è una malattia causata da un Orbivirus della famiglia

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INTRODUZIONE
La Bluetongue (BT) è una malattia causata da un Orbivirus della famiglia Reoviridae (BTV) e
trasmessa da artropodi ematofagi del genere Culicoides, che interessa i ruminanti domestici e
selvatici, in particolare gli ovini (Coetzer e Tustin, 2004). In natura si è riscontrata l’infezione
anche in alcuni camelidi e altri erbivori, come l’elefante (FAO, 2002). Nelle zone a clima
temperato in cui la malattia è enzootica, la sua comparsa è stagionale, associata alla maggior
presenza dei vettori Culicoides adulti, e può colpire ruminanti domestici e selvatici (SchwartzCornil et al., 2008).
E’ caratterizzata da infiammazione, emorragie, escoriazioni ed erosioni, cianosi delle membrane
mucose della cavità oronasale, coroniti, laminiti, edema della testa, del collo e torcicollo. Il nome
della patologia deriva dalla cianosi della lingua che può, occasionalmente, presentarsi anche in
forma grave.
In tutto il mondo sono stati riconosciuti 24 sierotipi, i cui anticorpi specifici esplicano bassi
livelli di protezione crociata, rendendo complicate le strategie di vaccinazione.
A causa del notevole impatto economico la malattia era nella lista A, ora divenuta lista delle
malattie soggette a notifica internazionale, dell’OIE.
Le perdite economiche dovute all’infezione da parte del virus della Bluetongue derivano
direttamente dai cali di produttività e dalla morte degli animali e, indirettamente, dalle restrizioni
alla movimentazione degli individui provenienti da aree infette, dalla mancata esportazione di
seme di tori infetti e dai costi per implementare le misure di controllo, inclusi i tests diagnostici.
Durante il ventesimo secolo il virus era considerato endemico nelle aree sub-tropicali, anche se,
storicamente, ne era stata occasionalmente rilevata la presenza nel sud Europa (Mellor et al.,
2008). La comparsa in Europa di BTV è da far risalire agli ultimi dieci anni durante i quali, in
fasi successive, le popolazioni di ruminanti domestici mai venute prima in contatto con
l’infezione, sono state interessate dall’ingresso, dalla circolazione e dall’endemizzazione, spesso
associate a forme cliniche e mortalità rilevanti, di diversi sierotipi (1, 2, 4, 8, 9, 16) (SchwartzCornil et al., 2008). A partire dall’anno 2000, la BT ha infatti ampliato in modo eclatante la
propria diffusione in gran parte d’Europa, anche in regioni nelle quali la sua presenza era ritenuta
non ipotizzabile, grazie all’esistenza di vettori competenti, alla densità delle popolazioni
suscettibili e alla loro intensa movimentazione. Certamente, la più recente epidemia di
Bluetongue in Europa si è diffusa molto più a Nord di quanto si sia mai verificato in precedenza
e non solo nel continente Europeo.
Le ragioni di questo drammatico cambiamento nell’epidemiologia della malattia sono complesse
e da ritenersi collegate all’estensione nella distribuzione del suo maggior vettore, Culicoides
1
imicola, al coinvolgimento di nuovi vettori appartenenti al genere Culicoides ed ai mutamenti
climatici (Mellor et al., 2008).
In questo contesto di aumentato interesse nei confronti della BT, della sua epidemiologia e
distribuzione geografica, si è ritenuto importante valutare la possibile circolazione di BTV in
quelle aree che, ad oggi, risultano essere scarsamente conosciute, quali, ad esempio, le regioni
desertiche del Nord Africa ed in particolare le zone in cui sorgono le tendopoli Saharawi, nelle
quali era stata in passato segnalata la presenza di ovini e caprini, probabilmente autoctoni,
sieropositivi nei confronti di BTV (Baldan, 2004).
LA BLUETONGUE
Eziologia
Morfologia
Il virus della Bluetongue appartiene al genere Orbivirus, famiglia Reoviridae.
E’ privo di envelope e possiede un genoma di circa 19.200 paia di basi, organizzato in dieci
segmenti lineari di RNA a doppio filamento (dsRNA). I 10 segmenti di dsRNA sono contenuti
all’interno di un capside icosaedrico proteico con tripla stratificazione, di approssimativamente
90 nm di diametro.
Lo strato esterno è composto da due proteine strutturali: 60 trimeri di VP2 (111 kDa) e 120
trimeri di VP5 (59 kDa). Lo strato intermedio è costituito da VP7 (38 kDa), la principale
proteina strutturale avente carattere immunodominante, organizzata in 260 trimeri che formano
un reticolo icosaedrico che copre il subcore (Nason et al., 2004).
Il subcore consiste di 12 decameri di proteina VP3 (100 kDa).
Il core, con un diametro di 54 nm, è formato da 32 capsomeri disposti a forma di anello in una
simmetria icosaedrica (il nome del genere deriva proprio da questa struttura: orbis significa
anello in latino).
I capsomeri sono costituiti da strutture tubulari che constano di piccole unità strutturali disposte
in pattern regolari esagonali e pentagonali (Coetzer e Tustin, 2004).
Le 120 molecole di VP3 possono essere considerate come un reticolo icosaedrico che contiene i
segmenti del genoma virale e tre proteine minori coinvolte nella trascrizione e replicazione:
l’RNA polimerasi RNA-dipendente (VP1, 149 kDa), l’enzima RNA capping (VP4, 76 kDa) e la
dsRNA elicasi (VP6, 36 kDa) (Nason et al., 2004).
2
Le proteine non-strutturali (NS1, NS2, NS3 ed NS3A) probabilmente partecipano al controllo
della replicazione, della maturazione e del trasferimento del virus all'esterno delle cellule infette.
A differenza della maggior parte dei virus a catena singola (ssRNA), gli Orbivirus sono
geneticamente e antigenicamente stabili durante l’infezione; non sembrano verificarsi mutazioni
puntiformi in vivo, perlomeno non con l’alta frequenza notata in molti virus ssRNA nonsegmentati.
Figura 1. Schema rappresentativo delle proteine strutturali e dei segmenti di dsRNA in BTV
(www.edpsciences.org).
Proteine strutturali
VP2
E’ la proteina responsabile del legame coi recettori, dell’emoagglutinazione e della produzione di
anticorpi neutralizzanti sierotipo-specifici.
La proteina VP2 è la maggior determinante di sierotipo assieme alla proteina VP5, che svolge
però un ruolo di minor importanza.
La comparazione filogenetica di VP2 dei 24 ceppi di riferimento mostra una perfetta
correlazione tra le variazioni delle sequenze nel segmento 2 del genoma, codificante per VP2, e
il sierotipo di BTV.
Il sequenziamento e la comparazione filogenetica della proteina VP2 rivelano anche significanti
variazioni tra ceppi dello stesso sierotipo che derivano da aree geografiche diverse, con un
massimo del 30% di variazioni nelle sequenze nucleotidiche all’interno dello stesso sierotipo.
3
VP5
Al contrario della proteina VP2, la proteina VP5 è significativamente più conservata, benché
mostri, comunque, alcuni gradi di variazione che riflettono le origini geografiche
VP5 è una proteina di penetrazione della membrana, che media il rilascio delle particelle virali
dal compartimento endosomiale al citoplasma.
Le proteine principali del core: VP3 e VP7
Vp3 e, in minor misura, VP7 (Wilson et al., 2000) sono proteine conservate ed in natura si
presentano come idrofobiche; giocano un ruolo importante nell’integrità strutturale del core del
virus e, inoltre, esprimono determinanti antigenici gruppo-specifici che caratterizzano molti
gruppi filogenetici distinti. E’ importante sottolineare che il core è poco infettante o non
infettante nelle diverse cellule dei mammiferi, ma almeno 100 volte più infettante per gli insetti
adulti del genere Culicoides o per la linea cellulare dei Culicoides (cellule KC).
Il complesso VP3/VP7 protegge il genoma virale dalla sorveglianza intracellulare, in modo da
prevenire l’attivazione della produzione di INF I o l’interazione con la ribonucleasi III e i
meccanismi di silenziamento dell’RNA.
Le tre proteine minori del core: VP1, VP4 e VP6 (complesso di trascrizione)
VP1 può ampliare la sintesi di RNA dai primers (oligo A) e agisce come la replicasi di BTV, che
sintetizza dsRNA da una catena codificante dell’RNA stampo virale
VP1 presenta un'attività ottimale da 27°C a 37°C, permettendo una replicazione efficace sia nelle
cellule di mammifero che nelle cellule degli insetti.
L’mRNA immaturo è provvisto di un cappuccio di metilguanosina, connessa al primo
nucleoside, che stabilizza l’mRNA e permette un’efficiente traduzione.
All’interno delle cellule il ‘capping’ richiede l’azione di quattro distinti enzimi. Nel virus della
BT tutte e quattro le reazioni sono catalizzate dalla proteina VP4.
VP6 lega l’ATP e svolge funzioni ATPasi ed elicasi RNA-dipendenti, è responsabile dello
svolgimento delle doppie catene di dsRNA e può partecipare alla sintesi dell’mRNA.
Le proteine non strutturali: NS1, NS2, NS3, NS3A
Le due più grandi proteine non strutturali di BTV, NS1 ed NS2, sono le due proteine
maggiormente espresse nelle cellule infette, mentre le due proteine minori NS3 ed NS3A, sono
appena rilevabili nelle cellule dei mammiferi. Queste ultime vengono sintetizzate in grande
4
quantità nelle cellule degli insetti, e ciò suggerisce che il loro ruolo possa essere primariamente
collegato alla replicazione di BTV ed alla diffusione all’interno dei vettori. NS3 agisce come una
viroporina, facilitando il rilascio del virus attraverso l’induzione della permeabilizzazione della
membrana cellulare. Inoltre questa proteina lega la proteina cellulare Tsg 101, permettendo alle
particelle virali di BTV di lasciare le cellule ospiti grazie ad un meccanismo di gemmazione
simile a quello dei retrovirus. Questo meccanismo di gemmazione potrebbe essere coinvolto
nella fuoriuscita di BTV dalle cellule degli insetti, nelle quali BTV non induce significativi
effetti citopatici (Schwartz-Cornil et al., 2008).
Ciclo virale
BTV interagisce con la superfice delle cellule bersaglio grazie al legame dei trimeri di VP2 con
le glicoproteine di superficie e probabilmente anche con altri recettori.
Le particelle del core possono inoltre legarsi alle cellule (soprattutto a quelle degli insetti)
attraverso i trimeri di VP7.
Il virus viene quindi internalizzato negli endosomi e l’acidificazione induce la fusione di VP5
con la membrana endosomiale rilasciando il core attivo per la trascrizione all’interno del
citoplasma della cellula. Come altri membri della famiglia Reoviridae, BTV replica all’interno
del citoplasma delle cellule infette.
La trascrizione delle proteine virali inizia entro due ore dall’infezione.
Possono verificarsi scambi tra segmenti di dsRNA quando due differenti BTV (sierotipi o ceppi)
infettano la stessa cellula e contribuiscono all’evoluzione di BTV attraverso il processo di
riassortimento. Per ragioni sconosciute alcuni segmenti sono scambiati più spesso di altri .
Il rilascio dei virioni dalle cellule infette avviene attraverso la destabilizzazione della membrana
cellulare mediata dall’attività della viroporina NS3, in alcuni casi per gemmazione, o come
risultato della morte e della lisi cellulare.
La produzione di particelle mature è esponenziale tra l’ottava e la ventiquattresima ora postinfezione (Schwartz-Cornil et al., 2008).
Epidemiologia
La Bluetongue è stata per la prima volta descritta in una pecora Merino importata in Sud Africa
durante il Diciannovesimo Secolo. Questa malattia può colpire un ampio spettro di ruminanti
5
domestici e selvatici, sebbene causi gravi segni clinici soltanto in alcune razze di pecore e di
capre e in alcuni ungulati selvatici americani: Antilocapra americana, Ovis canadensis,
Odocoileus virginianus, Ovis hemionus, Cervus elaphus e Oreamnos americanus (Stallknecht e
Howerth, 2004). Le capre ed i bovini generalmente hanno un infezione di tipo subclinico, e
possono fungere da reservoir inapparenti, anche se alcuni sierotipi come ad esempio il sierotipo 8
che ha colpito recentemente l’Europa del nord, mostrano una maggior virulenza nei bovini, con
serie conseguenze socioeconomiche (Saegerman et al., 2008).
Nel 1902 la malattia fu nominata “a malarial catarrhal fever of sheep” e nel 1905 prese il nome
di “Bluetongue”.
All’inizio del Ventesimo Secolo la BT si diffuse in Africa, con l’introduzione di razze di pecore
non indigene molto suscettibili alla malattia (Monath et al., 1996).
L’infezione da BTV fu in seguito riconosciuta come una malattia enzootica in aree comprese tra
la latitudine 40°S e 53°N in quasi tutti i continenti: America, Africa, Australia ed Asia, causando
danni economici stimati nel 1996 intorno ai 3 miliardi di dollari l’anno. Prima del 1998 vi furono
nel sud dell’Europa brevi manifestazioni del virus (Spagna, Portogallo, Grecia e Cipro) (Mellor
et al., 1995).
Dal 1998 sei differenti sierotipi (tipi 1, 2, 4, 8, 9, 16) hanno invaso l’Europa, inclusi molti paesi
dell’Europa Settentrionale (Sierotipo 8) (Purse et al., 2005; Saegerman et al., 2008). Nell’agosto
del 2006, BTV-8 fu trovato inizialmente in Olanda, prima di estendersi a gran parte dell’Europa
Settentrionale, come descritto dalla seguente figura 2.
6
Figura 2. Zone di restrizione per Bluetongue in UE al 15 maggio 2009. Fonte: European
Commission 2009.
Situazione in Nord Africa
Algeria
Per quanto riguarda l’Algeria orientale, la presenza del virus BTV-2 è stata segnalata nel luglio
del 2000 nei pressi del confine con la Tunisia e l’insorgenza della patologia si è protratta fino al
mese di Settembre, includendo aree di territorio fino a una distanza di 250 Km ad ovest della
Tunisia. Inoltre, campioni prelevati da animali nei pressi di Algeri, ad oltre 400 Km ad ovest
della Tunisia, sono risultati positivi agli anticorpi per BTV. Il controllo dell’epidemia sì è basato
sull’uso di insetticidi e sulla sorveglianza clinica (Mellor et al., 2008).
Anche se non viene riportata in alcuna pubblicazione e non sono stati inviati nuovi report
all’O.I.E., riguardanti un ulteriore presenza del virus in questi luoghi fino al 2006, le tesi svolte
presso il dipartimento di malattie infettive della facoltà di Medicina Veterinaria di Padova,
dimostrano la presenza di sieropositività per BTV nei territori algerini del Sahara SudOccidentale anche nel 2004 ( Baldan, 2004).
7
In data 23/07/2006 è stato inviato all’OIE un report che dichiarava la comparsa di casi clinici di
BT a partire dal 12/07/2006, nelle località e con le caratteristiche indicate in tabella 1. In data
07/12/2008 è stato inviato un secondo report in cui veniva dichiarata la ricomparsa del virus e
della malattia a partire dal 28/10/2008 nelle località e nelle date indicate in tabella 2.
Tabella 1: Tabella riassuntiva dei casi di BT registrati in Algeria nel luglio 2006 (www.oie.int).
Tipo
di
unita Località
epidemiologica
Data di inizio Specie
Numero di animali interessati
dell'epidemia
suscettibili
casi decessi
distrutti
macellati
Allevamento
Boualem
12 luglio 2006
ovini
120
5
2
0
0
Allevamento
Sidi Amar
12 luglio 2006
ovini
300
7
1
0
0
Allevamento
Ain El Orak
12 luglio 2006
ovini
410
5
0
0
0
Allevamento
El Gheïcha
12 luglio 2006
ovini
60
4
2
0
0
Allevamento
Laghouat
12 luglio 2006
ovini
440
31
13
0
0
Tabella 2: Tabella riassuntiva dei casi di BT in Algeria nell’ottobre/novembre del 2008
(www.oie.int).
Tipo
di
unita Località
epidemiologica
Data di inizio Specie
Numero di animali interessati
dell'epidemia
suscettibili
casi decessi
distrutti macellati
Allevamento
Ouled Attia 28 ottobre 2008
caprini
12
0
0
0
0
Allevamento
Ouled Attia 28 ottobre 2008
ovini
150
5
1
0
0
Allevamento
Maadhar
29 ottobre 2008
ovini
105
4
2
0
0
Allevamento
Maadhar
29 ottobre 2008
bovini
6
0
0
0
0
Allevamento
Dakhla 1
2 novembre 2008 ovini
100
2
2
0
0
Allevamento
Dakhla 2
2 novembre 2008 ovini
50
1
0
0
0
Allevamento
Dakhla 3
2 novembre 2008 ovini
70
1
0
0
0
Allevamento
Dakhla 4
2 novembre 2008 ovini
80
2
0
0
0
Tunisia
In Tunisia il virus è stato riscontrato nel 2000, nel nord-est del paese.
Il periodo di introduzione è stato stimato intorno all’inizio del mese di dicembre del 1999 e il
virus è stato tipizzato come BTV-2 .
8
L’origine dell’infezione è incerta, comunque, così come l’afta apparsa in Tunisia ed Algeria
durante il 1999, probabilmente veicolata da bestiame proveniente dalla Costa d’Avorio e dalla
Guinea; è possibile che il virus della Bluetongue abbia utilizzato la stessa via od una similare.
Gli animali in Africa spesso hanno mostrato infezioni subcliniche da BTV e da BTV-2,
fenomeno comune nell’Africa occidentale sub-sahariana. Durante il periodo che va da febbraio a
maggio 2000 non sono stati riscontrati nuovi casi di Bluetongue, ma nel giugno dello stesso anno
nuovi focolai di BTV-2 furono rilevati in 10 distretti nelle zone orientali e centrali del paese.
Questi persistettero in alcune aree fino al mese di ottobre 2000. Le misure di controllo,
implementate nel 2000, includevano l’isolamento delle mandrie infette, l'utilizzo di insetticida
nei terreni dove pascolavano gli animali e vaccinazioni di massa (nel 2000, 2001 e 2002) con un
vaccino vivo monovalente per BTV-2 (Mellor et al., 2008).
Nel dicembre del 2006 fu riscontrato un numero limitato di nuovi casi di BTV-2 nella Tunisia
centrale, in mandrie non vaccinate. Il report riguardante questo evento fu inviato in data
07/01/2007, con le informazioni indicate nella seguente tabella:
Tabella 3: Tabella riassuntiva dei casi di BT registrati in Tunisia nel dicembre 2006
(www.oie.int).
Località
N.
focolai
di
specie
suscettibili
casi
decessi
distrutti
macellati
21
6
0
0
Governatore
Kairwan
3
Governatore
Monastir
ovini
46
5
1
Marocco
Alla fine del 2000 furono rilevati anticorpi BTV in animali provenienti da province del nord del
Marocco, ma non vi erano evidenze cliniche della presenza della malattia. Malgrado il
monitoraggio sierologico, non vi sono stati ulteriori riscontri dell’attività del BTV nei successivi
tre anni.
Nel 2004 la situazione cambiò e dall’inizio di agosto fino alla fine dell’anno furono rilevate
ulteriori infezioni di BTV in pecore clinicamente affette in 14 province nel nord-ovest.
Sorprendentemente, questa infezione è stata causata dal BTV-4, ed è perciò non collegabile a
quella del 2000-2002, causata da BTV-2 in altre aree del Nord Africa. Ad oggi l’origine di
questa infezione è sconosciuta (Mellor et al., 2008).
In data 27/10/2006 è stato inviato all’OIE un report che dichiarava la comparsa di casi clinici di
BT a partire dal 10/09/2006 nelle località e con le caratteristiche indicate in tabella 4.
9
Un secondo report è stato inviato in data 30/10/2006 contenente i medesimi dati.
Tabella 4: Tabella riassuntiva dei casi di BT registrati in Marocco nell'ottobre del 2006
(www.oie.int).
Tipo di unita
epidemiologica
Località
Data
di
inizio
dell'epidemia
Specie
Numero di animali interessati
suscettibili casi
decessi distrutti macellati
Fattoria
Allouda
10 settembre 2006
ovini
200
5
1
0
0
Fattoria
Allouda
10 settembre 2006
ovini
31
2
0
0
0
Fattoria
Lakhloufiyine 10 settembre 2006
ovini
77
2
2
0
0
Fattoria
Taghzout
10 settembre 2006
ovini
510
19
3
0
0
Fattoria
Beni Hasan
10 settembre 2006
ovini
500
5
0
0
0
Fattoria
Beni Hasan
10 settembre 2006
ovini
80
2
0
0
0
Fattoria
Cheria
10 settembre 2006
ovini
320
4
1
0
0
Fattoria
Cheria
10 settembre 2006
ovini
230
1
0
0
0
Fattoria
Cheria
10 settembre 2006
ovini
38
2
1
0
0
Fattoria
Ouled Daf
10 settembre 2006
ovini
162
1
0
0
0
10
Figura 3: Distribuzione dei focolai di BTV rilevati nell’area Mediterranea dal 1999 al 2007
(Transboundary and Emerging Diseases 55, 2008).
Trasmissione
La trasmissione avviene principalmente grazie ad un insetto ematofago del genere Culicoides,
sebbene il virus possa essere raramente trasmesso anche attraverso il seme, probabilmente a
causa della contaminazione di quest’ultimo con cellule del sangue. Un altro meccanismo
possibile di trasmissione è costituito dall’embryotransfer. E’ stata verificata in via sperimentale,
nei bovini e almeno per il sierotipo 8, anche la trasmissione del virus per via orale e
transplacentare (Backx et al., 2009). Questa modalità di trasmissione ha una certa rilevanza
epidemiologica, poiché si ritiene sia uno dei possibili meccanismi di overwintering del virus,
fenomeno per il quale l’infezione si mantiene in territori che presentano una stagione invernale
di inattività dei vettori più lunga del periodo di viremia degli ospiti. I meccanismi considerati
rilevanti a questo proposito sono infezioni persistenti e, appunto, la trasmissione transplacentare
del virus, dimostrata nella recente epidemia in Nord Europa (Wilson et al., 2008). E’ stata anche
avanzata a tale proposito l’ipotesi della trasmissione transovarica del virus dagli insetti adulti,
sebbene fino ad ora sia stata dimostrata soltanto la presenza di frammenti di RNA virale nelle
larve di Culicoides spp., ma non il virus vivo (White et al., 2005); ciò avvalora l’ipotesi del
passaggio di frammenti di RNA virale inferiori ad 11nm attraverso i pori della membrana
vitellina della uova di Culicoides spp. (Nunamaker et al.,1990).
Figura 4: La trasmissione della Bluetongue in estate (sinistra) e in inverno (destra).
11
(doi:10.1371/journal.pbio.0060210.g003).
12
Il vettore
Phylum: Arthropoda
Classe: Hexapoda
Ordine: Nematocera
Sottordine: Diptera
Superfamiglia: Chironomoidea
Famiglia: Ceratopogonidae
Genere: Culicoides
Figura 5: Visione frontale di
Culicoides spp. (CSIRO).
Morfologia esterna
Testa
La testa si presenta arrotondata se vista frontalmente, mentre lateralmente si presenta appiattita
in senso antero-posteriore. La sua superficie è occupata per la maggior parte dagli occhi.
Questi sono costituiti da numerosi ommatidi rotondi, separati da spazi ricoperti in alcuni generi
da una fine peluria.
Sono separati nella porzione superiore della testa da uno spazio triangolare, il cui vertice, privo
di ocelli, è rivolto verso il basso ed è ricoperto da micro e macrotrichi. La restante parte del
margine anteriore degli occhi è spesso contigua, anche se in alcuni casi vi può intercorrere uno
spazio.
Nella loro porzione basale sono separati da uno spazio di forma quadrangolare nel quale sono
inserite le diverse appendici della testa.
Le antenne sono situate nella parte superiore della convessità oculare. Sono costituite da 15
articoli. Il primo, detto scapo, si inserisce in una base più o meno invaginata e poco chitinizzata,
A questo fa seguito il pedicello, che spesso è fuso con lo scapo. A questa porzione basale fanno
seguito i flagellomeri in numero di 13. Lo scapo e il pedicello vengono di solito ignorati e per
questo motivo ci si riferisce ai segmenti antennali indicando una numerazione da 3 a 15. Il primo
di questi è allungato e claviforme. Nella femmina gli altri flagellomeri hanno forma sferica o
13
cilindrica. I primi otto segmenti dopo il primo sono più corti, mentre i restanti sono allungati. Sui
flagellomeri sono presenti degli organi sensoriali chiamati sensilli celoconici, ben visibili solo
nelle femmine. Sono costituiti da una una sporgenza più o meno accentuata attorniata da una
corona di microscopiche setole. La disposizione dei sensilli celoconici è caratteristica del genere
Culicoides e varia nella diverse specie. Sulle antenne sono presenti altri sensilli: i sensilli
tricoidei, i sensilli basiconici, i sensilli ampullacei e i sensilli chaetica (Cornet, 1974). Sono utili
nella distinzione di alcune specie, ma generalmente non hanno una grande importanza.
Nel maschio i flagellomeri presentano una base ripiegata, sferica, sulla quale s’inseriscono uno o
più cerchi di lunghi peli.
Al di sopra delle antenne, in posizione centrale tra esse, si trova il clipeo, la base dell’apparato
buccale. Dal clipeo si diparte l’epifaringe e sotto di essa si trovano gli stiletti formati da
mascelle e mandibole.
Le mandibole hanno forma allungata più o meno quadrangolare, nel mezzo hanno una fenditura
longitudinale, e nella parte distale un bordo dentellato rivolto verso l’interno. Le mascelle sono
costituite da due parti principali: i palpi, distali, e la galea che forma due stiletti ristretti.
La loro estremità è dentellata, ma in casi eccezionali può anche presentarsi liscia.
La parte posteriore della proboscide è formata da due parti impari: l’ipofaringe e il labrum.
L’ipofaringe è una lama allungata che presenta al suo interno il canale salivare che occupa tutta
la sua lunghezza.
La sua parte distale è triangolare e dentellata.
Il labrum, situato al di sotto, è largo e composto da due parti saldate; termina in due labelli
separati sulla linea mediana e leggermente divergenti.
I palpi mascellari si compongono di cinque porzioni: le prime due sono saldate l’una all’altra. La
terza presenta un organo sensoriale di forma variabile. In generale, si tratta di una fossetta di
forma arrotondata situata sul bordo interno. Il fondo è spesso ricoperto di peli o masse
microscopiche. A volte quest’organo è formato da numerose piccole depressioni disposte su di
una superficie variabile.
14
Figura 6: Testa di Culicoides spp. (www.iah.bbsrc.ac.uk).
Figura 7: Segmento terminale di antenna di Culicoides spp. con sensilli celoconici.
(www.iah.bbsrc.ac.uk).
Torace e appendici
Il torace si compone di un protorace, molto ridotto, di un mesotorace con uno scutum e uno
scutellum, che porta le ali, e di un metatorace con i bilanceri. Nella sua parte anteriore lo scutum
15
presenta da ogni lato una depressione, l’impronta umerale. Appena davanti allo scutellum vi è la
fossetta prescutale generalmente di colore scuro. Molte specie presentano inoltre dei pattern
caratteristici.
Le zampe sono lunghe sottili, il primo paio è quello più corto. Sono composte da un anca, un
trocantere, un femore, una tibia e cinque parti tarsali, la prima delle quali è detta metatarso. La
quinta ha un paio di uncini semplici, talvolta separati nella loro parte più distale.
L’empodium, posto tra gli uncini, è rudimentale, spesso invisibile e generalmente ridotto ad una
semplice corta setola.
Le ali sono lunghe e ripiegate sulla parte posteriore dell’addome a riposo. Sono ricoperte di
setole più corte e di setole più lunghe, chiamate rispettivamente microtrichi e macrotrichi, la cui
disposizione varia a seconda delle specie. Nella maggior parte delle specie le ali sono ricoperte
di macchie, ma alcune ne sono prive. Comunque la colorazione delle ali e la disposizione delle
macchie restano il principale carattere diagnostico per tutte le specie di Culicoides.
La venulazione nei Ceratopogonidae è ridotta a poche venature. Dal margine anteriore al
margine posteriore si possono distinguere le seguenti venature: la radiale (R che si suddivide a
sua volta in R1 e R2), la mediana (M che si suddivide poi in M1 e M2), la trasversale (T o R-M),
la costale (C), la sub costale (ssC), la cubitale (Cu che si ramifica poco prima di raggiungere il
bordo dell’ala) e l’anale (A che si suddivide in A1 e A2). Il quadrante distale e anteriore dell’ala
può essere percorso da una venatura accessoria a forma di ‘v’ inclinata.
Le celle delimitate dalle venature sono: la cella subcostale (ssc ), le celle radiali r1 ed r2, la cella
r5, le celle mediane m1 e m2, la cella cubitale (cu) e infine la cella anale (an).
R1
ssC
R
C
R2
T
r5
M1
m1
r2
r1
m2
cu
an
M
M2
Cu1
Cu2
A2
A1
Figura 8: Ala di Culicoides spp. con indicate le principali celle e venature
16
Addome e genitali esterni
L’addome è composto da dieci segmenti, dei quali l’ultimo è rudimentale. Nel maschio il nono
segmento è di forma assai complessa e presenta una serie di strutture che servono a trattenere la
femmina durante la copula. La parte dorsale dell’addome è più scura rispetto a quella ventrale.
L’apparato genitale maschile si compone di un edeago (pene), di parameri e di espansioni del
nono segmento addominale.
Il nono sternite si prolunga posteriormente in una placca chitinosa chiamata lamella; il suo
margine distale è munito di due, a volte quattro processi appuntiti, e generalmente è diviso nella
sua parte mediana. Ventralmente sulla lamella si trovano i cerchi, piccoli lobi trasparenti e pelosi
vestigia del decimo segmento addominale.
L’edeago e i parameri si trovano allo stesso livello dei cerchi, ma davanti ad essi. L’edeago è
formato da due braccia prossimali che si uniscono nella parte posteriore. L’aspetto e la
chitinizzazione di quest’organo sono molto variabili. Tale struttura spesso ha forma di doccia o
può essere bifida.
I parameri originano alla base delle lamelle, passano tra le braccia dell’edeago e le lamelle, si
dirigono posteriormente e spesso si torcono posizionandosi al di sotto del corpo del’edeago.
L’edeago è unito al nono sternite da una membrana che in alcune specie presenta delle spicole.
Il nono sternite è di taglia ridotta, e non è unito alla lamella. Il suo margine libero distale è
diversamente conformato.
Lateralmente si trovano le pinze genitali. Sono formate da due parti, una prossimale o basistilo e
una distale o stilo (dististilo). Quest’ultimo è sottile e spesso ricurvo.
Il basistilo si allarga a forma di botte ed è provvisto di una fitta peluria. E’ dotato di due
apodemi, uno situato sulla faccia interna e diretto un po’ ventralmente, chiamato apodema
ventrale, l’altro situato più dorsalmente è chiamato apodema dorsale o esterno. L’apodema
ventrale può essere conico, sottile, e a volte può mancare. L’apodema dorsale è generalmente
cilindrico e grazie alla sua forma può essere utilizzato per l’identificazione.
L’addome delle femmine termina con due cerchi molto più voluminosi di quelli dei maschi,
spesso provvisti di lunghi e abbondanti peli. L’apparato genitale delle femmine è costituito da
due ovaie fusiformi che si riuniscono in un unico canale dove sboccano i dotti delle spermateche.
Le spermateche sono di numero variabile: da una a tre spermateche funzionali e una o due
spermateche rudimentali. Il numero totale delle spermateche non è mai superiore a tre.
Hanno forma ovoidale e sono molto chitinizzate, questo le rende ben visibili attraverso
l’addome; grazie alle loro caratteristiche costituiscono un importante strumento diagnostico.
(Kremer, 1965).
17
Figura 9: Apparto genitale maschile di Culicoides spp. (www.iah.bbsrc.ac.uk).
Fisiologia
Il canale alimentare si suddivide in tre segmenti: intestino anteriore, medio e terminale.
L’intestino anteriore si sviluppa dall’apparato buccale, o clipeo. L’insetto è provvisto di
ghiandole salivari differenti a seconda del sesso (Perez de Leon et al., 1994), che secernono un
fattore inibitore del fattore Xa della coagulazione ed una proteina vasodilatatrice, molto
importanti durante il pasto di sangue. Al clipeo fanno seguito faringe, esofago e proventricolo o
stomaco muscolare, che agisce come una valvola e impedisce il rigurgito dell’alimento.
L’intestino medio immagazzina l’alimento e secerne gli enzimi per la digestione. Tra l’intestino
medio e l’intestino terminale si trovano i tubuli del Malpighi, strutture tubulari che hanno la
funzione di filtri dei fluidi corporei, che poi passano all’interno del canale intestinale per essere
eliminati. L’intestino terminale è formato da ileo e retto.
Gli organi interni si trovano all’interno di una cavità corporea unica detta celoma o emocele e
vengono bagnati dall’emolinfa che si trova all’interno di essa. L’emolinfa, che trasporta i
metaboliti, viene mantenuta in continuo movimento da un cuore tubulare posto in posizione
dorsale.
Nei Culicoides la respirazione avviene per diffusione semplice dell’ossigeno attraverso delle
aperture circolari dell’esoscheletro dette spiracoli. Da questi poi l’ossigeno si propaga attraverso
una serie di trachee di diametri diversi fino ai tessuti. Questa via è ripercorsa in senso contrario
dall’ossido di carbonio, che viene così eliminato dall’organismo.
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Il sistema nervoso è formato da un cordone ganglionare ventrale cui si associano gli organi di
senso.
I sessi sono separati, l’apparato riproduttore delle femmine è composto da due ovaie e dai
rispettivi ovidotti, che si continuano nell’ovidotto comune (utero) e poi nella vagina.
Le femmine inoltre possiedono un numero variabile di spermateche, organi accessori con valore
tassonomico nei quali possono immagazzinare il seme maschile anche per tutta la vita
(Meiswinkel et al., 1994).
L’apparato riproduttore maschile si compone invece di due testicoli coi relativi dotti deferenti, i
quali si dilatano distalmente a formare una vesicola seminale. Esternamente la sua forma è
estremamente complessa ed è stata trattata precedentemente nella descrizione morfologica.
Ciclo vitale
Dopo il pasto di sangue le uova maturano all’interno della femmina in un tempo variabile,
dipendente dalla temperatura: a 27°C la maturazione avviene in due giorni, ma può avvenire
anche in tre o quattro giorni se la temperatura scende a 22°C (dati relativi a C. imicola).
Il loro numero è variabile a seconda della specie (C. imicola ne depone ad esempio 162). Sono di
colore bruno, lunghe da 350 a 500 μm e larghe da 65 a 80 μm, di forma cilindrica e leggermente
incurvata.
Vengono deposte in una doppia fila che ricorda la forma di un’impronta di piede. Per ogni pasto
di sangue si ha la deposizione di un gruppo di uova, alcune specie però, come ad esempio C.
circumscriptus, sono autogene e possono quindi deporre il primo gruppo di uova senza dover
effettuare il pasto di sangue. Gli insetti devono sopravvivere circa cinque giorni per poter
deporre le uova (EFSA, 2007). Non è stato ancora determinato il numero di deposizioni che può
avvenire nell’arco della vita adulta.
Le uova sono molto resistenti alle condizioni ambientali: possono sopravvivere fino a due mesi a
temperature minori di 6°C e in zone in cui il clima è temperato possono resistere anche tutto
l’inverno.
Il ciclo vitale comprende quattro stadi larvali, lo stadio di pupa e quello di adulto. I Culicoides
sono insetti olometaboliti, ciò significa che l’adulto differisce in maniera sostanziale dalle forme
larvali.
Per contro gli stadi larvali si differenziano soltanto nelle dimensioni, che aumentano passando da
uno stadio all’altro. Le larve dei Culicoides misurano da 0,5 mm (L1) a 2 cm (L4). L’addome è
costituito da nove segmenti di colorazione biancastra con l’ultimo recante delle tipiche appendici
19
(Kremer, 1965). La testa è scura, di piccole dimensioni, il corpo è segmentato e provvisto di
branchie anali terminali.
Si muovono all’interno del loro habitat compiendo movimenti serpiginosi con il corpo.
L’alimentazione delle larve varia a seconda delle specie, come indica la varietà nella struttura
dell’epifaringe e dell’ ipofaringe. La maggior parte delle larve si nutre di protozoi, rotiferi e
nematodi; lo stadio L4 di C. zululensis e di C. nivosus sono cannibali dello stadio L2; esistono
anche specie che si nutrono di materiale vegetale in decomposizione.
Il passaggio allo stato di pupa si ha solitamente in un periodo variabile da 10 a 30 giorni, in
relazione alla temperatura ambientale e alla quantità di nutrienti presenti nell’ambiente, variando
da una settimana nelle specie tropicali a circa due anni in alcune specie artiche. L’allungamento
del ciclo larvale alle diverse latitudini sembra essere regolato dal numero di ore di luce durante il
giorno: in periodi in cui le ore di luce si riducono a 8 o meno, le larve di molte specie che vivono
in climi temperati entrano in diapausa, e il loro sviluppo riprende la primavera seguente, quando
le ore di luce tornano ad aumentare (EFSA, 2007). Le pupe, che rimangono in questo stadio da 2
giorni fino a quattro settimane, sono lunghe 2-4 mm e hanno un paio di antenne protoraciche con
numerosi spiracoli che servono per la respirazione. Non necessitano di nutrimento e nella
maggior parte delle specie compiono movimenti molto limitati (Meiswinkel et al., 1994).
Figura 10: Il ciclo vitale dei Culicoides (Adapted from Purse et al., 2005 by IAH-Pirbright)
20
La vita media degli adulti è di circa 3-6 settimane, ma possono sopravvivere fino a nove
settimane. I maschi si nutrono esclusivamente di liquidi zuccherini come quelli presenti nel
nettare dei vegetali, digeriti nel diverticolo intestinale, le femmine si nutrono principalmente di
sangue, digerito direttamente nell’intestino, anche se possono nutrirsi anch’esse di nettare
(EFSA, 2007).
In condizioni di elevata temperatura e bassa umidità i Culicoides hanno sopravvivenza ridotta;
soltanto pochi esemplari raggiungono lo stadio adulto e sono quindi in grado di trasmettere
l’infezione virale. In parte questo effetto può essere moderato da un ritmo di virogenesi più
veloce. Questo aspetto può essere rilevante a fini epidemiologici. Sebbene l’effetto dell’umidità
sia più evidente alle alte temperature, essa ha comunque un ruolo fondamentale sulla
sopravvivenza degli insetti (Mellor et al., 2000). Per C. obsoletus il range di temperatura ideale è
stato stimato tra gli 11°C e i 27,5°C (Dzhafarov, 1964).
Sebbene la maggior parte delle specie sia crepuscolare o notturna ed abbia una maggiore attività
nelle ore meno calde del giorno, non è ancora chiaro in quale misura riescano a sopravvivere alle
alte temperature diurne. Dopo periodi di precipitazioni la sopravvivenza in ogni caso subisce un
incremento notevole. Inoltre anche il vento influisce sulla sopravvivenza (Mellor et al., 2000).
L’età delle femmine di Culicoides può essere determinata grazie al colore che assume l’addome
nei periodi principali della loro vita: le femmine che non hanno compiuto il pasto di sangue
hanno l’addome chiaro, sono di conseguenza giovani e vengono dette nulliparus; l’addome rosso
e aumentato di volume è invece segno dell’avvenuto pasto di sangue, queste femmine sono più
vecchie delle precedenti e sono dette ingorgatus; quando il sangue viene digerito l’addome
assume colore marrone,indice che gli insetti hanno raggiunto lo stadio di parus; l’ultimo stadio è
quello delle femmine gravide, con le uova ben evidenti attraverso l’addome. Queste informazioni
sono molto utili nel valutare il rischio di trasmissione del BTV (EFSA, 2007).
Habitat larvali
Gli habitat larvali si possono suddividere in quattro gruppi:
- acque superficiali: per acque superficiali si intende la zona di passaggio tra superficie
acquatica e terreno; il 50% dei Culicoides africani vive in questo ambiente. Il terreno può
essere costituito da sabbia grossolana, da argilla fine che presenta una maggiore capacità di
trattenere l’acqua, feci di animali o materiale in decomposizione. Sia le caratteristiche
chimico fisiche dell'acqua che l'esposizione diretta alla luce solare possono avere un
influenza diretta sull'animale, che ad ogni modo vive in superficie e non in profondità;
21
- deiezioni animali: alcune specie di Culicoides per il loro ciclo vitale richiedono le feci
fresche di un particolare animale, ne costituisce un esempio C. bolitinos che cresce nel
letame di bufalo africano; altre specie necessitano di quello di elefante, zebre e rinoceronti,
animali sui quali si nutrono durante la vita adulta (Meiswinkel et al., 2004). Altri
Culicoides che assumono come loro habitat larvale le feci del bestiame sono ad esempio C.
brevitarsis e C. wadai nel sud-est asiatico e in Australia e C. dewulfi in Europa. In generale
tutti i Culicoides le cui larve hanno come habitat le feci appartengono al subgenere
Avaritia, che comprende circa la metà dei vettori di BTV nel mondo (EFSA, 2007);
- cavità naturali come tronchi, piante, rocce: si suppone che all'incirca un 15% delle specie di
Culicoides che vivono in Africa, soprattutto quelle ornitofaghe (C. circumscriptus), vivano
in questi ambienti, che possono variare di molto in merito a umidità, presenza di acque
stagnanti e di esposizione alla luce (Mercer et al., 2003);
- materiale vegetale in decomposizione, soprattutto banani, ma anche altre specie vegetali; le
larve di C. obsoletus sono in grado di svilupparsi anche in questo tipo di habitat, e
probabilmente questa loro adattabilità ad ambienti anche molto diversi ha fatto si che
questa specie sia divenuta praticamente ubiquitaria in Europa, anche in ambienti di tipo
urbano (EFSA, 2007).
Diffusione
In tutto il mondo circa 32 specie di Culicoides sono considerate implicate nella trasmissione
della BTV. Nell’Africa sub-sahariana C. imicola e C. bolitinos sono vettori di BTV e di altre
malattie come EEV ( equine encephalosis virus) e AHSV ( African horse sickness virus). In Sud
Africa sono stati isolati 14 sierotipi di BTV da C. imicola, tra cui BTV-8, il sierotipo che ha
invaso l’Europa nord-occidentale nel 2006. C. imicola è il principale vettore di BTV ed è
presente in tutta l'Africa, l'Asia, il bacino del mediterraneo e gran parte dell'Europa, sebbene nel
sud europeo altre cinque specie siano implicate nella trasmissione del virus: C. pulicaris, C.
scoticus, C. obsoletus, C. dewulfi e C. chiopterus (Vanbist et al., 2009). Le ultime tre specie
nominate sono probabilmente i maggiori vettori della malattia in nord Europa, dove C. imicola
non trova diffusione. In America nord-occidentale il maggior vettore di BTV è C. sonorensis,
sostituito da C. insignis nel sud-est degli USA; nell’America centrale e nell’America del sud
sono riconosciuti come vettori C. insignis e C. pusillus. Nel sud est dell’Asia e in Australia il
maggior vettore della malattia è considerato C. brevitarsis, cui si associano con minor
importanza C. wadai, C. fulvus e C. actoni.
22
Sebbene i Culicoides non possano spostarsi per più di 3-4 chilometri ed abbiano un'autonomia di
sfarfallamento di poche decine di metri, nel tempo possono percorrere diversi chilometri ed
inoltre venti con caratteristiche di temperatura, umidità e forza adatte possono trasportarli a
centinaia di chilometri di distanza (Bishop et al., 2000). Altri fattori come l'altitudine e la
temperatura influenzano la distribuzione dei Culicoides nel territorio; per quanto riguarda
l'esofilia, le specie di interesse epidemiologico sono esofile, tranne C. bolitinus che è endofilo.
Preferenze d'ospite
La cattura di determinate specie in prossimità di determinati raggruppamenti animali non è un
indice sicuro di preferenza nutrizionale, ad esempio specie di Culicoides che venivano
collezionate vicino a pecore è stato osservato che si nutrivano sempre su bovini; tuttavia è stata
dimostrata una certa specie-specificità di molti Culicoides grazie all'identificazione della
provenienza del pasto di sangue (Blackwell et al., 1994). Un metodo per determinare la
preferenza d'ospite è il conteggio del numero di sensilli presenti sul tredicesimo segmento delle
antenne: le specie con numero inferiore o pari a sei si cibano del sangue di mammiferi, quelle
con dodici o tredici sensilli si cibano generalmente su uccelli. Gli insetti che si cibano su
mammiferi non sembrano avere preferenze, ma il pelo corto o rado offre un notevole vantaggio
per la puntura rispetto al pelo lungo e folto. In casi di densità particolarmente alta o di scarse
sorgenti di sangue questi artropodi dimostrano una notevole adattabilità in quanto sono in grado
di cibarsi sia su mammiferi che su uccelli e viceversa. (Venter et al.1996).
Competenza del vettore
I virus che sono in grado di infettare un insetto ematofago, moltiplicare nei tessuti dello stesso ed
essere trasmessi tramite puntura ad un altro ospite vertebrato vengono generalmente indicati con
il termine Arbovirus. Perchè la trasmissione all'insetto avvenga è necessario che il pasto di
sangue si verifichi durante il periodo viremico dell’ospite, che corrisponde con il periodo
febbrile dell'animale: fino a 11 giorni post infezione nella pecora e 49 giorni post infezione nel
bovino (Bonneau et al., 2002). Recentemente altri studi hanno dimostrato una viremia che può
durare fino a 45 giorni in pecore infettate sperimentalmente, più di 31 giorni per capre infettate
sempre in maniera sperimentale e per più di 78 giorni nei bovini inoculati con vaccini attenuati
(EFSA, 2007). Per questa ragione l’OIE ha di recente fissato il periodo infettivo dei ruminanti a
60 giorni. Nel caso in cui l'ospite vertebrato contenga solo l'acido nucleico virale non c'è la
23
possibilità di trasmissione della malattia (Tabachnick et al,. 1996). Una volta assunto il BTV
passa nella parte posteriore dell'esofago dell'artropode, by-passando tutti i diverticoli intestinali.
Nei primi due giorni post infezione il titolo virale nel Culicoides diminuisce a causa
dell'inattivazione e dell'escrezione fecale che sono superiori alla replicazione virale (eclipse
phase). Trascorsi 7-9 giorni post infezione il titolo virale raggiunge un plateau (5-6 log10 TCID50)
e questa concentrazione rimane tale per tutta la vita dell'insetto che è di circa 9 settimane. Il BTV
replica una prima volta nella parete intestinale quindi nell'emolinfa e nelle ghiandole salivari e in
altri tessuti secondari come il tessuto neurale e le cellule adipose. La disseminazione
nell'organismo avviene grazie all'emolinfa, i virioni replicano nelle ghiandole salivari
dell'emocele e da qui vengono rilasciati agli acini terminali, successivamente attraverso i dotti
intermedi raggiungono i dotti secretori maggiori in formazioni paracristalline e da qui possono
essere iniettati durante la puntura di un vertebrato (Mellor, 2000). La trasmissione è possibile 1014 giorni post infezione (Wittmann et al., 2002; Mecham, 1994; Venter, 1991). La dose di
virioni trasmessa tramite la puntura è di per sé in grado di infettare un ospite recettivo. Nel
mammifero il virione viene rilasciato per estrusione ed esocitosi, con conseguente danno
cellulare, mentre nei Culicoides tramite un meccanismo di gemmazione in cui è coinvolta la
proteina NS3 e questa potrebbe essere la ragione per la quale il virus non induce significativi
effetti citopatici negli insetti vettori (Schwartz-Cornil et al., 2008).
La capacità del vettore di trasmettere il virus dipende dalle complesse interrelazioni tra vettore
stesso, vertebrato e virus. Quattro fattori indicano la competenza di un vettore:
1. isolamento di virus da artropodi con addome privo di sangue fresco.
2. dimostrazione della capacità dell'artropode di infettarsi tramite pasto di sangue su ospite
diretto o sostituti artificiali.
3. dimostrazione della capacità di trasmettere l'infezione tramite la puntura.
4. dati di campo che confermino la correlazione tra l'artropode infetto e un'appropriata
popolazione di vertebrati in cui si abbia malattia o infezione.
Dal punto di vista epidemiologico, la capacità di un dato artropode di trasmettere il virus
efficacemente assume un’importanza fondamentale e allo stesso tempo è influenzata da diversi
fattori:
1. il sierotipo: i diversi ceppi virali possono presentare differenti proteine non strutturali e
proprio queste ultime hanno un’importanza fondamentale nel determinare il rilascio della
particella virale dalle cellule dell’insetto vettore all’ospite vertebrato, di conseguenza la
differenza genetica tra i diversi sierotipi è in grado di influenzare la competenza
vettoriale.
24
2. la densità del vettore: alcune specie capaci di trasmettere la malattia non sono presenti in
determinate zone in quantità rilevante per essere considerate importanti nella diffusione e
nella trasmissione della BT, un esempio è rappresentato da C. monoculicoides, in grado
di trasmettere il virus, ma poco presente in Africa e solo stagionalmente.
3. il livello di viremia dell’ospite vertebrato: si deve considerare infatti la viremia soglia,
livello che consente di infettarsi all’1-5% di artropodi che pungono.
4. l’età della popolazione di insetti: maggiore sarà il numero di femmine che hanno già
assunto il primo pasto di sangue e sono pronte a pungere nuovamente, maggiore sarà la
popolazione ematofaga probabilmente infetta (Venter et al., 1997).
5. le circostanze ambientali (Braverman et al., 2001) e la temperatura (Ortega et al., 1999)
sono fattori importanti sia per il vettore che per la replicazione virale: basse temperature
non sono in grado di uccidere l’insetto ma di bloccare la replicazione virale (Mullens et
al., 1995; Wittman et al., 2002).
6.
la trasmissione verticale: il recente ritrovamento di larve e pupe infette fa sospettare che
questo tipo di trasmissione, che non ha avuto riscontri in natura fino ad oggi, possa essere
possibile (White et al., 2003).
Bisogna inoltre considerare che i Culicoides sono vettori anche di altre patologie infettive
oltre alla BT, alcune di queste sono:
1. sweet-itch: una dermatite allergica dei cavalli.
2. filariasi sostenute da parassiti: data dai parassiti del genere Onchocerca e Dipetalonema.
3. infezioni da protozoi degli ordini Eucoccida e Kinetoplastida.
4. viriosi quali la Rift Valley Fever (Traore-Lamizana, 2001), la Malattia di Akabane
(Meiswinkel et al., 1994), l'Epizootic Haemorrhagic Disease del cervo (Meiswinkel et
al., 1994), l'Encefalosi equina (Venter et al., 1999), la Peste equina, l'Eastern equine
Encephalomielitis e la Bovine Ephemeral Fever (Nandi e Negi, 1999).
25
Tabella 5: Le 30 specie di Culicoides che hanno un ruolo più o meno significativo nella
trasmissione della Bluetongue nel mondo (Meiswinkel et al., 2004).
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Patogenesi di BTV nei ruminanti
Dopo l’iniziale replicazione nei linfonodi drenanti il sito d’inoculo, BTV diffonde a siti
secondari, principalmente polmoni e milza, dove replica nell’endotelio e nei fagociti
mononucleati.
La replicazione virale ha luogo primariamente nelle cellule endoteliali e nei periciti dei capillari
e dei piccoli vasi. Gli effetti citopatici in queste cellule comprendono lesioni degenerative e
necrotiche: vescicole citoplasmatiche, ipertrofia, picnosi e carioressi dei nuclei e dei nucleoli.
Questi cambiamenti, spesso accompagnti da ipertrofia dell’endotelio, portano a stasi ed
essudazione, che possono causare ipossia, edema ed emorragie accompagnate da lesioni
secondarie agli epiteli.
La gravità delle lesioni secondarie è influenzata dallo stress meccanico e dall’abrasione: lesioni
molto gravi si sviluppano infatti principalmente in tessuti esposti all’ambiente, come la mucosa
orale e la pelle del cercine coronario degli zoccoli.
Esiste probabilmente una correlazione tra la distribuzione delle lesioni e il gradiente di
temperatura interno dell’ospite, poiché le lesioni più gravi si sviluppano in aree nelle quali la
temperatura è più bassa di quella del sangue circolante.
Inoltre le cellule endoteliali dei vasi di alcuni distretti sono coinvolte in maniera maggiormente
selettiva dal virus, come si riscontra ad esempio nelle arterie polmonari.
Dopo l’iniziale replicazione del virus nei tessuti linfoidi e nelle cellule del sangue, BTV appare
nel circolo da 3 a 6 giorni dopo l’infezione.
La viremia mostra un picco a circa 7-8 giorni dall’infezione e accompagna o precede la reazione
febbrile, che generalmente dura da 4 a 8 giorni. Nelle pecore raramente la viremia persiste per
più di 14 giorni, normalmente dura da 6 a 8 giorni.
La viremia nei bovini si prolunga per più di 50 giorni. Studi condotti in vitro su eritrociti e
linfociti non-replicanti di questa specie dimostrano che l’infezione non progredisce oltre la fase
di adsorbimento del virus e le particelle virali persistono in invaginazioni della membrana
cellulare. Ciò può spiegare sia la prolungata viremia che la mancanza di manifestazioni cliniche
della malattia.
Nel sangue il virus si trova primariamente associato agli eritrociti e in minor misura alla frazione
buffy coat, perciò soltanto una piccola frazione di virus si rinviene libera nel sangue. La viremia
e la reazione febbrile sono sempre precedute dalla panleucopenia, che raggiunge il suo massimo
tra il settimo e l’ottavo giorno dopo l’infezione ed interessa tutti i linfociti, specialmente le
cellule CD8 T. I bovini, inoltre, non sviluppano in genere segni evidenti dell’infezione, ma
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possono manifestare una reazione di ipersensibilità mediata da IgE (Schwartz-Cornil et al.,
2008).
Segni clinici
BTV negli ovicaprini
La gravità della malattia indotta da BTV varia a seconda dell’età, dell’ospite e dello stato di
salute. L’immunosoppressione dovuta ad infezioni concomitanti può esacerbarne le
manifestazioni cliniche così come l’esposizione alle radiazioni solari intense.
L’estrema variabilità nelle manifestazioni cliniche è una caratteristica della BT, anche associata
ai diversi sierotipi. Suscettibilità individuali e condizioni ambientali (clima freddo e umido,
esposizione alle radiazioni solari) concorrono nel determinarne la gravità (Schwartz-Cornil et al.,
2008).
Nelle pecore la malattia può variare dalla forma acuta (la più frequente) fino a quella cronica,
con un range di mortalità che va da 2 al 30%.
La forma acuta può portare a morte in 7-9 giorni dall’infezione, principalmente a causa
dell’edema polmonare ed alla conseguente asfissia. Gli animali mostrano pochissimi segni clinici
prima della morte.
Nella forma cronica la morte può essere causata da polmoniti batteriche secondarie e da
debilitazione, mentre la guarigione può avvenire in tempi molto lunghi; le forme più lievi si
risolvono invece rapidamente e la guarigione è completa.
Il periodo di incubazione dell’infezione naturale è di circa 7 giorni (sperimentalmente il periodo
di incubazione varia da 2 a 15 giorni). Il primo segno clinico è l'innalzamento della temperatura
corporea: in un periodo di circa 48 ore la febbre raggiunge un picco di 41-42°C e può durare 6-8
giorni. La comparsa degli altri segni clinici segue di uno o due giorni quella della febbre.
La mucosa oronasale è la prima ad essere interessata dall’iperemia che poi si propaga ad aree più
estese come la cute delle orecchie e attorno al musello e agli occhi.
Altri segni clinici che compaiono in breve tempo sono l’aumento della salivazione e della
lacrimazione e lo scolo nasale sieroso, che si trasforma poi in scolo mucopurulento col
progredire della malattia; l’aumentata densità di quest’ultimo può portare alla formazione di
croste, tali da rendere la respirazione difficoltosa. L’edema interessa la lingua (che può divenire
cianotica, da questa lesione deriva il nome ‘Bluetongue’), le labbra, la testa, le palpebre, le
orecchie e la regione sottomandibolare, estendendosi nei casi più gravi fino al collo ed alla
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regione ascellare. Quando la malattia si presenta in forma iperacuta i polmoni sono colpiti da
edema grave che porta a fuoriuscita di schiuma dalle narici.
Figura 11: Edema e cianosi della lingua (www.izsler.it).
Altre lesioni che interessano il musello, le labbra e le mucose labiale e congiuntivale sono
costituite da petecchie emorragiche che nei casi più gravi esitano in lesioni erosive al musello,
alle narici ed alla bocca. Spesso il primo segno clinico osservato in caso di lesioni buccali
necrotiche è l’alito fetido.
A causa di queste lesioni gli animali vanno incontro ad anoressia e si possono riscontrare stasi
ruminale e diarrea emorragica che precedono solitamente la morte.
Le lesioni podali si sviluppano verso la fine della fase febbrile di defervescenza; inizialmente si
ha iperemia del cercine coronario seguita da striature emorragiche. L’animale si mostra riluttante
al movimento a causa del dolore e in alcuni casi si assiste ad un vero e proprio distacco della
lamina cornea. In fase di guarigione (se l’animale non è stato colpito da malattia grave) queste
lesioni persistono per qualche settimana dopo la scomparsa degli altri segni clinici.
La lana si assottiglia e tende a staccarsi e in alcuni casi si verifica la perdita dell’intero vello a
circa un mese dalla fase di defervescenza.
I muscoli scheletrici vanno incontro a degenerazione e necrosi, e ciò porta a rigidità, debolezza
muscolare, falsa cifosi e a volte, a causa della degenerazione dei muscoli del collo, torcicollo.
Se la malattia colpisce animali gravidi possono verificarsi eventi quali l’aborto, le malformazioni
fetali, o la nascita di animali morti.
Nelle forme meno gravi la patologia può manifestarsi con stati di emaciazione e debolezza, con
torcicollo o anche soltanto con una fase febbrile, accompagnata da aumento della frequenza
respiratoria, della salivazione e della lacrimazione, da rigidità muscolare e infiammazione della
cute, come accade solitamente per la specie bovina (Coetzer e Tustin, 2004).
29
Gli animali che sopravvivono all’infezione acuta possono sviluppare dermatiti croniche e lesioni
ulcerative ed erosive interdigitali e sulle superfici mucose (Brodie et al., 1998).
Figura 12: Lesioni congestizio-emorragichee dell’area buccale (www.izs.it).
Figura 13: Congestione dell’area oculare e nasale con scolo mucopurulento (www.izs.it).
Figura 14: Edema della testa (www.izsler.it).
30
Figura 15: Cercine coronario con lesioni emorragiche (www.izsler.it).
Figura 16: Emorragie cutanee (www.izsler.it).
Figura 17: Torcicollo come esito della degenerazione muscolare (www.izsler.it).
31
BTV nei bovini e nei ruminanti selvatici
Questa patologia può colpire anche alcuni ruminanti selvatici, come ad esempio le specie
americane Antilocapra americana, Ovis canadesi, Odocoileus virginianus, Cervus elaphus e
Oreamnos americanus; in questi animali dà grave sintomatologia, anche con mortalità elevate, in
dipendenza dalla razza colpita, dal sierotipo virale, dalle condizioni di allevamento,
dall’esposizione solare (Stallknecht e Howerth, 2004).
Nel bovino generalmente l’infezione è di tipo asintomatico, a volte si può riscontrare all’esame
clinico soltanto un rialzo febbrile. Nel caso in cui la malattia si manifesti in forma evidente in
questa specie, le lesioni e la sintomatologia sono molto simili a quelle riscontrate nella pecora.
Nelle zone endemiche, la BT raramente si manifesta nei bovini in forma clinica. Nelle aree
endemiche degli USA l'infezione colpisce sino al 90% della popolazione, tuttavia solo un
animale su 1000 manifesta sintomi clinici. Questi ultimi possono presentarsi sotto forma di
dermatite crostosa dell'area toracica e cervicale, iperestesia generalizzata e zoppia conseguente
alla coronite. Le lesioni a carico della bocca, se presenti, consistono inizialmente in piccole
formazioni vescicolari che evolvono in erosioni localizzate, di preferenza, sul palato duro.
L'animale va incontro ad anoressia, ma la morte è molto rara. Le infezioni congenite sono
responsabili di malformazioni fetali e aborti (www.izs.it).
Anatomia patologica
Le lesioni anatomopatologiche rispecchiano la gravità dei segni clinici e lo stadio della malattia
al momento della morte.
La mucosa orale si presenta iperemica, edematosa e a volte cianotica. Possono essere presenti
petecchie ed ecchimosi, escoriazioni sulla faccia interna delle labbra, sulle gengive e sulla
lingua.
Figura 19: Emorragie papillari
della lingua (www.izsler.it).
Figura 18: Erosioni buccali
(www.izsler.it).
32
La cute nelle zone glabre è iperemica.
Nei prestomaci spesso si rilevano iperemia delle papille ruminali, dei pilastri, delle pliche
reticolari e del terzo prossimale della mucosa dell’omaso. A livello di piloro ed esofago sono
frequenti le emorragie. Sulla mucosa di questo tratto del digerente è possibile rinvenire anche
ulcerazioni. Iperemia ed emorragie intestinali sono comuni.
Figura 20: Iperemia, petecchie e ulcere nella mucosa dei prestomaci (www.izsler.it).
I polmoni, che sono interessati in misura maggiore dalla patologia, mostrano grave edema
alveolare o interstiziale, iperemia ed estese emorragie al di sotto delle pleure; all’interno della
trachea, dei bronchi e degli alveoli può essere presente del liquido schiumoso. I sacchi pleurici
possono arrivare a contenere fino a due litri di liquido sieroso.
Figura 21: Iperemia e petecchie polmonari (www.izsler.it).
33
Il pericardio può presentare emorragie petecchiali diffuse e contenere un volume variabile di
liquido. Inoltre il cuore può mostrare emorragie ventricolari; emorragie a carico della tunica
media alla base dell’arteria polmonare sono da considerarsi patognomoniche.
Figura 22: Petecchie o emorragie
alla base dell’arteria polmonare
(lesione patognomonica)
(www.izsler.it).
Figura 23: Petecchie o emorragie alla base
dell’arteria polmonare (lesione patognomonica)
(www.izsler.it).
Altri reperti sono costituiti da linfoadenomegalia, edema e pallore linfonodale. La milza è
ingrossata e sono presenti emorragie subcapsulari.
Se gli animali muoiono dopo le due settimane di malattia, all’esame anatomopatologico spesso la
muscolatura scheletrica presenta degenerazione e necrosi, con fibre muscolari pallide e
infiltrazioni gelatinose (Coetzer e Tustin, 2004). Le lesioni microscopiche includono ipertrofia
endoteliale, stasi vascolare e trombosi con infarto dei tessuti (Schwartz-Cornil et al., 2008).
Figura 24: Emorragie e necrosi della muscolatura scheletrica, fibre muscolari pallide
(www.izsler.it).
34
Risposta cellulare nei confronti di BTV
I disordini emorragici di origine virale non sono soltanto la conseguenza del danno virale diretto
alle cellule, ma anche il risultato di un intenso ed in alcuni casi incontrollato processo
infiammatorio. L’infezione porta alla morte di molti tipi di cellulari (Schwartz-Cornil et al.,
2008).
Nelle cellule dei mammiferi BTV è in grado di indurre apoptosi e/o necrosi nelle cellule
endoteliali del microcircolo di ovini e bovini, nei monociti e nei linfociti T WC-1 γδ attivati.
Alcuni tipi cellulari nei quali ha luogo la replicazione virale però non mostrano gli effetti
citopatici di BTV, come ad esempio le cellule degli insetti, le linee cellulari T γδ e i linfociti
attivati del sangue. La gemmazione come meccanismo di uscita dalle cellule rispetto al
meccanismo mediato dalla viroporina potrebbe in parte spiegare questa differenza.
L’infezione delle cellule dell’endotelio del microcircolo nei bovini e negli ovini induce la
trascrizione dell’interleukina 1 (IL-1), IL-8, IL-6, ciclossigenasi-2 e della sintetasi inducibile
dell’ossido nitrico.
Questi mediatori sono coinvolti nella patogenesi di una grave febbre emorragica virale.
L’infezione delle pecore e dei bovini con BTV induce aumenti plasmatici di prostacicline e
trombossani. I trombossani costituiscono un forte fattore procoagulante mentre le prostacicline
sono potenti vasodilatatori ed inibitori dell’aggregazione piastrinica. La proporzione
prostacicline/trombossani è più alta nei bovini e ciò può spiegare la minore sensibilità di questi
ultimi ai danni al microcircolo ed ai fenomeni trombotici indotti da BTV. BTV è inoltre un forte
induttore dell’INF tipo 1 in vivo in pecore, bovini e topi.
Risposta immunitaria nei confronti di BTV
Risposta umorale
Studi di trasferimento passivo del siero hanno dimostrato che gli anticorpi BTV specifici
possono conferire protezione in modo sierotipo-specifico, suggerendo un ruolo in vivo per la
neutralizzazione virale mediata da anticorpi. L’esatto meccanismo con cui gli anticorpi
interferiscono con l’infezione da BTV in vivo è sconosciuto. I tentativi di dimostrare l’esistenza
di una citotossicità anticorpo-dipendente cellulo-mediata (ADCC) e di una citotossicità
anticorpo-dipendente cellulo-mediata facilitata dal complemento, sia nei bovini che nelle pecore,
sono sempre falliti. VP2 e VP5 sono le uniche proteine che sembrano indurre anticorpi
neutralizzanti. Generalmente questi sono in grado di dare protezione solo contro virus omologhi,
35
benché infezioni di ovini con due sierotipi in serie, possano proteggere gli animali da prove con
un terzo sierotipo.
In dipendenza dal sierotipo, gli anticorpi possono proteggere contro l’infezione di un numero
limitato di altri sierotipi che presentano similitudini nelle sequenze di VP2.
Immunità cellulare
I livelli di anticorpi neutralizzanti non sono sempre correlati con il grado di protezione dopo la
vaccinazione con il virus vivo e alcuni vaccini inattivati possono conferire protezione in assenza
di livelli rilevabili di anticorpi neutralizzanti (Schwartz-Cornil et al., 2008).
Diagnosi
Diagnosi di laboratorio
L’OIE (Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals 2008 ) riconosce come
metodi diagnostici ufficiali le procedure riportate di seguito. Occorre ricordare che la qualità dei
campioni e la loro corretta conservazione hanno un ruolo fondamentale nell’esito dei tests. La
diagnosi di laboratorio può essere diretta o indiretta: la prima evidenzia direttamente il virus o l'
antigene virale, la seconda gli anticorpi nei confronti del virus della Bluetongue (BTV).
Diagnosi diretta
Isolamento virale
Campioni da prelevare
Se gli animali sono ancora in vita si procede al prelievo di un campione di sangue di 5-10 ml cui
va aggiunto un anticoagulante: EDTA, eparina o una soluzione di tampone citrato (il sangue va
prelevato durante la fase viremica, che solitamente coincide con quella febbrile). Nel caso in cui
gli animali siano deceduti si prelevano milza e linfonodi. Un campione di sangue può essere
direttamente prelevato dalle camere cardiache. Nei soggetti in avanzato stato di putrefazione il
virus può essere isolato dal midollo di un osso lungo. Gli stessi campioni vengono prelevati da
feti e animali nati morti, aggiungendo al campionamento il tessuto cerebrale. Tutto il materiale
prelevato deve essere mantenuto ad una temperatura di +4°C e analizzato in laboratorio quanto
prima, in alternativa deve essere stoccato a -70°C (www.izs.it).
36
1. Inoculazione di uova embrionate di pollo
I tempi richiesti per la prova variano dai 14 ai 35 gg. Si usano sospensioni di globuli rossi
lavati in PBS sterili oppure campioni di milza o di linfonodi omogeneizzati. Vengono
impiegate 5 uova embrionate di 11-13 gg di età e l'inoculazione avviene per via
endovenosa a livello della membrana allantoidea. Le uova sono incubate in camera umida
a 32-33°C per una settimana e vengono controllate quotidianamente. Data la difficoltà
della metodica, la morte degli embrioni entro le prime 24 h post-inoculazione è
considerata non specifica; quella che si verifica tra il 2° ed il 7° giorno può essere causata
dall'infezione virale e pertanto gli embrioni vengono raccolti e conservati a 4°C; gli
embrioni sopravvissuti vengono soppressi. Successivamente, previa asportazione
dell'intestino, gli embrioni vengono omogeneizzati ed i frammenti rimossi con la
centrifugazione.
Se presente, il virus si localizza nel surnatante e dopo amplificazione su monostrato
cellulare,
può
essere
identificato
utilizzando
un'ELISA
diretta
,RT-PCR
,
l'immunofluorescenza o l’immunoperossidasi.
Se non si riscontra alcun decesso in seguito alla prima inoculazione si può tentare un
secondo passaggio su altre uova embrionate o su colture cellulari.
2. Inoculazione di colture cellulari
Si utilizzano cellule VERO (African green monkey kidney), cellule BHK-21(Baby
Hamster Kidney) o cellule di Aedes albopictus (AA). La tecnica fornisce risultati migliori
se preceduta da inoculazione su uova embrionate di pollo; gli embrioni vengono raccolti
e passati su cellule AA. L'effetto citopatico è atteso entro 5-7 gg mantenendo il
monostrato cellulare a 37°C in un' atmosfera contenente il 5% di CO2. Talvolta sono
necessari uno o più passaggi 'ciechi' prima di osservare la comparsa delle lesioni cellulari.
L'inoculazione diretta di colture cellulari con sangue viremico, contenente un numero
ridotto di particelle virali in grado di aderire ai substrati cellulari, può essere causa di
mancato isolamento virale. L'identificazione del virus viene effettuata con l'ELISA
diretta, con il test di immunofluorescenza o di immunoperossidasi, con il test di virusneutralizzazione o l’RT-PCR.
3. Isolamento nella pecora
Le pecore vengono inoculate con aliquote di 12-20 ml di cellule lavate (ottenute da una
quantità di sangue che va da 10 a 500 ml, o con 10-50 ml di sospensione di tessuto).
Dopo 28 giorni viene effettuata la ricerca degli antigeni mediante immunodiffusione in
mezzo solido mediante la prova C-ELISA .
37
4. Polymerase chain reaction (PCR)
E' una metodica che permette di evidenziare il genoma virale con la sintesi ciclica di
cDNA in vitro per avere un numero elevato di copie di sequenze specifiche e semplice
evidenziazione dell'agente eziologico. I primers oligonucleotidici usati fino ad oggi
derivano da RNA 7 (gene della VP7), RNA 6 (gene della NS1), RNA 3 (gene della VP3)
e RNA 2 (gene della VP2 ).
I primers (le sequenze geniche specifiche, identificative del virus) derivati dai geni per la
VP3, VP6, VP7, NS1 e NS3, possono essere utilizzati per l'identificazione del
sierogruppo e del topotipo; infatti questi reagiranno con tutti i membri dello stesso
sierogruppo e della stessa area geografica, mentre i primers con sequenza derivata dal
gene che codifica per la VP2, forniranno soprattutto informazioni relative al sierotipo.
La metodica prevede tre fasi distinte. Con la prima fase si estrae l'RNA dal sangue o da
campioni di organo, in particolare la milza. La seconda fase include la denaturazione del
doppio filamento di RNA e quindi l'aggiunta della trascrittasi inversa per la sintesi del
cDNA che verrà poi amplificato dalla PCR. Nella terza fase vi è la lettura dei prodotti
della PCR tramite elettroforesi su gel di agarosio.
Diagnostica immunologica
Sierogruppo
La tipizzazione dei sierogruppi inclusi nel genere Orbivirus, famiglia Reoviridae si basa sulla
reattività di antisieri specifici standard con proteine virali, quali la VP7 presente e caratteristica
in ogni sierogruppo.
Vengono utilizzati anticorpi monoclonali siero-gruppo specifici (MAb).
Le metodiche più utilizzate sono:
1. Immunocapture ELISA
sebbene caratterizzato da scarsa sensibilità, è una metodica molto usata poiché rapida e
non dà cross-reazioni con virus correlati. Viene applicata ad organi di embrioni di pollo,
colture cellulari o insetti infetti. Il virus o le particelle del core vengono legate dagli
anticorpi adsorbiti sui pozzetti di piastre per ELISA, l'utilizzo di un secondo tipo di
anticorpi ne permette l'identificazione. L’anticorpo di cattura può essere policlonale o un
MAb specifico di sierogruppo.
38
2. Immunofluorescenza diretta
prevede l'impiego di un anticorpo monoclonale anti-BTV coniugato con fluoresceina,
utilizzato secondo procedure standard di immunofluorescenza. su colture cellulari BHK o
VERO che sono state precedentemente infettate col virus BTV e incubate per 24-48 ore a
37° o fino all’apparire dell’effetto citopatico.
3. Immunospot test
piccoli volumi (2 µl) del supernatante ottenuto da colture cellulari infettate o lisate o
sonicate sono adsorbiti alla nitrocellulosa e lasciate asciugare all'aria.
I siti di legame non specifici vengono bloccati, tramite incubazione, con proteine di latte
scremato. Dopo l'incubazione con un anticorpo monoclonale reattivo ad un sierogruppo
della BT, l'anticorpo legato viene rivelato per mezzo di una IgG, antiglobulina di topo
coniugata alla perossidasi di rafano.
4. Perossidasi-AntiPerossidasi (PAP), indiretta e diretta
tale test è attualmente poco utilizzato, poiché è stato sostituito da un test di
immunoperossidasi utilizzando un anticorpo monoclonale diretto contro la VP7 ed un
coniugato
anti-topo.
Questo
tipo
di
analisi
ha
diversi
vantaggi
rispetto
all'immunofluorescenza poiché può essere realizzato in micropiastre, non richiede un
microscopio a raggi UV ed i risultati, rilevabili in piastre colorate, possono essere
conservati nel tempo.
Sierotipo
Per la tipizzazione del sierotipo si utilizzano le prove di neutralizzazione specifiche per i 24
sierotipi di BTV attualmente riconosciuti. Generalmente si utilizzano linee cellulari le come
VERO, L929 e BHK. Le quattro metodiche principali per sierotipizzare BTV sono le seguenti:
1. Riduzione su placca
il virus che deve essere sierotipizzato viene diluito fino a circa 100 unità formanti placca e
incubato con essenza antisiero per BTV, dopodichè la miscela viene aggiunta a monostrati
cellulari e si determina il titolo del virus mediante la valutazione delle placche formatesi.
2. Inibizione di placca
viene eseguita in piastre Petri che contengono monostrati cellulari infettati con 5 x 104
unità formanti placca del virus da determinare. Dopo l’assorbimento e la rimozione
dell’inoculo le cellule vengono coperte da uno strato di agarosio e vengono poste sulla
superficie della piastra filtri di carta specifici cui è aggiunto un antisiero anti-BTV
standard. La piastra viene poi incubata per 4 giorni. L’antisiero omologo farà sì che
attorno al dischetto le cellule sopravvivano.
39
3. Neutralizzazione a microtitolo
in una placca di microtitolazione con pozzetti dal fondo piano si aggiungono 100 TCID50
del virus e un volume di 50 μl per pozzetto miscelati con eguale volume di siero
anticorpale diluito in un medium per colture tissutali. La piastra viene incubata per 4-6
giorni. Successivamente il risultato viene letto mediante l’uso di un microscopio a polarità
invertita osservando la presenza nei pozzetti delle cellule vive.
4. Fluorescence inibition test
questo metodo di neutralizzazione, rapido e sensibile, richiede varie concentrazioni di un
virus sconosciuto e concentrazioni standard di un antisiero di referenza. Il virus, cresciuto
in colture cellulari, viene diluito e aggiunto ad un siero anticorpale specifico in pozzetti di
una piastra Lab-Tek un’ora prima di aggiungere le cellule. Viene incubato per 16 ore e poi
fissato e testato con un metodo di immunofluorescenza classico che utilizza anticorpi
monoclonali per BT sierogruppo specifici. Il sierotipo è indicato dalla specificità del siero
anticorpale che dà la maggiore riduzione del numero di cellule fluorescenti.
Diagnosi indiretta
Campioni da prelevare
Le prove sierologiche per evidenziare la presenza di anticorpi sierogruppo-specifici e sierotipospecifici negli animali immunocompetenti, venuti a contatto con BTV, si effettuano su campioni
di siero di sangue prelevati da animali in vita. I campioni vanno mantenuti a +4°C e rapidamente
inviati in laboratorio. Dopo la separazione della frazione sierica il siero può essere invece
conservato a -20°C per vari mesi (www.izs.it).
1.
Fissazione del complemento
Test usato fino al 1982, quando è stato rimpiazzato dall'AGID test, in alcuni paesi viene
ancora utilizzato.
2.
Immunodiffusione in gel di Agar (AGID)
Dal 1982 e per lungo tempo, è stato il test riconosciuto a livello internazionale per la
movimentazione degli animali. Ha sensibilità e specificità minore di altre prove, fra le
quali l'ELISA. Infatti l'AGID può reagire con altri Orbivirus, in particolare con l'EHD,
evidenziando falsi positivi. Il metodo prevede l'utilizzo di antigeni purificati, la cui
produzione non è semplice. A seguito delle problematiche correlate alla presenza di
reazioni crociate e alla soggettività nella lettura e nell'interpretazione dei risultati da parte
40
degli operatori, l'AGID è stato progressivamente sostituito da un test più specifico, quale
l'ELISA competitiva.
3.
ELISA (enzyme linked immunosorbent assay) competitivo
E' un test caratterizzato da elevata sensibilità e specificità. La specificità è dovuta
all'impiego di diversi tipi di anticorpi monoclonali sierogruppo-specifici. Nonostante la
diversità, tutti sembrano legare la regione aminoterminale della proteina maggiore del
core, la VP7. Di seguito è riportata la procedura standardizzata prevista dal manuale OIE:
-
Vengono ricoperte piastre da microtitolazione a 96 pozzetti con 50-100 μl di: (1)
antigene derivato da colture tissutali ottenute da colture cellulari sonicate o (2)
proteine VP7 espresse da Baculovirus o (3) proteina VP7 virale espressa da
lieviti, ognuna delle quali diluita in soluzione tampone di carbonato 0.05 M a Ph
9.6. Le piastre vengono incubate a 4°C per tutta la notte o per un ora a 37°C.
-
Le piastre vengono lavate per 5 volte con soluzione PBST (soluzione tampone
salina di fosfato 0.01 M con 0.05% o 0.1% di Tween 20 a Ph 7.2).
-
In due pozzetti vengono poste due diverse diluizioni, a 1\5 o a 1\10, di 50 μl del
siero da testare in PBST contenente il 3% di albumina sierica bovina.
-
Subito dopo vengono aggiunti 50 μl di una diluizione predeterminata di anticorpo
monoclinale diluito in PBST con 3% di BSA in ogni pozzetto. I pozzetti
contenenti Mab di controllo contengono soluzione tampone al posto del siero.
-
Le piastre vengono incubate a 37° per un ora o a 25° per 3 ore agitandole
continuamente.
-
Si procede ad un secondo lavaggio con le stesse modalità del punto 2, dopodichè i
pozzetti vengono riempiti con 100 μl di un’appropriata diluizione di IgG (H + L)
di conigli coniugate con perossidasi di rafano e PBST contenente il 2% di siero
normale bovino.
-
Dopo essere stata incubata per un ora a 37°C, la soluzione coniugata viene
scartata e le piastre vengono lavate per 5 volte con PBS o PBST. I pozzetti
vengono riempiti con 100 μl di una soluzione substrato contenente ABTS (2,2’41
azino-bis-[3-ethylbenzothiazoline-6-sulphonic acid]) 1.0 mM e H2O2 4 mM in
sodio citrato 50 nM, Ph 4.0 e vengono agitate a 25°C per 30 minuti.
-
La reazione viene bloccata dall’aggiunta di un agente bloccante come il sodio
azide.
-
Dopo aver tarato il lettore ELISA su un pozzetto contenente solo substrato e
soluzione bloccante, viene misurata l’assorbanza ad una lunghezza d’onda di 414
nm. I risultati sono espressi come percentuale di inibizione e sono ottenuti come
valori dell’assorbanza media di ogni campione con la seguente formula.
Assorbenza media del campione
% inibizione = 100 -
___________________________
x 100
Assorbenza media del controllo Mab
Valori maggiori del 50% sono considerati positivi. Tra il 40 e il 50% sono
considerati sospetti.
-
In ogni piastra dovrebbero essere inclusi sieri fortemente e debolmente positivi e
sieri negativi. I sieri debolmente positivi dovrebbero dare il 60 – 80 % di
inibizione, i negativi meno del 40%.
Profilassi
La Bluetongue è compresa tra le malattie sottoposte a controllo da parte degli organismi sanitari
veterinari internazionali e nazionali, tramite una profilassi di tipo sanitario e immunizzante. La
scelta del tipo di profilassi da attuare è strettamente legata a fattori di tipo epidemiologico,
economico e commerciale.
42
La profilassi sanitaria viene attuata principalmente nei paesi indenni e comprende restrizioni
della movimentazione animale quali il divieto di importazioni di animali recettivi e di loro
prodotti da paesi infetti, la disinfezione e disinfestazione dei mezzi di trasporto e la quarantena
per gli animali esotici in entrata destinati ai parchi zoologici.
Se vi è un sospetto di infezione si procede all’accertamento diagnostico con le metodiche sopra
riportate e se il sospetto viene confermato, all’abbattimento degli animali malati, infetti, sospetti
infetti e sospetti contaminati, alla disinfezione e disinfestazione degli ambienti in cui essi erano
stabulati e all’istituzione di zone di restrizione attorno ai focolai accertati. Nei paesi nei quali
l’infezione è endemica la profilassi si basa sulla lotta al vettore mediante l’attuazione di diverse
strategie come l’uso di insetticidi o la bonifica delle aree di riproduzione degli insetti, su norme
di profilassi diretta relative agli animali (restrizioni della movimentazione, trattamenti e
protezione dai Culicoides) e sulla vaccinazione.
Nel capitolo 8.3.1 del Terrestral Animal Healt Code 2008 dell’OIE sono indicate le principali
direttive per il controllo della BT, prendendo come riferimento una durata della capacità di un
ospite di rimanere infettante per un vettore di 60 giorni.
Attualmente l’area di distribuzione del virus è compresa tra la latitudine 53°N e 34°S anche se
dati recenti mostrano che si sta estendendo all’emisfero Nord.
In caso di mancanza di segni clinici in paesi o zone che si trovano in questa parte del mondo, la
loro situazione nei confronti del virus dovrà essere determinata da un sistema di vigilanza
permanente, ad esempio tramite l’utilizzo di animali sentinella e della sorveglianza
entomologica. Inoltre la vigilanza va effettuata in tutte le zone esposte ad un maggior rischio di
infezione (vicinanza a zone enzootiche, presenza di popolazioni suscettibili all’infezione,
presenza di vettori competenti) come indicato negli articoli 8.3.16 e 8.3.21.
La zona di vigilanza deve coprire una distanza di 100 Km dal confine con le aree infette, anche
se è possibile ridurla se esistono fattori ecologici o geografici che possono interrompere la
trasmissione del virus o se ciò è consentito dal programma di vigilanza adottato dalla zona
infetta.
Paese o zona non infetta
Si considera un paese indenne quando questo è situato a nord del 53°N o a sud del 34°S e la
segnalazione della BT è obbligatoria; esso non confina con una zona infetta e un programma di
sorveglianza ha dimostrato l’assenza del virus nei due anni precedenti e l’assenza di vettori
Culicoides spp.
43
Se un paese non presenta il vettore non perde il suo status se importa animali vaccinati,
sieropositivi o infetti, seme, ovuli o embrioni da zone infette. Se vi è il vettore lo staus è
mantenuto anche nel caso di importazioni di animali sieropositivi o infetti da zone in cui è
presente la malattia nel caso in cui si tratti di animali vaccinati nei 60 giorni precedenti con
vaccini che coprano i sierotipi virali presenti nella zona d’origine, o non siano stati riscontrati
segni di trasmissione del virus nella popolazione di origine nei 60 giorni precedenti.
Un paese indenne che confina con una zona non indenne per mantenere l’indennità deve istituire
una zona di sorveglianza adeguata in cui vi sia una vigilanza permanente.
Zona stagionalmente indenne
Si definisce tale una zona infetta nella quale in determinati periodi dell’anno non vi è
trasmissione del virus o presenza di vettori Culicoides spp. adulti. Questi periodi iniziano un
giorno dopo l’ultima evidenza di trasmissione virale o dopo la cessata attività del vettore, e
terminano 28 giorni prima della data storica più precoce dell’attività virale, o in alternativa
immediatamente il giorno in cui i dati climatici indichino una possibile attività precoce del
vettore. Anche in questo caso lo status viene mantenuto anche se vengono importati animali
vaccinati, infetti o sieropositivi oppure seme, ovuli ed embrioni da zone infette durante il periodo
in cui non è presente il vettore.
Zona infetta
Zona chiaramente delimitata in cui sia stata segnalata la presenza del virus negli ultimi due anni.
La profilassi indiretta, misura utilizzata per il controllo della Bluetongue nei Paesi Europei,
compresa l’Italia, si basa sull’utilizzo di vaccini.
Attualmente nei ruminanti vengono utilizzati sia vaccini vivi che vaccini inattivati. La loro
azione protettiva è sierotipo-specifica ed è probabilmente dovuta al ruolo chiave della proteina
VP2 nell’immunità mediata dai linfociti T e B. Per questo motivo, nelle aree endemiche con la
presenza di più sierotipi di BTV, sono necessari vaccini polivalenti. Inoltre, i vaccini devono
essere sicuri e permettere la differenziazione tra gli animali infetti e quelli vaccinati (vaccini
DIVA), per agevolare il commercio. A causa di questi tre esigenze (protezione verso più
sierotipi, sicurezza e possibilità di differenziazione animali infetti-vaccinati) la vaccinazione nei
confronti di BTV è una questione problematica e controversa.
Vaccini attenuati
44
I vaccini attenuati, prodotti dalla “Onderstepoort Biological Products” (Sud Africa) sono
stati a lungo utilizzati per controllare BT nelle pecore in Sud Africa e più recentemente in
Corsica, nelle Isole Baleari e in Italia.
Questi vaccini offrono un’ottima protezione dopo una singola vaccinazione per quasi un
anno e sono economici da produrre (Savini et al., 2008). Non sono però sempre sicuri,
specialmente in alcune razze suscettibili (Veronesi et al., 2005), poiché l’attenuazione è
difficile da controllare.
Essi possono generare leggeri segni clinici dopo l’iniezione, aborti, cali temporanei nella
produzione di latte e diminuzione della qualità del seme (Savini et al., 2008). Oltre a ciò,
così come il virus può dar luogo ad una viremia che dura anche più di due settimane in
pecore vaccinate (Veronesi et al., 2005), esse possono rappresentare una fonte di
infezione da virus vaccinale per i vettori, nei quali potrebbe rivirulentarsi e/o subire un
riassortimento con geni di virus selvatici dando origine a nuovi ceppi di BTV con
modificazioni della virulenza (Savini et al., 2008). I virus vaccinali attenuati sono
distinguibili dai virus selvatici solo sulla base del sequenziamento genomico. Per tutte
queste ragioni si sono rese necessarie altre strategie di vaccinazione.
Vaccini inattivati
I vaccini inattivati sono sicuri e possono generare un immunità protettiva se preparati
correttamente. Una singola vaccinazione può indurre soltanto il temporaneo rilievo di
anticorpi neutralizzanti e di solito non è sufficiente a garantire un immunità che duri per
più mesi (soprattutto nei bovini). Un’immunità più valida e duratura si può ottenere con
due iniezioni di vaccino (Savini et al., 2008).
Vaccini inattivati DIVA sono teoricamente realizzabili, ma non sono ancora stati
sviluppati (Barros et al., 2009). Sebbene questo tipo di vaccini sia costoso da produrre e il
loro uso sia restrittivo, costituiscono il miglior compromesso sicurezza/efficacia
attualmente disponibile. L’European Food Safety Authority ha consigliato che vengano
utilizzati vaccini spenti (o inattivati) e questi sono stati utilizzati dal 2005 in alcuni Paesi
Europei (incluse Francia e Italia) (Savini et al., 2008).
I vaccini inattivati utilizzabili sono efficaci però soltanto contro pochi sierotipi.
Particelle virus-like
Le proteine strutturali di BTV possono essere prodotte come proteine ricombinanti
codificate da Baculovirus nelle cellule degli insetti, ove si autoassemblano come VLP
45
(virus like particles) che presentano gli antigeni di BTV senza le informazioni genetiche
del virus.
Esse sono quindi considerate naturalmente sicure e non richiedono nessun processo di
inattivazione, sebbene uno studio recente abbia rivelato che le aliquote di VPL prodotte in
laboratorio contengano un quantitativo importante di Baculovirus. Queste ultime devono
quindi essere controllate attentamente, a causa del rischio di replicazione e diffusione del
Baculovirus in campo. In ogni caso le VPL rappresentano un promettente strumento di
vaccinazione per produrre vaccini per BT multivalenti, visto che possono essere incluse
VP2 da parecchi ceppi virali.
VLP si sono dimostrate efficaci nel proteggere da rischi da BTV omologa e parzialmente
efficaci nella protezione da BTV eterologa in prove di laboratorio.
Ulteriori studi sono in attesa di valutare la stabilità strutturale a lungo termine, i costi di
produzione e di purificazione e la loro efficacia in campo.
Vettori ricombinanti
I vettori ricombinanti potrebbero essere impiegati in futuro come vaccini, se prodotti in
modo da risultare sicuri, poco costosi, DIVA, adatti all’inclusione di più sierotipi virali e
capaci di fornire un’immunità protettiva a lungo termine in un'unica vaccinazione.
Sebbene la loro realizzazione sia ancora lontana, sono stati pubblicati alcuni preliminari e
promettenti studi di laboratorio sull’uso di vettori derivanti dai Poxvirus (Schwartz-Cornil
et al., 2008).
46
IL POPOLO SAHARAWI
Storia
L’origine del popolo Saharawi si può ricondurre all’immigrazione di tribù arabe Maqil
provenienti dallo Yemen, passate dall’Egitto in Tunisia nell’XI sec. e venute ad insediarsi nella
regione meridionale del Marocco, nel Sahara Occidentale ed in Mauritania agli inizi del XIII sec.
In queste regioni vennero a sovrapporsi alle tribù berbere autoctone, principalmente i Sanhaja e
in misura inferiore gli Zenata. I Sanhaja vivevano nella vasta area desertica tra il sud
marocchino, la meridionale Trarza in Mauritania e la città di Timbuctou nell’odierno Mali. La
loro migrazione verso l’interno del Sahara ebbe inizio probabilmente nel X sec. a.C.
A partire dall’XI secolo iniziarono i contatti della popolazione Saharawi con gli europei, che da
quel momento diedero il via all’esplorazione della costa del Marocco e nel 1400 si spinsero fino
alle coste del Sahara Occidentale. Sulla costa furono fondati insediamenti commerciali e vennero
poste le basi del commercio delle tribù sahariane con spagnoli e portoghesi.
Per evitare possibili conflitti derivanti da questa situazione furono firmati diversi trattati tra le
diverse potenze coloniali per definire le differenti zone di influenza in Africa occidentale.
Sebbene la Spagna, che già nel ‘400 aveva raggiunto la cosa atlantica del Sahara, non avesse
mostrato particolare interesse per quei territori, nel XIX secolo, quando la Francia divenne la
potenza dominante dell’Africa nord-occidentale, iniziarono i negoziati per definire le zone di
influenza di queste due nazioni. I confini del Sahara Occidentale furono decisi col trattato di
Berlino del 1884, le convenzioni di Parigi del 1900 e del 1904 e il trattato di Madrid del 1912.
Nel 1934 la Spagna, che assieme alla Francia aveva preso parte alla spartizione di Marocco,
Mauritania e Sahara Occidentale, diede alla popolazione di questa parte di deserto uno stato
civile e documento d’identità, con l’introduzione di un ‘visto’ obbligatorio per la transumanza
nei territori sotto il controllo francese. Questo evento ha costituito un punto chiave per l’autoidentificazione della popolazione come appartenente al “Sahara Spagnolo”, area definita dai
confini decisi da Francia e Spagna, che prima non esisteva come luogo geografico.
Dopo la scoperta di importanti giacimenti di fosfati, tra il 1947 e il 1958, aumentò l’interesse
commerciale della Spagna, che accrebbe la sua influenza e incrementò gli scambi con la
popolazione.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale iniziarono le lotte per l’indipendenza in territorio africano e
nel 1956 il Marocco divenne il primo stato africano ad ottenerla, seguito negli anni ’50 e ’60 da
molti
paesi
africani.
Nel
1963
l’ONU
riconobbe
47
al
popolo
Saharawi
il
diritto
all’autodeterminazione; nello stesso anno scoppiò la Guerra delle Sabbie tra Marocco, Algeria e
Mauritania, in seguito alle rivendicazioni territoriali marocchine nei confronti di questi Paesi.
Tra i progetti di espansione del Marocco era prevista anche l’annessione del Sahara.
Nel 1967 si formò il primo gruppo nazionalista Saharawi, il Movimento di Liberazione del
Sahara (MLS) e in seguito, nel 1973 si costituì il Fronte Polisario, che nacque per opporsi al
colonialismo ma ben presto individuò nell’indipendenza il suo obbiettivo. Lo stesso anno la
Spagna informò l’ONU di voler indire un referendum per l’autodeterminazione e nell’autunno
del ’75 censì la popolazione. Contemporaneamente Marocco e Mauritania firmarono un accordo
segreto di spartizione del Sahara Occidentale e proprio su pressione di questi due paesi, in
seguito l’ONU decise di rinviare il referendum.
Il Marocco organizzò una marcia pacifica di occupazione, la ‘Marcia Verde’, nella quale
350.000 coloni marocchini seguiti dall’esercito entrarono nei territori del Sahara Occidentale.
L’esercito marocchino e quello mauritano si scontrarono in varie occasioni con il Fronte
Polisario; la popolazione fu costretta a fuggire nel deserto protetta da quest’ultimo e sotto i
bombardamenti dell’aviazione marocchina. E’ in questo modo che i Saharawi giunsero in
Algeria, nei pressi di Tindouf, e costruirono la prima tendopoli.
Nel frattempo con l’accordo di Madrid, la Spagna cedette il Sahara Occidentale a Marocco e
Mauritania.
Nel 1976 il Polisario proclamò la nascita della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD)
e nel 1979 la Mauritania firmò col Fronte Polisario un accordo di pace.
Il Marocco reagì di contro raddoppiando lo sforzo bellico e costruendo sei muri di sabbia dal
confine marocchino a quello maritano, per dividere i territori sotto il suo controllo da quelli sotto
il controllo dei Saharawi.
Nel 1988 Il Marocco accettò i principi base dell’ONU e nello stesso anno il Consiglio di
Sicurezza dell’ONU approvò la risoluzione 621/1988 che autorizzò il Segretario Generale a
nominare un Rappresentante Speciale per il Sahara Occidentale e a formare la MINURSO
(Missione delle Nazioni Unite per il Referendum del Sahara Occidentale). A seguito di nuovi
scontri col Polisario però il Marocco diede il via ad una nuova marcia di 155.000 coloni e chiese
diverse condizioni per definire gli aventi diritto al voto per il referendum riguardante l’autodeterminazione. Nel 1992 venne stabilita la data di tale referendum, ma nello stesso anno fu
spostato a data da precisarsi.
Tra il ’92 e il ’94, dopo le denunce da parte della Commissione Europea, degli Stati Uniti e del
Fronte Polisario sull’ostruzionismo marocchino, venne indetta una nuova identificazione degli
elettori per il referendum.
48
Nel 2004 fu presa in considerazione una nuova proposta che prevedeva un referendum entro
cinque anni.
Da allora il referendum non si è ancora potuto svolgere, a causa del rifiuto da parte del Marocco
delle condizioni per stabilire gli aventi diritto al voto proposte dall’ONU.
La situazione attuale
I campi profughi Saharawi si trovano dislocati per la maggior parte in un’area concessa dal
governo algerino di circa 10.000 km quadrati nei pressi di Tindouf. La popolazione è di circa
200.000 persone. Circa 40.000 Saharawi vivono invece tra i Territori Liberati nel Sahara
Occidentale, la Mauritania e il Marocco.
Circa l’80% dei rifugiati è costituito da donne e bambini (ciò spiega l’importanza socioeconomica della figura femminile) che ricevono aiuti umanitari per il loro mantenimento, e che
ora grazie all’intervento delle organizzazioni Governative e non stanno raggiungendo un certo
grado di autosufficienza. La maggior parte degli uomini è impegnato al fronte e fa ritorno ai
campi solo per brevi periodi.
La popolazione nei campi profughi è suddivisa nelle 4 tendopoli chiamate col nome delle città
delle capitali del Sahara Occidentale (Smara, Auserd, El Aauin e Dajla) e in un nuovo
insediamento sviluppatosi negli ultimi anni attorno alla scuola: “27 Febrero”.
Ogni tendopoli, chiamata “wilaya”, assume ai fini amministrativi il nome e le funzioni di un
distretto regionale, ed è suddivisa in 6 “daire” (ad eccezione di Dajla che ne possiede 7), ognuna
chiamata col nome di una città sahariana, a loro volta suddivise ulteriormente in 4 “barrios”.
In ogni wilaya è presente un mercato, un ospedale, una scuola elementare e media e un centro di
accoglienza per gli stranieri. In tutte, ad eccezione di Auserd, vi è un orto e dal 2002 anche una
divisione de Dipartimento di Veterinaria.
Rabuni rappresenta il complesso dirigenziale, qui si trovano la Presidenza, i ministeri, l’ospedale
principale, l’ufficio centrale del Dipartimento di Veterinaria e la sede dell’ACNUR (Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati).
Le tendopoli distano da questo centro dai 35 km ai 60 km, mentre Dajla, la più lontana, ne dista
addirittura 160. I collegamenti tra le diverse wilayas avvengono tramite una strada asfaltata che
collega Rabuni a Smara (tendopoli più vicina), mentre per arrivare alle altre tendopoli esistono
solo delle piste nel deserto notevolmente dissestate.
La città algerina più vicina è Tindouf, sede dell’aereoporto e sede inoltre del più consistente
nucleo di forze armate algerine.
49
L’economia si basa su un esigua compravendita di generi alimentari e di prima necessità, e sul
commercio agricolo incentrato sugli orti. L’unica altra attività che permette un certo grado di
sostentamento alla popolazione, è l’allevamento di alcune specie domestiche e il loro commercio
(www.arso.org; www.saharawi.it, Solinas, 2006).
Il territorio
I campionamenti si sono svolti presso le tendopoli Saharawi, anche se parte dei sieri analizzati
proviene da territori limitrofi, indicati in allegato 2.
Le tendopoli si trovano nei pressi della città di Tindouf, in Algeria sud-occidentale, tra i 27° e i
28° N., su un’altopiano desertico, l’Hammada, a circa 500 metri s.l.m. Il territorio è di tipo
desertico, e varia dal vero e proprio deserto sabbioso (101.000 km² ), a zone ad aspetto pietroso e
pianeggiante. Sono inoltre presenti anche zone di origine fluviale, con pietrisco e sabbia. La
vegetazione è scarsa, e comprende soltanto poche specie di piante che crescono nei punti dove la
falda acquifera sotterranea, molto salata, scorre più vicina alla superficie ( 2-6 m di profondità). I
vegetali in questione vivono in condizioni di umidità relativa a volte anche molto bassa, scarsità
di acqua e scarso nutrimento, sviluppando cicli vitali molto brevi. L’unica oasi vera e propria è
presente a Dajla. In ogni wilaya sono presenti inoltre degli orti artificiali.
Figura 25: Terreno e vegetazione
I pozzi principali si trovano a Dajla, El Aaioun e a Rabuni.
Le temperature presentano notevoli escursioni tra il periodo estivo e quello invernale: in estate si
raggiungono 45-50°C, con le temperature massime registrate in luglio; in inverno al contrario la
temperatura può toccare 0°C, con le temperature più basse registrate in gennaio. La piovosità
annua è di circa 50 mm; le precipitazioni si concentrano nei mesi di ottobre e novembre. Inoltre
50
quando piove si possono formare veri e propri fiumi torrenziali estemporanei, molto pericolosi,
chiamati sabka.
L’umidità relativa in gennaio è inferiore al 20-30%, e scende a valori ancora più bassi in luglio,
arrivando anche a valori inferiori al 10%.
Il clima subisce l’influenza della corrente del Golfo, e dei venti secchi e polverosi che soffiano
per quasi tutto l’arco dell’anno dalle pendici meridionali dell’Atlante, e prendono il nome di
hartmattan. Le correnti influenzano anche la nuvolosità e l’esposizione solare diretta (stimata
attorno alle 3.600 ore annue) (www.arso).
La zootecnia nei campi profughi
L’allevamento per il popolo Saharawi è un attività di particolare importanza, per il ruolo rivestito
da sempre dalla pastorizia per questo popolo e poiché costituisce la principale fonte di proteine
della dieta.
Quest’attività si suddivide in due grandi gruppi: l’allevamento di stato e l’allevamento a carattere
familiare.
L’ allevamento statale di galline ovaiole (75.000 capi) è gestito dal Ministero della Cooperazione
ed realizzato in 3 capannoni contenenti ognuno 25.000 capi, situati a Rabuni. Vengono prodotte
uova vendute nei campi profughi e, se vi sono eccedenze, nel mercato algerino; inoltre le ovaiole
a fine carriera vengono macellate in una struttura adiacente e anch’esse vendute.
L’allevamento nomade di dromedari statali è effettuato nelle zone liberate del Sahara
Occidentale (area ad est dei muri) fino alla Mauritania. I ricavi di questa attività vengono usati
come forma di autofinanziamento dei vari Ministeri proprietari dei dromedari.
Ogni mandria è generalmente composta da 80-100 capi con un solo maschio intero; i restanti
maschi vengono castrati.
L’allevamento a carattere familiare di ovicaprini e dromedari si svolge attorno alle aree abitative.
Questa realtà, considerata come un’attività marginale e di poco conto, risulta però nella realtà
come la numericamente più consistente, con grande rilevanza sia dal punto di vista economico,
alimentare e sanitario. Il numero totale dei capi si aggira intorno alle 30.000 unità (censimento
eseguito dai veterinari saharawi dal 11/2000 al 5/2001).
Esistono inoltre piccoli allevamenti familiari di polli e conigli in prossimità delle abitazioni,
gestiti dalle donne o dai bambini, con un numero di animali generalmente inferiore a 10 capi.
51
I dromedari allevati nell’ambito familiare, con un sistema di tipo transumante, sono animali di
passaggio perchè destinati alla macellazione, oppure sono femmine tenute solo nel periodo della
lattazione per fornire latte agli anziani e ai bambini.
Tabella 6: Popolazione animale nelle tendopoli Saharawi (Baldan, 2004)
Specie allevate
Numero di capi
% femmine
Caprini
16456
77%
Ovini
13658
75%
Dromedari
617
57
Asini
171
Non rilevato
Cani
81
Non rilevato
Altro (gatti, galline, piccioni)
173
Non rilevato
L’allevamento di capre e pecore nelle tendopoli
L’allevamento di ovicaprini, di maggior interesse ai fini di questa tesi, si svolge in recinti
chiamati “corrales”, costruiti con materiali di recupero tra cui soprattutto lamiere, lastre di ferro
o plastica, reti metalliche e talvolta legno e pelli di animali.
Le dimensioni dipendono dal numero di animali in essi stabulati, ma soprattutto dalla condizione
economica dei proprietari.
In alcuni casi vengono utilizzate costruzioni di mattoni di sabbia, che un tempo fungevano da
unità abitative. I “corrales” sono generalmente privi di tetto, e gli animali si trovano confinati al
loro interno solitamente di notte, mentre durante il giorno vengono lasciati liberi di pascolare per
le tendopoli. I vari recinti sono raggruppati attorno alle tendopoli, nei pressi delle diverse daira.
52
Figura 26: Corral.
Figura 27: Corrales nei pressi delle Tendopoli.
Figura 28: Animali al pascolo all’interno di una wilaya.
53
L’alimentazione si basa sui resti dei pasti delle famiglie (ortaggi vari, riso, lenticchie, pasta,
fondi di thè, pane) mescolati assieme e bagnati con acqua. Se vi sono le disponibilità
economiche, occasionalmente questa dieta ‘di base’ viene integrata con foraggi o mangime.
Inoltre gli animali si nutrono di ciò che riescono a trovare durante il giorno pascolando nelle
tendopoli. Spesso arrivano a strapparsi reciprocamente il vello per ottenere materiale da
ruminare. L’acqua viene fornita come già ricordato, con il pasto, e una certa quantità è
somministrata a parte in contenitori generalmente di latta.
Le razze allevate derivano da un lungo processo di selezione, con il quale sono stati ottenuti
animali in grado di sopravvivere e produrre in condizione climatiche e ambientali così avverse.
La produttività di questi animali è inevitabilmente ridotta, ma costituiscono comunque una fonte
indispensabile di sostentamento per la popolazione che vive nei campi profughi (Zerbinato,
2001).
Tabella 7: Razze allevate nei campi profughi.
Razze ovine
Razze caprine
TAKARATA
CANARIA
TIDIMENT
ARABA
SIKE
BUSGHENDER
Il progetto “Salute animale nelle Tendopoli Saharawi”
Le attività di campionamento si sono svolte nell’ambito del progetto “Salute animale nelle
Tendopoli Saharawi”, una collaborazione Africa 70 e SIVtro-VSF Italia che ha avuto inizio nel
2003.
L’obbiettivo di tale progetto prevedeva il miglioramento della qualità della vita della
popolazione delle tendopoli attraverso una più adeguata gestione sanitaria del settore
zootecnico, da attuarsi mediante il consolidamento delle capacità della struttura istituzionale
del Dipartimento di Veterinaria nella gestione di tale settore, con la definizione di strategie
settoriali e di normative adeguate in collaborazione con le comunità interessate.
54
OBIETTIVI DEL LAVORO
Presso i campi profughi Saharawi nel 2004 sono state svolte indagini per l’accertamento della
presenza della Bluetongue e di eventuali vettori in grado di trasmetterla. E’ stato pertanto
prelevato un campione di siero da un numero significativo di ovicaprini presenti nelle tendopoli
e da quelli in entrata, e sono stati catturati insetti mediante una trappola di tipo “Ondertsepoort”.
Data la recente esplosione della diffusione di BTV e la scoperta di nuove specie di vettori in
grado di trasmetterlo, si è ritenuto interessante valutare la presenza dell’infezione in un'area sulla
quale esistono poche informazioni, sia per quanto riguarda la positività a BTV, sia per quanto
riguarda la presenza di vettori.
In particolare lo scopo della tesi è stato stabilire se vi fosse ancora una rilevante positività al
virus negli animali presenti nelle tendopoli, come dimostrato precedentemente da Baldan nel
2004 e se fossero presenti in loco vettori competenti riguardo alla sua trasmissione.
Per realizzare tale obbiettivo i punti fondamentali di questa tesi sono stati:
- accertamento della presenza all’interno delle tendopoli Saharawi di animali (ovicaprini)
autoctoni e non che presentino anticorpi anti-BTV;
- accertamento della presenza di specie di Culicoides nella medesima area in grado di
trasmettere l’infezione.
55
MATERIALI E METODI
I campionamenti sono stati effettuati nel periodo 04-23 aprile 2006 presso le tendopoli Saharawi
(Repubblica Araba Democratica Saharawi) ed hanno previsto la cattura di Culicoides spp. in
diverse zone del territorio mediante una trappola di tipo “Onderstepoort”, oltre che il prelievo di
sieri ovini e caprini di greggi locali, per determinare l’eventuale sieropositività al virus della
Bluetongue.
Per la cattura e lo studio dei Culicoides sono state seguite, con alcune eccezioni dovute a
difficoltà incontrate sul campo, le linee guida del piano per la sorveglianza entomologica della
Bluetongue in Italia.
Protocolli di campo per la cattura dei Culicoides
I Culicoides sono stati catturati mediante una trappola luminosa di tipo “Onderstepoort”. Le
trappole “Onderstepoort blacklight suction” sono costituite dalle seguenti componenti: un telaio
di metallo con profilo laterale a tronco di piramide rovesciata (che fa da supporto a delle
lampade a fluorescenza), una ventola (Baldan 2003) ed una rete a maglie fini (circa 4 mm). La
rete ha la funzione di attuare una prima selezione degli insetti che arrivano attirati dalla luce ed
escludere dalla cattura gli insetti più grandi, specialmente le falene, le cui scaglie possono
contaminare la raccolta e rendere le analisi di un campione più laboriose. Al di sotto della
ventola di aspirazione della trappola luminosa, vi è un sacco di garza bianca sottile, collegata ad
un bicchiere di raccolta bianco della capacità di 500 ml. Il bianco è il colore più adatto da
utilizzare per il bicchiere, poiché permette di individuare meglio i piccolissimi Culicoides a
occhio nudo e di stabilire subito se è stata fatta una buona raccolta. Le lampade da 8W, in
numero di 2, sono dei tubi al neon che emettono luce ad una lunghezza d’onda nel campo
dell’ultravioletto. E’ stato dimostrato che la luce ultravioletta attrae da 8 a 10 volte più insetti
della luce bianca e può aumentare la sensibilità del monitoraggio in aree caratterizzate da una
scarsa presenza dei vettori (è inoltre in grado di fornire un elevato numero di insetti nei casi in
cui si vogliano compiere studi di isolamento del virus) (Goffredo e Meiswinkel, 2004).
La ventola, mossa da un motore elettrico da 6,8 W, è posta al di sotto delle lampade e produce un
flusso d’aria dall’alto verso il basso. La trappola è stata alimentata tramite una batteria da auto da
12 V.
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Equipaggiamento
Il kit di raccolta comprende:
- trappola blacklight (completa di rete, sacco di garza bianca e corda per sospendere la
trappola), modificata in modo da poter essere alimentata da una batteria per auto.
- batteria per auto da 12 V, con autonomia di tre giorni circa.
- caricabatteria per auto portatile.
- due bicchieri bianchi da 500 ml.
- acqua e detergente (sapone liquido commerciale senza profumo).
- contenitori con coperchio a vite etichettati, contenenti 100-150 ml di etanolo al 70%.
- un termometro elettronico interno/esterno con memoria di temperatura min/max LCD
modello THM912.
- moduli “SBT06” del Sistema Nazionale di Sorveglianza della BT.
Figura 29: Trappola Onderstepoort.
Posizionamento della trappola nelle tendopoli
La trappola è stata posizionata nelle notti del 6, 8, 10, 15, 17, 18, 19, 20 aprile in cinque diverse
postazioni: nei pressi del Protocollo Rabuni, negli orti delle wilaya di Smara, di El Aaiun e di
Dajla e nel cortile adiacente al Dipartimento di Veterinaria della wilaya 27 Febrero.
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Tabella 8: Coordinate delle località in cui è stata posizionata la trappola.
Coordinate di posizionamento della trappola
El Aaiun HUERTA
N27 44.876
W7 59.972
374,6 mt s.l.m.
Smara HUERTA
N27 29.855
W7 49.098
391,7 mt s.l.m
Dajla HUERTA
N26 49.700
W6 52.160
331 mt s.l.m
Rabuni DEPVET
N27 28.392
W8 05.148
148,7 mt s.l.m
27 Febrero DEPVET
N27 30.950
W8 00.574
390,7 mt s.l.m
A Rabuni la trappola è stata posta nei pressi del Protocollo, in vicinanza di una pozza d’acqua
stagnante ai bordi della quale vengono fatti pascolare durante il giorno alcuni ovini e caprini.
Durante la notte il bestiame viene poi rinchiuso all'interno di un recinto all'esterno del
Protocollo.
Gli orti delle diverse wilaya sono stati scelti come luoghi di posizionamento della trappola per la
presenza di acqua e per la vicinanza di animali al pascolo durante il giorno.
Nella wilaya 27 Febrero la trappola è stata posta nel cortile provvisto di mura del Dipartimento
di Veterinaria, per proteggerla dal vento che avrebbe potuto comprometterne il funzionamento;
poiché alcune specie di Culicoides possono volare anche a 26 m d’altezza, le mura del perimetro
non dovrebbero aver influenzato la cattura (Braveman e Linley, 1993).
Procedura di cattura
La procedura di cattura dei Culicoides è stata eseguita come segue:
- la trappola era appesa ad un altezza compresa tra 1,5 e 2 metri, il più vicino possibile agli
animali.
- il termometro massimo-minimo veniva posizionato in vicinanza della trappola.
- il bicchiere, collegato all'estremità inferiore del sacco di garza bianca, veniva riempito
(attraverso il sacco) con circa 200 ml di acqua alla quale erano state aggiunte alcune
gocce di detergente.
- l’attivazione della trappola e del termometro avveniva circa 1 ora dopo il tramonto, e la
loro disattivazione veniva effettuata il mattino seguente, appena dopo l’alba.
- al termine del periodo di cattura gli insetti venivano trasferiti, tramite l’uso di una pipetta,
in contenitori contenenti etanolo al 70%. Tale trasferimento è stato effettuato più volte in
diverse soluzioni di etanolo, in modo da eliminare progressivamente i residui di soluzione
saponata.
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- i contenitori sono stati conservati in un luogo fresco, al riparo dalla luce diretta del sole,
fino al trasporto in laboratorio.
- alla fine di ogni raccolta è stato compilato il modulo “SBT06”.
Protocolli di laboratorio per l’analisi delle catture
Ogni cattura è giunta al laboratorio accompagnata dal modulo “SBT06”, utilizzato nel piano di
sorveglianza in Italia, ed è stata quindi registrata con un numero in codice (il quale veniva
annotato di norma anche sul modulo e sull’etichetta presente sui contenitori).
Analisi delle catture
Di seguito viene riportata la procedura applicata per l’analisi delle catture:
1. la prima operazione è consistita nel separare i Culicoides dagli altri insetti trasferendo le
catture su piastre Petri contenenti etanolo ed utilizzando uno stereomicroscopio a bassa
magnificazione (6-10 X);
2. per calcolare la proporzione tra i Culicoides e gli insetti appartenenti ad altre specie, anche
tutti gli altri insetti catturati sono stati sottoposti a conteggio;
3. i Culicoides sono stati successivamente conservati in etanolo al 70% in luogo fresco per
ulteriori ricerche.
Riconoscimento dei Culicoides
Il primo passo consiste nel separare il genere Culicoides dal resto degli insetti.
La famiglia dei Ceratopogonidae comprende più di 100 generi, ma soltanto quattro di questi si
nutrono su ospiti vertebrati a sangue caldo: Leptoconops, Austroconops, Forcipomya
(sottogenere Lasiohelea) e Culicoides. La forma del corpo di questi insetti è caratteristica, ma
grosso modo simile a quella di altri generi di Ceratopogonidae. Una caratteristica distintiva dei
Culicoides è la presenza di ali maculate (tutte le specie implicate nella trasmissione del BTV,
tranne alcune eccezioni, possiedono un proprio pattern alare), anche se il pattern alare non è
esclusivo dei Culicoides. Basandosi soltanto sulla forma del corpo e sul pattern alare (a bassa
magnificazione tramite lo stereoscopio) è possibile identificare i Culicoides con un 80% di
specificità ed un 80% di sensibilità; il 20% di “falsi positivi” sarà rappresentato da altri insetti
con ali maculate (e.g. Chironomidae), mentre il 20% di “falsi negativi” sarà costituito da
59
Culicoides dalle ali prive di pattern. L’identificazione di quest’ultimo gruppo si realizza al
meglio tramite un esame scrupoloso delle venature delle ali ed utilizzando un alta
magnificazione.
Un accurata identificazione a livello di specie richiede conoscenze altamente sviluppate; la
maggior parte delle specie, soprattutto quelle dei complessi dei vettori, possono essere
identificate con relativa facilità soltanto fino al livello di “complessi di specie”.
Allestimento dei vetrini: Chiarificazione e Fissaggio
Gli insetti conservati in etanolo al 70% sono stati trasferiti direttamente in alcol-fenolo
all’interno di provette di vetro; in questa soluzione la chiarificazione avviene in circa quattro ore.
Il mezzo d’elezione utilizzato per il fissaggio è il balsamo del Canada. Il vantaggio principale di
tale mezzo, rispetto ad altri, risiede nell’elevata stabilità che ha dimostrato avere anche per molti
anni. I principali svantaggi sono invece rappresentati dal fatto che la preparazione richiede molto
tempo in quanto i vetrini impiegano molto tempo per asciugare (parecchie settimane o mesi),
inoltre il balsamo ha la tendenza a scurirsi col passare degli anni. In ogni caso è sempre possibile
estrarre i campioni immergendoli in xilene o in fenolo alcolico e procedere a un rimontaggio,
sebbene tale procedura comporti dei rischi dovuti all’estrema fragilità dei campioni.
Il balsamo del Canada è molto denso e spesso non può essere versato all’interno della bottiglia se
questa non viene precedentemente riscaldata con acqua calda. Esso può essere fluidificato con
alcol-fenolo, una soluzione satura di cristalli di fenolo in alcol etilico assoluto. Per prepararlo
occorre aggiungere una quantità molto piccola di alcol (10 ml alla volta) ad una bottiglia di
cristalli di fenolo.
Il liquido tende a raffreddarsi molto durante questa operazione e potrebbe essere necessario
riscaldarlo prima di aggiungere altro alcol. E’ opportuno lasciare uno spesso strato di cristalli
non dissolti sul fondo della bottiglia. Il fenolo alcolico è molto caustico, è consigliabile quindi
una particolare attenzione nel maneggiarlo.
Per ottenere risultati migliori è auspicabile diluire piccole quantità di balsamo al bisogno e
conservarle per periodi di tempo brevi.
La quantità di alcol-fenolo necessaria per diluire il balsamo dipende dalle preferenze personali
dell’operatore, soluzioni dense non si stenderanno molto facilmente sul vetrino e i campioni
potrebbero essere più facili da sezionare.
La preparazione dei vetrini avviene collocando quattro gocce di balsamo separate al centro di un
vetrino, poi si procede a trasferire l’insetto nella goccia in basso a sinistra. Mediante uno
60
stereomicroscopio ad un ingrandimento di 12-15x si separa la testa dal resto dell’insetto e la si
pone all’interno della goccia in alto a destra. Con un ago tagliente si separano le ali dal torace e
si pongono nella goccia di balsamo in basso a destra. Con due aghi si posiziona il torace in modo
da farlo giacere di lato e si asporta il mesonotum assieme allo scutellum, facendo attenzione a
non tagliare le zampe. Si posiziona il mesonotum assieme al resto del torace e delle zampe nella
goccia in basso a sinistra. Infine si rimuove l’addome e lo si posiziona nella goccia di balsamo in
alto a sinistra.
Figura 30: Posizionamento delle diverse parti di Culicoides spp. sul vetrino.
Le gocce di balsamo contenenti gli insetti vengono ricoperte con parti quadrangolari di un
vetrino coprioggetto dalle dimensioni di 7x7 mm (ottenute dividendo un vetrino coprioggetto di
22mm di lato in nove parti uguali mediante un tagliavetro con punta in diamante). La testa deve
essere orientata in modo che si trovi in posizione frontale con le antenne distese; la parte ventrale
dell’addome in modo che sia rivolta dorsalmente; le ali devono presentarsi distese e la parete
dorsale del mesonotum deve trovarsi rivolta dorsalmente.
I microbisturi adatti alle operazioni sopraccitate si ottengono appianando l’ago di una comune
siringa ipodermica mediante un piccolo martello su di una superficie piana d’acciaio, facendo
attenzione a mantenere il bordo smussato verso l’alto. Si ottiene così un ago con la parte finale a
forma di punta di freccia, con due bordi taglienti. Questo ‘bisturi’ viene infine montato su di una
bacchetta di vetro scaldandola al bunsen. Per disporre le gocce di balsamo sui vetrini è stata
utilizzata una barretta di vetro con un estremità arrotondata. Per trasferire i Culicoides dalle
provette di vetro al vetrino sono state utilizzate pinze chirurgiche con punta dritta acuta
(Boorman e Rowland, 1988).
61
Figura 31: Sezionamento di un Culicoides.
Figura 32: Sezionamento di un Culicoides.
Identificazione dei Culicoides
Le caratteristiche di maggior importanza sono:
1.
macchie presenti sulle ali
2.
distribuzione dei sensilli celoconici nelle antenne delle femmine
3. proporzione delle antenne
4.
forma degli organi sensori sul terzo segmento dei palpi
5.
numero e forma delle spermateche
6.
forma dei genitali maschili
La testa
62
Gli occhi sono talvolta utili all’identificazione: in alcune specie essi sono separati, in altre sono
contigui. Occasionalmente presentano piccolissimi peli o setole tra le celle degli occhi composti
(per questo motivo vengono anche definiti occhi “pelosi”). Questa caratteristica è più visibile in
campioni trattati con potassio caustico e chiarificati, ma si può apprezzare anche osservando
attentamente il loro profilo.
La forma dei palpi, in particolare del terzo segmento e la lunghezza della proboscide forniscono
utili elementi diagnostici. Il terzo segmento dei palpi è spesso rigonfio e il rapporto dei palpi
”palp ratio” definito come lunghezza del segmento 3 divisa per la maggior larghezza è spesso
utile. Il terzo segmento dei palpi è provvisto di un gruppo di sensilli o di un foro sensoriale la cui
forma può essere utile per differenziare alcune specie.
Le antenne hanno una considerevole importanza diagnostica. Sono costituite da quindici
segmenti: una base, un pedicello, e tredici segmenti flagellari. Per questo motivo i segmenti
vengono indicati con la dicitura 3-15 (o da III a XV). E’ comunque più preciso indicarli come
segmenti flagellari o flagellomeri. La proporzione delle antenne a/b si trova dividendo la
lunghezza dei cinque segmenti apicali (11-15) per la lunghezza degli otto segmenti basali (3-10).
I vari segmenti possiedono una varietà di sensilli, i più importanti dei quali sono i sensilli
celoconici. Essi sono piccolissimi fori circondati da corte setole che si trovano generalmente
verso l’apice dei segmenti; il loro numero varia da uno a molti, e possono essere presenti o
assenti in ogni segmento.
Tutti i Culicoides possiedono sensilli celoconici al segmento 3 e la distribuzione nelle femmine è
spesso diagnostica (per esempio possono essere presenti su 3-15, o 3, 11-15 soltanto, o su 3, 5, 7,
9, 11-15, o in altre combinazioni).
Inoltre sulle antenne sono presenti altri sensilli, i sensilli tricoidei, i sensilli basiconici, i sensilli
ampullacei e i sensilli chaetica (Cornet, 1974). Sono utili nella distinzione di alcune specie, ma
generalmente non hanno una grande importanza. I sensilli tricoidei (chiamati ‘sensilli
trasparenti’ da alcuni autori francesi) sono utili nella distinzione di alcuni membri del gruppo
obsoletus (non nel Regno Unito). Le antenne degli esemplari maschi possiedono anch’esse
sensilli celoconici, che però hanno una differente distribuzione rispetto alle femmine e non sono
ancora stati studiati in modo approfondito.
63
na.
Il torace
Il mesonotum dovrebbe essere chiaro, non chiazzato o, in alcune specie, con evidenti macchie
scure.
Queste sono più visibili nei campioni a secco, sebbene il mesonotum in questo caso possa
presentarsi distorto; se esso viene separato durante il montaggio su vetrino e montato appiattito
con la parte dorsale rivolta verso l’alto le macchie potrebbero essere distinte con l’uso del
microscopio. Le zampe occasionalmente mostrano bande scure che però non rivestono grande
importanza nell’identificazione dei Culicoides.
Le ali sono di primaria importanza. La venatura è ridotta e si può sempre notare la formazione di
due celle radiali.
Le descrizioni più datate potrebbero riportare nomi diversi per le celle e per le venature; Kremer
(1966) ha preparato una tabella con i vecchi nomi. Molti Culicoides presentano ali con macchie
più chiare e più scure e la disposizione e l’estensione di queste distingue le varie specie. Le ali
forniscono inoltre indicazioni sulle relative dimensioni. La loro lunghezza si misura dall’arco
basale alla punta dell’ala (l) e la lunghezza della costa dall’arco alla fine della seconda cella
radiale (c). Il rapporto costale si ottiene dal c/l, sebbene questo rapporto sia di uso limitato per il
genere Culicoides.
64
Figura 35: Ala di C. circumscriptus.
L’addome
Per quanto riguarda l’apparato genitale femminile, il numero delle spermateche costituisce un
importante strumento diagnostico: le femmine di Culicoides possono averne da una a tre.
I genitali nel maschio rappresentano uno dei tratti maggiormente diagnostici. I caratteri da
osservare sono: la forma del nono sternite ed in particolare il suo bordo posteriore, la presenza o
l’assenza di processi laterali; la forma dell’edeago e dei parameri.
Il nono sternite può essere separato e la membrana che lo ricopre può presentare numerose
piccole spicole o può essere “nuda”. La sua forma ha un’importanza particolare nel differenziare
i membri del gruppo obsoletus. Anche le radici ventrali del basistilo danno informazioni: in
alcune specie si presentano lunghe e si assottigliano, in altre sono a “forma di piede” (Rawlings,
1996).
Figura 36: Apparato genitale maschile di C. sejfadinei.
65
Prelievo di sangue ovino e caprino
Le attività di prelievo sono state effettuate durante le visite routinarie alle greggi da parte del
capo-progetto e del personale del Dipartimento di Veterinaria, in concomitanza con la campagna
di vaccinazione per il vaiolo ovino.
Sono stati utilizzate Vacutainer con aghi da 23G. Il sangue è stato prelevato dalla vena giugulare,
messa in evidenza facendo pressione con la mano a valle del punto di prelievo. Un volta
prelevato il sangue, il siero è stato isolato mediante centrifugazione e trasferito all’interno di
provette Eppendorf da 1,5 ml.
Le provette sono state poste in congelatore a -20°C fino al momento della spedizione.
Il trasporto è avvenuto in borsa termica, mantenendo la temperatura sotto lo zero mediante
sacchetti di ghiaccio istantaneo in busta.
Sono stai inoltre trasportati altri sieri prelevati da ovini e caprini da altri operatori nei territori
limitrofi ai campi profughi, per verificare la presenza anche in questi ultimi del virus BTV ed
avere maggiori informazioni sull’epidemiologia del virus in un area più ampia di territorio.
Tutti i sieri sono stati inviati all’Istituto Zooprofilattico di Teramo nel gennaio 2007 (una volta
separata la frazione sierica il siero può essere conservato a -20°C per parecchi mesi).
Prove di laboratorio per la diagnosi indiretta
Negli animali immunocompetenti venuti a contatto con BTV si osserva la comparsa di anticorpi
sierogruppo-specifici e sierotipo-specifici che possono essere rilevati con i seguenti test eseguiti
dall’ Istituto:
1. ELISA (enzyme linked immunosorbent assay) competitiva
E' un test caratterizzato da elevata sensibilità e specificità. La specificità è dovuta
all'impiego di diversi tipi di anticorpi monoclonali sierogruppo-specifici. Nonostante la
diversità, tutti sembrano legare la regione aminoterminale della proteina maggiore del
core, la VP7. Il siero in esame viene posto in contatto con l'antigene noto. Se nel siero
sono presenti gli anticorpi, questi si legheranno all'antigene occupando i siti di legame,
competendo
con
gli
anticorpi
monoclonali
coniugati
con
enzima
aggiunti
successivamente. Questi ultimi infatti, non trovando siti di legame liberi, non si legano e
l'aggiunta del successivo substrato cromogeno non determina colorazione. Al contrario,
in assenza di anticorpi sierici, si ha evidenza di colorazione. Il test, raccomandato
dall'OIE, permette di evidenziare gli anticorpi di tutti e 24 i sierotipi, inoltre, data
66
l'elevata specificità, non si hanno reazioni verso antigeni correlati o proteine cellulari. La
lettura, infine, è effettuata tramite spettrofotometro con risultati oggettivi che possono
essere ottenuti in 4 ore.
2. Sieroneutralizzazione
E' una prova molto sensibile ed altamente specifica, in grado di rilevare gli anticorpi
neutralizzanti nel siero di animali venuti a contatto con il BTV. Questi, legandosi alla
proteina VP2 caratteristica per ogni sierotipo, conferiscono alla sieroneutralizzazione la
facoltà di identificare il sierotipo virale. Il test si basa sulla capacità degli antisieri tipospecifici di neutralizzare l'effetto citopatico del BTV. I sieri diluiti per raddoppio a partire
dalla diluizione di 1:10 sono messi a contatto con i diversi sierotipi di BTV
preventivamente titolati per consentire la eventuale neutralizzazione virale. Ai campioni
sono successivamente aggiunte cellule VERO come sistema rilevatore dell'attività del
virus. La lettura effettuata dopo 4-7 giorni valuta la presenza di effetto citopatico sul
tappeto cellulare. Un siero è considerato positivo per un determinato sierotipo virale
quando è in grado di inibirne l'effetto citopatico (www.izs.it).
Analisi dei dati
Per verificare la presenza di differenze significative nella positività al test ELISA dipendente dal
genere (Ovis e Capra) è stata costruita una tabella di frequenza; le frequenze ottenute sono state
confrontate con le frequenze attese mediante Test del χ2. Sono state considerate significative
differenze tra le frequenze associate a p<0,05.
67
RISULTATI
Le catture
Sono state eseguite otto diverse catture in cinque località differenti nel periodo 04-23 aprile 2006
(Tabella 9).
Il protocollo di cattura dei Culicoides prevedeva anche la misurazione delle temperature e delle
umidità relative massime e minime durante il giorno e durante la notte; a causa di un
inconveniente verificatosi sul campo (esposizione del termometro a temperature troppo elevate e
perdita di alcune funzioni dello stesso) non è stato possibile raccogliere direttamente questi dati.
Per sopperire alla mancanza di tali informazioni è riportata, di seguito, la tabella con i dati
relativi alle temperature e alle umidità relative massime e minime diurne e notturne misurate
dalla stazione meteorologica DAOF 60656 situata nei pressi dell’aeroporto di Tindouf,
latitudine: 27° 42' 1" N (deg min sec), longitudine: 8° 10' 2" W (deg min sec), elevazione: 431 m
(Tabella 10).
Tabella 9: Località e date in cui sono state effettuate le catture e animali allevati presenti.
Luogo delle
catture
Rabuni
El Aaiyoun
Smara
Rabuni
27 Febrero
Rabuni
Smara
Dajla
Data delle
catture
08/04/2006
10/04/2006
15/04/2006
17/04/2006
18/04/2006
19/04/2006
20/04/2006
06/04/2006
Animali presenti
Caprini, Ovini
Caprini, Ovini, Dromedari, Asini
Caprini, Ovini, Dromedari, Asini
Caprini, Ovini
Caprini, Ovini
Caprini, Ovini
Caprini, Ovini, Asini
Caprini, Ovini, Dromedari, Asini
Tabella 10:Temperature e umidità relative misurate dalla stazione meteorologica DAOF 60656
situata nei pressi dell’aeroporto di Tindouf (www.underground.com).
Data catture
T max
diurna
(C°)
T min
diurna
(C°)
T max
notturna
(C°)
T min
notturna
(C°)
Umidità
rel max
diurna
(%)
Umidità
rel min
diurna
(%)
Umidità
rel max
notturna
(%)
Umidità
rel min
notturna
(%)
06/04/2006
08/04/2006
10/04/2006
15/04/2006
17/04/2006
18/04/2006
19/04/2006
20/04/06
30
35
35
37
31
31
31
31
14
17
23
22
15
15
14
14
24
31
28
22
26
24
26
26
14
17
22
30
13
14
13
13
72
45
38
43
59
82
77
77
9
7
5
8
5
11
11
11
67
42
38
46
67
77
77
77
21
14
14
18
19
34
21
21
68
Da questi dati si evidenzia che la temperatura massima raggiunta è stata di 37° C il giorno 15
aprile, mentre quella più bassa è stata di 13° C nei giorni 17, 19 e 20 aprile.
La media delle temperature registrate in questo periodo è di 25° C.
L’umidità relativa è, invece, stata caratterizzata da un range di variabilità più elevato, oscillando
da un massimo del 77% nei giorni del 18, 19, 20 aprile ad un minimo del 7% il giorno 8 aprile.
Delle otto catture effettuate due hanno portato alla raccolta di un numero molto esiguo di insetti
ed in due casi tale raccolta è stata completamente nulla, probabilmente a causa del forte vento
che ha investito le tendopoli il giorno 14 aprile.
Le quattro catture con il maggior numero di insetti hanno portato all’identificazione di cinque
diverse specie di Culicoides, come riportato in tabella 11.
Tabella 11: Descrizione e identificazione degli insetti raccolti nelle diverse catture
Luogo della cattura Data
Rabuni
06/04/2006
Numero di
insetti totali
782
Culicoides
spp.
19
Specie identificate
El Aaiyoun
08/04/2006
2163
46
C. semimaculatus
C. sejfadinei
C. schultzei
C. circumscriptus
C. semimaculatus
C. sejfadinei
C. obsoletus
0
C. sejfadinei
0
0
C. semimaculatus
C. sejfadinei
Smara
10/04/2006
1838
8
Rabuni
27 Febrero
Rabuni
Smara
Dajla
15/04/2006
17/04/2006
18/04/2006
19/04/2006
20/04/2006
9
8
0
0
164
0
2
0
0
20
C. semimaculatus
C. sejfadinei
Delle specie identificate, C. obsoletus è considerato vettore della Bluetongue, mentre C. schultzei
potenziale vettore; le caratteristiche morfologiche che hanno portato all’identificazione e le
località nelle quali è stata riscontrata la loro attività sono riportate in allegato 1 e 2. In allegato 1
vengono descritte anche le altre specie identificate, con le loro principali caratteristiche.
69
Sierologia
In totale sono stati esaminati i sieri di 369 animali, 179 prelevati all’interno delle tendopoli e 190
provenienti dalle aree limitrofe indicate in allegato 2.
I prelievi sono stati effettuati per i primi nel periodo dal 6 aprile al 20 aprile 2006, durante la mia
permanenza nei campi profughi Saharawi, mentre i secondi sono stati prelevati in un periodo
precedente, che va da dicembre 2005 a gennaio 2006, dal personale del Servizio Veterinario
della RASD. Il seguente grafico mostra le località di provenienza dei campioni e la quantità di
sieri per ogni località.
Numero di campioni prelevati per ogni località
0
10
20
30
40
50
60
SMARA
LEHFERA
ALZAUAD
27 FEBRERO
EL AAYOUN
ZEMUR
WAD LEZEL
TAGANT
WAD ASKAF
EMKADA DE LEGMA
TIRS
BIR TILISIT
BIR MOGREIN
BEN HEMERA
RABUNI
DAJLA
70
Numero di campioni
Per quanto riguarda i sieri prelevati nelle tendopoli, di 179 animali il 36,87% è risultato positivo
al test ELISA, mentre il 63,13% è risultato negativo a tale test.
Il grafico seguente riporta la proporzione tra le due categorie per ogni località di prelievo.
Località
27 FEBRERO
DAJLA
SMARA
positivi
negativi
EL AAIOUN
RABUNI
0
10
20
30
40
Numero di campioni
70
50
60
70
Per i sieri di questi animali è stato inoltre valutata la positività al test ELISA per gli animali
autoctoni. Dei 73 animali nati in loco, il 42,46% è risultato positivo al test, il 57,54% è risultato
negativo, come mostrato dal grafico seguente. Ai fini statistici, va segnalato inoltre che l’età di
due capi esaminati era inferiore a 2 anni.
Test ELISA su animali autoctoni
50
40
30
campioni
20
10
0
ELISA positive
ELISA negative
Nei territori limitrofi alle tendopoli l’82,63% dei campioni è risultato positivo. Confrontando
questi due dati si può anche notare una maggiore sieropositività per i sieri prelevati al di fuori dei
territori delle tendopoli, come mostrato nel grafico sottostante.
Località
ALZAUAD
BEN HEMERA
BIR MOGREIN
BIR TILISIT
EMKADA DE LEGMA
LEHFERA
positivi
ZEMUR
negativi
WAD LEZEL
WAD ASKAF
TIRS
TAGANT
0
10
20
30
40
50
60
Numero di campioni
E' stato anche valutato, relativamente ai soli sieri delle tendopoli, se vi fossero differenze nella
positività al virus dipendenti dal genere. Tramite una tabella di contingenza è stata messa in
relazione la positività o negatività al virus con l'appartenenza del soggetto al genere ovis spp. o
71
capra spp. Il test del χ2 ha rilevato differenze significative (χ2=4.16, gdl=1, p<0.05) nella
positività al virus, in particolare sembra esservi una maggior frequenza di positività nel genere
ovis.
Negativi Positivi
Totali
Capraspp.
63
27
90
Ovis spp.
48
39
87
Totali
111
66
177
100
90
80
70
60
Positivi
50
40
Negativi
30
20
10
0
CAPRA
PECORA
72
I sieri prelevati nelle tendopoli sono stati inoltre sottoposti a sierotipizzazione per identificare i
diversi sierotipi presenti. Soltanto due sieri sono risultati positivi per BTV-1.
località
RABUNI
EL AAIOUN
SMARA
DAJLA
27 FEBRERO
totali
Siero. 1
Siero. 2
0
1
1
0
0
2
Siero. 4
0
0
0
0
0
0
Siero. 8
0
0
0
0
0
0
Siero. 9
0
0
0
0
0
0
Siero. 16
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
Le località
prossime
ai campi
hanno
indicato la
presenza
di un numero esiguo di capi positivi ai seguenti sierotipi: BTV-1, BTV-2, BTV-4, BTV-8, BTV16.
località
WAD ASKAF
BEN HEMERA
WAD LEZEL
ALZAUAD
TAGANT
TIRS
ZEMUR
EMKADA DE
LEGMA
LEHFERA
BIR MOGREIN
BIR TILISIT
totali
Siero. 1
Siero. 2
Siero. 4
Siero. 8
Siero. 9
Siero. 16
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
3
0
0
0
3
0
0
0
0
0
0
4
0
0
1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
2
0
0
0
0
0
0
3
3
0
1
0
1
6
0
1
0
1
5
0
0
0
0
5
0
0
0
0
0
0
0
0
0
2
73
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
I risultati del test ELISA, effettuati sui sieri degli animali presenti nelle tendopoli, hanno
evidenziato una consistente percentuale globale (36,87%) di animali positivi. Questi risultati, pur
non dimostrando direttamente la presenza del virus, hanno dato conferma dell’esistenza di
animali che, in qualche modo, sono venuti a contatto con esso (è da notare che nei campi
profughi Saharawi non viene eseguito alcun tipo di vaccinazione per BT), come si era già
verificato in precedenza (Baldan, 2004).
Sebbene la sieropositività sia elevata, gli animali da cui sono stati prelevati i campioni non
mostravano segni clinici evidenti della malattia, salvo in alcuni rari casi, nei quali però i sintomi
clinici erano aspecifici. Questo può essere spiegato dal caratteristico adattamento all’ambiente
sfavorevole delle specie di ovi-caprini presenti in territorio Saharawi, considerate
particolarmente resistenti alla BT e quasi sempre colpite da infezioni di tipo subclinico. Le zone
nelle quali è stata verificata la sieropositività al virus si trovano nello Stato Algerino, nel quale il
virus della Bluetongue è stato segnalato ufficialmente per la prima volta nel 2000 (Mellor et al.,
2008), nel 2004 (Baldan, 2004) e nel biennio 2006-2007 (www.oie.int).
Inoltre, la malattia è stata segnalata nell’anno 2000 in Tunisia e in Marocco; in quest’ultimo stato
la segnalazione è avvenuta anche nel 2004 (Mellor et al., 2008). Le ultime segnalazioni riportate
dall’O.I.E. in questi due paesi riguardo alla presenza della malattia risalgono al 2006
(www.oie.int).
Le analisi effettuate per monitorare le zone limitrofe ai campi Saharawi rivelano, inoltre, una
percentuale ancora maggiore di sieropositivi per BT al test ELISA, rispetto alla percentuale di
positivi nei campi stessi.
Sui sieri provenienti dalle tendopoli è stata anche effettuata un’analisi utilizzando una tabella di
contingenza, per accertare eventuali differenze di sieropositività dipendenti dal genere. I risultati
del test hanno messo in evidenza una maggior frequenza di positività nelle pecore rispetto alle
capre.
Inoltre si è evidenziata una percentuale molto alta di animali autoctoni positivi al virus (42,46%);
questo dato fornisce un ulteriore prova a favore della tesi di una positività dovuta ad un effettiva
circolazione del virus nella popolazione animale, oltre che all’importazione di animali infetti. Va
inoltre segnalato che tra i capi autoctoni sieropositivi vi erano 2 soggetti che per la loro età (<2
anni) non potevano essere presenti nei campi al tempo dell’effettuazione dell’indagine
precedente (Baldan, 2004) e che quindi sono spia di trasmissione dell’infezione in tempi
successivi al 2004.
74
Le prove di siero neutralizzazione, svolte ai fini della sierotipizzazione, hanno dato scarsi
risultati e ciò è probabilmente da mettere in relazione alla difficoltà di conservare i campioni ad
una temperatura adeguata.
In ogni caso all’interno delle tendopoli due sieri sono risultati positivi per BTV-1, in accordo con
i report che dichiaravano la comparsa di questo sierotipo in Algeria e Marocco nel 2006
(www.oie.int).
Nei territori limitrofi alle tendopoli, ad Alzauad è stata riscontrata un’esigua quantità di campioni
positivi per i sierotipi BTV-2, BTV-4, BTV-8 e BTV-16; a Zemur i sierotipi rinvenuti sono stati
BTV-2 e BTV-8 e a Bir Tilisit i sierotipi BTV-1, BTV-2, BTV-4. Mentre, in precedenza, in Nord
Africa i sierotipi BTV-2 e BTV-4 erano stati segnalati in Algeria e Marocco (www.oie.int), per
BTV-8 e BTV-16 non è mai stata fatta alcuna segnalazione in questi territori. L’origine di tali
capi è però non accertabile e pertanto la spiegazione della origine dell’infezione impossibile.
Per quanto riguarda le catture, la densità degli insetti vettori non è risultata particolarmente
elevata, raggiungendo un massimo di 46 Culicoides; inoltre, il numero di Culicoides è risultato
minore in proporzione agli altri insetti nelle catture con il maggior numero di insetti totali. Sono
state identificate cinque diverse specie di Culicoides: C. schultzei, C. obsoletus, C.
semimaculatus, C. circumscriptus, C. sejfadinei, la cui presenza era già stata segnalata in
precedenza in territorio Algerino, ed in particolare per C. sejfadinei e C. circumscriptus si
riportano segnalazioni anche nel deserto del Sahara algerino (Szadziewski, 1984). Le specie di
maggior interesse dal punto di vista epidemiologico sono risultate essere due: C. obsoletus, del
quale è stato catturato un singolo esemplare, e C. schultzei. La prima specie è indicata come
vettore della Bluetongue (Mehlhorn et al., 2007) (Vanbinst et al., 2009) (Jasmin et al., 2009)
(Savini et al., 2005). La seconda specie, di cui sono stati invece catturati più esemplari, è indicata
come potenziale vettore della malattia (Cornet e Brunhes, 1994). Il riscontro della presenza di un
vettore accertato e di un vettore potenziale di BTV, associata al rilievo di percentuali
significative di sieropositività negli animali, che per di più confermano sieropositività già
evidenziate in passato (Baldan, 2004), orientano verso la tesi di un effettiva circolazione del
virus in loco. Il passo successivo, per confermare tale tesi è la verifica della presenza dell’RNA
virale all’interno degli insetti, verifica che non è stato possibile eseguire sui campioni di
Culicoides utilizzati per questo studio, sia per le condizioni di cattura e di conservazione cui
sono stati sottoposti, sia perché per l’identificazione delle specie è stato necessario montarli su
vetrino.
75
ALLEGATO 1
C. circumscriptus
Diagnosi e note
Le ali presentano una macchia nera appena distalmente alla venatura T, e la venatura Cu2
presenta un bordo pallido per tutta la sua lunghezza.
Le femmine hanno un rapporto di 1,37-1,50 e spermateca singola di forma ovoidale. Il terzo
segmento dei palpi è rigonfio con un unico grande foro sensoriale.
I genitali maschili presentano due processi laterali sporgenti e divergenti, l’edeago è triangolare,
e la membrana del nono sternite presenta spicolature.
Distribuzione dei sensilli sulle antenne: [3-14]
Figura 37: Ala di C. circumscriptus.
Figura 38: Apparato genitale maschile di C. circumscriptus
(www.culicoides.net).
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Distribuzione
Dalla Gran Bretagna e maggior parte dell’Europa, alla Russia; dal Nord Africa a Israele.
C. semimaculatus
Diagnosi e note
Poche specie presentano ali grigiastre, senza macchie o con poche macchie sbiadite. E’ presente
una macchia pallida sopra la venatura crociata, appena al di là della seconda cella radiale, una in
cu e un’altra nella cella anale. Le femmine hanno un rapporto a/b di 1.21-1.30.
Distribuzione dei sensilli sulle antenne: [3-10]
Figura 39: Ala di C. semimaculatus.
Figura 40: Apparato genitale maschile di C. semimaculatus.
77
Figura 41: Spermateche di C. semimaculatus.
Distribuzione
Algeria, Italia, Israele, Cecoslovacchia.
C. sejfadinei
Diagnosi e note
Le ali sono grigio-pallide, senza macchie. I genitali del maschio sono simili a quelli di C.
ibericus ma la membrana del nono sternite è spicolata. Nella femmina il rapporto a/b è 0,85-1.0
e le spermateche sono tre, chitinizzate e ben visibili.
Distribuzione dei sensilli sulle antenne: [3,5-10]
Figura 42: Ala di C. sejfadinei.
78
Figura 43: Apparato genitale maschile di C. sejfadinei.
Figura 44: Spermateche di C. sejfadinei.
Distribuzione
Europa Meridionale, Nord Africa e paesi confinanti col Mediterraneo, Russia.
C. obsoletus
Diagnosi
Le ali hanno un pattern alare tipico e la seconda cella radiale pallida. Questa specie si può
facilmente distinguere dalla forma dei genitali del maschio, in particolare dal nono sternite
profondamente scisso (ma non completamente diviso). Il rapporto a/b nella femmina è di 1,04,23. Inoltre le femmine delle specie C. obsoletus, C. scoticus e C. dewulfi sono difficilmente
79
distinguibili sebbene in generale le femmine di C. scoticus siano piuttosto grandi ed abbiano
macchie più evidenti. Potrebbero essere scambiate per C. impunicatus, ma i palpi in C. obsoletus
hanno una sola piccola cavità sensoriale mentre in C. impunicatus hanno numerose piccole
cavità superficiali. Entrambi i sessi sono molto simili a C. montanus, ma le femmine di questa
specie hanno sensilli tricoidei corti, robusti e smussati (“sensilli trasparenti”) nel segmento
basale delle antenne, che sono lunghi circa quanto un articolo delle antenne, mentre in C.
obsoletus i sensilli sono lunghi circa quanto due articoli , affusolati e appuntiti.
Distribuzione dei sensilli sulle antenne: [3,11-15]
Figura 45: Ala di C. obsoletus.
Figura 46: Apparato genitale maschile di C. obsoletus.
80
Ruolo come vettore di BTV
BTV è stato isolato da C. obsoletus per la prima volta a Cipro (Mellor e Pitzolis, 1979).
Successivi studi hanno più volte confermato il suo coinvolgimento nella trasmissione del virus
(Meiswinkel et al.,2004), sia dimostrando la sua presenza consistente in aree in cui si è avuta
l’infezione come ad esempio l’Europa Centrale, sia dimostrando mediante PCR la presenza di
BTV all’interno dell’insetto (Mehlhorn et al, 2007) ( Vanbinst et al., 2009) (Jasmin et al.,
2009) (Savini et al., 2005).
Distribuzione
Si distribuisce dall’Inghilterra, attraverso l’Europa e la Scandinavia fino alla Russia e al
Giappone e dal Marocco attraverso il Nord Africa fino allo stato di Israele.
C. schultzei
Diagnosi e Note
Sono presenti due macchie pallide nella cella cubitale, e le macchie chiare in entrambi i lati della
base della venatura M2 sono separate dalla venatura stessa.
Distribuzione dei sensilli sulle antenne: [3,8-10]
Ruolo come vettore di BTV
I Culicoides appartenenti a questa specie sono indicati come potenziali vettori di BTV (Jennings
et al., 1983) (Cornet e Brunhes, 1994).
81
Figura 47: Ala di C. schultzei.
Distribuzione
Afrotropicale: Namibia, Kenya, Zaire.
(Le aree di distribuzione per le diverse specie di Culicoides sono tratte dal sito
www.culicoides.net).
82
ALLEGATO 2
LOCALITA’ DI PRELIEVO
Riporto di seguito le località da cui provengono i sieri non prelevati all’interno delle tendopoli
Saharawi.
I nomi in alcuni casi possono essere lievemente diversi da quelli indicati dal personale che ha
effettuato il prelievo.
Ben Amera
Uad Ascaf
Bir Tilisit
Zemur
Wad Lezel
Bir Mohgrein
Tirs
83
84
TAGANT
Località situata nel centro sud della Mauritania, confina a nord con la regione Adrar, a est con
Hodh Ech Chargui, a sud con Hodh El Gharbi e Assaba e a ovest con Brakna.
(www.wikipedia.org)
AZAOUAD
La località indicata con questo nome comprende parte del nord del Mali, il nord del Niger, e
parte del sud dell’Algeria e non corrisponde quindi ad una singola regione amministrativa. E’ un
territorio di 80.000 Km2 pianeggiante, arido, interrotto in alcuni punti da rilievi di arenaria. I Tre
quarti del territorio sono semiaridi. Confina a est col massiccio Adrar des Ifoghas, a sud ovest
col fiume Niger, a sud est con le colline Ader Douchi e a nord con la base sud del massiccio
Hoggar.
(www.wikipedia.org)
Per le località EMKADA DE LEGMA e LEHFERA non è stato possibile trovare alcun
riferimento geografico.
85
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