Dio. Da qui il valore pedagogico della misericordia.
1.3 Misericordia e giustizia umana
Una certa predicazione pessimistica ha insistito forse troppo
sulla giustizia retributiva di Dio: al male risponde col castigo, al
bene col premio. La misericordia ci porta fuori da questa logica
e indica invece che al peccatore viene data ogni possibilità per
ritornare in se stesso e ravvedersi (cfr. Lc 15). Ecco perché non
bisogna confondere misericordia divina e giustizia umana. Per
molti la prima equivarrebbe a non prendere posizione di fronte
al male compiuto da una persona, mentre la seconda indicherebbe la giusta reazione ad una colpa commessa. L’una non va
confusa con l’altra. La giustizia umana deve rispettare il proprio
codice e garantire la convivenza. Sulla misericordia divina possiamo pronunciarci ben poco se teniamo conto solo delle nostre
categorie. Nel Vangelo di Matteo, Gesù, dopo aver parlato della
novità del comportamento dei suoi discepoli rispetto al modo di
fare dei pagani, afferma: “Sarete dunque perfetti come è perfetto
il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 48). Nella redazione lucana
l’attributo perfetti è reso con misericordiosi (cfr. Lc 6, 36), da cui
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si evince che la perfezione raccomandata ai discepoli è la prerogativa stessa di Dio, ossia la misericordia. Essa è una sfida che
avvicina l’uomo a Dio molto più di tanti suoi sforzi. Ma è una via
difficile perché richiede molta maturità. Ritorna il discorso della
tentazione genesiaca: “Il serpente disse alla donna: Non morirete
affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangereste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e
il male” (Gen 3, 4-5). Gesù invece afferma che sarete come Dio
se avrete misericordia come Lui. Le proposte si oppongono, ma
quella che ha vinto e ha sortito l’effetto è la seconda.
2. Gesù nostro contemporaneo
In una breve lirica sul Natale, il poeta modicano Salvatore
Quasimodo (Modica 1901-Napoli 1968) contempla la disarmante semplicità di un presepio. Fra tanto stupore scorge un’atmosfera di serenità, data sia dalla immobilità “delle figure di legno”,
sia dall’atteggiamento del Cristo bambino, il cui cuore è il ricettacolo finito di un’eterna pace. A questa tacita contemplazione fa
seguito una constatazione, introdotta da una congiunzione avversativa: “Ma non v’è pace nel cuore dell’uomo”. Alla meraviglia
segue il disagio di dover notare che, nonostante Cristo sia da
venti secoli profeta di pace, “il fratello si scaglia sul fratello”.
Sarà l’uomo in grado di ascoltare “il pianto del bambino che morirà poi in croce fra due ladri?”. Si conclude con questa domanda
il breve ma suggestivo componimento, mentre viene messo in
rapporto l’evento della nascita di Gesù con quello della morte.
Quasimodo, benché non esprima un fede esteriore, lamenta la durezza e l’insensibilità del cuore dell’uomo che sembra non aver
recepito l’umile lezione di quel Bambino, che, nato in un tempo
e in un contesto ben precisi, ha impresso una svolta decisiva alla
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storia dell’umanità. Chi ascolterà le sue parole? Questa domanda
evidenzia il fatto che Cristo, in quanto interpreta e colma gli aneliti più profondi dell’uomo, non potrà essere superato da nessun
movimento di pensiero né da qualsivoglia sistema ideologico.
Ecco perché è nostro contemporaneo, ecco perché la sua Parola è
sempre attuale. Il dramma sta, però, nella domanda che deriva da
tale constatazione: siamo noi suoi contemporanei? Ovviamente,
viene qui superato il concetto di tempo: non si tratta di una contemporaneità cronologica, ma spirituale. Se Cristo è sempre accanto all’uomo, a qualsiasi uomo, peccatore, assassino, disoccupato, sofferente, sfiduciato, speranzoso, altruista, vuol dire che
le barriere del tempo sono state abbattute. Egli resta sempre il
“Dio-con-noi” (cfr. Is 7, 14). La sfida, però, ci insegue: possiamo
noi dirci suoi contemporanei?
Natale. Guardo il presepe scolpito
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.
Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.
Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure di legno: ecco i vecchi
del villaggio e la stella che risplende,
e l’asinello di colore azzurro.
Pace nel cuore di Cristo in eterno;
ma non v’è pace nel cuore dell’uomo.
Anche con Cristo e sono venti secoli
il fratello si scaglia sul fratello.
Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino
che morirà poi in croce fra due ladri?
(Salvatore Quasimodo)
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