Gautama Buddha
1 Un solo Gautama Buddha, diversi nomi
Il termine sanscrito e pāli Buddha indica, nel contesto religioso e culturale indiano, “colui che si è risvegliato” o
“colui che ha raggiunto l'illuminazione".
Altri appellativi con cui viene spesso indicato Gautama
Buddha sono i termini sanscriti:
• Tathāgata: “Il Così Andato” o “Il Così Venuto”, epiteto con cui Gautama Buddha indica sé stesso nei
suoi sermoni, uguale alla forma pāli che compare di
frequente nel canone pāli;
• Śākyamuni: “Il saggio dei Śākya” (riferito al clan
a cui apparteneva Gautama Buddha), utilizzato soprattutto nella letteratura del Buddhismo Mahāyāna
(Sakyamuni nel canone pāli);
• Sugata: “Il Bene Andato”, utilizzato soprattutto
nell'ambito delle scritture del Buddhismo Vajrayāna
ma frequente anche nel canone pāli;
• Bhagavān: “Signore”, “Venerabile”, “Illustre”, Beato, Sublime, Perfetto. Dal sostantivo sanscrito
bhaga, “ricchezza”, “fortuna”. Nella letteratura
buddhista indica il Buddha.
• Bodhisattva: “colui che sta percorrendo la via per diventare un buddha", o “colui che cerca di conseguire il 'Risveglio'" o “colui la cui mente (sattva) è fissa
sulla bodhi", usato per indicare Gautama prima del
conseguimento della buddhità.
Statua di Gautama Buddha secondo l'arte del Gandhāra (I, II
secolo d.C.), conservata presso il Tokyo National Museum.
• Nella letteratura di scuola Theravāda viene indicato
con il nome pāli di Gotama Buddha.
2 La vita di Gautama Buddha
secondo le tradizioni buddhiste
Siddhārtha[1] Gautama, meglio conosciuto come Gautama Buddha, il Buddha storico, Buddha Śākyamuni (शाक्यमुनि) o semplicemente Buddha[2] (sanscrito,
devanāgarī सिद्धार्थ गौतम; pāli, Siddhattha Gotama;
Lumbini, 566 a.C. – Kuśināgara, 486 a.C.), è stato un
monaco, filosofo, mistico e asceta indiano, fondatore del
Buddhismo, una delle più importanti figure spirituali e
religiose dell'Asia.
2.1 Vite anteriori del Buddha
Nella tradizione buddhista, la vita di Gautama fu preceduta da innumerevoli altre rinascite, non dettate da una
trasmigrazione di un'anima individuale, né di alcuna forVisse approssimativamente tra il 566 a.C. e il 486 a.C. ma di reincarnazione ma dalla successione di vite legate
e proveniva da una famiglia ricca e nobile del clan degli fra loro dalla trasmissione degli effetti del karma.
Śākya, da cui anche l'appellativo Śākyamuni (l'asceta o il Queste Jataka («vite anteriori»), che nella tradizione fanno parte integrante della vita di Gautama, furono incluse
saggio della famiglia Śākya)[3] .
1
2
2
LA VITA DI GAUTAMA BUDDHA SECONDO LE TRADIZIONI BUDDHISTE
nel canone buddhista, e sono formate da 547 racconti edificanti in cui compaiono animali, dèi, e uomini delle più
diverse estrazioni sociali e castali.
2.2 Le fonti
Sulla vita di Gautama Buddha esistono numerose tradizioni canoniche. La più antica biografia autonoma di
Gautama Buddha ancora oggi disponibile è il Mahāvastu,
un'opera della scuola Lokottaravāda del Buddhismo dei
Nikāya risalente agli inizi della nostra Era, redatta in
sanscrito ibrido.
Lalitavistara,
Poi
conserviamo
anche
il
l'Abhiniṣkramaṇasūtra (di questo sutra disponiamo
ben cinque versioni nel Canone cinese, avente lì il titolo
Fó běnxíng jí jīng, e conservate nel Běnyuánbù)
e il Buddhacarita di Aśvaghoṣa.
Statua di Gautama Buddha in dharmacakramudrā e
padmasana. La testa è circondata dall'aureola (sans. prabhā),
un prestito della cultura greco battriana come la protuberanza
cranica (sans. uṣṇīṣa) Nel registro in basso i pañcavaggiyā, la
ruota del dharma e i cerbiatti, che identificano la predicazione
del primo sutra a Sarnath. Epoca Gupta, museo di Sarnath
Più tarda (IV, V secolo d.C.) è la raccolta biografica, sempre autonoma, contenuta nel Mūla-sarvāstivāda-vinayavibhaṅga. Episodi della sua vita (ma non come biografie autonome) si conservano anche nelle raccolte dei suoi
discorsi riportati negli Āgama-Nikāya.
Secondo Erich Frauwallner[4] tutto questo materiale biografico (autonomo o inserito nelle raccolte dei sermoni
di Gautama Buddha) farebbe parte di una prima biografia composta un secolo dopo la sua morte, e inserita
come introduzione allo Skandhaka, a sua volta un testo
del Vinaya. Di diverso avviso sono altri studiosi come
Étienne Lamotte[5] e André Bareau[6] per i quali invece le
biografie di Gautama Buddha hanno subìto una graduale evoluzione partendo proprio dalle narrazioni episodiche contenute negli Āgama-Nikāya e nei Vinaya per poi
evolversi nelle raccolte autonome come il Mahāvastu.
2.3 La nascita
Nel complesso queste biografie tradizionali narrano della
sua nascita avvenuta nel Nepal meridionale, a Lumbinī[7]
(non distante da Kapilavastu), e raccolgono numerosi racconti e leggende che hanno l'obiettivo di evidenziare la
straordinarietà dell'avvenimento: miracoli che ne annunciano il concepimento, chiari segnali che il bimbo che
stava per venire al mondo sarebbe stato un Buddha.
La sua famiglia di origine (Śākya significa “potenti”)
si dice fosse ricca: una stirpe guerriera che dominava
il paese e che aveva come capostipite leggendario il re
Ikṣvāku.
La stele di Ashoka posta a Lumbinī nel luogo della nascita del
Buddha.
Il padre di Siddartha, il rāja Suddhodana, regnava su
uno dei numerosi stati in cui era politicamente divisa
l'India del nord. La madre di nome Māyā (o Mahāmāyā)
è descritta di grande bellezza.
Suddhodana e Māyā erano sposati da molti anni e non
avevano avuto figli. Nel Buddhacarita si racconta che Mahāmāyā sognò che un elefante bianco le penetrò nel corpo
2.5
La pratica della meditazione
3
senza alcun dolore e ricevette nel grembo, “senza alcuna
impurità", Siddharta che fu partorito nel bosco di Lumbinī, dove il figlio le nacque da un fianco senza alcun dolore.
Siddharta, sempre secondo il racconto del Buddhacarita,
nacque pienamente cosciente e con un corpo perfetto e
luminoso e dopo sette passi pronunciò le seguenti parole:
Sempre secondo il Buddhacarita (canto I) dopo la nascita
di Siddartha furono invitati a corte brahmani e asceti per
una cerimonia di buon auspicio. Durante questa cerimonia si racconta che il vecchio saggio Asita trasse, com'era
consuetudine, l'oroscopo del nuovo nato e riferì ai genitori dell'eccezionale qualità del neonato e la straordinarietà del suo destino: tra le lacrime, spiegò che egli sarebbe infatti dovuto diventare o un Monarca universale
(Chakravartin, sans., Cakkavattin, pāli), oppure un asceta
rinunciante destinato a conseguire il risveglio, che avrebbe scoperto la Via che conduce al di là della morte, ossia
un Buddha[8] . Alla richiesta di spiegazioni sulla ragione
delle sue lacrime, il vecchio saggio spiegò che erano dovute sia alla gioia d'aver scoperto un tale essere al mondo,
sia alla tristezza che gli derivava il constatare che la sua
età troppo avanzata non gli avrebbe permesso di ascoltare e di beneficiare degli insegnamenti di un tale essere
realizzato. Si fece pertanto giurare dal nipote Nālaka che
lui avrebbe seguito il Maestro una volta che fosse cresciuto e che ne avrebbe imparato e messo in pratica gli
insegnamenti[9] .
Il padre rimase turbato dalla possibilità che il figlio lo
abbandonasse, privandolo della legittima successione al
trono, e organizzò tutto quanto potesse impedire l'evento
premonito. La madre Māyā morì a soli sette giorni dal
parto e il bimbo venne quindi allevato dalla seconda moglie del re Suddhodana, Pajāpatī, una sorella minore della
defunta Māyā, nel più grande sfarzo. Figlio, quindi, di un
rāja, cioè di un capo eletto dai maggiorenti cui era affidata la responsabilità del governo, ricevette il nome di
Siddharta (="quegli che ha raggiunto lo scopo”) Gautama
(“l'appartenente al ramo Gotra degli Śākya”).
Siddharta mostrò una precoce tendenza contemplativa,
mentre il padre l'avrebbe voluto guerriero e sovrano anziché monaco. Il principe si sposò giovane, all'età di sedici anni, con la cugina Bhaddakaccānā, nota anche con il
nome di Yashodharā, con la quale ebbe, tredici anni più
tardi un figlio, Rāhula. Nonostante però fosse stato allevato in mezzo alle comodità e al lusso principesco e fatto
partecipare alla vita di corte in qualità di erede al trono,
la profezia del saggio Asita puntualmente s’avverò.
I resti della Porta Orientale di Kapilavastu, da cui si suppone
Gautama sia uscito, abbandonando la vita di agi palatini.
ferenza accomuna tutta l'umanità e che le ricchezze, la
cultura, l'eroismo e tutto quanto gli avevano insegnato a
corte erano valori effimeri e caduchi. Capì che la sua era
una prigione dorata e cominciò interiormente a rifiutare
agi e ricchezze. Poco dopo essersi imbattuto in un monaco mendicante, calmo e sereno, stabilì di rinunciare alla
famiglia, alla ricchezza, alla gloria ed al potere per cercare la liberazione[10] . Secondo il Buddhacarita (canto V),
una notte, mentre la reggia era avvolta nel silenzio e tutti dormivano, complice il fedele auriga Chandaka, montò sul suo cavallo Kanthaka e abbandonò la famiglia ed
il reame per darsi alla vita ascetica[11] . Secondo un'altra
tradizione comunicò piuttosto la propria decisione ai genitori e, nonostante le loro suppliche e lamenti, si rase il
capo e il volto, smise i suoi ricchi abiti e lasciò la famiglia e la casa[12] . Fece voto di povertà e compì un percorso tormentato d'introspezione critica. La tradizione vuole
ch'egli abbia intrapreso la ricerca dell'illuminazione a 29
anni (536 a.C.).
2.5 La pratica della meditazione
Dopo la fuga dalla società, abhiniṣkramaṇa[13] , Gautama
si diresse dall'asceta Āḷāra Kālāma[14] che soggiornava
nella regione del Kosala[15] . Lì si esercitò sotto la sua guida nella meditazione e nell'ascesi, per conseguire la ākiñcaññayatana, la “sfera di nullità" che per Āḷāra Kālāma
coincideva col fine ultimo della liberazione, mokṣa.
Insoddisfatto del conseguimento, Gautama si spostò quindi verso la capitale del regno Magadha per seguire gli insegnamenti di Uddaka Rāmaputta[16][17] . Per questi la liberazione era conseguibile attraverso la meditazione che,
2.4 La fuga
una volta esercitata tramite le quattro jhāna, portava alla sfera della né
All'età di 29 anni, ignaro della realtà che si presentava la sfera del nevasaññānāsaññāyatana,
[18]
.
percezione
né
non-percezione
fuori della reggia, uscito dal palazzo reale paterno per vedere la realtà del mondo circostante, testimoniò la crudel- Pur avendo raggiunto la meta indicata dal maestro, Gautà della vita in un modo che lo lasciò attonito. Incontran- tama non si ritenne soddisfatto e decise di lasciarlo per
do un vecchio, un malato e un morto (altre fonti narrano stabilirsi presso il piccolo villaggio di Uruvelā, dove il
di un funerale), comprese improvvisamente che la sof- fiume Nerañjarā (l'odierno Nīlājanā) confluisce nel Mo-
4
2
LA VITA DI GAUTAMA BUDDHA SECONDO LE TRADIZIONI BUDDHISTE
L'ingresso della grotta sul monte Pragbodhi in cui Gautama
praticò la vita ascetica prima dell'Illuminazione
Il Tempio Mahabodhi, nel luogo dell'Illuminazione del Buddha
a Bodh Gaya[20] a gambe incrociate nella posizione del
hanā per formare il fiume Phalgu, a pochi chilometri loto, a lui si spalancò l'illuminazione perfetta: egli meditò
dall'odierna Bodh Gaya. Qui trascorse gli ultimi anni pri- una notte intera fino a raggiungere il Nirvāṇa[21] .
ma dell'illuminazione, insieme a cinque discepoli di famiIl Buddha conseguì, con la meditazione, livelli sempre
glia brahmanica: i venerabili Añña Kondañña, Bhaddiya,
maggiori di consapevolezza: afferrò la conoscenza delVappa, Mahānāma e Assaji di cui era divenuto a sua volle Quattro nobili verità e dell'Ottuplice sentiero e vista maestro spirituale. Le pratiche ascetiche, dietetiche e
se a quel punto la Grande Illuminazione, che lo libemeditative che sviluppò in questo periodo non sono alrò per sempre dal ciclo della rinascita (da non confontrimenti note, anche se la tradizione successiva vuole che
dersi con la dottrina induista della reincarnazione, che
fossero particolarmente austere.
fu esplicitamente rigettata con la dottrina del “non Sé",
Ciò che la letteratura religiosa riporta è che ad un certo anatman).
punto anche questa strada si dimostrò priva di sbocchi e,
comprendendo l'inutilità delle pratiche ascetiche estreme
e dell'automacerazione, tornò a una dieta normale[19] accettando una tazza di riso bollito nel latte offertagli da
una ragazza di nome Sujatā. Ciò gli costò l'alienazione e
la perdita dell'ammirazione dei suoi discepoli, che videro nel suo gesto un segno di debolezza e di conseguenza lo abbandonarono. Desideroso di conoscere le cause
della miseria presente nel mondo, Gautama capì che la
conoscenza salvifica poteva essere trovata solo nella meditazione di profonda visione e che questa poteva essere
sostenuta solo se il corpo fosse stato in buone condizioni
e non spossato dalla fame, sete e sofferenze autoinflitte.
2.6
L'illuminazione
Foglia dell'albero di pippal, o Ficus religiosa
All'età di 35 anni, nel 530 a.C., dopo sette settimane di La prima settimana dopo l'illuminazione Gautama Buddprofondo raccoglimento ininterrotto, in una notte di luna ha rimase in meditazione sotto la Ficus religiosa. Le ultepiena del mese di maggio, seduto sotto un albero di fico riori tre settimane seguenti le passò meditando sotto tre
2.7
La messa in moto della Ruota del Dharma
5
altri alberi: la prima sotto un ajapāla (Ficus benghalensis
o Ficus indica), la seconda sotto un mucalinda (sanscrito: mucilinda; Barringtonia acutangula), la terza sotto un
rājāyatana (Buchanania latifolia).
Sotto l'ajapāla fu raggiunto da un brāhmaṇa che lo interrogò sulla natura dell'essere brāhmaṇa, e la risposta
fu che tale è chi ha sradicato il male e parla in accordo con il Dhamma[22] , smentendo così implicitamente
che fosse dovuto a una condizione dettata dalla nascita
e dall'appartenenza di casta.
Durante la meditazione sotto il mucalinda si sviluppò
un temporale che durò sette giorni, al che, uno spiritoserpente del luogo, un nāga, protesse il Buddha dalla pioggia e dal freddo[23][24]
Sotto il rājāyatana il Buddha sperimentò la gioia della liberazione dalle rinascite. In quella circostanza gli fecero
visita due mercanti, Tapussa e Bhallika, che gli offrirono dei dolci al miele e presero rifugio nel Buddha e nel
suo Dhamma, divenendo così i primi upāsaka, seguaci
laici[25] . Nella settimana seguente il Buddha tornò a meditare sotto l'ajapāla, dove si interrogò se dovesse diffondere la dottrina o se dovesse mantenerla solo per sé,
essendo "difficile da comprendere, al di là della ragione, comprensibile solo ai saggi"[26] . Brahmā, il “Signore
del Mondo”, giunse di fronte al Buddha e inginocchiatosi Lo stupa Dhamekh, nel luogo della proclamazione del primo
lo implorò a diffondere la sua dottrina "per aprire i can- sūtra
celli dell'immortalità" e permettere al mondo di udire il
Dhamma[27] .
Avendo dunque il Buddha deciso di diffondere a chiunque la sua dottrina, senza alcuna distinzione, dopo aver
escluso i suoi precedenti maestri, Āḷāra Kālāma e Uddaka Rāmaputta, in quanto conscio della loro già avvenuta
morte, decise di recarsi dapprima a Sārnāth, nei pressi
di Varanasi (Benares) dai suoi primi cinque discepoli, i
pañcavaggiyā.
Giunto nei pressi di Sārnāth, si imbatté nell'asceta Upaka,
della scuola degli Ājīvika, deterministi che non accettavano l'idea di una causa né nella possibilità di modificare
il destino. Interrogato su di chi fosse seguace, il Buddha
rispose di non aver più maestri e di essere perfettamente
illuminato "quanti hanno vinto l'illusione sono come me
vittoriosi. Ho vinto quanto è male e così, Upaka, sono il
vittorioso"[28] . Upaka ribatté "può darsi" e se ne andò.
2.7
La messa in moto della Ruota del
Dharma
Il Buddha giunse infine a Sārnāth, nel Parco delle Gazzelle, dove trovò i pañcavaggiyā che, vedendolo arrivare,
avevano in animo di ignorarlo. Ma il suo aspetto radioso
e completamente rilassato li vinse immediatamente. Alla
notizia che aveva conseguito il Perfetto Risveglio lo accolsero come maestro e gli chiesero di condividere quanto aveva scoperto.
Le parole che pronunciò allora si sono conservate nel primo sūtra, il Dhammacakkappavattana-vagga Sutta (La
messa in moto della Ruota della Dottrina).
Il breve sūtra si apre con la condanna delle due vie estreme: l'estremismo connesso alla mera appagazione dei
sensi, in quanto volgare e dannoso, e l'estremismo connesso all'automortificazione, parimenti doloroso, volgare
e dannoso.
Quella del Buddha si presenta invece come una "Via di
mezzo [...] apportatrice di chiara visione e di conoscenza"
che "conduce alla calma, alla conoscenza trascendente, al
risveglio, al nibbāna"[29]
Quindi il Buddha passa ad analizzare il contenuto della
“via di mezzo”, esplicitando l'Ottuplice Sentiero, ovvero
la base del comportamento etico quale causa necessaria
per il conseguimento del risveglio. Ma, procedendo a ritroso, il Buddha esplicita il motivo per cui questo Sentiero
apporta l'approdo alla sponda opposta al Saṃsāra: questo
è dettato dalle Quattro nobili verità.
La prima delle Quattro verità è quella del dolore "l'unione
con quel che non si ama è dolore, la separazione da quel
che si ama è dolore, il non ottenere ciò che si desidera è
dolore"[30] . Quindi la combinazione dell'impermanenza
dell'esistente e l'attaccamento è la causa del dolore, la seconda verità. Questa sarebbe poi stata ampiamente discussa e analizzata dal Buddha nel corso di tutta la sua
predicazione, fino a trovare la sua formalizzazione nella
paṭicca samuppāda, la catena della coproduzione condizionata, in cui ogni causa ha un effetto in una spirale apparentemente invincibile.
Ma la distruzione della schiavitù del dolore è possibile,
questo viene proclamato nella terza verità: la liberazio-
6
2
LA VITA DI GAUTAMA BUDDHA SECONDO LE TRADIZIONI BUDDHISTE
ne è possibile. E come sia possibile è il tema della quarta
verità, che rimanda al Ottuplice Sentiero da cui si era partiti.
Il Buddha quindi proclama che ciascuna di queste verità
è stata da lui riconosciuta, compresa e visualizzata, e questo triplice momento della quadripartizione della verità lo
ha portato al “supremo perfetto risveglio”[31]
A questo punto Añña Kondañña divenne Arhat ed esclamò: "tutto quello che nasce è destinato a perire!" e gli dei
ctoni e di tutti i paradisi gridarono di gioia, il sistema dei
diecimila mondi ebbe un sussulto e apparve un grandioso
splendore: la ruota del Dharma era stata avviata[32] .
Añña Kondañña divenne primo Bhikkhu a essere ordinato, con la celebre esclamazione del Buddha "Ehi Bhik- Il monte Gayāsīsa dove il Buddha predicò il sutra del Fuoco
khu!" ("Vieni monaco!") che diverrà la formula tradizionale di ordinazione buddhista, e dando così origine al Le prime conversioni
Dopo la conversione dei
Saṅgha[33] .
pañcavaggiyā a Sārnāth, Gautama convertì Yasa, figlio di
La predicazione del Buddha segnò sotto molti aspet- un ricco mercante di Vārāṇasī. Fu il primo non asceta ad
ti un punto di radicale rottura con la dottrina del entrare nella comunità monastica, presto seguito dai suoi
Brahmanesimo (che successivamente prenderà la for- amici, Vimala, Subāhu, Puṇṇaji e Gavaṃpati, figli di
ma di Induismo) e dell'ortodossia religiosa indiana altre facoltose famiglie mercantili[39] . Quindi i genitori
dell'epoca. Infatti, in maniera non dissimile da quello del di Yasa divennero i primi laici a essere riconosciuti
fondatore del Jainismo, Mahāvīra, il suo insegnamento come tali e a prendere rifugio nei Tre Gioielli, e di lì
non riconosceva il predominio della casta brahmanica seguirono altre decine di conversioni e numerosi giovani
sull'ufficio della religione e la conoscenza della verità, di Vārāṇasī entrarono nel Sangha. A questo punto, un
bensì a tutte le creature che vi aspirino praticando il anno dopo, il Buddha si diresse nuovamente al luogo
dove aveva conseguito l'illuminazione.
Dharma.
2.8
Predicazione ed insegnamento
Negli anni successivi al nirvāṇa, il Buddha si spostò lungo la pianura gangetica predicando ai laici, accogliendo
nuovi monaci e fondando comunità monastiche che accoglievano chiunque, indipendentemente dalla condizione
sociale e dalla casta di appartenenza, fondando infine il
primo ordine monastico mendicante femminile della storia. A condizione che l'adepto accettasse le regole della
nuova dottrina, ognuno era ammesso nel sangha.
Scansione dei Vassa A causa dell'assenza di una tradizione storiografica e cronologica in India, la scansione dei
suoi spostamenti non fu registrata che molti secoli dopo
gli eventi, e anche questa in maniera frammentaria nei vari sutra e nei Vinaya delle varie tradizioni. Tra i testi più
interessanti per la cronologia spiccano due testi tradotti in cinese, il Badalingta Minghao jing[34] (T.32:773b) e
il Sengqieluocha suoqi jing (T. 4:144b), e un testo tibetano, il Chos-ḥbyung di Bu-ston[35] . Nella tradizione birmana si riscontrano altre cronologie.[36] Dalla comparazione
di queste fonti, scandite per anno di vita del Buddha, si
enumerano i luoghi in cui passò il Vassa, o periodo monsonico dedicato alla sosta in un medesimo posto che è
norma del sangha. Nonostante le tradizioni così diverse,
spazialmente e temporalmente, si ottiene un quadro notevolmente uniforme per localizzazione geografica della
vita del Buddha.[37]
La suddivisione politica dell'India ai tempi del Buddha
Nella zona dell'attuale Bodh Gaya a quel tempo vi predicavano tre fratelli: Uruvela Kassapa, Nadī Kassapa e
Gayā Kassapa, dediti al culto del fuoco (è ipotizzabile fosse un culto vedico, dedicato ad Agni, o locale e
post-vedico). Dopo averli superati nelle arti magiche che
praticavano[40] , li convertì assieme a un migliaio dei loro
seguaci. Quindi, andato il Buddha con tutti questi nuovi membri del sangha, verso la capitale Rajgir, espose sul
monte Gayāsīsa il Sūtra del Fuoco[41] . “Monaci! Tutto è in
fiamme!" esordì, e proseguì elencando gli organi di senso
in fiamme, fiamme che si estendono alle funzioni mentali,
2.8
Predicazione ed insegnamento
7
le sensazioni che provano dovute alle percezioni e individuando la causa nell'avidità, nell'odio e nell'illusione (i tre
veleni). Solo con la liberazione da questi veleni i discepoli
si sarebbero potuti liberare e sconfiggere la morte.
Il monastero Nigrodharama dove il Buddha soggiornava a
Kapilavatthu
visita a suo padre Suddhodana e a sua moglie Yasodharā,
convertendoli. Ordinò quindi suo fratellasto Nanda[44] e
suo figlio Rāhula.
Lumbinī
Bodhgayā
Le conversioni compresero sia appartenenti alla nobiltà
Sakya che membri delle caste più infime, come il caso
del barbiere Upāli. Fu in questa occasione che divenne
norma che l'ordine di rispetto tra i monaci dovesse essere
basato esclusivamente sull'anzianità calcolata dal giorno
della presa dei voti, tanto che i giovani nobili Sakya chiesero di essere ordinati immediatamente dopo Upāli per
doverlo omaggiare e sconfiggere così la loro superbia. Tra
i convertiti che espressero questa scelta anche Ānanda, il
cugino del Buddha, e Devadatta[45] .
Śrāvastī
Sārnāth
Kuśīnagar
Rajgir
Kapilavatthu
Principali luoghi della vita del Buddha
L'arrivo del Buddha nella capitale del regno Magadha
provocò un'ondata di conversioni, compresa quella del
sovrano Bimbisāra, allora a capo del più potente stato
dell'India settentrionale. Questi, in segno di devozione,
regalò al Buddha il monastero di Veṇuvana[42] , sito nel
Bosco di Bambù poco oltre la porta settentrionale della capitale Rajgir. In questo periodo si colloca anche la
conversione, grazie ad Assaji, di Sāriputta e Moggallāna,
che diverranno i due discepoli principali del Buddha.
A Kapilavatthu e nel Kosala Dopo aver completato
la permanenza a Rajgir con la conversione, nei pressi
di Gaya, di Mahā-Kassapa (destinato a diventare un
famoso discepolo), il Buddha si diresse a Kapilavatthu,
la capitale dei Sakya, sua terra natale.
Lì, dopo aver chiesto cibo in elemosina casa per casa,
fu fatto accedere alla sala del congresso della nobiltà
Sakya per tenere un sermone[43] . Quindi il Buddha fece
Il monastero Jetavana
Lasciata la sua terra natale, la repubblica nobiliare dei Sakya, il Buddha si diresse nel Kosala, il regno che deteneva l'egemonia su Kapilavatthu. Il Kosala a quei tempi era
retto dal re Prasenadi (sanscrito: Prasenajit), con cui il
Buddha ebbe numerosi incontri cordiali.
Nella capitale del Kosala, Sāvatthī (sanscrito: Śrāvastī ),
il facoltoso mercante Sudatta Anāthapiṇḍika (precedentemente convertito a Rajgir) comprò un grande appezzamento di terreno nella periferia meridionale della città da
Jeta, un principe figlio di Prasenadi. Questo fu quindi donato al sangha divenendo uno dei principali luoghi di sosta del Buddha e grande centro di diffusione del Dharma,
noto come il monastero Jetavana (il “Parco di Jeta”)[46] .
Fu in questo luogo che il Buddha visitò il monaco Pūti-
8
2
LA VITA DI GAUTAMA BUDDHA SECONDO LE TRADIZIONI BUDDHISTE
gatta Tissa, seriamente ammalato, lo lavò e se ne prese
cura fino alla sua morte. Qui esortò i monaci a prendersi
cura reciprocamente, non avendo più famiglia né mezzi
e avendo reciso i legami con il mondo avrebbero dovuto
aver cura l'uno dell'altro.
In un altro sutra che tratta della stessa vicenda il Buddha
esplicita:[48]
Gli elenchi dei convertiti nel Kosala mostrano come
l'origine castale sia dei monaci che dei laici fosse di prevalenza di casta brahmanica e mercantile (come Subhūti),
con minoranze tra la casta guerriera, cui apparteneva lo
stesso Buddha, e le classi inferiori.
to loro in pasto, e parimenti fa divieto ai laici di uccidere
animali con lo scopo di nutrire i monaci[50] .
Non lontano da Rajgir, a Gayāsīsa, soggiornava il monaco Devadatta, che godeva dei favori del figlio del re
Bimbisāra, Ajātasattu. In presenza di monaci, laici e del
sovrano di Rajgir, Devadatta chiese al Buddha, ormai in
età avanzata, di prendere il controllo del Sangha[51] . Tra le
riforme che avrebbe voluto introdurre tutte volgevano ad
una maggiore austerità: obbligo di dimora nelle foreste;
vestirsi solo di abiti trovati nelle discariche; non accettare inviti a pranzo dai laici; astenersi dalla carne anche se
offerta. Il Buddha rifiutò di nominarlo a capo della comunità monastica.
Devadatta, intravedendo nella fedeltà di Bimbisāra al
Buddha l'ostacolo principale nella sua ascesa, convinse
il principe Ajātasattu a perpetrare un colpo di Stato[52] .
In seguito Bimbisāra fu imprigionato e lasciato morire di
fame, nonostante questi avesse volontariamente abdicato
in favore del figlio[53] .
Resti del Jivakarama Vihara a Rajgir
Il Picco dell'Avvoltoio, Gijjhakūta
Luogo dove sorgeva il monastero Venuvana
A Rajgir A Rajgir, nella capitale del Magadha, oltre
al monastero di Venuvana fuori dalla porta Settentrionale concesso dal sovrano Bimbisāra, il saṅgha ebbe in dono il monastero di Jīvakarana, nei pressi del “Boschetto
di Manghi” (Ambavana), dono di Jīvaka Komārabhacca,
medico personale del sovrano, che desiderava che il Buddha soggiornasse più vicino alla sua dimora[49] .
Fu in quella sede che il Buddha espose il Jīvaka Sutta, in
cui si fa divieto ai monaci di mangiare carne se hanno conoscenza che l'animale sia stato ucciso solo per essere da-
Ottenuto l'appoggio del nuovo sovrano, Devadatta tentò di assassinare il Buddha con l'aiuto di alcuni arcieri
di Ajātasattu, che si rifiutarono. Quindi Devadatta stesso provò l'omicidio: prima lanciando un masso dal Gijjhakūta, il “Picco dell'Avvoltoio” (le ferite riportate dal
Buddha furono alleviate dai trattamenti medici di Jīvaka Komārabhacca), quindi ubriacando un elefante reale
(Nalāgiri) che avrebbe dovuto schiacciare il Buddha, che
invece lo affrontò, placandolo[54] . Il Buddha, tornato la
sera al monastero Venuvana, raccontò la storia Cullahamsa Jātaka in onore della fedeltà di Ānanda[55] .
Ajātasattu, pieno di rimorsi, smise di sostenere Devadatta e chiese perdono al Buddha, che lo accolse tra i fedeli
laici[56] .
Devadatta, avendo perso l'appoggio regale e conscio
dell'impossibilità di controllare il sangha, decise per lo
scisma, seguito dai monaci Kokālika, Samuddadatta, Katamorakatissa e Khandadeviyāputta, oltre a qualche centinaio di discepoli favorevoli a una regola monastica più
austera. Il Buddha non vietò maggiore austerità, ma ritenne che dovesse applicarsi solo su base volontaria, non
come regola.
2.9
Il parinirvāṇa del Buddha
Il Buddha quindi inviò Sāriputta e Moggallāna presso Devadatta. Questi gli lasciarono credere che avessero abbandonato il Buddha, e non appena ebbero l'attenzione di tutti i suoi seguaci li convinsero della necessità di interrompere lo scisma e rientrare nel sangha. Una volta rimasto
solo Devadatta vomitò sangue[57] . Dopo nove mesi Devadatta si mise in cammino per incontrarsi con il Buddha,
ma il terreno si aprì e sprofondò nell'inferno Avīci[58] .
2.9
Il parinirvāṇa del Buddha
Dopo aver passato l'ultimo vassa nel monastero di Venuvana il Buddha si recò nuovamente a Rajgir. Lì il sovrano Ajātashatru, per mezzo del suo ministro Varśakāra, gli
chiese un vaticinio per la sua progettata guerra contro la
repubblica dei Vriji. Il Buddha rispose che, finché questi
fossero stati rispettosi della tradizione assembleare e il
popolo contento, non sarebbero stati vinti[59] . Quindi, salito sul Picco dell'Avvoltoio, il Buddha predicò ai monaci
le 49 regole monastiche che avrebbero dovuto seguire per
mantenere in vita il sangha.
Salutato dalla nobiltà del Magadha e dal ministro Varśakāra, il Buddha e i monaci si diressero quindi verso i territori dei Lichchavi più a settentrione, predicando nei vari villaggi in cui facevano sosta. Giunti a Pātaligrāma il
Buddha pensò che:
9
sua dottrina.
Giunto a Pāvā fu invitato a pranzo da un certo Cunda[63] ,
lì tenne un discorso sui monaci, alcuni dei quali “sono
malvagi come le erbacce in un campo” e ammonendo a
non considerare la veste, ma il cuore retto come segno di
eccellenza.
Lasciata la casa di Cunda e diretto a Kuśināgara il Buddha
si sentì male e, sedutosi, chiese ad Ānanda di procurargli dell'acqua. Passò quindi un nobile, Pukkusa, che donò
un tessuto giallo affinché il Buddha potesse coricarvisi.
Quindi disse ad Ānanda che fu il cibo di Cunda a condurlo alla fine, e che l'indomani sarebbe dovuto andare a
ritrovarlo per ringraziarlo e che non piangesse per questo,
ma che se ne rallegresse.
Giunse allora il monaco Kapphina che chiese al Buddha
di rimandare la sua estinzione, al ché il Buddha rispose
che:
Nel frattempo giunsero monaci e laici da Kuśināgara, avvertiti da Ānanda che entro la mezzanotte il Buddha sarebbe entrato nella totale estinzione. Chiesero quali fossero le ultime volontà in merito alle spoglie. Il Buddha,
dopo aver risposto, chiese ai monaci se vi fossero ancora
dei dubbi in merito alla dottrina, dicendo che era la loro
ultima occasione per poterli dissipare. I monaci risposero
che non vi erano punti oscuri e che tutto era a loro chiaro.
Secondo la tradizione, Siddharta Gautama morì a
Kuśināgara, in India, a ottant'anni[64] , nel 486 a.C. circondato dai suoi discepoli, tra i quali l'affezionato attendente prediletto Ānanda, al quale lasciò le sue ultime disposizioni. Tradizionalmente si riportano le sue ultime
parole:
Quindi il Buddha si stese vòlto a settentrione, reclinato
sul fianco destro, e spirò.
Statua nel tempio del Mahaparinirvana a Kuśināgara
2.9.1 La cremazione
Quindi tutti i monaci si ritrovarono sulla sponda settentrionale del Gange[61] , a Koṭigrāma. Lì malattie e carestie
infuriavano e, polemicamente, fu chiesto al Buddha come
mai anche dieci suoi fedeli laici fossero morti. Il Buddha preconizzò che quella sarebbe stata la loro ultima esistenza e di altri trecento predisse solo altre sette rinascite
prima di giungere alla perfezione.
Giunto nei pressi di Vaiśālī fu invitato a pranzo dalla cortigiana Amarpālī, assieme a tutti i monaci, rifiutando un
analogo invito dei nobili Lichchavi, che avevano rivolto
l'invito solo successivamente.
Il Buddha decise di soggiornare nei pressi di Vaiśālī ma,
per non pesare troppo sulla popolazione locale oppressa
dalla carestia, diede ordine ai monaci di disperdersi in tutte le direzioni, mantenendo accanto a sé solo Ānanda. Lì
il Buddha annunciò ad Ānanda che entro tre mesi sarebbe
entrato nel parinirvāṇa. Diede inoltre ordine ad Ānanda
di ricordare tutti i suoi discorsi, in modo da ripeterli poi
qualora dei monaci li avessero dimenticati. Ripreso quindi a vagare nella pianura del Gange il Buddha tenne numerosi discorsi ricapitolando tutti i temi principali della
Lo stupa Ramabhar, dove fu cremato il Buddha
La descrizione dei riti funerari, sarīrapūjā, che accompagnarono la cremazione di Gautama Buddha sono strettamente correlati con la successiva venerazione per le reliquie, sarīra (sanscrito: śarīrāḥ), e vanno intese come
rappresentazione del valore che queste hanno in ambito
buddhista. Si assiste anche a uno slittamento semantico
10
4
LA VITA DEL BUDDHA NELL'OCCIDENTE MEDIEVALE
dal corpo fisico di Gautama alla rappresentazione dello 4.1 Barlaam e Josaphat
stato di buddhità fornito dalle sarīra[66] .
La storia della vita del Buddha, nota come la Storia di
Il clan dei Malla di Kuśināgara approntò un funeraBarlaam e Josaphat, in particolare la parte della profezia
le degno di un sovrano universale: il corpo fu avvolto
alla nascita fino alla fuga dal palazzo, giunse in Europa
in cinquecento pezze di cotone e immerso in una vafin dal medioevo, attraverso una serie di traduzioni che
[67]
sca di ferro (taila-droṇī )
piena d'olio. Quindi, con
inserirono numerosi elementi non buddhisti e parabole
l'accompagnamento di una folla che portava ghirlande
edificanti.
di fiori, ballava e suonava, il corpo attraversò la città.
Passarono sette giorni prima che si approntasse la pira La leggenda narra del principe indiano Josaphat, recluso
funeraria[68] . Questo diede tempo a Mahākassapa, il più dal padre negli agi del palazzo reale per impedire che la
autorevole dei monaci dopo la morte, avvenuta poco pri- predizione della sua conversione al cristianesimo si avvema, di Sāriputta e Mahāmoggallāna, di giungere a Kuśi- ri. Una sua fuggevole fuga all'esterno gli permette la visione di un malato, un lebbroso e di un funerale. Sconvolto
nāgara e prendere parte ai riti funebri.
Ānanda, dopo essere stato per tutta la vita l'attendente dalla sofferenza del mondo incontra Barlaam, un asceta
del Buddha Gautama, si fece carico anche di tutta che lo converte al cristianesimo e con cui, alla fine di moll'organizzazione delle cerimonie inerenti al suo corpo. Il te traversie e della fuga definitiva dal padre, trascorrerà
giorno della cremazione, nell'ultimo saluto, diede la pre- molti anni di ascesi nel deserto fino alla morte.
cedenza alle donne Malla di Kuśināgara: furono loro le La filogenesi, non lineare, delle traduzioni comincia con
prime a circumambulare Gautama, lanciare fiori e ba- quelle in persiano[72][73] , arabo e georgiano nell'VIII
gnare di pianto i suoi piedi. Quindi, contrariamente alle secolo, poi in greco e latino XI secolo (attribuita a
prescrizioni brahmaniche, il corpo fu portato in proces- Giovanni Damasceno)[74] . Quindi fu la volta della
sione dentro la città (da Ānanda, il re di Malla, Śakra e traduzione ebraica di Abraham ibn Chisnai, ebreo di
Brahmā[69] ).
Barcellona (? - 1240)[75] . Da questa nacque una lunga
La pira fu accesa da Mahakassapa, con un simbolismo in- tradizione di versioni spagnole che furono molto diffuse
verso, dato che usualmente in India i sannyasin non ven- nel XIII secolo[76] . Ma la diffusione in tutta Europa è ben
gono cremati ma rilasciati nei fiumi. È vestito come un evidente dalla traduzione in islandese già nel 1204[77] .
principe, quando fu proprio l'abbandono della sua veste
principesca che aveva marcato l'origine della ricerca spirituale che lo aveva portato a divenire un Buddha[70] .
Una volta estinto il fuoco furono raccolte le sarīra e
conservate in una scatola d'oro al centro Kuśināgara.
La notizia della scomparsa del Buddha e della permanenza delle sarīra attirò una intensa competizione per impossessarsene: oltre ai Malla di Kuśināgara le reclamarono
anche i Malla di Pāvā, il re Ajātashatru del Magadha,
i Bulaka di Calakalpa, i Krauḍya di Rāmagrāma, i
Miniatura bizantina del XIII secolo rappresentante San Josaphat
brahmini di Viṣṇudvīpa, i Lichchavi di Vaiśālī e i Śākya
di Kapilavastu. Le richieste furono sottolineate dall'invio
Barlaam e Josaphat vengono inseriti tra i santi cristiani
di eserciti a Kuśināgara[71] .
almeno dal XIV secolo: la più antica citazione si trova
Il Brahmano Droṇa fu scelto come arbitro: divise le sarīra nel Catalogus Sanctorum di Petrus de Natalibus, canonico
in otto parti per gli otto pretendenti, per sé tenne l'urna di Jesolo tra il 1370 e il 1400[78] . La canonizzazione fu
(kumbha) con cui aveva eseguito la partizione, le ceneri ratificata nel Martyriologium di Papa Sisto V (1585-1590)
della pira andarono al brahmano Pippalāyana, giunto do- che assegna loro il giorno del 27 novembre.
po la cremazione. Una volta distribuite le sarīra ciascuna
In Europa il primo studioso ad accorgersi dell'origine
parte costruì un grande stūpa per venerarle. Lì rimasero
buddhista della storia fu Édouard René de Laboulaye
finché il sovrano Aśoka non le aprì per ri-suddividerle e
nell'articolo “Les Avâdanas” sul Journal des Debats del
diffonderle in stūpa eretti in tutto l'impero Maurya.
26 luglio 1859[77] .
In precedenza, nel 1612, il viaggiatore portoghese Diogo
do Couto, dopo aver raccolto informazioni nello Sri Lan3 Pensiero filosofico e dottrina reli- ka, si era convinto, al contrario, dell'origine cristiana
del buddhismo, proprio a causa della similitudine delgiosa
la vita del Buddha con quella di San Iosaphat. In seguito l'ebraista Steinschneider aveva intuito, senza poterlo
4 La
vita
del
Buddha provare, l'esistenza di un collegamento inverso.[79][80]
nell'Occidente medievale
Il nome Josaphat viene da Joasaf, Yodasaph è a sua
volta corruzione (da un errore greco: ΥΩΑΑΣΑΦ per
11
ΥΩΔΑΣΑΦ) dell'arabo Yūdasatf, a sua volta da Bodisat, Marco Polo, evidentemente colpito dalla storia, commencon una storpiatura della lettera iniziale “B” (‫ )بـ‬con la tò:
“Y” (‫ )يـ‬a causa della somiglianza delle lettere arabe. Bodisat viene dal sanscrito bodhisattva, termine con cui nella letteratura buddhista ci si riferisce al Buddha storico
5 La vita di Gautama Buddha seprima della sua illuminazione[77] .
Barlaam è invece una storpiatura da bhagavān, “Signore”,
termine con cui nella letteratura buddhista ci si riferisce al
Buddha.[81] Quindi il personaggio letterario del Buddha si
sdoppia letteralmente in due pur mantenendo l'impianto
della storia.
4.2
condo la storiografia contemporanea
Sargamo Borgani
Thomas William Rhys Davids (1843-1922) studioso della figura di Gautama Buddha e fondatore, nel 1881, della Pali Text
Society.
Il Milione. Descrizione di Seylam. Edizione francese del XIV
secolo
L'unica altra fonte sulla vita del Buddha per gli europei
nel Medioevo fu fornita da Marco Polo.
Nel capitolo CLV de Il Milione, dedicato all'isola di Seilla, l'odierno Sri Lanka, in cui Polo fece sosta nel suo viaggio marittimo di ritorno dalla Cina, il viaggiatore veneziano descrive nei dettagli la vita di Sargamo Borgani[82] .
Il nome viene dalla storpiatura di "Śākyamuni bhagavan",
ovvero il Buddha.
In questo caso la vicenda narrata è molto vicina
all'originale storia tradizionale buddhista, mentre nel finale è il padre che, dopo la morte di Sargamo Borgani, ne promosse il culto innalzandogli statue d'oro e
diffondendo la voce che:
L'indagine storico-critica della figura di Gautama Buddha
si avviò a partire dalla fine del XIX secolo. Studiosi come Thomas William Rhys Davids (1843-1922), Caroline
Augusta Foley Rhys Davids (1857-1942) e Hermann Oldenberg (1854-1920) analizzando il Canone buddhista
scritto in lingua pāli cercarono di eliminarne gli evidenti
contenuti mitici per tentare una ricostruzione storica della
figura del fondatore del Buddhismo. Tale approccio è tuttavia oggi ritenuto superato[85] e se anche la maggioranza
degli studiosi ritiene l'esistenza storica di Gautama Buddha un fatto acclarato[86] considera estremamente difficile ricostruirne la vita e, persino, stabilire con certezza il
periodo dell'esistenza.
Scarse sono infatti le testimonianze storiche circa la vita
del fondatore del Buddhismo e controverse sono le stesse
date. Risulta pertanto arduo separare leggenda e realtà e
collocare storicamente le vicende della vita del Buddha,
12
6
ICONOGRAFIA
ritenere che l'anno di nascita del fondatore del Buddhismo sia il 448 a.C. mentre la morte sia avvenuta
nel 368 a.C.
Altro non si può sostenere e, come ricorda Étienne Lamotte[89] , il tentativo di ricostruire o tracciare la vita di
Gautama Buddha è «una impresa priva di speranza».
L'unica cosa che si può affermare con contezza è quindi
che il Buddha visse in India in un periodo compreso tra
il VI e il IV secolo a.C. comunque proprio in quel particolare periodo a cui Karl Jaspers[90] ha dato il nome di
"periodo assiale" della storia mondiale.
In altri termini, nel periodo assiale, sembra che l'umanità
abbia fatto un incredibile salto nell'approfondimento della conoscenza di sé e si sia operata una trasformazione
globale dell'essere umano a cui, sempre secondo Jaspers,
«si può dare il nome di spiritualizzazione».
Premesso ciò, della vita di Gautama Buddha possiamo ricostruire solo un quadro piuttosto generico: fu un rinunciante e asceta, unitamente ad altri rinuncianti indiani ebbe una visione “critica” del mondo e delle sue “illusioni” e
Caroline Augusta Foley Rhys Davids (1857-1942), uno dei primi praticò e predicò delle tecniche meditative (yoga). Predistudiosi occidentali della figura di Gautama Buddha.
cò anche una vita comunitaria tra rinuncianti disciplinata
da alcune precise regole e raccolse intorno a sé altri mopoiché i riscontri a noi pervenuti non sono sempre atten- naci, ma anche laici, che ne seguivano gli insegnamenti.
dibili. Gran parte delle fonti sono infatti posteriori di al- Fu senza dubbio una personalità carismatica.
meno duecento anni rispetto agli eventi della vita di Sidd- A questo quadro, gli storici Frank E. Reynolds e Charhartha Gautama. In più, le cronache storiche indiane non les Hallisey[91] aggiungono alcune altre informazioni che,
sono rigorose nel separare eventi reali dal mito e dalla nella loro peculiarità e specificità, ritengono difficilmente
leggenda.
“inventate” dalla successiva tradizione; per questi autori
Tutte le fonti tradizionali concordano tuttavia sul fatto che è molto probabile che Gautama Buddha:
Siddhārtha Gautama sia vissuto per ottanta anni.
• appartenesse alla casta degli kṣatrya;
• Secondo le cronache singalesi riportate nel
Dīvapaṃsa e nel Mahāvaṃsa Siddhartha Gautama
sarebbe nato 298 anni prima dell'incoronazione
del re indiano Aśoka e morto (parinirvāṇa) 218
anni prima dello stesso evento. Queste cronache
indicano come il 326 a.C. l'anno della salita al
trono da parte di questo re indiano. In base a questa
tradizione, diffusa nei paesi buddhisti theravāda
(Sri Lanka, Thailandia, Birmania, Cambogia e
Laos), Siddhārtha Gautama sarebbe nato nel 624
a.C. e morto nel 544 a.C.[87]
• Gli studiosi occidentali e indiani, seguendo fonti greche, spostano la data dell'incoronazione di
Aśoka al 268 a.C. e quindi ritengono che Siddhārtha
Gautama sia nato nel 566 a.C. e morto nel 486 a.C.
• Studiosi giapponesi e lo studioso tedesco Heinz Bechert[88] seguendo fonti indiane riportate nei canoni
buddhisti cinese e tibetano che attestano la nascita
di Siddhārtha Gautama 180 anni prima della incoronazione di Aśoka e la sua morte 100 anni prima,
le incrociano con le fonti greche e giungono invece a
• nacque nel clan degli Śākya;
• fosse sposato ed ebbe un figlio;
• abbracciò la vita di asceta itinerante senza il
permesso del padre;
• andò incontro ad un fallimento quando per la prima
volta comunicò la sua esperienza dell'illuminazione;
• rischiò di perdere la guida della comunità da lui
fondata a causa di un suo cugino che propose delle
regole maggiormente ascetiche;
• morì in un luogo remoto dopo aver mangiato del
cibo avariato.
6 Iconografia
Sebbene il Buddhismo non sia mai stato attraversato da
correnti iconoclaste, per i primi secoli fu rigorosamente
aniconico, rappresentando il Buddha Gautama solo attraverso simboli: l'impronta del piede, una delle punte del
13
Statua del Buddha Shakyamuni situata nel monastero di Baolian, (isola di Lantau, Cina). Inaugurata il 29 dicembre 1993,
alta oltre 26 metri, è una delle più grandi al mondo. La sua mano destra è sollevata nell'abhyamudrā, il “gesto di incoraggiamento” per invitare ad avvicinarsi; la mano sinistra è invece nel
varadamudrā, il “gesto di esaudimento”, ovvero la disponibilità
ad esaudire i desideri dei fedeli
Triratna e dharmachakra in una impronta del piede del Buddha.
Primo secolo. Gandhara.
candosi nella letteratura religiosa. Il clima dell'India non
ha permesso la sopravvivenza di pitture buddhiste, con la
notevole eccezione del ciclo pittorico di Ājanta.
Con la diffusione del Buddhismo nell'Asia centrale,
nell'Estremo Oriente e nel Sudest asiatico l'iconografia
del Buddha si evolse in accordo con lo sviluppo dell'arte
locale, mantenendo forti connotati conservatori e di riconoscibilità. La gestualità delle rappresentazioni, sia nei
mudrā sia nella postura del corpo, mantiene il significato della rappresentazione legato a specifici momenti della
vita e della azione del Buddha: la nascita, l'illuminazione,
il primo sermone, il parinirvana, rendendole un linguaggio perfettamente riconoscibile in ambito buddhista, al
di là delle specifiche tradizioni sorte nel corso del suo
sviluppo storico e dottrinario.
Interno delle grotte di Ājanta
7 Note
Triratna, la Ruota del Dharma, uno stūpa, un loto. Ciascun simbolo rappresenta un particolare della biografia
di Gautama. A partire dal I secolo, per ragioni ancora
non chiarite, si sviluppò, sia in bassorilievi che in statuaria a tutto tondo, la rappresentazione iconica del corpo
del Buddha storico, basata per lo più sui trentadue segni
maggiori di un Buddha così come erano andati codifi-
[1] L'errata trascrizione Siddharta al posto della corretta Siddhartha è diffusa unicamente in Italia per un errore (in
seguito mai corretto) nella prima edizione del romanzo di
Hermann Hesse.
[2] In italiano a volte scritto Budda.
[3] Nelle altre lingue asiatiche il nome del Buddha Śākyamuni
viene così reso:
14
7
• in cinese come:
• in coreano come:
• in giapponese come:
Shìjiāmóuní
Seoggamoni o Sŏkkamoni
Shakamuni
• in vietnamita come: Thích ca mâu ni
• in tibetano come: Shākya thub-pa
[4] Erich Frauwallner. The Earliest Vinaya and the Beginnings
of Buddhist Literature. Roma, 1956.
[5] Op. cit..
[6] André Bareau. Recherches sur la biographie du Buddha
dans les Sūtrapitaka et les Vinayapitaka anciens 2 voll.
Paris, 1963–1971.
[7] Weise, Kai, et al. (2013), The Sacred Garden of Lumbini
- Perceptions of Buddha’s Birthplace, Paris: UNESCO
[8] Suttanipāta 693
[9] Suttanipāta 695
[10] Nidānakathā, il “racconto introduttivo” del libro delle rinascite, Jātaka; vedasi anche Anguttaranikāya, 3 39 e il
Buddhacarita canti V e VI.
[11] Aśvaghoṣa, Buddhacarita; Nidānakathā
[12] Aṅguttara Nikāya III, 38; Majjhima Nikāya 26
[13] Sukumar Dutt, Buddhist monks and monasteries of India,
their history and their contribution to Indian culture, Delhi,
Motilal Banarsidass, p. 36
[14] Dīgha Nikāya, 16 2 27
[15] Aexander Wynne, The origin of Buddhist meditation,
London, Routledge, p. 9. e segg.
[16] Majjhima Nikāya, 26 e 36; Dīgha Nikāya, 29 16; Saṃyutta
Nikāya, 35 103
[17] . Gli insegnamenti di questi sembrano connessi, o che
almeno includessero, due Upaniṣad: la Chāndogya e la
Bṛhadāraṇyaka. Hans Wolfgang Schumann, Il Buddhismo,
Milano, Armenia, 2008, ISBN 978-88-344-2213-7, p.20
e 371.
[18] Aexander Wynne, The origin of Buddhist meditation,
London, Routledge, p. 3, 26 e 122 e segg.
[19] Majjhima Nikāya, 12 e 36
[20] Tuttora presente, secondo l'opinione di molti fedeli, anche se si sa, da documenti antichi, che l'albero della Bodhi oggi presente è almeno di due generazioni successive
all'originale, vedasi per esempio Hans W. Schumann, Il
Buddha storico
[21] Majjhima Nikāya, 36
[22] Vinaya, “Mahāvagga”, I, 3, 1-4. Udāna, II, 1
[23] Pinaiye posengshi, ju.: 5 (T. 24:125-126)
[24] Hajime Nakamura, Gotama Buddha: a Biography Based
on the Most Reliable Texts, Tokyo, Kosei, 2000. Vol. 1
p.221-223.
NOTE
[25] Raniero Gnoli, The Gilgit Manuscript of the Saṅghabhedavastu, Roma, Ismeo, 1977, I, p. 122-125. Vinaya,
“Mahāvagga”, I, 4, 1-5.
[26] Vinaya, “Mahāvagga”, I, 5, 12. Zengyi ahan jing, ju. 10
(T. 2:593a)
[27] Hajime Nakamura, Gotama Buddha: a Biography Based
on the Most Reliable Texts, Tokyo, Kosei, 2000. Vol. 1
p.229.
[28] Majjhima Nikaya, I, p. 170-1. Zhōng āhán jīng ju. 56(204)
(T. 1:777)
[29] Vincenzo Talamo (traduzione dal pali, introduzione e note), Saṁyutta Nikāya, discorsi in gruppi. Roma, Ubaldini,
1998, p.727-8.
[30] Vincenzo Talamo (traduzione dal pali, introduzione e note), Saṁyutta Nikāya, discorsi in gruppi. Roma, Ubaldini,
1998, p.728.
[31] Anuttarā-samyak-saṃbodhi questa definizione avrà un
grande sviluppo soprattutto nel Buddhismo Mahāyāna
[32] Vincenzo Talamo (traduzione dal pali, introduzione e note), Saṁyutta Nikāya, discorsi in gruppi. Roma, Ubaldini,
1998, p.729.
[33] Il Dhammacakkappavattana Sutta. Traduzione italiana in:
Raniero Gnoli (a cura di), La rivelazione del Buddha, vol
1.: I testi antichi, Milano: Mondadori, 2001, p. 5. ISBN
88-04-47898-5.
[34] Hajime Nakamura, “The Aṣṭamahāsthānacaitya-storta
and the Chinese and Tibetan Versions of a Text Similar to
It”, in: Indianisme et Bouddhisme: Mélanges offerts à Mgr
Étienne Lamotte. Louvain-la-Neuve, Institut Orientaliste,
1982, p. 259-265.
[35] E. Obermiller, History of Buddhism (Chos-ḥbyung) by Buston, in: The History of Buddhism in India and Tibet.
Leipzig, Harassowitz, 1932
[36] Paul Bigandet, The Life or Legend of Gaudama, the Buddha of the Burmese. Rangoon, American Mission Press,
1866.
[37] Hajime Nakamura, Gotama Buddha: a Biography Based
on the Most Reliable Texts, Tokyo, Kosei, 2000. Vol. 1
p.274-5.
[38] Il riferimento è al Bosco di Bambù a Rajgir, dove sorgeva
il monastero di Veṇuvana, oggi parco pubblico.
[39] Ernst Waldschmidt (ed.), Das Catuṣpariṣatsūtra. Berlin,
Klasse für Sprachen, Literatur und Kunst, 1952, n 2 vol.
1, p. 202.
[40] Vinaya, Mahāvagga, I, 15-20
[41] Il sūtra è presente sia nel Vinaya, Mahāvagga, I, 21, che
nel Saṃyutta Nikāya, XXXV, 28
[42] Vinaya, Mahāvagga 22, 17-18 e Pinaye posengshi, ju. 8
(T.24:138a). Raniero Gnoli, The Gilgit Manuscript of the
Sanghabhedavastu, Roma, IsMEO, 1977, p. 159-161.
[43] Za ahan jing, ju. 43. (T.2:316b)
15
[44] La storia della conversione fu narrata in dettaglio da Asvagosha: Asvaghosa, Alessandro Passi (a cura di) Nanda il
Bello (Saundarananda-Mahakavya), Adelphi, 1985, pp.
258 ISBN 978-88-459-0605-3.
[45] Nidānakathā, Jātaka I, p. 91; Fosuoxingzan, ju. 4 (T.
4:37c)
[46] Hajime Nakamura, Gotama Buddha, a Biography Based
on the Most Reliable Texts. Tokyo, Kosei, 2000. Vol. 1,
p.345.
[47] Sheng jing, ju. 3 (T. 3:89b-90a)
[48] Hajime Nakamura, Gotama Buddha, a Biography Based
on the Most Reliable Texts. Tokyo, Kosei, 2000. Vol. 1,
p.359.
[49] Anguttara Nikaya, I.26
[50] Majjhima Nikaya I.368
[51] Cullavagga, Vinaya, 7,2,1.
[52] Hans Wolfgang Schumann, Il Buddhismo, Milano, Armenia, 2008, ISBN 978-88-344-2213-7, p. 117
[53] Cullavagga, Vinaya, 7,3,4-5.
[54] Vinaya, II.194
[55] Jātaka n. 533
[56] Digha Nikaya, I.85-6
[57] Jātaka I.491
[58] Milindapañha, 101
[59] Carlo Puini, Mahaparinirvana-sutra, ovvero il libro della
totale estinzione del Buddha nella redazione cinese di PeFa-Tsu, Lanciano, Carabba, 1911. P. 20.
[60] Carlo Puini, Mahaparinirvana-sutra, ovvero il libro della
totale estinzione del Buddha nella redazione cinese di PeFa-Tsu, Lanciano, Carabba, 1911. P. 33.
[61] Il luogo dell'attraversamento è oggi noto come Gautama
Ghat o Buddha Ghat e si trova alla fine di Buddha Marg,
Patna, N 25.622 E 85.137. S. Muthiah, Where the Buddha
Walked, Madras, TT Maps, 1990, p. 18-22.
[62] Carlo Puini, Mahaparinirvana-sutra, ovvero il libro della
totale estinzione del Buddha nella redazione cinese di PeFa-Tsu, Lanciano, Carabba, 1911. P. 35.
[63] Carlo Puini, Mahaparinirvana-sutra, ovvero il libro della
totale estinzione del Buddha nella redazione cinese di PeFa-Tsu, Lanciano, Carabba, 1911. P. 59.
[64] Mahāparinibbānasuttanta, Dīgha Nikāya, 16 II 32
[65] Mahāparinibbāna Sutta. DN 16. Chaṭṭha Saṅgāyana CDROM (version 3). Igatpuri : Vipassana Research Institute.
[D ii.155-6.]
[66] John S. Strong, Relics of the Buddha. Princeton, Princeton
UP, 2004, p.98-122. ISBN 978-0-691-11764-5
[67] John S. Strong, Relics of the Buddha. Princeton, Princeton
UP, 2004, p. 108
[68] David L. Snellgrove, "Śākyamuni’s Final Nirvaṇa” in: Bullettin of the School of Oriental and Asian Studies, 36, p.
399-411
[69] Gregory Schopen, “Relic” in: Critical Terms for Religious
Studies, Chicago, University of Chicago Press, 1998. p.
261
[70] John S. Strong, Relics of the Buddha. Princeton, Princeton
UP, 2004, p. 115
[71] André Bareau, Recherches sur la biographie du Buddha dans le sūtrapiṭaka anciens: II. Les derier mois,
le parinirvāṇa et les funérailles. Paris, Ecole Française
d'Extrême-Orient, 1971, p. 284-285
[72] In persiano medio si trova nel Bundahishn, testo enciclopedico zoroastriano, la frase "dēv ān kē-š pat Hindūkān
paristēnd api-š vaχš pat ān butīhā mēhmān čēegōn bōδˇāsaf paristēt" (“il demone But è ciò che essi adorano in India
e nella sua immagine uno spirito risiede che è adorato come Bōδāsaf.”). H. W. Bailey, “The word “But” in Iranian”
in: Bulletin of the School of Oriental and African Studies,
(1931), 6: p. 279-283
[73] In persiano medio è attestata l'esistenza di questa storia,
dall'elenco di traduzioni verso l'arabo, che ne fa il Kitabal-Fihrist tra le opere tradotte. Si presume che la traduzione in persiano medio sia avvenuta durante il regno di
Cosroe I. Robert Lee Wolff, “Barlaam and Ioasaph”, in:
The Harvard Theological Review, Vol. 32, No. 2, Apr.,
1939, p. 136
[74] Eliana Creazzo, “La cornice del Barlaam e Josaphat”,
in: Natalia L. Tornesello, Medioevo romanzo e orientale.
Macrotesti fra Oriente e Occidente. Atti del quarto Colloquio internazionale (Vico Equense, 26-29 ottobre 2000),
Rubbettino Editore, 2003, p. 341[75] M. Steinschneider, “An Introduction to the Arabic Literature of the Jews” in: The Jewish Quarterly Review, Vol.
12, No. 4, Jul., 1900, p. 607
[76] Roberto González-Casanovas, “Preaching the Gospel in
Barlaam and Blanquerna: Pious Narrative and Parable in
Medieval Spain”, in: Viator, Volume 24, Volume 24 /
1993, p. 215-232
[77] Thomas William Rhys Davids, Buddhist Birth Stories,
Trubner, 1880
[78] Erroneamente considerato vescovo in: Thomas William
Rhys Davids, Buddhist Birth Stories, Trubner, 1880
[79] Sir Ernest Alfred Wallis Budge, Baralam and Yewasef:
The Ethiopic Version of a Christianized Recension of the
Legend of the Buddha and the Bodhisattva, University
Press, 1923. P. xxxvi.
[80] L'opera che determinò la definitiva prova dell'origine buddhista della leggenda cristiana fu Joseph Jacobs, Barlaam
and Josaphat. English lives of Buddha, London, David
Nutt, 1896.
[81] Sir Ernest Alfred Wallis Budge, Baralam and Yewasef:
The Ethiopic Version of a Christianized Recension of the
Legend of the Buddha and the Bodhisattva, University
Press, 1923. P. XLI.
16
12
[82] Variamente trascritto nei vari codici e traduzioni come:
“Sergamom Borcam”, “Sergamoni Borcan”, “Sagamoni
Borcan”, “Sogomombar can” e “Sergamon borcham”
10 Voci correlate
• Buddha
[83] Marco Polo, Il Milione, Milano, Rizzoli, 1981, p. 409
• Buddhismo
[84] Marco Polo, Il Milione, Milano, Rizzoli, 1981, p. 408
• Nascite miracolose
[85] Frank E. Reynolds e Charles Hallisey in Buddha, Encyclopedia of Religion vol. 2 pag. 1061. New York, Macmillan,
2005.
[86] Cfr. Étienne Lamotte Histoire du bouddhisme indien.
Louvain, 1958, pp. 707–59.
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[87] Altre tradizioni offrono ulteriori datazioni:
• secondo la cronaca tibetana Phu-lugs, Siddhārtha
Gautama sarebbe vissuto tra il 961 a.C. e l'881 a.C.
• secondo le tradizioni giapponesi delle scuole Jodō
shinshū e Nichiren Shōshū, che riprendono a loro
volta alcune tradizioni cinesi, Siddhārtha Gautama
sarebbe vissuto tra il 1061 a.C. e il 949 a.C.
[88] Heinz Bechert. The Date of the Buddha Reconsidered.
Indologica Taurinensia 10, 1982, 29–36.
COLLEGAMENTI ESTERNI
12 Collegamenti esterni
[89] Op. cit pag. 16
• Unione Buddhista Italiana
[90] in Vom Ursprung und Ziel des Geschichte. Artemis, Zurigo 1949; Piper, München 1949 (1983); trad. it., Origine
e senso della storia, a cura di A. Guadagnin, Comunità,
Milano, 1965, pag.20.
• Introduzione al Buddhismo a cura del CESNUR
[91] Op. cit. pag. 1062.
8
Bibliografia
• Michael Carrithers, Buddha, Einaudi 2003: ISBN
88-06-16446-5.
• Karen Armostrong, Buddha. Una Vita, Rizzoli
2002: ISBN 88-17-86951-1.
• Le gesta del Buddha (Buddhacarita Canti I-XIV), a
cura di Alessandro Passi. Adelphi, 1979. ISBN 97888-459-0392-2.
• Thich Nhat Hanh, Vita di Siddhartha il Buddha. Narrata e ricostruita in base ai testi canonici pāli e cinesi, Astrolabio Ubaldini 1992: ISBN
88-340-1076-0.
• Donald S. Lopez Jr., Che cos’è il Buddhismo, Astrolabio Ubaldini - Collana: Civiltà dell'Oriente 2002.
9
Film sul Buddha
• Piccolo Buddha, 1993, di Bernardo Bertolucci;
• Buddhismo tra Arte e Culto
• Raccolta di traduzioni inglesi dei sutra del Tripitaka
17
13
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