Il Lager di Terezín Il ghetto di Terezín durante la seconda guerra mondiale fu il maggiore campo di concentramento sul territorio della Cecoslovacchia. Fu costruito come campo di passaggio per tutti gli ebrei del territorio del “cosiddetto Protettorato di Boemia e Moravia”, istituito dai nazisti dopo 1'occupazione della Cecoslovacchia, prima che gli stessi venissero deportati nei campi di sterminio nei territori orientali. Più tardi vi furono deportati anche gli ebrei della Germania, Austria, Olanda e Danimarca. Nel periodo in cui durò il ghetto - dal 24 novembre 1941 fino alla liberazione avvenuta l'8 maggio 1945 passarono per lo stesso 140.000 prigionieri. Proprio a Terezín perirono circa 35.000 detenuti. Degli 87.000 prigionieri deportati a Est, dopo la guerra fecero ritorno solo 3.097 persone. Fra i prigionieri dei ghetto di Terezín ci furono all'incirca 15.000 bambini. Il ghetto di Terezín fu uno dei luoghi in cui fu concentrato il maggior numero di prigionieri bambini, compresi i neonati. Erano in prevalenza bambini degli ebrei cechi, deportati a Terezìn assieme ai genitori in un flusso continuo di trasporti fin dagli inizi dell'esistenza dei ghetto. la maggior parte di essi morì nel corso dei 1944 nelle camere a gas di Auschwitz. Dopo la guerra non ne ritornò nemmeno un centinaio, e di questi nessuno aveva meno di 14 anni. I bambini sopportarono il destino dei campo di concentramento assieme agli altri prigionieri di Terezín. Dapprima i ragazzi e le ragazze che avevano meno di 12 anni abitavano nei baraccamenti assieme alle donne; i ragazzi più grandi erano con gli uomini. Tutti i bambini soffrirono assieme agli altri le misere condizioni igieniche e abitative e la fame. Soffrirono anche per il distacco dalle famiglie e per il fatto di non poter vivere e divertirsi come bambini. Per un certo periodo i prigionieri adulti riuscirono ad alleviare le condizioni di vita dei ragazzi di Terezín facendo sì che i bambini venissero concentrati nelle case per bambini. la permanenza nel collettivo infantile alleviò un tantino, specialmente sotto l'aspetto psichico, l'amara sorte dei piccoli prigionieri. Nelle case operavano educatori e insegnanti prigionieri che riuscirono, nonostante le infinite difficoltà e nel quadro di limitate possibilità, a organizzare per i bambini una vita giornaliera e perfino l'insegnamento clandestino. Sotto la guida degli educatori i bambini frequentavano le lezioni e partecipavano a molte iniziative culturali preparate dai detenuti. E non furono solo ascoltatori: molti di essi divennero attivi partecipanti a questi avvenimenti, fondarono circoli di recitazione e di canto, facevano teatro per i bambini. LA STRAGE DEGLI INNOCENTI NELL'INFERNO NAZISTA DI TEREZIN Il piccolo ebreo tiene il volto scarnificato dalla fame chino sui tasti della macchina per scrivere. Ad ogni battuta un lungo silenzio. Tende l'orecchio al tonfo degli stivali. Le SS pattugliano in continuazione il girone infernale di Terezin, la città-fortezza a sessanta chilometri da Praga che i nazisti hanno trasformato in un gigantesco ghetto. Petr Fischl, 14 anni, è stato deportato qui, da Praga, nel 1943, in dicembre. Dietro si è lasciato l'infanzia, la gioiosa ansia di un bambino che si prepara trepidante alla scoperta dell'adolescenza. Le sue dita battono con fatica sui tasti della sgangherata macchina. Scrive di sé e di migliaia di altri bambini che ancora non sanno di essere destinati all'orrore finale di Auschwitz. "... Siamo abituati a piantarci su lunghe file alle sette del mattino, a mezzogiorno e alle sette di sera, con la gavetta in pugno, per un po' di acqua tiepida dal sapore di sale o di caffè o, se va bene, per qualche patata. Ci siamo abituati a dormire senza letto, a salutare ogni uniforme scendendo dal marciapiede e risalendo poi sul marciapiede. Ci siamo abituati agli schiaffi senza motivo, alle botte, alle impiccagioni. Ci siamo abituati a vedere la gente morire nei propri escrementi, a veder salire in alto la montagna delle casse da morto, a vedere i malati giacere nella loro sporcizia e i medici impotenti. Ci siamo abituati all'arrivo periodico di un migliaio di infelici e alla corrispondente partenza di un altro migliaio di esseri ancora più infelici...". Anche Petr, dieci mesi dopo, partirà con un gruppo di questi infelici. Destinazione Auschwitz. L'orrendo microcosmo di Terezin funziona dal 1941 al 1945. I nazisti vi fanno affluire, dall'Europa occidentale e orientale, circa 150 mila ebrei: tutti quelli che abitano nel protettorato di Boemia e Moravia, governato dal Reichprotektor Reinhard Heydrich, gli ebrei anziani, gli invalidi di guerra, i decorati al valor militare della prima guerra mondiale, illustri personalità. Il loro piano prevede il trasferimento graduale degli abitanti del ghetto ai lager, ma per non rivelare il progetto di sterminio della comunità ebraica europea, la propaganda esibisce Terezin come un insediamento modello. Invece ben presto iniziano i trasferimenti nei campi e dall'ottobre del 1942 il punto di arrivo è sempre Auschwitz. Sono circa 140.000 gli ebrei di Terezin: 33.529 muoiono nel ghetto, 88.196 finiscono nelle camere a gas, soltanto 17.247 vengono liberati l'8 maggio 1945. Dei quindicimila ragazzi sotto i quindici anni che hanno soggiornato nell'antica fortezza cecoslovacca, appena un centinaio riesce a sopravvivere. In questo luogo tre sono i drammi che lacerano la mente, la carne e la dignità degli esseri umani che vi sono ingabbiati: la promiscuità, la miseria, la fame. La promiscuità è difficile, se non impossibile, da evitare: su un area che ha contenuto in precedenza un massimo di settemila abitanti, nei momenti di massima concentrazione gli "organizzatori" nazisti stipano fino a 87 mila persone. Questa tecnica di ammassamento fa parte di una precisa finalità che si inserisce nel piano elaborato dai "tecnici della morte" allevati sotto l'ala di Hitler: l'estromissione degli ebrei dalla vita del Paese. Con l'isolamento e la piena disponibilità di controllo dei quantitativi globali di vettovagliamento, i tedeschi possono applicare agevolmente la loro politica di affamamento. Queste condizioni favoriscono un altro effetto tipico del ghetto e di tutti i concentramenti umani ad alto indice di affollamento: le epidemie. È la strage vera e propria. La gente, sfinita dalla fame, muore per le strade. I cadaveri, che vengono raccolti ogni mattina, diventano la componente normale di un paesaggio che sembra la rappresentazione di un delirante incubo notturno. L'altissima mortalità "naturale", aggiunta ai continui rastrellamenti per il fantomatico e misterioso viaggio all'Est di gente che poi non torna più, fa sì che ognuno sia familiarizzato con l'idea della morte, ossessivamente presente sia fisicamente che psicologicamente. Nessuno si sente mai al sicuro né dal contagio, né dalla morte per fame, né dalla deportazione verso l'ignoto. Questo era Terezin. Soltanto una piccola parte di quel gigantesco piano di sterminio - la shoà - nato dalla "psicopatologia di Httler e dal suo gruppo di sgherri. Il seme ispiratore di questo orrendo obiettivo lo si trova già nel "Mein Kampf" (La mia battaglia), folle bibbia del nazismo scritta in un rozzo tedesco dall'ex imbianchino austriaco fra il 1925 e il 1927. Da questo libro, indubbiamente la più feroce e sanguinaria teorizzazione dell'antisemitismo, si scatena l'immenso massacro che cancella dalla faccia della terra oltre 6 milioni di ebrei, siano neonati, bambini, ragazzi, donne, vecchi. Perché, nel "civile" XX secolo, questo atroce capitolo di storia? Perché "una nazione che, nell'era della soppressione delle razze, pensa ai migliori elementi della propria stirpe, deve essere un domani a padrona del mondo". Sono le ultime tre righe di "Mein Kampf". Dopo la tragedia, la lenta rimozione del ricordo, il silenzio. Ma bisogna "che il silenzio non sia silenzio" ammonisce Primo Levi che nel corpo e nello spirito portava gli indelebili segni incisi nel periodo di Auschwitz. Per rompere questo silenzio, che favorisce la formazione di focolai antisemiti con radice prenazista o nazista, pubblichiamo questa serie di testimonianze della vita del ghetto di Terezin raccolte clandestinamente fra il 1941 e il 1945. Fra i vari documenti, 77 disegni di bambini e di adulti che appartengono all'Associazione in ricordo dei martiri di Terezin "Beit Teresienstadt", ospite del kibbutz Givaat HaimIhud, in Israele, dove vivono superstiti del ghetto ed ebrei cecoslovacchi. Come fosse la vita a Terezin ce lo ha già descritto all'inizio Petr Fischl. Orrori di ogni genere, poi la morte. Eppure da questo inferno dove non esistevano materiali per dar vita a una qualsiasi forma espressiva, sono uscite poesia, disegni - persino un quadro a olio composizioni musicali, commedie, spettacolini per cabaret. Nel ghetto, dove i prigionieri si autogestiscono sotto l'occhio degli aguzzini, il senso della dignità resiste al montare della degradazione. Nel futuro c'è quasi sicuramente la morte, ma gli adulti preparano quotidianamente i bambini alla vita. "Noi esistiamo, viviamo e qui i nostri figli debbono sentire che li amiamo. Una casa non significa solo un tavolo, delle sedie e un armadio. Una casa significa amare". Karel Schwenk, uno dei più popolari "teatranti" del ghetto (verrà ucciso in un campo di sterminio polacco) scrive un inno, forse in assoluto la prima composizione artistica nata a Terezin, che nel testo finale dice: "Dove c'è una volontà, là c'è la vita. Prendiamoci per mano e un giorno rideremo sulle rovine del ghetto". Il compito che i "grandi" si sono prefissi è pesantissimo. Nel ghetto gli ostacoli più duri sono la paura e la fame. Il sogno di molti bambini è di andare nel piccolo ospedale, organizzato alla meno peggio, dove c'è un letto pulito, cibo mangiabile, la dolce assistenza delle infermiere. Sul foglio strappato da un quaderno un piccolo anonimo scrive una toccante poesia: "... quindici corpi che vogliono vivere qui / trenta occhi che cercano quiete / teste rasate che ricordano la galera... / Il cibo che danno qui è un vero lusso./ Troppo lunga è la notte per un giorno troppo breve. / Malgrado tutto non voglio abbandonare / questa stanza più grande, / la mia polmonite / e le infermiere, ombre vaganti / che aiutano i piccoli malati. / Vorrei restare qui, piccolo malato in questo luogo di visite mediche / finché non sarò guarito / a lungo, a lungo. / Poi vorrei vivere / e tornarmene a casa". È sopravvissuto il piccolo anonimo? Difficile dire se ha avuto la fortuna di essere nel gruppo di quel centinaio di bambini che i nazisti non sono riusciti a "liquidare" essendo sopraggiunto nel 1945 il crollo del "grande Reich". Ma anche se la sua vita è stata breve e trascorsa nelle tenebre di Terezin, s'è salvato dall'abiezione e l'affetto degli adulti gli ha alleggerito certamente, e qualche volta fatto dimenticare, il peso di un'angoscia dalla quale ci si può difendere soltanto rifugiandosi nella follia. I bambini del ghetto sono al centro dell'attenzione degli adulti. La loro vita collettiva viene organizzata nelle baracche definite "case d'infanzia". Qui i gruppi di due-trecento vengono suddivisi per età e lingua in piccole comunità di quindici-quaranta elementi diretti da un educatore aiutato da alcuni assistenti. Un medico, un infermiere, un assistente sociale e uno staff ausiliario seguono la vita di ogni "casa d'infanzia". I "pedagogisti", scelti fra giovani insegnanti e studenti, operano senza tregua dopo le estenuanti ore di lavoro che debbono fare per i tedeschi. Nessuno di questi educatori ha una propria vita privata: alloggiano nella stessa baracca dei bambini per essere continuamente a loro disposizione. Per facilitare l'apprendimento riscrivono alcuni libri di testo a memoria. I bambini più piccoli sono sempre occupati come in un asilo: leggono, scrivono, ascoltano con attenzione le storie dei loro paesi e disegnano tutto ciò che vedono. L'attività ludica è l'unica permessa, perciò vengono inventati dei giochi per imparare tutte le materie. I bambini in età scolare redigono settimanalmente un giornalino scritto e illustrato a mano. Esiste una parola d'ordine per segnalare l'arrivo di una delle tante ispezioni tedesche: quando risuona, al rumore ritmico degli stivaloni dei nazisti, ogni materiale d'insegnamento sparisce e lascia il posto ad attività ginniche e canzoni. Accanto al lavoro degli educatori, l'assistenza delle famiglie e delle singole donne che curano indistintamente bambini con genitori oppure orfani. Il ghetto di Terezin diventa paradossalmente un grande atelier per attività creative in tutti i settori: arti grafiche, musica, teatro, canto, poesia, letteratura di ogni genere, sia per i bambini sia per gli adulti. È un'attività ora clandestina ora tollerata, a seconda delle necessità propagandistiche dei nazisti. Nel 1942, ad esempio, viene dato inizio al programma di "abbellimento" della città che deve servire a dimostrare la "generosità" del Reich nei confronti degli ebrei: apertura di un caffè con orchestra, istituzione di un finto Tribunale del Ghetto e di una "Banca dell'autogoverno ebraico", puramente fittizia. Durante questo periodo arrivano 70.850 prigionieri provenienti dal protettorato di Boemia e Moravia, dalla Germania, dall'Austria e dai territori cechi occupati. Per mancanza di posto, 28 mila vengono avviati verso i campi di sterminio dell'Est: parte il primo "carico" per Auschwitz. Un episodio analogo accade nel maggio del 1944, quando la Croce Rossa danese chiede di visitare il ghetto: i nazisti diminuiscono l'affollamento mandando ad Auschwitz 2.780 ebrei giovani e abili al lavoro, per dimostrare che Terezin è un "luogo di riposo per anziani". Queste continue e larghe decimazioni sconvolgono ogni volta i gruppi d'insegnamento e coloro che sovrintendono alle attività creative: nella comunità di allievi ed educatori si aprono grandi vuoti. Un altro esempio. Per un certo periodo i nazisti permettono le manifestazioni artistiche. Viene formato un coro e subito dopo nasce anche un'orchestra; tutti e due sono diretti da ottimi professionisti e composti da elementi di tutto rispetto. Pur senza azione scenica vengono rappresentate alcune opere liriche come "La sposa venduta" e "Il bacio" di Smetana, "Il flauto magico" e "Bastiano e Bastiana" di Mozart. Anche in questo caso orchestra e coro si trovano privati improvvisamente di molti elementi, avviati verso i campi di sterminio. Ma la volontà fermissima di non lasciarsi uccidere spiritualmente vince anche l'idiota brutalità nazista. Hans Krasa, un valente musicista, compone un'operina per bambini intitolata "Brundibar". È l'unica opera lirica che può essere rappresentata in forma teatrale con scene e costumi. Lo scenografo Zelenka cura anche la regia realizzando un geniale allestimento con mezzi di fortuna. Gli adulti s'impegnano con entusiasmo nella preparazione di questo lavoro dedicato ai piccoli e interpretato totalmente da bambini-protagonisti e da bambini-coristi. L'operina viene replicata cinquantacinque volte. Il livello dello spettacolo è tanto elevato che da Berlino arriva una troupe cinematografica nazista per girare un documentario di propaganda. In quell'unica occasione "Brundibar" viene rappresentata in un teatro vero e proprio. Finite le riprese tutti i membri dell'orchestra, i collaboratori e i bambini che vi avevano partecipato vengono deportati ad Auschwitz. È possibile sopportare questo orrore? Karel Ancérl, che fa parte del gruppo dei musicisti, così scrive dei suoi compagni di Terezin: "Ho sperimentato che la potenza della musica è così grande da poter portare nel suo regno qualunque essere umano che possieda un cuore e una mente aperta, da rendere possibile sopportare le più terribili ore della propria esistenza". Ricordando la sua attività teatrale nel ghetto l'attrice Jana Sedova scriverà: "Be', difficilmente un attore potrà sperimentare un entusiasmo pari a quello degli spettatori di Terezin. Qualcuno forse si chiederà: come si può parlare di fame di cultura in un luogo dove manca il pane? Invece di dilungarmi in spiegazioni, voglio raccontare un episodio. Nell'intervallo di una recita del "Matrimonio" di Gogol suonò la sirena che segnalava l'imminente partenza di un convoglio per Auschwitz. Nessuno, tra gli attori e il pubblico, sapeva se, tornando alla propria baracca, avrebbe trovato il foglio di via per il suo viaggio verso la morte. Gli organizzatori volevano sospendere lo spettacolo, ma il pubblico non lo permise e sacrificò il poco tempo per radunare l'essenziale, salutare gli amici e poi assistere, per l'ultima volta, a una recita teatrale. Questi spettacoli trasformavano una massa obnubilata dalle sofferenze in una comunità umana piena di entusiasmo e questa scintilla dava luce e calore per parecchi giorni. Sono convinta che questo fosse il dono più prezioso che il nostro teatro potesse fare al suo pubblico". Ecco. Dalla profondità del tempo la vergogna della shoà e l'orgoglio dello spirito, il concetto del male e il concetto del bene. I due volti dell'umanità dei quali i bambini di Terezin hanno fatto il ritratto nei loro disegni, nelle loro poesie: il volto della tragedia e quello della gioiosa speranza. Ringraziamo per l'articolo l'autore FRANCO GIANOLA Il lager di Theresienstadt © Olokaustos La città da guerra Tra il 1780 ed il 1790 l'imperatore d'Austria Giuseppe II fece edificare una fortezza al centro della Boemia. La città prese il nome di Theresienstadt (Terezin in ceco), la "città di Teresa" in onore dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria. Si trattava di una città militare, una tipica "città da guerra" progettata con lo scopo di difendere Praga da attacchi provenienti da nord. Theresienstadt - a circa sessanta chilometri a nord di Praga - venne edificata lungo il corso del fiume Ohre (Eger in tedesco) un affluente dell'Elba. Il punto prescelto era all'altezza della divisione in due rami dell'Ohre. Lungo il ramo più a occidente venne costruita la fortezza più grande e più munita. Lungo il ramo orientale una seconda più piccola. Tra le due vi è una distanza di circa un chilometro. Questo sistema difensivo poteva ospitare una popolazione di 7.000 persone compresa la guarnigione. Il ruolo militare di Theresienstadt era in funzione antiprussiana. Le lotte tra l'Austria e la Prussia di Federico II avevano insegnato che era cosa prudente proteggere con accuratezza la capitale della Boemia. Nonostante la minaccia prussiana la fortezza di Theresienstadt non fu mai al centro di combattimenti e rimase una città militare per meno di un secolo. Nel 1882 venne abbandonata come sede di guarnigione e la piccola fortezza ad oriente venne adibita a carcere per prigionieri particolarmente pericolosi. Così una città nata per vedere gli orrori della guerra non sostenne alcun assedio. Il destino voleva che le sue mura vedessero orrori inimmaginabili. Lager per anziani, lager di propaganda La città fortificata di Theresienstadt venne scelta dai nazisti verso la fine del 1941 come luogo per deportare gli ebrei cechi Tra il 24 novembre ed il 4 dicembre 1941 i nazisti inviarono a Theresienstadt circa tremilatrecento ebrei cechi che vennero organizzati in due Aufbaukommando ossia in due battaglioni di lavoro denominati AK1 e AK2. Questi uomini ebbero il compito di trasformare una cittadina in grado di accogliere a malapena settemila persone in un campo di concentramento in grado di riceverne ottantacinquemila. La cifra di ottantacinquemila persone non era frutto di un calcolo casuale. Reinhard Heydrich aveva calcolato che le persone anziane ebree del Reich dovevano assommare al trenta per cento del totale degli ebrei austro-tedeschi. Nella mente di Heydrich il primo scopo cui avrebbe dovuto assolvere Theresienstadt era quello di accogliere gli anziani ebrei tedeschi. Nella riunione che si tenne il 20 gennaio 1942 nella villa del Wannsee, riunione nella quale si progettò la eliminazione fisica degli ebrei d'Europa Heydrich spiegò: "È previsto che gli ebrei al di sopra dei 65 anni non verranno evacuati, bensì internati in un ghetto per anziani - si è pensato a Theresienstadt. Oltre a queste classi di età - dei circa 280 000 ebrei che al 31 ottobre 1941 si trovavano nel vecchio Reich e nella Marca orientale il 30 per cento circa ha superato i 65 anni -, nel ghetto ebraico per anziani verranno accolti anche i grandi invalidi di guerra e gli ebrei decorati in guerra (croce di ferro di I classe). Tale opportuna soluzione consente di eliminare in un sol colpo i molti interventi in favore degli ebrei". Questo passaggio va letto con attenzione. Heydrich in quel 20 gennaio 1942 fece un calcolo approssimativo indicando tre categorie di ebrei destinati a Theresienstadt: anziani, invalidi di guerra e decorati. Ma l'ultima frase è ancora più illuminante: Heydrich sapeva che l'arresto e l'invio in un campo di concentramento di un anziano o di un ex-combattente della Prima Guerra Mondiale, provocava disagio nella popolazione. Creare un campo nel quale gli ebrei anziani sarebbero potuti morire di morte naturale era una soluzione propagandistica accettabile. Per questo motivo il campo di concentramento di Theresienstadt nasceva in primo luogo come "campo per anziani". Perché Heydrich accettò l'idea che anche i decorati e gli invalidi dovessero essere inviati a Theresienstadt? I motivi erano sostanzialmente due. In primo luogo l'esercito tedesco, la Wehrmacht, quando ci si accorse che venivano inviati verso i campi di sterminio anche ex-ufficiali ebrei distintisi in guerra protestò chiedendo che a questa categoria venisse concesso di morire in Germania. Il secondo motivo era propagandistico. Ufficialmente gli ebrei non venivano mandati a morire, la propaganda nazista affermava che venivano "evacuati verso l'Est" nei campi di lavoro. Questa spregevole menzogna non sarebbe parsa credibile nel caso di un invalido o di un anziano oltre i 65 anni. Theresienstadt dunque nasceva come un campo di concentramento per anziani destinato alla propaganda. Il periodo 1941-1942 In realtà, nonostante le dichiarazioni di Heydrich, il primo utilizzo di Theresienstadt fu per internare gli ebrei Cechi. Fino al marzo del 1942 giunsero a Theresienstadt soltanto treni provenienti dalla Boemia (definita dai tedeschi Protettorato di Boemia e Moravia). Il primo trasporto proveniente dai territori del Reich arrivò il 1° aprile 1942 proveniente da Vienna. Per coordinare meglio l'attività di riassetto del campo i nazisti costituirono a Theresienstadt un "Consiglio Ebraico" alla cui presidenza posero Jacob Edelstein. La truffa nazista divenne evidente a partire dal gennaio 1942 quando iniziarono a partire da Theresienstadt i trasporti destinati prima ai ghetti orientali e subito dopo verso Treblinka ed Auschwitz. Dalla fine del 1941 alla fine del 1942 vennero deportate a Theresienstadt 109.114 persone. Da Theresienstadt, nello stesso periodo di tempo, vennero inviate verso la morte 43.871 persone. Nel settembre 1942 la popolazione del campo raggiunse il suo picco massimo di 53.004 persone. Dall'ottobre successivo i nazisti incominciarono a far partire i convogli direttamente per Auschwitz e Treblinka e non solo più per i ghetti dell'Est. In tale affollamento le condizioni del ghetto divennero tragiche. Scarsità di cibo, promiscuità, lavoro coatto provocarono l'insorgere di malattie infettive tra le quali la più terribile era il tifo. Per far fronte alla mortalità crescente il comandante del campo Siegfried Seidl fece costruire un crematorio in grado di incenerire i corpi di duecento persone al giorno. L'obiettivo nazista di rendere la Germania "libera da ebrei" (judenfrei) venne perseguito con determinazione facendo giungere a Theresienstadt treni dalle principali città tedesche. La vita nel campo I cosiddetti "affari interni" del campo erano regolati dal Consiglio Ebraico. Ma cosa si intendeva per affari interni? I nazisti nel quadro della loro finzione macabra chiedevano al Consiglio di compilare le liste di coloro che dovevano essere spediti verso la morte, di distribuire i compiti lavorativi, di distribuire il cibo, decidere gli alloggiamenti e amministrare le strutture sanitarie. Si trattava di una macabra finzione perché questa "autogestione" era in realtà una farsa. Il cibo da distribuire era scarsissimo, le medicine inesistenti, gli strumenti per il lavoro inadeguati, la situazione abitativa drammatica. A questo si aggiunga il costante infierire delle malattie e l'incubo di essere inseriti nelle liste verso il nulla della morte nei campi di sterminio. Dal 7 novembre 1943 al 7 settembre 1944 in sostituzione di Edelstein venne nominato capo del Consiglio Ebraico il sociologo Paul Eppstein. Anche Eppstein era convinto come il suo predecessore che si potesse sopravvivere assecondando le continue richieste dei nazisti. Ancora qualche giorno prima di essere arrestato ed ucciso Eppstein - in un discorso per l'inizio dell'anno ebraico - si indirizzava in questo modo ai prigionieri di Theresienstadt: "Theresienstadt assicurerà la propria esistenza solo se si impegnerà radicalmente nel lavoro. Non bisogna parlare ma lavorare. Nessuna speculazione. Siamo come una nave che aspetta di entrare in rada perché una barriera di mine le impedisce di farlo. Solo il comandante conosce lo stretto passaggio che conduce in porto Non deve fare attenzione alle luci ingannevoli e ai segnali che gli vengono inviati dalla costa. La nave deve rimanere dove è ed attendere ordini. Dovete aver fiducia nel vostro comandante che fa tutto ciò che è umanamente possibile per assicurare la sicurezza della vostra esistenza. Pochi giorni dopo veniva trascinato nella Piccola Fortezza ed ucciso. Gli ebrei deportati arrivavano alla stazione di Bauschowitz distante circa due chilometri da Theresienstadt e di qui qualunque fosse il tempo dovevano raggiungere a piedi la fortezza trascinando i propri bagagli. Una volta arrivati erano costretti a sostare per un tempo interminabile. Venivano interrogati, dovevano fornire informazioni personali, consegnare ogni oggetto di valore e subire una minuziosa perquisizione. Uomini e donne venivano separati e alloggiati in condizioni inumane di sovraffollamento. I morti venivano cremati e le ceneri setacciate per recuperare eventuali protesi dentarie in oro. Le ceneri venivano poste in scatole di cartone sulle quali veniva scritto il nome del defunto. Poco tempo prima della fine della guerra per cancellare le tracce della strage il comandante Rahm ordinò che 8.000 fossero sotterrate e altre 17.000 svuotate nel fiume Ohre. La crudeltà di Rahm si spinse al punto di far eseguire questo lavoro di svuotamento ai bambini del campo che, in cambio, di una razione supplementare di cibo svuotarono nelle acque del fiume i poveri resti dei loro stessi parenti. La catena di comando degli aguzzini In quanto campo speciale Theresienstadt era controllato in modo diretto dall'Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich (RSHA) e, in particolare, dall'ufficio IV-B-4. Rahm durante il processo nel dopoguerra descrive la catena di comando responsabile di Theresienstadt in questo modo: "dal punto di vista amministrativo e tecnico ero subordinato all'Ufficio Centrale di Praga e dal punto di vista politico dall'Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich a Berlino […] le questioni politiche erano sotto l'autorità dell'Hauptsturmführer [Ernst] Moes a Berlino che veniva a Theresienstadt in caso di bisogno e mi dava gli ordini e le istruzioni del caso". Dalla testimonianza di Rahm si comprende che la catena di comando - attraverso Ernst Moes - arrivava sino ad Adolf Eichmann che in definitiva era il responsabile ultimo per tutte le decisioni "politiche" riguardanti Theresienstadt. Ciò significa che tutti i trasporti in entrata e in uscita da Theresienstadt erano organizzati da Eichmann. Nella stessa testimonianza Rahm a questo proposito disse: "La responsabilità per la realizzazione dei trasporti era di Moes e/o di Eichmann e dell'Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich a Berlino". L'importanza di Ernst Moes era data dal fatto che questo ufficiale era impiegato nell'ufficio IV-B-4b nella sezione "Casi isolati". Moes era un tecnico che doveva risolvere i problemi connessi a personalità ebree o a prigionieri politicamente importanti. I trasporti dal punto di vista tecnico e - soprattutto - le necessità del campo di Theresienstadt erano sotto la supervisione del Comando di Praga. Al di sotto dei comandi di Praga e Berlino vi era la vera e propria organizzazione del campo che ebbe in successione tre comandanti: Siegfried Seidl, Anton Burger, Karla Rahm. I compiti di polizia politica e di controllo del campo erano affidati ad un presidio comandato da Heinrich Jäckel. Queste SS erano incaricate delle esecuzioni e della prigione della "Piccola fortezza". Ai gradi più bassi si esprimeva tutta la bestialità delle SS. Tra gli aguzzini più feroci vi era Stefan Rojko che insieme a sua moglie Cecilia (anch'essa SS) compì atti di inaudita atrocità. Altrettanto noto era Alfred Neubauer che (anch'egli supportato dalla moglie) si distinse per sadismo. Mentre Neubauer venne arrestato e impiccato nel 1948 in Cecoslovacchia, Rojko riuscì a sottrarsi alla giustizia sino al 1963. Processato a Graz ebbe come pena l'ergastolo ma già nel 1975 venne scarcerato in libertà vigilata. Il ghetto Potëmkin Secondo una leggenda russa il principe e generale Aleksandrovic Grigorij Potëmkin, amministratore dell'Ucraina, ricorse ad uno stratagemma per ingannare l'imperatrice Caterina II. La zarina aveva espresso il desiderio di visitare l'Ucraina per rendersi conto di persona delle condizioni della provincia. Poiché l'intera area era particolarmente povera e male amministrata, Potëmkin ebbe l'idea di far costruire finti villaggi lungo la strada percorsa dall'imperatrice. Caterina II ritornò dal viaggio soddisfatta d'aver visto dalla sua carrozza villaggi puliti e ben ordinati. Theresienstadt nella logica perversa dei nazisti assolse la funzione di "villaggio Potëmkin". Al posto della zarina Caterina II gli ingannati furono i funzionari della Croce Rossa Internazionale. Tra il 5 ottobre ed il 14 ottobre 1943 giunsero a Theresienstadt 456 ebrei danesi. La maggior parte degli israeliti della Danimarca era riuscita a fuggire in Svezia grazie all'appoggio della popolazione, una piccola parte era stata catturata dai nazisti. Subito dopo la Croce Rossa Danese e Svedese chiesero di poter verificare le condizioni di questi prigionieri. I nazisti di fronte alle voci che già circolavano sullo sterminio non potevano rifiutare senza destare sospetti. Occorreva volgere la difficoltà in occasione. Nel dicembre 1943 il comandante di Theresienstadt Karl Rahm riunì il Consiglio Ebraico comunicando che si sarebbe dovuto "abbellire" il campo. Venne stabilito un percorso da far seguire alla delegazione della Croce Rossa. L'intero itinerario venne attrezzato in modo da far apparire la vita nel campo gradevole e felice. Fiori, negozi, un campo da gioco, biblioteche vennero prefabbricate per dare questa falsa impressione. Rahm tuttavia non era soddisfatto: orfani e malati erano troppi nel campo e non si poteva nasconderli. Così tra il 15 ed il 18 maggio 1944 vennero deportato verso Auschwitz e Bergen Belsen 7.500 abitanti "impresentabili". A Theresienstadt era vietato insegnare ma per la visita della Croce Rossa venne creata anche una falsa scuola sulla quale campeggiava un cartello con la scritta "chiusa per le vacanze". Il giorno della visita, il 23 giugno 1944, il delegato della Croce Rossa Internazionale, lo svizzero Maurice Rossel tutto era pronto. La visita durò dalle dieci del mattino alle sei di sera. La delegazione venne guidata dal comandante Rahm e da Paul Eppstein. Nella grande piazza di Theresienstadt i nazisti avevano fatto costruire un padiglione per concerti, Rossel vi vide i prigionieri suonare in una atmosfera totalmente irreale. A Rossel venne mostrato un asilo per neonati e bambini piccoli. Rossel lo fotografò e nel suo rapporto scrisse con meraviglia di essersi trovato in un luogo accogliente decorato con immagini di animali, con lettini puliti, una cucina spaziosa. L'asilo era stato costruito pochi giorni prima e pochi giorni dopo venne smantellato. A Theresienstadt era vietato avere figli e le donne che rimanevano incinta venivano costrette ad abortire e punite. Ma tutto questo Rossel non lo vide. I nazisti avevano provato la messinscena come un'opera teatrale in modo ossessivo. Il campo non era più chiamato "ghetto" ma "zona di popolamento ebraico", Eppstein venne chiamato "sindaco". Ai prigionieri - che erano solitamente obbligati al grusspflicht (il saluto immediato ad ogni SS) - venne vietato di salutare davanti a Rossel sotto minaccia di morte. Nel suo rapporto Rossel scrisse di aver visto una "normale città di provincia" e aggiunse: "Possiamo dire che abbiamo provato uno stupore immenso per il fatto di aver trovato nel ghetto una città che vive una vita quasi normale". La farsa era terminata come volevano i tedeschi. Una farsa che aveva visto i nazisti come registi, gli ebrei come attori, Rossel come spettatore. La riuscita dell'inganno fece capire ai nazisti le potenzialità di quella messa in scena. Rossel era stato già ad Auschwitz ma non aveva visto nulla di anomalo. Il delegato della Croce Rossa non seppe vedere, forse non volle vedere dietro le apparenze. I prigionieri-attori terrorizzati dalle conseguenze di qualsiasi atto che avesse potuto far sospettare qualcosa impersonarono il loro ruolo. Quando l'auto di Rossel si allontanò dal campo la vera vita di Theresienstadt riprese nel pieno del suo orrore. Dal 28 settembre al 28 ottobre 1944 da Theresienstadt partirono undici treni che portarono ad Auschwitz, verso la morte, 18.402 persone. Tra queste tutti gli attori della commedia. Poco dopo la partenza di Rossel la propaganda nazista girò un film intitolato "Il Führer regala una città agli ebrei". Nel filmato venne ripresa la commedia inscenata davanti a Rossel. Il cortometraggio venne proiettato in tutti i cinema tedeschi. La fine Le deportazioni del settembre-ottobre 1944 svuotarono il campo ma gli arrivi continuarono incredibilmente sino al 15 aprile 1945. Mentre il regime nazista crollava Eichmann continuò a deportare ebrei come se nulla fosse. Paul Eppstein oramai sgradito al comandante Rahm venne ucciso nel settembre 1944. Al suo posto venne nominato Capo del Consiglio Ebraico il rabbino Benjamin Murmelstein. Più il tempo passava più diveniva chiaro che la guerra era perduta. Rahm doveva a questo punto giocare la sua partita su due tavoli: da un lato cancellare le tracce delle uccisioni perpetrate e, dall'altro, barattare le vite dei superstiti in cambio dell'impunità. Le persone morte nel campo erano state cremate, occorreva eliminarne le ceneri. Il 31 ottobre 1944 venne formato un gruppo di 400 donne - perlopiù anziane - che cominciarono a passarsi di mano in mano le scatole che contenevano i resti. Questa catena umana lavorò ininterrottamente. Quando non fu più possibile far continuare le donne anziane il comandante decise di impiegare gli unici ancora non impiegati: gli orfani. Tutta la notte i bambini si passarono l'un l'altro le scatole sino al camion che avrebbe scaricato le ceneri nel fiume vicino. Come premio per il lavoro ai bambini venne consegnata una scatola di sardine. Terminata questa operazione vennero riesumati i corpi dei prigionieri impiccati e i corpi bruciati. All'inizio del febbraio 1945 Rahm mise in atto il suo piano di baratto. In realtà il piano proveniva direttamente da Himmler che sin dal gennaio aveva aperto trattative con la Croce Rossa Internazionale. Protagonista di queste trattative era il politico svizzero Jean Marie Musy. L'accordo prevedeva denaro in cambio degli ebrei. Il 5 febbraio 1945 circa 1.200 prigionieri furono caricati su di un treno che partì giungendo in territorio svizzero l'8 febbraio 1945. L'accordo prevedeva che seguisse un secondo treno che però non partì mai. Occorre considerare che in quegli ultimi mesi di guerra si erano formate all'interno delle alte gerarchie tedesche due fazioni. Un primo gruppo capitanato da Himmler era convinto che l'alleanza tra Angloamericani e Sovietici si sarebbe infranta e che la guerra sarebbe continuata. In quest'ottica Himmler riteneva di avere dei margini di trattativa in vista di una partecipazione alla lotta di ciò che rimaneva dell'esercito tedesco a fianco degli inglesi e degli americani. Trattare la liberazione dei prigionieri dai campi faceva parte di questa strategia di avvicinamento di Himmler. Di parere opposto invece era il capo dell'Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich Kaltenbrunner. Le vittime di questo braccio di ferro furono gli internati nei campi. Dopo il primo trasporto in Svizzera evidentemente riprese il sopravvento la fazione di Kaltenbrunner. Il risultato fu che in un'area sotterranea della Piccola Fortezza i nazisti cominciarono a costruire una camera a gas. Vennero utilizzati degli ingegneri ebrei prigionieri. La versione ufficiale era che si stava costruendo uno stagno per le anatre o una serra per le verdure. Quando nel campo si seppe dei lavori scoppiò una agitazione incontenibile. Per evitare una sommossa degli ultimi disperati sopravvissuti Rahm fece sospendere i lavori anche se una partita di Zyklon B, il gas usato per le gassazioni, era già arrivato al campo. Nell'aprile 1945 giunsero al campo prigionieri evacuati da Auschwitz e Ravensbruck. Altri giunsero da Sered. Le condizioni dei nuovi arrivati erano disastrose. A causa dell'impossibilità di curare gli ammalati che erano giunti in fin di vita si diffuse nel campo ancora una volta il tifo. Nello stesso mese la Croce Rossa Danese ottenne il permesso di evacuare i connazionali che erano sopravvissuti. La sera del 5 maggio 1945 il comandante Rahm consegnò il campo alle autorità della Croce Rossa e si allontanò dal campo. Murmelstein diede le dimissioni da capo del Consiglio Ebraico. L'8 maggio le truppe dell'Armata Rossa arrivavano a Theresienstadt. Durante il suo funzionamento erano giunte a Theresienstadt 140.890 persone. Di queste 88.135 furono deportate verso i campi della morte e i ghetti dell'Est. Più di 33.000 morirono nel campo. All'arrivo dei sovietici rimanevano a Theresienstadt poco più di 16.000 persone. 01 Sala riunioni cittadina 02 Casa per ragazzi (ex scuola) 17 Block G VI. Casa per infanti e bambini. Uno degli edifici conteneva anche una biblioteca ed un piccolo teatro. 03 Quartiere generale del comandante SS fino al 1942 poi ufficio postale e cas per i giovani 18 Stadtpark. In occasione della campagna di abbellimento fu attrezzato a parco giochi. 04 Casa delle giovani 19 Block EVI, Caserma "Hohenhohe". Ospedale centrale del ghetto. 05 Marktplatz. All'origine era recintata, fu aperta e dotata di un padiglione per la musica nel 1944 in occasione della campagna di abbellimento per la visita della Croce Rossa e le riprese del documentario di propaganda. 06 Negozio di biancheria 09 Ex caserma del Genio. Casa per anziani e ospedale sussidiario. 10 Una delle sedi della polizia del ghetto. 11 Block F III. Casa per bambini e apprendisti. 21 Ex scuderie adattate a falegnameria. 22 Block B V, Caserma "Magdeburg". Sede del Consiglio degli Anziani e ufficio dello Judenrat. 23 Block B IV, Caserma "Hannover": Dormitorio per operai. 24 Block A IV. Fornaio e drogheria. 12 Casa per bambini e giardino d'infanzia. 13 Ex circolo ufficiali. Comando della polizia del ghetto. 14 Complesso "Victoria". Mensa e alloggi del personale della SS-Kommandantur. 29 Block A III, Caserma "jäger". Centro di disinfestazione per prigionieri e vestiti. 30 Südberg (bastione sud). Area sportiva per adulti dal 1943. 20 Ex birreria adattata a centro di disinfestazione, docce e lavanderia. 07 Bar aperto nel 1942. Offriva surrogati di caffè e tè. 08 SS-Kommandantur e con celle nell'interrato. 28 Crematorio e cimitero ebraico (deposito delle urne di cartone con le ceneri). 25 Block C III, Cserma "Hamburg". Dormitorio per donne e, dal 1943, per prigionieri olandesi. Era inoltre il punto di partenza dei trasporti. 15 Block H IV, Caserma "Podmolky". Dormitorio per i prigionieri poi archivio dell'RSHA di Berlino. 26 Bahnhoffstrasse. Ramo della ferrovia costruita dai prigionieri nel 1943. 16 Block H V, Caserma "Dresden". Drmitorio per donne, con una prigione nello scantinato. 27 Südstrasse. Camera ardente. 31 Complesso C I, ex ginnasio "Sokol". Ospedale per infettivi e in occasione della campagna di abbellimento 32 Block E I, Caserma "Sudeten". Il dormitorio per uomini del primo trasporto arrivato a Theresienstadt. 33 Block H II. Qui, nel cosiddetto "Bauhof" vennero concntrati i laboratori artigianali. 34 Block J IV, Caserma "Aussig". Posto di registrazione dei prigionieri e deposito dei beni sequestrati agli stessi. 35 Block E VII, Caserma "Kavalir". Ospizio per anziani e ammalati. 36 Punto presunto dove le ceneri di migliaia di vittime furono disperse nel fiume. Era l'ottobre 1944 si iniziava la distruzione delle prove dei crimini nazisti.