Visualizzare il funzionamento del cervello umano

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SEZIONE III / LE BASI STRUTTURALI E FUNZIONALI DEI PROCESSI DI APPRENDIMENTO E MEMORIA
Adina L. Roskies
Steven E. Petersen
Alcune tecniche di recente sviluppo
permettono di studiare le basi neuronali
della funzione cognitiva nel cervello umano.
Due di queste, la tomografia
a emissione di positroni e la visualizzazione
a risonanza magnetica funzionale,
forniscono immagini del cervello durante
la realizzazione di compiti specifici,
che riflettono l'attivitaÁ neuronale locale.
Questo saggio prende in considerazione
le potenzialitaÁ spaziali e temporali
e i limiti di queste metodiche. Inoltre,
esamina i problemi tecnici, biologici
e cognitivi che riguardano la comprensione
degli obiettivi e dei metodi degli studi
di neurovisualizzazione. I progressi
nella conoscenza della funzione cognitiva
e della funzione cerebrale, resi possibili
da questi metodi, sono illustrati con esempi
tratti dalla vasta letteratura
sulla neurovisualizzazione.
Department of Neurology and Neurological Surgery
Washington University School of Medicine
Saint Louis, Missouri, USA
Visualizzare
il funzionamento
del cervello umano
.......................... ....................... &
*
Introduzione
Storicamente lo studio della mente e lo studio del cervello
sono stati a lungo separati. La psicologia si avvicinava alla
mente come se fosse una scatola nera, un'entitaÁ il cui
lavorio interno risultava nascosto, ma il cui funzionamento
poteva essere esplorato esaminando le trasformazioni fra
dati in entrata e dati in uscita e misurando i parametri
caratteristici di quelle trasformazioni, come per esempio i
tempi di reazione e la precisione nello svolgimento di un
compito. Lo studio del cervello, viceversa, era il regno
della biologia. Le tecniche classiche utilizzate per studiare
l'anatomia e la fisiologia dei tessuti nervosi hanno svelato
molti aspetti importanti della struttura e del funzionamento
del cervello grazie all'analisi del sistema nervoso di topi,
gatti, scimmie e perfino di lumache di mare. Le implicazioni di queste scoperte neurofisiologiche per il funzionamento del cervello umano dovevano sempre essere dedotte,
in quanto la natura invasiva delle tecniche a disposizione
impediva la loro diretta applicazione allo studio dell'attivitaÁ
cognitiva umana.
CosõÁ, per oltre un secolo, gli studi sul comportamento dei
cerebrolesi e quelli anatomici del cervello umano post mortem sono stati i metodi neuroscientifici predominanti nell'approccio diretto al problema del funzionamento del cervello umano. Questa metodologia eÁ cambiata radicalmente
negli ultimi decenni poiche gli straordinari progressi teorici
e tecnologici hanno favorito lo sviluppo di alcune metodiche non invasive in grado di investigare il funzionamento
del cervello: le tecniche di neurovisualizzazione (neuroimaging). La vera forza di queste tecniche nel delucidare le piuÁ
profonde attivitaÁ del cervello in fase cognitiva si evidenzia
soprattutto quando esse vengono combinate con appropriati
approcci psicologici.
Poiche gli studi sulle rappresentazioni cerebrali appaiono
sempre piuÁ frequentemente in letteratura, ponendo importanti problemi a ricercatori di vari campi, diventa sempre
piuÁ importante avere familiaritaÁ con i metodi di neurovisualizzazione.
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ADINA L. ROSKIES, STEVEN E. PETERSEN
Questo saggio tratta alcune questioni fondamentali per
apprezzare le potenzialitaÁ di tali tecniche nel chiarimento
delle basi neuronali del processo cognitivo e, inoltre, intende fornire materiale di riflessione a chi voglia valutare criticamente gli studi che stanno fiorendo in letteratura. I punti
trattati comprendono una descrizione delle tecniche usate
per la visualizzazione cerebrale, un'analisi a livello sistemico del funzionamento del cervello e uno schema per valutare la funzione cognitiva a un livello appropriato per gli
studi di visualizzazione. Dopo una breve visione d'insieme
delle piuÁ importanti tecniche di neurovisualizzazione attualmente in uso, verranno esaminate due tecniche che permettono di acquisire informazioni locali collegate alla corrispondente attivitaÁ neuronale, cioeÁ la tomografia a emissione
di positroni (PET, Positron Emission Tomography) e la visualizzazione, o imaging, a risonanza magnetica funzionale
(fMRI, functional Magnetic Resonance Imaging), e verranno discussi pregi e limiti tecnici e metodologici. Successivamente verranno delineate importanti questioni in grado di
stimolare la riflessione sulle facoltaÁ cognitive del cervello.
Infine, dopo aver costruito una base per la comprensione
delle tecniche di neurovisualizzazione, illustreremo, con
esempi tratti dalla letteratura, il modo in cui questo tipo
di studi ha contribuito alla nostra conoscenza delle basi
neuronali dell'attivitaÁ cognitiva.
.......................... ....................... &
*
Una rassegna delle varie modalitaÁ
di neurovisualizzazione
La maggior parte delle tradizionali tecniche neurofisiologiche fornisce informazioni sul funzionamento del sistema
nervoso a un livello cellulare o subcellulare. Quasi tutte
queste tecniche producono una sorta di rappresentazione
visiva del funzionamento neuronale, sia che si tratti di
istogrammi delle scariche cellulari, sia di videomicroscopie
al rallentatore di cellule in migrazione, oppure del tracciato
oscilloscopico di un singolo potenziale d'azione. Tutte potrebbero dunque essere considerate tecniche di neurovisualizzazione. Piuttosto che discutere i confini di questo termine, per gli scopi di questo saggio noi definiamo tecniche di
neurovisualizzazione quelle che forniscono informazioni sul
funzionamento del sistema nervoso su larga scala, a livello
sistemico.
Tutte le tecniche di neurovisualizzazione che saranno
qui menzionate misurano, direttamente o indirettamente,
una di queste due grandezze: i potenziali elettrici generati
dal tessuto nervoso o le variazioni del flusso sanguigno cerebrale. Alcune tecniche, tra le quali l'elettroencefalogramma
(EEG), il magnetoencefalogramma (MEG) e certi tipi di
visualizzazione ottica, sono sensibili in modo diretto o indiretto alle variazioni dei potenziali elettrici nel tessuto cerebrale provocate dalla depolarizzazione e ripolarizzazione
dei neuroni che costituiscono l'attivitaÁ del cervello. Le altre
tecniche, compresa la tomografia computerizzata a emissione di singolo fotone (SPECT, Single Photon Emission Computed Tomography), nonche certi tipi di visualizzazioni ottiche come la spettroscopia nel vicino infrarosso (NIRS,
Near InfraRed Spectroscopy) o la PET e la fMRI, misurano,
direttamente o indirettamente, le variazioni del flusso sanguigno che accompagnano e riflettono l'attivitaÁ neuronale.
Ciascuna di queste tecniche costituisce un importante tassello per la sua capacitaÁ di fornire informazioni riguardo
alle caratteristiche spaziali e temporali dell'attivitaÁ neuronale nel cervello integro. La figura (fig.1) illustra le scale
spaziali e temporali alle quali sono sensibili varie tecniche
di neurovisualizzazione, nel quadro dei metodi neurofisiologici standard utilizzati per studiare il funzionamento cerebrale. Una discussione dettagliata di ciascuna di queste tecniche esula dallo scopo di questo saggio, ma una breve
rassegna saraÁ sufficiente a delineare il panorama della visualizzazione delle funzioni cerebrali.
Elettroencefalogramma
e magnetoencefalogramma
L'elettroencefalogramma utilizza un apparato di elettrodi
localizzati sul cranio per rilevare le variazioni dei campi
elettrici generate dall'attivitaÁ neuronale. Analogamente, il
magnetoencefalogramma rileva le perturbazioni nel campo
magnetico alla superficie del capo provocate dagli effetti
induttivi delle variazioni dei campi elettrici che si verificano
nel cervello. Entrambe queste tecniche possono essere usate
insieme a manipolazioni cognitive allo scopo di studiare gli
aspetti del processo cognitivo. I metodi basati sull'elettroencefalogramma, quando usati in tal modo, sono spesso citati
come EP (Evoked Potentials, potenziali evocati) o come
ERP (Event-Related Potentials, potenziali correlati a eventi). I segnali elettrici o magnetici rilevati da questi metodi
forniscono un'immagine in tempo reale dell'attivitaÁ cerebrale, in termini di tracciati dinamici dei segnali in vari
punti del cranio. Tuttavia la localizzazione della fonte eÁ
problematica con questo tipo di dati: determinare la collocazione del tessuto neuronale attivo eÁ un problema serio che
puoÁ dar luogo a un numero pressoche infinito di soluzioni
(questo problema eÁ detto problema inverso). Allo scopo di
localizzare le fonti bisogna aggiungere ulteriori limitazioni,
e relative supposizioni. CosõÁ, mentre la risoluzione temporale di queste tecniche eÁ di gran lunga superiore a quella
degli altri metodi di visualizzazione del funzionamento del
cervello, in molti casi si tratta di tecniche inefficaci per la
localizzazione spaziale di segnali multipli. Nuovi e promettenti approcci utilizzano dati provenienti da altre modalitaÁ
di visualizzazione funzionale per ridurre il problema inverso, specificando il numero di fonti in esame e la loro approssimativa collocazione (George et al., 1995). Tuttavia, a
tutt'oggi, metodi basati su principi in grado di integrare
queste modalitaÁ sono ancora in fase di sviluppo. Attualmente tutti gli sforzi per combinarli si basano su informazioni o
supposizioni addizionali che riguardano il funzionamento
del sistema nervoso.
Tecniche di visualizzazione ottica
Esistono numerose tecniche di visualizzazione ottica che
utilizzano agenti di contrasto esogeni, come coloranti la cui
fluorescenza dipende dalla differenza di potenziale, dalla
concentrazione di calcio o da altre variabili regolate fisiologicamente. Allo stesso modo esistono tecniche che si basano su fattori endogeni, come la diffusione della luce in
risposta al volume cellulare. Gran parte di questi metodi eÁ
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log dimensione (mm)
sinapsi dendrite neurone strato colonna mappa cervello
VISUALIZZARE IL FUNZIONAMENTO DEL CERVELLO UMANO
3
MEG, ERP
2
colorazioni ottiche
PET
fMRI
analisi delle lesioni
2DG
1
0
NIRS
MRI
−1
singola unità
−2
patch clamp
microscopio
ottico
−3
microscopia elettronica
−4
−3
−2
−1
0
2
1
secondi
millisecondi
4
3
ore
minuti
log tempo (s)
a
5
6
7
giorni
3
0
−2
−3
−4
memoria di lavoro
riflessi
rilascio
neurotrasmettitore
−1
individuazione
del percorso assonale
riconoscimento visivo
2
1
risposta
emodinamica
log dimensione (mm)
sinapsi dendrite neurone strato colonna mappa cervello
linguaggio memoria a lungo termine apprendimento di capacità
fig.1. a. Scale spaziali e temporali
accessibili con le neurotecniche.
Una particolare tecnica
eÁ adatta per conoscere i fenomeni
che avvengono nelle scale
temporali e spaziali delineate
dalle linee colorate.
PET: tomografia a emissione
di positroni;
fMRI: visualizzazione a risonanza
magnetica funzionale;
NIRS: spettroscopia nel vicino
infrarosso;
MEG: magnetoencefalogramma;
2DG: metodo basato sul consumo
di glucosio (2-desossiglucosio);
MRI: visualizzazione
a risonanza magnetica;
Adattato da:
Churchland P.M., Sejnowski T.
(1988) Science, 242, 741-745.
b. Scale spaziali e temporali
associate a vari fenomeni
cognitivi neurobiologici.
I rettangoli rappresentano
approssimativamente le scale
in cui questi processi
possono essere investigati.
LTP: potenziamento
a lungo termine.
LTP
potenziale d’azione
espressione genica
−3
−2
−1
millisecondi
b
0
secondi
1
2
4
3
ore
minuti
log tempo (s)
invasiva o comunque inadatta agli studi sull'uomo, salvo in
casi limitati, come in neurochirurgia. Tuttavia la NIRS, che
misura attraverso il cranio lo spettro di assorbimento della
luce da parte dell'emoglobina ossigenata, dell'emoglobina
deossigenata e della citocromo c ossidasi, si dimostra una
promettente tecnica di visualizzazione funzionale non invasiva. I principali limiti della tecnica, fino a questo momento,
sono costituiti dal fatto che la luce non riesce a penetrare a
fondo nei tessuti e dal fatto che il metodo misura risposte
emodinamiche relative al flusso sanguigno in siti discreti
piuttosto che in tutto il cervello.
5
6
7
giorni
La tomografia computerizzata a emissione
di singolo fotone
La SPECT misura la distribuzione di un tracciante radioattivo. Le fotocamere SPECT ruotano intorno alla testa rivelando i singoli fotoni emessi dal tracciante in decadimento. Le immagini della distribuzione del tracciante, che riflettono la perfusione del sangue, vengono ricostruite con
algoritmi derivati dalla tomografia computerizzata (CT,
Computed Tomography). Per molti versi simile alla PET,
questa tecnica eÁ intrinsecamente di minore sensibilitaÁ. Per
quanto le capacitaÁ spaziali e temporali della SPECT non
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ADINA L. ROSKIES, STEVEN E. PETERSEN
fig.2. Somministrazione di acqua
marcata radioattiva
a un soggetto che giace
in uno scanner PET.
Tratto da: Posner M.I.,
Raichle M.E. (1994)
Images of Mind, New York,
Scientific American Library.
fig.3. a. Decadimento radioattivo
e rilevamento per coincidenza.
Il nucleo 15O in decadimento
emette un positrone
che collide con un elettrone,
la sua antiparticella.
L'annichilazione produce
una coppia di fotoni che si
circuito di coincidenza
rivelatore di fotoni
fotone
positrone
elettrone
nucleo atomico
fotone
rivelatore di fotoni
a
rivelatori di fotoni
fotoni
circuito di coincidenza
muovono in direzioni opposte,
rivelati da un circuito
di coincidenza.
b. Lo scanner PET alloggia
una schiera di rivelatori disposti
circolarmente e collegati
da circuiti di coincidenza.
Coppie di rivelatori opposti
misurano le collisioni simultanee
dei fotoni, la cui origine
eÁ individuata lungo la retta
che collega i due rivelatori.
Tratto da: Posner M.I.,
Raichle M.E. (1994)
Images of Mind, New York,
Scientific American Library,
pp. 62-63.
siano all'altezza di quelle della PET, questa tecnica, grazie
al suo basso costo e alla facile disponibilitaÁ, si eÁ dimostrata
piuttosto valida in sede clinica per studiare il funzionamento
neuronale e il legame dei recettori.
La tomografia a emissione di positroni
La PET localizza gli eventi di decadimento dei traccianti
radioattivi somministrati al soggetto per endovena o tramite
inalazione (fig.2). Nel momento in cui i traccianti decadono,
emettono positroni che si annichilano quando collidono con
gli elettroni, le loro antiparticelle. Il processo di annichilazione genera fotoni che si muovono in direzioni opposte
(fig.3). I rivelatori PET, sistemati in anelli attorno allo scanner, rivelano questi fotoni. Soltanto le coppie di fotoni registrate da rivelatori opposti in un lasso di tempo molto breve
sono considerate provenienti dallo stesso atto di disintegrazione e calcolate percioÁ come segnali validi. Poiche le coppie di fotoni viaggiano lungo la medesima retta, si considera
che la fonte dei fotoni si trovi lungo la retta che passa per i
due opposti rivelatori. Questo principio, detto rilevamento
per coincidenza (v. figura 3b), fornisce un mezzo molto piuÁ
efficace per localizzare la fonte dei segnali radioattivi rispetto al rilevamento a fotone singolo che avviene nel caso
della SPECT.
Gli eventi di decadimento rivelati e registrati durante una
scansione con agenti di contrasto sono molto spesso ricostruiti in un'immagine della distribuzione spaziale dei segnali tramite un algoritmo matematico basato su una retroproiezione filtrata, un algoritmo tomografico sviluppato per
la prima volta per la CT.
La versatilitaÁ della PET come modalitaÁ di neurovisualizzazione eÁ dovuta al fatto che si possono usare traccianti
specifici per `etichettare' molte variabili fisiologiche differenti. Tra i marcatori (marker) fisiologici collegati al
funzionamento del cervello che la PET puoÁ misurare vi
sono il metabolismo del glucosio, quello dell'ossigeno, il
volume sanguigno, la distribuzione di diversi recettori neurochimici e il flusso sanguigno cerebrale. Le misurazioni
di questi marcatori sono importanti per comprendere le
basi fisiologiche di vari metodi di neurovisualizzazione,
come pure per scopi clinici. Gli studi riguardanti prove
di legame dei recettori si sono rivelati di valore incalcolabile in quanto hanno permesso di svelare alcuni `segreti'
farmacologici del cervello, compresa la distribuzione e
b
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VISUALIZZARE IL FUNZIONAMENTO DEL CERVELLO UMANO
La visualizzazione a risonanza magnetica
funzionale
Lo sviluppo della visualizzazione a risonanza magnetica
(MRI, Magnetic Resonance Imaging) ha reso possibile visualizzare, in modo tridimensionale e non invasivo, la struttura
interna di oggetti composti da materiali chimicamente diversi, con una risoluzione molto piuÁ alta rispetto a quella possibile con le tecniche a raggi X come la CT. Fino a poco tempo
fa la risonanza magnetica era usata soprattutto in sede clinica
allo scopo di visualizzare la struttura di patologie cerebrali
come i tumori o gli edemi. Solo negli ultimi anni eÁ divenuto
evidente che il suo segnale eÁ in grado di riflettere le variazioni
emodinamiche provocate dall'attivitaÁ neuronale.
I principi basilari della risonanza magnetica Il segnale
della risonanza magnetica (MR, Magnetic Resonance; originariamente risonanza magnetica nucleare o NMR, Nuclear Magnetic Resonance) deriva dalle caratteristiche intrinseche dei nuclei dotati di momenti di dipolo magnetico.
Tali nuclei, se posti in un campo magnetico esterno, si
allineano con esso (fig.4). I nuclei si possono `spostare'
dall'equilibrio applicando un'altra forza, perpendicolare al
campo esterno, un po' come quando si spinge un pendolo in
quiete (vale a dire in equilibrio con la forza di gravitaÁ)
provocandone l'oscillazione. I dipoli eccitati entrano in precessione intorno alla direzione del campo principale con
una frequenza caratteristica del tipo di nucleo e proporzionale alla forza del campo, ritornando poi lentamente al loro
stato di equilibrio, proprio come l'ampiezza del movimento
di un pendolo si riduce progressivamente a zero. Questa
precessione o oscillazione dei dipoli magnetici in un campo
magnetico costituisce il segnale base dell'MR, il quale induce una corrente elettrica che viene amplificata e misurata.
Le costanti di tempo delle componenti parallela e perpendicolare relative al processo col quale il dipolo ritorna all'equilibrio (tempi di rilassamento) determinano l'intensitaÁ
relativa del segnale MR in ogni dato momento. Il loro valore dipende dalla composizione del tessuto sottoposto ad
analisi: la materia bianca, che presenta un'alta concentrazione di lipidi, presenta costanti di tempo diverse rispetto
alla materia grigia. Con una scelta appropriata dei tempi di
misurazione delle componenti parallela e perpendicolare e
dei tempi di ripetizione del processo di misurazione, eÁ possibile determinare la composizione della fonte del segnale
in un dato punto dello spazio.
Quando i dipoli magnetici di specie simili in un campo
omogeneo vengono eccitati con un impulso a radiofrequenza, inizialmente oscillano in fase l'uno con l'altro. Queste
oscillazioni presto cominciano a uscire di fase a causa delle
disomogeneitaÁ del campo magnetico, fino ad arrivare a un
decadimento del segnale. Lo sfasamento puoÁ essere rever-
a
magnetizzazione (unità arbitrarie)
l'affinitaÁ dei recettori e dei siti leganti il farmaco, e la
perdita funzionale in una certa classe di recettori associata
a sindromi cliniche specifiche. La tecnica piuÁ fruttuosa per
l'esplorazione del funzionamento del cervello degli esseri
umani in relazione all'aspetto cognitivo eÁ quella che fa uso
dei paradigmi di attivazione, grazie ai quali l'attivitaÁ neuronale locale viene dedotta attraverso la misurazione del
flusso sanguigno cerebrale a livello locale. Questa tecnica
verraÁ discussa successivamente.
materia bianca
materia grigia
contrasto T1
A
B
tempo (unità arbitrarie)
b
fig.4. a. Fenomeni osservati
quando un dipolo magnetico
viene posto in un campo
magnetico esterno.
A sinistra, il dipolo magnetico
si allinea nella direzione
del campo esterno.
Al centro, il dipolo `spostato'
dall'equilibrio ruota intorno
alla direzione del campo esterno
principale (precessione);
esso presenta una componente
di magnetizzazione parallela
e una perpendicolare.
A destra, il dipolo in precessione
ritorna nello stato di equilibrio.
b. Grafico che illustra i diversi
tempi di rilassamento T1
per la materia bianca
e per la materia grigia.
Il contrasto T1 dipende
dalla differenza tra le curve
al momento della misurazione.
Misurando il segnale di risonanza
magnetica dal cervello
nel momento A si ottiene
un contrasto T1 minore
di quello misurato nel momento B.
sibile o irreversibile. Quello reversibile si puoÁ compensare
invertendo le rotazioni mediante un impulso di riaggiustamento a 180ë per creare un'eco e in questo modo ripristinare
l'intensitaÁ del segnale. Quello irreversibile eÁ dovuto a variazioni microscopiche e casuali del campo magnetico. La
costante di tempo con cui il segnale decade a causa di
queste microscopiche disomogeneitaÁ costituisce un altro parametro caratteristico della composizione del tessuto. Questi
parametri, in aggiunta alle componenti parallela e perpendicolare del dipolo durante la fase di rilassamento, sono
importanti per la specificazione dell'intensitaÁ e della localizzazione di un segnale MR.
La visualizzazione MR Per formare un'immagine MR, eÁ
necessario che i segnali vengano identificati attraverso specifiche coordinate spaziali. Per fare cioÁ, le precedenti tecniche devono essere integrate con ulteriori accorgimenti che
coinvolgono l'applicazione di gradienti di campo magnetico
il cui effetto eÁ di etichettare il segnale proveniente da ciascuna sede con lo stesso contrassegno. Il segnale complesso
a variazione temporale che ne risulta viene ricostruito in
immagine (segnale a frequenza spaziale) attraverso l'applicazione di una trasformata di Fourier che fa da traduttore fra
i segnali nel dominio temporale e nel dominio spaziale.
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ADINA L. ROSKIES, STEVEN E. PETERSEN
La sequenza dettagliata di impulsi trasmessi ai nuclei, che
influenza in modo cruciale il segnale MR ed eÁ essenziale
per qualsiasi resoconto completo dell'MR, eÁ troppo complessa per essere trattata qui (DeYoe et al., 1994). Il gran
numero di parametri coinvolti in qualsiasi esperimento di
visualizzazione MR e l'ampio spettro di valori che si possono scegliere per ciascuno rendono la tecnica molto versatile e stimolante.
&
.......................... ....................... *
Le basi fisiologiche di PET e fMRI:
flusso sanguigno e attivitaÁ neuronale
La capacitaÁ di PET e fMRI di fornire dati sull'attivitaÁ
cerebrale locale eÁ dovuta a una fondamentale caratteristica
fisiologica del cervello: l'emodinamica cerebrale locale
riflette l'attivitaÁ neuronale. Proprio come il flusso sanguigno nei muscoli aumenta quando essi vengono usati, il
flusso sanguigno aumenta in regioni localizzate del cervello che sono coinvolte nell'attivitaÁ di elaborazione. La relazione tra attivitaÁ neuronale e flusso sanguigno venne per la
prima volta ipotizzata nel 1890 da Ch. Roy e Ch. S. Sherrington. Da allora sono state raccolte considerevoli prove a
sostegno di quell'ipotesi, dagli studi sulla perfusione dei
cervelli animali sotto stimolazione alle osservazioni intraoperatorie sugli umani (Raichle, 1987). PiuÁ recentemente,
esperimenti con PET e fMRI hanno confermato e raffinato
ulteriormente le nostre conoscenze sulla relazione tra attivitaÁ cerebrale e flusso sanguigno.
Il flusso sanguigno e il fabbisogno energetico
dei neuroni attivi
I neuroni richiedono energia per una varietaÁ di funzioni,
comprese la biosintesi, il riassorbimento dei neurotrasmettitori e il mantenimento dei gradienti ionici. Gran parte
dell'energia eÁ utilizzata per sostenere la pompa Na+/K+,
piccoli motori molecolari di trasporto che ristabiliscono i
gradienti ionici a riposo tra i neuroni e lo spazio extracellulare in seguito alla depolarizzazione. Il fabbisogno di
energia della pompa Na+/K+, cosõÁ come di altre funzioni
cellulari, aumenta con l'aumentare dell'attivitaÁ neuronale.
La fonte energetica di questi processi cellulari eÁ l'ATP,
molecola sintetizzata nei mitocondri della cellula da glucosio e ossigeno. In assenza di una sintesi continua, le scorte
di ATP cellulare si esauriscono rapidamente. Poiche le cellule non immagazzinano un surplus di substrati necessari
alla sintesi di ATP, il corpo necessita di un mezzo che
rifornisca le cellule dei substrati necessari per soddisfare
il fabbisogno di energia.
Il sangue trasporta efficientemente i nutrienti in tutte le
parti del corpo, e l'alto rapporto superficie/volume dei capillari consente un efficace trasferimento di materiali alle
cellule e dalle cellule. Glucosio e ossigeno, i substrati metabolici per la sintesi di ATP, vengono trasferiti alle cellule
attraverso le pareti dei capillari; mentre l'ossigeno diffonde
nei tessuti attraverso le pareti dei vasi sanguigni, il glucosio
e gli altri elementi nutritivi raggiungono i tessuti attraverso
meccanismi di trasporto attivo. Oltre a distribuire questi
importanti substrati, il sangue trasporta anche i prodotti
metabolici di rifiuto, come il biossido di carbonio. L'anatomia del cervello e il sistema vascolare sono ben strutturati
per questo tipo di distribuzione: il neuropilo, dove si trovano gran parte delle sinapsi, presenta la piuÁ alta densitaÁ capillare, ed eÁ in questa regione che si verifica il piuÁ grande
incremento del flusso sanguigno durante l'attivitaÁ neuronale.
I meccanismi esatti attraverso cui viene mediato l'aumento del flusso sanguigno con l'attivitaÁ neuronale sono sconosciuti. L'aumento del flusso nei capillari potrebbe risultare
sia dal reclutamento o dalla dilatazione dei capillari, sia da
un aumento della velocitaÁ del sangue nei vasi. EÁ stata avanzata l'ipotesi che diversi fattori prodotti durante l'attivitaÁ
neuronale, come ossido di azoto (NO), adenosina e CO2,
regolino il flusso, ma la natura precisa della cascata di
segnali non eÁ ancora chiara.
Correlazione tra flusso sanguigno e metabolismo:
evidenze sperimentali e questioni aperte
Le misurazioni del flusso sanguigno locale a riposo mostrano una forte correlazione tra questo e il metabolismo. La
relazione tra flusso sanguigno e metabolismo eÁ peroÁ piuÁ
complicata durante l'attivazione transitoria. P.T. Fox e
M.E. Raichle (1984) hanno per primi evidenziato risposte
che modificano il flusso sanguigno nella corteccia visiva in
presenza di uno stimolo visivo lampeggiante. Quando la
frequenza del lampeggiamento veniva progressivamente
portata da 2 a 32 Hz, il flusso sanguigno aumentava linearmente da 2 a circa 8 Hz, dopo di che si stabilizzava e
declinava leggermente intorno a 32 Hz. La curva della risposta del flusso sanguigno eÁ simile alla curva che descrive
le risposte elettriche nella corteccia visiva di fronte alle
variazioni della frequenza di lampeggiamento. A partire
da questo primo studio PET sull'attivazione, innumerevoli
altri esperimenti hanno evidenziato variazioni del flusso
sanguigno in risposta a un'attivazione corticale. EÁ dunque
ormai accertato che l'attivazione neuronale locale eÁ accompagnata da variazioni locali nel flusso sanguigno cerebrale.
In origine si pensava che tali variazioni provocassero un
aumento della distribuzione dei substrati metabolici in grado di soddisfare i livelli crescenti del tasso metabolico cerebrale di consumo di glucosio e del tasso metabolico cerebrale di consumo di ossigeno; si pensava cioeÁ che flusso e
metabolismo fossero associati a tutti i livelli metabolici. Gli
studi PET con fluorodesossiglucosio, composto che consente di quantificare il metabolismo del glucosio, rivelano un
aumento del consumo locale di glucosio in presenza di attivitaÁ neuronale, come nelle aspettative. Gli aumenti del consumo di ossigeno, invece, non corrispondono agli aumenti
del metabolismo del glucosio e nel flusso sanguigno. Anche
grandi aumenti del flusso sanguigno a livello locale, dell'ordine del 29%, sono accompagnati da modesti aumenti
del metabolismo dell'ossigeno, pari a circa il 5% (Fox e
Raichle, 1986). La mancata corrispondenza tra gli aumenti
del flusso sanguigno e quelli del metabolismo dell'ossigeno
indica una diminuzione significativa della frazione di ossigeno estratta a livello locale, vale a dire della quantitaÁ relativa di ossigeno estratta dal sangue.
Numerosi studi successivi hanno confermato che non vi eÁ
corrispondenza tra il metabolismo ossidativo e il flusso
sanguigno durante alti livelli di attivitaÁ neuronale. Il signi-
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VOLUME TERZO / SISTEMI INTELLIGENTI
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VISUALIZZARE IL FUNZIONAMENTO DEL CERVELLO UMANO
ficato biologico della disparitaÁ tra flusso sanguigno e tassi
di consumo di ossigeno resta da definire. Alcuni modelli
postulano aumentati livelli di attivitaÁ anaerobica nel corso
dell'attivitaÁ neuronale. Altri suggeriscono che il metabolismo eÁ fondamentalmente aerobico, e che il flusso potrebbe
aumentare in modo sproporzionato rispetto al consumo di
ossigeno durante la stimolazione neuronale allo scopo di
fronteggiare moderati aumenti nel fabbisogno di O2.
Come verraÁ spiegato in modo piuÁ esauriente, questa disparitaÁ tra flusso sanguigno cerebrale e metabolismo dell'ossigeno eÁ la base su cui poggia l'MR funzionale. Un
aumento del flusso sanguigno a valori di gran lunga superiori a quello necessario per fornire l'ossigeno richiesto per
il metabolismo ha come effetto un aumento locale nella
concentrazione di emoglobina ossigenata e una relativa diminuzione nella concentrazione della desossiemoglobina.
Una variazione nei rapporti tra ossi- e desossiemoglobina
determina un cambiamento del segnale MR.
Malgrado le prove incontrovertibili della covariazione di
flusso sanguigno e attivitaÁ neuronale, deve essere ancora
compreso molto sulla natura di questa relazione, sui suoi
aspetti quantitativi e sui meccanismi fisiologici che stabiliscono il legame. Tante sono le questioni ancora aperte:
l'attivitaÁ neuronale determina un aumento del flusso sanguigno in tutte le regioni del cervello o alcune sono emodinamicamente `silenti' durante l'attivazione? Qual eÁ l'effetto
emodinamico dell'inibizione neuronale? I tempi emodinamici sono simili in tutto il cervello? In quale misura l'area
in cui il flusso sanguigno aumenta coincide, dal punto di
vista spaziale, con quella dei neuroni attivi? Le risposte a
queste e ad altre domande a esse collegate influenzeranno la
nostra interpretazione degli studi di neurovisualizzazione
con PET e fMRI.
.......................... ....................... &
*
Studi sull'attivazione
Finora abbiamo delineato le basi delle tecniche di neurovisualizzazione funzionale, cosõÁ come i tipi di segnale che esse
rilevano e i rapporti tra questi segnali e l'attivitaÁ neuronale.
Uno degli scopi primari della neurovisualizzazione eÁ attribuire ruoli funzionali a specifiche regioni del cervello nelle
quali sono stati individuati i cambiamenti. Attraverso le
correlazioni tra attivitaÁ neuronale e processi cognitivi siamo
in grado di migliorare la nostra capacitaÁ di determinare le
componenti costitutive dei processi cognitivi e, insieme, di
aumentare la nostra conoscenza dell'organizzazione cerebrale. Gli studi sull'attivazione, paradigmi per l'applicazione di queste tecniche alla risoluzione di tali problemi, sfruttano il fatto che la risposta emodinamica rilevata con PET e
fMRI riflette livelli sottostanti di attivitaÁ neuronale. In alcuni
casi gli studi sull'attivazione delineano l'anatomia funzionale di un compito cognitivo. In altri casi cercano di determinare piuÁ in dettaglio il tipo di computo che una regione
svolge. Nei paradigmi di attivazione le risposte emodinamiche vengono misurate tra due o piuÁ compiti assegnati, nel
corso di una serie di scansioni condotte in una singola seduta
di sperimentazione. Si ritiene che le differenze a livello
regionale tra segnali misurati durante vari compiti riflettano
differenze nel grado di attivitaÁ neuronale locale associata
allo svolgimento di quei compiti.
Gli studi PET sull'attivazione
Gli studi PET sull'attivazione usano molto spesso traccianti che incorporano l'isotopo dell'ossigeno 15O, dotato di
un'emivita di 122 s, per misurare le variazioni del flusso
sanguigno che si verificano durante lo svolgimento di determinati compiti. La breve emivita permette la registrazione di un numero sufficiente di eventi di decadimento in un
periodo limitato, normalmente tra 40 e 60 s. Le caratteristiche di 15O rendono tale isotopo molto adatto agli studi
sull'attivazione. Il tracciante attualmente piuÁ usato eÁ acqua
marcata con 15O.
Uno studio PET sull'attivazione normalmente comprende
1012 scansioni per soggetto. Questo limite eÁ dovuto alla
quantitaÁ totale di radiazioni che eÁ possibile somministrare a
un soggetto e a considerazioni di natura pratica, legate alla
durata della seduta. Allo scopo di ottenere dati chiari, le
scansioni sono in genere separate da intervalli di 1012
m (56 emivite) in modo da permettere alla radiazione di
fondo (noise) di decadere tra una scansione e l'altra. PoicheÂ
il movimento nel corso della seduta esplorativa compromette la qualitaÁ dei dati, e poiche per il soggetto eÁ difficile
restare immobile per lunghi periodi, una tipica seduta raramente dura piuÁ di qualche ora. Di conseguenza, puoÁ essere
realizzato soltanto un numero limitato di scansioni su ciascun soggetto.
Nei circa dieci anni trascorsi dall'inizio degli studi PET
sull'attivazione, si eÁ sviluppata una vasta letteratura riguardante un'ampia varietaÁ di aspetti della cognizione, troppo
vasta e varia per poterla trattare in un solo saggio. Considerevoli progressi sono stati compiuti nei campi della vista,
dell'attenzione, del linguaggio, dell'apprendimento motorio
e della memoria, per nominarne solo alcuni. Fino al recente
sviluppo della fMRI, la PET non aveva rivali per la capacitaÁ
di fornire informazioni circa l'organizzazione funzionale
del cervello umano su larga scala.
Gli studi fMRI sull'attivazione
A partire dalle prime dimostrazioni delle potenzialitaÁ dell'MR come tecnica per misurare l'attivitaÁ cerebrale, sono
stati sviluppati diversi tipi di sequenze di impulsi sensibili ai
parametri correlati al funzionamento del cervello, come la
perfusione, il volume sanguigno e l'ossigenazione del sangue. La tecnica BOLD (Blood Oxygenation Level Dependent, dipendente dal livello di ossigenazione del sangue),
piuÁ frequentemente usata, sfrutta le differenti proprietaÁ magnetiche dell'emoglobina ossigenata e deossigenata e il fatto che le proporzioni relative di queste ultime nel sangue
cambiano in seguito all'aumento dell'attivitaÁ neuronale
(fig.5). Il sangue deossigenato, paramagnetico, genera campi magnetici locali che interrompono l'omogeneitaÁ del campo applicato esternamente. Queste disomogeneitaÁ provocano uno sfasamento irreversibile degli spin nucleari nel tessuto circostante e una conseguente perdita di segnale da
quel tessuto. Quindi, l'aumento della concentrazione di desossiemoglobina determina una perdita del segnale locale
fMRI. L'entitaÁ dell'aumento di desossiemoglobina dovuto
all'attivitaÁ neuronale dipende dall'aumento di livello del
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PARTE PRIMA / IL CERVELLO DI HOMO SAPIENS
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ADINA L. ROSKIES, STEVEN E. PETERSEN
media per i metodi di neurovisualizzazione abbia catturato
l'immaginazione dell'opinione pubblica, le idee correnti su
quanto questi esperimenti sono in grado di cogliere, sulle
loro potenzialitaÁ e sui loro limiti sono spesso approssimative. Per comprendere le potenzialitaÁ di queste tecniche nello
svelare la base neuronale dei processi cognitivi eÁ fondamentale capire con quale precisione esse discernano le variazioni del segnale corrispondenti ai cambiamenti negli schemi
spaziali o temporali dell'attivitaÁ neuronale e con quale accuratezza localizzino questi cambiamenti nel cervello.
a
Segnale e rumore
Il rapporto tra segnale e rumore (SNR, Signal to Noise
Ratio) rappresenta il principale limite delle metodologie di
neurovisualizzazione. Il vero segnale che riflette le variabili
fisiologiche di interesse eÁ parzialmente coperto dal rumore
proveniente da varie fonti, tra le quali lo strumento di misurazione, il rumore di fondo e altri processi fisiologici. Le
tecniche di neurovisualizzazione possono rivelare qualcosa
di importante sul funzionamento del cervello solo quando il
segnale eÁ statisticamente separabile dal rumore di fondo;
gran parte della sfida e dei limiti che riguardano la neurovisualizzazione dipende dalla necessitaÁ di ottenere un SNR
accettabile.
b
fig.5. a. In una condizione di base
l'ossigeno (in rosso) diffonde
nelle cellule attraverso le pareti
dei vasi (frecce nere). Le quantitaÁ
relative di emoglobina ossigenata
(ovali grigi contenenti gli ovali
rossi) e di emoglobina
deossigenata determinano
in parte l'intensitaÁ del segnale
nello stato inattivo. b. Durante
l'attivazione neuronale il flusso
sanguigno (frecce orizzontali)
aumenta. La quantitaÁ di ossigeno
che abbandona il capillare aumenta
solo leggermente durante
l'attivazione; tuttavia gli aumenti
di flusso causano un grande
aumento della quantitaÁ
di emoglobina ossigenata rispetto
a quella deossigenata. L'aumento
della frazione di emoglobina
ossigenata porta a un aumento
netto del segnale rispetto
alla condizione di base.
flusso ematico cerebrale regionale e dalla variazione della
frazione di ossigeno legato. Poiche con l'attivazione il consumo di O2 aumenta meno del flusso sanguigno, l'aumento
di ossiemoglobina dovuto all'incremento del flusso sanguigno supera di gran lunga la diminuzione causata dalla conversione dell'emoglobina nella forma deossigenata, dovuta
al consumo di O2. Questo porta a un aumento netto nella
concentrazione relativa di ossiemoglobina e, di conseguenza, a un aumento del segnale BOLD. CosõÁ, forse sorprendentemente, cioÁ che permette di misurare l'attivitaÁ cerebrale
con l'MR eÁ un eccesso di emoglobina ossigenata nel corso
dell'attivitaÁ neuronale (v. figura 5).
.......................... ....................... &
*
Il rendimento delle tecniche
di neurovisualizzazione
Lo sviluppo di PET e fMRI ha dato inizio a una nuova era
negli studi sul funzionamento del cervello. Queste efficientissime tecniche hanno suscitato di recente molta attenzione
da parte sia di sostenitori entusiasti sia di critici nettamente
sfavorevoli a tali applicazioni. Malgrado l'interesse dei
Caratteristiche spaziali
Tra i problemi importanti che possono essere affrontati
con le tecniche di neurovisualizzazione vi eÁ quello di capire
se cambiamenti accertati nell'attivitaÁ neuronale siano associati a compiti specifici e dove avvengono questi cambiamenti. Le potenzialitaÁ e i limiti di queste tecniche stanno
nella possibilitaÁ di effettuare determinate misure. Ci si potrebbe chiedere, per esempio, quanto vicine possono essere
due regioni attive per continuare a distinguerle l'una dall'altra, oppure con quale precisione le attivazioni possono
essere individuate nel cervello. Ci si potrebbe chiedere,
inoltre, fino a che punto l'intensitaÁ e l'estensione del segnale siano in rapporto con l'intensitaÁ e l'estensione della sottostante attivitaÁ neuronale. Questi problemi saranno trattati
qui di seguito. In definitiva, il problema principale per gli
studi sull'attivazione eÁ capire in che misura la tecnica di
neurovisualizzazione rifletta il segnale biologico sottostante. Quando la PET e la fMRI vengono considerate nel contesto della natura dei segnali biologici che esse riflettono,
ciascuna ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi; le loro potenzialitaÁ spaziali effettive sono paragonabili tra loro piuÁ di
quanto la loro specificitaÁ tecnica possa far pensare.
Risoluzione
Molti ritengono che la risoluzione specifichi le potenzialitaÁ spaziali di una tecnica. Il termine risoluzione ha, tuttavia, un preciso significato tecnico: si riferisce a quanto distanti (nello spazio per la risoluzione spaziale, nel tempo per
quella temporale) debbano essere due segnali per poter essere distinti come entitaÁ separate da una singola misurazione. La risoluzione di una tecnica eÁ influenzata da diversi
fattori, che comprendono la strumentazione, la natura del
segnale misurato e il rumore tipico di quella tecnologia. La
risoluzione si puoÁ determinare con test empirici o con l'applicazione di teorie a vari livelli di complessitaÁ.
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VOLUME TERZO / SISTEMI INTELLIGENTI
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PETERS3 - 11:43 - 4/5/01 PAG. 83 TERZO IMP
279
VISUALIZZARE IL FUNZIONAMENTO DEL CERVELLO UMANO
Caratteristiche spaziali della PET
La definizione operativa della risoluzione spaziale della
PET corrisponde alla larghezza totale a metaÁ del valore
massimo di intensitaÁ, o larghezza a metaÁ altezza (FWHM,
Full Width Half Maximum) di un'immagine derivata da un
punto fonte di radiazione (fig.6). La struttura dello strumento di misurazione e la fonte del segnale pongono limiti alla
risoluzione delle tecniche di neurovisualizzazione: nella
PET la risoluzione spaziale intrinseca dipende dall'ampiezza e dalla spaziatura degli elementi rivelatori, dall'energia
dell'emissione e dal grado di diffusione dei fotoni, parametri che contribuiscono a offuscare l'immagine acquisita. La
risoluzione intrinseca per gli apparecchi PET attualmente
disponibili in commercio, come quelli che usano traccianti
15
O, eÁ approssimativamente di 45 mm. Strumenti a piuÁ
alta risoluzione sono in via di sviluppo.
L'SNR della PET dipende dal raggio dello scandaglio
dello scanner e dalla sensibilitaÁ del rivelatore. Allo scopo
di ridurre al minimo l'effetto del rumore ad alta frequenza
spaziale, le immagini PET vengono normalmente trattate
con un filtro a bassa frequenza prima di ulteriori analisi.
La frequenza del filtro, associata con la risoluzione intrinseca dello scanner, determina la risoluzione finale dell'immagine che, per gran parte degli studi PET sull'attivazione,
eÁ tra i 10 e i 16 mm. La conseguenza pratica della necessitaÁ
di avere un SNR accettabile eÁ che nella PET le misure sono
mediate su diverse sequenze o soggetti, il che riduce il
segnale non sistematico e preserva quello sistematico.
Quando i dati sono mediati tra diversi soggetti, la risoluzione spaziale dei dati risultanti eÁ in qualche misura ridotta a
causa delle variabilitaÁ funzionali e anatomiche.
La localizzazione della fonte di un segnale non eÁ strettamente limitata dalla risoluzione dell'immagine. Infatti, il
calcolo del `centro di massa' di un'attivazione fornisce
un'informazione sulla posizione molto piuÁ precisa di quanto
la risoluzione dell'immagine permetterebbe (Fox et al.,
1986). Questo metodo, associato con un'adeguata progettazione dell'esperimento, puoÁ aumentare notevolmente le potenzialitaÁ spaziali effettive della PET al di laÁ della risoluzione della singola immagine. Sebbene due foci di attivitaÁ
nella stessa immagine si possano distinguere come attivazioni separate quando a separarle eÁ almeno 1 FWHM, la
capacitaÁ di distinguere due attivazioni molto vicine nello
spazio e presenti in scansioni PET separate non eÁ limitata
allo stesso modo. I calcoli sul `centro di massa' per determinare la collocazione di regioni attivate, individuate da
scansioni distinte, possono rivelare spostamenti delle regioni attivate sulla scala di pochi millimetri.
attività (unità arbitrarie)
1
FWHM
0,5
distanza ≤ FWHM (unità arbitrarie)
a
1
attività (unità arbitrarie)
Localizzazione
Per gli studi che si prefiggono di costruire una mappa del
cervello, il problema di individuare dove avviene un'attivazione eÁ di primaria importanza. La localizzazione eÁ correlata alla capacitaÁ di una tecnica di determinare l'origine
spaziale (in questo caso, nel cervello) di un singolo segnale.
EÁ un parametro diverso dalla risoluzione e, nei metodi di
neurovisualizzazione, l'accuratezza della localizzazione
puoÁ superare la risoluzione. Oltre all'accuratezza della localizzazione, spesso interessa sapere quanto sia affidabile la
localizzazione nel corso di ripetute misurazioni.
b
0,5
distanza (unità arbitrarie)
fig.6. Localizzazione
e risoluzione del segnale PET.
a. Due risposte di flusso
sanguigno rappresentate da curve
gaussiane i cui valori medi
(linee tratteggiate)
sono separati da una distanza
minore o uguale alla larghezza a
metaÁ del massimo (FWHM),
misurate con la PET
in una stessa scansione.
Poiche le intensitaÁ delle risposte
misurate sono additive,
la misurazione risultante appare
come una risposta singola
(linea continua). Di conseguenza,
le due risposte non possono essere
risolte come fonti separate.
b. Due risposte di flusso
sanguigno rappresentate da curve
gaussiane i cui valori medi
sono separati da una distanza
minore o uguale alla larghezza a
metaÁ del massimo, ma misurate
con la PET in due diverse
scansioni. Ciascuna fonte puoÁ
essere localizzata al suo valore
medio in ciascuna scansione
individuale, per cui le due fonti
possono essere localizzate
separatamente nel cervello,
sebbene esse si trovino
piuÁ vicine di una FWHM.
Le unitaÁ di misura sono arbitrarie.
Oltre ai fattori tecnici, le potenzialitaÁ spaziali della PET
sono limitate da fattori pratici come la regolazione delle
radiazioni e da considerazioni di tempo. Poiche le potenzialitaÁ spaziali della PET hanno una `grana' meno fine della
scala spaziale della risposta emodinamica, possono esserci
limiti nella capacitaÁ di riflettere in modo attendibile differenze di piccola scala negli schemi dell'attivitaÁ neuronale.
D'altro canto le immagini PET mediante 15O mostrano una
relazione quantitativa nota con il flusso sanguigno, che eÁ a
sua volta correlato con l'attivitaÁ neuronale, e dunque presentano un importante vantaggio sulla fMRI nell'interpretazione dei risultati.
Caratteristiche spaziali della fMRI
In teoria non c'eÁ un limite inferiore alle capacitaÁ della
fMRI di risolvere l'informazione spaziale, poiche con l'aumento dell'intensitaÁ dei gradienti di campo magnetico e del
tempo di visualizzazione si possono distinguere strutture
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PARTE PRIMA / IL CERVELLO DI HOMO SAPIENS
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ADINA L. ROSKIES, STEVEN E. PETERSEN
sempre piuÁ piccole. Tuttavia, i magneti adatti per studiare il
cervello umano normalmente producono campi di intensitaÁ
fino a 4 tesla (piuÁ spesso 1,5 tesla) e, per mantenere la
durata della scansione entro un lasso di tempo ragionevole,
le immagini del cervello umano vengono raramente spinte
al di sotto della soglia del millimetro. Di solito, quando si
riportano i dati fMRI, si registra la dimensione lineare del
voxel di acquisizione (il volume di tessuto su cui viene di
volta in volta focalizzata la sorgente); questa eÁ una buona
approssimazione della risoluzione spaziale dell'immagine.
L'SNR della fMRI eÁ proporzionale al segnale intrinseco
(comprendente l'intensitaÁ del campo), al volume del voxel e
alla radice quadrata del tempo di visualizzazione. Di conseguenza vi eÁ un nesso diretto tra la dimensione lineare del
voxel, cioeÁ la risoluzione spaziale, e il tempo di visualizzazione. Ridurre la dimensione lineare del voxel alla metaÁ
(vale a dire il voxel di un fattore 8) richiede un aumento
di 64 volte del tempo di visualizzazione per mantenere lo
stesso SNR. Poiche la modulazione dell'intensitaÁ del segnale BOLD durante l'attivazione funzionale eÁ relativamente
piccola, solitamente dal 2 al 5% al di sopra del segnale in
stato di quiete, `l'arte' dell'MR consiste nel massimizzare il
segnale rispetto al rumore. Le dimensioni del voxel scelte
negli esperimenti fMRI riflettono la necessitaÁ di questo bilanciamento e non la risoluzione spaziale della tecnica in seÂ.
Per migliorare l'SNR, i dati vengono spesso mediati su
diverse sequenze condotte su uno stesso soggetto. Occasionalmente i dati vengono mediati su diversi soggetti, come
nella PET, per aumentare ulteriormente l'SNR, ma di nuovo, a causa della variabilitaÁ anatomica e funzionale tra i
soggetti, cioÁ avviene a scapito della risoluzione spaziale
dell'immagine finale.
L'accuratezza di localizzazione della fMRI resta una questione aperta; in qualche misura essa dipende dalla sequenza
di impulsi utilizzata: alcune sequenze vengono concepite
per evidenziare le vene di deflusso, le quali possono trovarsi
ad alcuni millimetri dal sito dell'attivitaÁ neuronale che provoca i cambiamenti di ossigenazione, altre sono studiate per
mirare ai letti capillari del tessuto attivo in modo piuÁ specifico. Inoltre, una scansione con una piccola dimensione
del voxel dirige la tecnica verso l'identificazione di piccole
regioni con grande variazione di ossigenazione, che di nuovo possono corrispondere alle localizzazioni delle vene di
deflusso, non del neuropilo. Queste misurazioni potrebbero
fornire un'idea fuorviante sulla localizzazione e sull'intensitaÁ dell'attivitaÁ neuronale sottostante. Per tutti i motivi qui
sopra discussi, i voxel nella gran parte degli studi fMRI
misurano almeno alcuni millimetri di lato.
Altre implicazioni biologiche possono influenzare in modo significativo i limiti delle potenzialitaÁ spaziali effettive
della fMRI. Per esempio, la fMRI eÁ molto sensibile ai moti
biologici, come la respirazione e la pulsazione dei tessuti
collegati al cuore, che possono creare seri artefatti nel segnale. Il problema piuÁ importante eÁ che ancora non si comprende appieno la natura delle componenti fisiologiche che
contribuiscono al segnale MR. EÁ chiaro, tuttavia, che le
potenzialitaÁ spaziali della fMRI approssimano o superano
la scala della risposta che misurano. Spingere la risoluzione
spaziale molto al di laÁ della scala spaziale del segnale da
misurare porta scarsi vantaggi e qualche svantaggio; percioÁ
il problema di cioÁ che viene misurato dalla fMRI diviene di
fondamentale importanza. Quasi certamente la potenzialitaÁ
spaziale effettiva della fMRI eÁ, al suo meglio, nella scala di
specificitaÁ della risposta emodinamica, vale a dire a livello
dei millimetri (Malonek e Grinvald, 1996; Woolsey et al.,
1996) e non al livello dei singoli neuroni.
IntensitaÁ ed estensione spaziale
Oltre a sapere dove ha origine un segnale (localizzazione)
e se proviene da una singola fonte (risoluzione) eÁ interessante conoscere la forza della risposta biologica sottostante
e quanto tessuto cerebrale daÁ origine al segnale. EÁ stato
dimostrato, almeno in alcuni casi, che l'intensitaÁ del segnale
PET e fMRI varia con l'intensitaÁ dello stimolo o con la
variazione di altri parametri che influenzano l'attivitaÁ neuronale (Fox e Raichle, 1984; Kwong et al., 1992). Alcuni
studi suggeriscono, tuttavia, che la PET possieda un intervallo dinamico maggiore rispetto alla fMRI. Quindi la PET
sarebbe una tecnica piuÁ utile per stabilire il grado di attivitaÁ
neuronale dall'intensitaÁ della risposta.
La situazione si ribalta, peroÁ, quando si tratta di determinare l'estensione spaziale dell'attivazione. Poiche l'ampiezza della risposta misurata nella PET eÁ collegata alla sua
intensitaÁ, la PET non eÁ adatta a determinare a livello millimetrico l'estensione spaziale della risposta biologica sottostante. Studi recenti suggeriscono che la fMRI rifletta con
maggior precisione l'estensione spaziale del segnale rispetto
alla PET.
Caratteristiche temporali
La caratterizzazione delle potenzialitaÁ temporali dei metodi di neurovisualizzazione non eÁ meno complessa della
loro caratterizzazione spaziale. Ne nella PET ne nella fMRI
la strumentazione in se eÁ un fattore che limita la risoluzione
temporale. Tuttavia in nessuna delle due modalitaÁ di visualizzazione l'informazione portata dalle misurazioni in brevi
intervalli temporali riflette il funzionamento del cervello in
tempo reale (millesimi di secondo). La PET fornisce utili
informazioni nel corso di una singola scansione, in genere
dai 40 ai 60 s per misurare l'attivazione con 15O. La risoluzione temporale della fMRI puoÁ essere manipolata modificando il protocollo di sperimentazione, ma per scopi pratici oscilla tra un secondo e alcune decine di secondi. Come
avviene con la risoluzione spaziale, la capacitaÁ dei metodi
di neurovisualizzazione di risolvere gli eventi nella dimensione temporale dipende da numerosi fattori, collegati alla
strumentazione, all'SNR, e ai fattori biologici.
Caratteristiche temporali della PET
La PET eÁ spesso criticata per la sua bassa risoluzione
temporale, ma questa non eÁ la conseguenza di una strumentazione poco sensibile. I macchinari PET sono estremamente
sensibili alle differenze temporali, nell'ordine dei nanosecondi per determinare le coincidenze nel rilevamento fotonico. Le ragioni della bassa risoluzione temporale delle
scansioni PET sull'attivazione sono di due tipi: sebbene
l'informazione sul decadimento dei positroni sia raccolta
in tempo reale, essa eÁ di tipo probabilistico, e quindi eÁ necessario accumulare un gran numero di coincidenze percheÂ
possa riflettere con precisione lo schema del flusso sangui-
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VOLUME TERZO / SISTEMI INTELLIGENTI
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PETERS3 - 11:43 - 4/5/01 PAG. 85 TERZO IMP
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VISUALIZZARE IL FUNZIONAMENTO DEL CERVELLO UMANO
gno; la nostra capacitaÁ di interpretare i dati dipende dai
modelli cinetici del tracciante nel flusso sanguigno e dalla
sua distribuzione. L'accumulo di dati nel corso di decine di
secondi eÁ organizzato per produrre stime quantitative del
flusso sanguigno, ed effettuare misurazioni per periodi molto piuÁ lunghi o piuÁ corti del tempo di rilascio iniziale del
tracciante riduce l'interpretabilitaÁ della scansione.
Poiche la PET utilizza in genere compiti impegnativi e
media su periodi di 4060 s, essa non eÁ seriamente influenzata dalla nostra mancanza di comprensione delle dinamiche temporali della risposta emodinamica sottostante nella
scala dei secondi. Tuttavia, la sua risoluzione temporale
produce altre complicazioni che influenzano l'interpretazione dei dati. Normalmente i compiti vengono ripetuti piuÁ
volte nel corso di una scansione, ma durante quel lasso di
tempo possono verificarsi numerosi processi cognitivi, previsti e imprevisti. Quindi, una scansione PET fornisce una
misura del flusso sanguigno cerebrale a livello regionale,
integrato lungo l'intera durata della misurazione, che puoÁ
quindi comprendere molti processi diversi da quelli che il
ricercatore eÁ interessato a esaminare o pensa di esaminare.
Si tratta di un aspetto da tenere in considerazione quando si
interpretano i dati PET.
Caratteristiche temporali della fMRI
Con l'invenzione della fMRI ecoplanare (EPI, EcoPlanarImaging) e il contemporaneo sviluppo della strumentazione
che consente una variazione rapidissima dei gradienti di
campo magnetico, una singola immagine MR puoÁ essere
acquisita in meno di 100 ms e i dati sull'intero cervello in
12 s. Tuttavia la qualitaÁ del rapporto tra il segnale e il
rumore di una singola immagine eÁ troppo scadente percheÂ
una singola scansione EPI sia di per se stessa utile. I dati
fMRI a singolo schema sono difficili da interpretare cosõÁ
come i dati raccolti su brevi porzioni di tempo con la PET.
Di norma, i segnali fMRI vengono mediati su intervalli di
tempo che vanno dai 10 s ai 30 s. Di conseguenza i dati fMRI
sono soggetti agli stessi problemi interpretativi dei dati PET.
Sebbene i dettagli delle caratteristiche temporali della
risposta emodinamica non siano ancora chiari, si sa che
una variazione rilevabile del flusso sanguigno si prolunga
per diversi secondi oltre l'attivitaÁ neuronale che l'ha generato, e che sono necessari alcuni secondi affinche il segnale
raggiunga il massimo e poi decada. Quindi, ancora una
volta, sebbene la fMRI possa misurare variazioni di flusso
sanguigno quasi in tempo reale, cioÁ che essa registra corrisponde a un'attivitaÁ neuronale svoltasi diversi secondi prima. Le caratteristiche temporali generali del ritardo emodinamico possono essere tenute in considerazione mediante
alcuni metodi di analisi, ma i tempi di ristagno possono
differire da una regione corticale all'altra e le costanti di
tempo per la generazione e la caduta del segnale possono
variare a seconda dei diversi tipi di stimolo. In ogni caso, i
dati attuali suggeriscono che la determinazione del momento iniziale e della durata della risposta emodinamica misurata in una data area in seguito a un particolare stimolo eÁ
piuttosto attendibile; cioÁ consente di trarre alcune conclusioni sulle proprietaÁ temporali delle risposte misurate.
La capacitaÁ della fMRI di acquisire dati in brevi periodi di
tempo offre importanti vantaggi. Poiche la fMRI non eÁ
invasiva e non utilizza sostanze radioattive, in teoria non
vi eÁ alcun limite al numero di volte in cui un soggetto puoÁ
essere sottoposto alle scansioni. CioÁ offre un sostanziale
vantaggio sulla PET per quanto riguarda l'ottenimento di
un buon rapporto tra segnale e rumore, e consente la progettazione di nuovi esperimenti che mirano agli aspetti temporali dell'emodinamica. Le scansioni fMRI, per esempio,
possono essere archiviate post hoc e analizzate in gruppi
separati, rendendo possibili esperimenti in cui diversi tipi
di prove siano usati contemporaneamente, diversamente dagli schemi bloccati della PET (Buckner et al., 1996). Le
metodiche a prove miste sono spesso piuÁ efficaci per esplorare la funzione cognitiva.
Gli studi sulla visualizzazione ottica (Malonek e Grinvald, 1996) suggeriscono che un iniziale decremento dell'emoglobina ossigenata precede un aumento del flusso sanguigno, ed eÁ piuÁ strettamente associato alle caratteristiche
spaziali e temporali dell'attivitaÁ neuronale di quanto non sia
il successivo aumento di flusso sanguigno. Un rapido decremento iniziale nel segnale MR (circa 500 ms) eÁ stato
rilevato sia con la modalitaÁ spettroscopica sia con quella
di visualizzazione (Menon et al., 1995), aprendo la possibilitaÁ di registrare questi sottili cambiamenti emodinamici. Se
segnali di questo tipo potessero essere rilevati in modo affidabile, la capacitaÁ della fMRI di riflettere le dinamiche
temporali e la localizzazione spaziale dell'attivitaÁ neuronale
sarebbe notevolmente incrementata. Comunque, dati interessanti e convincenti riguardanti la rilevabilitaÁ e la costanza di questo effetto devono essere ancora presentati.
&
*................. ................................
Una visione sistemica del cervello
Oltre a comprendere le potenzialitaÁ e i limiti delle tecniche
sperimentali usate per studiare le basi cerebrali della funzione cognitiva, eÁ anche necessario avere un'idea del cervello in se stesso, a un livello sistemico, decisivo per capire
le prospettive della neurovisualizzazione. Avendo la sola
conoscenza del cervello a livello cellulare, per esempio, di
contro a una prospettiva sistemica, si potrebbe accettare
l'idea errata che la risoluzione dei metodi di neurovisualizzazione sia insufficiente per osservarne il funzionamento. Il
ragionamento eÁ il seguente: la risoluzione spaziale e temporale di PET e fMRI eÁ nell'ordine dei millimetri e dei secondi. Ma la cognizione eÁ mediata dai neuroni, la cui scala
spaziale eÁ nell'ordine dei micron e la cui attivitaÁ si misura
in millesimi di secondo. Anche un compito cognitivo complesso, come riconoscere un volto o costruire una frase, si
svolge nell'ordine delle centinaia di millesimi di secondo.
Se i metodi di neurovisualizzazione non possono risolvere
dimensioni spaziali e temporali di queste scale, come potranno fornirci informazioni interessanti sulle basi cerebrali
della cognizione? I limiti di questa considerazione diventeranno evidenti con un'adeguata comprensione della base
neuronale della cognizione a livello sistemico.
Il cervello e le unitaÁ funzionali localizzate
Il cervello dei mammiferi eÁ un organo fortemente strutturato, con numerose regioni distinte che si possono identifi-
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PARTE PRIMA / IL CERVELLO DI HOMO SAPIENS
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PETERS3 - 11:44 - 4/5/01 PAG. 86 TERZO IMP
279
ADINA L. ROSKIES, STEVEN E. PETERSEN
care dal punto di vista anatomico, fisiologico e funzionale.
La suddivisione della corteccia in base alle differenze anatomiche nella microarchitettura corticale ha anticipato lo
sviluppo dei metodi fisiologici per esplorare il cervello.
Nel corso degli ultimi quarant'anni gli studi sulle proprietaÁ
fisiologiche delle cellule nella corteccia cerebrale dei mammiferi hanno dimostrato che regioni corticali diverse sovrintendono all'elaborazione di tipi di informazione diversi,
come il movimento, il colore, la forma e la collocazione
degli stimoli visivi. EÁ possibile dimostrare che queste distinzioni che riguardano la funzione si accordano in molti
casi con confini strutturali ben identificati. Il cervello eÁ
dunque un organo formato da molteplici sottounitaÁ funzionali collegate tra loro, ed eÁ questo principio di localizzazione a rendere possibile l'uso delle tecniche di neurovisualizzazione per lo studio dei processi cognitivi. A partire dalla
metaÁ degli anni Ottanta, gli studi PET e fMRI sugli esseri
umani hanno dimostrato in modo convincente che la corteccia umana, come quella dei primati non umani, eÁ suddivisa in aree funzionali specifiche (Fox et al., 1986; Zeki et
al., 1991; Sereno et al., 1995; Tootell et al., 1995; De Yoe
et al., 1996; Engel et al., 1997). Oltre alla specificitaÁ funzionale, molte aree funzionali sono fortemente organizzate
dal punto di vista topografico. Un esperimento progettato
intelligentemente consente di sfruttare le tecniche di neurovisualizzazione per esplorare l'organizzazione topografica
all'interno di alcune di queste aree (Fox et al., 1986; Sereno
et al., 1995; DeYoe et al., 1996; Engel et al., 1997).
All'interno di molte mappe esiste una divisione del lavoro tra moduli piuÁ piccoli che elaborano determinati tipi di
informazione. Cellule specializzate in alcuni processi dell'elaborazione del colore, per esempio, sono distribuite attraverso la corteccia visiva primaria in strutture `a macchia'. Le cellule sensibili all'orientamento sono sistemate
in colonne secondo un orientamento specifico. Mentre questo livello di organizzazione resta al di laÁ dell'attuale risoluzione spaziale delle tecniche di visualizzazione, saraÁ forse
possibile studiarlo con i futuri sviluppi tecnologici. Al momento, comunque, eÁ possibile esplorare la fisiologia di queste classi di neuroni visualizzando, durante la variazione
parametrica dello stimolo, le dimensioni a cui essi sono
sensibili. Numerosi studi, per esempio, hanno dimostrato
l'esistenza di diverse sensibilitaÁ di contrasto nelle regioni
della corteccia visiva (Tootell et al., 1995; Boynton et al.,
1996).
Tuttavia, eÁ vero in larga misura che la funzione cognitiva
eÁ distribuita, e cioÁ determina implicazioni significative per
la neurovisualizzazione. L'elaborazione eÁ distribuita in un
senso macroscopico, poiche differenti regioni del cervello
sono responsabili dell'elaborazione di diversi aspetti di un
compito, e per l'esecuzione di quest'ultimo sono necessarie
molte regioni discrete che lavorino in concerto fra loro.
Anche i compiti cognitivi piuÁ elementari hanno molteplici
componenti, i cui correlati neuronali possono agire in parallelo o in serie in molte parti diverse del cervello. PET e
fMRI, raccogliendo i dati su tutto il cervello, sono le uniche
tecniche adatte a esplorare la distribuzione delle componenti funzionali entro quest'organo. L'elaborazione neuronale
puoÁ essere vista come distribuita anche a livello microscopico, poiche reti di molteplici neuroni sono in molti casi
necessarie per elaborare le complesse funzioni richieste da
molti compiti.
All'interno di una regione corticale le reti locali responsabili di attivitaÁ specifiche possono estendersi su una regione vasta diversi millimetri. CioÁ non impedisce l'uso della
neurovisualizzazione per lo studio di queste regioni, ma eÁ
importante riconoscere le implicazioni dell'elaborazione locale. In primo luogo, il ruolo svolto dai singoli neuroni non
eÁ analizzabile attualmente con PET o fMRI. Inoltre, diverse
popolazioni di neuroni possono occupare la stessa piccola
regione di tessuto ma essere preposte ad attivitaÁ di elaborazione differenti, come nel caso della corteccia visiva primaria. Risposte emodinamiche simili possono, quindi, essere
ottenute da stimoli e compiti diversi. In tali circostanze non
eÁ possibile distinguere le popolazioni neuronali l'una dall'altra. L'attivazione di popolazioni neuronali sovrapposte
puoÁ limitare la capacitaÁ di queste tecniche di effettuare
distinzioni funzionali molto sottili. Per questo motivo, tali
tecniche non saranno, probabilmente, mai utili per `leggere
il pensiero' o per altri compiti che richiedano un'unica attribuzione a schemi di attivitaÁ.
Una prospettiva sistemica del cervello rivela che l'attivitaÁ
neuronale durante la realizzazione di compiti cognitivi eÁ
localizzata fortemente a livello delle regioni corticali, per
quanto queste regioni possano essere ampiamente distribuite nel cervello. Nel determinare quali regioni siano attive, e
durante quali compiti, stiamo iniziando a capire come il
cervello suddivida compiti cognitivi complessi in componenti piuÁ semplici. Gli esperimenti di neurovisualizzazione
hanno fornito delle informazioni attendibili e riproducibili
sui centri dell'attivitaÁ neuronale durante compiti che vanno
dalla vista al linguaggio, alla memoria e all'abilitaÁ di apprendimento. CioÁ dimostra che il cervello non eÁ un organo
omogeneo, nel quale tutti i processi cognitivi impiegano gli
stessi gruppi di neuroni, ma eÁ piuttosto una struttura altamente organizzata con unitaÁ funzionali specifiche.
Implicazioni della variabilitaÁ individuale
Dato che il cervello eÁ suddiviso in sottounitaÁ funzionali, eÁ
interessante chiedersi quanto esse siano stereotipate. Studi
funzionali e anatomici hanno dimostrato che l'organizzazione del cervello eÁ simile nella maggior parte degli individui
normali, ma dettagli nelle dimensioni, nella forma e nell'esatta dislocazione delle aree funzionali e dei riferimenti
anatomici variano approssimativamente nell'ordine di un
centimetro. Questa variabilitaÁ, anche se troppo ridotta per
invalidare gli approcci di neurovisualizzazione funzionale,
ha peroÁ implicazioni che riguardano l'accuratezza e la precisione con cui le regioni funzionali possono essere localizzate mediante PET e fMRI.
Allo scopo di ottenere delle misure affidabili nelle regioni in cui il segnale associato a compiti particolari eÁ piuttosto debole, vengono utilizzate tecniche statistiche per migliorare l'SNR. Nella PET vengono mediate diverse scansioni (tipicamente 6 o piuÁ) relative allo stesso tipo di
compito, condotte, nella gran parte dei casi, su un certo
numero di soggetti diversi. Il fatto di lavorare con diverse
anatomie introduce una certa variabilitaÁ. Inoltre, l'esecuzione di una media intersoggettiva impone di trovare un mezzo
per sistemare ciascuna scansione in uno spazio anatomico
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VISUALIZZARE IL FUNZIONAMENTO DEL CERVELLO UMANO
uniforme che per convenzione eÁ il cosiddetto atlante di
Tailarach (Tailarach e Tournoux, 1988). Gli algoritmi attualmente a disposizione per registrare le scansioni in uno
schema standard hanno una precisione di circa 3 mm. Questi fattori abbassano la precisione con cui la PET puoÁ collocare segnali in determinate aree del cervello. Tuttavia, dal
momento che gli effetti primari delle differenze individuali
sono nell'ordine delle dimensioni del filtro usato per trattare i dati grezzi, la risoluzione non risulta troppo ridotta.
L'alta riproducibilitaÁ dei centri di attivazione in studi e
soggetti diversi attesta la notevole coerenza dell'organizzazione cerebrale in individui diversi (Hunton et al., 1996).
CioÁ significa che la variabilitaÁ intersoggettiva rappresenta
soltanto un disturbo di poco conto di fronte all'elevato
grado di coerenza.
Viceversa, la fMRI puoÁ in qualche misura evitare il problema della variabilitaÁ individuale poiche interi studi possono essere realizzati su un singolo soggetto. Tuttavia, rimane la necessitaÁ di collocare le attivazioni in uno spazio
comune allo scopo di confrontare individui e studi diversi e
costruire un modello globale di funzionamento del cervello.
La variabilitaÁ individuale eÁ un fattore di complicazione rispetto a questo scopo, ma si stanno sviluppando metodi
migliori che utilizzano sia i punti di riferimento anatomici
sia quelli funzionali allo scopo di registrare i singoli cervelli
in un atlante comune.
.......................... ....................... &
*
La conoscenza dei processi cognitivi come
ausilio nella progettazione degli esperimenti
La conoscenza delle potenzialitaÁ e dei limiti degli strumenti
di misurazione e la comprensione della biologia del cervello
sono di fondamentale importanza, ma, allo scopo di progettare o valutare gli studi di visualizzazione funzionale, eÁ
necessario anche conoscere le basi degli approcci cognitivi. La progettazione e l'analisi degli esperimenti rappresentano le sfide piuÁ grandi di questa impresa. Qui di seguito
verranno discussi alcuni problemi essenziali per la progettazione di adeguati esperimenti di neurovisualizzazione e
per l'interpretazione dei loro risultati.
Negli studi sull'attivazione vengono utilizzati tre tipi di
compiti: i compiti bersaglio, comprendenti un compito o un
sottocompito di interesse; i compiti di comparazione, simili
ai precedenti, ma che manipolano o mantengono costante
una componente di interesse; i compiti di base, di livello piuÁ
basso, usati per rappresentare uno stato inattivo. Le differenze nell'attivazione regionale tra scansioni di compiti attivi o tra scansioni di compiti attivi e di base riflettono
differenze nelle richieste associate al compito. La selezione
dei compiti da sottoporre a scansione eÁ estremamente importante poiche influenza l'interpretazione e il risultato dello studio. La scelta delle condizioni di base e di comparazione eÁ in parte governata dalla scomposizione funzionale
del compito di interesse primario.
La scomposizione funzionale
Compiti cognitivi complessi sono quasi sempre costituiti
da numerose sottooperazioni. In gran parte degli esperi-
menti sull'attivazione, per esempio, un soggetto riceve
istruzioni, percepisce stimoli, svolge determinate operazioni
cognitive e risponde apertamente in un modo prescritto. La
scomposizione funzionale si riferisce alla scomposizione
concettuale di un compito nelle sue componenti e rappresenta una `incisione' nell'integritaÁ di un compito, lungo le
sue giunture funzionali. Una scomposizione funzionale attenta e appropriata, sebbene attiri raramente l'attenzione, eÁ
alla base del successo di un esperimento di neurovisualizzazione.
Di solito uno studio sull'attivazione eÁ ispirato dall'interesse verso un particolare tipo di processo cognitivo. Mentre
eÁ ben evidente che un'ipotetica scomposizione dei processi
che avvengono durante un periodo di scansione eÁ necessaria
per interpretare i risultati degli esperimenti di neurovisualizzazione, eÁ meno frequentemente riconosciuto che, negli
esperimenti migliori, particolari della stessa modalitaÁ sperimentale emergono da successivi ripetuti momenti di scomposizione funzionale. Poiche la scomposizione funzionale
ha conseguenze su quasi tutti gli aspetti dell'impostazione
sperimentale, qui di seguito discuteremo in modo abbastanza approfondito i passaggi della progettazione di un esperimento di visualizzazione che sono collegati o che si basano sulla scomposizione funzionale.
Scomposizione funzionale e impostazione dell'esperimento Solitamente i processi cognitivi che gli studi di
neurovisualizzazione prendono in esame sono quelli di interesse generale e le procedure scelte per arrivare a questi
processi sono spesso quelle che sono state studiate a fondo
con altri metodi empirici. Molti studi di psicologia cognitiva, per esempio, si sono indirizzati verso la scomposizione
di procedure complesse in componenti piuÁ semplici ed essenziali e verso la comprensione di come queste componenti interagiscano con compiti specifici. Se eÁ disponibile la
relativa documentazione, di carattere psicologico o neuropsicologico, riguardante la natura del compito, questa puoÁ
essere usata per indirizzare la scomposizione funzionale in
un esperimento di visualizzazione.
Molto di rado eÁ possibile scomporre completamente un
processo in senso funzionale sulla base di dati empirici. In
assenza di prove empiriche indipendenti, come si puoÁ affrontare il problema della scomposizione funzionale? Qui le
tecniche di una corretta impostazione sperimentale sono di
vitale importanza per compensare la mancanza di una scomposizione funzionale complessiva. Compiti di comparazione devono essere strettamente associati al compito bersaglio
su molti fronti allo scopo di cercare di manipolare specifiche richieste del compito e di mantenere costanti, per quanto possibile, le caratteristiche del compito non rilevanti per
il problema in questione. Questo approccio sperimentale
evita l'implicita assunzione di una scomposizione funzionale in quelle aree in cui eÁ sconosciuta.
Il metodo piuÁ diretto per affrontare l'esperimento consiste
nel caratterizzare un paradigma del compito bersaglio tenendo conto delle informazioni introdotte, delle necessitaÁ di
elaborazione e dei risultati. L'esperimento ideale mantiene
due di queste tre componenti fissate nei compiti di comparazione e manipola il piuÁ basso numero possibile di variabili
per volta. CosõÁ, si potrebbero porre domande del tipo: qual eÁ
la modalitaÁ sensoria degli stimoli usati? Qual eÁ la modalitaÁ
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ADINA L. ROSKIES, STEVEN E. PETERSEN
della risposta? Che tipo di informazione eÁ manipolata (linguistica, visuale, acustica, ecc.)? Che tipi di rappresentazioni
cognitive eÁ probabile siano coinvolte e che tipi di operazioni
cognitive invocate? Ci sono particolari modelli cognitivi che
siano stati suggeriti per lo svolgimento di un compito? Poiche cosõÁ tante rilevanti operazioni cognitive non sono completamente specificate, un protocollo sperimentale semplice
ed efficiente, che vari il minor numero possibile di componenti non direttamente rilevanti per il compito in atto, saraÁ il
piuÁ interpretabile. In questo modo differenze nell'attivazione tra le condizioni di scansione potranno essere attribuite
senza ambiguitaÁ alle variabili manipolate. In modo analogo,
i parametri mantenuti costanti tra i compiti potranno essere
usati per stabilire i ruoli funzionali delle regioni fortemente
attive tra le scansioni.
Nel progettare i compiti di comparazione occorre tenere
presente che variazioni apparentemente piccole nei tratti
superficiali tra i compiti possono avere effetti sorprendenti
sugli schemi di attivazione (Fox e Raichle, 1984). Parametri
come la frequenza di presentazione visiva, la frequenza
delle risposte motorie, la frequenza o familiaritaÁ di parola
e cosõÁ via possono influire notevolmente sull'emodinamica
e confondere l'interpretazione dei risultati sperimentali. Di
conseguenza eÁ importante cercare di adattare per quanto
possibile questi parametri alle condizioni sperimentali, a
meno di verificarne esplicitamente gli effetti. Per esempio,
nell'esaminare le differenze di elaborazione tra parole ad
alta e bassa frequenza, le parole dovrebbero essere presentate nella stessa misura, essere della stessa lunghezza e dello
stesso numero di sillabe, e l'ideale sarebbe che fossero il piuÁ
possibile corrispondenti anche nella composizione fonetica.
Un diagramma funzionale delle informazioni in entrata,
delle ipotetiche fasi intermedie di elaborazione e dei risultati puoÁ essere un'utile guida per sviluppare un modello
sperimentale complessivo e per valutare la scelta appropriata degli stimoli e dei compiti.
Scelta dei compiti di base Molti studi sull'attivazione
sono volti a rispondere alla domanda: quali regioni del cervello sono coinvolte nel compito X? Per rispondere a questa
domanda l'ideale sarebbe confrontare i livelli di attivitaÁ
durante un compito X con i livelli di attivitaÁ quando il
cervello `non sta facendo nulla' o eÁ a riposo. CioÁ eÁ impossibile, in quanto il cervello non eÁ mai veramente a riposo,
dovendo presiedere alle funzioni omeostatiche, regolare il
livello di attenzione o di allerta, eccetera. EÁ peroÁ possibile
individuare condizioni che prevedono un'elaborazione cognitiva minima. Alcuni studi prescrivono di dire al soggetto
di `pensare al nulla'. Poiche eÁ piuttosto difficile che questo
avvenga, piuÁ spesso si scelgono come compiti di base dei
compiti semplici che tuttavia richiedono un minimo di attenzione, come mantenere la vista fissa su un punto al centro del campo visivo. L'impegno su un compito preciso
aumenta la probabilitaÁ che si realizzino scansioni di base
uniformi nei diversi soggetti, e rende meno probabile che il
soggetto si impegni in altri processi cognitivi piuÁ difficili da
determinare. Naturalmente resta sempre la possibilitaÁ che i
soggetti si impegnino in processi estranei durante lo svolgimento di un compito specifico.
I compiti di base vengono solitamente scelti in modo
tale che essi non condividano importanti caratteristiche o
esigenze con il compito di interesse. Bisogna sempre tenere a mente che il compito scelto come presumibilmente
semplice potrebbe in realtaÁ non essere tale, o potrebbe
avere in comune con il compito di interesse alcune componenti, senza che lo sperimentatore ne sia consapevole.
Molti gruppi utilizzano compiti di base standard in tutti i
loro studi, indipendentemente dall'obiettivo dello studio.
CioÁ rende piuÁ facile trovare degli schemi comuni di attivazione in molti studi diversi e apre la possibilitaÁ a future
metaanalisi. A prescindere dalla scelta del compito di base, eÁ di primaria importanza essere consapevoli delle operazioni cognitive richieste da quel compito, cosõÁ come
delle altre in cui il soggetto potrebbe impegnarsi.
Scelta dei compiti di comparazione I compiti di comparazione sono compiti piuÁ complessi, spesso di alto livello,
scelti o perche differiscono in qualche modo specifico dal
compito primario di interesse (nel qual caso sono a volte
chiamati compiti di contrasto), o perche condividono con
esso importanti caratteristiche, oppure per entrambi i motivi. Una scomposizione funzionale del compito primario di
interesse puoÁ identificare caratteristiche funzionali che dovrebbero essere presenti o assenti nel potenziale compito di
comparazione allo scopo di verificare un'ipotesi specifica
sul ruolo funzionale di una o piuÁ aree oppure una particolare
scomposizione funzionale. Si possono cosõÁ sviluppare compiti che soddisfino questi criteri. La scelta dei compiti di
comparazione o di contrasto eÁ una discriminante fondamentale per l'effettiva pregnanza e validitaÁ di uno studio. Un'attenta scelta dei compiti puoÁ far molto per svelare il ruolo
funzionale di una o piuÁ regioni del cervello, mentre una loro
scelta inappropriata puoÁ produrre uno studio che fallisce nel
centrare qualsiasi specifico problema cognitivo.
La misura del comportamento: un controllo essenziale
Uno degli aspetti piuÁ spesso trascurati nell'impostazione di
un esperimento di neurovisualizzazione eÁ quello relativo al
controllo del fatto che i soggetti svolgano effettivamente il
compito che il ricercatore crede stiano svolgendo. EÁ questo
un requisito minimale per uno studio ben progettato. Per
tale motivo eÁ necessario acquisire misure comportamentali
nel corso delle sedute esplorative. Dati come i tempi di
reazione, i parametri di precisione, la frequenza dell'azione,
possono essere usati per valutare lo svolgimento del compito e le strategie usate che hanno un impatto significativo
sull'interpretazione dei risultati della neurovisualizzazione.
Per esempio, la difficoltaÁ del compito, gli effetti relativi
all'attenzione, o gli effetti dell'innesco o della pratica possono influenzare le risposte emodinamiche locali, e possono
essere valutati analizzando le differenze dei tempi di reazione. Le misurazioni comportamentali aiutano a stabilire
che i processi cognitivi che il ricercatore si prefigge di
verificare siano quelli che effettivamente egli sta investigando. Con analisi sofisticate essi si possono correlare ai
risultati dell'attivazione per determinare gli effetti della pratica, la difficoltaÁ, ecc. EÁ quasi superfluo rilevare che una
conduzione fortemente comportamentale del compito e dei
metodi di valutazione del compito stesso eÁ fondamentale
per impostare correttamente ed eseguire con successo un
esperimento.
In certe condizioni, specialmente quelle della fMRI, in cui
il movimento facciale che accompagna le risposte verbali
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VISUALIZZARE IL FUNZIONAMENTO DEL CERVELLO UMANO
puoÁ creare serie interferenze, non eÁ possibile misurare il
comportamento palese durante la scansione. Si possono peroÁ
impiegare delle strategie per valutare se il compito viene
svolto nel modo previsto. Il ricordo degli oggetti, per esempio, puoÁ essere condizionato manipolando il modo in cui essi
vengono codificati: un compito a codificazione profonda,
come un giudizio semantico, produce un ricordo migliore
rispetto a un compito a codificazione debole, come un giudizio ortografico. Si possono presentare ai soggetti alcuni
oggetti e chiedere loro di svolgere segretamente dei compiti
che comportano una manipolazione in profonditaÁ dell'elaborazione. Al termine della seduta saraÁ possibile stabilire se
abbiano o meno svolto questi compiti, come richiesto, attraverso dei test sulla memoria.
Nessuna scomposizione funzionale eÁ inattaccabile
Per quanto una data scomposizione funzionale possa sembrare completa e giustificata, bisogna ricordare che il suo
ruolo eÁ quello di avanzare un'ipotesi di lavoro, una soltanto
tra le numerose alternative possibili. La validitaÁ di una particolare scomposizione funzionale si puoÁ sempre mettere in
discussione, specialmente se le prove empiriche ottenute
dall'esperimento o da altre fonti non si conformano al modello ipotizzato. Questa cautela eÁ di fondamentale importanza e verraÁ ricordata anche nel seguito.
Sottrazione
Nell'analisi dei dati sperimentali il confronto diretto tra i
compiti bersaglio e i compiti di comparazione rivela le
regioni attivate in modo diverso nei due casi. In alternativa,
ciascun compito di contrasto puoÁ essere confrontato con gli
altri tenendo fermo un compito di base comune che rivela
sia le analogie sia le differenze tra i compiti. Entrambi
questi approcci si basano su un procedimento di sottrazione,
il metodo piuÁ semplice, piuÁ diretto e anche piuÁ frequentemente usato per confrontare l'attivazione cerebrale durante
due stati diversi. Ma questo metodo eÁ anche quello piuÁ
spesso frainteso.
La maggior parte degli esperimenti di neurovisualizzazione utilizza la sottrazione per individuare le regioni di variazione emodinamica tra due diversi compiti (fig.7). Le immagini mediate e normalizzate di una situazione di base o di
comparazione vengono sottratte dalle immagini mediate e
normalizzate di un compito bersaglio. Le regioni a intensitaÁ
positiva nell'immagine risultante riflettono le regioni cerebrali maggiormente attive nel compito bersaglio; le regioni
a intensitaÁ negativa riflettono le regioni maggiormente attive nel compito di base o di comparazione. Le differenze
nell'attivazione locale tra le diverse condizioni di scansione
si possono attribuire alle differenze tra i compiti svolti. Le
implicazioni della sottrazione di immagine non possono
andare oltre, in quanto la sottrazione eÁ soltanto un mezzo
in grado di rivelare le differenze di attivitaÁ tra due condizioni diverse.
Il fraintendimento nasce perche le implicazioni della sottrazione di immagine vengono spesso fuse con quelle associate ai metodi di sottrazione negli studi sui tempi di reazione, che assumono la pura additivitaÁ. Gli studi sui tempi
di reazione sono infatti basati sulla premessa che passaggi
di elaborazione aggiuntivi richiedono tempi aggiuntivi di
elaborazione, in modo additivo: la sottrazione dei tempi
di reazione del processo A dai tempi di reazione dei processi A+B daÁ come risultato il tempo di elaborazione del
processo B. Le interazioni tra i processi o la delezione dei
processi non vengono prese in considerazione. Nella neurovisualizzazione, un'analisi dei compiti nella quale questi
sono concepiti come complementari, con ciascuno collegato all'altro ma progressivamente piuÁ complesso, si basa su
un'assunzione simile. Tale interpretazione implica che sottraendo l'attivazione collegata a un compito dall'attivazione collegata a un compito successivo e piuÁ complesso sia
possibile isolare le regioni cerebrali responsabili delle richieste aggiuntive. Con una scomposizione funzionale appropriata un tale approccio potrebbe dimostrarsi illuminante, ma una varietaÁ di interazioni complesse tra le zone
cerebrali o tra le richieste dei compiti potrebbe invalidare
l'interpretazione.
L'uso della sottrazione di immagine di per se non implica
alcun impegno per quanto concerne la relazione fra due o
piuÁ compiti organizzati gerarchicamente. Le critiche rivolte
alla sottrazione di immagine sono mal indirizzate, in quanto
esse dovrebbero mirare piuttosto alla particolare strategia
interpretativa nella quale si presume che i compiti cognitivi
fig.7. Schema del processo
di sottrazione di immagini PET.
Le immagini del flusso sanguigno
acquisite in una condizione di base
(al centro) vengono sottratte
dalle immagini acquisite
in una condizione attiva (in alto).
Le immagini differenziali
cosõÁ ottenute (in basso)
rivelano che le regioni corticali
sono piuÁ attive nella condizione
attiva che in quella di base.
In questo caso il compito attivo
prevedeva la valutazione
di stimoli visivi,
e il compito di base era rimanere
con gli occhi chiusi.
Le immagini differenziali indicano
che vaste regioni della corteccia
occipitale vengono attivate
dagli stimoli visivi.
Le immagini rappresentano
approssimativamente il flusso
sanguigno e riflettono l'anatomia
sottostante e la vascolarizzazione,
cosõÁ come l'attivitaÁ neuronale.
La scala dei colori indica
il livello del flusso sanguigno,
con le regioni in blu e in verde
che rappresentano valori minori,
e le regioni in rosso
e in bianco che rappresentano
valori di flusso piuÁ elevati.
Cortesia degli autori.
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siano collegati. Un tale fraintendimento deriva dalla confusione tra metodi analitici e interpretazione dei risultati.
Implicazioni pratiche Poiche i dati sull'attivazione sono
sempre analizzati in riferimento a una situazione di comparazione, quei processi che sono sempre attivi, e quindi presenti sia nelle scansioni attive che in quelle di base, vengono
eliminati nel corso dell'analisi. Si potrebbe pensare che questo sia un grave svantaggio della tecnica di sottrazione. Tuttavia, se un processo eÁ sempre attivo e la sua attivitaÁ non puoÁ
essere manipolata, nessuna tecnica saraÁ in grado di determinare il suo funzionamento, dal momento che non saraÁ possibile fare alcuna correlazione con un'altra variabile.
Messe di fronte a questo scenario, le tecniche di neurovisualizzazione non sono meno efficaci di altre neurotecniche.
In realtaÁ, pochi processi cognitivi di interesse, seppure esistono, risultano essere costantemente attivi a un singolo
livello. L'individuazione dei processi cognitivi e di quelli
neuronali eÁ solitamente portata a termine attraverso manipolazioni: come cambia il comportamento se un soggetto eÁ
sottoposto allo stimolo A piuttosto che a quello B? L'attivitaÁ di questo particolare neurone aumenta in presenza dello
stimolo C? Finche il livello di attivitaÁ di un processo puoÁ
essere manipolato, le differenze nell'entitaÁ delle attivazioni
saranno evidenti e potranno essere individuate con le tecniche di sottrazione.
Le insidie dell'attribuzione funzionale
Dato che la neurovisualizzazione cerca di attribuire ruoli
funzionali a regioni cerebrali specifiche o a gruppi di regioni, non eÁ sorprendente che le pubblicazioni sulla neurovisualizzazione spesso affermino, in modo piuÁ o meno esplicito, che un certo studio dimostra che l'area X attiva la
funzione Y. EÁ raro che cioÁ sia vero. EÁ virtualmente impossibile interpretare la rilevanza funzionale di una qualsiasi
regione attivata sulla base di una o di alcune scansioni.
Quanto si puoÁ dire con sicurezza eÁ che il compito complesso
A, realizzato con i parametri usati nell'esperimento, induce
un'attivitaÁ nella regione X e che tale compito puoÁ essere
provvisoriamente scomposto in senso funzionale nei sottocompiti W, Y, Z, ecc. Al massimo, un esperimento di neurovisualizzazione puoÁ fornire forti indizi che quella regione
sia coinvolta in un particolare processo. Nessuno studio
singolo puoÁ dimostrare la funzione di una particolare regione cerebrale. Perche si possa con forza stabilire un'attribuzione funzionale eÁ necessario un processo esteso e interattivo che definiamo triangolazione funzionale.
L'importanza della triangolazione funzionale
Non diversamente dalla triangolazione nelle rilevazioni,
la definizione del panorama anatomico-funzionale richiede
molteplici misurazioni nel corso di una varietaÁ di compiti, e
un continuo affinamento dell'interpretazione del ruolo che
una particolare area svolge nella cognizione. L'osservazione dell'attivazione di una specifica zona del cervello in una
vasta gamma di compiti caratterizzati da una stessa sottocomponente funzionale costituisce una buona prova per l'attribuzione funzionale (fig.8). L'assenza di quella attivazione
in compiti simili privi di quella componente funzionale rafforza ancor piuÁ l'inferenza. La sfida della triangolazione
funzionale risiede nell'individuazione di compiti appropriati
per verificare le ipotesi funzionali. Dal momento che lo
`spazio' della funzione cognitiva eÁ multidimensionale, possono essere necessarie molte misurazioni per accumulare
prove sufficienti a triangolare la funzione in una qualche
area, con la clausola che qualsiasi attribuzione funzionale eÁ
incrementale e aperta a revisioni di fronte a eventuali dati
incoerenti. Si deve notare che la triangolazione funzionale si
basa fortemente sulla scomposizione funzionale e sulla mo-
fig.8. Schema del procedimento
di triangolazione mediante il quale
vengono valutate le ipotesi
sui ruoli funzionali
delle aree cerebrali.
Vengono progettati compiti simili
in una situazione o operazione
di interesse (compiti A, B e C)
e vengono identificate aree
comuni di attivazione.
Quanto piuÁ i compiti condividono
una sottocomponente funzionale
che mostra attivazione in una
regione comune, tanto piuÁ forte
eÁ l'indicazione che quella regione
cerebrale eÁ collegata
a un ruolo funzionale.
Analogamente, compiti che
mancano di una situazione
o operazione di interesse
non dovrebbero presentare
attivazione in quella regione
(compito D).
Cortesia degli autori.
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VISUALIZZARE IL FUNZIONAMENTO DEL CERVELLO UMANO
dalitaÁ sperimentale seguita, ed eÁ quindi soggetta a errori
derivanti da errori in questi due processi. Se possibile, si
dovrebbero utilizzare, per l'interpretazione dei dati, anche
risultati provenienti da tecniche diverse dalla neurovisualizzazione. In effetti gran parte delle pietre di paragone per le
nostre interpretazioni, come l'individuazione e la determinazione delle funzioni fondamentali delle aree sensorie primarie, derivano da studi sul comportamento in seguito a
lesione negli esseri umani e da studi fisiologici sui primati
non umani.
L'importanza della triangolazione funzionale puoÁ essere
ulteriormente delineata considerando un caso particolarmente problematico di attribuzione funzionale: l'elaborazione automatica. Si afferma a volte che certi tipi di stimoli
si servono automaticamente di certi percorsi di elaborazione
e che quindi questi processi sono sempre attivi in determinati contesti. Per esempio, eÁ stato sostenuto che l'analisi
semantica procede automaticamente al manifestarsi di una
parola, a prescindere dal fatto che il soggetto vi presti consapevolmente attenzione o acceda al significato della parola. Poiche la sottrazione elimina l'evidenza di un processo
presente sia nella scansione bersaglio che in quella di base,
qualsiasi scansione di base che impieghi parole maschereraÁ
la presenza di attivazioni associate a un'elaborazione semantica automatica. Con un'appropriata triangolazione funzionale (che implica un'appropriata scelta delle condizioni
di base e di contrasto) anche questi processi possono essere
osservati con la neurovisualizzazione: nel compito di base o
di contrasto devono essere inseriti stimoli simili a quelli che
si ritiene reclutino questi processi automatici, ma che differiscano da essi per il fatto di non permettere a tali processi
di svolgersi. CosõÁ, per esempio, le regioni che potrebbero
essere coinvolte in un'analisi semantica automatica sono
quelle attivate dal manifestarsi passivo di parole reali ma
non dal manifestarsi passivo di pseudoparole (sequenze pronunciabili e percepibili come simili a parole che non hanno
un significato associato) o di parole in una lingua non familiare, ecc. Se si osservasse che queste stesse regioni vengono attivate in tutti i compiti che contemplano la presentazione di parole, si otterrebbe un'utile prova a sostegno
della tesi dell'elaborazione automatica. La principale difficoltaÁ di questo approccio eÁ che le regioni candidate all'elaborazione automatica in questione non possono essere funzionalmente dissociate dagli altri processi che necessariamente differiscono tra situazioni di comparazione e
situazioni bersaglio. In questo caso, per esempio, le attivazioni osservate in presenza di una parola, ma non di una
pseudoparola, potrebbero corrispondere sia a un'analisi semantica sia a un altro processo che puoÁ sempre accompagnare la lettura, come l'accesso lessicale. Si deve anche
ricordare che spesso le richieste del compito si possono
manipolare, anche quando il compito non si puoÁ del tutto
eliminare. Gli effetti di questa manipolazione si possono
osservare nei risultanti dati sull'attivazione.
Anche utilizzando un approccio di triangolazione funzionale, resta la possibilitaÁ che una singola regione sia responsabile di alcuni o perfino tanti diversi tipi di operazioni
cognitive. Questa conclusione non riflette necessariamente
un'incoerenza biologica o interpretativa. EÁ risaputo che in
certe aree cerebrali, come la corteccia visiva, differenti clas-
si di cellule in una piccola regione sono responsabili di
differenti operazioni. E questo accade probabilmente in tutto il cervello. Poiche il flusso sanguigno viene misurato (e
forse regolato) a livello regionale (nell'ordine dei millimetri) e non a livello cellulare (nell'ordine dei micron), l'attivazione di differenti popolazioni di neuroni nella stessa area
puoÁ portare a schemi di flusso sanguigno identici, almeno
data la risoluzione e la sensibilitaÁ delle attuali tecniche di
neurovisualizzazione. Quindi l'attivazione della stessa regione in compiti diversi non implica necessariamente l'operativitaÁ di identiche componenti funzionali.
&
*................. ................................
L'analisi dei dati sperimentali
I metodi di neurovisualizzazione presentano un rumore
intrinseco, e allo stato attuale c'eÁ scarso consenso riguardo
ai corretti metodi di analisi statistica dei dati. L'analisi dei
dati risultanti da PET e fMRI cerca di individuare attivazioni regionali e, come accade in gran parte delle ricerche
scientifiche, di determinare la significativitaÁ statistica delle
variazioni misurate. In questo paragrafo discutiamo brevemente il fondamentale problema dell'analisi dei dati della
neurovisualizzazione, e indichiamo i punti che meritano una
particolare considerazione quando si valutano i metodi di
analisi.
Comparazioni multiple
La maggiore difficoltaÁ nel determinare la significativitaÁ
statistica delle variazioni di segnale osservate eÁ il problema
delle comparazioni multiple. Una tipica immagine del cervello umano contiene migliaia di voxel. La soglia di significativitaÁ comunemente usata nei metodi statistici standard
(p < 0,05) indica che una misurazione sopra la soglia su
venti eÁ un falso positivo. Dal momento che le statistiche
sulla neurovisualizzazione vengono realizzate su migliaia
di voxel, misure significative non corrette genereranno molti falsi positivi. Per fronteggiare questo rischio, devono essere impiegate contromisure appropriate. I metodi studiati
per affrontare questo problema comprendono l'aggiustamento delle soglie di significativitaÁ con il metodo di Bonferroni o con altre correzioni, una varietaÁ di passaggi di
riduzione dei dati, come la suddivisione dei dati in gruppi
di verifica a generazione indipendente di ipotesi, o l'assunzione che un certo numero di voxel contigui debba superare
la soglia di significativitaÁ.
Sottrazione versus correlazione
La significativitaÁ dei dati PET eÁ determinata mediante test
statistici su un certo numero di immagini indipendenti calcolate come differenza tra un compito bersaglio e un compito di base. Sia l'attendibilitaÁ della misurazione che l'entitaÁ
dei cambiamenti influenzano il grado calcolato di significativitaÁ statistica. Poiche i dati fMRI includono una componente temporale, essi possono essere analizzati sia con una
tecnica di sottrazione, nella quale la media delle misure di
controllo sia sottratta dalla media delle misure attivate, sia
attraverso la correlazione dei tempi di attivazione con un
segnale modello a variazione temporale (quando il segnale
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modello eÁ una funzione a forma rettangolare, la correlazione
eÁ matematicamente equivalente alla sottrazione). Sia le analisi a sottrazione dei dati sia quelle a correlazione possono
impiegare uno shift di fase per tenere conto del prolungarsi
del segnale emodinamico, con notevole miglioramento del
segnale. Il vantaggio della sottrazione rispetto alla correlazione eÁ che i dati indicanti l'intensitaÁ delle risposte non
vengono scartati. L'intensitaÁ delle risposte eÁ un elemento
significativo dell'attivazione cerebrale e un importante complemento per la localizzazione delle risposte. Il vantaggio
della correlazione eÁ che la durata temporale di riferimento
puoÁ essere costruita in modo da includere i tempi di inizio e
di caduta del segnale che si avvicinano maggiormente alle
variabili biologiche rilevanti, fornendo in alcuni casi un miglior rapporto tra segnale e rumore. EÁ possibile sfruttare il
meglio dei due metodi facendo un'analisi iniziale basata
sulla correlazione e registrando successivamente le variazioni di intensitaÁ delle regioni significativamente attive.
La scelta dei test statistici
Un fattore fondamentale che contribuisce alla difficoltaÁ di
analizzare i dati di neurovisualizzazione eÁ che il rumore
dell'immagine di attivazione non eÁ distribuito in modo statisticamente normale e non esiste a tutt'oggi una sua caratterizzazione generale. Per questo motivo, non eÁ stato possibile determinare le procedure statistiche piuÁ adatte ad analizzare questi dati. Attualmente gran parte degli studi
impiega statistiche parametriche; tuttavia, un crescente numero di ricercatori analizza i dati fMRI con statistiche non
parametriche, come la statistica di Kolmogorov-Smirnov e
il test di Wilcoxon a somma media. La progettazione di
metodi statistici per l'analisi di dati di visualizzazione eÁ
un campo di ricerca in espansione. Si deve anche dire,
tuttavia, che, malgrado la varietaÁ degli approcci attualmente
impiegati, in prima approssimazione i diversi metodi statistici forniscono risultati molto simili.
.......................... ....................... &
*
Il contributo della visualizzazione
alla conoscenza del funzionamento del cervello
Avendo ormai acquisito in un certo senso i limiti cui sono
soggetti i metodi di neurovisualizzazione, il lettore si potrebbe chiedere quali progressi siano stati compiuti grazie a
queste tecniche. La neurovisualizzazione eÁ stata a volte
criticata per aver fornito informazioni che avrebbero potuto
essere ottenute con altre neurotecniche. Critiche piuÁ aspre
sostengono che i dati di neurovisualizzazione non sono state
in grado di rivelare nulla che non sapessimo giaÁ. Nel contestare queste critiche illustreremo alcuni progressi ottenuti
con tali tecniche.
EÁ un caso piuttosto raro in qualunque campo che si ottenga un insieme correlato di informazioni con un approccio
specifico e solo con quello. In questo senso le tecniche di
neurovisualizzazione non sono privilegiate rispetto ad altre
tecniche scientifiche. Mentre eÁ certo che gran parte della
conoscenza che abbiamo acquisito attraverso gli studi di
neurovisualizzazione avrebbe potuto esserlo attraverso l'esame di una popolazione di pazienti con lesioni, o attraverso
l'esame elettrofisiologico intraoperatorio di soggetti epilettici, o con altre tecniche sperimentali, bisogna sottolineare
che i metodi di neurovisualizzazione offrono, in molti casi,
un mezzo piuÁ pratico per studiare particolari problemi cognitivi. Utilizzando un numero ridotto di soggetti umani
normali, gli esperimenti di neurovisualizzazione possono
affrontare problemi cognitivi che altrimenti necessiterebbero di pazienti con lesioni fortemente specifiche, pazienti ai
quali pochissimi ricercatori potrebbero avere accesso. Inoltre, dedurre un funzionamento normale da studi su pazienti
con lesioni puoÁ essere problematico per diverse ragioni. Il
danno alla regione deputata alla facoltaÁ cognitiva in questione, o comprendente le fibre nervose che passano attraverso l'area lesionata, puoÁ influenzare il comportamento e
complicare il compito di localizzare la funzione. Per di piuÁ,
il danno cerebrale potrebbe avere effetti non specifici o
secondari sui processi cognitivi che potrebbero non riflettere con precisione il ruolo della regione danneggiata nella
cognizione. Per queste e altre ragioni l'uso di tecniche di
neurovisualizzazione su soggetti normali eÁ spesso piuÁ adatto
per esplorare la cognizione umana. Per indicare piuÁ concretamente i tipi di contributi che la neurovisualizzazione eÁ in
grado di fornire, daremo alcuni esempi di studi che hanno
accresciuto le nostre conoscenze.
Conferme sull'uomo di quanto giaÁ noto
dagli studi sui primati
Numerosi studi su aree cognitive differenti, dagli studi sul
sistema visivo a quelli sulla memoria, hanno confermato
ipotesi formulate sulla base dei risultati degli studi sulle
lesioni e sulla fisiologia dei primati, associando caratteristiche regioni del cervello a specifici ruoli cognitivi. Come eÁ
stato fatto in modo esauriente per le scimmie, eÁ stata disegnata la corteccia visiva umana tenendo conto dell'eccentricitaÁ e dell'angolo visivo, ed eÁ stata suddivisa in diverse
regioni (fig.9) definite in senso funzionale (Fox et al., 1986;
DeYoe et al., 1994; Sereno et al., 1995; Tootell et al., 1995;
Engel et al., 1997). Inoltre, le funzioni di contrasto e di
sensibilitaÁ al colore dei neuroni nella corteccia visiva umana
sono state studiate in modo parametrico (Boynton et al.,
1996). I risultati sono molto simili a quelli ottenuti con le
tecniche fisiologiche nelle scimmie. Analogamente, le regioni nella corteccia prefrontale dorsolaterale bilaterale, associate alla memoria operativa nelle scimmie, sono state
confermate come sede della memoria operativa dagli studi
di neurovisualizzazione effettuati sull'uomo (Petrides et al.,
1993; Courtney et al., 1997).
Ottenimento di informazioni non disponibili
dagli studi sugli animali
In aggiunta a quanto ipotizziamo sulla base della neurofisiologia dei primati, esiste la possibilitaÁ che i ruoli funzionali di certe aree del cervello non possano essere del tutto
confrontabili tra l'uomo e i primati non umani. L'uomo, per
esempio, possiede capacitaÁ cognitive che mancano ai primati non umani, come quella di usare il linguaggio; percioÁ
certe regioni cerebrali devono essere state adattate a compiere queste funzioni. Gli studi di M. Petrides e collaboratori (1993) sulla memoria verbale operativa nell'uomo hanno dimostrato che le regioni della corteccia prefrontale dor-
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VISUALIZZARE IL FUNZIONAMENTO DEL CERVELLO UMANO
fig.9. Omologie tra la corteccia
visiva dell'uomo
e quella del macaco.
Studi di rappresentazione
anatomica e funzionale
della corteccia della scimmia
rivelano molteplici aree visive
identificabili.
a. Mappa appiattita della corteccia
del macaco, in cui sono evidenziate
le aree visive identificate mediante
studi anatomo-funzionali.
b. Mappa delle aree visive
nel cervello umano,
potenzialmente omologhe
a quelle del macao,
individuate mediante recenti studi
di neurovisualizzazione.
c. Rappresentazione delle stesse
aree indicate in (b), realizzata
su un cervello umano appiattito
con sistema digitale.
Adattato da: Van Essen D.C.
et al. (1992) Science, 255, 420,
e da DeYoe E.A. et al. (1996)
Proc. Natl. Acad. Sci. USA, 93, 2384.
solaterale, omologhe a quelle che servono la memoria operativa nelle scimmie, sono coinvolte nel mantenimento dell'informazione verbale a breve termine. Inoltre, un gran
numero di studi (Petersen et al., 1988; 1989; Petrides et
al., 1993; Raichle et al., 1994; Buckner et al., 1996) ha
accumulato prove del fatto che una regione nella corteccia
prefrontale sinistra, vicina all'opercolo, eÁ deputata alla realizzazione di compiti linguistici (fig.10). Attualmente si
stanno progettando studi mirati per isolare in modo piuÁ
specifico il ruolo funzionale di quest'area nel linguaggio.
Dunque, gli studi di neurovisualizzazione sull'uomo config.10. La neurovisualizzazione
puoÁ fornire informazioni
importanti sulle abilitaÁ cognitive
esclusivamente umane.
In figura sono mostrati i risultati
di 8 distinti esperimenti PET
sulla cognizione, nei quali
i compiti studiati differivano
sentono di esplorare la base neuronale delle funzioni cognitive specificamente umane.
Scelta tra modelli psicologici specifici
Nella psicologia cognitiva si verificano spesso situazioni
in cui due o piuÁ teorie contrastanti spiegano ugualmente
bene un fenomeno. In alcuni casi, la neurovisualizzazione
puoÁ essere usata per fornire prove che aiutino a scegliere
una teoria piuttosto che un'altra. Gli esperimenti di neurovisualizzazione, per esempio, hanno fornito importanti evidenze che permettono di scegliere tra due modelli psicologici, prima indifferenziabili, riguardo al ruolo che svolge
l'attenzione spaziale nei compiti di ricerca visiva. Gli studi
psicologici sui paradigmi della ricerca visiva riportano curve con un aumento del tempo medio di scoperta dell'obiettivo in presenza di un aumento di fattori distraenti in con-
in molti aspetti, ma prevedevano
tutti un notevole impegno
di elaborazione verbale. I picchi
di attivazione rilevati nei diversi
esperimenti sono tracciati su uno
schema che rappresenta una
sezione trasversale del cervello.
Cortesia degli autori.
93
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ADINA L. ROSKIES, STEVEN E. PETERSEN
fig.11. La neurovisualizzazione
puoÁ fornire prove utili
per valutare l'attendibilitaÁ
di teorie psicologiche.
Con due esperimenti diversi
eÁ stato mostrato che una regione
della corteccia parietale
(indicata dalla freccia rossa)
eÁ coinvolta sia nel cambiamento
dell'attenzione spaziale (in alto)
che in un compito
di ricerca visiva
di congiunzioni di movimento
e di colore (in basso).
Questi due esperimenti,
hanno concordemente provato
che la ricerca di congiunzioni
richiede cambiamenti
dell'attenzione spaziale
di tipo seriale.
In entrambi i casi, eÁ riportata
sia la veduta sagittale (a sinistra)
che quella coronale (a destra).
Cortesia degli autori.
comitanza con i compiti di ricerca visiva. EÁ stato ipotizzato
che queste curve risultino o dal decrescere dell'efficienza
della ricerca parallela con piuÁ fattori distraenti o dal tempo
aggiuntivo richiesto per realizzare cambi seriali di attenzione rispetto agli oggetti a disposizione.
I soli studi comportamentali non erano in grado di distinguere tra i due modelli. Con una serie di esperimenti PET,
M. Corbetta e collaboratori hanno individuato le aree nella
corteccia parietale superiore che sono coinvolte nei cambiamenti di attenzione spaziale (fig.11). In uno studio successivo (Corbetta et al., 1995), questi autori hanno scoperto che
queste stesse regioni nella corteccia parietale superiore erano fortemente attivate nel corso di un compito di ricerca
sulla congiunzione, e cioÁ ha fornito una prova evidente che
il cervello impiega una strategia di ricerca seriale per questi
compiti di congiunzione, e non una ricerca parallela (v.
figura 11).
Prove a sostegno di ipotesi generali
sulla cognizione
I miglioramenti nella precisione e nella velocitaÁ con cui si
svolge un compito dopo un certo periodo di pratica sono stati
attribuiti o al miglioramento, con la pratica, dell'efficienza
operativa del sistema neuronale, o a un cambiamento nei
circuiti neuronali che svolgono compiti ben noti o praticati.
EÁ probabile che un'analisi attenta della letteratura sulle lesioni avrebbe potuto consentire agli scienziati di discriminare tra queste due possibilitaÁ, ma il tipo di cambiamento sotteso agli effetti della pratica eÁ divenuto chiaro soltanto quando tali effetti sono stati esaminati con l'uso dei metodi di
neurovisualizzazione. Numerosi studi sia sull'apprendimen-
to motorio che su quello cognitivo hanno dimostrato che
differenti circuiti del cervello si attivano in relazione all'automaticitaÁ di un compito, e che questi percorsi neuronali
possono cambiare nel giro di minuti. M.E. Raichle e collaboratori (1994) hanno dimostrato che un compito di risposta
verbale non preparato attiva sicuramente regioni del cingolo
anteriore prefrontale sinistro e delle cortecce temporali posteriori sinistre. Dopo un certo allenamento, le misure del
comportamento cambiano: le regioni menzionate precedentemente diminuiscono la loro attivazione, e la corteccia silviana insulare mostra un'attivazione piuÁ alta; lo schema dell'attivitaÁ non eÁ distinguibile da quello osservato in un semplice compito di ripetizione di parole. Di fronte a un nuovo
stimolo, gli schemi di attivazione si riconvertono in quelli di
un compito non preparato. Risultati simili, che mostrano un
cambiamento nell'architettura neuronale sottesa allo svolgimento di compiti semplici e sperimentati, sono stati forniti di
recente a proposito dell'apprendimento motorio e visuomotorio (Doyon et al., 1996). Ulteriori esplorazioni dei tempi di
cambiamento degli schemi e delle correlazioni con le variabili di comportamento getteranno nuova luce sui cambiamenti dei percorsi di elaborazione che accompagnano le
realizzazioni piuÁ complesse.
Risultati imprevisti e nuove problematiche
Oltre ad aiutare a far luce su problemi che la psicologia e
gli studi sulle lesioni non erano stati in grado di chiarire, la
neurovisualizzazione ha fornito alcuni risultati del tutto imprevisti, ma sicuramente attendibili, le cui implicazioni per
la teoria neuronale e psicologica restano oscure. Uno di
questi (fig.12) eÁ la scoperta decisamente importante che
una regione nella corteccia prefrontale dorsolaterale destra eÁ
coinvolta nel recupero di informazioni durante compiti di memoria episodica (Tulving et al.,
1994). Una cosõÁ chiara dissociazione del recupero della memoria episodica da altri tipi di
recupero della memoria non era
stata mai anticipata prima degli
studi di neurovisualizzazione e,
sebbene le implicazioni funzionali e cognitive di questa scoperta debbano ancora essere
fig.12. La regione nella corteccia
determinate, eÁ probabile che
frontale destra (freccia rossa)
possano influenzare in modo
fortemente coinvolta
significativo la nostra cononei compiti di memoria
scenza dell'organizzazione funche richiedono un recupero
zionale dei processi della medi informazione episodica.
Cortesia degli autori.
moria.
&
*................. ................................
Conclusioni
Numerosi e importanti progressi nella comprensione delle
basi neuronali della funzione cognitiva sono stati giaÁ compiuti grazie alle tecniche di neurovisualizzazione, e altri
senza dubbio verranno, dal momento che la nostra cono-
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VISUALIZZARE IL FUNZIONAMENTO DEL CERVELLO UMANO
scenza continua a crescere e le tecniche usate per investigare la cognizione continuano a migliorare. Gli studi PET e
fMRI sull'attivazione rappresentano veramente un matrimonio tra neuroscienza e psicologia, e forniscono sia una
migliore comprensione della cognizione e degli approcci
cognitivi sia una migliore conoscenza del cervello. EÁ necessario conoscere entrambi questi domini per poter apprezzare
le qualitaÁ e i limiti di queste tecniche e per potersi impegnare in modo critico nell'eccitante impresa di visualizzare
il funzionamento del cervello umano.
.......................... ....................... &
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