PAROLA Maria Rita - Regione Piemonte

Settore Polizia Locale e Politiche per la Sicurezza
CORSO DI ALTA SPECIALIZZAZIONE IN MATERIA DI
CRIMINOLOGIA APPLICATA
TESI
“CENNI DI SOCIOLOGIA DELLA DEVIANZA –
CARATTERISTICHE E CONNESSIONE TRA DEVIANZA E
CRIMINALITÀ”
RELATORE: DR. Antonio ZULLO
CANDIDATO: DR.ssa Maria Rita PAROLA
ANNO 2012 - 2013
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Indice
INTRODUZIONE ……………………………………………………………………………………. pag. 4
CAPITOLO PRIMO – CONCETTO DI DEVIANZA ………………………………….. pag. 5
1.1
– Prima definizione
1.2
– Seconda definizione
1.2.1
– Secondo i Labelists – Teorici dell’etichettamento
1.2.2
– Critica di Alvin Goaldner (guardiani di zoo)
1.2.3
– critica dei Radicals (radicali
1.3
– Terza definizione
1.4
– Quarta definizione
1.4.1 - Scuola criminologica italiana (Lombroso, Ferri, Garofalo)
1.5
– Quinta definizione
CAPITOLO SECONDO – ANALISI SCIENTIFICHE ………………………………… pag. 12
2.1 – La scuola Classica
2.2 – La scuola Positiva
2.3 - La Scuola di Chicago
CAPITOLO TERZO – LE TEORIE DELLA DEVIANZA ……………………………… pag. 21
3.1 - Teoria dell’Associazione Differenziale
3.2 – Teoria dell’Anomia
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3.3 – Teoria della Subcultura
3.3.1 – La subcultura della delinquenza di Cohen
3.3.2 – La teoria delle opportunità differenziali di Clowar e Ohlin
3.3.3 – La teoria incentrata sulle classi inferiori di Miller
3.3.4 – La subcultura della violenza di Wolfgang e Ferracuti
3.4 – Teoria del Deterrente
3.5 – Teoria del Campo
3.6 – Ristrutturazione dello spazio di vita secondo Lewin
CAPITOLO QUARTO - DISTINZIONI ………………………………………………….
pag. 46
4.1 – Devianza a normalità
4.2 – Contrapposizione tra norme e devianza
4.3 - Disagio e devianza
CONCLUSIONI ………………………………………………………………………………….
Pag. 55
BIBLIOGRAFIA
Pag. 58
……………………………………………………………………………….
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INTRODUZIONE
In questi ultimi anni si è affermato un orientamento critico verso i tradizionali
modi di spiegare e trattare il problema della devianza.
Tale orientamento è nato sia dal contributo teorico di psico-sociologi come
Lemert e Becker, sia dall’autocritica fatta da una ristretta minoranza di psichiatri
e psicoanalisti verso un ruolo ideologico delle loro conoscenze e pratiche
istituzionali.
Da un punto di vista concreto questo ha contribuito a rimettere in discussione
concetti come quello di “normalità” e “patologia” ormai acquisiti stabilmente alla
pratica ed alla ricerca clinica. In questo orientamento non si è più cercato di
spiegare o interpretare l’agire del deviante partendo dal tradizionale quadro
concettuale basato sull’idea dell’esistenza di comportamenti normali e patologici,
ma si è cercato invece di capire come tale quadro concettuale, tradotto nella
pratica, abbia per certi aspetti contribuito a costruire quanto diceva di voler
spiegare e curare o correggere.
Se si vuole comprendere pienamente il significato che sta alla base di un’azione
deviante compiuta da un soggetto e le sue difficoltà a “cambiare” bisogna tener
conto di tutti quei processi che producono e stabilizzano la sua identità deviante,
nel contesto delle azioni e delle situazioni che rendono molte volte immodificabili
le sue scelte di vita.
La “devianza”, in quanto costruzione sociale, non è un fatto in sé, una proprietà o
una realtà ontologica che si insinua o permea la personalità di un soggetto
percepito come deviante. La devianza è l’ombra che ogni norma violata, e
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pubblicamente sanzionata, proietta su certi comportamenti piuttosto che su altri.
E’ l’effetto del processo sociale di attribuzione che, date certe condizioni, porta
all’identificazione con un ruolo (per esempio quelle di tossicodipendente), con
tutto quello che ne consegue.
Ogni diversità, socialmente stigmatizzata, può esere rivestita dalle immagini
prototipiche e stereotipiche che le conferiscono di fatto, una serie di tratti e di
attese negative considerati per l’appunto devianti.
Quindi deviante non è chi devia da una norma, in questi termini sarebbe una
esemplificazione di scarso valore, ma chi incappa nelle norme che stigmatizzano
una qualche sua trasgressione o diversità.
Le norme contengono tutta una serie di processi di definizione, di linguaggio e di
regole che di fatto costruiscono la percezione sociale del deviante, ovviamente a
seconda dei contesti, della cultura, dei momenti storici e delle leggi.
1
CAPITOLO PRIMO – CONCETTO DI DEVIANZA
Vi sono 5 definizioni che connotano il concetto di DEVIANZA
1.1 - Prima definizione
La devianza si riferisce alle aspettative connesse ad un orientamento normativo.
A - Si considera deviante il comportamento che ha violato le aspettative di una
data norma sociale.
1
Milanese R., La costruzione e il mantenimento dell’identità del deviante, Lombardo Editore,
Roma, 1998
-5-
B - Il comportamento deviante non è direttamente collegato ad una norma, ma
alle sue aspettative.
Differenza tra i due enunciati:
è deviante l’atto che viola una data norma, è deviante l’atto che viola le
aspettative istituzionalizzate di una data norma sociale.
Nel caso A: i concreti contenuti sociali (le aspettative istituzionali ovvero ciò che
si aspetta che io faccia) sono legati all’enunciato della norma da un nesso logico,
ma in realtà non è così in quanto entrano in campo diversi altri fattori. (ad
esempio in un dato gruppo di persone viene deciso che è vietato fumare; per
ottenere il comportamento deviante non è sufficiente violare la norma, ma nel
tempo stesso occorre vivere all’interno del gruppo).
Il legame di senso tra la norma e l’aspettativa non è di tipo logico ma dipende da
tanti fattori.
Talcott Parsons ha offerto una teorizzazione soddisfacente di questo problema:
Le norme sono in larga misura estrinsecazione di valori sociali. Gli individui, nelle
situazioni concrete non producono un’identica risposta di comportamento.
In un dato momento storico se i socializzandi sono sottoposti alle medesime
tecniche educative, assumono una serie di credenze, valori, atteggiamenti
comuni che formano la personalità del soggetto. La personalità di base del
soggetto, comune alla quasi totalità dei socializzandi è funzione dei valori.
Considerato che i valori vengono appresi ed interiorizzati, e che la gran parte di
essi vengono assorbiti nel periodo dell’infanzia, dovrebbe accadere che i
socializzandi sottoposti alle medesime tecniche educative, nello stesso momento
storico, dovrebbero avere un identico comportamento. Sappiamo bene che
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questo però non avviene. I socializzandi pur avendo una personalità di base
comune non producono uguali reazioni, c’è infatti una gradualità di risposte.
E’ importante sottolineare che la “personalità di base” dell’individuo, non è la sua
personalità totale (ma è solo una parte).
I vari soggetti hanno capacità di adattamento razionale alle esigenze della
situazione, esiste dunque un ambito istituzionalizzato di tolleranza, cosicché la
conformità non significa uniformità di comportamento.
1.2 - Seconda definizione
Il Comportamento deviante viene individuato da un gruppo, così cambiando il
gruppo, cambia anche l’individuazione di ciò che è considerato deviante.
Non esiste un comportamento deviante in se e per se, appare tale in base alle
aspettative di un determinato gruppo sociale.
Nella prospettiva dei positivisti la seconda proprietà si configura nei termini di
relativismo culturale. Fino agli inizi del secolo scorso, l’atto deviante veniva
concepito in termini analitici, si dava rilievo solo a determinati comportamenti
ovvero quelli che erano dannosi per la società e per il benessere sociale.
In base alle teorie positiviste:
1 - vi è una riduzione della devianza ad alcune forme di criminalità;
2 - il deviante è un soggetto posseduto da istanze asociali;
3 - la povertà crea devianza.
Secondo
i
positivisti,
la
devianza
è
la
violazione
di
un’aspettativa
istituzionalizzata.
1.2.1 - Secondo i LABELISTS – TEORICI DELL’ETICHETTAMENTO
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Relativismo culturale
Non può esistere un comportamento deviante in se e per se.
Perché la devianza si costituisce in seguito ad una “reazione sociale” che
etichetta come deviante un dato comportamento.
In questo caso un particolare gruppo di potere “etichetta” come deviati
determinati soggetti, i quali si riconoscono nel ruolo che gli è stato “etichettato”
addosso.
2
1.2.2. - CRITICA DI ALVIN GOALDNER (guardiani di zoo)
La propensione di questi zookeepers della devianza è quella di creare una riserva
indiana umana e confortevole, uno spazio sociale protetto, all’interno del quale,
questi pittoreschi esemplari umani possono essere mostrati senza molestie e così
come sono.
Lasciate che le cose rimangono come sono e siate tolleranti, sempre più tolleranti
verso le diversità.
Secondo
gli
etichettatori,
la
devianza
non
esiste,
è
una
reazione
di
stimmatizzazione che qualcuno affibbia a qualcun altro.
1.2.3 - CRITICA DEI RADICALS (RADICALI)
Occorre andare oltre e andare oltre significa che gli etichettamenti sono possibili
sulla base di norme e sono l’inevitabile prodotto di una società capitalistica
fondata sul possesso.
2
Andreassi Marinelli F., Devianze e tecnologie educative e di
2007
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contrasto, Benedetti, L'Aquila
La critica: non è stata studiata la base della devianza e come il processo di
stigmatizzazione non nasce all’improvviso, ma in un determinato contesto e
momento.
Il pensiero dei Radicali aggiunge qualcosa alle teorie degli etichettatori, ma non
considerano la struttura della società.
1.3 - Terza definizione
Ai fini della individuazione della devianza, interviene anche un elemento
situazionale; ne deriva che il medesimo comportamento, definito come deviante
nell’ambito di una certa situazione, può apparire non deviante nel quadro di una
situazione diversa (esempio uccidere in caso di guerra – recarsi ad un picnic).
Anche
all’interno
di
uno
stesso
gruppo
o
contesto
culturale,
lo
stesso
comportamento può essere soggetto a valutazioni diverse e ciò dipende in primo
luogo dal modo in cui la situazione viene socialmente definita.
Vengono così segnalati due ordini di particolari fenomenologie:
ogni società prevede al suo interno, momenti istituzionalizzanti cioè controllati di
destrutturazione della dimensione situazionale.
Con la dimensione situazionale nella sua specificazione pubblico - privato, ci si
riferisce alla fattispecie della cosiddetta “norma d’evasione” (Ad esempio le
raccomandazioni sono accettate se non sono rese pubbliche, il gioco d’azzardo
viene praticato ma non reso pubblico). Circostanza in cui una norma - sulla cui
validità esiste un consenso generale - viene disattesa se non resa pubblica.
1.4 - Quarta definizione
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Diversi tipi di devianza appaiono intimamente collegati, più che ad un tipo di
“personalità” dell’attore, a determinati ruoli sociali, esprimendone in sostanza
una più o meno ricorrente modalità di funzionamento.
Per
ruolo
si
intende
un
insieme
coerente
di
comportamenti
orientati
all'espletamento di una funzione, ovvero ciò che collega una persona al sistema
culturale.
Esiste una certa relazione tra devianza e ruoli sociali, nel senso che particolari
tipi d’infrazione possono essere posti in rapporto col funzionamento di certi ruoli,
dando luogo per così dire ad un prodotto “tipico” in termini di devianza.
L’accettazione di questa proprietà determina la dissoluzione della concezione
analitica della devianza.
1.4.1 - Scuola criminologica italiana (Lombroso, Ferri, Garofalo).
Secondo la scuola Italiana il comportamento deviante era da ricondurre, in grado
più o meno elevato a 3 ordini di cause:
- fattori anatomici (il deviante ha cranio sporgente, con anomalo sviluppo
dentario ecc.)
- fattori biologici funzionali ( soggetti epilettici, soggetti a mancinismo, con
problemi tattili ecc.)
- fattori di ordine psico-morali (persone scarsamente intelligenti ma astute,
egoista, vanitoso affetto da cupidigia).
Il massimo valore predittivo rispetto alla possibilità di intraprendere dalla carriera
criminale era legata alle caratteristiche fisiche anatomiche ossia variabili bioantropologiche.
La teoria della scuola Italiana è da ritenersi piena di contraddizioni, tale corrente
era disposta a riconoscere che un deterrente alla devianza potesse essere un
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elevato STATUS SOCIALE ossia ricchezza e istruzione. Nonostante un individuo
racchiudesse in se i fattori fisici – anatomici, biologici funzionali e fattori psicomorali, riconducibili alla fattispecie del delinquente, se facente parte di una certa
classe sociale, tali potenzialità potevano rimanere latenti.
Quest’ultimo principio però tiene in considerazione la presenza e l’incidenza di
altri fattori, quali quelli sociali (istruzione, ricchezza) ovvero ciò che la scuola
Italiana nega in maniera quasi assoluta.
Un errore metodologico operato dal Lombroso e dalla scuola Italiana consiste nel
fatto che sostenevano che le caratteristiche presenti nei criminali erano del tutto
assenti nei gruppi di controllo, negli studenti e nei militari. Questa affermazione
però non tiene in considerazione la totalità dei campioni, ma un campione già
selezionato. Quando si pone in essere una ricerca, occorre prendere in
considerazione un campione e un gruppo di controllo, questo gruppo di controllo
non può avere caratteristiche derivanti da una stessa selezione.
Innovazione operata da Sutherland. (autore che si colloca nel quadro delle teorie
sociologiche, studioso dei cosiddetti “delitti dei colletti bianchi). Sutherland
sosteneva che il comportamento deviante non si eredita, non si inventa ma si
apprende all’interno di un gruppo, il quale risulta essere particolarmente coeso,
abbastanza
ristretto
ove
vi
sia
comunicazione
(abilità
di
apprendimento
all’interno del gruppo).
I RADICALS condividono appieno la quarta proprietà, secondo gli stessi si può
infatti concepire una devianza connessa all’espletamento di ruoli, quali in primo
luogo quelli professionali.
Per i RADICALS inoltre, l’indignazione dei positivisti, è soltanto “un’indignazione
morale, fondamentalmente vuota e ateoretica” perché i positivisti negano la
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cognizione delle basi strutturali che rendono inevitabile e continua sia la devianza
dei ricchi che quella dei poveri.
1.5 - Quinta definizione
Il comportamento deviante può assumere intensità e direzioni diverse.
Il comportamento può essere diretto verso direzioni approvate o disapprovate.
Esempio
soldato
eccessivamente
coraggioso
coraggioso
(encomio),
molto
(superamento
dei
coraggioso
limiti
(decorazione)
situazionali
del
comportamento – incoscienza, pazzia).
Ci si può allontanare dalla norma anche se si va verso la direzione approvata.
Occorre però sapere qual è il comportamento che viene richiesto nelle diverse
situazioni.
Per i RADICALS vi è un netto rifiuto delle statistiche come fedele strumento di
rilevazione di reali fenomenologie. Intensità e grado di tolleranza sono tra i più
importanti elementi da tenere sotto controllo.
Secondo i radicals, le statistiche poste in essere nell’ambito della criminalità deve
essere un prodotto di comportamenti e valutazioni. E’ sbagliato prendere i dati in
maniera
acritica,
quando
vengono
prese
in
considerazione
le
statistiche
criminologiche occorre tenere in considerazione diversi fattori non ultimo le
esigenze politiche e le norme vigenti.
CAPITOLO SECONDO – ANALISI SCIENTIFICHE
2.1 – La scuola Classica
Le diverse interpretazioni della criminalità e della giustizia penale nel 18° secolo
sono definite come scuola classica.
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Due autori di questo periodo Cesare Beccaria e Jeremy Bentham proponevano di
basare sia le leggi che l’amministrazione giudiziaria sulla razionalità e sui diritti
umani, due criteri che allora non erano applicati.
Tra le idee più importanti c’erano: la concezione degli esseri umani come persone
razionali
in
grado
di
esprimere
una
libera
scelta,
i
diritti
civili,
la
regolamentazione della prova e della testimonianza, la certezza della sentenza.
Il 18° secolo conobbe grandi cambiamenti e venne messa in discussione la
politica corrotta.
L’etica
protestante
prometteva
che
il
lavoro
duro
avrebbe
apportato
miglioramenti nella vita di ognuno, conducendo molte persone ad aspettarsi una
connessione diretta tra lavoro duro e successo.
L’aristocrazia si trovò sotto l’assedio della monarchia e della nuova borghesia e
cominciò a ridurre il suo potere.
Alla fine del 18° secolo si verificarono 2 rivoluzioni in America e in Francia. Il
sistema giudiziario fu segnato da profondi cambiamenti.
Nel 18° secolo prevalsero le idee riformatrici. Una corrente filosofica, il
naturalismo, sosteneva che l’esperienza e l’osservazione, potessero portare alla
comprensione del mondo. L’etica, la morale e la responsabilità diventarono i
principali temi di discussione.
La
spiegazione
del
comportamento
umano
era
quella
“edonista”,
cioè
massimizzare il piacere e minimizzare il dolore.
Nasce l’idea del contratto sociale tra il popolo e lo stato, inoltre questo periodo
pone l’interesse sul concetto di “dignità umana”, vale più il popolo che la chiesa e
lo stato.
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La legge poteva quindi proteggere sia la società che l’individuo e diventare
deterrente al comportamento criminale.
La legge sottolineava la responsabilità morale
e il dovere dei cittadini di
considerare per intero le conseguenze dei loro comportamenti prima di agire.
La deterrenza allora divenne l’unica giustificazione della punizione. Si distinsero 2
tipi:
1. quella specifica, individuale doveva essere applicata all’individuo che
avesse commesso un reato
2. quella generale doveva servire a scoraggiare i potenziali rei, mostrando
loro come un individuo punito, non traeva vantaggio dal suo reato.
Il sistema giudiziario penale doveva rispettare i diritti di tutte le persone.
Venne proposto di determinare le pene per legge, in modo da limitare la
discrezionalità dei giudici.
Bentham, cha aveva una formazione giuridica, cercò di dare un’organizzazione
sistematica alle procedure legali. Divise inoltre i reati in classi e tipi, distinguendo
tra offese pubbliche e private, crimini contro la persona e contro la proprietà e
violazione di fiducia.
Inoltre gli esponenti della scuola classica erano generalmente contrari alla pena
di morte.
Nella scuola classica, i classici erano interessati soprattutto al modo in cui gli
stati emanano le leggi, nonché al modo in cui queste influenzano la vita dei
cittadini.
In conclusione: ogni individuo è libero di prendere le decisioni e di compiere le
proprie scelte in modo razionale, per perseguire i propri interessi ed il proprio
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piacere. Ogni individuo gode di determinati diritti naturali, quali la vita, la libertà
e la proprietà.
Gli stati vengono creati dai cittadini per proteggere questi diritti, i cittadini
richiedono allo stato di orientare la società verso il bene comune, per assicurare
il diritto civile lo stato migliora ed aumenta le leggi per determinare la
colpevolezza e la punizione ad essa corrispondente.
Un crimine è un atto contro la società, ogni pena è giustificata se serve a
preservare il contratto sociale. Tutti gli individui posseggono uguali diritti e
devono essere trattati egualmente davanti alla legge.
La scuola classica continua tuttora a influenzare le politiche inerenti al sistema
della giustizia penale, questi concetti sono radicati in molte costituzioni. Due dei
principali concetti della scuola classica sono la deterrenza e la razionalità, che
sono ancora vivi.
Il concetto di deterrenza viene applicato con condanne + dure,che scoraggiano i
potenziali criminali, dal commettere i reati e convince i catturati ed i condannati
a riconsiderare il loro modo di comportarsi.
Molti studiosi hanno verificato se la deterrenza funziona. La pena di morte, la
guida in stato di ebrezza e l’uso di droghe sono 3 delle principali tematiche
affrontate. I risultati provano che nel caso di pene per guida in stato di ebrezza si
verificano effetti a breve termine, la pena di morte ha un potenziale deterrente
praticamente nullo, per l’uso di droghe ha scarso successo.3
3
Williams F., McShane M., Devianza e criminalità, le vie della civilità, Il Mulino, Bologna 1999
- 15 -
2.2 – La scuola Positiva
I positivisti vedevano il comportamento umano come determinato da tratti
biologici, psicologici e sociali.
Gli ultimi anni del 19° secolo si caratterizzano per le nuove invenzioni e scoperte.
Furono introdotti l’automobile, l’aeroplano, il fonografo e l’illuminazione elettrica.
La medicina abbracciò la scienza, la scienza fu applicata anche all’industria.
Gli esseri umani venivano anche ritenuti responsabili dei loro destini, ed in grado
di adattare i loro comportamenti e le istituzioni sociali per creare una società che
soddisfacesse le loro aspirazioni.
I criminali erano individui che non si erano evoluti al pari delle persone +
civilizzate, si sviluppò una visione razzista della criminalità.
Il primo lavoro di criminologia di impronta positivista fu opera di due statistici:
Quetelet e Guerry che esaminarono le statistiche sociali. Quetelet scoprì
variazioni nei tassi di criminalità a seconda del clima e della stagione, e osservò
differenze di sesso ed età, le stesse che noi troviamo oggi tra i criminali.
All’inizio del 19° secolo i frenologi misurarono e spiegarono la forma del cranio
nel tentativo di determinare la relazione tra cervello e comportamento.
Lombroso affermò che i criminali sono affetti da anormalità fisiche multiple, di
natura
atavica
(cioè
primitiva) o
degenerativa. Queste
inferiorità
fisiche
caratterizzano il “delinquente nato”. Si potevano riscontrare su di essi anche la
mancanza di moralità, in particolare l’assenza di rimorso, e anche l’uso di un
linguaggio volgare e presenza di “tatuaggi”.
Questo schema venne modificato da Ferri per includervi oltre al delinquente nato,
gli autori di delitti passionali ed il delinquente abituale. Successivamente si
inclusero tra le cause della criminalità i fattori economici e sociali. Enrico Ferri
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individuò altri fattori causali importanti: quelli di tipo fisico (razza, geografia,
temperatura e clima), quelli antropologici (età, sesso, psiche e organismo) e
infine quelli sociali come i costumi, la religione l’economia e la densità della
popolazione.
Furono poi esaminati i precedenti familiari, in modo da individuarne l’ereditarietà.
Gli studi compiuti da Dugdale su sei generazioni consentirono di dedurre che il
comportamento criminale (e antisociale) è ereditario. Inoltre le teorie della
tipologia fisica sostengono che certe caratteristiche del corpo sono fondamentali
per la predisposizione a commettere atti criminali.
Le ricerche condotte sui gemelli rappresentano forse gli esempi più interessanti
degli studi genetici.
Si ritiene che se un gemello è criminale, lo sarà anche suo fratello, soprattutto se
monozigoti.
In conclusione:
Il comportamento criminale dipende da diversi tipi di anormalità, che possono
essere
intrinseche
all’individuo
o
possono
scaturire
dalla
società.
Le
caratteristiche dell’anormalità vanno stabilite mediante il confronto con quelle
della
normalità,
una
volta
scoperte
le
anormalità
bisogna
sottoporle
a
trattamento e recuperare il soggetto criminale. Il trattamento è utile sia per
l’individuo per consentirgli di ritornare alla normalità, sia per la società per
proteggerla da eventuali danni.
Lo scopo delle sanzioni contro i criminali non consiste quindi nella punizione,
bensì nel trattamento e nella cura.
4
4
Melossi D., Stato, controllo sociale, devianza, Bruno Mondadori, 2005
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2.3 – La scuola di Chicago
L’università di Chicago istituì il primo dipartimento di sociologia nel 1892. il
gruppo di studiosi di sociologia e criminologia venne definito “la scuola di
Chicago”. Uno dei temi ricorrenti della scuola è quella dello sviluppo e del
cambiamento del comportamento umano causato dall’ambiente fisico e sociale.
La scuola di Chicago intraprese lo studio degli individui nel loro ambiente sociale.
Le persone venivano studiate sia nella loro singolarità che nella vita aggregata.
Incrociando le informazioni raccolte dai casi individuali con le statistiche della
popolazione, la Scuola di Chicago riuscì a costruire un quadro d’insieme che è la
base di molte delle nostre teorie criminologiche.
All’inizio del 20° secolo si verificarono molti fenomeni nuovi:
sviluppo delle
grandi città, rapida industrializzazione, immigrazione di massa, effetti della prima
guerra mondiale, proibizionismo, grande depressione ecc…
Da piccolo insediamento risalente all’inizio del secolo scorso, Chicago si sviluppò
rapidamente in seguito all’afflusso di manodopera a basso costo che cercava di
trarre vantaggio dal lavoro nei canali e dallo sfruttamento dei terreni. Quando
l’espansione industriale giunse al limite e i lavoratori divennero inutili, cadde la
domanda di manodopera mobile e non qualificata, facendo emergere diversi
problemi sociali: l’inadeguatezza degli alloggi, dei servizi sanitari, le persone
senzatetto, bande giovanili e comportamenti illegali.
Per alleviare questi problemi nacquero programmi di assistenza sociale, ma la
criminalità veniva incentivata dai ghetti abitati dagli immigrati.
Sono 2 le principali tecniche di ricerca utilizzate dalla scuola di Chicago:
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1. la prima consiste nell’uso dei dati ufficiali relativi alla criminalità, risultati
dei censimenti, dati relativi alla sicurezza sociale e alla situazione abitativa.
2. la seconda tecnica di ricerca fu la storia di vita, nacque una nuova
disciplina
detta
etnografia.
La
storia
di
vita
illustrava
il
processo
sociopsicologico attraverso cui si diventava criminali o delinquenti. Gli
osservatori analizzavano i personaggi nei loro ambienti naturali, sia che
fossero i ghetti, gli angoli delle strade o i vagoni ferroviari. Per questo
motivo la scuola di Chicago venne definita anche Scuola ecologica.
Robert Park parte dalla definizione che la città è simile ad un corpo con differenti
organi. Da queste ed altre ricerche giunse alla concezione della città come un
insieme di cerchi concentrici distinti , più ci si avvicinava al centro, minori erano i
problemi sociali riscontrati. L’idea di fondo era che la crescita delle città non
avvenga a caso, ma obbedisca invece ad un modello.
I lavori etnografici e le storie di vita raccolte dalla scuola di Chicago, vertevano
dunque sulla spiegazione degli effetti delle aree ecologiche sulla vita sociale.
La scuola di Chicago lesse l’indebolimento delle relazioni sociali primarie, come
un processo di disgregazione sociale, che diventò la principale chiave di lettura
dell’origine della criminalità. Le relazioni primarie vengono viste in modo simile a
quelle di un villaggio. Se i rapporti all’interno della famiglia e dei gruppi amicali
sono buone, il vicinato è stabile e coeso, e la gente mostra senso di lealtà verso il
quartiere, allora l’organizzazione sociale è solida. Diversamente una comunità o
un quartiere sono socialmente disgregati e il controllo sociale normale, che
previene la delinquenza e la criminalità, non può raggiungere lo scopo.
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Perciò il legame esistente tra immigrati e criminalità non andava visto come il
prodotto di un’eredità culturale, bensì come il prodotto di un duplice problema: la
disgregazione sociale e il conflitto con la cultura americana dell’epoca.
La teoria della trasmissione culturale sostiene che i giovani che vivono in aree
socialmente disgregate hanno maggiori possibilità di venire a contatto con
individui che abbracciano i valori criminali o delinquenziali.
L’interazionismo simbolico si sviluppa dall’idea che il comportamento umano sia il
prodotto di simboli sociali scambiati tra individui.
I simboli recano in sé dei significati, che influenzano la nostra maniera di vedere
il mondo. Noi definiamo la nostra identità riflettendoci negli altri. Thomas dice
che possiamo avere molte identità, o autodefinizioni che dipendono dal contesto
in cui ci troviamo: nell’ambito scolastico si può essere studente, a casa una
mamma, al lavoro un agente assicurativo, in un gioco il capitano di una squadra.
La scuola di Chicago afferma che il comportamento umano non sarebbe
governato da alcun sistema di regole universali né di principi assoluti. Vi sono
posti in cui il comportamento ritenuto normale degli appartenenti ad un gruppo
viene definito deviante dall’esterno. Il loro comportamento, naturalmente non è
deviante rispetto al contesto specifico, ma in relazione al resto della società.
Inoltre può capitare che le persone fraintendano le situazioni, si comportino in
nodo non conforme e diventino così devianti.
La scuola di Chicago riconosce che il conflitto è diffuso all’interno della società.
Il conflitto veniva considerato come uno dei principali processi sociali, innescato
dalle differenze di valori e culture sussistenti tra diversi gruppi di individui.
La teoria del conflitto culturale sviluppata da Sellin afferma che alla base della
condotta di ogni individuo stanno dei valori culturali. Il contenuto di queste
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norme varia
da cultura a cultura. I gruppi che detengono il potere sociale
e
politico utilizzano le norme di condotta per imporre la propria definizione di
crimine che, non è altro che la norma di condotta espressa da un particolare
gruppo sociale. Le persone entrano in conflitto con queste definizioni
del
comportamento sia in modo casuale che intenzionale. Se una cultura approva un
determinato atto che è contrario alle norme dominanti , ecco spianata la strada
verso la criminalità.
Esistono 2 forme principali di conflitto culturale:
1. il conflitto primario: quando uno stesso comportamento può essere
rilevante per due culture diverse, ad esempio in seguito alla migrazione di
un soggetto da un’area culturale all’altra, o quando una nazione ne
conquista un’altra imponendo le sue leggi sul popolo conquistato. Per un
certo periodo di tempo, i cittadini della nazione sottomessa violeranno
alcune delle nuove leggi semplicemente xchè non ci sono abituati.
2. il conflitto secondario che oggi definiremmo come subculture: Le persone
che abitano una certa area geografica tendono a lungo termine a creare il
proprio nucleo di valori non totalmente differenti da quelli della cultura più
vasta, ma se ne distanziano tanto da creare conflitti.
I teorici della scuola di Chicago affermano che il consenso o un conformismo
naturale verso gli stili di vita culturali, costituisse il punto di partenza di ogni tipo
di comportamento umano. Quando un gruppo viene a contatto con un altro,
possono scoppiare i conflitti; essendo la società composta da
culturali, il conflitto è un elemento ordinario della vita.
5
vari gruppi
5
Durkheim E., Le regole del metodo sociologico, Edizione di Comunità, Milano 1979
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CAPITOLO TERZO – LE TEORIE DELLA DEVIANZA
3.1 Teoria dell’Associazione Differenziale
Sutherland elaborò una teoria generale del comportamento criminale, insistendo
sul fatto che esso viene appreso all’interno di un certo ambiente sociale.
In realtà per Sutherland anche gli altri tipi di condotta vengono appresi alla
stessa maniera. Di conseguenza, la differenza più rilevante tra il comportamento
conforme e quello criminale , sta in “che cosa” si apprende, non nel “come” lo si
apprende.
Negli anni 20 e 30 l’FBI aveva cominciato a redigere rapporti annuali su crimini
portati a conoscenza della polizia; da essi emergeva che certe categorie di
persone delinquevano più di altre. Anche la grande depressione servì da terreno
fertile per delle riflessioni sociologiche.
Sutherland ebbe modo di osservare che gli individui che in precedenza non erano
mai stati criminali, o non avevano avuto contatti con persone devianti, erano
arrivati a commettere azioni criminali in conseguenza del loro impoverimento,
dovuto alla depressione economica. Altri individui relativamente benestanti,
traevano vantaggio dalla
situazione economica raggirando le banche
e
contraffacendo titoli finanziari.
La criminalità ed altre forme di comportamento deviante, non sono innate, né
sono causa di labilità mentale, ma sono il prodotto di situazioni, opportunità e
valori.
Altri 2 eventi inoltre influenzano il modo in cui Sutherland interpretò la
criminalità: il proibizionismo e la criminalizzazione dell’uso della droga.
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L’approccio delle storie di vita venne praticato anche da Sutherland, in occasione
della raccolta di storie
di singoli immigrati che erano stati incarcerati, nonché
nell’ambito di una serie di interviste e
contatti realizzati con un ladro
professionista che descriveva i modi in cui si impara il mestiere, l’apprendistato e
il riconoscimento all’interno della quasi-istituzionalizzata professione di ladro.
In questo lavoro apparve
per la prima volta la definizione di “associazione
differenziale”.
Quindi nel formulare la sua teoria, Sutherland si ispirò a tre delle principali
concettualizzazioni della scuola di Chicago:
1. la teoria ecologica e della trasmissione culturale
2. l’interazionismo simbolico
3. la teoria del conflitto culturale
Sutherland afferma:
1. ogni persona può essere educata ad adottare e seguire qualunque tipo di
comportamento che sia in grado di seguire.
2. il non riuscire a seguirne uno è dovuto alla mancanza di coerenza
e di
armonia nelle influenze che guidano un individuo.
3. il principio del conflitto culturale diviene dunque lo strumento principale per
spiegare la criminalità.
Sutherland vedeva il crimine come la conseguenza del conflitto di valori;
l’individuo seguiva un comportamento culturalmente approvato, che però il resto
della società americana disapprovava e sanzionava penalmente.
Nella sua prima versione, la teoria dell’associazione differenziale è il prodotto sia
dell’ambiente sociale che circonda gli individui, sia dei valori trasmessi
persone che in quell’ambiente sociale ricoprono un ruolo primario.
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da
Sutherland credeva che il conflitto fosse diffuso nella società e che era in parte il
prodotto di una società disgregata, frammentata, che crea diversi tipi di valori e
interessi all’interno dei vari gruppi sociali.
I gruppi che hanno concezioni e stili di vita difformi dalla legge, entrano più
spesso in conflitto con le autorità, facendo registrare tassi di criminalità
maggiormente alti.
Nella seconda e ultima versione della teoria, Sutherland integrò espressamente
la tesi secondo la quale il comportamento viene appreso, e, a differenza di altri
studiosi del periodo, abbandonò l’espressione disgregazione sociale, per usare
quello di “organizzazione sociale differenziale”, o “organizzazione differenziale dei
gruppi”.
La versione finale della nuova teoria è:
il
comportamento
criminale
viene
appreso,
tale
apprendimento
risulta
dall’interazione con altri, mediante un processo di comunicazione, tra persone
legate strettamente tra loro.
L’apprendimento del comportamento criminale include:
a) le tecniche relative alla commissione del crimine, e a volte sono complicate, a
volte semplici.
b)l’orientamento
specifico
di
motivazioni
,
pulsioni,
razionalizzazioni
e
atteggiamenti, in relazione ad una definizione favorevole o contraria alla legge.
Una persona diventa delinquente quando vi è un eccesso di definizioni a favore
della violazione della legge rispetto a quelle contrarie ad essa.
Le associazioni differenziali variano per frequenza, durata, priorità e intensità. Il
processo di apprendimento include tutti i meccanismi coinvolti negli altri processi
di apprendimento.
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La teoria afferma che il comportamento criminale viene appreso mediante
l’associazione con persone con cui si intrattengono rapporti intimi in un processo
di comunicazione interattiva.
Sono 2 le cose principali che vengono apprese: le tecniche necessarie al
comportamento criminale, e le definizioni che lo sostengono (valori, motivazioni,
pulsioni atteggiamenti e razionalizzazioni)
Sutherland sottolinea che è necessaria l’esistenza di una relazione. Le tecniche
sono i “come” di una determinata azione, le definizioni sono il “perché” viene
commessa l’azione.
Secondo Sutherland, il comportamento criminale ha luogo quando le definizioni a
suo favore prevalgono su quelle che incoraggiano il comportamento conforme.
Il comportamento prescelto non è determinato soltanto dall’influenza cui siamo
esposti, ma anche dall’assenza di modelli alternativi a cui fare riferimento.
Le diverse organizzazioni sociali di cui facciamo parte, ci forniscono le
associazioni
da
cui
possiamo
apprendere
una
pluralità
di
forme
di
comportamento, che possono essere favorevoli o contrarie alle norme di legge.
Di conseguenza, la propensione al crimine o il suo rigetto, da parte degli
individui, dipenderà dai parametri culturali dei loro associati, specialmente quelli
con cui trascorrono lunghi e frequenti periodi di tempo.
Ciò
significa
che
le
persone
che
hanno
assimilato
definizioni
di
tipo
prevalentemente criminale, saranno ricettive verso nuovi valori di questo tipo,
inoltre, saranno meno inclini ad assimilare sollecitazioni conformi. In seguito
all’interazione con altri gruppi, gli individui modificheranno i loro modelli di
definizione di ogni comportamento.
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Per Sutherland, il vero problema riguarda il comportamento criminale, egli si
poneva come obiettivo primario, quello di spiegare l’influenza dei conflitti
culturali e normativi sull’apprendimento del comportamento criminale. Il suo
lavoro si concentrava sulla discrepanza tra valori , egli riconosce all’interno della
società l’esistenza di un ampio numero di valori, alcuni favorevoli ed altri contrari
al rispetto delle leggi.
Sutherland mette in evidenza il comportamento in sé piuttosto che i processi che
conducono al comportamento criminale.
E’ possibile individuare nel corso degli anni, tre diversi tipi di sviluppi della teoria
dell’associazione differenziale:
1. la tendenza a concentrarsi sulle culture delinquenziali come strumenti di
trasmissione dei valori che conducevano alla criminalità
2. Cressey sosteneva che il comportamento
razionalizzazioni
e
verbalizzazioni
viene motivato mediante
apprese.
Il
grado
e
la
forza
dell’identificazione con un’altra persona è l’ingrediente chiave per
l’apprendimento dei valori. Più ci si identifica con un altro individuo, più
saremo portati ad accettarne i valori. Ai tempi di Sutherland i media non
erano pervasivi come lo sono ai giorni nostri, se Sutherland avesse
vissuto ai giorni nostri, avrebbe accettato l’aggiunta dei media alla sua
teoria.
3. quasi costantemente la ricerca mostra che l’associazione con delinquenti
o con amici criminali, ha effetti rilevanti sul comportamento illegale.
Cressey volse la sua attenzione ai programmi carcerari, affinché
adoperassero il concetto associativo nel fornire modelli di ruolo in grado
di dare valore al comportamento conforme. In un altro campo, lo stesso
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Sutherland diede vita alla ricerca e all’interesse nei confronti della
criminalità dei colletti bianchi. Le persone provenienti dalle classi alte
apprendono la criminalità allo stesso modo di quelle delle classi basse,
che in larga parte commettono crimini di strada. L’attenzione delle
autorità statali verso la criminalità economica e dei colletti bianchi è
aumentata.
3.2 – Teoria dell’Anomia
Quando le regole procedurali generali si svuotano di efficacia e di significato, le
persone
non
sanno
più
cosa
aspettarsi
le
une
dalle
altre.
Questa
deregolamentazione, o mancanza di norme, conduce facilmente alla devianza.
Una società può diventare anomica ad esempio se la gente non sa quando porre
limiti alla propria corsa verso il successo, o che relazioni avere con le persone che
incontra.
Dukheim sostiene che le società si sono evolute da una forma semplice, non
specializzata, ad una complessa, altamente specializzata. In entrambi i casi si
riferiva sia al modo in cui le persone interagiscono tra di loro, sia a come è
organizzato il lavoro.
Più complesse diventano le società, più complesso e specializzato diventa il
lavoro. Le società moderne sono caratterizzate da relazioni altamente interattive.
Sono necessarie relazioni altamente complesse, secondo Dukheim, infatti, le
persone non sono più tenute insieme da legami di tipo parentale e amicale, ma
da vari tipi di relazioni contrattuali.
Il problema delle società di questo tipo è che i legami vengono costantemente
spezzati.
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In sintesi: le regole che governano i rapporti tra le persone, in una società
organica sono caratterizzati dalla fluidità, per cui le condizioni di socialità,
corrono costantemente il rischio di disgregazione e quindi di anomia.
Studiando la Francia e l’Europa dopo la rivoluzione industriale, Dukheim individuò
le cause dell’anomia nella crisi economica, nell’industrializzazione forzata, nella
commercializzazione, egli riteneva che un periodo di disgregazione sociale,
causato da una depressione economica, avrebbe accresciuto il grado di anomia,
quindi i tassi di criminalità, suicidio e devianza.
Nel 1938 Menton si servì del concetto di anomia per spiegare la devianza negli
Stati Uniti. Distinguendo le norme o valori sociali in due tipi, Mentor parlò di
“mete sociali” e dei “mezzi” accettabili x raggiungerle. Inoltre ridefinì l’anomia
come una discrepanza o incongruenza tra mezzi e fini prodotta dalla struttura
sociale
che propone delle mete senza che vengano forniti a tutti, i mezzi per
conseguirle.
In altre parole la devianza è il frutto dell’anomia.
Parsons considerava la società come il risultato di un equilibrio di forze che
serviva a produrre ordine.
Quando le varie componenti della struttura sociale
giungono ad una posizione di squilibrio, quando cioè il pendolo comincia ad
oscillare troppo velocemente da entrambi i lati, allora l’organizzazione sociale si
sta disgregando. Il concetto Dukheimiano di anomia si inseriva perfettamente
dentro la cornice parsoniana, e costituì il fulcro principale del libro di Parsons.
La teoria dell’anomia di Menton è basata principalmente sulla devianza più che
sulla criminalità. E’ deviante quel comportamento che in una società prevede per
i suoi membri, mete strutturate e mezzi adeguati per raggiungerle, non segue i
valori condivisi.
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Menton notò che all’interno della società certe mete vengono messe in risalto più
di altre (ad esempio il successo economico) e che la società ritiene legittimi certi
mezzi per raggiungere quelle mete (come il lavoro duro, l’istruzione, l’ascesa
sociale). Quando le mete vengono enfatizzate in maniera pressante, si creano le
condizioni per l’anomia: non tutti gli individui infatti hanno uguale possibilità di
successo
economico
con
mezzi
legittimi,
di
conseguenza
tenteranno
di
raggiungere la stessa meta con altri mezzi, anche illegittimi. Ma non tutte le
mete del successo sono accessibili a ogni individuo. Certi gruppi sociali, come ad
esempio le classi inferiori e le minoranze, possono trovarsi svantaggiati qualora
cerchino di guadagnare delle posizioni di successo. Menton fa rilevare che i mezzi
legittimi non sono necessariamente il modo più efficace per raggiungere
determinati scopi. Altri mezzi illegittimi possono essere non solo accessibili ma
anche maggiormente efficaci.
Menton presenta 5 modi di adattarsi alle sollecitazioni
causate dal limitato
accesso a mezzi e mete socialmente approvati;
1. Un individuo sarà conforme quando saprà che l’accesso a mete e mezzi è
limitato e continuerà a ritenerli legittimi.
2. l’innovazione si verifica quando viene mantenuta l’enfasi sulle mete
legittime della società e si ricorrerà a mezzi illegittimi per raggiungerle. E’ il
mezzo di devianza più diffuso e risponde al famoso detto “il fine giustifica i
mezzi” (es. faccio una rapina in banca invece di aspettare di mettere da
parte i soldi…)
3. se si rinuncia alle mete per ricorrere solo ai mezzi legittimi parleremo di
ritualismo.
Il
ritualismo
può
essere
burocratico.
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riscontrato
nel
comportamento
4. la rinuncia consiste nel rinunciare a mezzi e mete. I rinunciatari rinunciano
all’innovazione ed evitano il confronto con la loro incapacità a raggiungere
gli obiettivi che contano nella vita. Es. i vagabondi, gli alcolizzati, i drogati
5. la ribellione avviene laddove gli altri rifiutano mezzi e mete, e la ribellione
si concentra sulla loro sostituzione, gli uomini cercano di realizzare una
nuova società, essi sono i ribelli, i rivoluzionari.
A causa della discrepanza esistente tra le mete culturali e i mezzi per il loro
raggiungimento,
le
classi
inferiori
saranno
maggiormente
portate
a
comportamenti devianti disapprovati ed adattativi.
La teoria dell’anomia è positivista e spesso viene definita come “teoria della
tensione”
L’anomia è una teoria strutturale, infatti concentra la sua analisi sulla struttura
sociale e sulla sua funzione nel creare la devianza, ma non specifica il processo
attraverso il quale gli individui diventano devianti.
Le teorie criminologiche si incentrano sulla motivazione. In pratica le persone
commettono atti delinquenziali o criminali mossi da una specifica motivazione. In
sua assenza mantengono un comportamento conforme.
Le origini delle tensioni vengono cercate nella struttura sociale.
Vari lavori recenti seguono la tradizione mentoniana ed esaminano la discrepanza
tra aspirazioni ed aspettative. In questa prospettiva, la prima rappresenta la
meta ideale che ognuno dovrebbe sforzarsi di raggiungere, mentre la seconda, è
ciò che l’individuo pensa di potere realmente raggiungere.
La discrepanza tra aspirazioni ed aspettative conduce ad un senso di frustrazione
e a un’alta probabilità di comportamento criminale.
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Secondo un altro tipo di impostazione nel determinare i tassi di criminalità, la
discrepanza esistente tra ricchi e poveri, è importante e dobbiamo aspettarci che
tali divari creino alti livelli di frustrazione e disperazione, tali da condurre a tassi
elevati di criminalità.
Si ritiene che lo schema mezzi-fini non spieghi sufficientemente la devianza della
classe media. Elliott e Voss hanno aggiunto la delinquenza della classe media
all’impianto teorico della tensione, concentrandosi sui fini immediati più che sulle
aspirazioni a lungo termine normalmente connesse alla teoria della tensione.
I giovani si concentrano con maggiore probabilità su fini immediati (popolarità,
prestazioni sportive, voti scolastici) che sul loro futuro.
La visione contemporanea
più conosciuta della teoria della tensione è quella
elaborata da Agnew: a suo parere bisognerebbe aggiungere il desiderio di evitare
situazioni dolorose o negative.
Ad es. un giovane può non essere in grado di evitare una situazione familiare
negativa, o può abbandonare la scuola in seguito a votazioni insufficienti, e
perfino isolarsi per il rifiuto dei suoi pari. La combinazione di questi elementi può
provocare livelli di frustrazione pari a quelli che derivano da aspirazioni o fini
immediati disattesi.
6
3.3 – Teoria della Subcultura
Le teorie criminologiche degli anni 50 e 60, con poche eccezioni, hanno avuto
come oggetto la delinquenza giovanile, in una situazione di subcultura.
Gli anni 50 sono caratterizzati
da un periodo di prosperità e da un’esplosiva
crescita dei consumi.
6
Durkheim E., Le regole del metodo sociologico, Edizione di Comunità, Milano 1979
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Gli americani considerano l’istruzione come un diritto di tutti.
Nello stesso periodo la massiccia urbanizzazione degli Stati Uniti portava ad un
crescente deterioramento delle aree centrali della città.
La delinquenza era vista
come un problema degli strati sociali subalterni e le
bande ne erano la forma maggiormente visibile.
Secondo il senso comune dell’epoca, gli individui erano responsabili della loro
situazione, e probabilmente erano poveri perchè non si erano dati abbastanza da
fare.
All’interno della criminologia, la teoria struttural-funzionalista attirò l’attenzione
di quegli studiosi che cercavano di conciliare il concetto di struttura di Menton
con i processi messi in luce dalla scuola di Chicago.
Infine un’altra influenza significativa sui teorici della subcultura degli anni 50 la
esercitò il lavoro di Kobrin che analizzò le bande di strada e studiò le relazioni
esistenti tra
le generazioni di sesso maschile
all’interno di una comunità di
classe inferiore, ravvisando un legame tra la gerarchia politica e l’organizzazione
della criminalità.
Il grado di controllo sociale all’interno di una comunità dipende dalla qualità delle
organizzazioni criminali. Quando le comunità sono integrate e organizzate vuol
dire che c’è il controllo dei giovani.
7
3.3.1 - La subcultura della delinquenza di Cohen
Cohen tentò di risolvere la questione
di come prende avvio una subcultura
delinquenziale integrando prospettive teoriche diverse.
7
Williams F., McShane M., Devianza e criminalità, le vie della civilità, Il Mulino, Bologna 1999
- 32 -
Dopo molte ricerche sulla delinquenza giovanile, Cohen riscontrò che il
comportamento delinquente si verifica più spesso tra i maschi delle classi
inferiori, e che la delinquenza delle bande giovanili né è la forma più comune,
inoltre si caratterizzano per atteggiamenti di tipo non utilitaristico, prevaricatore
e negativo.
I giovani devianti provavano soddisfazione a
causare il disagio altrui e
oltraggiare i valori delle classi medie. Le bande erano versatili e ostili a coloro
che non facevano parte del gruppo. Cohen affermò che tutti i giovani vanno alla
ricerca di uno status sociale, ai figli delle famiglie delle classi inferiori, mancano
molti vantaggi materiali e simbolici e quando competono con i loro coetanei delle
classi medie, le distanze si allungano.
I bambini nelle scuole elementari si trovano a competere coi compagni
provenienti dalle classi medie e con gli adulti che usano metodi di valutazione a
cui il bambino delle classi inferiori si sente estraneo.
Si acquisiscono valori se si è abituati a possedere
oggetti propri, se si hanno
genitori che sin dall’inizio sanno che il loro futuro sarà migliore e ritengono che
lavorando sodo si otterranno i risultati sperati.
Le famiglie dei ragazzi delle classi inferiori non possono dare per scontata
nessuna di queste cose, i ragazzi allora perdono terreno nella ricerca di uno
status, sia presso i loro insegnanti che presso i loro compagni.
Quelli che ne avvertono maggiormente la perdita, soffrono la frustrazione da
status.
La frustrazione da status può far scaturire vari tipi di adattamento rappresentato
da una soluzione collettiva che rende necessario modificare i mezzi per
- 33 -
raggiungere lo status. E’ così che si viene a creare una nuova forma culturale,
una subcultura delinquente.
Finchè esiste il bisogno di avere uno status, la subcultura delinquente è sempre
una soluzione a portata di mano per i giovani maschi delle classi inferiori. Con più
frequenza, poi un ragazzo frustrato di un quartiere periferico interagisce con la
subcultura delinquenziale, maggiori sono le possibilità che ne assuma le
definizioni e i comportamenti.
8
3.3.2 - La teoria delle opportunità differenziali di Cloward e Ohlin
Secondo la teoria delle opportunità differenziali non esiste soltanto un insieme di
mezzi legittimi per raggiungere le mete culturali, ma anche una serie di mezzi
illegittimi, detti struttura illegittima delle opportunità.
Cloward e Ohlin, affermano che nelle aree urbane abitate dalle classi inferiori,
dove le opportunità legittime a disposizione erano poche, se ne potevano trovare
delle altre.
Essi affermavano che ogni subcultura delinquenziale dipende dal grado di
integrazione presente
nella comunità. Senza una struttura criminale stabile, i
giovani delle classi inferiori avrebbero meno possibilità di successo utilizzando i
canali criminali. Inoltre mano mano che si fanno strada
nel business della
malavita, gli individui possono riuscire ad ottenere i mezzi necessari per avviare
un’attività legittima.
Secondo Cloward e Ohlin esistono 3 tipi ideali
di subculture di gang
delinquenziali:
8
Williams F., McShane M., Devianza e criminalità, le vie della civilità, Il Mulino, Bologna 1999
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1. quella di una comunità pienamente integrata, nella quale le bande
giovanili funzionano da apprendistato
per le attività criminali da
intraprendere una volta adulti, definita subcultura criminale
2. una comunità disgregata non soltanto manca di una struttura illegale ben
organizzata, ma esercita un debole controllo comunitario sui giovani.
L’obiettivo principale è quello di ottenere rispetto, definita subcultura
conflittuale. Una comunità disgregata produce una subcultura della banda
altrettanto disgregata.
3. sia nella comunità integrata che in quella disgregata ci possono essere
giovani che non hanno accesso a nessuna delle due strutture di
opportunità,
questi
individui
finiscono
x sviluppare
una
subcultura
astensionista. Il loro obiettivo principale è quello di assumere droghe, e
svolgere attività x recuperare denaro ed acquistare droghe. Sono
doppiamente falliti.
3.3.3 - La teoria incentrata sulle classi inferiori di Miller
In seguito alla pubblicazione del lavoro di Cohen, Miller esaminò i quartieri
popolari di Boston giungendo a conclusioni diverse, egli sottolineò le differenze
che esistevano fra le varie classi
sul piano degli stili di vita più di quanto lo
facessero gli altri.
Miller adottò il concetto di preoccupazione focale, le preoccupazioni focali sono
dettagli o aspetti
di ogni particolare cultura che richiedono attenzione e cura
costante.
Miller cercò di distinguere degli elementi essenziali, lo fece descrivendo un
insieme di preoccupazioni focali che sono alla base delle motivazioni e delle
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ragioni di molte forme di comportamento criminale delle classi inferiori. Molti
degli atti criminali scaturiscono da tentativi di adeguarsi agli standard della loro
classe di appartenenza. Miller descrive 6 preoccupazioni focali: la molestia
(attitudine a violare la legge, a essere un problema per le altre persone), la
durezza (essere macho, coraggioso), la scaltrezza (quelli che vivono alle spalle di
altri ingannando e fregando), l’eccitazione (vivere per il brivido, rischiare),
l’affidarsi al destino (sorte e fortuna), l’autonomia (essere indipendenti, rifiutare
le autorità).
Nelle subculture delle classi inferiori gli incentivi ad intraprendere la via del
crimine sono generalmente più forti che nelle altre classi, mentre gli stimoli ad
evitarla sono più deboli.
Miller notò che in molte famiglie delle classi inferiori i bambini crescono senza la
figura materna. Le bande giovanili
rappresentano una soluzione adeguata a
questo problema, dove si possono apprendere le qualità e le abilità come la
scaltrezza, la durezza, la capacità fisica di battersi, l’abilità di sconfiggere le
bande rivali attraverso l’uso della forza e dell’astuzia. La banda spesso fornisce
benefici psicologici rilevanti, quali il senso di appartenenza
e la possibilità di
ottenere prestigio e rispetto.
3.3.4 - La subcultura della violenza di Wolfgang e Ferracuti
L’ultima delle principali teorie della subcultura fu sviluppata nel 1967 da
Wolfgang e Ferracuti. Il loro lavoro è stato elaborato un decennio dopo che le
teorie della subcultura delinquenziale e la criminologia avevano sviluppato nuovi
concetti.
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Derivata dagli studi di Wolfgang sull’omicidio, l’idea di subcultura della violenza
risulta dalla combinazione di diverse teorie, la cultura del conflitto, la teoria
dell’associazione differenziale, le teorie dei sistemi sociali, culturali e della
personalità.
La teoria può essere riassunta così: malgrado i valori posseduti dai membri di
una subcultura siano diversi da quelli dominanti, è bene considerare che non
necessariamente essi sono opposti o in netto conflitto col resto della società.
Coloro che fanno parte della subcultura della violenza apprendono la propensione
a praticarla e condividono l’uso di metodi violenti. Questo tipo di comportamento
attrae soprattutto coloro la cui età si colloca tra l’adolescenza e la maturità.
Nel loro complesso, le teorie della subcultura spiegano come gruppi di individui
sviluppino valori simili e motivino razionalmente il loro comportamento.
3.4 – Teoria del Deterrente
E’ una teoria che ha catalizzato nel corso degli ultimi decenni un grande
interesse. L’ipotesi centrale sulla quale ruota (si fonda), questa teoria è che la
punizione rappresenta un valido freno alla produzione della devianza. Il postulato
filosofico implicito in questa teoria, rovescia il senso della domanda
da cui
prendono le mosse, gli studiosi della devianza ovvero: perché un uomo devia? I
teorici della deterrenza trovano questo quesito fuorviante ed inutile, perché
partono dalla constatazione che il genere umano è incline alla devianza, quindi
non ha senso chiedersi come mai un uomo commette devianza. Ha senso
chiedersi qual è la forza che impedisce all’uomo di deviare.
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Questa teoria non porta alcuna innovazione perché la condizione che la sanzione
svolga una funzione disincentivante dei comportamenti devianti, trova riscontro
in diversi contesti sociali. Infatti tale principio lo si riscontra nella scuola classica.
Tra le persone che sostengono e si ricollegano ai teorici della teoria del
deterrente troviamo infatti Cesare Beccaria. Beccaria aveva detto che non era
tanto la severità della punizione a fungere da deterrente della devianza ma in
particolar modo, la vicinanza della pena alla commissione del reato, che fosse
proporzionata alla gravità del fatto commesso (altrimenti pena dispotica e
tiranna). Per il Beccaria il potenziale deterrente della pena non è legato al grado
di severità della medesima, cosa che invece viene sottolineata dai teorici della
deterrenza. Essi sostengono che una sanzione più severa appare fornita di più
potere deterrente, allontanandosi così da quanto sostenesse Beccaria. Questa
scuola di pensiero di sviluppa verso la fine degli anni 1950 con il contributo di
Gibbs, il quale effettuò studi sullo sviluppo degli omicidi negli stati uniti e
considera il numero delle relative condanne e anche il grado di severità previsto
per questo tipo di reato, per ogni singolo stato dell’unione. Il risultato più
significativo fu che negli stati dove c’erano le più alte probabilità di condanna
risultavano tassi di omicidio più bassi. Tali risultati erano importanti in quanto
grazie a questi si poteva accordare un certo credito all’idea di deterrenza. Fino ad
ora infatti era stato negato sulla base di un dato ineccepibile che non esisteva
alcuna significativa relazione tra omicidio e pena di morte. La condanna capitale
non influenzava l’andamento dei tassi di omicidio, ma Gibbs diceva che la pena
capitale è inutile.
Il fatto che la pena di morte sia inutile non autorizza a
generalizzare, ossia è assurdo generalizzare l’argomento e applicarlo a tutti gli
altri tipi di devianza. Dalla constatazione che la minaccia della pena capitale non
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è in grado di scoraggiare l’omicidio, non ne discende che la minaccia di un certo
numero di anni di prigione non sia in grado di scoraggiare la rapina o altri tipi di
delitto. Gibbs non affermava affatto di avere scoperto e comprovato l’esistenza di
una entità chiamata deterrente, si limitava a rilevare che i suoi dati mettevano in
crisi, il vecchio luogo comune che non sarebbe esistito alcun deterrente
rappresentato dalle sanzioni.
9
3.5 – Teoria del Campo
Il “campo” si ricollega al concetto di campo della fisica del 19° secolo, sorto dagli
studi di Hertz, sfociato nella teoria della relatività di Eintein. Grande influenza ha
avuto sul pensiero psicologico della forma (GESTALT). Il modo di percepire un
oggetto, è determinato dal contesto globale in cui si trova.
Caratteristiche fondamentali della teoria del campo :
il comportamento è una funzione del campo esistente al momento in cui il
comportamento si compie e l’analisi ha inizio con l’esame della situazione,
considerata nel suo insieme da cui passa alla differenziazione delle parti che la
compongono la persona concreta in una situazione concreta può essere
rappresentata matematicamente.
Per Lewin il campo è la totalità dei fatti esistenti che sono concepiti come
mutualmente interdipendenti.
Il primo passo per definire la persona, come concetto strutturale, sta nel
rappresentarla come un’entità isolata nel mondo.
9
Gennaro G., Sociologia e ricerca sociale, Textbook, 2002
- 39 -
Questa caratteristica di isolamento, può essere espressa a parole (dizionario:
essere umano individuale) oppure mediante una rappresentazione spaziale.
Poiché le rappresentazioni spaziali, a differenza di quelle verbali, possono essere
espresse
matematicamente,
matematicamente.
Lewin
L’isolamento
preferisce
della
persona
definire
dal
resto
i
suoi
concetti
dell’universo,
si
rappresenta disegnando una figura chiusa
non P
P
non P
Il contorno o frontiera (perimetro cerchio) della figura definisce i limiti dell’entità
conosciuta come persona (fuori c’è la non persona).
Rappresentando la persona in questo modo, si delineano due proprietà:
la separazione dal resto del mondo mediante una frontiera ininterrotta, della
differenziazione e la localizzazione di un’area più grande: del rapporto parte tutto
la persona è rappresentata come separata, tuttavia inclusa in una realtà più
grande.
Un ulteriore passo, nella rappresentazione della realtà psicologica consiste nel
disegnare un’altra figura delimitata, che risulti più grande della prima e che la
racchiuda:
non psicologico
A
P
A
non psicologico
P + A = S Persona + Ambiente psicologico = Spazio di vita
Non importa la grandezza e la forma di questa seconda figura, ma non deve aver
alcun punto di contatto con il circolo che racchiude la persona.
La zona compresa tra i due perimetri, rappresenta l’ambiente psicologico, tutta la
zona dentro all’ellisse, compreso il circolo, è lo spazio di vita. Lo spazio esterno
- 40 -
all’ellisse rappresenta l’ambiente non psicologici dell’universo. Lo spazio di vita è
la persona e l’ambiente psicologico, così come viene visto dalla persona stessa.
Solitamente abbiamo questo campo quando ci si riferisce ai bisogni, motivazioni,
alla aspirazioni agli ideali, agli umori di una persona.
Lo spazio di vita è l’universo dello psicologo, è il tutto della realtà psicologica...
Comprende tutto quello che occorre conoscere per capire il comportamento di un
singolo essere umano, in un dato ambiente psicologico e in un dato momento. Il
comportamento è funzione della persona e dell’ambiente ad un momento dato. C
= f P A Il comportamento è funzione della persona in un dato ambiente ossia è
funzione di S dello spazio di vita. Lo spazio di vita S comprende tutto, la persona
e l’ambiente psicologico, così come viene visto dalla persona stessa.
Fondo esterno
Spazio di
vita
Fondo esterno
I fatti esistenti nella zona esterna e adiacente al confine dello spazio di vita,
regione definita da Lewin come fondo esterno dello spazio di vita, possono
influenzare materialmente l’ambiente psicologico. I fatti non psicologici, possono
alterare, e di fatto alterano, quelli psicologici.
C’è un rapporto di scambio, di
interdipendenza tra questi due regni. I fatti nell’ambiente psicologico, possono
provocare cambiamenti nel mondo fisico.
Alla frontiera che sta fra lo spazio di vita e il mondo esterno viene attribuita la
proprietà della permeabilità.
Il presupposto di una frontiera permeabile, tra lo spazio di vita ed il mondo fisico
è estremamente importante, in quanto dal momento che un fatto del mondo non
- 41 -
psicologico, può cambiare radicalmente l’intero corso degli eventi che avvengono
nello spazio di vita, fare delle previsioni solamente sulla conoscenza delle leggi
psicologiche è privo di senso. Non si può avere la certezza a priori, che un fatto
del fondo esterno, non possa penetrare attraverso la frontiera, mutando
completamente
dell’ambiente
psicologico
(incontro,
casuale,
incidente
automobilistico). I fatti ambientali possono modificare l’ambiente. L’ambiente è
funzione della persona.
Per Lewin la struttura della persona è eterogenea e non omogenea, e che è
suddivisa in parti separate e tuttavia comunicanti tra di loro.
ppp
pcccp
ppp
Percettivo
motoria
Interno
personale
L’area del circolo viene suddivisa in zone: una è la regione percettivo motoria e
l’altra è la regione interno personale.
La zona interna personale viene suddivisa in celle periferiche p e celle centrali c.
L’ambiente è omogeneo o indifferenziato, quando tutti i fatti hanno la medesima
influenza sulla persona. Questa situazione però non esiste e allora anche
l’ambiente viene suddiviso in:
P
Ambiente
- 42 -
Lo spazio è rappresentato da una persona circondata da un ambiente
differenziato.
Queste
frontiere
però
non
rappresentano
delle
barriere
insormontabili che dividono la persona e l'ambiente: permeabilità delle frontiere.
A b
A
b
Due regioni possono essere collocate molto vicine tra loro oppure possono essere
collocate una agli antipodi dell’altra. Due regioni possono essere molto vicine, e
confinare, ma non essere reciprocamente accessibili. Il grado di dipendenza
reciproca, dipende dalla forza di resistenza che esse oppongono. Se questa forza
di resistenza è molto forte non ha molta importanza la distanza che intercorre tra
le regioni.
Due regioni possono essere collocate agli antipodi e tuttavia
esercitare una influenza reciproca considerevole, se le frontiere che le separano
non oppongono resista.
Nella rappresentazione lewiniana, la resistenza di una
frontiera viene rappresentata rendendo più spessa la linea di confine. Il numero
di regioni di una persona è determinato dal numero di fatti personali esistenti.
Lewin definisce locomozione, il fatto che due regioni siano intimamente connesse
e reciprocamente accessibili l’una all’altra. . Una locomozione nell’ambiente
psicologico significa scarso o nullo movimento fisico, es. locomozioni sociali,
come
iscriversi
ad
un
determinato
circolo,
conseguire
una
determinata
promozione, locomozioni intellettuali come risolvere un dato problema. Un fatto è
rappresentato da una regione, un evento è un interazione tra due o più regioni.
Lewin dice, che nel derivare dallo spazio di vita un evento, occorre tenere in
considerazione tre principi:
- 43 -
1) principio relazionale (un evento è sempre la risultante di un interazione tra
due o più fatti;
2) principio di concretezza (solo fatti concreti possono produrre effetti, un
fatto è concreto se esiste veramente nello spazio di vita. Fatti potenziali o
possibili, verificabili in un dato momento futuro e non esistono qui ed ora
non possono essere la causa di eventi presenti. Così come i fatti passati.
3) Principio di contemporaneità (solo i fatti presenti possono influenzare gli
eventi.
Il numero di regioni può aumentare o diminuire in seguito a nuovi fatti che si
vengono a creare.
10
3.6 - Ristrutturazione dello spazio di vita secondo Lewin.
Il numero di regioni può aumentare o diminuire in seguito a fatti che si vengono
ad aggiungersi oppure in seguito a fatti passati che sono sottratti dallo spazio di
vita. La posizione delle regioni può cambiare, se queste erano inizialmente
lontani possono avvicinarsi e viceversa. Può avvenire anche un cambiamento per
quanto riguarda la frontiera che da permeabile può diventare impermeabile o
viceversa.
Tutti
questi
cambiamenti
vengono
definiti
da
Lewin
come
ristrutturazione dello spazio di vita. La realtà consiste in una locomozione, e la
maggioranza delle locomozioni non coincide con una deambulazione fisica
I concetti principali:
Spazio di vita: persona circondata dal suo ambiente psicologico
10
Serafin G., L’interpretazione del crimine, Tangram Ed. Scientifiche, 2012
- 44 -
La persona: è suddivisa in due regioni, la regione interno-personale e la regione
percettivo-motoria. La regione interno personale è suddivisa all’interno da celle
periferiche ed in celle centrali.
Le regioni della persona e dell’ambiente sono separate da frontiere che hanno la
proprietà di essere permeabili. Lewin rappresenta tutti i suoi concetti in termini
spaziali e in questo modo questi concetti rientrano in quel ramo della matematica
detta topologia che tratta i rapporti spaziali.
Lewin come la maggior parte dei teorici della personalità sostiene che la persona,
è un complesso sistema energetico, il tipo di energia con cui si compie il lavoro
psicologico è detto energia psichica. L’energia psichica entra in azione quando la
persona cerca di ritrovare un equilibrio dopo che è stata portata ad uno stato di
squilibrio. Lo stato dello squilibrio è il risultato di un aumento di tensione, di una
parte del sistema relativamente stabile, in conseguenza di uno stimolo esterno o
un mutamento interno. La tensione è quello stato della persona o uno stato di
una regione interno personale rispetto alle altre regioni interno personale.
La tensione ha alcuni aspetti, secondo una prima proprietà :
- uno stato di tensione in un sistema particolare, tende ad eguagliarsi con la
quantità di tensione dei sistemi che lo circondano. Per fare questo la
tensione viene equilibrata mediante un processo ed il processo può essere
il pensare, ricordare, sentire l’agire. Es.: quando una persona deve
affrontare un compito ossia risolvere un problema, accumula tensione in
uno dei suoi sistemi, e per risolvere il problema e diminuire la tensione, si
impegna nel processo del pensare (come risolvere il problema), questo
processo continua fino a quando la persona non trova la soluzione, quando
- 45 -
l’ha trovata torna in uno stato di equilibrio. Altro es: se il problema è
derivato dal ricordare un nome, entra in gioco il processo amnestico
- Uno stato di equilibrio, non sta a significare che il sistema sia senza
tensione, ma è probabile che il suo organismo possa raggiungere uno stato
completamente senza tensione rimanendo in vita. L’equilibrio è una
situazione in cui la tensione è uguale in tutto il sistema, oppure che il
sistema dove esiste un livello di tensione è ben delimitato dagli altri, quindi
si ha quando la frontiera è impermeabile. Un aumento di tensione o
diminuzione di energia in una regione interno personale è prodotta dal
manifestarsi di un bisogno (es fame, sete sonno). Il
bisogno è un concetto
motivazionale ed equivale ad altri concetti come ad esempio motivo,
desiderio, tendenza.
Un altro concetto che richiama Lewin è quello della valenza.
La valenza è una proprietà concettuale di una regione dell’ambiente, ossia è un
valore di quella regione per la persona.
Vi sono due tipi di valore: uno positivo e uno negativo.
Una regione avrà valore positivo, quando conterrà come scopo un oggetto che
serve a ridurre la tensione (Es. una regione che contiene dell’acqua avrà un
valore positivo per la persona che ha sete). Una regione avrà valore negativo,
quando fa aumentare la tensione (Es. la persona che ha paura dei cani, qualsiasi
regione che contiene un cane avrà una valenza negativa).
Molte critiche sono state rivolte a Lewin:
le rappresentazioni vettoriali e topologiche di Lewin non esprimono niente di
nuovo sul comportamento in quanto rimane ancora un problema da spiegare:
ovvero non tiene in considerazione la storia passata dell’individuo, in quanto si
- 46 -
basa sul principio di contemporaneità, abusa di concetti fisici e matematici (es.
forza, valore, frontiera, valenza, spazio) che vengono tolti dai loro contesti
ovvero nella fisica, nella scienza, nella matematica e vengono utilizzati quali
costrutti psicologici. Egli fece in modo che le sue equazioni si adattassero ai dati
piuttosto che dedurre le equazioni stesse dalla sua teoria.
La teoria del campo Lewiniana non è senz’altro una teoria matematica
nonostante il linguaggio utilizzato nell’esposizione della sua teoria.
CAPITOLO QUARTO - DISTINZIONI
4.1 – Devianza e Normalità
Il concetto di devianza presuppone l’idea del diverso. La diversità è un dato
oggettivo, nel senso che oggettivamente, per esempio, un uomo di colore ed uno
bianco sono diversi,l’uomo è diverso dalla donna, ecc. L’idea del diverso rimanda
al concetto di ignoranza. Anche l’ignoranza è un dato oggettivo, nel senso che
oggettivamente l’uomo bianco ignora chi è l’uomo di colore che ha davanti a sé. I
due dati oggettivi, diversità ed ignoranza, generano la paura, che è un
dato
irrazionale, nel senso che posso avere paura senza decidere di volerla provare.
I mass media accentuano poi la diversità, finendo spesso col far passare la
convinzione che se esiste il crimine o un certo male sociale, la colpa è sempre del
diverso, e così che, per esempio, l’inizio della costruzione sociale della devianza
del diverso coincide con la stigmatizzazione posta dalla società sullo straniero,
che diviene sia la causa sia l’effetto della sua emarginazione.
Nella più recente sociologia, il concetto di devianza, è venuto ad assumere
diversi significati. Originariamente, secondo l'indirizzo strutturale-funzionalistico,
la devianza era intesa come un agire antinormativo, contrario cioè alle norme
- 47 -
sociali, codificate o meno, che regolano il comportamento dei soggetti,
conservano la credibilità per buona parte della gente e vengono ritenute più
importanti.
Nella teoria dell'etichettamento, invece, il concetto di devianza subisce un
capovolgimento,
poiché
essa
non
consiste
tanto
nel
comportamento
antinormativo, ma è piuttosto la conseguenza della stigmatizzazione operata
dalla reazione sociale.
Il processo di consolidamento della devianza si realizza poi attraverso una serie
di eventi.
La stigmatizzazione fa dunque in modo che il soggetto che si è comportato in un
certo modo, finisca per riconoscere se stesso nell’etichetta che gli è stata posta e
che non tende più a modificare la condotta. In particolare, Lemert distingue una
devianza primaria, da una devianza secondaria: in entrambi i casi avviene la
violazione di una norma, tuttavia, le conseguenze per il soggetto sono diverse:
1 - la devianza primaria è quella condotta deviante che prescinde dalle
reazioni sociali e psicologiche che modificano il ruolo e il sentimento
dell'identità dl soggetto agente. E'
“l'allontanamento più o meno
temporaneo, più o meno importante agli occhi di chi lo attua, da valori o
norme
sociali
e
giuridiche,
attraverso
un
comportamento
che
ha
implicazioni soltanto marginali per la struttura psichica dell'individuo”; essa
non dà luogo a una riorganizzazione simbolica a livello degli atteggiamenti
nei riguardi del sé e dei ruoli sociali;
2 - la devianza secondaria, invece, si realizza come effetto della reazione sociale
e comporta peculiari effetti psicologici: l'attore si percepisce come deviante,
- 48 -
sviluppa tutta una serie di atteggiamenti oppositivi che il ruolo comporta, con
conseguente fissazione in tale ruolo di deviante.
Essa, dunque, “consiste nel comportamento deviante o nei ruoli sociali basati su
di esso, che diviene mezzo di difesa, di attacco o di adattamento nei confronti dei
problemi, manifesti o non manifesti, creati dalla reazione della società alla
deviazione primaria. In realtà le cause originarie della deviazione perdono di
importanza e divengono centrali le reazioni di disapprovazione, degradazione e
isolamento messe in atto dalla società (Lemert, 1981).
Le deviazioni restano primarie o situazionali finché non sono razionalizzate come
funzione di un ruolo riconosciuto socialmente. Quando invece una persona
comincia a usare il comportamento deviante come modo di adattamento ai suoi
problemi, la devianza diventa secondaria.
11 12
4.2 – Contrapposizione tra Norma e Devianza
E’ evidente che ci siano dei territori di confine ambigui, in cui norma e devianza
si confondono e si sovrappongono.
Generalmente, per "devianza" si intende l’allontanamento da una norma, ove il
concetto di norma è definito dall’analisi del comportamento umano; la norma è
determinata dall’uomo e denota un margine o una classe di comportamenti entro
i quali
rientra la normalità.
11
Mantovani F., Il problema della Criminalità, Cedam, Padova 1984
12
Andreassi Marinelli F., Devianze e tecnologie educative e di
2007
- 49 -
contrasto, Benedetti, L'Aquila
La devianza, come la normalità, è soggetta a slittamenti semantici, a mutamenti
dovuti ai mutamenti dei costumi delle società, dei contesti politici e territoriali.
La devianza può coincidere con la patologia (fisica o mentale: il malato o il folle)
e con la criminalità (il ladro, l’assassino), nei casi in cui l’allontanamento dalla
normalità implica l’allontanamento dalla salute o dal rispetto della legalità.
E’ indubitabile che il concetto di devianza (e il suo
simmetrico, la conformità alla
norma) si offra ad ingerenze paradossali, determinate dal particolare punto di
osservazione. Per rendere esplicito il carattere convenzionale della definizione di
devianza basti ricordare che in un contesto ove ottanta persone su cento fossero
malate di tisi, il deviante sarebbe colui che non è malato di tisi (ossia il sano).
A questo punto è interessante notare che in un esperimento scientifico si parla di
errore, piuttosto che di devianza delle leggi di natura.
Nel caso di leggi di natura vi può essere errore (falsità contro la verità della
legge), nel caso delle leggi sociali vi può essere soltanto allontanamento
(devianza, appunto) dai comportamenti più frequenti che hanno dato corpo a
quelle leggi.
La devianza, dunque, non coincide con “l’errore”.
C’è un’infinità di sfumature tra l’errore come conseguenza dei limiti della
conoscenza umana e l’inganno come conseguenza della capacità umana di
ricostruire il mondo da un punto di vista soggettivo, parziale, fazioso, unilaterale.
L’errore scientifico si presenta sotto innumerevoli vesti, e rappresenta l’ombra
che accompagna lo sviluppo delle conoscenze. Invece di cercare la verità sarebbe
preferibile
cercare l’errore: scovando l’errore, escludendo ciò che vero non è, ci
si avvicinerà alla verità, in quanto si circoscriverà sempre di più l’ambito di ciò
che potrebbe
essere vero.
- 50 -
La devianza, inoltre, implica un dominio attinente alla sfera di volontà
(intenzionalità) da parte del soggetto deviante: anche chi è deviante per “colpa”,
ad esempio colui che guida
in stato di ebbrezza, non è esente da considerazioni
riguardanti la sua violazione.
Per la dottrina penale poteva usare la sua volontà, prima
ubriachezza, risolvendosi nella scelta di non
dello stato di
dover bere (o di bere, evitando di
trovarsi a guidare).
La devianza, secondo le leggi di un ordinamento giuridico,
contrasto concreto, non astratto, tra due
delle regole sociali):
implica sempre un
soggetti (il deviante e il controllore
tale aspetto è assente nell’errore di natura.
13 14
4.3 – Disagio e Devianza
Per meglio definire il termine “devianza” è necessario partire dal concetto di
“conformità”, che possiamo definire come la condotta di vita informata a
parametri comportamentali accettati e permessi dal contesto sociale in cui sono
inseriti, un comportamento quindi, coerente verso un insieme di norme
(codificate e non).
Dal punto di vista struttural-funzionalista, secondo il sociologo E.Durkheim
(1858-1917) la normalità è la media dei comportamenti, vale a dire, ciò che è
normale è tale per un modello sociale determinato, in uno spazio temporale e in
un luogo individuati.
13
14
Mantovani F., Il problema della Criminalità, Cedam, Padova 1984
Sidoti F., Criminologia e investigazione, Giuffrè, Milano 2006
- 51 -
Di conseguenza la conformità non è un comportamento statico, bensì mutevole e
relativo in base ai valori dominanti della
società in un particolare
momento storico.
media popolazione di una specifica
15
Un comportamento conforme è il risultato di una buona socializzazione, ossia di
tutta una serie di meccanismi volti all’apprendimento e all’accettazione delle
norme
che
avviene
fin
dall’infanzia
attraverso
l’educazione
dei
genitori,
l’insegnamento scolastico.
Considerando sempre il piano dello struttural-funzionalismo, nel momento in cui
vi è una violazione motivata e non accidentale di una norma sociale, si manifesta
il comportamento deviante.
Per essere tale, però, la regola deve essere conosciuta dal trasgressore ed egli,
pur essendo consapevole
dell’imperatività della stessa, non ne accetta
l’autorità.
E’
quindi
fondamentale
che
le
norme
per
le
quali
si
sia
manifestata
l’inosservanza, siano ancora credibili per il gruppo sociale in quel dato momento
e siano considerate importanti ed essenziali.
Il concetto di devianza è quindi inscindibile dal contesto
sociale di un
determinato periodo storico.
E’ da sottolineare che è deviante solo quella condotta che,
avendo violato una
norma comune, produce una reazione sociale di disapprovazione e di censura e
per la quale vi è una richiesta di sanzione, come risposta alla mancata
interiorizzazione nel deviante del valore della regola infranta.
Infatti vi sono norme all’interno di una società che, pur essendo tuttora valide,
non comportano alcuna reazione emotiva per la loro violazione e che,
15
Durkheim E., Le regole del metodo sociologico, Edizione di Comunità, Milano 1979
- 52 -
conseguentemente, hanno perso di
significato, divenendo indifferenti alla
sensibilità sociale.
La gravità della sanzione (ad esempio il rimprovero o l’emarginazione o
l’applicazione di misure rieducative) e
fondamentali per
l’intensità della riprovazione sono indici
valutare il comportamento deviante.
Alcuni esempi di comportamenti devianti tra i giovani possono essere considerati
l’abbandono scolastico, la violenza e la prevaricazione diffusa, l’uso delle droghe,
la fuga da casa.
A tale proposito può essere interessante citare la teoria di
Merton (1959), la
quale, rielaborando il concetto di anomia di Durkheim (il quale definì lo stato di
anomia come “frattura delle regole sociali”, quella condizione cioè, all’interno di
una società, in cui le norme vengono a decadere o ad essere scarsamente
considerate ), sostiene che quando i valori culturali dominanti entrano in
contrasto con i mezzi
istituzionalizzati per il raggiungimento degli scopi del
successo in una determinata società, a causa dell’impossibilità per alcuni membri
di raggiungere tali scopi con i mezzi legittimi , possono prodursi comportamenti
devianti. Merton quindi suddivide i devianti in diverse tipologie:
-
gli innovatori: coloro che pur conformandosi agli scopi dominanti, sono
devianti rispetto ai mezzi che usano per raggiungerli;
- i ritualisti: coloro che rimangono fedeli ai mezzi consueti, pur non condividendo
gli scopi cui questi dovrebbero
servire;
- i rinunciatari: coloro che rifiutano sia i valori e gli scopi comuni, sia le norme
che riguardano i mezzi per raggiungere questi ultimi;
- 53 -
- i ribelli: coloro che mettendo in discussione obiettivi e mezzi comuni, non si
ritirano tuttavia dalla scena sociale, ma lottano per affermare obiettivi e mezzi
diversi.
Se consideriamo il percorso dalla conformità alla criminalità
evolutivo (o meglio, involutivo), possiamo
un cammino
collocare tra il comportamento
conforme e la condotta deviante, un processo intermedio: lo stato di disagio, che
può essere definito come un “sentire” tipico della fase
adolescenziale.
E’ proprio in questa fase della vita, infatti, in cui l’adolescente è impegnato nei
processi di identificazione e diversificazione, nella ricostruzione della sua
immagine infantile, sia personale che sociale, che prevalgono le incertezze, le
crisi, i vissuti di solitudine.
Se tali processi non si sviluppano in modo
adeguato, a causa di una cattiva
comunicazione con l’adulto, di patologie familiari, di difficoltà di inserimento nel
mondo scolastico, o di una particolare situazione emotiva, nel giovane può
sorgere una condizione di disagio la quale, espressione di un malessere diffuso,
può manifestarsi
attraverso fenomeni di isolamento, di reattività, di ribellione,
di difficoltà nell’apprendimento.
Possiamo quindi definire il disagio come
Il
sentimento
di
disagio,
di
non
“l’anticamera della devianza”.
adeguatezza,
comportamenti di ribellione verso la società
delle regole del sentire
può
quindi
condurre
a
con la conseguente trasgressione
comune, che la reazione sociale può classificare come
condotte devianti.
Allora, qual è, la differenza tra devianza e criminalità?
In primo luogo la criminalità è da identificare in ogni comportamento che viola le
norme previste dal codice penale e dalle altre leggi che prevedono una sanzione
- 54 -
di carattere penale (quindi le diverse pene stabilite
per i delitti e
le
contravvenzioni dall’art. 17 del c.p.). Ma è fondamentale precisare che non
sempre l’infrazione di una norma penale produce una reazione di disapprovazione
da parte della società, anche se l’entità della pena risulta essere grave.
E’ vero che se il concetto di devianza, essendo
frutto di un giudizio di valore
inscindibile dal contesto storico e sociale, ha finito spesso per coincidere anche
con quello della criminalità per quelle condotte che producono una reazione
emotiva della società, quali tossicodipendenza o i delitti dovuti ad uno status
sociale svantaggiato, lo stesso non può valere per quei reati ben più gravi, per la
delinquenza dannosa nei confronti del prossimo e quella organizzata che attenta
ai principi basilari della società.
La criminalità si denota, quindi, anche per la sua pericolosità sociale e per la
reazione di insicurezza che infonde nella popolazione.
E’ tuttavia importante sottolineare che non si può far rientrare il concetto di
criminalità in quello più generico e mutevole di devianza, anche in considerazione
della diversità nella gravità della reazione dell’opinione pubblica e di quella
ufficiale e nella sua pericolosità sociale.
16 17 18
CONCLUSIONI
Sono state affrontate fin qui sia le definizioni sociologiche sul tema della devianza
e sia la teoria dell’etichettamento, che ha segnato un vero paradigma nella
sociologia della
devianza, secondo lo studio particolare di H. S. Becker.
16
Becker H. S., Outsiders, Ega, Torino 2006
17
Durkheim E., Le regole del metodo sociologico, Edizione di Comunità, Milano 1979
18
Ponti G., Compendio di Criminologia, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995
- 55 -
La devianza, per Becker, è sempre il risultato dell’iniziativa di qualcuno. Prima
che qualsiasi atto possa essere visto come deviante, e prima che qualsiasi
categoria di persone possa
commesso
essere etichettata e trattata come deviante per aver
l’atto, qualcuno deve aver instaurato la norma che definisce questo
atto come deviante. Le regole non nascono
spontaneamente. Anche se
un’attività può essere oggettivamente dannosa per il gruppo cui avviene, il danno
deve venire scoperto e messo in evidenza. Le persone devono essere indotte
a
pensare che sarebbe necessario fare qualcosa. Qualcuno può richiamare
l’attenzione del pubblico su questi problemi, fornire la spinta necessaria per
raggiungere l’obiettivo e, una volta svegliate queste energie, convogliarle nella
direzione adatta perché venga creata una norma. In senso lato la devianza è il
prodotto di un’iniziativa: senza questa iniziativa destinata a creare le norme, la
devianza, che consiste nell’infrangerle, non potrebbe esistere.
La devianza è il prodotto di un’iniziativa anche in un senso
più stretto e
particolare. Una volta entrata in vigore, una norma deve essere applicata a delle
persone particolari prima
che l’astratta categoria degli outsiders creata dalla
norma possa popolarsi. I trasgressori devono essere scoperti, identificati,
arrestati e condannati (o marchiati come
“differenti” e stigmatizzati per la loro
non conformità).
Naturalmente questa incombenza spetta ai professionisti del fare rispettare le
norme che, applicando leggi già esistenti,
creano i devianti particolari che la
società vede come outsiders.
E’ interessante il fatto che la maggior parte della ricerca e
scientifica sulla devianza si occupi delle
piuttosto che di quelle che
della teorizzazione
persone che infrangono le norme,
le istituiscono e le fanno applicare. Se vogliamo
- 56 -
raggiungere
una tale comprensione del comportamento deviante, dobbiamo
mettere sulla bilancia queste due possibili direzioni
dell’indagine sociologica.
Dobbiamo vedere la devianza e gli outsiders che personificano questo concetto
astratto, come una
conseguenza di un processo di interazione tra persone:
alcune, nel servizio dei propri interessi, elaborano e fanno applicare delle norme
che colpiscono altre persone che, nel servizio dei
propri interessi, hanno
commesso degli atti etichettati come devianti.
Becker fa una critica ai sociologi che si occupano del
pochissimi sociologi, scrive,
delinquente nel
problema della devianza:
descrivono in dettaglio cosa faccia un giovane
corso della sua attività quotidiana e cosa pensi di se stesso,
delle sue attività e della società. Quando formuliamo delle
delinquenza giovanile, ci troviamo quindi nella
teorie sulla
situazione di dover dedurre il
modo di vivere di un ragazzo delinquente da studi frammentari e da resoconti
giornalistici anziché riuscire a basare le nostre teorie su un’adeguata conoscenza
del fenomeno che cerchiamo di spiegare. E’ come se provassimo, come una volta
dovevano fare gli antropologi, a costruire una descrizione dei riti d’iniziazione di
una lontana tribù africana a partire dai
missionari. Noi
resoconti dispersi e incompleti di alcuni
sociologi, dice Becker, a differenza degli antropologi, non
abbiamo motivo di fidarci delle descrizioni-frammentarie di un
soggetti del loro studio erano distanti migliaia
inaccessibili; i nostri stanno vicino a noi.
19
19
Becker H. S., Outsiders, Ega, Torino 2006
- 57 -
dilettante: i
di chilometri, in giungle
BIBLIOGRAFIA
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contrasto,
Benedetti, L'Aquila 2007
- Cavallo M., Ragazzi senza, Paravia Bruno Mondatori, Milano 2002
- Becker H. S., Outsiders, Ega, Torino 2006
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metodo sociologico, Edizione di
Comunità,
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- Gennaro G., Sociologia e ricerca sociale, Textbook, 2002
- Mantovani F., Il problema della Criminalità, Cedam, Padova 1984
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- Ponti G., Compendio di Criminologia, Raffaello Cortina
Editore, Milano
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Mulino, Bologna 1999
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