n. 3 Luglio-Settembre 2015 - Provincia Lombardo Veneta

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Anno LXXIX - N. 3 LUGLIO/SETTEMBRE 2015 ISSN 0392 3592 - Notiziario della Provincia Lombardo-Veneta dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio
Poste Italiane s.p.a. spedizione in abbonamento postale d. L. 353/2003 (Conv. In legge 27/02/2004 N.46) Art. 1 - Comma 1, LO/MI taxe perçue
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UNO SGUARDO AL FUTURO DEGLI OSPEDALI RELIGIOSI Intervista ad Elio Borgonovi pag. 36
Piccoli gesti
per cambiare
il mondo
3/2015
1
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3/2015· Centro Studi e Formazione > [email protected] · Centro Pastorale Provinciale [email protected]
2
Sommario
In copertina
Papa Francesco
nel viaggio
in America
si mostra semplice,
accogliente
e determinato:
«pace, lavoro, libertà
e terra per tutti»
questo il suo invito
all’ONU.
15
10
5 Editoriale
L a “500 L”...
Marco Fabello o.h.
6
13 6
Parole di Ospitalità
Ser vizio e gratuità, ma prima di tutto ascoltare
Aldo Maria Valli
10 Ospitalità e Consacrazione
L’inter vista impossibile
di Giovanni Cervellera
13 Meeting dei giovani europei ad Avila
e Ospitalità
15 Etica
Bioetica quotidiana: il rapporto con gli animali
Carlo Bresciani
18 Pastorale e Ospitalità
a cura di Laura Maria Zorzella
Condividere l’Ospitalità insieme alle ragazze
con disturbi alimentari
Laura Alaimo
e ricerca
22 Pastorale
Miriam Ciani
3/2015
3
Sommario
39
24
Filosofia di vita e Ospitalità
27
Psichiatria e Ospitalità
Marco Fabello o.h.
CAPO REDATTORE:
Elvio Frigerio
72
Rosmini: Carità e Cultura
Maurizio Schoepf lin
a cura di Rosaria Pioli
Cosa pensiamo della malattia di Alzheimer?
Eugenio Borgna
Un’alternativa al carcere: l’unità forense
“S. Riccardo Pampuri”
Vanda Braida
36 Ospitalità e Sanità
Uno sguardo al futuro degli ospedali religiosi
L’intervista di Paolo Viana
39
44
47
50
84
27
Dalle
nostre
case
____________
Fede e Ospitalità
San Riccardo Pampuri: eucaristicamente pio 53 San Colombano
Luca Beato o.h.
al Lambro
56 Erba
Ospitalità nel tempo
Corsi e ricorsi storici
58 Venezia
Giusi Assi
59 Brescia
63 San Maurizio
Erbe e Salute
Canavese
Orti rialzati... come farli e renderli
accessibili a tutti
63 Cernusco
Lorenzo Cammelli
sul Naviglio
Recensioni
Elvio Frigerio
52 Dalle nostre case
a cura di Elvio Frigerio
72 Ospitalità al femminile
64 Solbiate
65 Romano d’Ezzelino
68 Varazze
69 Ricordiamoli
Chiara Lubich: il suo cammino con Maria
Florence Gillet
4
3/2015
Anno LXXIX n. 3
LUGLIO/SETTEMBRE 2015
Direttore RESPONSABILE:
36
24
30
44
ISSN: 0392 - 3592
FATEBENEFRATELLI NOTIZIARIO
Rivista trimestrale degli Istituti e Ospedali
della Provincia Lombardo - Veneta dell’Ordine
Ospedaliero di San Giovanni di Dio.
Registro Stampa tribunale di Milano n. 206 del
16.6.1979 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in
Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI
COLLABORATORI:
Giusi Assi, Luca Beato o.h., Eugenio Borgna,
Carlo Bresciani, Lorenzo Cammelli,
Gianni Cervellera, Florence Gillet,
Maurizio Schoepflin, Aldo Maria Valli,
Paolo Viana, Laura Zorzella.
CORRISPONDENTI:
Erba: Silvia Simoncin; Venezia: Barbara Cini;
S. Colombano al Lambro: Serafino Acernozzi o.h.;
Cernusco sul Naviglio: Gianni Cervellera;
S. Maurizio Canavese: M. Elena Boero;
Solbiate: Anna Marchitto; Gorizia: Fulvia Marangon;
Varazze: Agostino Giuliani;
Romano d’Ezzelino: Lavinia Testolin;
Croazia: Kristijan Sinkovic’ o.h.
REDAZIONE - PUBBLICITà
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CSC Audiovisivi - Archivio
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Associato all’Unione
Stampa Periodica Italiana
nel Signore
Visto del Superiore Provinciale
Massimo Villa o.h. il
30 settembre 2015
EDITORIALE
LA “500 L”...
Marco
Fabello o.h.
E’
quasi impossibile aprire il
numero 3 della nostra rivista senza lasciarsi trascinare
dall’immagine di Papa Francesco a Cuba e negli Stati
Uniti. Ma ancora di più dal
suo arrivo a Washington, scendere
dall’aereo e infilarsi nella macchina,
una “Fiat 500 L”.
Un messaggio chiaro e inequivocabile fin dal suo arrivo: povertà, semplicità, fraternità, accoglienza. E poi:
basta guerre, via la pena di morte,
la vita è il valore, le armi per fare
soldi, gli incontri con la gente, con i
bambini profughi, e altro ancora e
il discorso all’ONU: «pace, lavoro,
libertà e terra per tutti».
Ma Papa Francesco parlando agli
Stati Uniti, si è rivolto a tutti gli uomini e le donne, e nell’incontro con
i Vescovi si è rivolto a tutta la Chiesa.
Siamo tutti un po’ responsabili della
violenza che c’è nel mondo, del degrado delle famiglie.
Tutti abbiamo qualche responsabilità sul degrado della terra, del suo
inquinamento anche con i nostri gesti quotidiani sulle piccole cose che
potremmo e dovremmo fare e non
facciamo.
Siamo un po’ tutti responsabili di
quell’amore universale che viene a
mancare, di quella incapacità di accoglienza e di Ospitalità che lascia
nella sofferenza milioni di persone
tra il disinteresse e l’ostilità di tanti, anche credenti. La “Fiat 500 L”
porta dentro di sé un carico enorme
di responsabilità, acquista il significato che con i piccoli gesti di bontà
si può cambiare il mondo, che con
strumenti modesti e poche risorse si
può aiutare il prossimo in difficoltà. La “500” cammina tra la gente,
anche tra i messicani che tentano di
raggiungere gli Stati Uniti. Forse anche Francesco ne porta quattro per
volta in salvo, forse fa ancora tanti
viaggi per ricongiugere le famiglie, i
genitori coi bambini ancora piccoli,
come quella bambina che sfugge alla
sorveglianza e consegna al Papa una
lettera che chiede aiuto per i suoi
genitori. La domanda che deve tormentarci fino ad una riposta che ci
impegni è: io, cristiano, laico, religioso, uomo vero, cosa faccio perché il mondo sia migliore?
Se lo vogliamo ci sarà sempre una
ideale “500 L” che ci attende per
frequentare percorsi di carità.
3/2015
5
Parole di Ospitalità
Servizio
e gratuità, ma
prima di tutto
ascoltare
Aldo Maria
Valli
È triste quando si trovano comunità
cristiane, siano parrocchie,
congregazioni religiose, diocesi, che si
dimenticano della gratuità, perché dietro
c’è l’inganno di presumere che la salvezza
viene dalle ricchezze, dal potere umano…
Francesco porta come esempio la figura
di Teresa di Calcutta,
la piccola grande suora che
«sentiva la voce del Signore: non parlava
e nel silenzio ha saputo ascoltare»
e quindi agire.
F
ra le tante omelie tenute da Papa Francesco nelle messe del mattino a Santa Marta ce ne sono
alcune che risuonano come ammonimenti speciali per chi è chiamato a dedicarsi ai fratelli attraverso l’accoglienza e l’assistenza. Sebbene la
forma scritta non sia la migliore per restituire la
freschezza del suo stile, pieno di invenzioni linguistiche, vale allora la pena di ripercorrere le riflessioni proposte da Francesco, a partire dal 26 giugno
2015, quando, puntando l’attenzione sulla vicinanza,
spiega che i cristiani sono senz’altro chiamati ad avvicinarsi concretamente a coloro che il resto della società tende a escludere, ma avvicinarsi in realtà non
basta. Bisogna anche porgere la mano in un gesto di
affetto e di condivisione. Ed è proprio questo che
rende la Chiesa una vera comunità.
6
3/2015
bene: “Essendo uguale a Dio,
La Chiesa è comunità se non stimò un bene irrinunciabile questa divinità; annientò
si avvicina agli ultimi
se stesso”. E poi Paolo va olPapa Francesco ricorda l’e- tre: “Si fece peccato”. Gesù
sempio di Gesù. È stato lui il si è fatto peccato. Gesù si è
primo a «sporcarsi le mani». escluso, ha preso su di sé l’imLo ha fatto toccando i lebbro- purità per avvicinarsi a noi».
si e guarendoli. E insegnando
così alla Chiesa «che non si Gesù include
può fare comunità senza vicinanza». Certo, occorre an- Nel Vangelo troviamo anche
che l’iniziativa del malato di l’invito che Gesù rivolge al
lebbra, che si fa coraggio, si lebbroso guarito: «Guàrdati
prostra davanti a Gesù e lo bene dal dirlo a qualcuno; va’
interpella: «Signore, se vuoi, invece a mostrarti al sacerdote
puoi purificarmi». E di fronte e presenta l’offerta prescritta
a questa richiesta Gesù non si da Mosè come testimoniantira indietro, né si limita a un za per loro». Che significa?
discorso di circostanza. Gesù Vuol dire, spiega Francesco,
che per Gesù è fondamentale
tocca il lebbroso e lo risana.
non solo la prossimità, ma anIl bene non si fa da lontano che l’inclusione. Il lebbroso è
riammesso nel consesso sociaIl miracolo, nota il Papa, av- le, gli è attribuita di nuovo una
viene sotto gli occhi dei dot- cittadinanza.
tori della legge, che restano «Tante volte penso che sia
scandalizzati, perché per loro non dico impossibile, ma molil lebbroso è un impuro. La to difficile fare del bene senlebbra, osserva Francesco, era za sporcarsi le mani. E Gesù
veramente una condanna a si sporcò. Vicinanza. E poi
vita e «guarire un lebbroso era va oltre. Gli disse: “Vai dai
tanto difficile quanto resuscita- sacerdoti e fa quello che si
re un morto». I lebbrosi erano deve fare quando un lebbroin effetti morti viventi, total- so viene guarito”. Quello che
mente emarginati dal contesto era escluso dalla vita sociale,
sociale. Gesù invece tende la Gesù lo include: include nelmano all’escluso, all’ultimo fra la Chiesa, include nella sociegli ultimi, indicando così, con tà. “Vai, perché tutte le cose
un gesto più eloquente di tante siano come devono essere”.
parole, che cosa significa «vici- Gesù non emargina mai alcuno, mai. Emargina sé stesso,
nanza».
«Non si può fare comunità per includere gli emarginati,
senza vicinanza. Non si può per includere noi, peccatori,
fare pace senza vicinanza. Non emarginati, con la sua vita».
si può fare il bene senza avvicinarsi. Gesù ben poteva dirgli: Io so avvicinarmi?
“Sii guarito!”. No: si avvicinò e
lo toccò. Di più! Nel momen- Francesco sottolinea lo sconto che Gesù toccò l’impuro, certo suscitato da Gesù con le
divenne impuro. E questo è il sue parole e soprattutto con i
mistero di Gesù: prende su di suoi gesti. Sconcerto e stuposé le nostre sporcizie, le nostre re che spesso troviamo anche
cose impure. Paolo lo dice oggi e che tuttavia, a volte,
conquistano: «Quanta gente
seguì Gesù in quel momento»
e quanta gente «segue Gesù
nella storia perché è stupita di
come parla».
«Quanta gente guarda da lontano e non capisce, non le
interessa. Quanta gente guarda da lontano ma con cuore
cattivo, per mettere Gesù alla
prova, per criticarlo, per condannarlo. E quanta gente guarda da lontano perché non ha il
coraggio che lui ha avuto, ma
ha tanta voglia di avvicinarsi!».
«Vicinanza», conclude Francesco, è una bella parola,
ricca di significato per ogni
cristiano, anche perché invita
a un esame di coscienza: «Io
so avvicinarmi?». Ho «animo,
ho forza, ho coraggio di toccare gli emarginati?». È una domanda che riguarda anche «la
Chiesa, le parrocchie, le comunità, i consacrati, i vescovi,
i preti, tutti».
Prima di tutto ascoltare
Vicinanza vuol dire anche
ascoltare, e proprio all’ascolto
Papa Francesco dedica l’omelia a Santa Marta del 25 giugno
2015. Il passo evangelico commentato è quello della casa
costruita sulla roccia, e Francesco prima di tutto nota che il
brano di Matteo (7, 21-29) arrivi al termine di «una sequela
di catechesi che Gesù fa al popolo», un popolo che resta ancora una volta stupito e segue
il Signore perché egli insegna
«come uno che ha autorità, e
non come i loro scribi», il che
dà un insegnamento anche a
noi: «La gente sa quando un
sacerdote, un vescovo, un catechista, un cristiano, ha quella
coerenza che gli dà autorità, sa
discernere bene».
Del resto, lo stesso Gesù, in
un passo precedente, «ammo3/2015
7
Parole di Ospitalità
nisce i suoi discepoli, la gente,
tutti: “Guardatevi dai falsi profeti”». L’espressione giusta sarebbe «pseudoprofeti». Questi pseudoprofeti «sembrano
pecorelle, pecore buone, ma
sono lupi rapaci». E il Vangelo
riporta proprio il brano in cui
Gesù spiega come discernere
«dove sono i veri predicatori
del Vangelo e dove sono quelli
che predicano un Vangelo che
non è Vangelo».
Ci sono, spiega il Papa, «tre
parole chiave per capire questo: parlare, fare e ascoltare».
Si parte dal «parlare». Afferma
Gesù: «Non chiunque mi dice:
“Signore, Signore”, entrerà nel
regno dei Cieli». E continua:
«In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non
abbiamo fatto profezie nel tuo
nome? E nel tuo nome non
abbiamo forse scacciato demoni? E nel tuo nome non
abbiamo forse compiuto molti
prodigi?”». Ma a costoro risponderà: «Non vi ho mai conosciuti, allontanatevi da me
voi che operate l’iniquità».
I falsi profeti
Perché questa durezza di Gesù
nei confronti di chi, dopo tutto, ha fatto tanto? Perché, dice
Francesco, «questi parlano,
fanno», ma manca loro «un
altro atteggiamento, che è proprio la base, che è proprio il
fondamento del parlare, del
fare»: manca «l’ascoltare».
Infatti Gesù continua: «Chi
ascolta queste mie parole e le
mette in pratica...». Dunque
«il binomio parlare-fare non
è sufficiente», e addirittura
può risultare ingannevole. Il
binomio corretto è un altro:
è «ascoltare e fare, mettere in
8
3/2015
pratica». Infatti Gesù ci dice: vero cristiano, e alla fine crol«Chiunque ascolta queste mie lerà tutto», perché «non è sulla
parole e le mette in pratica roccia dell’amore di Dio, non
sarà simile a un uomo saggio è “roccioso”». Invece «uno
che ha costruito la sua casa sul- che sa ascoltare e dall’ascolto
la roccia. Poi viene la pioggia, fa, con la forza della parola di
soffiano i venti ma la casa ri- un altro, non della propria»,
mane salda perché è una casa costui «rimane saldo come la
rocciosa, fatta sulla roccia». In- roccia: benché sia una persona
vece «quello che ascolta le pa- umile, che non sembra imporrole ma non le fa sue, le lascia tante», è grande.
passare, cioè non ascolta sul E «quanti di questi grandi ci
serio e non le mette in pratica, sono nella Chiesa! Quanti vesarà come quello che edifica la scovi grandi, quanti sacerdoti
sua casa sulla sabbia».
grandi, quanti fedeli grandi che
Ecco quindi la chiave per ri- sanno ascoltare e dall’ascolto
conoscere i falsi profeti: «Dai fanno!».
loro frutti li conoscerete». Ovvero «dal loro atteggiamento: L’esempio di Teresa
tante parole, parlano, fanno di Calcutta
prodigi, fanno cose grandi, ma
non hanno il cuore aperto per Francesco porta come esemascoltare la parola di Dio, han- pio la figura di Teresa di Calno paura del silenzio della pa- cutta, la piccola grande suora
rola di Dio». Sono questi «gli che «sentiva la voce del Signopseudocristiani, gli pseudopa- re: non parlava e nel silenzio
stori», che «fanno cose buo- ha saputo ascoltare» e quindi
ne», ma «gli manca la roccia». agire. «Ha fatto tanto» e, come
A questi «pseudocristiani» la casa costruita sulla roccia,
manca proprio «la roccia «non è crollata né lei né la sua
dell’amore di Dio, la roccia opera». Dalla sua testimoniandella parola di Dio».
za si capisce che «i
E, aggiunge Francesco, «Tante volte
grandi sanno ascolpenso che
«senza questa roccia
tare e dall’ascolto
sia molto
non possono profetizfanno, perché la
difficile
zare, non possono
loro fiducia e la loro
fare
costruire: fanno finta,
forza» sono «sulla
del bene
perché alla fine tutto
roccia dell’amore di
senza sporcarsi
crolla».
Gesù Cristo».
le mani»
Questi «pseudopastoAvvicinarsi, includeri» sono «i pastori mondani, i re, ascoltare. Ma per il cristiapastori o i cristiani che parlano no ci sono altre tre parole che
troppo», forse perché «hanno non possono mai essere dipaura del silenzio», e che «fan- menticate. Esse sono «cammino forse troppo». Incapaci di no, servizio e gratuità». Papa
agire a partire «dall’ascolto», Francesco lo dice l’11 giugno
operano a partire da loro stes- 2015 quando, nell’omelia a
si, «non da Dio».
Santa Marta, commenta il
Quindi, ricordiamo: «Uno brano evangelico in cui Gesù
che parla e fa, solamente, non invia i discepoli ad annunciaè un vero profeta, non è un re la buona notizia. Gesù, dice
Francesco, invia i discepoli a
compiere un cammino che
non è certamente una passeggiata, ma è un invio con
un messaggio: «Annunciare il
Vangelo, uscire per portare la
salvezza, il Vangelo della salvezza».
Portare la buona notizia
Ecco «il compito che Gesù dà
ai suoi discepoli. Se un discepolo rimane fermo e non esce,
non dà quello che ha ricevuto nel battesimo agli altri, non
è un vero discepolo di Gesù:
gli manca la missionarietà, gli
manca uscire da se stesso per
portare qualcosa di bene agli
altri».
«Il percorso del discepolo di
Gesù è andare oltre per portare questa buona notizia. Ma
c’è un altro percorso del discepolo di Gesù: il percorso interiore, il percorso dentro di sé,
il percorso del discepolo che
cerca il Signore tutti i giorni,
nella preghiera, nella meditazione. Anche quel percorso il
discepolo deve farlo perché, se
non cerca sempre Dio, il Vangelo che porta agli altri sarà un
Vangelo debole, annacquato,
senza forza».
va la tentazione dell’egoismo:
“Sì, io sono cristiano, per me
sono in pace, mi confesso,
vado a Messa, compio i comandamenti”. Ma il servizio
agli altri? Il servizio a Gesù
nell’ammalato, nel carcerato,
nell’affamato, nel nudo. Quello che Gesù ci ha detto che
dobbiamo fare perché Lui è lì!
Il servizio a Cristo negli altri».
Servire gratuitamente
La terza parola è gratuità.
«Gratuitamente avete ricevuto,
gratuitamente date», è il monito di Gesù.
«Il cammino del servizio è gratuito – sottolinea Francesco –
perché noi abbiamo ricevuto
la salvezza gratuitamente, pura
grazia: nessuno di noi ha comprato la salvezza, nessuno di
noi l’ha meritata.
È pura grazia del Padre in
Gesù Cristo, nel sacrificio di
Gesù Cristo».
«È triste quando si trovano
cristiani che dimenticano
questa Parola di Gesù: “Gratuitamente avete ricevuto,
gratuitamente date.
È triste quando si trovano
comunità cristiane, siano
parrocchie, congregazioni
religiose, diocesi, che si dimenticano della gratuità,
perché dietro di questo e
sotto questo c’è l’inganno
(di presumere) che la salvezza viene dalle ricchezze, dal
potere umano».
La nostra speranza è in Gesù
Cristo che ci dona «una speranza che non delude mai».
Ma «quando la speranza è
nella propria comodità» o è
«nell’egoismo di cercare le
cose per sé e non per servire
gli altri, o quando la speranza è nelle ricchezze o nelle
piccole sicurezze mondane,
tutto questo crolla.
Il Signore stesso lo fa crollare».
Un discepolo di Gesù che
non serve non è cristiano
«Questo doppio percorso è
il doppio cammino che Gesù
vuole dai suoi discepoli». E c’è
poi la seconda parola: servire.
«Un discepolo che non serve
gli altri non è cristiano. Se un
discepolo non cammina per
servire non serve per camminare. Se la sua vita non è per
il servizio, non serve per vivere, come cristiano. E lì si tro-
LA GENTE SA
QUANDO UN
SACERDOTE, UN
VESCOVO, UN CATECHISTA, UN CRISTIANO HA QUELLA
COERENZA CHE GLI
Dà AUTORITà
3/2015
9
Ospitalità E CONSACRAZIONE
L’intervista
impossibile
Giovanni
Cervellera
Mi piacerebbe fare una cosa impossibile:
intervistare San Giovanni di Dio.
Provo a collegarmi via etere,
come si farebbe con una telefonata
e dopo qualche tentativo
riesco ad agganciare
un filo diretto con il santo.
B
uongiorno Giovanni, quaggiù
stiamo vivendo
un anno dedicato alla Vita
Consacrata. Sono tempi
difficili per questo tipo
di scelta. Le vocazioni
si riducono, i monasteri
chiudono e molte congregazioni sono costrette a
vendere o abbandonare
le loro opere. La crisi economica degli ultimi anni
non ha certo aiutato, anzi
ha fatto emergere nuove e
più pesanti difficoltà. Tu
che hai fondato un ordine
religioso che cosa pensi
di questa situazione?
10
3/2015
Anzitutto, grazie per questo Papa di essere costituiti in un
colloquio. Da qualche tempo, Gruppo ospedaliero. Tant’è
non è così frequente che le per- che io non avevo lasciato nulla
sone si rivolgano al cielo. Poi, di scritto sulla nostra vita insievorrei precisare che io non ho me, nessuna regola e il Papa
pensato principalmente a fon- dette ai primi frati la regola di
dare un ordine religioso. Io ho S. Agostino.
avuto un’idea, qualcuno mi ha
ispirato. Ho incominciato a cu- Quindi, non volevi fondarare i malati come pensavo fos- re un ordine?
se giusto e ho cercato di convincere altri ad accompagnami Non è proprio così. La mia fu
in questo servizio. Ecco quello anzitutto una scelta di consacrache ho fatto: ho seguizione totale. In seguito
«Dovete
to quella che pensavo
alla mia conversione
obbedire
fosse una strada digniricevetti un abito e un
a lavorare
tosa per la cura degli
nome nuovo, come
infermi. Negli ultimi molto e perdere si fa con i religiosi, e
il sonno
dieci anni della mia
sono molto felice che
nella cura
vita sulla terra non ho dei poveri»
altri durante la mia vita
avuto altro pensiero se
e dopo abbiano fatto la
non quello di dedicarmi anima stessa scelta. Se fossi vissuto ane corpo alla cura. Alcuni anni cora qualche anno, penso che
dopo la mia morte, ho saputo mi sarei deciso io stesso a chieche un gruppo di amici ha con- dere la costituzione di un orditinuato a seguire le mie orme, ne religioso, ma era talmente
fondando ospedali e facendo grande l’ansia di curare i malati
vita comune e hanno chiesto al che non vedevo altro.
Quando avvenne la tua avuto la fortuna di conoscere
conversione?
e che mi ha seguito in tutto il
mio percorso.
Era da tempo che cercavo il Sono stato fortunato, perché
mio posto nel mondo.
lui ha guidato molti grandi
Ho fatto di tutto: il pastore, il santi: Ignazio di Loyola, Tesoldato per molto tempo, il resa d’Avila, solo per dirne
tagliapietre, il libraio…
qualcuno. Pochi anni fa, abbiamo fatto festa anche in
Ah, sì, questo lo so per- Cielo perché è stato proclaché ancora oggi esiste in mato addirittura dottore della
Italia un premio lettera- Chiesa. E pensare che in vita
rio che porta la tua im- fu accusato di eresia. Insommagine di libraio, è… il ma, quella predica sconvolse
premio Bancarella.
la mia vita. Era il Signore che
mi aspettava in quel passagMa in tutto questo non ero gio. Fu tanta la gioia che mi
soddisfatto. Poi un giorno presero per pazzo e fui rinmi sono ritrovato in Chiesa chiuso nell’Ospedale Reale.
ad ascoltare una predica di Qui mi accorsi subito che i
Giovanni d’Avila: un grande malati non erano curati con
uomo, un vero santo, che ho rispetto e presi una decisione:
«voglio aprire un ospedale secondo la mia volontà, dove ci
siano cure per il corpo e per
lo spirito».
E cosi feci.
LA
Mi misi subito COMUNITà
ad aiutare gli
PUò
infermieri ad
ESSERE
assistere i malati più pericoIL LUOGO
losi e quando
CHE
fui dimesso,
PERMETTE
dopo
pochi
DI
mesi, aprii un
piccolo ospeSUPERARE
dale secondo I PROBLEMI
il mio desiderio.
Non fu facile,
ma la volontà era ferma.
Nella prima domanda accennavi alle difficoltà che avete
oggi.
3/2015
11
Ospitalità E CONSACRAZIONE
Non pensare che nel cinquecento le cose fossero molto
diverse.
Certo non mancavano le vocazioni, ma bisognava essere
accorti.
Ho sempre avuto grande ammirazione per i religiosi, però
la vocazione deve essere ben
valutata per non rischiare che
sia una scelta di comodo per
avere il pane assicurato.
Anche tra i miei primi collaboratori, nonostante avessi bisogno di aiuto, non ho risparmiato di dire loro che stavano
per intraprendere una strada
difficile.
12
3/2015
Ricordo che a Luigi Battista,
un giovane alquanto tentennante che voleva venire in mio
soccorso, ho dovuto dire: «ma
se venite qui, dovete obbedire
molto e lavorare molto più di
quanto abbiate lavorato, e tutto assorto nelle cose di Dio e
perdere il sonno nella cura dei
poveri».
Ero sempre pieno di debiti, i
soldi non bastavano mai… mi
pare che a debiti anche voi
avete conservato buone tradizioni. Io avevo un piccolo
segreto, che poi tanto segreto
non è. Ogni volta che mi si
presentava un problema, lo
affidavo al Signore. Ogni cosa
che facevo; quando scrivevo
una lettera, quando dovevo
dare una risposta, quando non
c’erano più soldi… sempre.
E devo dire che pur in mezzo
a mille tribolazioni, la provvidenza non è mai mancata.
Poi facevo tutto quanto era
nelle mie possibilità perché le
cose andassero per il meglio.
Pregavo molto quando dovevo
scegliere un mio collaboratore.
Questo mi incuriosisce.
Come facevi a scegliere
le persone più adatte?
Non è mai stato semplice. Mi
fidavo e pregavo.
Bisogna vedere nelle persone
la parte buona e soprattutto
dare tanta fiducia, è quella che
fa crescere. Poi, bisogna osare:
dove tutti si arrendono, bisogna insistere. Il mio primo collaboratore fu un uomo assetato di vendetta: Anton Martin.
Gli avevano ucciso il fratello.
Io mi avvicinai a lui e gli chiesi
di perdonare l’assassino.
Il Signore si servì delle mie
parole per aprire il cuore di
quell’uomo.
Non solo perdonò, ma rimase
così colpito che decise di aiutarmi nel mio lavoro.
In seguito la persona che era
stata perdonata, Pedro Velasco, chiese di vestire lo stesso
abito.
Così due uomini che si odiavano divennero i miei compagni
più fidati.
Il Signore aveva aperto i loro
cuori, ma io li ho sempre seguiti, non li ho mai abbandonati, li ammaestravo con buone parole, con testimonianze.
In questo mi facevo aiutare dal
mio maestro Giovanni d’Avila
che non ha mai lesinato consigli per me.
Devo dire che lui mi ha sempre aiutato anche nella ricerca
di denaro. Non basta mai e va
cercato dove si trova.
Se ricordo bene, i tuoi figli
spirituali sono nati come
ordine mendicante…
Sì, e di questo sono sempre
stato orgoglioso.
Non vi è nulla di male nel chiedere i soldi per fare del bene.
E mi piace proprio che in Italia i miei figli spirituali siano
conosciuti come fatebenefratelli, perché è proprio vero
che facendo del bene agli altri,
si fa del bene anche a se stessi.
Dall’alto vedo che cosa sta
succedendo nelle vostre nazioni europee.
C’è questo fenomeno enorme
dei migranti, che sembra destinato a non finire.
Penso che accogliendo loro si
accoglie Cristo e si fa del bene
a se stessi. In qualche modo si
rende giustizia per quello che
tante popolazioni hanno subito nei secoli.
Al tempo stesso vi aiuta, perché se è vero che ai miei tempi
c’erano ancora gli schiavi, penso che anche da voi tante forme di schiavitù siano rimaste o
ne sono nate di nuove.
Vorrei tornare per qualche istante alla vita religiosa. Dicevamo che
attraversa una crisi di
cambiamento
radicale
dalla quale si intravede a
malapena la via d’uscita.
Cos’è che si è perso e che
cosa non riesce più a convincere i giovani a dedicare la vita a Dio?
Beh, io non sono un esperto
di fenomeni ecclesiali e tantomeno sociali. Posso solo dare
la mia testimonianza.
Non ho mai perso di vista
l’ispirazione originaria, quella
in cui lo Spirito mi ha fatto capire la mia scelta. Forse le crisi economiche sono anzitutto
crisi spirituali.
Per quanto riguarda la vita religiosa poi, esiste in essa una
grande risorsa che è la vita comune.
La comunità può essere il luogo che permette di superare i
problemi.
I giovani hanno sempre avuto
bisogno di ideali forti, e hanno
bisogno di vederli realizzati,
almeno in parte, e di respirare l’armonia che ci può essere
in una comunità. Sono anche
convinto che non bisogna cercare modelli ideali di vita religiosa, se si è attenti a ciò che il
Signore ci mette davanti, lì si
capisce quale risposta vuole lo
Spirito da noi. I vari ospedali
che sono stati aperti nel tempo
erano una risposta ad un bisogno che si manifestava in quel
momento.
Nei miei occhi, quando guardavo un malato, avevo l’im-
magine del crocifisso che contemplavo durante la preghiera.
Ho sempre cercato di rispondere al crocifisso che mi chiedeva aiuto e per questo che gli
ultimi istanti della mia vita li
ho trascorsi abbracciato a quel
crocifisso. E così mi trovarono
in ginocchio…
Meeting
dei Giovani
europei ad Avila
5 - 9 AGOSTO 2015
S
i è tenuto ad Avila,
dal 5 al 9 agosto
2015, il Meeting
dei Giovani europei, in occasione del V Centenario della
nascita di Santa Teresa di
Gesù, organizzato dal Dipartimento di Pastorale
Giovanile della Conferenza
Episcopale Spagnola, dalla
Diocesi di Avila e dai Carmelitani Scalzi.
Ávila ha raccolto più di
6.000 giovani europei in
questo evento ecclesiale,
con il motto: «In tempi duri,
forti amici di Dio». L’incontro è stato caratterizzato da
attività spirituali, educative,
culturali e ricreative, aiutando a comprendere più
profondamente la figura e la
spiritualità di Santa Teresa
di Gesù.
Uno dei momenti più significativi e profondi è stata la
Veglia di preghiera che ha
3/2015
13
»
Ospitalità E CONSACRAZIONE
»
avuto luogo la notte dell’8 agosto, nella quale i giovani raccolti in una preghiera profonda e silenziosa hanno sentito il
dovere di ringraziare Dio per il
dono della fede.
Significativa è stata la riflessione del Vescovo Xavier Novell,
responsabile per il Dipartimento della Gioventù della Conferenza Episcopale spagnola.
L’incontro si è concluso con
la Celebrazione Eucaristica, di
domenica 10 agosto, presieduta
dal Presidente della Conferenza Episcopale Spagnola. Bello
ed emozionante vedere questa
folla di giovani che, portando
la loro gioia con entusiasmo e
spontaneità, andavano sempre
correndo e cantando lungo le
strade di Avila annunciando a
tutti la bellezza di stare con Cristo.
La lingua non è stato un ostacolo nella comunicazione. Anzi…
Tutti cercavano di parlare la lingua degli altri paesi per far sentire l’altro accolto ed amato. Una
vera testimonianza evangelica e
di fratellanza si è potuto constatare in questi giorni.
Prima dell’incontro ad Avila, la
nostra Provincia religiosa con i
suoi due Postulanti e i due Confratelli Vietnamiti accompagnati da fra Angelo Sala si sono recati a Granada e insieme hanno
fatto il cammino di Giovanni di
Dio. Dopo questo pellegrinaggio sulle strade di Granada si
sono recati a Madrid per partecipare all’incontro Giovani Europei dell’Ordine, organizzato
dai Confratelli della Pastorale
Giovanile Spagnola dove erano
presenti, oltre alle due Province Italiane e la Provincia Spagnola, la Provincia Austriaca e
Bavarese.
14
3/2015
L’incontro si è svolto all’Albergue Santa Maria de la Paz
di Madrid, un centro di accoglienza per senza fissa dimora gestito dai confratelli della
Provincia Spagnola. Molto
bella l’accoglienza fatta dal Padre Priore, fra Juan Antonio,
e dai confratelli della casa.
Un’esperienza caratterizzata
dalla preghiera, dalla condivisione e dal servizio ai poveri
che dimoravano nella casa.
Ci si è lasciati con l’intenzione
di poter ripetere tale esperienza per consolidare sempre più
i legami fraterni e per portare
in tutto il mondo lo spirito del
nostro Fondatore, San Giovanni di Dio.
INCONTRI
VOCAZIONALI
FATEBENEFRATELLI
Continuano gli appuntamenti vocazionali
per informazioni chiama
fra Angelo Sala
telefono 0119263811
SOLBIATE:
6-8 novembre 2015
«Il Padre Misericordioso»
SAN MAURIZIO CANAVESE:
4-6 dicembre 2015
«Chi è il mio prossimo»
ETICA E Ospitalità
Bioetica
quotidiana:
Carlo
Bresciani
il rapporto
con
gli animali
L’essere umano non può che rimanere al centro di ogni
approccio etico, e quindi è la sua vita e il suo benessere che
in primo luogo vanno promossi e difesi, se non altro perché
spetta all’essere umano, e solo lui lo può fare, farsi carico
del benessere dell’animale.
N
egli ultimi decenni è cresciuta in tutto
il mondo occidentale una
attenzione particolare per gli
animali, soprattutto per quelli domestici: gatti e cani in
modo speciale, ma non esclusivamente. Non c’è che da
rallegrarsi di questa nuova coscienza e senso di responsabilità nei confronti di creature di
Dio che, benché non umane,
contribuiscono a quell’ecosistema in cui la vita umana è
inserita e di cui partecipa.
I motivi di questa accresciuta
sensibilità sono da attribuire a
una generale maggior attenzione all’ambiente, a un rifiuto di
ogni forma di crudeltà anche
nei confronti degli animali,
ma anche alla crescente soli-
tudine di molte persone, non
solo anziane, che trovano nella compagnia dell’animale domestico una risposta alla mancanza di relazioni affettive di
cui l’essere umano ha molto
bisogno. L’animale domestico
toglie un po’ dalla completa
solitudine, sa affezionarsi alle
persone, si presta a scambi
affettivi e le cure che richiede
danno un senso e una occupazione alla vita di chi altrimenti
sarebbe completamente solo.
Questa solitudine è molto diffusa, basta dare una veloce occhiata alle statistiche che mostrano un progressivo e deciso
aumento dei nuclei familiari
unipersonali (sarebbero 7,3
milioni solo in Italia). Questo
fatto meriterebbe una profonda riflessione, ma non è questo il momento di affrontarla.
3/2015
15
ETICA E Ospitalità
LA BIOETICA ANIMALISTA DEVE EVITARE IL RISCHIO DI GENERARE
NELLA GENTE UNA SENSIBILITà MAGGIORE VERSO I MALTRATTAMENTI
DELL’ANIMALE CHE DELL’ESSERE UMANO
Non a caso spesso vengono
chiamati anche ‘animali da
compagnia’. Se Dio ci ha dato
gli animali come aiuto, se aiutano chi è solo o chi è ammalato si pensi, per esempio, al
cieco accompagnato dal cane
o a quella che viene chiamata
la pet-therapy (terapia attraverso la relazione con un animale) non c’è che da rallegrarsi di
questa accresciuta attenzione
a quanto l’animale può dare
all’essere umano.
I cani vengono addestrati per
tante funzioni in aiuto prezioso all’essere umano, non
solo come guide per i ciechi,
ma come aiuto alla polizia
nell’identificazione di sostanze, nella ricerca di persone, e
per tanti altri utilissimi servizi.
L’animale domestico non solo
ha benefici terapeutici per coloro che avessero particolari
disturbi psichici, ma esercita
anche un ruolo non secondario come compagno di gioco
dei bambini, soprattutto quan16
3/2015
do si tratta di figli unici, cosa
purtroppo oggi molto diffusa.
Insomma, per molti e validissimi motivi è cresciuta una reazione sociale nei confronti di
qualsiasi maltrattamento degli
animali. Non c’è che da rallegrarsi se questa sensibilità si
estende non solo agli animali
domestici, ma a tutto il mondo
animale. Maltrattamenti e crudeltà sono sempre da riprovare in quanto espressione di un
cuore cattivo e, quindi, teologicamente vanno considerati
sotto la categoria di peccato.
Dio ha affidato la creazione
all’essere umano perché la coltivasse, non perché esercitasse
su di essa maltrattamenti e crudeltà. Coltivare significa prendersene cura, non distruggere
o maltrattare.
Per una
bioetica animalista
Mi pare ovvio che ogni sofferenza inflitta all’animale, a
meno che si dimostri strettamente necessaria, deve essere
evitata e, quindi, da condannare. Qualora, onde evitare
di far fare da cavia all’essere
umano, sia dimostrato che
sia effettivamente necessario
ricorrere all’animale come
cavia (ma bisogna fare tutto
il ragionevolmente possibile
perché questa necessità sia
superata), ciò deve comportare un’attenzione scrupolosa
ad evitargli ogni sofferenza o
danno inutili e gratuiti.
Se l’essere umano deve cibarsi di carne animale, e quindi
è costretto ad uccidere l’animale, questo deve essere fatto senza infliggere una morte
dolorosa all’animale stesso.
Se si devono allevare animali
in grande quantità per rispondere alle esigenze alimentari
della popolazione, questi allevamenti devono essere organizzati in modo tale da non
comportare per l’animale ambienti di vita che impongano
sofferenze. E così via. La bioetica animalista è giustamente
molto attenta alle sofferenze
dell’animale e chiede che lo
si tuteli da esse.
Detto e tenuto ben fermo tutto questo, bisogna però evitare di finire ad estremi opposti
a quelli del passato, oscillando da un estremo all’altro
come fa il pendolo e qualche
volta fa anche il pendolo della storia. Un compito di una
bioetica animale dovrebbe
essere quello di evitare queste oscillazioni, guidate più
dall’emotività che dalla razionalità, pericolose per lo stesso
animale oltre che per l’essere
umano.
Si tratta di oscillazioni pericolose attualmente presenti
sia nella pubblicistica bioetica, e alcune pubblicazioni
di P. Singer – la sua bioetica
animalista e il suo approccio
bioetico, invocando il superamento dello specismo e
mettendo al centro la capacità
di soffrire, pone sullo stesso
piano essere umano e animale, anzi talora (quando la sofferenza dell’animale sarebbe
superiore a quella dell’essere
umano) lo mette su un piano
inferiore rispetto all’animale
– e di altri autori ne sono testimonianza, sia nei comportamenti e nella reazione della
gente comune, con il rischio
di una sensibilità maggiore
verso maltrattamenti dell’animale (ripeto: sensibilità giusta) che verso maltrattamenti
dell’essere umano.
Intendo qui riferirmi non
solo alla poca
TRASCURARE sensibilità
nei
I GENITORI confronti delle
ANZIANI grandi questioni
E LASCIARLI SOLI, bioetiche quali
quelle riguardanPER DEDICARE ti il trattamento
TEMPO d e l l ’ e m b r i o n e
E RISORSE umano e l’aborAL PROPRIO CANE to, o altre simili.
NON è CERTO Vorrei, invece,
il
DA ELOGIARE sottolineare
rilievo esagerato (e a mio modo di vedere
sbagliato) che gli organi di
stampa stanno dando sempre
più ad alcune vicende che riguardano gli animali o a certe manifestazioni di piazza in
reazione a maltrattamenti animali (cosa certamente da biasimare) e alla non altrettanta
reazione quando si tratta di
maltrattamenti umani. Viene
dato grande rilievo quando
si tratta di notizie riguardanti
grandi donazioni in denaro
per degli animali (magari lasciati eredi di patrimoni ingenti) quando poi si tace sul
notevolissimo numero di persone che bussano alle caritas
o ai centri di assistenza per
avere anche solo un panino
per saziare una fame che non
trova altri modi per essere tacitata. Si può comprendere,
anche se non l’approvo, la reazione emotiva di singoli che
a ricordo del loro cane o gatto
morto destinano magari decine di migliaia di Euro, comprendo meno le posizioni politically correct degli organi di
comunicazione che anziché
stigmatizzare questi comportamenti, li esaltano, creando
così mentalità distorte. Comprendo pure meno quegli
amministratori del bene pubblico che destinano risorse
a beneficio di chi adotta un
animale e poi sostengono di
non avere alcuna risorsa per i
molti che sono nell’indigenza
pressoché assoluta e non sanno dove andare a dormire la
notte quando fa freddo.
Non sempre è facile andare
contro il politically correct,
perché si paga in termini di
consenso o di copie di giornali vendute, ma si perde però
in termini di eticità e di dignità personale. è certamente
pericoloso dal punto di vista
etico dimenticare la differenza qualitativa tra l’animale e
l’essere umano e confondere
le priorità. Anche gli affetti
verso gli animali vanno disciplinati e rettamente orientati,
se non vogliamo avere nuovi
Caligola che finiscono per
creare senatore il proprio
cavallo. L’essere umano non
può che rimanere al centro di
ogni approccio etico, e quindi
è la sua vita e il suo benessere che in primo luogo vanno
promossi e difesi, se non altro
perché spetta all’essere umano, e solo lui lo può fare, farsi
carico del benessere dell’animale. Questo non significa
che non ci si debba prendere
cura dell’animale domestico,
del proprio cane o del proprio
gatto; significa, invece, che c’è
un limite a questo prendersi
cura, c’è un limite da porre
alle spese per l’animale (anche domestico), significa che
la sensibilità verso il proprio
animale domestico non deve
rendere insensibili verso le
necessità del prossimo, a partire dai propri familiari.
Trascurare i genitori anziani
e lasciarli soli, per dedicare
il proprio tempo e le proprie
risorse al proprio cane non
è certo da elogiare. Preferire
adottare un animale domestico piuttosto che prendersi
cura delle relazioni interpersonali, formarsi una famiglia
o mettere al mondo un figlio
non è certo ciò che esalta la
dignità dell’essere umano.
Amiamo gli animali, cerchiamo di trattarli sempre bene,
ma preferiamo ad essi sempre
le relazioni umane e diamo a
queste la prevalenza. Saremo
meno soli e avremo sempre
meno gente che soffre di solitudine.
3/2015
17
PASTORALE E Ospitalità
a cura di LAURA MARIA ZORZELLA
Condividere
l’Ospitalità
insieme alle ragazze
con disturbi alimentari
Laura Alaimo
Non si tratta di riabilitare, ma di condividere con le ragazze il vivere quotidiano attraverso alcune attività per impedire il loro rimuginìo mentale attorno al
cibo… gli aspetti religiosi possono essere il punto di partenza per individuare
i bisogni spirituali e riprendere un cammino di fede finalizzato a recuperare un
rapporto con Dio e un conseguente benessere psicologico e spirituale
N
ei
precedenti
numeri abbiamo intrapreso
un percorso per
provare a comprendere come, nei “luoghi”
dove ci si occupa di malati, ci
si prende cura della persona
in modo integrale, cioè cogliendo e rispondendo a tutti
i suoi bisogni: fisici, psicologici, sociali e spirituali.
In questo spazio, infatti, ci occupiamo di pastorale e della
dimensione spirituale, spesso
poco considerata dalle equipe
di cura. Abbiamo attraversato
la sofferenza dei malati di Alzheimer, ci siamo addentrati
nella psichiatria e questa volta, attraverso la testimonianza
di una educatrice, entriamo a
piccoli passi nella realtà di chi
soffre di disturbi alimentari.
18
3/2015
Occuparsi della dimensione
spirituale di chi è malato oggi
più che mai non può che essere il primo passo per avvicinare persone sofferenti,
spesso lontane da percorsi di
fede, talvolta di altre culture
e credenze.
È il primo passo per tutti
coloro che occupandosi di
pastorale tentano di dare testimonianza della costante
presenza di un Dio misericordioso, che attraverso di
noi si prende cura e attraverso noi chiede si possa ristabilire una “relazione uomoDio” che, anche attraverso i
Sacramenti, porti a recuperare la speranza e un benessere
spirituale che aiuta ad affrontare i momenti più difficili
della propria esistenza e a
risignificare la propria vita.
CENTRO DIVINO “LA CASA DI BIANCA” DI CERNUSCO SUL NAVIGLIO PER IL TRATTAMENTO
DEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Lavorare
in comunità
Da anni lavoro in campo sociale – ci racconta Laura Alaimo,
educatrice presso “La Casa di
Bianca” nell’Istituto Sant’Ambrogio a Cernusco sul Naviglio, periferia di Milano – e da
anni, quindi, mi ritrovo ad affiancare un disagio sociale ed
una sofferenza, o meglio tante sofferenze… sì perché ogni
sofferenza ha la sua unicità e
particolarità. Con i minori stranieri prima, poi con i pazienti
psichiatrici ed oggi con le ragazze con disturbi alimentari.
Non nego le difficoltà iniziali
di assestamento personale e
familiare rispetto ad un lavoro
con i turni, ma gradatamente
mi sono ritrovata a conoscere
un’utenza che non avrei mai
scelto e che un po’ alla volta
ho cominciato ad apprezzare.
Negli anni precedenti passati
in psichiatria, buona parte del
lavoro svolto con il paziente
era finalizzato ad affiancarlo
nelle pratiche quotidiane, affinché riprendesse la capacità
della cura di sé, del proprio
spazio, della gestione economica e degli acquisti personali;
della capacità di prepararsi da
mangiare e quindi anche fare
la spesa per un eventuale rientro a domicilio. Infine c’era
tutto il lavoro risocializzante
sul territorio attraverso le uscite (pranzi, gite e vacanze). Il
fine ultimo era aiutare a recuperare la dignità personale in
persone frammentate e spesso
ridotte ad una esistenza “poco
umana”. Accettando di lavorare alla Casa di Bianca tutta
questa prospettiva di lavoro
era da ribaltare: non si trattava
di riabilitare (se non in campo
alimentare e nel rapporto con
il cibo), ma di condividere,
con le ragazze via via inserite,
il quotidiano attraverso alcune
attività che impedissero il loro
“rimuginìo” mentale attorno
al cibo e un quotidiano, per
la maggior parte del tempo,
vissuto all’interno della comunità. Per questo motivo il
programma settimanale della
comunità è molto strutturato:
dai quattro pasti giornalieri
assistiti alle numerose attività proposte (ascolto musica e
testi; attività manuale espressiva; giochi di società e spazio
ludico; scrittura creativa, cineforum, eccetera…) la maggior
parte delle quali svolte con la
nostra presenza.
Non mi soffermo tanto sul lavoro, fondamentale, fatto per
queste ragazze, rispetto alla
preparazione dei piatti per i
pasti (poiché il cibo è terapia,
ogni cibo è pesato con la grammatura decisa con la nutrizionista), tenuto presente anche
tutto il lavoro fatto per la preparazione delle diverse attività
e delle riunioni d’equipe. Qui
vorrei soffermarmi in particolare su cosa ha significato e
significa per me condividere
la quotidianità con queste ragazze. Relazionarmi con loro
mi ha fatto toccare con mano
quanta sofferenza portano con
sé, “divorate” non solo fisicamente, ma anche mentalmente dal disturbo alimentare.
Ogni mio gesto ed ogni parola che usciva dalla mia bocca
doveva essere “calibrato” alla
nuova realtà.
Da subito ho avuto la percezione che su alcuni aspetti si
dovesse considerare anche la
loro dimensione spirituale,
rispetto al senso che davano
alla propria esistenza; difficile capire quale canale seguire
per fare emergere ed esprimere questo bisogno e come
eventualmente inserirlo nel
programma riabilitativo.
3/2015
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PASTORALE E Ospitalità
Esserci, fidarsi
e affidarsi
L’impatto iniziale è stato molto forte, non solo rispetto ad
alcuni comportamenti tipici di
questo disturbo, ma anche l’incontro di una estrema fragilità
e sofferenza. Mi trovavo ad impattare con un dolore profondo che non coinvolgeva solo la
dimensione emotiva ma anche
quella spirituale. Un dolore
non sempre espresso con le
parole, a volte con agiti aggressivi verso gli oggetti o verso sé
stessi facendosi del
SI PRIVILEGIA male. Di fronte a tale
L’ESSERCI CON sofferenza, diventa
importante esserci,
DISCREZIONE non solo fisicamenNEL PIENO te, ma anche con il
RISPETTO cuore: talvolta è solo
DELLA stare lì in silenzio. Far
capire loro che possoPERSONA no fidarsi ed affidarsi
per il loro percorso
di cura. Esserci anche per dire
un NO, per ricordarti una regola, perché è proprio quella
regola, quell’indicazione che ti
può aiutare: ma anche essere
presenti condividendo le loro
fatiche e le loro piccole conquiste. Queste piccole conquiste possono essere banali forse
agli occhi di qualcuno, ma non
per loro, come quando si concedono di guardare il proprio
corpo con un nuovo sguardo o
quando riescono a terminare
tutto il vassoio senza la fatica
iniziale, ma anzi quasi apprezzando e gustando, senza avere
più il pensiero di restrizione o
eliminazione.
Esserci è anche cercare di viveESISTONO STUDI
CHE EVIDENZIANO IL BENEFICIO
PER QUESTI PAZIENTI
DI OCCUPARSI
DELLA SPIRITUALITà
20
3/2015
re il mio lavoro con passione,
nel senso di stare con loro con
tutta me stessa, con tutte le mie
emozioni, cogliendo ogni incontro, ogni attività e colloquio
come occasione di relazione.
Esserci con un certo grado di
ottimismo e serenità con queste ragazze, spesso depresse e
tristi, ma anche tra noi colleghi, aiutandoci reciprocamente nel rendere più piacevole il
lavoro e per superare insieme
alcune fatiche. Con tutte le mie
difficoltà e limiti (ed ancora in
formazione in questo ambito)
cerco e cerchiamo di creare relazioni significative.
Ricercare
i bisogni spirituali
Sono educatrice, ma anche
referente per la comunità del
servizio di attenzione spirituale e religioso, che cerca il più
possibile di rispondere al modello assistenziale dell’Ordine
dei Fatebenefratelli che è un
modello di cura integrale della persona, accompagnando
gli ospiti in tutti i suoi bisogni,
da quelli materiali a quelli spirituali. In questa comunità,
con queste ragazze spesso ho
ripreso alcuni atteggiamenti
ed indicazioni del dialogo e
relazione d’aiuto (nei diversi
corsi offerti dalla struttura) che
vanno ad integrare la relazione
significativa. Le ragazze che lo
desiderano possono partecipare alla S. Messa domenicale
(eccetto coloro che hanno una
grave compromissione fisica),
non possono invece partecipare alla S. Messa feriale del
giovedì e ad altri momenti di
spiritualità offerti dal Centro
perché in orari incompatibili
con il programma di cura.
Alcune ragazze mantengono
la propria religiosità anche
in un momento così difficile
della loro vita, trovando conforto nella preghiera e nella
partecipazione ai sacramenti.
In questo senso nel tempo ho
compreso che gli aspetti reli- riflessione. Alcune tematiche
giosi possono essere il punto potrebbero essere: significato
di partenza per individuare i dell’esistenza, quale spiritualibisogni spirituali sottesi e po- tà c’è in me…; accogliere me
ter riprendere un cammino per accogliere gli altri; ospitadi fede finalizzato a recupera- lità; la sofferenza… quale spere un adeguato e significativo ranza nella sofferenza; perdorapporto con Dio e un conse- narmi e perdonare; la fiducia;
guente benessere psicologico e la solitudine; l’umiltà; l’amore,
spirituale. Nella maggior parte ed altre eventuali proposte
dei casi ho incontrato pazien- delle stesse ragazze.
ti che erano credenti
Questi incontri poe che hanno perso la Alcune ragazze trebbero essere aperloro fede proprio con mantengono ti, a partecipazione lila propria
le difficoltà della loro
bera, condotti e gestiti
religiosità
vita: incolpando Dio
dalle educatrici che si
trovando
per ciò che è a loro
occupano anche di
conforto nella
accaduto.
pastorale (nell’équipe
preghiera
Spesso si chiedono
siamo quattro, ma
dov’è Dio… perché permette turniste) in collaborazione
loro questa sofferenza… Allo- con la presenza costante del
ra non mi resta che star loro Responsabile del Servizio di
vicino, e provo a ricordare Assistenza Spirituale e Revicendevolmente che Dio è ligiosa del Centro. Un’altra
sempre vicino a noi e che è proposta, più di carattere
un Dio che ama e non un religioso, cioè per le ragazze
Dio che punisce o invia sof- credenti, potrebbe essere utiferenze… e così, a volte, ci si le pensare a dei momenti di
ritrova a pregare insieme, sen- preghiera nei momenti “forti”
za dimenticarci che ciascuno liturgici, come l’Avvento e la
deve mettere le proprie forze Quaresima.
nel proprio percorso di cura Non so se queste proposte rie per ridare senso alla propria usciremo a concretizzarle, ma
esistenza. Talvolta, invece, re- credo sia utile ricordarmi e rista loro dentro tanta rabbia: in cordarci di continuare a prenquesti casi cerchi di stare loro derci cura delle nostre ospiti
vicino, si privilegia l’Esserci ponendo al centro la persona
con discrezione nel pieno ri- con tutte le sue dimensioni:
spetto e comprensione della corporea, intellettuale, emotipersona e dei suoi tempi.
va, sociale e anche spirituale.
Pensare per il futuro
Attualmente, non esistono
gruppi di spiritualità strutturati, ma potrebbe essere utile
proporre alcuni incontri con
tematiche molto aperte, con
la finalità e l’obiettivo di offrire uno spazio per le ospiti di
conoscenza, condivisione e
Due spunti
a sostegno…
Anche in ambito scientifico
esistono studi che hanno evidenziato il beneficio di occuparsi della spiritualità in pazienti affetti da tali patologie.
Ne cito due che mi hanno
colpito in particolare.
3/2015
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PASTORALE E Ospitalità
Pasto
er
LA CASA DI BIANCA ACCOGLIE PAZIENTI
MAGGIORENNI AFFETTI DA DISTURBI SPECIFICI
DELL’ALIMENTAZIONE (ANORESSIA, BULIMIA,
OBESITà PSICOGENA, DISTURBI ALIMENTARI
NON ALTRIMENTI SPECIFICATI).
Uno studio (Marsden P.,
Karagianni E., Morgan JF.,
2007, Spirituality and clinical care in eating disorders:
a qualitative study su International Journal of Eating Disorders) evidenziava come,
in pazienti credenti, non si
possono ignorare i costrutti
teologici legati alla malattia
(connotazioni morali rispetto all’immagine del proprio
corpo, l’idea di sacrificio, eccetera).
La ristrutturazione di tali credenze con l’aiuto anche della
preghiera ha aiutato il processo di guarigione.
Altri studi hanno evidenziato
come ricorrere alla medicina narrativa e in particolare
all’inserimento di gruppi di
Spiritualità nei percorsi di
cura rivolti a pazienti ricoverati in strutture riabilitative,
22
3/2015
porti alla crescita della propria spiritualità e un ritrovato
benessere globale della persona, con una diminuzione
dei sintomi di disturbo psicologico ed emotivo (ansia,
depressione, conflitti, ecc.)
causa di stress (vedi Eating
Disorders, 2006 Comparative efficacy of spirituality,
cognitive, and emotional
support groups for treating
eating disorder inpatients,
Richards PS., Berrett ME.,
Hardman RK., Eggett DL.).
Rispetto a tali evidenze, ma
soprattutto per ciò che quotidianamente vivo accanto
alle “ragazze”, penso si possa
considerare utile occuparsi
anche dei bisogni spirituali
per realizzare un recupero
globale, o meglio, completare il percorso di cura di chi è
affetto da tali disturbi.
C
arol Gustav Jung,
uno dei più noti e
influenti seguaci
di Freud, afferma
a proposito della
scienza e, di riflesso, della ricerca: «Ogni scienza termina
nell’inconoscibile ma non sarebbe scienza se considerasse definitivo il suo confine,
momentaneo e provvisorio,
e negasse l’esistenza di ciò
che oltrepassa quel punto».
Noi ricercatori, che ogni
giorno ci confrontiamo con
la complessità della ricerca, sappiamo bene quanto
questa definizione traduca
orale
ricerca
perfettamente la realtà del
nostro lavoro sul piano più
strettamente tecnico-professionale. Ma essa dice poco di
quello che, a livello più profondo, noi proviamo come
operatori del settore. Considerare sempre “provvisorio”
un “confine” raggiunto, ammettere sempre “l’esistenza
di ciò che oltrepassa quel
punto’’ ci espone continuamente a vissuti fatti di emozioni forti, instabili, sostenute spesso da tanti dubbi. Se
consideriamo questi vissuti
interni, la necessità di una
Pastorale specifica per la ri-
DOTTOR CRISTIAN BONVICINI,
RICERCATORE DEL LABORATORIO DI GENETICA
cerca è senz’altro espressione del nostro bisogno percepito, interiore e profondo,
di un supporto sicuro e continuo che miri a prendersi
cura dei diversi livelli della
nostra umanità di operatori,
come quello affettivo, etico, morale e religioso. Nello specifico, per il progetto
pastorale 2015 tutte le unità
operative del settore Ricerca
dell’IRCCS Centro San Giovanni di Dio – Fatebenefratelli di Brescia, hanno deciso
di effettuare un viaggio indietro nel tempo con l’obiettivo di descrivere i tratti più
salienti di tutte quelle figure
dell’Ordine, quali Fra Ottavio Ferrario, San Riccardo
Pampuri, Fra Pierluigi Marchesi, che sono risultate particolarmente importanti per
l’apporto personale donato
al mondo scientifico, espressione forte e indiscutibile del
carisma dell’Ospitalità di San
Giovanni di Dio. L’incontro
«Le testimonianze del passato: i Fatebenefratelli nella
storia della medicina» è avvenuto il 2 luglio 2015 a Brescia e ha quindi rappresentato l’opportunità di “tornare
alle radici” e di conoscere
più profondamente lo spirito
che anima e guida il nostro
lavoro all’interno dell’IRCCS dei Fatebenefratelli. Tutto questo ha permesso di
sentirsi più forti, saldi e motivati in un gruppo che tappa
per tappa cresce insieme, costruendo la propria identità e
affidando la propria stabilità
proprio a quelle radici robuste, sicure e conosciute.
A quest’ottica formativa sono
da ricondursi anche gli incontri scientifici tenuti in Sala
Fra Prosdocimo Salerio con
una cadenza periodica (vedi
il calendario aggiornato sul
sito internet: www.fatebenefratelli.eu) in cui si riuniscono i diversi gruppi di ricerca
per un confronto continuo
fatto di momenti di condivisione non solo informativa,
ma anche emozionale.
Tutto questo per avere una
visione globale di tutto ciò
per cui la ricerca lavoro giorno dopo giorno, con l’obiettivo di una crescita non solo
più completa, ma soprattutto
collettiva di tutti gli operatori
del servizio.
Miriam Ciani
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FILOSOFIA DI VITA E Ospitalità
Rosmini:
Carità
e Cultura
Maurizio
Schoepflin
Uomo dalla cultura amplissima e poliedrica,
Antonio Rosmini scrisse molto, spaziando nei
campi più diversi e occupandosi di logica, metafisica,
etica, pedagogia, diritto, politica, teologia e ascetica.
Egli definisce l’attività conoscitiva come una sintesi tra
l’idea a priori, oggettiva perché ha in Dio il suo fondamento, e la materia, che deriva dai sensi.
I
l 18 novembre 2007, in occasione
della celebrazione della Santa Messa
per la beatificazione di Antonio Rosmini Serbati, il cardinale José Saraiva Martins tenne una bella omelia,
nella quale mise in luce i due tratti
fondamentali della personalità del
grande sacerdote e pensatore trentino:
l’alacre attività caritativa e il forte impegno culturale. «All’esclusivo servizio di
questa Chiesa – sottolineò
Fede e carità
l’alto prelato riferendosi
si uniscono
all’azione assistenziale e besino a fondersi,
così che nefica del Beato - che con il
l’amore Cristo forma il ‘Cristo totache da Dio le’ (Christus totus), Rosmini
proviene fondò l’Istituto della Caria Dio tà (Rosminiani) e le Suore
ritorna della Provvidenza (Rosminiane), istituti ai quali diede
come fine unico quello che è lo scopo
primario della vita religiosa stessa: la ricerca incessante della propria salvezza
e santità. Totalmente per la Chiesa. Si
tratta di un aspetto che Rosmini ha pagato a caro prezzo e che brilla in maniera
altamente significativa ed esemplare nella vita del Beato: appunto il suo inossi24
3/2015
dabile e tenacissimo amore alla Chiesa».
Circa poi l’attività intellettuale del pensatore di Rovereto, Saraiva Martins affermò: «Se il beato Antonio Rosmini, oltre
che alla guida della famiglia religiosa da
lui fondata, dedicò le sue molte energie
all’impegno culturale, principalmente nel
campo della filosofia, della pedagogia e
della teologia, lo fece in risposta alla chiamata dei Papi del suo tempo, che nelle
doti intellettuali del Roveretano videro la
chiara indicazione che egli avrebbe dovuto servire la Chiesa e l’uomo nell’elaborare un sistema di pensiero che fosse di
fondamento alla fede». Antonio Rosmini
è senza dubbio una delle più alte figure
del panorama filosofico e della spiritualità cattolica dell’Italia moderna.
ANTONIO
ROSMINI
SERBATI
(1797 - 1855)
FU BEATIFICATO
IL 18 NOVEMBRE 2007
Nato a Rovereto, in una nobile famiglia, nel 1797, divenne
sacerdote nel 1821, e nel 1823
fu lo stesso papa Pio VII a incoraggiarlo a continuare con
impegno gli studi di filosofia
per i quali mostrava una straordinaria inclinazione. Tale
incoraggiamento verrà confermato qualche anno più tardi
dal nuovo pontefice Pio VIII,
che ne avallò pure la volontà
di dar vita a un Istituto religioso maschile. Nel 1838 furono
approvate da papa Gregorio
XVI le costituzioni dell’Istituto della Carità, la nuova famiglia religiosa voluta da Rosmini con ardore profondo.
Qualche anno più tardi, nel
1841, il pensatore roveretano
fu fatto oggetto di aspre criti-
che.
ca, pedagogia, diritto, politica,
Iniziò così una polemica che teologia e ascetica. Egli definidurerà molto a lungo (addi- sce l’attività conoscitiva come
rittura fin dopo la sua morte) una sintesi tra l’idea a priori,
e che condizionerà pesante- oggettiva perché ha in Dio il
mente una corretta e serena ri- suo fondamento, e la matecezione delle idee rosminiane. ria, che deriva dai sensi. In tal
Nel 1848, Pio IX voleva farlo modo, ritiene di aver trovato
cardinale e nominarlo Segre- quell’elemento universale, cotario di Stato, ma la cosa non mune a tutti gli uomini, che
si realizzò. Anzi, poco tempo mette al riparo la conoscenza
dopo, il suo celebre scritto dal rischio del soggettivismo e
Delle cinque piaghe della San- che permette di elaborare una
ta Chiesa venne condannato, filosofia non più invischiata
a motivo delle critiche da lui nell’empirismo e nel sensirivolte all’istituzione ecclesia- smo, che avevano finito per
stica e dettate esclusicondurla lontano dalla
vamente da un amore
verità che ha il suo culIL DIO DI
sconfinato per la Spo- GESù CRISTO mine nel cristianesimo.
sa di Cristo. Rosmini
Su questa base, Rosmini
è UN DIO
si sottomise al giudizio AMANTE CHE costruisce il suo edificio
e si ritirò a Stresa, ove SCEGLIE DI speculativo, sottolineancontinuò a impegnar- RIVELARSI do in modo particolasi assiduamente nello ALL’UOMO re l’inalienabile valore
studio e nella preghiera PROPRIO COME della persona umana,
fino alla morte, avvenudetentrice di due fonAMORE
ta nel 1855. Uomo daldamentali diritti, quello
la cultura amplissima e
alla libertà e quello alla
poliedrica, Antonio Rosmini proprietà, che implicano il
scrisse molto, spaziando nei netto rifiuto di qualsiasi teoria
campi più diversi e occupan- politica che pone l’individuo
dosi di logica, metafisica, eti- in secondo piano rispetto allo
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25
FILOSOFIA DI VITA E Ospitalità
Stato. Il pensatore roveretano de due momenti ugualmente
fu pure, come si è detto, teo- importanti: il rifiuto dell’erlogo e asceta, e nei suoi scritti rore e la proposta della veriè rintracciabile anche una pro- tà, nella certezza che non v’è
fonda e suggestiva riflessione carità più bella di quella che
sul tema dell’amore che testi- svela la verità e fa un tutt’uno
monia una sicura fedeltà all’i- con essa. È la carità che ha per
spirazione evangelica, la quale, unico scopo Dio e che a Lui
peraltro, anima tutto il sistema vuole indirizzare gli uomini.
rosminiano. Per Rosmini l’a- Un tema che occupò in misumore di Dio e per Dio è il ra significativa la riflessione rocuore della fede cristiana, e sminiana, collegato anche alle
ad esso egli riconosce un pri- sue vicissitudini personali, fu
mato assoluto: è dall’amore di quello del sacrificio riassunto
Dio che scaturisce l’amore del nel suo significato più autenprossimo ed è ancora l’amore tico dal sacrificio eucaristico:
a fungere da fondamento di le infermità, le ostilità, le vultutta l’etica. Sulla scorta del nerabilità umane sono espemessaggio evangelico e della rienze nobili, nelle quali può
grande tradizione del
emergere in tutta la
pensiero di ispiraziosua forza e purezza
Rosmini
ne cristiana, Rosmila potenza di Dio.
ripete spesso
che l’amore
ni identifica l’amore
Come ha ricordato
ama l’amore,
con l’Essere e ravvisa
il Cardinale Saraiva
dando vita
in esso la realtà sulMartins nella sua
a un costante
la quale si fonda la
omelia, per Rosmini
scambio
persona umana. Seil valore della carità
di ruoli
condo il filosofo di
sta a fondamento
tra l’amante
Rovereto, il Dio di
dell’intera vita crie l’amato
Gesù Cristo è sopratstiana, e secondo le
tutto un Dio amante
sue intenzioni «i reche sceglie di rivelarsi all’uo- ligiosi e le religiose, nel cammo proprio come amore: fede minare verso l’unica meta dele carità, dunque, si uniscono la santità sarebbero stati aperti
intimamente sino a fondersi, a qualunque opera di carità il
così che, come Gesù ha te- Signore, principalmente attrastimoniato in modo perfetto, verso i Pastori della Chiesa e
l’amore che da Dio proviene le circostanze dei tempi e dei
a Dio ritorna.
luoghi, avesse loro indicato:
A questo proposito, Rosmini alle opere della carità spirituaripete spesso che l’amore ama le, che si riferiscono immedial’amore, dando vita a un co- tamente alla salvezza eterna
stante scambio di ruoli tra l’a- dell’uomo (l’annuncio della
mante e l’amato, e suggerisce fede, i sacramenti), a quelle
pure alcune modalità concrete della carità intellettuale, con le
secondo cui attuare tale amore quali si vuole liberare la mente
caritativo. Tra queste, egli attri- dell’uomo dalle tenebre dell’ibuisce un valore del tutto par- gnoranza e illuminarla con la
ticolare alla carità intellettuale luce della verità e a quelle delche si realizza mediante l’im- la carità temporale, che sono
pegno della mente e attraverso rivolte ai bisogni del corpo,
lo stesso filosofare, che preve- quali la fame e la salute».
26
3/2015
In una lettera che Rosmini
scrisse il 26 gennaio 1833 a
un amico, che gli aveva prospettato un coinvolgimento
da parte sua nel progetto di
costruzione di un ricovero
per i poveri, il Beato risponde che sarà ben lieto di dare
il proprio contributo, anche
economico, ma desidera altresì mettere in guardia l’amico su una questione di
fondamentale
importanza:
l’iniziativa filantropica dovrà
rispondere a un principio cristianamente motivato. A tale
proposito, Rosmini fa alcune affermazioni ancora oggi
attuali e scrive: «Un altro timore mio è che questi istituti […] non siano già effetti di
una vera carità cristiana, ma
piuttosto del sottile egoismo
e della mollezza del secolo
nostro, il quale contraffà la
stessa carità, e veste i vizi da
virtù, facendo servire con una
perpetua finzione e con la più
indegna ipocrisia le cose tutte
al proprio interesse. In vero
né Gesù né gli apostoli ci hanno mai insegnato a non poter
sopportare sotto gli occhi
nostri i poverelli e ad allontanare il loro aspetto da noi:
Gesù Cristo e gli apostoli non
ci hanno mai insegnato ad essere tanto insofferenti che ci
riesca di una noia insopportabile il sentirci domandare un
pezzo di pane, talora più con
le lacrime che con le parole».
PSICHIATRIA E Ospitalità
a cura di ROSARIA PIOLI
Cosa pensiamo
della malattia
di Alzheimer?
Eugenio
Borgna
Il nostro atteggiamento, le nostre idee sulla vecchiaia, le nostre parole
sbagliate, possono accrescere drammaticamente, lo si voglia o non lo
si voglia, la sofferenza e la disperazione nei cuori delle persone anziane,
malate o non ancora malate; e di questo saremmo responsabili.
U
n cammino lungo i sentieri che portano all’interno della nostra vita:
dei nostri sentimenti e
delle nostre emozioni.
Una domanda: quali
abitudini abbiamo ad
analizzare i nostri pensieri e le
nostre emozioni?
Cosa fatica farlo, ma quante dissonanze eviteremmo se
avessimo voglia e tempo di
immedesimarci nei pensieri e
nelle emozioni degli altri; ma,
in ogni caso, questo cammino verso la nostra interiorità,
e quella degli altri, si compie
solo se è reciproco.
Le cose si complicano drammaticamente quando abbiamo
a che fare con una persona
anziana, e ancora di più ovviamente dinanzi ad un malato di
Alzheimer.
Cosa proviamo dentro di noi,
dentro la nostra vita interiore,
quando questo avviene? Ci
rendiamo conto del fatto che
la nostra reazione alla malattia
possa essere condizionata, prima ancora di analizzare quello
che proviamo, dal filo spinato
dei nostri pregiudizi?
3/2015
27
PSICHIATRIA E Ospitalità
Nel contesto di una radicale
sottrazione di valore e di significato alla condizione anziana
rinasce, e si consolida, la tesi
che giustifica il gerontocidio.
Lo chiamano “liberarli dalle
loro pene”; e lo mascherano
con parole ambigue come
“evitare l’accanimento terapeutico”, eutanasia, accelerazione della morte, e suicidio
assistito.
Come dice Umberto Galimberti, non si invecchia solo
per degenerazione biologica
ma anche, e soprattutto, per
ragioni culturali, e cioè per
l’idea, che la nostra cultura si
è fatta della vecchiaia, come di
un tempo che ha nella morte
la sua fine, e nell’attesa della
morte, e grazie alla medicina
e ai servizi sociali, sopravvive
la schiera di mummie animate
che sono le persone anziane:
paradossi sospesi nel crepuscolo della vita. A cosa mai
servono, e quale fine hanno?
Conosciamo bene i nostri pensieri, e i nostri sentimenti? Siamo sicuri che questi pensieri,
e questi sentimenti, in ordine
alla condizione anziana non vivano in noi? Se fosse così, sarebbe molto meglio non occuparsi né di persone anziane né
di persone malate di Alzheimer che non sopporteremmo
nella loro malattia, e nella loro
vecchiaia. La premessa alla
cura e alla assistenza non può
non essere subordinata alla
nostra disposizione alla ricerca e alla analisi di quello che
siamo, e di quello che proviamo emozionalmente, dinanzi
a chi soffra di malattia di Alzheimer.
Come non dovremmo confrontarci con una persona la28
3/2015
è così difficile dire la verità senza mentire
cerata dalla malattia di Alzheimer? Ci sono alcune modalità
radicalmente antiterapeutiche
che sono queste: invece di
guardare negli occhi, e invece di colloqui, somministrare
test, invece di narrazioni calcolare punteggi ai test, invece di
stringere la mano tenere il malato lontano da sé: rendendolo
crudelmente oggetto di osservazione. Ma, ancora, non sondare la memoria cronologica,
la memoria dei fatti, che hanno a che fare con il tempo della clessidra, e sondare invece
la memoria vissuta dalla quale
rinascano i ricordi, le schegge
dei ricordi, che hanno dato
un senso alla vita: alla propria
vita e a quella delle persone
amate. Ascoltare insomma, e
dare luogo a narrazioni, che
rinascano dal passato, e ne
facciano sgorgare brandelli di
ricordi vissuti.
Cosa proviamo interiormente quando incontriamo una
persona con malattia di Alzheimer: una volta che si sia
superata la fase iniziale di lontananza emotiva, e di rifiuto?
La nostra angoscia si accresce,
e si dilata, oscurando i nostri
occhi, non consentendoci di
entrare in relazione con lei, e
generando in lei una angoscia
ancora più lancinante? Certo,
l’angoscia è l’angoscia della
morte: della morte dell’altro
tire, al malato significa non di rado immergerlo
nell’angoscia e nella disperazione
da noi, e della nostra morte; e
dilaga in chi sta male, e in noi;
ma ad essa non possono non
accompagnarsi esperienze di
tristezza che nascono contestualmente nei pazienti, e in
noi. Non si dimentichi che la
tristezza dell’anima, la depressione, è uno dei sintomi iniziali della malattia di Alzheimer ma è anche una normale
esperienza emozionale di ogni
persona anziana: non confondiamo l’una con l’altra.
Non è facile immedesimarci
nelle condizioni psicologiche
e umane di chi abbia a sentirsi
immerso, come avviene nella
malattia di Alzheimer, nel vortice e negli abissi di emozioni e
di pensieri frantumati; e allora
come consegnare, e ridare, un
senso ad incontri che rischiano
continuamente di trasformarsi
in sequenze di gesti sempre
uguali, e di parole sempre vuote? Non muoia nondimeno in
noi la speranza: solo per chi
non ha più speranza ci è data
la speranza che non è la speranza-illusione ma la speranza
che mantenga aperta in chi sta
male e in noi una scintilla, o
una goccia, di speranza contro
ogni speranza.
Cosa dire ad una persona, che
si tema, o si sappia, malata
di Alzheimer, e cosa dire ai
suoi familiari? Come indicare parole che non si possono
insegnare, e si possono solo
sentire in noi, nella nostra
interiorità e nella nostra immaginazione? Non vorrei se
non dire che non possa non
essere salvaguardato il diritto di non sapere, e il dovere
di non dire sempre la verità,
quella che talora è solo la verità apparente; non dimenticando mai che, come diceva
Hugo von Hofmannsthal, il
grande scrittore austriaco, è
così difficile dire la verità senza mentire, e ancora che dire
la verità, quando questa sia
tale, al malato significa non di
rado immergerlo nell’angoscia
e nella disperazione. Ma non
è facile, e forse è impossibile,
valutare la soglia di tolleranza
al dolore, certo, e anche alla
conoscenza della verità clinica,
che sia in noi, e negli altri da
noi. Il problema, e il mistero,
della comunicazione: quali parole dire ad ogni incontro con
una persona anziana immersa
negli abissi della malattia di Alzheimer?
Come ritrovare in noi parole bianche, parole a noi leggere, parole che nascano dal
silenzio e dal cuore, parole
che non spengano la speranza, parole fragili come vetri,
e nondimeno luminose, e temerarie: alte, e arcane?
Ripensiamo insomma senza fine ai pensieri e agli stati
d’animo con cui guardiamo
alla condizione anziana, alla
vecchiaia, e in particolare alla
sua estrema radicalizzazione
che è la malattia di Alzheimer; e non dimentichiamoci
mai che il nostro atteggiamento, le nostre idee sulla
vecchiaia, le nostre parole
sbagliate, possono accrescere
drammaticamente, lo si voglia
o non lo si voglia, la sofferenza e la disperazione nei cuori
delle persone anziane, malate o non ancora malate; e di
questo saremmo responsabili.
Se in noi, consapevoli o inconsapevoli, si nascondono
idee, che considerano la vecchiaia la età inutile, come potremmo mai anche solo dare
una mano nella assistenza a
persone che non siano solo
anziane ma che presentino i
primi segni di una malattia di
Alzheimer?
Certo, ci vuole coraggio, ci
vogliono pazienza e forza
d’animo, per fare attenzione
ai nostri pensieri e soprattutto ai nostri sentimenti, e per
cambiarli se non sono animati
dalla carità, e dalla speranza;
ma questa è la sola strada che
ci consenta di trovare le parole e i gesti che possano essere
di un qualche aiuto alla angoscia di chi sta male, e tema di
non essere lontano dalla malattia di Alzheimer.
3/2015
29
PSICHIATRIA E Ospitalità
Un’alternativa al
carcere: l’unità forense
«S. Riccardo
Pampuri»
Nell’unità forense del nostro
Presidio ospedaliero riabilitativo
«Beata Vergine della Consolata» di
Vanda Braida
San Maurizio Canavese, in provincia di Torino, l’obiettivo principale
del percorso riabilitativo è quello di offrire una valida alternativa al carcere per soggetti
con problematiche psichiatriche, attraverso un percorso riabilitativo che prevede interventi su vari livelli, ma soprattutto il recupero della “persona” indipendentemente dal reato
commesso, nello spirito del nostro fondatore San Giovanni di Dio.
I
l nostro approccio alla persona
ammalata è in
piena
sintonia
con le linee guida della nostra
Carta d’Identità
dell’Ordine che prevede
un’assistenza che consideri tutte le dimensioni della
persona umana: fisica, psichica, sociale e spirituale.
«Soltanto un’attenzione
che consideri tutte queste
dimensioni, almeno come
criterio di lavoro e come
obiettivo da raggiungere,
potrà considerarsi come
assistenza integrata». (C.I. 5.1)
La nostra struttura rappresenta una fase intermedia
tra il carcere e il territorio
LA PRESA IN CARICO DA PARTE
DEI SERVIZI è FONDAMENTALE
PER I SOGGETTI CARCERATI
CON PROBLEMI PSICHIATRICI
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3/2015
DA ANNI CI OCCUPIAMO DEL SERVIZIO CATERING IN
OCCASIONE DELLE FESTE DELLA CASA E DI CONVEGNI
e tra l’O.P.G. (ospedale psichiatrico giudiziario) e il territorio. Durante il ricovero il
paziente può sperimentarsi
costruttivamente diventando
parte attiva del progetto riabilitativo, acquisendo e consolidando abilità e comportamenti che gli permettano
di rielaborare, ritrovare, reintegrare la propria identità,
riscoprendo in se
stesso
le risorse
LAVORARE
personali
per riSULLA
proporsi costrutPARTE tivamente
nel
SANA contesto sociale e
DI CIASCUNO familiare.
ATTRAVERSO Una parte fondamentale
del
IL RECUPERO nostro lavoro è
DELLA quello di attivare
SUA un lavoro di rete
DIGNITà attraverso il quale realizzare una
concreta
presa
in carico da parte dei servizi
territoriali (CSM - Ser.T Significa Servizio per le Tossicodipendenze - Servizio
Sociali Territoriali. Servizio
Sociale del Ministero di Giustizia UEPE, Avvocati difensori, Perito d’Ufficio e di parte e Famiglia).
Il lavoro di rete ci permette
una presa in carico del soggetto sin dall’inizio del ricovero, al fine di programmare
un intervento terapeutico-riabilitativo personalizzato, che
tenga conto delle risorse del
territorio e che possa continuare anche dopo il ricovero
e dopo che il paziente è uscito
dai circuiti penali. Abbiamo
avuto modo di sperimentare,
nei corso degli anni, che, ad
esempio, i pazienti che provenivano dall’OPG hanno potuto essere recuperati e reinseriti più facilmente sul territorio
attraverso questo percorso.
La presa in carico da parte
dei servizi è fondamentale
affinchè i soggetti con doppia
problematica giuridica e psichiatrica non vengano abbandonati a se stessi.
Il nostro obiettivo è anche
quello di pensare a soluzioni post-ricovero per pazienti che hanno fatto un buon
percorso riabilitativo, ma che
non possono usufruire né di
risorse personali né da parte
del territorio. A tal fine, nel
contesto del progetto per le
“Nuove Povertà” che coinvolge tutte le strutture della
Provincia Lombardo Veneta FBF, è stata costituita a S.
Maurizio l’Associazione “Dr.
Luigi Fiori Fatebenefratelli
per le Nuove Povertà Onlus”,
che rappresenta una risorsa
anche per i nostri utenti.
L’associazione, con l’aiuto
dei volontari, ha messo a disposizione un appartamento
in cui alcuni ospiti hanno potuto proseguire il loro percorso riabilitativo. L’utente che
è inserito nel gruppo alloggio
ha una attività lavorativa strutturata: borsa lavoro o tirocinio lavoro che gli permette
di contribuire al suo mantenimento e alla conduzione della
casa.
Un aspetto importante è quello del lavoro in gruppo, nella
gestione del quotidiano, ad
esempio fare la spesa, cucinare, fare le pulizie giornaliere,
come stimolo alla cooperazione e all’auto-aiuto.
Il lavoro è inteso non solo
per “occupare il tempo”, ma
ha una precisa collocazione terapeutica ed educativa.
Questa fase è importante in
quanto l’obiettivo finale è il
reinserimento dell’ospite sul
territorio.
3/2015
31
PSICHIATRIA E Ospitalità
Caratteristiche
dei nostri ospiti
I pazienti sono prevalentemente di sesso maschile, autori di reato con doppia problematica giuridica e psichiatrica.
Le diagnosi prevalenti sono
disturbi di personalità, disturbi dell’adattamento e disturbo antisociale, schizofrenia
e disturbi psicotici, disturbi
correlati ad abuso di sostanze,
disturbi dell’umore.
Provengono dal carcere, dagli
ospedali giudiziari - REMS,
dai repartini SPDC o dal domicilio e possono essere agli
arresti domiciliari, in regime
di detenzione domiciliare, in
libertà vigilata.
Le tipologie di reato prevalenti
sono contro la persona, contro
il patrimonio oppure contro la
persona e il patrimonio insieme.
Prenotazioni
ed invio
Possono accedere alla nostra
unità solo con l’ordinanza
di ricovero del giudice o del
magistrato di sorveglianza, a
seconda della posizione giuridica del soggetto.
Le richieste possono venire
dagli stessi magistrati, dagli avvocati difensori, dai periti d’ufficio e di parte, dai servizi territoriali (CSM, SERT, UEPE o
assistenti sociali del ministero,
servizi sociali del territorio).
Progetto
riabilitativo
Per ciascun paziente è previsto
un progetto terapeutico riabilitativo personalizzato mirato
32
3/2015
IL NOSTRO
OBIETTIVO
è ANCHE
QUELLO DI
PENSARE A
SOLUZIONI
POST-RICOVERO
RIABILITATIVO
ai bisogni e attitudini indivi- rio psichiatrico, SerT, serviduali; per questo gli obiettivi zi sociali territoriali, servizio
e i tempi sono costantemente sociale UEPE (Ministero di
monitorati nei diversi momen- Giustizia), avvocato difensore,
ti del percorso riabilitativo. familiari.
La definizione degli scopi del La condivisione di un proprogramma vede, inoltre, la getto terapeutico riabilitativo
partecipazione attiva e diretta personalizzato, attraverso un
lavoro di rete ed una presa in
dell’utente stesso.
Alla base di tutto il progetto carico del soggetto durante il
riabilitativo c’è la necessità di ricovero, dopo la dimissione
e dopo che il pazienlavorare sulla parte
«La cosa
te è uscito dal circuisana di ciascuno, atpiù bella
to penale è indispentraverso il recupero
della sua dignità di è stata, ancora sabile per evitare
una volta,
la reiterazione del
persona e della sua
di essermi
reato, anche perché
autostima.
All’ingresso,
dopo sentito uguale una buona parte dei
a tutti
pazienti che transital’accoglienza del pagli altri»
no presso la nostra
ziente, si effettua una
valutazione in équipe multidi- unità hanno commesso il resciplinare con osservazione e ato perché scoperti di terapia
approfondimenti psicodiagno- farmacologica e non seguiti
stici; si stende poi un proget- dai servizi territoriali.
to riabilitativo personalizzato Una particolare attenzione viecentrato sui bisogni e sulle atti- ne posta al recupero dei rapporti con i familiari in quanto
tudini individuali.
Il progetto riabilitativo avvie- molto spesso sono stati essi
ne attraverso un lavoro di rete stessi vittime e oggetto di malche coinvolge gli operatori dei trattamenti da parte dei nostri
servizi territoriali (ambulato- utenti.
Una delle caratteristiche
più significative delle attività
nell’U.O. è di un’attenzione
agli aspetti della spiritualità,
con particolare rispetto della
religione e del credo di ognuno, favorendo per ognuno i
loro rituali e la loro alimentazione, i loro momenti di preghiera.
scrizioni mediche rispetto
alla dieta da seguire. Un altro
aspetto importante del nostro percorso riabilitativo è
l’attivita lavorativa, attraverso
la quale il soggetto riacquista la sua dignità e l’autonomia economica. Durante il
ricovero, qualora il soggetto
abbia già un lavoro e la sua
occupiamo del servizio catering in occasione delle feste
della casa o di convegni che
si svolgono nel nostro presidio. Questa attività è molto
gradita perché coinvolge attivamente sia gli ospiti sia gli
operatori. Di solito si crea
una bellissima alchimia tra
tutti, ospiti e operatori, sen-
Saper cogliere i talenti di
ognuno è una prerogativa
che favorisce il percorso riabilitativo e si manifesta in
percorsi
psicoeducazionali, attività riabilitative quali
l’arteterapia, il laboratorio
di lettura, il laboratorio di
cucina, il corso di educazione alimentare. Quest’ultimo,
gestito in collaborazione con
la nostra dietista, permette ai
pazienti che arrivano dal carcere e che in genere soffrono
di problematiche dismetaboliche, di acquisire maggior
consapevolezza rispetto agli
alimenti, imparando ad alimentarsi in modo corretto,
accettando facilmente le pre-
posizione giudica lo permetta, si cerca di conciliare il
progetto riabilitativo con una
ripresa dell’attivita lavorativa. Per altri soggetti si cerca
di attivare un percorso di tirocinio lavorativo o formativo che permetta al soggetto
un reinserimento costruttivo
nel territorio dopo la dimissione. Una delle ospiti che
ha potuto trovare un nuovo
lavoro dice: «Attraverso le attività che si svolgono, si cerca di dare la giusta spinta ad
ogni singolo ospite a voler ottenere il meglio». Per cercare
di fare aggregazione e stimolare i soggetti a integrarsi nei
gruppi di lavoro, da anni ci
za differenza di ruolo: tutti
svolgono il proprio compito
in piena sinergia. Ciò ha permesso di recupare all’interno
del Presidio un’Immagine
positiva della nostra unità forense; operatori e ospiti hanno imparato ad apprezzarci e
valorizzarci per la professionalità con cui svolgiamo l’attivita del catering. Un paziente testimonia che «la cosa più
bella è stata, ancora una volta, di essermi sentito uguale a
tutti gli altri. La cosa che più
mi ha colpito è stata l’armonia tra tutti i presenti. Anche
se non sono credente vorrei
dire che si percepiva tutta la
bontà di Gesù Cristo».
3/2015
33
PSICHIATRIA E Ospitalità
L’équipe
multidisciplinare
La funzione dell’équipe multidisciplinare è quella di permettere un confronto continuo attraverso la riflessione
condivisa, l’esplicazione di
finalità e obiettivi comuni.
La collaborazione all’interno
dell’équipe permette di gestire le situazioni problematiche,
soprattutto di gestire costruttivamente l’aggressività e l’impulsività che caratterizza questo tipo di pazienti.
Pertanto l’équipe multidisciplinare, insieme alla formazione continua, rappresenta un
supporto fondamentale per
l’operatore che deve gestire le
situazioni di crisi.
Il costante confronto in
équipe evita che l’operatore
sia implicato in un eccessivo
coinvolgimento o in conflitti
etici o valoriali che necessitano di ulteriori punti di vista,
di osservazioni più oggettive
e meno influenzate dal livello
emotivo.
Il lavoro in équipe è anche un
valido supporto che permette di tollerare le frustrazioni
o il fallimento quando non
si raggiungono i macro obiettivi prefissati; esso favorisce
inoltre la capacità di trarre
soddisfazione ed orgoglio dai
piccoli passi e dalle piccole
conquiste.
L’operatore deve sapersi
proporre come modello, nel
tentativo di ridurre i comportamenti aggressivi e fornire
nuovi modi per relazionarsi
ed affrontare situazioni spiacevoli e frustranti.
Per evitare di sommare predica su predica, punizione su
34
3/2015
punizione per indurre al cambiamento, schivando così ogni
possibilità di coinvolgersi ed
esporsi, occorre passare del
tempo ad ascoltare, osservare,
procedere per ipotesi, ricercare il significato di ciò che sta
accadendo all’altro e a sé.
Un reale interesse per un investimento emotivo ed affettivo
da parte dell’operatore facilita
il paziente a credere che valga
veramente la pena investire su
se stesso. L’operatore, prima
di essere tale, è una persona
«ATTRAVERSO
LE ATTIVITà
CHE SI SVOLGONO,
SI CERCA
DI DARE
LA GIUSTA SPINTA
AD OGNI
SINGOLO OSPITE
A VOLER
OTTENERE
IL MEGLIO»
non perfetta con i propri bisogni e
sentimenti, con una propria visione
del mondo e una singolare capacità
di interpretazione della realtà.
L’operatore coinvolto nella relazione interpersonale con un paziente
con scarso controllo dell’aggressività
deve cercare di avvicinarsi alla visione dell’altro attraverso uno sforzo di
decentramento e di coinvolgimento
personale sospendendo il proprio
giudizio e distaccandosi da ogni pregiudizio e preconcetto, soprattutto
per certe tipologie di reato quali pedofilia, violenze sessuali o infanticidi. È necessaria una continua formazione da parte degli operatori, dove
l’équipe multidisciplinare ha un ruolo fondamentale.
da parte dei servizi territoriali. Ultimamente la situazione è ulteriormente peggiorata a causa della crisi
economica e dalla conseguente mancanza di risorse economiche dei servizi.
Per supportare la validità
del percorso riabilitativo è
stata effettuata una ricerca
con l’obiettivo di valutare
l’esito clinico e sociale di
un intervento riabilitativo
con pazienti con doppia
problematica, psichiatrica
e giuridica.
Gli outcome da verificare
erano la riduzione dell’aggressività e il controllo
dell’impulsività, l’eventuale
miglioramento nella assertività e nel tono dell’umore.
L’articolo prosegue con
una serie di dati e di tabelle, certamente significativi
per chi opera nel settore
ma che rischierebbero di
essere incomprensibili per
i nostri lettori, pertanto li
omettiamo lasciandoli ad
una eventuale rivista scientifica.
Criticità
Una delle maggiori criticità è costituita dalla doppia problematica psichiatrica e giuridica dei pazienti che
accedono all’unità.
I tempi clinici non sempre corrispondono ai tempi giudiziari. Può
succedere infatti che un buon percorso riabilitativo venga interrotto a
causa di un procedimento giudiziario emesso da un magistrato. Questo
può creare difficoltà nella programmazione dei ricoveri, oltre a problemi legati al percorso riabilitativo dello stesso paziente.
Una delle problematiche maggiori
di cui soffrono gli ospiti sono i disturbi comportamentali, ad esempio l’aggressività, lo scarso controllo
dell’impulsività, la tendenza a riproporre le stesse modalità relazionali e
comportamentali del carcere che gli
operatori devono saper gestire. Ci
sono poi reali fatiche degli operatori
nel gestire soggetti che hanno commesso reati quali la pedofilia, le violenze sessuali o gli infanticidi.
Un’altra criticità forte è la fatica nel
far prendere in carico questi soggetti
3/2015
35
Ospitalità e SANITà
INTERVISTA
Uno sguardo
al futuro
degli ospedali
religiosi
Paolo
Viana
La prevedibile riduzione
del finanziamento pubblico deve diventare stimolo
al miglioramento e non
motivo di riduzione dei
servizi. Bisogna mettere in campo strategie di
aggregazioni, di fusioni e
azioni per la messa in comune dei servizi generali
ecco alcuni suggerimenti
di Borgonovi.
L’
economista
Elio Borgonovi è uno dei
massimi esperti
internazionali di management e di politiche della sanità. Tra l’altro, nel 1978 ha
fondato il Cergas (Centro
di Ricerche sulla Gestione
dell’Assistenza Sanitaria e
Sociale) di cui è presidente
e che rappresenta un osservatorio privilegiato per
analizzare i problemi attuali e spingere lo sguardo nel
futuro del nostro settore.
È quello che fa in quest’in36
3/2015
tervista esclusiva che ci ha
concesso.
Il Patto della Salute è
al centro di nuove polemiche: secondo Lei
sarà tagliato per finanziare la riduzione della
pressione fiscale?
L’esperienza del passato
anche recente ci dice che
i patti interistituzionali tra
Stato e Regioni sono spesso
disattesi a causa di vincoli
finanziari.
È già accaduto per il finan-
a Elio Borgonovi, economista
ziamento previsto per 2015
tagliato di 2,35 miliardi, è probabile che accada anche per il
2016 per il quale è prevedibile
un finanziamento di 112-113
miliardi invece dei 115 previsti nel patto per la salute sottoscritto a luglio 2014.
Quale ruolo (e risorse)
avranno nei prossimi
anni gli ospedali religiosi
classificati?
Come per tutte le istituzioni
il ruolo dipende da politiche
generali di sistema sanitario
ma anche dalla capacità che
questi ospedali dimostreranno
difronte alle nuove condizioni.
Per quanto riguarda le politiche generali è prevedibile che
le Regioni avvieranno processi
di rinegoziazione con tutto il
privato accreditato.
Per quanto riguarda gli spazi di
autonomia che dipendono da
proprie scelte, anche gli ospedali privati religiosi dovranno
attivare strategie di riorganizzazione interna per migliorare
il valore dell’assistenza garantita-costi e per fare in modo che
la prevedibile riduzione del
finanziamento pubblico produca stimoli al miglioramento
dell’efficienza e non riduzioni
dei livelli dei servizi.
Inoltre gli ospedali privati religiosi dovranno realizzare velocemente strategie di aggregazioni addirittura fusioni al fine
di aumentare le loro dimensioni, non che azioni per la messa
in comune di servizi generali
(acquisti congiunti di beni di
consumo e di tecnologie, gestione contabile, manutenzioni del patrimonio immobiliare
e tecnologico, servizi logistici
eccetera).
Infine anche questi ospedali
dovranno attivare strategie di
qualificazione e formazione
dei dirigenti di diverso livello
e del personale di supporto a
medici infermieri e altro personale direttamente impegnato nell’erogazione di prestazioni di salute.
MOLTE VOLTE
NON BASTANO
LE EVIDENZE
PER CONVINCERE
CHI DEVE
FARE LE POLITICHE
3/2015
37
Ospitalità e SANITà
GLI OSPEDALI
PRIVATI RELIGIOSI
DOVRANNO
REALIZZARE
VELOCEMENTE
STRATEGIE
DI AGGREGAZIONI
E DI FUSIONI
E quale ruolo prevede per
gli Irccs religiosi?
Gli Irccs dovranno rafforzare
la loro capacità di fare una politica comune con tutti gli Irccs
sia privati che pubblici.
In particolare dovranno individuare bene i propri punti di
forza e di debolezza, potenziare i primi e cercare di eliminare i secondi.
La metodologia da adottare è
la SWOT analysis (Strengths,
Weaknesses, Opportunities
and Threats) e diventare centri di riferimento (HUB) per
reti di altri ospedali.
In definitiva dovranno chiarire
meglio come intendono collocarsi difronte alla evoluzione
dei bisogni sanitari e quale visione hanno su questo futuro.
hanno un impatto sociale Fino a quando? sempre più forte?
Devo rispondere come ho
Purtroppo no.
risposto alla domanda preceUno dei problemi della socie- dente, ma posso aggiungere
tà moderna è quello che molte un elemento positivo.
volte non bastano le evidenze Esistono nel nostro Paese una
per convincere chi deve fare serie di esperienze positive
le politiche (in questo caso su di politiche attive in questo
questa grave situazione) fino settore tramite le quali con
a quando le evidenze non di- interventi a costi limitati ma
ventano emergenze, come di- integrati tra diversi soggetti, è
mostra anche la situazione dei possibile ottenere ottimi risultati anche di recupero di paIl nuovo rapporto mon- migranti.
diale sull’Alzheimer ha Ciò che si può fare invece è zienti con queste patologie.
confermato l’emergenza, utilizzare questi dati per una Si tratta di attivare azioni di
con un caso di demenza forte e mirata azione di sensi- mappatura di queste esperienbilizzazione che porti ad anti- ze e di diffusione nel paese.
ogni tre secondi.
Basteranno questi nu- cipare politiche attive anche in Se si farà ciò, tra l’altro con costi limitati, sarà possibile aiumeri a convincere il go- questo campo.
tare la cenerentola ad essere
verno sull’importanza di
meno derelitta anche se forse
investire nella ricerca di
patologie che, con l’au- La psichiatria è la cene- non potrà diventare la sposa
mento della vita media, rentola della medicina. del principe.
38
3/2015
FEDE E Ospitalità
San Riccardo
Pampuri:
Luca
Beato o.h.
N
Eucaristicamente
pio
San Riccardo, pur vivendo l’Eucaristia
secondo la vecchia Liturgia, aveva recepito
l’insegnamento di Gesù dall’Eucaristia traeva la forza
della sua premurosa carità verso i malati.
oi siamo abituati ad andare in
Chiesa, vedere
il
presbiterio
senza balaustre,
l’altare come una mensa, il
prete rivolto al popolo che
guarda in faccia la gente e
parla in italiano, la gente che
canta diverse volte durante la Messa, viene coinvolta
nelle Letture, nella Preghiera dei fedeli, porta le offerte
all’altare e poi va processionalmente a fare la S. Comunione. Si sta normalmente
in piedi, ci si siede durante
le Letture e l’omelia e ci si
inginocchia solo al momento Prima si parlava in latino, la
balaustra segnava la separadella consacrazione.
zione tra i fedeli e il sacerdote, il quale voltava le spalle
Un po’ di storia
alla gente e faceva come da
Ma non è sempre stato così. ponte tra la gente e Dio, reciC’è voluto il Concilio Vatica- tando le preghiere prescritte
no II (1961-1964) per fare la in latino che solo pochi capivano.
Riforma Liturgica.
Il popolo, in gran parte analfabeta, durante la celebrazione della S. Messa pregava
per conto suo in ginocchio,
oppure ripiegava sulla recitazione comunitaria del Santo
Rosario, anch’esso in latino.
Anch’io ho visto questa procedura quand’ero ragazzo al
3/2015
39
FEDE E Ospitalità
mio paese e quand’ero giovane religioso a San Colombano al Lambro (Milano).
Qui c’era un religioso, diventato quasi una istituzione,
fra Raffaele Poggi, che diceva il rosario in latino, ma un
po’ in fretta per stare dentro
il tempo, per cui finiva col
dire: «Ave Maria, sti è, sti è,
sti Jesu» a cui i malati mentali
rispondevano: «Santa Maria,
sti è, sti è, sti. Amen».
Questa era la situazione al
tempo di San Riccardo Pampuri. Ma egli era un privilegiato perché aveva studiato e
quindi conosceva il latino.
E poi si era procurato il messalino per cui poteva seguire
il celebrante in tutta la celebrazione stando in silenzio e
in ginocchio, come facevamo
noi religiosi.
A monte della riforma liturgica ci sta un nuova impostazione teologica della S. Messa e della S. Comunione.
Qui è necessario fare un po’
di storia.
San Paolo celebrava l’Eucaristia nel contesto di un cena
di solidarietà dei ricchi verso
i poveri. Ma l’Eucaristia non
veniva conservata.
Poi si è pensato di portarla
anche ai malati e di conservarla anche a casa loro.
La complicazione è avvenuta
dopo il 1000 con il sorgere di
eresie che negavano la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia.
Da una parte si sono moltiplicate le iniziative per affermare la presenza reale: l’uso
delle torce in chiesa durante
la consacrazione, adorazioni
eucaristiche, processioni.
D’altra parte si è sviluppato un senso di indegnità di
40
3/2015
che ho studiato all’Università
Gregoriana di Roma, distingueva ancora: la S. Messa
come Sacrificio e la Santa
Comunione come Sacramento, che poteva essere amministrato autonomamente.
Tante volte anche noi religiosi, se non potevamo partecipare alla S. Messa, ci si
premurava di fare almeno la
S. Comunione.
Un buon praticante
UN APPUNTAMENTO
DEL PAMPURI
ERA LA VISITA
AL SS. SACRAMENTO
VERSO SERA
DOPO AVER
FINITO
L’IMPEGNO
PROFESSIONALE
DELLE VISITE
AI MALATI
noi cristiani nei confronti
dell’Eucaristia, definita “tremendum mysterium”, da
adorare ma stando a debita
distanza.
Per conseguenza tanti cristiani andavano a Messa, ma non
facevano la Santa Comunione.
Ho letto da qualche parte
che un prete si gloriava di
non avere aperto il tabernacolo per un anno intero!
La Teologia preconciliare,
Veramente un secolo prima
di San Riccardo era cominciato un movimento spirituale per portare i cristiani alla
pratica della Santa Comunione da lungo trascurata: la famosa pratica dei primi nove
Venerdì del mese.
Era sottointeso che se un
cristiano, invece di fare la
comunione solo a Pasqua, la
faceva una volta al mese per
nove mesi di seguito, forse
poi gli rimaneva la voglia di
continuare a comunicarsi di
frequente.
San Riccardo si comporta fin
da piccolo come un buon cristiano praticante.
Quando a nove anni fa la
Prima Comunione, vi giun-
ge così bene preparato, che
prende l’abitudine di confessarsi ogni giovedì e di comunicarsi ogni domenica.
Quando poi frequentava
l’Università di Pavia per
prendere la Laurea in medicina e chirurgia, era capace di stare a digiuno dalla
mezzanotte fino alle 11.00
del mattino per fare la Santa
comunione nella Chiesa di S.
Maria Canepanova.
I frati Francescani che lo conoscevano qualche volta si
impietosivano di lui e gli offrivano qualcosa da mangiare.
Divenuto medico condotto a
Morimondo ha preso abitazione con la sorella Margherita vicino all’antica abbazia.
Così trovava comodo l’accesso alla Chiesa per la S. Messa
quotidiana al mattino e per la
visita al SS. Sacramento verso sera dopo aver finito l’impegno professionale delle visite ai malati.
La visita si prolungava parecchio e spesso la sorella doveva andare a chiamarlo per la
cena.
Dopo il Concilio Vaticano II
Con il Concilio Vaticano II
la Teologia ha messo in rilievo il legame stretto tra S.
Messa e S. Comunione, affermando che la S. Messa è il
Sacramento del Sacrificio di
Cristo, come è stata l’ultima
cena di Gesù con il mandato:
«Fate questo in memoria di
me».
La Liturgia ha recepito il
messaggio dell’esegesi più
recente che l’istituzione
dell’Eucaristia è avvenuta in
un clima conviviale (celebrazione della Pasqua ebraica
e cena di addio) per cui anche la celebrazione della S.
Messa deve conservare l’idea
della partecipazione a un
pranzo, anzi a un pranzo di
nozze, le nozze tra Cristo e
la Chiesa sua Sposa. L’Eucaristia è dunque un banchetto
al quale siamo invitati dal
Signore, il quale ci spezza
personalmente il pane della
parola, il pane eucaristico e
il pane della carità.
Il pane della parola
Gesù spezza il
pane dalla parola (per farci
crescere nella
fede viva).
La
Liturgia
della parola,
molto valorizzata nella riforma liturgica, è
importantissima.
Non di solo
pane vive l’uomo.
La parola di
DALL’EUCARISTIA
SAN RICCARDO
TRAEVA
LA FORZA
DELLA SUA
PREMUROSA
CARITà
VERSO
I MALATI
riconoscere
gesù cristo
come pane vivo
disceso dal cielo per nutrire
la nostra vita
nel tempo e per
l’eternità
3/2015
41
FEDE E Ospitalità
Dio che alimenta la nostra
fede è più importante anche
del pane quotidiano. Per la
nostra salvezza è indispensabile riconoscere Gesù Cristo
come il pane vivo disceso dal
cielo per nutrire la nostra
vita nel tempo e per l’eternità (Discorso eucaristico del
Vangelo di Giovanni, cap. 6).
Ma non si può riconoscere il
Cristo risorto, quando spezza
il pane, se prima non si capisce in base alle Scritture il
Cristo che soffre la passione
e la morte di croce (Cfr. Discepoli di Emmaus, Lc 24,
25 ss).
Il pane eucaristico
Gesù spezza il pane eucaristico (comunione con Cristo e
con i fratelli).
È propriamente la comunione sacramentale, che tutti i
partecipanti alla Santa Messa
sono invitati a fare.
Chi partecipa alla Santa Messa e non fa la Comunione
è come un invitato a pranzo che non mangia. Tutti si
preoccupano di lui, perché,
poveretto, deve proprio star
male. La comunione sacramentale non ci mette in comunione soltanto con Cristo,
ma anche tra di noi, che siamo il Corpo di Cristo.
Parecchi gesti della liturgia
indicano questa realtà:
- il simbolismo del pane ricavato dalla macinatura di molti grani e del vino ricavato
dalla pigiatura di molti acini.
- L’invocazione del canone:
“...per la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, lo
Spirito Santo ci riunisca in
un solo Corpo”.
42
3/2015
LA CHIESA VERA, AUTENTICA, EVANGELICA VOLUTA DA GESù è QUELLA
DELL’UMILTà E DEL SERVIZIO: è LA CHIESA DEL GREMBIULE
- Il gesto di pace prima della
Santa Comunione.
- Il cibarsi del medesimo
pane alla stessa mensa.
Il pane della carità
Gesù spezza il pane della carità (o meglio: agàpe = solidarietà) La comunione (koinonìa) porta alla diaconìa, al
servizio degli altri, alla condivisione dei nostri beni con
chi ne ha di bisogno.
È chiaro che la colletta (=
raccolta di offerte) che si fa
all’offertorio è solo un gesto
simbolico. Quello che Gesù
vuole da noi è che mettiamo
a servizio del prossimo non
solo i nostri beni economici,
ma tutta la nostra persona, i
talenti, i carismi che abbiamo
ricevuto (1Cor 12-14).
A imitazione di Gesù, la cui
vita è stata definita dal Papa
Beato Paolo VI una pro-esistenza, un’esistenza a favore
degli uomini.
L’atteggiamento di fondo del
cristiano è quello del servizio
reciproco, simboleggiato dalla lavanda dei piedi che Gesù
ha fatto agli apostoli. La
Chiesa vera, autentica, evangelica, voluta da Gesù non è
quella del potere economico,
politico, religioso: (queste
sono le tentazioni che Gesù ha
vinto e che anche noi dobbiamo respingere); non è quella
del trionfalismo, ma quella
dell’umiltà e del servizio; è la
Chiesa del grembiule. Si capisce a questo punto perché il
Concilio ha parlato dell’Eucaristia come culmine e fonte della
vita cristiana. Chi vive bene la
sua vita cristiana con fede viva,
speranza certa e carità operosa ha tutti i presupposti per
celebrare bene l’Eucaristia, la
veste adatta per partecipare al
banchetto (Mt 22, 11), la carta
d’identità per essere riconosciuto davanti al Padre e collocato
tra gli eletti (Mt 25, 31 ss) e così
partecipare alle nozze eterne
del Cristo glorioso con la Chiesa sua sposa. Chi celebra bene
l’Eucaristia (leiturghìa) cresce
progressivamente nella fede
e sotto l’influsso dello Spirito
Santo, lo Spirito dell’amore,
lavora per creare la comunione
fraterna (koinonìa) e impegna
la sua vita nel servizio verso il
prossimo (diakonìa): compie
gesti di solidarietà, lavora per la
giustizia e per la pace al fine di
costruire un mondo nuovo, più
giusto, più umano e più solidale. Tutti i fedeli, uniti al Presidente dell’Eucaristia, devono
fare proprie le parole di Cristo
e condividerne l’atteggiamento
interiore. Per cui quando il Sacerdote dice: «Questo è il mio
corpo offerto in sacrifico per
voi», devono esprimere l’intenzione: «Questa è la mia vita
messa a sevizio dei fratelli».
E quando dice: «Questo è il
mio sangue versato per voi e
per tutti…» devono intendere: «Questa è la mia vita, che
sono disposto a sacrificare per
il bene dei fratelli».
La forza dell’Eucaristia
A che serve che la tavola eucaristica sia sovraccarica di calici
San Riccardo Pampuri, pur vi- d’oro, quando lui muore di
vendo l’Eucaristia secondo la fame? ...».
vecchia Liturgia aveva recepito Dall’Eucaristia San Riccardo
l’insegnamento di Gesù datoci traeva la forza della sua prenell’ultima cena con l’istituzio- murosa carità verso i malati,
ne dell’Eucaristia e con la la- per cui non pensava solo a
vanda dei piedi agli apostoli. E fare delle belle diagnosi, ma
conosceva pure l’insegnamen- ai poveri dava i soldi per proto di San Giovanni
curarsi le medicine
Fin da piccolo
Crisostomo: «Vuoi
e sovente faceva
prende
onorare il Corpo di
arrivare da qualche
l’abitudine
Cristo? Non trascuparte anche il pollo
di confessarsi
rarlo quando si trova
per la ricostituzione
ogni giovedì
nudo. Non rendergli
fisica.
di comunicarsi
onore qui nel tem- eogni
Nei malati, poveri
domenica
pio con stoffe di seta
e affamati, vedeva
per poi trascurarlo fuori, dove Cristo da soccorrere, da curapatisce freddo e nudità. Infatti re e da consolare.
I L“QuestoMè ilU Tutto
S Equesto
O faceva con sponcolui che ha detto
mio corpo” è il medesimo che taneità e con gioia, come esiha detto “Voi mi avete visto af- genza profonda del suo essere
famato e mi avete nutrito” ...
cristiano.
San Riccardo Pampuri
San Riccardo Pampuri
San Riccardo Pampuri
I L
M U S E O
I L
M U S E O
aperto il
Sabato dalle 15,30 alle 17,30
aperto il
Sabato dalle
15,30
aperto
il alle 17,30
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Sabato dalleo preVio
15,30
alle 17,30
tel. 0382.93671
email: [email protected]
Via Sesia, 23 - Trivolzio (pV)
o preVio appuntamento
tel. 0382.93671
o
preVio
appuntamento3/2015
email: [email protected]
tel. 0382.93671
43
Ospitalità NEL TEMPO
Giusi Assi
Corsi
e ricorsi
storici
Un anno fa l’ebola ha fatto
irruzione negli ospedali
Fatebenefratelli in Liberia e
Sierra Leone, uccidendo 18 persone
della Famiglia Ospedaliera
S
embrava destinato ad
insabbiarsi della storia, insieme ai fatti terribili accaduti in secoli
passati, l’articolo «Sarà
peste?» pubblicato lo
scorso anno proprio sul
n.3 di questa rivista, invece il
fluire del tempo ha ingigantito
il mare della memoria risucchiando, nella sua risacca, le
vite di nuove persone impegnate ad affrontare l’ondata di
una tremenda epidemia: l’ebola. Questo virus, che ha investito l’Africa come uno tsunami,
ha trascinato con sé migliaia
di vite e chi si è prodigato per
salvarle è entrato ormai nei libri di storia. Le situazioni negli anni si ripresentano come
le maree: sta a noi scoprire e
ricordare il modo migliore per
affrontarle. I Fatebenefratelli
possono ritenersi fortunati; i
44
3/2015
religiosi e loro collaboratori
hanno trovato da tempo la soluzione contro l’imperversare
delle tempeste nel mondo della sofferenza: esserci.
Essere di fianco ai malati e
sostenerli, farli approdare nel
porto sicuro dell’accoglienza,
dell’assistenza, dell’ospitalità,
a qualsiasi costo e a proprio
rischio e pericolo: questa è la
testimonianza giusta per tutte le calamità. Veniamo ora
al capitolo, appena ultimato,
sull’ospitalità nel tempo.
La cronaca
diventa storia
«In questi giorni ricorre il primo anniversario di un’ultima
tragedia, che ha portato il virus
ebola nell’Ospedale St. Joseph
a Monrovia, capitale della Liberia, provocando la morte di
tre religiosi Fatebenefratelli,
una suora delle Missionarie
dell’Immacolata Concezione
ed altri cinque collaboratori.
Un mese dopo queste morti,
è deceduto anche fra Manuel
Garcia Viejo, che ha contratto
il virus nell’ospedale San Juan
de Dios a Lunsar, in Sierra
Leone, che ha anche ucciso
otto dipendenti»: così ha ricordato Ellen Johnson Sirleaf,
presidente della Liberia, consegnando il più alto riconoscimento ufficiale (Grado di Cavaliere Ufficiale) all’ospedale
St. Joseph a Monrovia per il
grande lavoro umanitario nella
lotta contro ebola, riconoscendo l’enorme contributo che
l’ospedale (Religiosi e Collaboratori) ha reso a favore della
società liberiana. Il presidente Johnson Sirleaf ha inoltre
concesso – postumo – il titolo
LA SOLUZIONE
CONTRO L’IMPERVERsARE
DELLE TEMPESTE
NEL MONDO
DELLA SOFFERENZA:
ESSERCI
FRA MIGUEL
PAJARES è
MORTO DI
EBOLA
IL 12 AGOSTO
2014 DOPO
ESSERE
STATO
RIMPATRIATO
IN SPAGNA
di Gran Maestro nell’Ordi- agosto dello scorso anno, ed
ne di Distinzione della Re- il 5 dello stesso mese anche
pubblica della Liberia a fra il Superiore dell’ospedale, fra
Patrick Nshamdze, direttore Miguel Pajares, ha contratto il
dell’ospedale, morto
virus. Rimpatriato in
In Liberia e
il 2 agosto 2014, agSpagna con suor Jugiungendo il conferi- Sierra Leone liana Bonoha MIC,
l’Ordine ha
mento del Grado di
anch’essa contagiata, i
perso a causa
Gran Commendatore
due sono stati ricovenell’Ordine della Stel- dell’ebola 18 rati all’ospedale Carpersone, tra
la d’Africa.
los III di Madrid il 7
collaboratori e
A seguito della reagosto. Fra Pajares è
confratelli
pentina diffusione del
morto cinque giorni
morbo e del contapiù tardi.
gio di fra Patrick, l’Ospedale In quel periodo il contagio
St. Joseph è stato chiuso il 1° dell’ebola è stato riscontrato
in diverse persone all’ospedale di St. Joseph a Monrovia. Il
9 agosto è morta suor Chantal Mutwameme, supervisore generale e l’11 fra Giorgio
Combey, assistente di farmacia. Suor Paciencia Melgar è
invece sopravvissuta e, dopo
aver combattuto la malattia
presso il Centro ELWA (sempre a Monrovia), si è recata in
Spagna il mese successivo, per
donare il plasma a fra Manuel
Garcia Viejo, rimpatriato in
Spagna il 21 settembre, dove
è morto quattro giorni dopo,
nonostante l’arrivo della suora.
Agosto 2014 è stato un mese
molto difficile, poiché la situazione in Africa occidentale è
passata da “critica” a vedersi
dichiarare,
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS), «Emergenza Internazionale»: fatto davvero eccezionale ma sopraggiunto in ritardo, dato che l’epidemia di
ebola era stata segnalata nel
mese di marzo 2014 e in poche settimane era ormai fuori
da qualsiasi controllo. Pertanto, quando l’epidemia si è manifestata la scorsa estate con la
sua massima virulenza, i pochi
sistemi sanitari della Guinea
Conakry, Liberia e Sierra Leone, sono collassati così come
sono stati severamente colpiti
il trasporto, il commercio e la
formazione, considerate anche le drastiche misure adottate: chiusura delle frontiere e
coprifuoco.
3/2015
45
Ospitalità NEL TEMPO
Campagna
“Stop Ebola iN
Africa occidentale”
L’Ordine Ospedaliero ha perso a causa dell’ebola in totale
18 persone, tra confratelli e
collaboratori negli ospedali della Liberia e della Sierra
Leone, ed ha compiuto grandi sforzi per ristrutturare gli
ospedali e per la formazione
del personale nei protocolli di
triage e la protezione contro il
virus, con la finalità di continuare a fornire servizi sanitari
sicuri per la popolazione in
questi paesi. Tutto questo ha
richiesto un grande sforzo per
l’Ordine, che è intervenuto da
paesi diversi così come le risorse umane e finanziarie che sono
stati erogati attraverso la campagna “Stop Ebola in Africa occidentale”. Questa campagna di
solidarietà, che ha ricevuto il
sostegno di numerosi individui e istituzioni, è stata lanciata a livello globale dalla Curia
Generale mentre il coordinamento degli interventi è stato
affidato
all’Organizzazione
Non Governativa Juan Ciudad
(JCONGD), che ha sede in
Spagna.
Ultimi dati dell’OMS
La peggiore epidemia di ebola
nella storia è ancora attiva in
Africa occidentale, anche se
la situazione è molto cambiata
rispetto ad un anno fa. Secondo l’Organizzazione Mondiale
della Sanità dalla fine di luglio
all’inizio del mese di agosto
2015 ha registrato il minor
numero di infezioni, con solo
sette nuovi casi in Sierra Leone e nella Guinea Conakry.
46
3/2015
Alcuni dati incoraggianti che
si aggiungono ai risultati ottimistici diffusi dall’OMS il 31
luglio, affermando che le prove di un vaccino sperimentale
per l’ebola offre un risultato
preliminare di immunizzazione pari al 100%, tuttavia, il
rischio di un focolaio è reale
fino a quando il virus non sarà
completamente sparito, quindi è necessario continuare prevenzione e controllo nei paesi
della regione africana.
Ad oggi l’ebola ha contagiato 27.784 persone e causato
11.294 morti, per lo più in Liberia.
Ci sono tuttavia molte altre
malattie che causano una mortalità elevata, come malaria e
infezioni delle vie respiratorie,
malattie che non sono affrontati con sufficiente attenzione
e capacità della popolazione,
che per lo più vive in povertà.
IL PRESIDENTE DELLA LIBERIA
HA ASSEGNATO IL GRADO DI
CAVALIERE UFFICIALE ALL’OSPEDALE
ST. JOSEPH DI MONROVIA E ALTRE
ONORIFICENZE AL DIRETTORE
FRA PATRICK MORTO DI EBOLA
Al di là dei numeri
Oltre a quanto possono dire
le statistiche, abbiamo le impressioni del direttore dell’Organizzazione spagnola che ha
coordinato il lavoro, José Maria Viadero, che ha dichiarato:
«Abbiamo provato sentimenti contrastanti di fallimento,
da un lato per la perdita dei
nostri fratelli e collaboratori,
e dall’altra per la significava
sofferenza delle popolazioni
dei paesi colpiti, che erano già
molto deboli e che si sono visti
coinvolti in una epidemia così
tremenda e letale come l’ebola».
Il Viadero aggiunge: «Nonostante il dolore e le difficoltà
ci sentiamo anche incoraggiati,
perché abbiamo superato questi difficili momenti grazie alla
generosità e all’impegno di
molti. Alcune persone hanno
addirittura deciso di collaborare sul campo nonostante questo rappresentasse un grande
rischio per la loro vita, dimostrando ancora una volta che
quando c’è la volontà non c’è
ostacolo insormontabile».
ERBE E SALUTE
O
RTI RIALZATI...
Foto 1. Orto rialzato in giardino
È
possibile
coltivare
verdure nel modo
più naturale possibile anche se si vive in
città e si dispone solo di un
balcone, di un terrazzo o di un
piccolo orto. Ma c’è un segreto: per ottenere buoni risultati
bisogna scegliere sia il tipo di
orto rialzato da realizzare sia le
specie più adatte da coltivare.
Perché utilizzare gli orti rialzati in giardino, orto e terrazzo?
Poiché i contenitori hanno altezze diverse possono essere
utilizzati per piantare le specie
a maggior sviluppo in quelli più bassi e viceversa e dare
un effetto estetico più dinamico. I contenitori di più facile
costruzione sono a forma di
parallelepipedo o cilindrici,
ma è possibile creare contenitori curvilinei e dall’effetto più
morbido.
COME
FARLI E
RENDERLI
ACCESSIBILI
A TUTTI
Lorenzo
Cammelli
Perché e come realizzare
un orto rialzato
in terrazzo/giardino.
Trucchi e consigli
per scegliere
le consociazioni
tra gli ortaggi
L’orto rialzato è una soluzione ideale…
In giardino (Foto 1): per
sperimentare le specie nuove
da introdurre o da coltivare; i
cassoni sono privi di fondo e
il substrato di coltivazione è in
diretto contatto col terreno: il
drenaggio è sempre garantito,
non c’ è pericolo di ristagno di
acqua.
Nell’orto (Foto 2): i cassoni
possono essere ricoperti con
film plastico trasparente o con
plexiglas in modo da creare un
tunnel adatto a piccole serre
o semenzai per le specie più
esigenti; il substrato fuori terra
assorbe il calore in superficie e
dalle pareti verticali esposte al
sole: la temperatura è più alta
rispetto a quella in piena terra;
in questa maniera si ottiene
una precocità nella raccolta
degli ortaggi.
In terrazzo (Foto 3): per coltivare ortaggi o piante officinali
utili in cucina.
Sul balcone: per avere specie da taglio da utilizzare come
ornamento della casa con
mazzi e composizioni floreali
nelle diverse stagioni.
Foto 2. Orto rialzato nell’orto
Foto 3. Orto rialzato in terrazzo
3/2015
47
ERBE E SALUTE
Materiale da utilizzare
Il contenitore in legno (Foto 4):
se non è trattato (in autoclave),
deve essere rivestito internamente con catrame liquido per diventare più durevole pur rimanendo
la struttura smontabile.
Il contenitore in tufo: è solido,
durevole e facilmente modificabile.
Il contenitore in pietra (Foto 5):
necessita di cemento e malta per
essere solido; è il più durevole,
ma la costruzione è difficilmente
modificabile
Vantaggi riguardo a...
Foto 4. Orto rialzato in legno
Foto 5. Orto rialzato in pietra
Vantaggi rispetto alle... cure colturali
La manutenzione: viene ese- La bagnatura: è mirata per
guita su misura per ogni specie ogni cassone e per ogni essenza vegetale coltivata e diffecoltivata nei diversi cassoni.
Il substrato di coltivazione: renziata grazie all’irrigazione
è mirato per ogni cassone e per a goccia o con nebulizzatori.
ogni essenza vegetale coltivata. La bagnatura è modificabile
La concimazione: è mirata anche manualmente con un
per ogni cassone e per ogni es- opportuno rubinetto applicato
ad ogni cassone rialzato.
senza vegetale coltivata.
Le regole generali per coltivare
l’orto in terrazzo/balcone
Nei cataloghi dei vivaisti, i semi di molte specie sono elencati alla voce miniortaggi. Si tratta di varietà particolari
adatte a crescere e fruttificare in vaso.
Il raccolto è abbondante e prolungato,
gli ortaggi sono di dimensioni ridotte
ma dal sapore squisito. Nella coltura in
cassetta sono da preferire:
In terrazzo: destinando all’orto la zona
più assolata e riparata dal vento, si coltivano prezzemolo nano riccio, sedano
da taglio, basilico, lattuga, fagioli nani,
carote, ravanelli, pomodori, erba cipollina, fagioli e piselli nani, peperoncino
piccante, erbe aromatiche in genere.
Sul balcone bisogna rinunciare agli ortaggi che hanno bisogno di espandere
le radici in profondità (zucchine, fagioli
o piselli di normale statura, pomodori
a frutto grosso, peperoni).
Le buone scelte
Le migliori tipologie di ortaggi da utilizzare nell’orto/
terrazzo, rispettando le distanze indicate per il trapianto, sono:
Tipologia
Cipolla
Distanza
sulla fila
cm 15-20
Distanza
tra le file
cm 20-40
Prezzemolo
Rapa
cm 05-10
cm 15-20
cm 15-25
cm 25-35
Rucola
cm 05-10
cm 20-30
Scalogno
cm 15-20
cm 20-40
Spinacio
Valeriana
cm 10-15
cm 15-20
cm 30-35
(Foto 6)
(Foto 7)
(Foto 8)
(Foto 9)
(Foto 10)
Foto 8. Rucola
48
3/2015
Comodità: non occorre piegarsi né inginocchiarsi, c’è ordine e pulizia in tutte le stagioni.
Utilizzo degli spazi: consente di sfruttare al meglio
lo spazio a disposizione grazie a materiali edili conformi
agli elementi costruttivi già
esistenti.
Estetica: ortaggi, aromatiche
e fiori da taglio sono coltivati
per creare un angolo di giardino/terrazzo sempre gradevole e non da nascondere.
Sbalzi termici: riduce gli
sbalzi termici stagionali per
esempio con l’utilizzo del
legno che ha una notevole
capacità isolante.
Realizzazione: è posto in
opera da artigiani ma è realizzabile anche dallo stesso
proprietario se ha il piacere
del bricolage.
Foto 6. Cipolla
Foto 7. Rapa
Foto 9. Scalogno
Foto 10. Valeriana
Le cassette ideali
Si ottengono ottimi risultati,
rispettando il calendario delle semine che va da aprile a
settembre.
È consigliabile utilizzare contenitori in materiale plastico
o in terracotta che devono
avere l’altezza minima di 25
centimetri e la lunghezza di
mezzo metro, sessanta centimetri.
In una cassetta di queste dimensioni possono trovare
posto due o tre piante di fagioli nani, di pomodori, di
piselli e peperoncino oppure
ravanelli e lattuga da taglio
sufficiente per un’abbondante insalata, basilico per molti
sughi e prezzemolo per minestroni.
Il tipo di terreno
È buona regola, nella fase
di preparazione del letto di semina, aggiungere
terriccio ammendante:
migliora la struttura chimico
fisica del terreno esistente,
si crea un ambiente ottimale
per la crescita degli ortaggi e
si aumenta la capacità di ritenzione idrica del suolo: mediamente 20 litri ogni 10 mq.
Se il terreno è argilloso
(compatto e difficile da lavorare) va corretto con sabbia
(10/15 kg /mq), torba (10/15
litri/mq) e letame.
Se il terreno è sabbioso
(leggero e facile da lavorare,
non trattiene l’acqua e gli elementi nutritivi) va corretto
con torba e letame in ragione di 4-5 kg./mq
Se il terreno è acido
(“ph” 5/5,5) spargere 0,5 kg
di calce viva ogni 2 mq.
Se il terreno è alcalino
(“ph “ 6/6,5) spargere 0,5 kg
di gesso ogni 2 mq.
Concimazione
Gli ortaggi hanno bisogno di
abbondanti concimazioni i
concimi migliori sono quelli
di natura organica, misti a sali
minerali.
Da preferire sono i “concimi
granulari”, arricchiti di magnesio, a base di materie prime
di origine vegetale: sono specifici per le concimazioni di
mantenimento delle principali
colture da orto, rendono fertile il terreno ricostruendone
le riserve: la dose media è di
75/100 gr/mq da ripetere a distanza di 2/3 mesi.
Le consociazioni
nell’orto... le 4 regole
da rispettare
1. Mai della stessa famiglia
Le consociazioni tra ortaggi
della stessa famiglia sono da
evitare perché: hanno le stesse
esigenze nutritive e sfruttano il
terreno allo stesso modo; attirano gli stessi parassiti e sono
contagiati più facilmente.
Non accostare mai tra di loro
cetrioli, zucche, zucchine,
meloni (famiglia delle cucurbitacee Foto 11) o melanzane,
peperoni, pomodori e patate
(famiglia delle solanacee Foto 12)
Irrigazione
L’ideale è installare un impianto
automatico “a goccia” costituito
da un tubo flessibile forato ad
intervalli regolari, da collegare a
un rubinetto e a un timer.
Foto 11. Ortaggi famiglia Cucurbitacee
modo nel giro di poco tempo
si raccolgono verdure “rapide”
prima che quelle “lente” siano
diventate grandi.
• piselli, fagioli, pomodori e
cavoli, se riprodotte per seme,
hanno bisogno di 2-3 mesi per
arrivare a maturazione.
• lattuga, spinaci e ravanelli, invece, invece si raccolgono dopo
1-2 mesi.
3. I legumi sono preziosi
Hanno la proprietà di fissare l’azoto presente nell’aria e di liberarlo nel terreno a mano a mano
che avanza la decomposizione
2. I più lenti con i più veloci delle radici.
Il trucco sta nell’affiancare or- Per questo sono un ottimo fertitaggi a crescita lenta a ortaggi lizzante naturale per gli ortaggi a
a crescita veloce. In questo foglia (lattughe, cavoli, cavolfiori, spinaci).
Foto 12. Ortaggi famiglia Solanacee
4. Le piante aromatiche sono
insetticidi naturali
È buona regola piantare basilico,
aglio, timo, santoreggia, rosmarino e salvia.
Il rosmarino, per esempio, è quasi
immune dagli attacchi parassitari
mentre l’aglio è utile nella preparazione di macerati da spruzzare
su afidi ed altri parassiti.
3/2015
49
RECENSIONI
Salvino Leone
IL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE PER LA SALUTE
DELLA DONNA. NARRATIVE BASED MEDICINE
Elvio Frigerio
CIC Edizioni internazionali, 2015, pagine 114,
ISBN: 978-8871419787, € 20,00
BENEDETTA BIANCHI
PORRO NELLA FEDE LA
GIOIA
La Medicina narrativa, o meglio la Narrative Based Medicine (NBM) – scrive l’autore – non deve essere confusa
con la medicina narrata, cioè
al racconto di storie di malati
e o di malattie, la NBM costituisce un metodo di approccio
clinico… un diverso modo di
intendere globalmente la relazione col paziente. Un approccio metodologico già applicato
a diverse discipline, Salvino
Leone lo applica nell’ambito
ostetrico ginecologico. «In tal
Edizioni Messaggero Padova, 2014, pagine 134,
ISBN: 978-8825035674, € 9,50
Elena Salem
Andrea Vena
Nel 50° anniversario della morte, gli scritti più intensi e significativi per conoscere l’esperienza umana e il cammino di fede
di Benedetta Bianchi Porro,
un cammino umano e cristiano che scopriamo nei sui diari
e attraverso le sue lettere. Una
maturazione verso il suo Signore che le chiede tutto «fino a
tre mesi fa godevo ancora della
vista: ora è notte. Però nel mio
calvario non sono disperata. Io
so, che in fondo alla via, Gesù
mi aspetta…». Il 23 gennaio
1964 muore a 28 anni, rivolgendo a Dio un’ultima parola:
«Grazie». Nel 1993 sono state
riconosciute le virtù eroiche
di Benedetta e si stanno ora
vagliando i “presunti miracoli”
per la sua beatificazione.
50
3/2015
senso –leggiamo nella prefazione– questo libro vuole
costituire una sorta di primo
manuale per tutti coloro che
vogliono approfondire o intraprendere fruttuosamente un
cammino che mette in gioco
anche il medico e non solo la
donna».
Dopo aver dettato le linee teoriche e la prassi della Medicina
narrativa nella seconda parte
del libro vengono illustrate le
principali applicazioni cliniche
per la salute della donna.
PUNTINI
NELL’UNIVERSO
Ibis Xenia Edizioni,
2014, pagine 274, ISBN:
978-8869040023, € 14,50
Un libro “coraggioso” lo definisce nella prefazione Umberto Veronesi perché Elena
Salem giornalista milanese
al suo primo libro «sceglie
come fil rouge il tema della
vita in relazione alla morte...
il lettore non troverà risposte
ai dilemmi posti dalla fine
dell’esistenza, ma sarà condotto con grazia a rifletterci».
Un libro ben scritto che coinvolge il lettore attraverso dieci storie di persone –puntini
nell’universo– con una loro
vita unica e irripetibile.
Ogni racconto provoca i
nostri sentimenti: ci fa pensare, ci emoziona, ci stimola ad essere noi stessi e ci
interpella sul senso della
vita e della morte, perché,
come scrive l’autrice, «se vivere non è facile, lo è ancora meno morire, se non si è
accompagnati dall’affetto di
persone care».
Carmine Arice a cura di
L’AMORE CHE SALVA.
EDUCATI ALLA VITA
BUONA DEL VANGELO
DAL MISTERO DELLA
SOFFERENZA
Edizioni Dehoniane Bologna, 2015, pagine 256,
ISBN: 978-8810203781, € 9,00
Promuovere eventi formativi
su temi della salute, della sofferenza, della malattia, dell’invecchiamento e della morte: queste le richieste dell’episcopato
italiano all’Ufficio nazionale
per la pastorale della salute della CEI che ha risposto organizzando alcuni seminari. Questo
volume raccoglie le relazioni di
carattere biblico, teologico e pastorale tenute nei seminari organizzati è suddiviso in cinque
i capitoli: Imparò l’obbedienza
dalle cose che patì: riflessione
biblico-teologica di Andrzej S.
Wodka. Fragilità umana e processo educativo di Alessandro
Partini. Salvifici doloris: attualità di una riflessione a trent’anni
Silvano Fayenz
L’UOMO E L’UNIVERSO. IL MISTERO
DELL’ESSERE UMANO.
LA TEORIA UNIFICANTE DELL’UNIVERSO
Edizioni della Laguna,
2015, pagine 256, ISBN:
978-8883453960, € 20,00
Per comprendere il
mistero dell’Essere
umano e dell’Universo – leggiamo
nella prefazione – è
indispensabile conoscere l’uomo, un
vero e proprio universo in miniatura.
Avevamo già presentato in queste pagine
dalla sua pubblicazione di Carmine Arice.
Il grido di Gesù in
croce: riflessione alla
luce dell’esperienza
di Chiara Lubich di
Florence Gillet. Pedagogia del dolore
innocente: riflessione
alla luce dell’esperienza del beato Carlo
Gnocchi di Angelo Bazzari.
«L’umano soffrire è un tema –
leggiamo nella presentazione di
Nunzio Galantino, segretario
generale della CEI – che può
essere affrontato da molteplici
angolature. Siamo consci però
che il dolore rimane sempre
un mistero e consapevoli della
insufficienza e inadeguatezza
delle nostre spiegazioni. Il cristiano sa che la sofferenza non
può essere eliminata, ma può
diventare atto di amore, affidamento alle mani di Dio che
non ci abbandona».
Un volume da leggere e meditare da parte di ogni credente,
specialmente da chi opera e
vive accanto ai malati e ai sofferenti.
due volumi di Silvano Fayenz
sul mistero dell’essere umano,
il presente libro è il compendio dei lavori precedenti una
restrizione e semplificazione
richiesta dal Lion Club di Gorizia. Il volume si presenta certamente più scorrevole nella
lettura anche se i temi trattati
sono scientifici – la relazione
cibernetica
cervello-mente,
verso il microcosmo
e il macrocosmo,
la teoria unificante
dell’universo e la
natura della mente
– argomenti adatti
ad un pubblico di
studiosi interessati
ad approfondire e
gustare la bellezza e
la profondità del nostro esistere.
Pierluigi Pizzimiglio
ECCLESIASTICO
CATTOLICI
SCIENZIATI
Educatt, 2015, pagine 228, ISBN: 9788867807697, € 11,00
Una raccolta interessante
e ricca di
ecclesiastici cattolici
coinvolti
in
studi nelle
scienze
logico-matematiche e fisiche.
Tra i tanti studiosi viene citato
anche Ottavio Ferrario, farmacista Fatebenefratello, che nel
1821 scoprì lo iodoformio usato come disinfettante.
L’autore è sacerdote e docente di Storia della Matematiche
oltre che direttore scientifico
della Biblioteca delle scienze
Carlo Viganò nella sede bresciana dell’Università cattolica,
con questo lavoro ha voluto
donarci la sua esperienza maturata in tanti anni di insegnamento «ho deciso –scrive don
Pizzamiglio– di riordinare le
mie carte e darle alle stampe
per far conoscere i tanti ecclesiastici cattolici e i notevoli risvolti storici, epistemologici e
teologi del loro impegno nelle
discipline fisico-matematiche».
3/2015
51
a cura di
elvio frigerio
_______________________
San Colombano al Lambro 53
Erba 56
Venezia 58
Brescia 59
San Maurizio Canavese 63
Cernusco sul Naviglio 63
Solbiate 64
Romano d’Ezzelino 65
Varazze 68
Ricordiamoli nel Signore 69
52
3/2015
Dalle nostre case...
SAN COLOMBANO AL LAMBRO
Serafino Acernozzi oh
che Cristo ha recato
e mostrato agli uomini, e qui è
FESTA PER 15 COLLABORATORI dell’amore
ben rappresentato nel mosaico
di questa Chiesa, e
E PER L’ARRIVO DELLE SUORE nell’abside
richiama la donazione radicale
L
a Chiesa del nostro Centro è gremita di ospiti,
collaboratori, fedeli del
vicinato, autorità civili e religiose per celebrare, venerdì 12
giugno, l’Eucarestia nel giorno
della solennità del Sacro Cuore di Gesù a cui è dedicata la
struttura. La concelebrazione è
stata presieduta dal Superiore
Provinciale fra Massimo Villa
con il cappellano don Gino
Muttathupadath, dal Parroco
di San Colombano e alcuni
sacerdoti del Vicariato. Il Superiore, fra Gennaro Simarò,
ha dato il cordiale “Benvenuto” con profonda gratitudine, a
tutti i presenti, in particolare a
fra Massimo Villa, e alla madre
Amabile Galatà, Superiora Generale delle Suore Francescane
dei Sacri Cuori, per essere oggi
tra noi, dicendo che: «…il nostro incontro oggi è segnato in
questa solennità, da due eventi
particolari: la consegna delle
medaglie a quindici collaboratori per il 25° anniversario di
servizio, e l’ingresso delle Suore Francescane dei Sacri Cuori nel nostro Centro, qui accompagnate dalla loro Madre
Generale, la quale ci ha fatto
dono di quattro religiose: suor
Jessy, suor Sofia, suor Divya e
suor Lurlin, che diventano nostre collaboratrici», augura loro
di svolgere con entusiasmo e
grande frutto la missione ospedaliera che il Signore ha loro
affidato. La loro presenza è un
segno di conforto e di grande
speranza per tutta la Famiglia
ospedaliera come pure la testimonianza dei festeggiati per
i venticinque anni di servizio
nell’ospitalità. Fra Massimo
all’omelia ha commentato le
letture della solennità: «…Il cuore del Redentore è qui simbolo
che Gesù fa di se stesso nella
concretezza storica della sua libertà e della stessa sua componente affettiva: “Ecco il cuore
che tanto ha amato gli uomini
ed è da loro così poco amato”…», ha poi espresso la gioia
di condividere coi collaboratori il carisma di San Giovanni di
Dio nell’assistere e nel curare
gli ospiti, con sapienza e generosità, desiderosi di compiere il
bene e di condividerlo con gli
altri: ha poi ringraziato le Suore
Francescane per aver accettato
di condividere con noi il Carisma ospedaliero nel servizio agli
ultimi. All’offertorio sono state
portate le tradizionali offerte e
un quadro realizzato dai nostri
ospiti, nell’atelier del Centro,
che rappresenta San Riccardo
Pampuri all’insegna dell’ospitalità.
TRADIZIONALE FOTO RICORDO CON LE SUORE E I COLLABORATORI FESTEGGIATI
3/2015
53
Dalle nostre case...
SAN COLOMBANO AL LAMBRO
»
La corale del Centro con
l’organista Paolo ha animato
la festa coinvolgendo nel canto gli ospiti e i fedeli.
Infine il Superiore Provinciale ha consegnato ai collaboratori festeggiati: Bollani
Stefano, Cesarini Riccardo,
Daccò Paolo, De Simone Ernesto, D’Isola Marco, Dossena Cristina, Fraschini Roberto, Luppo Giuseppe, Mancin
Pierluigi, Mariolu Giuseppe,
Mbandakasa Malonga Leon,
Montanari Antonio, Motti
Mario Giuseppe, Strozzi Ginetto Paolo e Vincenti Maria
Gabriella le medaglie, ricordo del venticinquesimo, e
gli attestati, l’entusiasmo per
questo riconoscimento, ha
fatto esplodere la gioia dei
presenti manifesata con un
lungo e caloroso applauso.
A fine cerimonia con la benedizione e il taglio dal nastro, alla presenza di tutte le
autorità e numerosi pazienti,
la biblioteca è stata ufficialmente aperta. Buona lettura
Quindi ci siamo spostati nel
giardino per piantare due alberi molto significativi (foto
sopra): un melograno, inter54
3/2015
rato da fra Massimo, i suoi
frutti sono il simbolo dello
stemma dei Fatebenefratelli; un ulivo, interrato dalla
madre Amabile, simbolo di
pace, a ricordo della “Pax
Francescana” e della fondazione di una nuova comunità
delle Suore Francescane dei
Sacri Cuori.
Nuova
attività
di Biblioteca
I
n occasione della festa del
12 giugno, è stata inaugarata la Biblioteca per gli
ospiti, progetto realizzato dalla Comunità di Sant’Agostino;
così l’ha presentata il Direttore Sanitario dott. Giobbio: «...
la Biblioteca è un’altra terapia
per i nostri ospiti i quali si
possono occupare nella lettura per rilassarsi nella mente e
per condividere nuove idee e
comportamenti». Hanno preso la parola anche gli animatori, Alessio e Emanuela, e un
ospite.
Una nuova attività di Biblioteca che definire nuova non
è corretto, già in passato in
questo Centro hanno funzionato alcune biblioteche che
hanno sempre incontrato il
favore degli ospiti e non solo,
dai registri dai vecchi prestiti
è emerso che anche gli operatori usufruivano del servizio,
ciò testimonia che il luogo era
veramente di tutti e per tutti.
In questo solco è stata aperta
questa nuova biblioteca nella bellissima sala polivalente
al primo piano del Blocco V
inizialmente la Biblioteca sarà
aperta solo al mattino.
Questa stanza dovrà essere
un punto di riferimento anche per tutti quei tipi di attività già presenti, o da creare,
che sono affini alla lettura
(lettura del quotidiano, gruppi di discussione, gruppo racconta favole, gruppi di lettura)
la Biblioteca verrà inoltre usata per il gruppo Motivazionale
trasversale sulle dipendenze
del giovedì e del venerdì.
Andrea, ospite del San Vincenzo, ha raccontato brevemente l’attività che già si svolgono
sottolineando come la lettura
e la discussione guidata su argomenti di attualità incontrano
già l’interesse di molti ospiti.
Dalle nostre case...
In biblioteca sarà presente
sempre un educatore che cercherà con modalità interattive
di favorire la lettura avendo
ben presente che la lettura ha
aspetti terapeutici, riabilitativi, relazionali e comunicativi
importanti e ben noti.
Ma è prima di tutto un piacere personale, una abitudine da imparare per coltivarla
nei vari momenti durante il
percorso di cura, ma anche
una volta dimesso come una
“medicina” per tutta la vita. I
pazienti insieme all’educatore
potranno fermarsi a leggere in
questo spazio luminoso, tranquillo un po’ isolato dal resto
delle Comunità.
Per questo motivo nella biblioteca sono stati appesi tanti
fogli colorati con molte frasi
legate alla lettura e al piacere
della lettura.
È stato fatto un doveroso ringraziamento agli ospiti del
S. Agostino che negli ultimi
mesi hanno recuperato nelle
varie comunità i libri, sparsi e
abbandonati, usati per aprire
la nuova biblioteca. In ultima
istanza abbiamo ricordato un
ospite il sig. Giorgio Cairati,
da molti conosciuto, che in
passato ha curato la prima biblioteca, in suo onore è stata
letta una sua breve poesia dal
titolo: Haiku del fiore.
Sagra
del Sacro Cuore
S
i è celebrata, domenica 14 giugno, la Sagra del Sacro Cuore, un “open day” del nostro Centro, aperto a tutti: ospiti, parenti, collaboratori e cittadini di San Colombano, di
Campagna ed altri Paesi vicini.
Momento importante la solenne Eucarestia, celebrata dal cappellano; una Messa davvero partecipata che ha entusiasmato e
commosso grazie alla presenza della Corale di Camporinaldo.
È seguito un buffet all’aperto e un pomeriggio musicale e danzante, allietato da due gruppi musicali i Dual Sound con Elisabetta e Gabriele e il B-folk di Gino e Danilo, purtroppo un
improvviso temporale ha costretto tutti a ripararsi al coperto per
continuare la festa.
Il nostro Centro, ormai ultracentenario, è una cittadella in cui gli
ospiti sono amati, curati, e si sentono a casa loro; riacquistano la
dignità di persone aiutati dal personale e dai numerosi laboratori e servizi attivi che valorizzano ogni ospite.
«Varie Falci
si incontrano
nella vita
Solo superandole
si vive a pieno
Incontri tra gioie
e prove».
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55
Dalle nostre case...
ERBA
Silvia Simoncin
La «Corsa dell’Ospitalità»:
una corsa per la vita
L’
ospedale Sacra Famiglia lancia la sua
prima edizione della
“Corsa dell’Ospitalità”, una
giornata, quella di domenica 6
giugno, dedicata allo sport, alla
musica, allo spettacolo e molti
altri intrattenimenti presso il
parco Majnoni di Erba.
Una vera e propria giornata di
beneficienza per raccogliere
fondi in vista della realizzazione di una nuova sala parti cesarei, un progetto già presentato e
accolto da Regione Lombardia,
ma non ancora finanziato. Il
Direttore Amministrativo, Nicola Antonicelli, spera di poter
partire con i lavori entro la fine
dell’anno e precisa che iniziative come queste sono di grande
aiuto non solo dal punto di vista finanziario, ma è anche un
modo per farsi conoscere e far
56
3/2015
partecipare i cittadini alle iniziative dell’ospedale.
Milleduecento erbesi, e non
solo, hanno sfidato il caldo per
percorrere nove chilometri di
corsa; molti i rappresentanti
dell’Ordine religioso di San
Giovanni di Dio e gli ospiti
dell’asilo notturno San Riccardo Pampuri di Brescia presenti, senza dimenticare tutta la
partecipazione e il coinvolgimento, sia per l’organizzazione che per interventi di aiuto
durante l’evento, di dipendenti e delle loro famiglie. «Tanti
corridori – dice Antonicelli – e
ancor più biglietti venduti: abbiamo raccolto più di 11 mila
euro ed è stata una bellissima
festa per tutti i partecipanti».
Il dr. Alberto Zanini, Responsabile del reparto di ostetricia e
ginecologia ha rimarcato le sue
emozioni con queste parole:
«Una corsa, un grande segno
di appartenenza che il personale del nostro ospedale e la
popolazione hanno voluto fare
in favore dell’Unità Operativa
di Ostetricia e Ginecologia. La
solidarietà oggi giorno è anche
questa: organizzare una manifestazione cittadina nei ritagli di
tempo del lavoro, sfidare una
giornata caldissima portando
transenne, montando gazebo
e stando ore sotto il sole a fare
assistenza.
La causa era molto importante: contribuire alla ristrutturazione della sala operatoria per
l’Ostetricia, annessa al blocco
parto così da incrementare il livello di sicurezza per le donne
e i neonati che nasceranno in
ospedale. La nuova sala operatoria sarà infatti più grande di
quella attuale e dotata dei più
moderni standard assistenziali.
Il punto nascita di Erba negli
ultimi anni ha riscontrato una
lieve flessione delle nascite,
con attualmente una media
di 800 parti/anni. Il ricorso al
taglio cesareo negli ultimi tre
anni è stato pari al 14%. L’Unità Operativa di Ostetricia e
Ginecologia dal 2004 ha conseguito la Certificazione di Qualità ISO 9001/2000, dal 2009 un
bollino rosa come Ospedale
Donna e sempre dal 2009 la
Certificazione Ospedale amico del bambino (Baby Friendly Hospital). Punto di forza è
rappresentato dalla gestione da
parte dell’ostetrica, in piena autonomia, del travaglio, parto e
puerperio fisiologico; garantendo il più possibile un rapporto
Dalle nostre case...
empatico e uno a uno con la
donna. Il Superiore Locale fra
Guido Zorzi e la comunità religiosa sono stati coinvolti attivamente in tutta l’organizzazione
dell’evento e sono rimasti emotivamente colpiti dal sostegno
della popolazione, soprattutto
in un momento così critico per
il nostro Ospedale e per tutta
la sanità.
Anche fra Massimo Villa, Superiore Provinciale, non è Nel camminare per le strade
mancato all’evento, queste le della città di Erba, partecipando alla “camminata dell’ospitalità”, ho avuto la chiara
sensazione che tutte quelle
centinaia di persone che correvano e camminavano in nome
dell’ospitalità, stavano ripetendo in “forma moderna” quella
antica tradizione dell’Ordine
chiamata “Elemosina”.
Molti i partecipanti che in serenità, senza spirito di compesue emozioni: «Camminare tizione, ma in clima di fraterper le strade della città di Gra- nità con la loro partecipazione
nada era una delle attività del hanno “riempito la sporta della
nostro fondatore San Giovanni carità” di San Giovanni di Dio
di Dio, che ogni giorno lasciava che oggi serve a dare vita ad
la sua casa e al grido “fate bene una iniziativa importante per
fratelli a voi stessi per amor di l’ospedale di Erba e cioè la
Dio” bussava di casa in casa realizzazione della sala parto
per raccogliere ciò che la gene- dell’ostetricia. Iniziative come
rosità della gente offriva per i queste rallegrano il cuore non
solo per la grande generosità
suoi poveri.
che abbiamo potuto toccare
con mano, ma anche perché
ancora una volta sentiamo forte
quello “spirito di famiglia” che
da sempre ha contraddistinto il
nostro Ordine Ospedaliero e
che oggi ancora di più va rinnovato e alimentato per essere
sempre pronti a servire con
attenzione, professionalità e
amore l’uomo sofferente».
A tagliare il traguardo per primo è stato Massimo Beretta,
secondo Paolo Pirovano e
terzo Alfredo Monastero. Ma
sono stati predisposti anche
altri riconoscimenti: alla prima
donna vincitrice Maria Cortina,
al primo bambino Francesco
Cugnaschi di sette anni e al reparto di ostetricia ginecologia
che ha venduto più biglietti,
all’associazione AVO e a due
infermiere Marina Dalla Zanna
e Annalisa Di Caprio.
Madrina della manifestazione
che ha accompagnato il pomeriggio e la serata è stata Emanuela Folliero, conduttrice televisiva invitata dalla direzione
dell’ospedale. Insieme a lei
hanno contribuito all’animazione della giornata il gruppo
giovanile Punk dei Pancake, gli
Stamilano e la cantante Simona
Pulici. E per non farsi mancare
nulla è stato messo a disposizione un maxischermo per la
finale di Champions League. È
stata una iniziativa emozionante
e coinvolgente per tutti i dipendenti che hanno visto la volontà
di amici di aiutare l’ospedale in
questa fase sociale molto delicata.
FRA MASSIMO (A SX)
FRA GUIDO
E FRA GIANCARLO
HANNO PARTECIPATO
ALLA CORSA
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57
Dalle nostre case...
ERBA
Anche la Direzione Ospedaliera si ritiene soddisfatta e
commossa di fronte agli aiuti
ricevuti e a tal proposito ringrazia il Comune di Erba, la
protezione Civile, i Volontari
Ospedalieri (AVO, ABIO),
il Lario Soccorso, i dipendenti dell’ospedale e non per
ultimo tutti gli sponsor che
hanno contribuito con le loro
donazioni ad avviare questo
progetto: Also Oculisti, ditta
Biasi utensileria, Hospital Solutions, Longoni Studio Medico, Ortopedia Castagna, Impresa Ruggeri, Impresa Rizzi
VENEZIA
Imbianchino, Ditta Rusconi
Ferramenta, Elsa Automatismi, Società Microdisegno, Falegnameria Minoretti, Azienda Metalfar, Azienda Technè,
Imaging Service, Erba Ambiente, Cicli Pozzi, Ditta Inservio, BCS, Ditta Carlo Bianchi,
Serist Ristorazione, Impresa
Terraneo, Associazione La Sorgente, Enervit, Asilo Notturno
San Riccardo Pampuri FBF.
Un ringraziamento particolare
al vero promotore e organizzatore dell’evento l’ingegner
Paolo Oliva, Ingegneria clinica
dell’ospedale Sacra Famiglia.
Barbara Cini
La chiesa si colora
N
ell’anniversario della
presenza dei Fatebenefratelli a Venezia, la
nostra chiesa si è arricchita di
otto nuove vetrate artistiche.
Esse raccontano, con discrezione ma incisività, una presen-
58
3/2015
za di Ospitalità che dal 1715
è presente, attraverso i Fatebenefratelli (Melograno) nella
città lagunare sullo stile di San
Giovanni di Dio (Sporta, bastone e firma). Con semplicità
e colore, esse, vogliono attesta-
re che l’Ospedale San Raffaele
Arcangelo (Angelo), fedele alla
sua missione, rimane porzione
di Chiesa che, a nome di Gesù
Cristo (Simboli Eucaristici),
continua a parlare di Carità
all’uomo malato ancora oggi.
Dalle nostre case...
BRESCIA IRCCS
Michela Facchinetti
MOMPIANO:
APERTA UNA NUOVA VIA NEL BOSCO
A
ppena fuori dal lieve
caos della città di Brescia, esattamente nella
valle di Mompiano in zona ex
polveriera militare, alcuni intrepidi ospiti della comunità Pampuri del Fatebenefratelli hanno
dato sfogo al loro istinto operaio creando in un bosco selvaggio un nuovo passaggio. È stato
costruito un nuovo sentiero in
questa zona bresciana di verde
incolto, faticando estirpando
rovi ed erbacce, zappando per
smuovere la terra, raccogliendo
ed utilizzando esclusivamente
materiale reperito in loco come
ad esempio sassi, rami e tronchi per realizzare l’opera; con
il grande aiuto di due generosi
pensionati, Gabriele e Franco,
mercoledì dopo mercoledì, in
circa mezzo anno di tempo,
il sentiero di Seth, questo è il
suo nome, ha preso forma ed è
percorribile a piedi. È un camminamento in salita lungo circa
150 metri ed è piuttosto ripido,
il tempo passato al lavoro lì in
valle a Mompiano è utile per
staccare dalla routine giornaliera della comunità, appaga sia
lo spirito che la carne perché
ci si stanca lavorando in buona
compagnia e alla fine ci si ritrova
contenti e soddisfatti di quello
fatto. È bello pure consumare
un pasto a base di pane formaggio e insaccati seduti all’ombra
degli alberi e nella tranquillità di
quella zona di verde.
Quando uno di noi si sente affaticato ha sempre tutto il tempo
e l’agio di riposare. Utilizzando
zappe, vanghe, cesoie, forbici,
rastrelli, roncole, mazzuoli, segacci a mano, chiodi, guanti,
stivali di gomma ed inoltre con
l’aiuto di Franco e Gabriele e
della loro motosega, siamo riusciti a dare vita ad un comodo
percorso in mezzo agli alberi
del bosco, una simpatica esperienza, un giusto motivo per utilizzare le nostre energie e ridare
spolvero al nostro corpo non
più in forma smagliante, ma ancora capace di gioire di piccoli
gesti lavorativi. Questo progetto
implica la connessione di sensazioni, pensieri, informazioni,
memoria, esperienza e coinvolge diversi piani di interesse:
In relazione all’associazione
«Gnari de Mompia’» si è dato
un valore a questo territorio, appartenente ai cittadini bresciani,
rendendolo pratico per le escur-
sioni o il tempo libero ed inoltre si è dato vita ad un’opera di
memoria storica dal motivo che
in questo posto furono effettuati dei bombardamenti in epoca
della seconda guerra mondiale,
31 gennaio 1945. Abbiamo ritrovato un pezzo tutto arrugginito di ordigno bellico e questo è
stato fissato ad una roccia sporgente dal terreno, quindi visibile
per poter ricordare, per poter
pensare a cosa è stato vissuto in
questo posto. L’associazione «Il
sasso nello stagno» con la sua
valenza artistica culturale ha costruito un luogo cercando di far
sì che questo possa essere d’aiuto ad un processo di identificazione tra la comunità cittadina e
il vissuto appunto del posto anche creando opere d’arte installate poi tra gli alberi del bosco.
Il fare questo sentiero nel bosco
ha uno scopo terapeutico-riabilitativo: bisogna pensare a cosa
fare e si passa dalla teoria del
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59
Dalle nostre case...
»
BRESCIA
progetto alla pratica realizzazione, si vive questo appuntamento
in compagnia quindi si favorisce
la socializzazione, può stimolare
la voglia e l’interesse in noi pazienti di scoprire e visitare nuovi
posti e si possono sperimentare
alcune abilità come la costanza
della partecipazione, le modalità organizzative della trasferta
giornaliera, il lavoro in generale
e l’utilizzo e la cura degli attrezzi.
È stata inoltre fatta da noi una
simpatica scoperta perché lavorando l’ambiente boschivo
per la realizzazione del sentiero
è venuto alla luce un tratto di
vecchia mulattiera, un acciottolato appartenente a chissà quali
anni indietro, evidentemente
poi passato in disuso e occultato
completamente dalla vegetazione spontanea ma ora riportato a
respirare e atto ad impreziosire
ancora di più il nostro operato.
Guido Pozzoni e gli amici Luigi,
Luca, Eros, Francesco
FESTA
AL RESIDENCE PAMPURI
P
resso le Comunità del
Residence S. Riccardo
Pampuri si è svolta, lo
scorso maggio, una festa per
commemorare il Santo a cui
le tre comunità sono dedicate.
Il clima di festa, quasi di “sagra del paese” ha contagiato
tutti nei preparativi del momento conviviale, ogni gruppo casa è stato coinvolto nella preparazione di un piatto
per la festa. Tanti i presenti
coinvolti: ospiti con qualche
familiare ed operatori hanno
partecipato con attenzione
ed interesse all’incontro di
approfondimento tenuto da
fra Marco Fabello sui valori
60
3/2015
e i messaggi positivi che si
possono cogliere nella vita di
San Riccardo, giovane medico in carriera che decide di
farsi frate: una bella testimonianza di impegno con i più
deboli.
La Festa è continuata, come
ci mostra la foto, con un momento conviviale sotto il portico del Residence di fronte
al mosaico.
Gli operatori si sono messi
“a servizio” degli ospiti e familiari preparando “pane e
salamina”. Una giornata di
festa e amicizia nel nome di
San Riccardo.
Elena Bertocchi
Dalle nostre case...
LA MOSTRA
DI GRAZIELLA
«I
mmagini e aforismi»
questo il titolo della
mostra di Graziella
Lavo inaugurata nel pomeriggio del 7 settembre e aperta
fino al 13 presso l’Oratorio di
S. Giacinto, in via Lamarmora
a Brescia
Ma lasciamo spazio alle parole pronunciate da Graziella all’apertura della mostra:
«Molte volte ci chiediamo che
senso può avere la nostra vita
che cambia, così come cambia
la nostra realtà… se facciamo
delle scelte o delle altre.
Avere avuto la possibilità
di fare questa mostra mi ha
provocato dei coinvolgimenti
emotivi molto forti… A volte
persecutori. Nonostante tutto
sono riuscita a mettere su carta
forme e colori con l’aiuto della
mia fantasia.
Cercare un mondo al di fuori
di noi, cercare un mondo fatto
di fantasia che si concretizza
sui fogli e ci fa scegliere forme
e colori diversi, sperando che
chi guarda percepisca il vissuto
e il messaggio che si vorrebbe
fosse recepito. Ognuno vede
ciò che può vedere e non ciò
che vuole vedere, perché molte sono le limitazioni e perché
molta è la differenza di come
una persona riesce a scegliere
l’attimo, e cioè nel momento
in cui pone lo sguardo sulle
tele viene colpito più da una,
anziché da un’altra.
Spero, con queste poche righe, di far capire il motivo per
cui ho deciso di allestire questa mostra».
INCONTRO PER NEOASSUNTI
S
i inizia dai nuovi assunti
con l’intento poi di raggiungere ogni operatore,
si vuole capire e recuperare,
la conoscenza della nostra
storia e della nostra identità
per aiutarci a dare un senso e
uno stile al nostro essere e al
nostro operare.
Si propone un breve incontro
che tocchi ogni aspetto della
cura alla persona e la conoscenza di alcune realtà e Sevizi istituzionali: la direzione,
la ricerca, il servizio di atten-
zione spirituale/religiosa attraverso i valori espressi nella
Carta di Identità dell’Ordine
una attenzione particolare
ai nuovi assunti. è stato un
momento importante quello
di venerdì 18 settembre che
ha visto impegnati i vertici
del Centro; l’incontro, durato l’intera mattinata, è stato
aperto dal Direttore Generale, fra Marco Fabello che ha
esposto la storia da San Giovanni di Dio ai giorni nostri.
La presentazione dell’or-
ganizzazione, le attività del
centro e i rapporti Istituzionali i temi trattati dal Direttore Amministrativo dott.ssa
Mariagrazia Ardissone; ha
continuato il Vice Direttore
Scientifico dott.ssa Roberta
Ghidoni col tema La ricerca
traslazionale all’IRCCS Fatebenefratelli; ultimo aspetto il
Servizio di attenzione spirituale e religiosa tenuto dalla
dott.ssa Michela Facchinetti,
Referente del Servizio di attenzione spirituale e religiosa.
3/2015
61
Dalle nostre case...
BRESCIA
IL NOSTRO CENTRO:
TEATRO LIRICO PER UN GIORNO
S
i è tenuto, sabato 19 settembre, presso i giardini
dell’IRCCS San Giovanni
di Dio, un concerto di musica
lirica organizzato dalla Fondazione Teatro Grande in collaborazione con l’Associazione Il
sasso nello Stagno, nell’ambito
dell’ormai consolidato appuntamento cittadino della Festa
dell’Opera, un’iniziativa che
vuole portare l’Opera, con i suoi
colori e con i suoi suoni, non
solo negli spazi noti e deputati
ma anche nei luoghi di vita quotidiana. L’evento presentato nel
nostro centro, aperto agli ospiti
e ai loro familiari e a tutta la cittadinanza, è stato uno degli oltre
60 eventi proposti nella giornata e che hanno visto più di 50
luoghi della Città “trasformarsi”
in un palcoscenico. è una festa
popolare che per il quarto anno
consecutivo porta fuori dai luoghi canonici ad esso tradizionalmente adibiti: nelle strade e
nelle piazze, nelle chiese e nelle
fabbriche, nei luoghi del sociale. In un bel pomeriggio di sole,
62
3/2015
un soprano, un baritono ed un
tenore (Alessia Pintossi, Marco
Tomasoni, Domenico Lombardi), accompagnati al pianoforte
dal maestro Luca Capoferri,
hanno proposto arie tratte dal
Don Giovanni, da La Boheme, da La Traviata e da altre
famosissime opere, creando un
momento di grande suggestione. Promuovere salute mentale
vuol dire anche creare, favorire
o ripristinare i collegamenti tra
“il dentro” e il “fuori”, favorire
lo scambio e l’integrazione con
le reti istituzionali territoriali e la
cittadinanza per creare “polis”.
Finora la maggior parte delle
iniziative dell’Associazione è
stata realizzata nei luoghi della Città, questa volta l’Istituto
ha aperto le sue porte per fare
entrare un’iniziativa che ben si
sposa con l’idea di favorire uno
scambio con il territorio, contro quell’immagine stereotipata
di malattia mentale che troppo
spesso ancora oggi si ritrova nei
contesti più diversi.
INCONTRO
NETWORK JCI
Nello scorso numero della Rivista (pagina 84) avevamo annunciato l’ottenimento della certificazione d’eccellenza della Joint
Commission International, un
riconoscimento importante che
implica un impegno da parte di
tutti gli operatori. Nella mattina
di martedì 22 settembre ci siamo incontrati per confrontarci
rispetto alla personale esperienza relativamente all’ultima visita
ispettiva dello scorso aprile che
ci ha portato al riaccreditamento e per discutere la proposta di
fare rete (network) con il dott.
Filippo Azzali della società Progea, gli operatori delle strutture
riabilitative di Albese, Villa San
Benedetto Menni, e di Cavedine, Residenza Valle dei laghi.
Dopo la pausa pranzo si è svolta una breve visita alla struttura,
alle 16 la conclusione dell’incontro.
Dalle nostre case...
SAN MAURIZIO CANAVESE
Maria Elena Boero
FESTA DELLA CONSOLATA
«L
a messe è molta
ma gli operai sono
pochi. Preghiamo
perché il Signore mandi operai alla sua messe». Mt 9, 35-38
Alla luce di queste parole, il
Provinciale fra Massimo Villa
ha salutato coloro che festeggiano quest’anno i venticinque
anni di lavoro, definendoli
come parte della “nidiata di
Fra Marchesi”(Superiore del
Presidio in quegli anni), augurando loro di fare della professione una vera vocazione,
che porti il sigillo
dell’ospitalità, con
gli stessi gesti di comprensione e condivisione di S. Giovanni
di Dio. I festeggiati
sono: Rosa Affinito,
Teresa Audasso, Paola Bolo, Rinuccia
Chiadò Fiorio, Laura
Gorgerino, Franco
Guerra, Laura Marchetti, Aldo Origlia, Emanuela Pitzanti, Daniela Rigodanza.
Un ringraziamento va agli ospi-
ti e operatori all’U.O. Forense
che in uno spirito di vera cooperazione, hanno lavorato per
fornire il servizio di catering.
CERNUSCO SUL NAVIGLIO
Giovanni Cervellera
Torneo di calcetto 2015
S
i è svolta, lunedì 27 luglio,
la premiazione del VI torneo di calcio al Centro S.
Ambrogio dei Fatebenefratelli
di Cernusco sul Naviglio. Il torneo si è svolto nei mesi di maggio e giugno e ha visto coinvolte
tutte le comunità presenti all’interno della struttura: CRA S.
Riccardo, CRA Fabello. S. Raf-
faele, Villette, S. Vincenzo, S.
Francesco. La numerosa partecipazione e il coinvolgimento di diversi ospiti ha fatto in
modo che il torneo negli anni
prendesse corpo in maniera
massiccia e con un entusiasmo
crescente. Le combattute partite hanno visto infine la vittoria
della Comunità Riabilitativa
Alta
Assistenza
San Riccardo con
nessuna sconfitta
e una sola rete subita su sei partite
giocate! Vittoria
schiacciante quest’anno per i nostri ragazzi del San
Riccardo che oltre
a portarsi a casa
una
splendida
coppa posta al centro della
comunità, hanno avuto anche
il privilegio di avere la coppa
del miglior marcatore: Sabino
Luisi con 21 gol fatti! In classifica segue il CRA Fabello
con a pari merito la comunità San Francesco. Infine,
San Vincenzo, Le Villette e
le squadre del San Raffaele!
Un grande grazie a tutti i partecipanti, ai vincitori, ai nostri
splendidi organizzatori psicomotricisti Leonardo e Alberto per la loro disponibilità ed
entusiasmo, alla sempre più
agguerrita tifoseria, a Marco
per le impareggiabili foto che
hanno immortalato momenti
emozionanti delle diverse partite e a tutti gli operatori che si
sono preoccupati di organizzare la squadra all’interno delle
comunità. Un grazie e un arrivederci all’anno prossimo!
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Dalle nostre case...
SOLBIATE
Anna Marchitto
Speranza e libertà: una insolita uscita
R
itrovo martedì 2 settembre 2015 ore 13.15.
Wow si parte per un gelato in un agriturismo!
Così potrebbe cominciare il
racconto di una gitarella scolastica…; la realtà è un po’ di
diversa, forse un po’ strana agli
occhi di chi non la “vive” tutti i
giorni, perché i ragazzini sono
quelli che non ti aspetteresti
mai: gli ospiti del gruppo Alzheimer. Nessuna differenza:
l’entusiasmo degli animatori,
la felicità dei partecipanti e lo
stupore di chi vi sta scrivendo
ha accompagnato dall’inizio
alla fine due ore di spensieratezza. Un pulmino e due
macchine… e via verso l’agriturismo. Una bella struttura che
si perde in mezzo al verde, un
piccolo “paradiso” di pace e
tranquillità dove abbiamo assaporato panna e nocciola, un
64
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gelato che con i suoi gusti ha
coccolato i partecipanti.
La natura, specialmente gli
alberi, hanno suscitato l’interesse, l’ammirazione e il divertimento degli ospiti; il tutto “immortalato”: «Che bello
fare le foto di gruppo!».
Riposati e rifocillati, siamo risaliti sui mezzi e ci siamo recati alla Chiesa di San Giuseppe
a Somazzo.
Sembrava di essere tornati
indietro nel tempo quando
il “Don” dopo il divertimento ci portava al momento di
preghiera. Scherzi a parte, la
Chiesetta, tanto carina quanto
accogliente, ha fatto da corollario regalandoci ancora un
momento di serenità.
Poi rientro in struttura, stanchi
ma sicuramente soddisfatti di
una magnifica avventura, certamente non tradizionale.
Sui volti dei “ragazzi” sono
passate tante emozioni e sorrisi, colti in gesti non comuni,
con occhi che parlano quando
non si possono esprimere parole.
Grazie agli animatori e a tutti
quelli che hanno reso possibile tutto questo e credono che
ogni evento non sia un traguardo, ma un punto di partenza.
Chi vi sta scrivendo è la moglie
di un ospite, che mai avrebbe
pensato nella sua vita di partecipare ad una tale avventura
(e non intendo solo la gita!).
Avventura che se fosse un film
intitolerei “speranza e libertà”.
Speranza per un presente che
non è finito e libertà di poter
“evadere” non solo da quattro
mura ma da uno stereotipo di
malattia che ci vorrebbe “non
persone”.
Un abbraccio Coly
Dalle nostre case...
ROMANO D’EZZELINO
Lavinia Testolin
Festa di S. Pio X
F
esta solenne per festeggiare i sessanta anni di
presenza dei Fatebenefratelli in Romano d’Ezzelino
nella casa dedicata a San Pio X.
«Difendere, unificare e animare» sono elementi che hanno
segnato e costituito la base della
vita di San Pio X. Con l’esposizione della reliquia del Santo
fatta pervenire da mons. Antonio Mattiazzo, emerito vescovo
di Padova, si è dato inizio al triduo dì preparazione sviluppando gli elementi sopracitati costitutivi e utili nel far conoscere
l’ampiezza della santità nel mettere in evidenza il programma
di vita del Santo, le sue virtù, in
particolare la sua mitezza, la sua
profonda fede nell’Eucaristia e
il rinnovamento che ha prodotto nella Chiesa.
La festa del 21 agosto non è
stata caratterizzata da grandi
eventi folcloristici o sfarzo, si
è voluto privilegiare il ringraziamento al Signore per i doni
ricevuti in questi 60 anni di presenza in Paese. La festa è iniziata con la celebrazione della S.
Messa solenne presieduta da
fra Anselmo Parma, superiore
dell’opera, durante l’Eucaristia
ha voluto ricordare con gratitudine gli ospiti, uno per uno, i
confratelli defunti e i confratelli
che hanno contribuito, e tuttora lo fanno, all’edificazione, allo
sviluppo della Casa di Riposo
ripercorrendo nella memoria
questi sessanta anni: non sono
mancati momenti di emozione
e un alto senso di gratitudine.
Durante l’omelia è stato messo in risalto il motto di S. Pio
X del servire nell’essere fedeli
a ciò che siamo e a ciò che si
dona nell’amare fino all’estremo in quanto il potere è servizio e questo per il bene di tutti.
Anche Papa Francesco ci dice:
«il servizio è l’inchino di fronte
al bisogno dell’altro, che, piegandomi, scopro, nel bisogno,
come mio fratello»
Una gioia a tutto campo ha caratterizzato la giornata, facendo dimenticare agli anziani la
solitudine e il distacco, grazie
anche all’animazione dei collaboratori della Cooperativa “La
Goccia” che ha saputo far rivivere emozioni e sapori del passato, dei bei giorni vissuti facendoci assaporare delizie durante
l’agape festosa. API
3/2015
65
Dalle nostre case...
ROMANO D’EZZELINO
BACK TO AFRICA
Decimo Anniversario
A
nche quest’anno, nella
nostra struttura a Ca’
Cornaro di Romano
d’Ezzelino, si è svolta da venerdì 17 a domenica 19 luglio la
manifestazione a sostegno delle
attività africane dei Fatebenefratelli. Back 2 Africa un insieme
di manifestazioni artistico-culturali multietniche. Nei saloni della Villa Mostra fotografica degli
Ospedali africani dei Fatebenefratelli di Afagnan (Togo) e di
Tanguiéta (Benin) del fotografo Matteo Biatta. È continuata,
come tradizione, la realizzazione e soprattutto la vendita delle
magliette di diversi colori e misure uomo e donna. Per saperne di più vai al link http://www.
back2africa.it/t-shirts/
Inoltre nel 10° anniversario della sua esistenza il Gruppo Back
2 Africa ha deciso di costituirsi
giuridicamente in Associazione
benefica Back 2 Africa in sigla
B 2 A: il presidente è Massimo
Bernardi e il vicepresidente è
Nicola Farronato.
Il progetto Back2Africa #10 raccoglierà fondi a favore del reparto di neonatologia dell’ospedale
St. Jean de Dieu di Tanguiéta
(Benin). Sostenendo ancora
una volta l’opera di fra Fiorenzo
Priuli.
La sfida futura – dicono Nicola
Farronato e Francesco Perin – è
quella di coinvolgere in Back 2
Africa, oltre a volontari, musicisti, imprenditori e istituzioni,
pure aziende desiderose di sviluppare un’innovativa imprenditoria etica (anche in un momento, come quello attuale, di
oggettiva difficoltà economica…
Un’idea ulteriore, da mettere
definitivamente a fuoco, prevede il coinvolgimento di alcuni
importanti Istituti di credito.
111
DA ROMANO
6279 KM
A TANGUIETÀ
12000
2500
500 1
ANNI
DI STAFF 8
200 PERSONE
POZZO SCAVATO
1A 80MT IN BENIN
190
B
2 1
2
PAROLE
NELLA
POESIA B2A
WWW.
BACK2AFRICA.IT
100%
T-SHIRTS
ACQUISTATE
CON OFFERTE
DEI MASCHI
SPOGLIATI
NEI WARM UP
GIORNI
DALLA
1^ EDIZIONE
ORE DI
CD
STUDIO
DI REGISTRAZIONE
19-20-21 LUGLIO 2013
IN
BAMBINI
ADOTTATI
A DISTANZA
INCUBATRICI
NUOVE PER
I NEONATI
PROGRAMMA
NUTRIZIONALE
PER MAMME
E BAMBINI
+di20000 VISITATORI
HANNO COLLABORATO + di 70 PARTNERS
+di30 GRUPPI
MUSICALI LIVE
+di3000
A
SPILLE
COLORATE
APPESE
+di15
WARM-UP
PARTIES
MASSIMO BERNARDI CON NICOLA FARRONATO E FRA LUCA
66
3/2015
Origine, finalità e
storia decennale
Il Back 2 Africa non nasce improvvisamente come un fungo
in una umida notte d’autunno. I
prodromi li troviamo nella famiglia Farronato, una famiglia tutta
d’oro. I coniugi Gianni ed Ester
sono state delle persone innamorate dell’UTAonlus fin dalle
sue origini ed hanno sempre
partecipato attivamente alla vita
associativa e alle sue manifestazione per la raccolta di fondi a
favore degli ospedali africani dei
Fatebenefratelli: Afagnan nel
Togo e Tanguiéta nel Benin.
Naturalmente anche i figli Nicola e Valentina hanno respirato
in casa fin da piccoli il profumo dell’UTA e man mano che
sono cresciuti si sono associati ai
genitori nelle iniziative a sostegno dell’Associazione benefica.
Nel 2006, quando l’associazione celebrava i 10 anni della sua
esistenza, e pubblicava il libro
“Africa nel cuore” celebrativo
dell’avvenimento, Nicola Farronato insieme con il suo amico Francesco Perin, decidono
di intraprendere una iniziativa
capace di coinvolgere i giovani
a favore della solidarietà verso i
bambini africani denutriti, a rischio di morire di fame.
Dalle nostre case...
»
E allora, ecco l’idea di fare delle
serate di musica, canti, gastronomia etnica economica, con
grande varietà di bevande, mercatini vari, espressioni artistiche
e folcloristiche e chi più ne ha
più ne metta! Parte così, nel
2006, l’iniziativa che viene lanciata con il nome di Bassano in
Africa, si appoggia per sicurezza
alla Pro loco di Romano d’Ezzelino e si svolge a Villa Negri,
che è proprietà del Comune. Il
successo è andato al di là di ogni
aspettativa per la partecipazione
di tanti giovani. Visto il successo
iniziale, si decide di continuare,
anno dopo anno, si migliora,
si acquista visibilità e si amplia
l’offerta di festa mettendo in-
sieme cultura, divertimento e
solidarietà con i malati poveri
dell’Africa coinvolgendo i giovani che rappresentano il futuro
della nostra società.
I giovani organizzatori, nel
2008, hanno deciso di fare la
manifestazione a Ca’ Cornaro
dei Fatebenefratelli e di darle il
titolo più significativo di Back to
Africa, adottando il logo Back
2 Africa, seguendo la moda dei
messaggini telefonici.
Ma la vera novità è l’introduzione (2009) della vendita delle magliette del Back 2 Africa.
L’anno successivo si passa, per
dar spazio al numeroso pubblico, da una a due serate. Ecco
come ne parlano i due protago-
nisti Nicola e Francesco: «E la
novità c’è stata: “Back 2 Africa”,
una due giorni no-stop che alterna cultura, musica, spettacolo e
divertimento. Un piccolo festival destinato all’intrattenimento,
al relax e alla socializzazione in
un week-end gioioso all’insegna
di emozioni, sapori e suoni africani. Di anno in anno il nostro
impegno è cresciuto a dismisura
coinvolgendo numerose persone» Nel 2013 gli organizzatori
del Back 2 Africa hanno deciso
di estendere la manifestazione a
tre serate da venerdì a domenica facendo anche delle Warm
up, cioè delle manifestazioni
preparatorie poi è storia attuale.
Luca Beato, o.h.
UNITI PER TANGUIETA E AFAGNAN ONLUS
Avviso importante dall’associazione
Con la crisi economica la Banca popolare di Marostica, di cui si serve la
nostra Associazione UTAONLUS,
è stata assorbita dalla Volksbank di
Bolzano. La conseguenza per i nostri
benefattori è la necessità di cambiare
l’IBAN nei versamenti.
ATTENZIONE
AL NUOVO IBAN:
Banca popolare di Marostica –Volksbank,
Agenzia di Romano d’Ezzelino VI
IBAN:
IT64E0585660900166570004248
In concomitanza, per ragioni di maggior presenza nel territorio, il Consiglio dell’UTAONLUS ha deciso
di aprire un conto corrente presso
un’altra Banca:
Banca popolare di Romano e Santa
Caterina, Ag. di Romano d’Ezzelino VI
IBAN:
IT79T0830960900000000027744
FRA TADDEO IN ITALIA
Nella seduta del Consiglio Direttivo del 22 luglio c’è stata la
presenza assai gradita del missionario di Romano d’Ezzelino fra
Taddeo Carlesso, a casa per un
breve riposo, che ci ha aggiornato sui problemi dell’Ospedale
di Afagnan (Togo).
Persiste il problema del tratto di
strada da Anecho ad Afagnan
talmente mal ridotta e piena di
buche che scoraggia chiunque
voglia andare all’Ospedale.
Persiste il malumore del personale infermieristico per l’incentivo economico dato dal Governo ai dipendenti degli
Ospedali statali e non all’Ospedale di Afagnan. Fra Taddeo
ha fatto richiesta alla nostra associazione di acquisto di medicinali e di materiale sanitario per oltre centomila euro in
modo da fare un container per Afagnan. È poi seguita la
richiesta di pagare le bollette della luce di luglio e agosto per
circa 12.000 euro.
Uniti per Tanguiéta e Afagnan – Via Ca’ Cornaro, 5 – 36060 Romano D’Ezzelino
C.F. 91011380242 E-mail [email protected] sito: www.uta96.it
3/2015
67
Dalle nostre case...
VARAZZE
Agostino Giuliani
ESTATE INSIEME
E
state ricca di iniziative quella vissuta nella nostra casa
di ospitalità di Varazze. A
parte le serate settimanali di musica jukebox, alla tastiera il nostro
Giovanni, le serate di liscio con il
trio capitanato da Gigino, “liscio
per sempre”, e le serate di concerto lirico con il duo Canepa, gli
appuntamenti salienti sono stati:
Domenica 19 luglio con la festa
dedicata alla vocazione dell’ospitalità, sia laica che religiosa, con
l’invito rivolto oltre che agli ospiti
a tutti i collaboratori, agli ex- collaboratori con le loro famiglie per
una suggestiva funzione religiosa
e successiva bellissima cena sulla
terrazza a mare. Il tutto preceduto da un fraterno e franco scambio di riflessioni sul significato
profondo della nostra presenza
al fianco dell’ospite, del malato
del fratello del familiare che dà
il senso vero dell’ospitalità come
atteggiamento, tenuto dal Padre
Priore sulla terrazza al mare. Domenica 2 agosto, con il ricordo
per il 118 anniversario della nascita di San Riccardo Pampuri,
con relativo e tradizionale “apericena” con sottofondo di musica. Sabato 15 agosto, serata di
ferragosto e per chiudere la festa
patronale della Casa, Beata Vergine della Guardia alla presenza
del nostro Vescovo Diocesano
monsignor Vittorio Lupi.
ESERCIZI
SPIRITUALI
prossimi
appuntamenti
Novembre 2015
dal 15 al 20
Mons. Luciano Pacomio
«Cristo, nostra gioia»
da lettera ai Filippesi
Febbraio 2016
dal 14 al 19
PadreDanieleMazzolenio.p.
«Misericordia
e verità si incontreranno»
Inizio Esercizi
con la cena della
Domenica sera,
termine con il pranzo
del Venerdì successivo.
Costo individuale
58 euro al gg.
+ 30 euro
di quota di iscrizione
Nuovo sito: www.casaperferiefatebenefratelli.it
R
iconosciuta come struttura ricettiva
“Casa per ferie” nell’ambito della classificazione turistica regionale, affiliata
all’Associazioni Albergatori di Varazze, nel rispetto delle proprie origini quale struttura di
ospitalità Fatebenefratelli, la nostra casa di Va68
3/2015
razze si rifà il look per aumentare la propria
visibilità sul web e rendere più accattivanti e
conosciuti i servizi già offerti. Visita il sito, tra
le tante novità: contenuti in ben quattro lingue
e nuove immagini che ne esaltano l’attrattiva.
Nuova mail: [email protected]
RICORDIAMOLI
NEL SIGNORE
Fra Cirillo Ceron
N
ella serata
di sabato 11
luglio, festa
liturgica di san Benedetto abate, fra
Cirillo Ceron, in
età di anni 77 e 59
di Professione religiosa, ha compiuto
il suo personale
“passaggio” da questa vita terrena alla
vita immortale, nella pace del regno
di Dio, quel luogo,
identificato con la
Gerusalemme celeste, descritto nel
libro dell’apocalisse di san Giovanni apostolo
con queste consolanti parole:
«Ecco la dimora di Dio con gli
uomini! Egli dimorerà tra di
loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-conloro”. E tergerà ogni lacrima
dai loro occhi; non ci sarà più
la morte, né lutto, né lamento, né affanno» (21, 3s). Ora
Fra Cirillo – continua la lettera inviata ai confratelli da fra
Massimo Villa Superiore Provinciale – che negli ultimi anni
ha conosciuto l’esperienza e
sopportato il peso della malattia e della sofferenza, può sperimentare la verità di queste
parole ispirate, contemplando
il volto mite e misericordioso
di Cristo, che lui stesso ha servito nei fratelli ammalati, constatando che essere con Dio
dona pienezza di vita, di gioia, di serenità. Sono convinto
che in questa celeste dimora
il nostro confratello potrà anche incontrare
san Giovanni di
Dio, Santo che
egli ha sinceramente amato
ed insegnato ad
amare, ad imitare e a pregare,
tutto ciò originato dalla felice coincidenza
dell’essere lui
nato il giorno
della solennità liturgica del
nostro Fondatore.
Fra Cirillo, infatti, era nato
a Fratte di Santa Giustina in
Colle (Padova) il giorno 8
marzo 1938; il successivo 19
marzo, nella solennità di san
Giuseppe, fu battezzato con il
nome di Ivone Giovanni. Pochi anni dopo, durante il secondo conflitto mondiale, con
la sua famiglia lasciò il paese
natale e si trasferì in Lombardia, stabilendosi a Saronno,
in provincia di Varese. L’11
marzo 1947 ricevette il sacramento della Confermazione
dal beato cardinale Ildefonso
Schuster nella chiesa parrocchiale di Uboldo (Varese),
impegnandosi poi, come attesterà il suo parroco, nell’animazione liturgica e nel servizio
di sacrestia. Ancora adolescente seguì il fratello infermiere,
che lavorava presso l’ospedale “San Giuseppe” di Milano,
stabilendosi qui e compiendo
il lavoro di lift, come addetto
ad accompagnare parenti e
malati in ascensore. Più volte
Fra Cirillo ricordava, con un
sorriso compiaciuto, come il
fascino della divisa, il giovanile
aspetto e la sua bionda chioma attiravano lo sguardo di
molte ragazze e giovani donne. Eppure il suo futuro era
ben altro. A 15 anni inizia il
suo percorso di postulandato
e due anni dopo il Noviziato
a San Colombano al Lambro
(era il 14 agosto 1955) e l’anno
successivo, il 26 agosto 1956,
emise la prima Professione
sempre nel Centro Assistenziale banino.
Durante il periodo formativo
dello Scolasticato, operò nei
nostri ospedali di Milano, Gorizia, Brescia e Varese, finché
il 15 agosto 1962, solennità
dell’Assunzione della B.V.
Maria, presso l’ospedale “San
Giuseppe” in Milano si consacrò definitivamente al Signore
con la Professione Solenne.
Da Varese, il 2 febbraio 1962,
festa della Purificazione della
B.V. Maria, Fra Cirillo indirizzò al Priore Provinciale, Fra
Mosè Bonardi, la richiesta di
emettere la professione solenne, usando espressioni di
stima per la vita religiosa e di
sincero affetto per l’Ordine;
egli scriveva: «In questi anni
di vita religiosa ho potuto conoscere e sperimentare tutta la
bellezza e l’importanza della
nostra vocazione a favore degli
infermi e, nello stesso tempo,
tutti i sacrifici, le rinunce e la
3/2015
69
»
»
RICORDIAMOLI NEL SIGNORE
dedizione che essa comporta. (…) Ringrazio il Signore
per avermi tanto amato e
chiamato a un così grande e
sublime stato di perfezione.
Ringrazio con vero cuore
filiale l’Ordine nostro per
avermi partecipato, e accolto in questi anni, della sua
spiritualità, delle sue regole
e nobilissima missione di
carità».
Fra Cirillo si è sforzato di
vivere con fedeltà la sua
scelta di vita a favore delle
persone ammalate e bisognose, come infermiere e
caposala, compiendo il suo
servizio di Ospitalità anche
a Venezia, a San Colombano al Lambro, ad Erba,
e a Solbiate; per due anni,
dal 1972 al 1974, operò in
terra di missione, presso
l’ospedale “San Giovanni
di Dio” di Afagnan (Togo),
conservando di questa intensa esperienza un felice
ricordo. Rientrato in Italia,
dopo un’attività assistenziale a Brescia e a Milano, fu
nominato, per un triennio,
Priore della casa di ospitalità a Varazze, finché nel
1985 fu inviato a Cernusco
sul Naviglio e qui vi rimase
fino al giorno della sua morte.
Nei quasi 60 anni della sua
vita religiosa, fra Cirillo si
è fatto apprezzare ed amare da molte persone, per il
suo tratto gentile, generoso
e premuroso, per il suo sincero interessamento alle vicende personali e famigliari
di ammalati e collaboratori,
per la sua creativa intraprendenza, per la sua affabilità,
per il suo spiccato senso di
accoglienza e per il modo
70
3/2015
cordiale di
intrattenere
gli ospiti. Si
dimostrava
molto affettuoso, grato
e
riconoscente con
coloro che
andavano a
fargli visita;
ai volontari
che si alternavano
nell’accompagnarlo al
trattamento
della
dialisi dedicava
espressioni di
cordiale apprezzamento
e di incoraggiamento per
proseguire
un’attività così importante e
benefica per molte persone;
ai sacerdoti, spesso oggetto
delle sue invettive, chiedeva
la preghiera ed una benedizione, quale spirituale sostegno nella sofferenza e preparazione all’incontro con il
Signore.
Tutto ciò è stato testimoniato
dalle numerose persone che
hanno partecipato al rito funebre del nostro confratello,
celebrato nella mattinata di
martedì 14 luglio, presso la
chiesa del centro “Sant’Ambrogio” gremita da quanti
hanno conosciuto e stimato
fra Cirillo: i suoi famigliari,
che l’hanno sempre seguito
e sostenuto anche nel tempo
della malattia, molti ospiti,
collaboratori ed ex collaboratori provenienti anche da
Brescia e altri Centri, nonché religiosi e sacerdoti.
«IL SIGNORE
CI GIUDICHERà
QUALI
CI TROVERà,
SARà BENE
EMENDARCI
PER TEMPO
E NON FARE
COME QUELLI CHE
DICONO DOMANI,
DOMANI,
E NON
COMINCIANO
MAI»
San Giovanni
di Dio
Il ricordo
di un confratello
Il mio primo incontro con
fra Cirillo e la sua conoscenza, avvenne proprio in terra
di missione, nel nostro ospedale missionario “Saint Jean
de Dieu” d’Afagnan (Togo);
era il mese missionario
dell’ottobre 1974 quando
arrivai la prima volta in terra africana grazie alla fiducia dei miei Superiori che,
dopo le decisioni prese dal
nostro Capitolo Provinciale,
celebrato a Monguzzo nel
marzo dello stesso anno,
mi inviavano in Africa Occidentale, come maestro dei
novizi, come strumento di
penetrazione evangelica e di
promozione umana.
Era gioioso del mio arrivo
perché vedeva l’avvicendarsi dei confratelli italiani nel
nostro ospedale missionario
di Afagnan.
Parlammo della lontananza
dalla madre patria e della vita in terra di missione,
sorretti, come Abramo, dalla fede, spinti dall’amore di
Cristo, dall’amore dei fratelli amati da Cristo.
Era entusiasmante sentirlo
parlare della nostra missione, dei primi confratelli fondatori e raccontare le loro
peripezie, le avventure, le
realizzazioni di carattere sociale, le opere di carità, gli
impegni apostolici, e i sacrifici da loro affrontati.
Di fra Cirillo, per quel poco
di tempo che siamo stati assieme di comunità, mi è caro
ricordare la sua bontà, il suo
sorriso.
Il primo a donarsi senza
mai nulla chiedere. Bontà
e disponibilità hanno caratterizzato la sua vita religiosa
e missionaria, verso tutte le
persone che lo hanno accostato.
Ammirevole è stata la sua
sollecitudine al bene degli
ammalati e poveri africani
che ha servito e curato negli ambulatori dei Villaggi e
nei vari reparti dell’Ospedale missionario con autentica
carità, fedele interprete del
carisma di San Giovanni di
Dio.
Ora dal cielo continua ad intercedere da Dio grazie speciali per il nostro cammino
verso l’incontro col Signore,
il dono di nuove vocazioni
alla Chiesa e alla nostra famiglia religiosa ospedaliera.
Grazie Fra Cirillo!
fra Serafino Acernozzi, o.h.
Gianna
Marrone
Un sorriso sulle sue labbra
lo potevi sempre vedere, anche quando era un po’ tirato
per qualche sofferenza che si
portava dentro. Curata nell’aspetto, non amava presentarsi
senza essere sistemata a dovere e dalla sua eleganza capivi
che era disposta a dare il suo
tempo per chiunque si presentasse. Nell’associazione Amicizia, che opera nel Centro
S. Ambrogio di Cernusco sul Naviglio, fin dagli inizi, ha sempre dato il suo contributo per il buon andamento del gruppo e
per tanti anni nel consiglio direttivo ha offerto le sue migliori
energie. Non creava mai contrasti tra i volontari, e questa è una
grande dote per chi deve organizzare un gruppo. Sapeva creare
un clima cordiale e la sua vivacità si abbinava ad una profonda
sensibilità. Mancherà al gruppo, soprattutto alle amiche che le
erano affezionate. È scomparsa in poco tempo, senza clamori,
semplicemente, senza dare disturbo. Ora gode certamente della
luce che ha cercato nella vita, insieme alle persone care che avrà
ritrovato.
Maurizio
Felisati
Il 26 luglio 2015 è scomparso il
nostro collaboratore Maurizio
Felisati. Ha lavorato al Centro S.
Ambrogio di Cernusco sul Naviglio dal 1985. È stato tra i primissimi animatori, poi diventati
educatori, che hanno arricchito
il personale di cura nell’ambito della salute mentale. È stato
pioniere insieme ad altri della comunità Arcobaleno, che fu il
primo tentativo a Cernusco di staccarsi dall’idea del grande reparto per costruire un ambiente più a misura d’uomo. Per anni
si è impegnato nel sindacato, portando dentro la sua passione
sociale, che all’esterno si esprimeva anche nell’intenso impegno
teatrale. Gli ultimi anni sono stati segnati da una sofferenza che
non gli ha permesso di dedicarsi ai suoi impegni con intensità,
ma restano positive le tante azioni del passato, mentre rimane
nel ricordo di chi lo ha conosciuto per le idee originali che spesso condivideva generosamente.
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OSPITALITà aL FEMMINILE
Chiara
Lubich:
Florence
Gillet
il suo cammino
con Maria
Meditando davanti alla pietà di
Michelangelo, Chiara scrisse: «Stai,
Madonna bella di Michelangelo, in
quella cappella di San Pietro, e ogni
volta che ti guardo sembri più bella.
[...] Quando le tragedie del vivere
umano mi incupiscono [...], quando
il dolore mi morde nell’anima e nel
corpo, ti guardo e mi sollevo».
Non dobbiamo tanto aspettarci amore quaggiù, ma donarlo e lo riceviamo nella misura
in cui lo doniamo... Come Maria, possiamo avere verso i nostri fratelli un cuore di madre
che scusa tutto, crede tutto, spera tutto, sopporta tutto
i sono momenti nella vita
in cui sentiamo il bisogno
di essere compresi da chi
è capace, con la sua sola
presenza, il suo sguardo, il
suo sorriso, di portare con
noi un peso che ci opprime. Qualcuno che, senza parole, riesce a volte persino a rivelarci il senso di quel dolore.
Sentiamo, in realtà, il bisogno di una madre
che ci comprende e allevia così dolori fisici o
morali, a volte strazianti. Una madre. Anche
Chiara Lubich ne ha avuto bisogno nei dolori
– acutissimi e durati lunghi anni – vissuti come
fondatrice. Non poteva andare diversamente.
Una ragazza che coinvolge nel suo Movimento non solo persone del popolo, ma anche
professionisti, parlamentari, non può non incontrare contrasti, ricevere calunnie e forse
persecuzioni. Più ancora: una ragazza cattolica che parla di unità in un’epoca in cui, in
Italia, l’unità era la principale rivendicazione
dei comunisti; che pretende leggere e vivere
la Parola di Dio, quando essa era, da secoli,
appannaggio dei protestanti; tutto questo non
poteva non suscitare perplessità e preoccupazioni pastorali nella gerarchia della Chiesa.
C
72
3/2015
Chiara sapendo
che la sua vita
cristiana era frutto dell’amore di
Gesù, ma anche di
quello DI Maria ai
piedi della croce,
voleva aprire gli
occhi ogni mattina
su quest’immagine
per conformarsi
a Lei.
Ci si chiedeva giustamente se
quelle giovani fossero in linea
con la Tradizione... Inoltre,
il gruppo animato da quella
ragazza usciva dai canoni tradizionali delle associazioni di
laici attirando anche sacerdoti,
religiosi e religiose...
Per Chiara, che aveva sempre avuto a cuore la parola di
Gesù: «Chi ascolta voi ascolta
me» (Lc 10, 16), essere sotto
l’occhio vigile ed indagatore
della Chiesa istituzionale rappresentava una prova terribile.
Era forse lo Sposo che, in questa sospensione, sconfessava il
suo operato? A questa prova
Chiara ha detto il suo sì incondizionato, durante lunghi anni
di sospensione. Lo sa bene chi
soffre: la sospensione, l’attesa
di un verdetto, è una sorte di
morte: «Era veramente – commenta – il momento in cui il
chicco di grano, gettato in terra, doveva morire per moltiplicarsi. Morire. Questo era
chiaro per noi» (Il grido, 2000,
p. 65).
Non senza un aiuto divino,
Chiara ha scoperto in Maria
che perde suo Figlio, Maria
Desolata, l’icona compiuta di
chi ridona a Dio, senza lamento, il dono che Dio le ha fatto.
Ai piedi della croce deve ridare a Dio il dono della maternità
divina. Perde in un modo raccapricciante il Figlio del quale
era stato detto: «Sarà grande e
verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà
il trono di Davide suo padre e
regnerà per sempre sulla casa
di Giacobbe e il suo regno non
avrà fine» (Lc 1, 32-33).
È il più crudele abbandono
che una creatura possa soffrire. Suo figlio era il suo Dio e
il suo tutto, la luce della sua
vita, la sua ragione di essere e
di sperare. Perdendo lui, ha
perso veramente tutto. Eppure non si è disperata, ella ha
creduto e ha accettato un’altra
maternità: «Donna, ecco tuo
figlio» (Gv 19, 26). Non è rimasta chiusa nel suo dolore ma è
uscita da se stessa per dire un
secondo sì, un secondo “fiat”,
molto più difficile da dirsi di
quello
dell’annunciazione.
Accogliendo Giovanni, accoglieva la Chiesa e l’umanità in
se stessa e se ne faceva carico.
Così è diventata nostra madre!
Chiara comprende che può
conformarsi a lei, la discepola
di Gesù per eccellenza, che ci
ha preceduti nel portare dietro a Lui la sua croce, che può
imitarla. Trovata lei, ha trovato il senso del suo dolore:
«Maria ai piedi della croce,
nello straziante “stabat” che fa
di lei un mare amaro di angoscia, è l’espressione più alta,
in umana creatura, dell’eroicità di ogni virtù. Ella è la mansueta per eccellenza, la mite,
la povera fino alla perdita del
suo Figlio che è Dio, la giusta
che non si lamenta di essere
privata di ciò che le appartiene
per pura elezione; la pura nel
distacco affettivo a tutta prova
dal suo Figlio Dio. In Maria
Desolata è il trionfo delle virtù
della fede e della speranza per
la carità che l’accese durante
tutta la vita, e qui la infiammò
nella partecipazione così viva
alla Redenzione. Maria ci insegna nella sua desolazione,
che l’ammanta
di ogni COME
virtù,
a coprirci di
MARIA
umiltà e di pazienza, di pru- POSSIAMO
denza e di perseveranza, di CREDERE
semplicità e di ALL’AMORE
silenzio perché
DI DIO
nella notte di
noi, dell’uma- CHE CI HA
no che è in
SCELTO
noi, brilli per il
mondo la luce
di Dio che abita in noi. Maria addolorata è la Santa per
eccellenza, un monumento di
santità cui tutti gli uomini che
sono e saranno possono guardare per imparare a rivestirsi
di quella mortificazione che la
Chiesa da secoli insegna e che
i santi, con note diverse, hanno in tutti i tempi riecheggiato»
(Frammenti, 1992, pp. 72-73).
L’amore di Chiara per Maria
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OSPITALITà aL FEMMINILE
le ha fatto intuire non solo la
sua Desolazione ai piedi della croce, ma altri aspetti della
sua vita, della sua persona: l’ha
compresa come “tutta rivestita
della Parola di Dio”, ha colto
l’abisso che c’è sotto la prerogativa di essere “Madre di
Dio”. Non si è accontentata
di amarla e di lodarla, ha capito che una madre vuol essere
imitata e che era perfino possibile riviverla. Sì, riviverla, essere un’altra piccola Maria con i
lineamenti della madre.
L’episodio che segna questa grazia di luce risale al dicembre 1957. Nel maggio di
quell’anno Chiara era stata
vittima di un grave incidente
d’auto e, alle sofferenze fisiche, si erano aggiunte prove
spirituali così profonde che
ella riusciva a restare in vita –
diceva – solamente tenendo gli
occhi fissi su Gesù Crocifisso
e Abbandonato. Un giorno,
entrata nella cappella della sua
casa, improvvisamente chiede
a Gesù presente nel tabernacolo non la grazia della guarigione, non di essere alleviata
nei suoi dolori, ma di spiegarle
come mai non ha lasciato Maria sulla terra:
«Perché volesti rimanere sulla
terra, su tutti i punti della terra,
nella dolcissima Eucaristia,
e non hai trovato, Tu che sei
Dio, una forma per portar-
Quando soggiornava in
Svizzera, alcuni mesi all’anno,
Chiara Lubich si recava nella
chiesa di Leuk, nel Vallese,
e dopo una visita al Santissimo
Sacramento, amava fermarsi
presso questa Desolata per
portarle i dolori, le gioie,
e tutta l’Opera di Maria.
Qui nel 2002.
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vi e lasciarvi anche Maria, la
Mamma di tutti noi che viaggiamo?».
La risposta interiore che le viene data da Gesù, la sconvolge
tanto è inaspettata:
«Nel silenzio sembrava rispondesse:
“Non l’ho portata perché la
voglio rivedere in te.
Anche se non siete immacolati, il mio amore vi verginizzerà
e tu, voi, aprirete braccia e
cuori di madri all’umanità,
che, come allora, ha sete del
suo Dio e della Madre di lui.
A voi ora lenire i dolori, le piaghe, asciugare le lacrime.” »
(Meditazioni, (1959), 200826
pp. 47-48)
Chiara coglie subito la lezione che le dà Gesù: non dobbiamo tanto aspettarci amore
quaggiù, ma donarlo e lo riceviamo nella misura in cui lo
doniamo. Aderisce subito a
questa spiegazione perché le
parole interiori di Gesù sono
fin troppo eloquenti: anche
noi possiamo rivivere Maria,
ritrovare l’innocenza primitiva. Come Maria, possiamo
credere all’amore di Dio che
ci ha scelto, possiamo credere
che «tutto concorre al bene
per quelli che amano Dio»
(Rm 8, 28), convinti che Dio è
così grande da ricavare il bene
anche dal male. Come lei, possiamo essere Parola viva ed
essere madri di Gesù, il quale
ha detto: «Mia madre e miei
fratelli sono questi: coloro che
ascoltano la parola di Dio e la
mettono in pratica» (Lc 8, 21).
Come lei, possiamo avere verso i nostri fratelli un cuore di
madre che scusa tutto, crede
tutto, spera tutto, sopporta tutto (cf. 1 Cor 13).
Questo uno dei segreti di
Chiara Lubich: anche nelle
situazioni di grande dolore,
dimentichi del nostro, prendere su di noi quello degli altri e
comportarci nei loro confronti come fossimo realmente la
loro madre. «Non ho lasciato
Maria sulla terra perché la voglio rivedere in te».
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