Turchia, Italia, Stati Uniti - Suoni interculturali

Turchia, Italia, Stati Uniti - Suoni interculturali
di Jacopo Leone Bolis
Qualche tempo fa i quotidiani italiani dibattevano tra loro se fosse corretto ammettere la
Repubblica di Turchia all’interno dell’Unione Europea. Tale quesito aveva sollevato accesi dibattiti
e dato vita a aspre controversie. Personalmente credo che la Turchia abbia pieno diritto d’ingresso
nella Comunità Europea, ovviamente se essa rispetterà i vincoli impostigli dall’Europa
inerentemente il rispetto dei diritti umani (compresa l’abrogazione della pena capitale a tutt’oggi
prevista dal codice penale turco) e l’ampliamento e la salvaguardia di diritti fondamentali quali la
libertà d’informazione, di pensiero e di professione religiosa (diritti inalienabili in un qualsivoglia
moderno stato democratico). Del resto è la storia (tanto antica quanto moderna) a insegnarci che
la Turchia non è solamente un’importante realtà geografica a cavallo tra Occidente e Oriente,
bensì un vero e proprio ponte tanto peninsulare quanto culturale capace di unire la Penisola
Balcanica (e con essa l’Europa) al Medio-Oriente. Anche la musica, seppur marginalmente, può
aiutarci a comprendere come la Turchia abbia sempre avuto rapporti estremamente stretti, sia da
un punto di vista culturale oltreché economico, con l’Europa e il mondo occidentale in generale.
Il cognome Donizetti fa correre il pensiero di un qualsiasi appassionato di musica al celebre
compositore bergamasco Gaetano Donizetti (1797 - 1848). Egli fu indubbiamente uno dei più
importanti rappresentanti della cultura musicale italiana della prima metà del XIX secolo (insieme
al pesarese Gioacchino Rossini e al catanese Vincenzo Bellini), tuttavia, sebbene assai meno
conosciuto, anche il fratello maggiore di questi, tale Giuseppe Donizetti (1788 - 1856), ebbe una
vita intensissima e non scevra di significativi successi artistici. Ancora giovane, dopo aver appreso
fin dall’infanzia l’arte della musica tramite lo zio Carini Donizetti e il musicista tedesco Johann
Simon Mayr (1763 - 1845), Giuseppe Donizetti si arruolò in qualità di musicista presso l’allora
trionfante esercito napoleonico (a soli vent’anni fu direttore di banda in diverse campagne militari
contro l’Austria e la Spagna). Con la caduta di Napoleone e la Restaurazione (Congresso di
Vienna, 1815/16), Giuseppe Donizetti continuò la propria carriera musicale in seno all’esercito del
piccolo Regno di Sardegna arruolandosi nella Brigata Casale. Grazie ai favori ottenuti dalla casa
regnate sabauda e alle sue spiccate doti di musicista, compositore e direttore di banda, nel 1828,
tramite la non secondaria ingerenza del Marchese Vincenzo Gropallo (ambasciatore sabaudo
presso Istanbul), Giuseppe Donizetti divenne maestro di musica militare presso la corte ottomana
del sultano Mahmud II (1789 - 1839). In quegl’anni l’Impero Ottomano stava vivendo una forte crisi
politica. Il 28 maggio 1812 l’Impero Ottomano aveva dovuto firmare la Pace di Bucarest con
l’Impero Russo, sancendo ufficialmente la fine delle proprie pretese egemoniche sulla Penisola
Balcanica, il Caucaso e la Penisola di Crimea. Inoltre il capo militare albanese Muhammad ʿAli
Pascià (1769 - 1849), meglio conosciuto come Mehmet Alì, riuscì a imporsi quale governatore
d’Egitto (espandendo la sua influenza politica e militare sull’attuale Sudan e sulle regioni orientali
della Libia) a spese della corona ottomana sancendo la nascita del Khediavato d’Egitto (regno de
iure vassallo e tributario dell’Impero Ottomano ma de facto indipendente). A causa di queste gravi
turbolenze politiche e del crescente potere esercitato a corte dai giannizzeri (guardia del corpo del
Sultano) e dagli eunuchi, Mahmud II decise di ‘occidentalizzare’ il proprio regno e, soprattutto, la
propria corte (sulla cui fedeltà e obbedienza nutriva forti perplessità). Grazie a tale politica
culturale dichiaratamente filo-occidentale, Giuspepe Donizetti riuscì a affermarsi come musicista e
compositore di corte ricevendo dapprima il grado di colonnello e la possibilità di fregiarsi del titolo
di Bey (signore) e, infine, divenendo maggior generale istruttore e ricevendo il titolo onorifico di
Pascià (alto funzionario di corte che godeva della massima stima e fiducia del Sultano). La sincera
e profonda stima che gli ambienti regali nutrivano nei confronti di Giuseppe Donizetti fu confermata
anche dal figlio e successore di Mahmud II, Abdülmecid I (1823 - 1861). Circondato da una sincera
ammirazione e da un vivido affetto, dopo oltre ventotto anni di permanenza presso l’Impero
Ottomano, Giuseppe Donizetti si spense a Istanbul il 12 febbraio 1856 (venne sepolto presso la
cripta della Cattedrale del Santo Spirito di Istanbul). Nel corso della sua vita ottenne diverse alte
onorificenze (tra cui la Legion d’onore francese, conferitagli nel 1842) e compose diverse musiche
che ebbero un vasto successo, tanto in oriente quanto in occidente. Le sue due composizioni più
famose sono la Marcia Mahmudiye (1829), composta per il sultano Mahmud II, e la Marcia
Mecidiye (1839), composta per il sultano Abdülmecid I (entrambe queste marce furono gli inni
ufficiali dell’Impero Ottomano nel corso dei regni dei suddetti sultani). Queste due composizioni,
nate da una sapiente vena compositiva capace di miscelare tra loro, in maniera egualitaria e
sinergica, la cultura musicale occidentale con le sensibilità musicali e estetiche turche, diedero
grande fama a Giuseppe Donizetti tanto che nel 1848 il celebre pianista ungherese Franz Liszt
(1811 - 1886) compose il brano Grande Paraphrase de la marche de Donizetti composée pour Sa
Majesté le Soultan Abdul Mejid-Khan quale sincero omaggio nei confronti della riuscita arte
musicale del ‘fratello turco’ di Gaetano Donizetti. Oltre a ciò, Giuseppe Donizetti insegnò musica ai
membri della famiglia reale e, soprattutto, fu organizzatore e promotore di diversi concerti sia
presso la corte reale, sia nella città di Istanbul presso il quartiere di Pera (antico sobborgo abitato
fin da epoca tardo-medioevale da un nutrito numero di commercianti genovesi).
Con la scomparsa di Giuseppe Donizetti non ebbe certo termine l’occidentalizzazione della musica
turca. Altri due musicisti italiani, Callisto Guatelli e Italo Selvelli, servirono con impegno e capacità
(ottenendo in cambio fama e denaro) l’Impero Ottomano. Callisto Guatelli (1820 ca. - 1899) nel
1848 divenne direttore del Teatro Naum di Istanbul e nel 1856, per volere del sultano Abdülmecid
I, divenne direttore del Corpo Imperiale di Musica (ruolo che ricoprì, con una sola pausa di otto
anni, fino alla sua morte). Nel 1875, visti gli alti servigi resi alla corona ottomana, Guatelli ricevette
dal sultano Abdulaziz (1830 - 1876) il titolo onorifico di Pascià. Tra i vari allievi di Callisto Guatelli
presso la corte ottomana è bene ricordare il futuro sultano Abdulhamid II (1842 - 1918). Italo
Selvelli (1863 - 1918) nacque a Istanbul da genitori italiani. Dopo aver appreso l’arte della musica
a Palermo (tra il 1876 e il 1881) fece ritorno a Istanbul dove ricoprì diversi importanti incarichi:
diresse numerosi melodrammi e musiche strumentali presso il Nouveau Theatre e il Teatro
Concordia di Istanbul, insegnò musica a diversi esponenti della famiglia reale e divenne direttore
dell’orchestra e della Scuola di Musica Tophane di Istanbul. Nel 1909 la sua composizione
intitolata Marcia Resadiye divenne l’inno ufficiale dell’Impero Ottomano durante il regno del sultano
Mehmet V (1844 - 1918). Selvelli, dopo una vita piena di successi e soddisfazioni, si spense nel
maggio 1918 a causa di una forte febbre. Le sue spoglie vennero inumate presso il Cimitero
Cristiano Osmanbey di Istanbul.
La Turchia, nazione che possiede un solo piccolo lembo di terra sul Continente Europeo (la
Penisola Anatolica è, geograficamente parlando, parte del Continente Asiatico sud-occidentale), è
stata la patria adottiva di molti artisti e musicisti italiani (Giuseppe Donizetti, Callisto Guatelli e Italo
Selvelli sono solamente i nomi più celebri e importanti che la storia ricordi). Alla luce di ciò, bollare
come paese extra-europeo o, peggio ancora, quale nazione arretrata e tribale la Repubblica di
Turchia è, evidentemente, un errore grossolano privo di qualsivoglia veridicità. L’Italia, patria di
innumerevoli musicisti e compositori, ha un forte debito nei confronti di questo straordinario paese.
Ma la Turchia e la sua cultura musicale, più o meno direttamente, influenzarono non poco anche
una musica nata a moltissimi kilometri di distanza dal palazzo del Topkapi: la musica jazz. Questa
splendida musica di origine afroamericana è un vero e proprio mare magnum. Essa ha partorito
molti stili differenti (New Orleans jazz, dixieland, swing, bebop, free jazz ecc…). Tra essi il cool
jazz, ovvero un modo particolarmente raffinato, cerebrale e con non pochi legami espliciti con la
musica colta europea, è sicuramente lo stile jazzistico che ha maggiormente beneficiato della
cultura musicale turca e medio-orientale. Lenny Tristano (1919 - 1978), compositore e pianista
italoamericano, nel 1955 incise il brano Turkish Mambo. Il titolo la dice lunga su questa
composizione. Accostando tra loro due termini dal sapore esotico e difficilmente relazionabili tra
loro, Lenny Tristano volle descrivere tale composizione come qualcosa di assolutamente nuovo e
estraneo alle logiche compositive occidentali (per questo il richiamo alla Turchia, terra di confine
tra Europea e Oriente, e al Mambo, musica di origine sudamericana, risulta particolarmente
azzeccato per intitolare e descrivere tale composizione). Turkish Mambo si fonda sulla
sovrapposizione di tre differenti linee melodiche (eseguite tutte dalla mano sinistra del pianista e
registrate e sovrapposte in studio di registrazione attraverso l’uso di piste non separate). Queste
linee di accompagnamento, come evidenziato dagli studiosi italiani Marcello Piras e Carlo Serra1,
sono incentrate su tre differenti ritmi (7/4 ; 3/8 ; 5/4) così da costruire un complesso intreccio
poliritmico su cui va poi snocciolandosi l’improvvisazione melodica della mano destra del pianista
che conclude la complessa architettura formale della composizione (a una così articolata realtà
ritmica corrisponde, quale contraltare, una semplice struttura armonica in mi minore). Inoltre,
collocando gli accenti in maniera asimmetrica, Tristano riesce a mutare e a plasmare a suo
completo piacimento il materiale sonoro a sua disposizione. Osservato nella sua totalità, Turkish
Mambo è un brano che mischia sapientemente la cerebralità tipica del cool jazz (intreccio
poliritmico di natura extraeuropea) con una stasi armonica e una strutturazione formale fortemente
reiterata tipica del futuro affermarsi del cosiddetto jazz modale. Lenny Tristano non solo era
riuscito a forgiare una composizione completamente rispondente ai dettami estetici del cool jazz
ma, al tempo stesso, con quattro anni di anticipo sull’album Kind of Blues (1959) di Miles Davis
(1926 - 1991), era riuscito a gettare le basi estetiche e linguistiche della futura svolta modale.
Le tre differenti linee melodiche eseguite, registrate e sovrapposte da Lenny Tristano in Turkish Mambo.
Queste differenti frasi eseguite alla mano sinistra servirono a Tristano per generare con il pianoforte un
complesso intreccio poliritmico sopra il quale eseguire alla mano destra la linea melodica improvvisata della
composizione. Si tratta di un riuscito esperimento compositivo dove fondamenta poliritmiche e
improvvisazione jazzistica s’incontrano in perfetto sposalizio.
Un altro importante esponente del cosiddetto cool jazz, il pianista statunitense Dave Brubeck
(1920 - 2012), decise di uscire da alcuni dettami ridondanti del linguaggio jazzistico (es. ritmo in
4/4, frase quadrata) per creare un album dal sapore sperimentale o, quanto meno, per riuscire a
dare una forte sferzata individuale al proprio modo di pensare e concretizzare la propria musica.
Nel 1959 Dave Brubeck, insieme al Paul Desmond (sassofono contralto), Eugene Wright
(contrabbasso) e Joe Morello (batteria), incise l’album Time Out. Il titolo dell’album esplicita quella
che era allora la sua più significativa particolarità: quasi ogni brano facente parte dell’album era
stato composto su di un ritmo diverso dal canonico 4/4. L’album presenta in tutto sette canzoni (tre
sul lato A e quattro sul lato B del vinile). Lato A: 1. Blue Rondo à la Turk (ritmo 9/8), 2. Strange
1
http://users.unimi.it/~gpiana/dm1/dm1impcs.htm
Meadow Lark (ritmo 4/4), 3. Take Five (ritmo 5/4). Lato B: 1. Three to Get Ready (ritmo 3/4 e 4/4),
2. Kathy's Waltz (ritmo 4/4 e 3/4), 3. Everybody's Jumpin' (ritmo 6/4), 4. Pick Up Sticks (ritmo 6/4).
Quest’album ebbe un notevole successo commerciale e il brano Take Five (l’unica composizione
dell’album non a firma di Brubeck ma scritta dal sassofonista Paul Desmond) divenne una delle
composizioni jazz maggiormente conosciute e apprezzate in tutto il globo. Tuttavia, sebbene assai
meno conosciuto e apprezzato rispetto all’asso pigliatutto Take Five, il brano più interessante
dell’album è sicuramente Blue Rondo à la Turk (composizione che non a caso venne posta in
apertura del disco). Ritmicamente questa composizione è incentrata su di un incedere metrico in
9/8 che non venne pensato e realizzato secondo il tipico pattern ternario occidentale fondato su di
una struttura elementare reiterata (3+3+3) bensì attraverso un più complesso e raffinato gioco
ritmico incentrato su di una concezione asimmetrica del pattern nato attraverso la giustapposizione
di tempi binari e ternari (2+2+2+3). Questa particolare sensibilità ritmica venne suggerita a Dave
Brubeck dalle musiche popolari balcaniche e greche e, soprattutto, dalla musica popolare turca (in
particolar modo dalla musica per danza denominata Zeybek, una musica assai ricca di energia
cinetica suonata in tutta la Penisola Anatolica). Brubeck entrò a contatto con queste particolari
tradizioni musicali durante un suo viaggio nel Balcani e in Turchia2 (viaggio che, a quanto pare,
diede ottimi spunti e molte idee alla fervida fantasia del pianista e compositore statunitense).
Le prime cinque battute del pianoforte di Blue Rondo à la Turk di Dave Brubeck (osservando la linea
melodica eseguita alla mano destra si evince chiaramente la costruzione ritmica in 9/8 ottenuta tramite un
approccio compositivo addizionale incentrato sulla seguente espressione aritmetica 2+2+2+3, eccetto alla
quarta battuta dove il ritmo in 9/8 è ottenuto tramite una assai più semplice addizione del tipo 3+3+3)
Detto ciò appare veramente discutibile l’idea che la Repubblica di Turchia non debba essere parte
integrante dell’Unione Europea e, più in generale, che tale paese e tale cultura non debbano avere
la possibilità di continuare a tessere strette relazioni economiche e culturali con i paesi occidentali.
La musica, nel suo piccolo, ci ha dimostrato come tali relazioni siano state assai feconde tanto per
il popolo turco quanto per l’intera cultura occidentale.
2
http://www.pbs.org/brubeck/theMusic/davesStyle.htm
Bibliografia essenziale:
. William Ashbrook, Donizetti: le opere, Torino: EDT srl, 1987.
. Fred Hall, It's about Time: The Dave Brubeck Story, USA: University of Arkansas Press, 1996.
. Luca Scarlini, La paura preferita - Islam: fascino e minaccia nella cultura italiana, Milano: Bruno
Mondadori Editore, 2005.
. Bruce Nelson, Simply Brubeck: The Music of Dave Brubeck - 26 of His Top Jazz Classics, USA:
Alfred Music Publishing, 2007.
. Douglas Scott Brookes, The Concubine, the Princess, and the Teacher: Voices from the Ottoman
Harem, USA: University of Texas Press, 2010.