Uso del farmaco - ANTONIO LA TORRE

Farmaci per l’impotenza:
dodici motivi che ne compromettono l’efficacia.
Gli studi sulla valutazione dell’efficacia della terapia farmacologica della disfunzione
erettile prendono generalmente in considerazione fattori di tipo biologico (farmacocinetici e
farmocodinamici), mentre raramente l’attenzione della ricerca scientifica viene rivolta al ruolo
dei fattori psicologici implicati nell’assunzione del farmaco. In particolare l’impatto psicologico (sia
nel singolo individuo che nella coppia) della prescrizione farmacologica difficilmente costituisce
oggetto di approfondimento e viene molto spesso trascurato nella pratica clinica quotidiana.
Eppure molteplici fattori di ordine psicologico sembrano condizionare l’esito della terapia
farmacologica. Leiblum e Rosen (in «Principles and practice of sex therapy», New York,
Guilford Press, 2000) osservano che la qualità della relazione della coppia è fondamentale nel
determinare l’efficacia di ogni trattamento. Anche le aspettative del paziente e del partner
riguardo la cura proposta possono influenzare l’esito della terapia stessa. Talvolta perfino le
aspettative del medico giocano un ruolo rilevante nel determinare l’efficacia della terapia, così
come la relazione che si instaura con il paziente e con la coppia.
Numerosi
fattori di ordine psicologico sono dunque
in grado di influenzare
negativamente l’esito della terapia farmacologica: tra di essi, dodici
rivestono un ruolo di
centrale importanza e meritano di essere oggetto di conoscenza, soprattutto per l’elevato rischio di
drop-out (abbandono della terapia).
1.
Il farmaco viene talvolta vissuto dalla donna come un rivale, al quale viene attribuito il
buon funzionamento sessuale. La terapia farmacologica favorisce nella partner lo sviluppo
di sentimenti di rabbia e di gelosia che accentuano la conflittualità, inibiscono la sessualità
e/o aggravano disturbi preesistenti.
Il vissuto della partner può essere riassunto in una frase come la seguente: «il farmaco può
e riesce in ciò in cui io non riesco? Solo io ti guarirò! Un farmaco non può valere più di
me!».
In questi casi, il farmaco è considerato dalla partner alla stregua di un oggetto pericoloso da
annientare, col risultato finale di una cattiva “compliance” (cioè il grado di adesione e di
accettazione della terapia) e/o di una compromissione dell’efficacia del farmaco.
2.
Altre volte invece il farmaco può indurre nella donna sentimenti di autosvalutazione e di
inadeguatezza: la partner comincia a pensare di “non valere nulla”, tendendo a deprimersi.
In questi casi, il farmaco viene vissuto come un vero e proprio attacco narcisistico che
mette in crisi l’autostima della donna. Il vissuto della partner può essere riassunto in una
frase come: «quanto poco valgo io se basta una pillola per risolvere ogni problema?»
oppure: «l’amore che il mio compagno prova per me vale quanto una pillola?» oppure «io
valgo quanto una pillola?» oppure «io non sufficientemente abile, sensuale o eccitante da
fargli avere un’erezione?».
La conseguenza più comune è un calo del desiderio con secondaria riduzione e/o
sospensione dei rapporti, oltre ad anorgasmia o anedonia.
3.
La partner può percepire il compagno come un uomo virilmente incompleto e imperfetto,
nella misura in cui necessita di un supporto chimico: crolla l’immagine del partner come
uomo capace di soddisfare sentimenti di sicurezza e conseguentemente la fiducia nel
partner viene ad incrinarsi.
L’uomo può essere dunque considerato incapace di soddisfare non solo i bisogni sessuali,
ma anche quelli emotivi. Le domande poste dalla partner possono andare ben oltre l’aspetto
strettamente sessuale: «Che cosa farai per me? Mi aiuterai? Mi ascolterai? Mi farai sentire
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bene? Realizzerai i miei sogni? Adesso che mi sono innamorata di te, hai il dovere di far
scomparire le mie sofferenze. Ascoltami, guariscimi, fammi stare bene…».
Anche in questo caso, la conseguenza più comune è un calo del desiderio.
4.
L’assunzione di un farmaco può essere interpretato come segno di sconfitta e di
inadeguatezza da parte del maschio. L'autostima del paziente può incrinarsi quando il
medico afferma che è preferibile instaurare una terapia farmacologica: anche nell’uomo
possono comparire sentimenti di autosvalutazione, con lo sviluppo di un senso di
inefficacia, incapacità, insicurezza, scarsa padronanza di sé. La prescrizione farmacologica
può istillare e confermare il dubbio di essere disfunzionale, di “essere impotente”, di avere
bisogno di un rimedio esterno, determinando anche il timore di diventare dipendente dal
farmaco e di non essere capace di farne a meno.
Paradossalmente, esiste il rischio di togliere al paziente risorse psicologiche, inibendo il suo
senso di autoefficacia e “mastery” (padronanza).
Sotto il profilo sessuale ciò può determinare un peggioramento dei disturbi preesistenti e/o
addirittura provocarne nuovi, come la comparsa (o l’accentuazione) dell’ansia da
prestazione o la paura di essere deriso.
Alcuni pazienti possono inoltre sentirsi più gravemente malati di quanto pensano per il solo
fatto di dovere assumere un farmaco.
5.
Alcuni uomini temono di comunicare alla partner la prescrizione della terapia
farmacologica: tra di essi, vi sono alcuni che preferiscono nascondere alla partner tale
assunzione, salvo vivere in un secondo tempo con sensi di colpa l’eventuale successo della
terapia farmacologica, proprio in conseguenza dell’assunzione del farmaco ad insaputa
della partner. Il vissuto dell’uomo può essere riassunto in questo modo: «E adesso come
glielo spiego che ho preso il farmaco? Cosa penserà quando glielo dirò? Cosa accadrà se
smetto di prendere il farmaco?». L’assunzione del farmaco viene vissuta come una
trasgressione intollerabile, per cui il farmaco verrà abbandonato o darà risultati deludenti.
6.
Tanto per l’uomo che per la donna, si può registrare una “resistenza” al trattamento (che
significa sostanzialmente una pessima “compliance” nell’assunzione del farmaco) quando,
per motivi più o meno consapevoli, la malattia può essere preferibile alla salute.
Tra questi motivi, i più comuni sono:
• Il timore di una paternità/maternità (timore di assumersi la responsabilità di
diventare genitore), in conseguenza del quale si cerca di evitare l’attività sessuale.
• Ostilità (più o meno consapevole) nei confronti del/della partner. Tale ostilità si
traduce nel rifiuto e/o nella squalifica più o meno palese dell’attività sessuale: le
vignette che seguono illustrano scherzosamente tali situazioni (le vignette
incorniciate in rosso riguardano le battute ironiche mosse dalle donne agli uomini,
in blu quelle degli uomini alle donne). L’argomento è molto vasto e si rimanda ai
testi specialistici per i relativi approfondimenti. In questa sede è utile ricordare
un’eventualità relativamente comune che si verifica quando la disfunzione erettile
non è tollerata dall’uomo, mentre la partner sembra adattarsi alla situazione: tale
divergente atteggiamento nei confronti della disfunzione erettile può generare
dinamiche conflittuali o comunque alimentare un’ostilità preesistente.
• La disfunzione sessuale “copre” una omosessualità non riconosciuta o non accettata.
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7.
È da considerare un potenziale rischio iatrogeno quando è il medico a suggerire al
paziente di mantenere con la partner il segreto circa l’assunzione del farmaco. Sono infatti
diversi i potenziali risvolti negativi del mantenimento di un tale “segreto”:
• sensi di colpa del paziente (per l’idea di avere metaforicamente “tradito” la fiducia)
nei confronti della partner,
• preoccupazioni sulle possibili reazioni della partner se venisse a scoprire il segreto
• incertezza e timore di quel che potrebbe accadere nel momento in cui il paziente
decide di sospendere il trattamento.
Le conseguenze sono soprattutto quelle del drop-out, con la complicanza della sfiducia nelle
cure in generale e nel medico in particolare.
8.
Il farmaco non risolve e non scioglie risentimenti o conflitti relazionali: la sua prescrizione
in simili situazioni può anzi esporre al rischio di accentuare la conflittualità di coppia nella
misura in cui uno o entrambi i partner utilizzano il farmaco come strumento per criticare o
squalificare l’altro. Ad esempio: l’uomo può lamentarsi con la compagna dicendo: «sono
stato perfino a farmi visitare da un medico pur di risolvere il problema», mentre la
compagna può cogliere l’occasione per criticare il compagno dicendogli: «Non funzioni
neanche con le medicine…!».
9.
L’efficacia di un farmaco può essere compromessa nei casi in cui le aspettative del
paziente sono di risolvere farmacologicamente problemi relazionali di coppia.
Ciò accade frequentemente con gli uomini che sperano di conseguire uno stato di benessere
attraverso la performance sessuale, che viene pertanto caricata di significati che vanno ben
oltre l'aspetto sessuale: come nel caso di quel signore assolutamente convinto che ogni
problema (anche di carattere non sessuale) con la sua partner dipendeva da erezioni da lui
soltanto giudicate inadeguate, malgrado l’assenza di qualsiasi problema organico. Questo
signore chiedeva pertanto performances sessuali eccezionali nella (erronea) convinzione che
in siffatta maniera avrebbe risolto i problemi relazionali, sentimentali ed affettivi con la sua
compagna.
In queste situazioni, il limite è da ricercarsi nell’aspettativa esagerata ed irrealistica nei
confronti della prestazione sessuale, piuttosto che nel farmaco in sé.
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10.
Alcuni uomini chiedono la prescrizione farmacologica rifiutando qualsiasi indagine
psico-sessuologica. Il paziente (pur di non mettersi in discussione o di sentirsi messo in
discussione) desidera comunque la prescrizione di un farmaco anche in assenza di chiari
fattori organici. La conseguenza è che la terapia ha l’effetto di un “silenziatore”
momentaneo del sintomo e la disfunzione sessuale si ripresenta ogni qual volta il farmaco
viene sospeso. Prima di curare bisogna cercare di comprendere, altrimenti il farmaco
restituisce provvisoriamente la prestazione deficitaria, senza chiarire nulla su cosa l’abbia
determinata. Se esiste un motivo che determina la disfunzione e non lo si riconosce, appena
si smette di assumere il farmaco, la disfunzione può ripresentarsi. Non solo, ma
l’insoddisfazione del paziente e il suo malessere possono nel frattempo crescere,
cronicizzando la disfunzione (e il disagio emotivo correlato). L’esito più probabile di tale
situazione è il drop-out, cioè l’abbandono della terapia.
11.
Talvolta il medico prescrive il farmaco senza avere preliminarmente effettuato
un’indagine sessuologica, probabilmente (ma erroneamente) convinto della scarsa utilità di
analizzare il ruolo di tali fattori. Questa eventualità si verifica soprattutto con i pazienti di
cui al precedente punto (che mostrano di non gradire approfondimenti psichici). La
relazione medico-paziente si caratterizza per un aspetto “collusivo”: in altre parole, medico
e paziente concordano (più o meno inconsapevolmente) sull’inutilità di indagare ed
analizzare il ruolo dei fattori psicologici. Le conseguenze sono analoghe a quelle già
elencate al punto dieci (drop-out), con la complicanza della sfiducia nelle cure in generale e
nel medico in particolare. La prescrizione del farmaco che non tiene conto anche delle
dinamiche relazionali che si instaurano tra medico e paziente, può quindi compromettere
l’efficacia del trattamento farmacologico stesso.
12.
Alcuni individui considerano la spontaneità tra i partner come un valore essenziale
per una soddisfacente vita sessuale, per cui l’assunzione di un rimedio artificiale non è
accettata o è vissuta in modo ambivalente e contraddittorio. In simili circostanze, la
prescrizione di un farmaco ha senso solo in un contesto terapeutico nel quale vi sia il tempo
e la disponibilità ad affrontare e analizzare i dubbi e le perplessità della coppia.
Alla luce di quanto sopra, appare chiaro che un’efficace prescrizione farmacologica debba
prendere in considerazione l’atteggiamento nei confronti del farmaco non solo del paziente, ma
anche della coppia: nella prescrizione di un farmaco, ogni medico dovrebbe tenere presente quindi
una logica della presa in carico della coppia.
L’esperienza insegna che l’atteggiamento delle coppie nei confronti del farmaco risulta quanto
mai eterogeneo, oscillando tra posizioni in cui il farmaco non viene accettato in quanto vissuto
come un corpo estraneo ad altre in cui viene invece sentito come un aiuto concreto a rilanciare la
progettualità del rapporto.
Un problema purtroppo diffuso nella pratica clinica è rappresentato dall’assenza di una
strategia più generale all’interno della quale il farmaco gioca il proprio ruolo, per cui non di rado
accade che il farmaco rappresenti di fatto l’unica strategia di intervento. I farmaci tuttavia non
dovrebbero essere considerati l'unico e isolato strumento di terapia, ma vanno inclusi in una
strategia di intervento integrata in cui la prescrizione si affianchi sempre ad una valutazione
psicologica dell’individuo e della coppia. Il farmaco può essere vissuto come segno di sconfitta per
il maschio e/o per la partner, ma può anche diventare un complice o un elemento stimolante
se
la prescrizione avviene all’interno di un contesto terapeutico che analizzi tutte le variabili
coinvolte.
L’efficacia di ogni
farmaco risulta infine
massima quando la cura è centrata
sull’importanza della relazione fra medico e paziente. Nella pratica clinica ciò significa capacità di
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comunicazione con il paziente e di analisi del suo contesto relazionale, alla ricerca delle variabili
in grado di influenzare l’esito della terapia farmacologica.
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