Lo sterminio degli ebrei fu progettato alla perfezione, ma esiste una

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Lo sterminio degli ebrei fu progettato alla perfezione, ma esiste una
relazione tra questa perfezione e l'idea di arte e bellezza dei nazisti?
Già intorno alla metà del XVII si avviò un processo che pur riguardando
prevalentemente l'aspetto artistico-morale, caratterizzò i secoli successivi e
soprattutto gli spunti filosofici alla base dei totalitarismi.
L'arte nella società europea cominciò a distaccarsi sempre di più dall'aspetto
etico, si ebbe cioè un progressivo divergere dell'estetica dalla morale.
“Il gusto si esercita nel puro vuoto, il gusto è la sua sola certezza di sé e la
sua sola autocoscienza ma questa certezza è il puro nulla, e la sua
personalità è l'assoluta impersonalità” disse così Diderot descrivendo una
vera e propria rivoluzione estetica.
Si sviluppò quindi un rapporto tra l'arte e il male, che sembrò poi evidenziarsi
e specchiarsi nel nazista-tipo.
Il problema che avevano i tedeschi era sostanzialmente un problema di
identità, essi erano ossessionati dalla ricerca del proprio profilo identitario,
perché per loro era vitale, come lo era stato in parte per Ottaviano Augusto
nell'età imperiale. Per tracciare il loro profilo identitario usarono il mito ariano
che si basava sulla teoria della razza per la quale l'ariano è fondatore di
civiltà.
La soluzione estetica dei nazisti era quella di dare luogo ad un'opera d'arte
totale grazie alla capacità di offrire energia o forza identificatrice attraverso il
mito-nazi. Quest'ultimo perciò viene visto come la costruzione, la formazione,
la produzione del popolo tedesco nell'opera d'arte, mediante l'opera d'arte,
come un'opera d'arte.
I nazisti perciò provavano un grande amore per l'arte e per la musica, era
nella loro natura e nelle loro “radici”.
Nei campi di concentramento gli ebrei venivano portati nelle camere a gas
con un accompagnamento musicale. Primo Levi la definì una musica
infernale e le marce e le canzoni popolari care ad ogni tedesco diventarono la
voce del Lager, l'espressione sensibile della sua follia geometrica e l'ipnosi
del ritmo interminabile, che uccide il pensiero e attutisce il dolore.
Questa musica snaturata, usata come colonna sonora del terrore e della
disperazione, diventò quindi il segno di un'arte vuota il cui significante mutò e
ribaltò il significato, diventò segno di una bellezza del tutto priva di moralità,
vana e perfino resa contigua al Male.
Dopo aver sottolineato come l'arte avesse stretto una relazione con il male,
bisogna evidenziare l'altra faccia della medaglia, ovvero come l'arte sia stata
lo strumento di salvezza per gli ebrei internati nella città-ghetto di Terezin.
Quando ascoltiamo le ricchissime composizioni e osserviamo gli ambiziosi
programmi musicali elaborati all'interno di questo luogo, proviamo un certo
disagio. Noi siamo abituati a vedere un dato aspetto della Shoah e la musica
bellissima composta in cattività e in un posto così poco umanizzato ci sembra
in contraddizione con ciò che sappiamo e che abbiamo detto finora.
Terezin era un campo di concentramento sui generis, creato per accogliere
gli ebrei importanti e categorie speciali, molti artisti, musicisti, compositori
ebrei vennero deportati in questa città-ghetto. Da molti viene visto come
un'eccezione alla regola del mondo marcio, osceno e corrotto che venne
istituito dai nazisti in tutti gli altri campi di concentramento. In realtà bisogna
andare al di là delle apparenze e osservare che per la maggioranza dei
detenuti fu un campo di lavoro forzato come tutti gli altri e per altri, i più, una
tappa nel loro viaggio per Auschwitz. Inoltre non si può negare che ciò che
determinava la sua diversità fosse deciso e predeterminato dai nazisti stessi:
le attività artistiche e culturali erano volute da loro e dovevano avere un certo
aspetto.
Quindi come possiamo spiegarci la grande qualità delle produzioni artistiche
che uscirono da quel luogo?
I detenuti riuscivano a creare, pensare, realizzare in condizioni di miseria,
privazione, malattia, infelicità, eppure ebbero la forza di dare spazio alla loro
creatività e si dedicarono con trasporto all'arte.
L'arte divenne un mezzo per la redenzione, per salvaguardare la libertà
interiore dell'individuo, quella libertà che i nazisti erano riusciti a rubare a
molti ebrei.
Nonostante gli internati di Terezin abbiano eseguito degli ordini nazisti,
riconosciamo che siano riusciti a salvaguardare la loro personalità attraverso
il lavoro artistico.
Secondo il compositore Viktor Ullmann, internato a Terezin e poi ucciso ad
Auschwitz, il ruolo fondamentale dell'arte e la più alta missione dell'uomo
estetico ed etico era quella di addomesticare la materia attraverso la forma.
Proprio secondo quest'idea gli autori e gli artisti rinchiusi nel campo di
concentramento cercarono di ridare valore all'attività artistica, cercarono con
enormi sforzi e con appassionato impegno di restituire all'arte la sua smarrita
dimensione morale confidando nella consolazione spirituale che essa
concedette loro.
Riuscirono a salvare la loro mentalità con l'atto creativo.
Per i musicisti gli strumenti musicali erano prolungamenti fisici, appendici
carnali, mezzi che li aiutavano a conservarsi e a sopravvivere. Secondo le
ideologie razziste l'apparenza esteriore e le fisionomie decidevano i destini di
individui e di popoli: certi tratti rendevano ariani, altre fattezze stabilivano
l'essere ebrei e da qui passava il confine tra la vita e la morte. Per cui l'essere
inchiodati al proprio corpo risultava la loro condanna, ma anche il solo mezzo
di salvezza.
L'obiettivo dei gerarchi nazisti era quello di trasformare in sub-umani quelle
persone che erano considerate come un impedimento per la nascita di una
nuova specie super-umana. Per arrivare a ciò, la lucidissima follia totalitaria
modellò i campi di concentramento strutturandoli con fanatica accuratezza, la
loro burocratizzazione e la violenza sistematica di coloro che li avevano ideati
doveva dimostrare che era stata messa in opera una razionalità formale. I
sotto-uomini erano considerati inesistenti in natura e destinati a soccombere,
gli ebrei internati erano deprivati della loro spontaneità e della loro
personalità, i nazisti attuarono su di loro una metamorfosi ontologico
antropologica che li trasformò in nudi corpi disabitati.
In realtà gli ebrei di Terezin riuscirono a salvarsi se non fisicamente almeno
mentalmente grazie all'unica cosa che Hitler e il nazismo non riuscirono mai
ad asservire completamente: l'arte. Anche se l'obiettivo del totalitarismo era il
dominio totale sull'uomo, gli artisti del ghetto continuarono a credere nel
sogno artistico di “annichilire la materia grazie alla forma” e a lottare per quel
sogno fino alla morte.
La musica quindi rappresenta una difesa per l'artista ma se il mondo dell'arte
è in grado di avvertire anticipatamente la disperazione e l'annichilimento, al
contempo riesce a dare vita a tutte le sfumature emotive dell'animo umano.
Presentiamo qui due interventi. Il primo è dedicato a Mahler e alla sua
sensibilità ebraica che già nell'ultimo scorcio dell'Ottocento aveva presentito il
crollo etico dell'Europa e quindi la deriva morale che avrebbe condotto al
razzismo e ai totalitarismi.
Mahler fu un compositore e pianista di grande importanza nato in
Boemia nel 1860 da una famiglia ebraica.
(Mahler nacque a Kalistê, in Boemia, il 7 luglio 1860 da una famiglia ebraica, e morì a
Vienna nel 1911.Visse, dunque, in un periodo di molto precedente il nazismo e l’orrore
dell’olocausto, ma con la sua sensibilità previde già gli sviluppi futuri cui sarebbe andato
incontro l’impero austroungarico.
Da piccolissimo dimostrò subito il suo talento musicale, iniziò a suonare il pianoforte e
divenne un virtuoso, il tipico enfant prodige, tanto da convincere il severissimo padre a
spedirlo al conservatorio di Vienna, allora centro musicale di grandissimo rilievo. Qui
studiò pianoforte e composizione catapultato da un minuscolo paesino rurale di provincia
ad un enorme fulcro culturale in fermento
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