Economia Politica (Mod I)

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ECONOMIA POLITICA (MOD I)
Docente: Martina Marian
Anno accademico 2006/2007
Economia Politica (Mod I)
Nota integrativa n. 9
Il fenomeno della disoccupazione
Mankiw, Capitolo 26
Nel valutare il livello di attività economica in un paese gli economisti, oltre al PIL,
osservano con grande attenzione anche il tasso di disoccupazione, che costituisce un
indicatore sensibile delle condizioni del mercato del lavoro. Se il tasso di disoccupazione è
basso, significa che i posti di lavoro sono sicuri ed è abbastanza facile trovare un impiego
e questo è un indicatore di benessere del paese.
• Il tasso di disoccupazione
Il tasso di disoccupazione indica la percentuale di persone che non hanno un lavoro,
ma che desiderano lavorare ed è calcolato come rapporto tra il numero di
disoccupati e il numero di persone appartenenti alla forza lavoro di un paese.
In Italia, l’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica) si occupa di definire e misurare la
disoccupazione. Per ricavare il tasso di disoccupazione, l’ISTAT calcola innanzitutto a
quanto ammonta la forza lavoro. La forza lavoro viene definita come la somma di occupati
e di disoccupati di un paese, quindi le persone che sono escluse dalla forza lavoro non
vanno ad incidere sul tasso di disoccupazione. In particolare, una persona viene definita:
- Occupata: se ha lavoro a tempo pieno o part-time nell’ultima settimana.
- Disoccupata: se non ha svolto alcun lavoro nell’ultima settimana ma si è impegnata
a cercare un impiego nelle ultime quattro settimane;
- Non appartenente alla forza lavoro: se non ha lavorato nell’ultima settimana, né ha
cercato lavoro attivamente nelle ultime quattro settimane (persone con età inferiore
ai 15 anni, studenti, casalinghe, pensionati, disabili non in grado di lavorare).
Durante le rilevazioni periodiche viene chiesto agli individui anche da quanto tempo si
trovano senza un’occupazione. Un intervallo di tempo consecutivo durante il quale una
persona rimane disoccupata si definisce periodo di disoccupazione, che inizia quando
essa perde il lavoro (o inizia a cercare il primo impiego) e finisce nel momento in cui trova
un nuovo impiego o decide di lasciare la forza lavoro.
In base alla durata del periodo di disoccupazione, la disoccupazione si distingue in:
- disoccupazione di breve periodo;
- disoccupazione di lungo periodo;
- disoccupazione cronica: individui che alternano periodi di disoccupazione con
periodi in cui sono occupati con lavori a termine o temporanei.
Analogamente al metodo di misurazione del PIL, anche quello relativo alla disoccupazione
è soggetto a critiche.
• Innanzitutto tra i disoccupati non vengono conteggiati i lavoratori scoraggiati, cioè
quei lavoratori che affermano di desiderare un lavoro ma non si sono attivati per
trovarlo nelle ultime quattro settimane, perché ci hanno rinunciato dopo aver
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cercato a lungo o perché ritengono il periodo non favorevole alla ricerca di un
impiego. Poiché questi non sono attivamente alla ricerca di un lavoro rientrano nella
categoria dei non appartenenti alla forza lavoro.
I lavoratori part-time involontari sono coloro che affermano che desiderano un
lavoro a tempo pieno ma trovano solo impieghi part-time. Queste persone rientrano
tra la categoria degli occupati, ma in realtà non sono pienamente soddisfatti della
loro condizione lavorativa.
I lavoratori non regolarmente assunti o impegnati in attività illegali (economia
sommersa, lavoro nero) non vengono inclusi tra gli occupati.
I costi della disoccupazione
La disoccupazione impone costi economici, psicologici e sociali ad un paese.
Il costo economico principale è rappresentato dal prodotto perso in quanto la forza lavoro
non è utilizzata appieno. L’onere di questa perdita di produzione ricade in gran parte sugli
stessi disoccupati che vedono il proprio reddito scendere in mancanza di un lavoro e
rimanendo inattivi rischiano di mettere a repentaglio le loro capacità. Tuttavia i costi
economici della disoccupazione si ripercuotono in parte anche sulla società nel suo
complesso. Chi ha perso un impiego, ad esempio, sospende il pagamento delle imposte e
può iniziare a percepire un sussidio di disoccupazione da parte dello Stato.
I costi psicologici della disoccupazione gravano innanzitutto sui lavoratori senza impiego e
sulle loro famiglie. Periodi protratti di disoccupazione possono indurre negli individui una
perdita di autostima, una perdita di controllo sulla propria vita e in taluni casi addirittura al
suicidio. E’ probabile infatti che all’interno della famiglia colpita dal problema della
disoccupazione il disagio psicologico aumenti, aggravato dalle difficoltà economiche
dovute alla perdita di reddito.
I costi sociali della disoccupazione sono una conseguenza degli effetti economici e
psicologici. L’incremento del livello di disoccupazione generalmente è accompagnato da
un aumento della criminalità, degli episodi di violenza e da altri problemi sociali
(tossicodipendenza, alcolismo, ecc). I costi che ne derivano ricadono non solo su chi è
disoccupato, ma sulla collettività in generale, dal momento che è necessario utilizzare una
quantità maggiore di risorse pubbliche per cercare di contenere questi fenomeni.
Le tipologie di disoccupazione
Il fenomeno della disoccupazione può quindi essere suddiviso in tre categorie:
-
Disoccupazione frizionale: è una disoccupazione a breve termine dovuta al
collocamento cioè al processo attraverso il quale i lavoratori trovano un impiego
rispondente alle proprie capacità e aspirazioni. I costi di questa disoccupazione
sono molto bassi e a volte a questa tipologia di disoccupazione possono essere
legati anche dei vantaggi. In primo luogo si tratta di un fenomeno di breve termine,
pertanto le conseguenze psicologiche e le perdite economiche dirette sono minime.
In secondo luogo, nella misura in cui la ricerca consente ad un individuo di trovare
un lavoro che meglio corrisponda alle sue caratteristiche, un periodo di
disoccupazione frizionale può essere produttivo, nel senso che consente di
raggiungere un livello di prodotto più elevato nel lungo periodo. Un certo grado di
disoccupazione frizionale risulta quindi essenziale per l’efficiente funzionamento di
un’economia dinamica e in rapida evoluzione.
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La disoccupazione frizionale è inevitabile, ma la sua quantità non è predeterminata.
Una maggiore diffusione dell’informazione sui posti di lavoro disponibili e sui
lavoratori in cerca di occupazione e la presenza di uffici di collocamento può ridurre
il periodo necessario per il collocamento.
Un provvedimento diffuso che può invece farla aumentare, anche se
involontariamente, è il sussidio di disoccupazione: tale provvedimento è stato
pensato per offrire ai lavoratori una parziale protezione in caso di perdita del posto
di lavoro, questo però costituisce anche un freno alla ricerca attiva di un posto di
lavoro.
-
Disoccupazione strutturale: è una disoccupazione a lungo termine o cronica a cui
corrispondono numerosi fattori e sono legati costi molto più alti rispetto alla
disoccupazione frizionale.
Innanzitutto a causa della mancanza di competenze, di barriere linguistiche o di
problemi di discriminazione, alcuni individui non riescono a trovare un impiego
stabile e a lungo termine.
Secondariamente i mutamenti economici danno vita a una situazione di mancata
corrispondenza a lungo termine tra le capacità di alcuni lavoratori e i posti di lavoro
disponibili.
Infine la disoccupazione strutturale può essere il risultato di caratteristiche strutturali
del mercato del lavoro che fungono da barriere all’occupazione. In particolare:
ƒ la legge sul salario minimo, quando cioè il salario viene mantenuto al di
sopra del livello di equilibrio. Facendo aumentare la retribuzione dei
lavoratori meno qualificati ed esperti al di sopra del livello di equilibrio, fa
aumentare la quantità di lavoro offerta e diminuire quella domandata.
L’eccesso di offerta si manifesta nella disoccupazione;
ƒ la sindacalizzazione e la contrattazione collettiva, quando il sindacato
(associazione di lavoratori) contratta con le imprese i salari e le condizioni
lavorative. Il sindacato chiede salari più elevati, benefici aggiuntivi e
condizioni di lavoro migliori di quanto l’impresa sarebbe disposta ad offrire in
assenza del sindacato. Se il sindacato e l’impresa non raggiungono un
accordo, il sindacato può organizzare una sospensione dell’attività lavorativa
nell’impresa, detta sciopero. Poiché lo sciopero riduce la produzione, le
vendite e i profitti, sotto la minaccia di uno sciopero prolungato un’impresa
può rassegnarsi a concessioni sostanziose, riducendo in questo modo la
domanda di lavoro e creando disoccupazione;
ƒ la teoria del salario di efficienza, quando cioè il salario superiore al livello di
equilibrio, viene corrisposto volontariamente dall’azienda al lavoratore per
incentivarne la produttività. I salari elevati possono migliorare la salute, e il
rendimento dei lavoratori, diminuirne il ricambio (turnover), aumentarne
l’impegno e la qualità.
-
Disoccupazione ciclica: questo tipo di disoccupazione si manifesta durante i
periodi di recessione ed è normalmente abbastanza breve. La presenza della
disoccupazione ciclica è però accompagnato da una forate riduzione del PIL reale e
di conseguenza comporta costi economici piuttosto elevati.
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