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LE
GUIDE
L
a terapia
ormonale nel
carcinoma
mammario
Fondazione Humanitas
Fondazione Federico Calabresi
L
a terapia
ormonale nel
carcinoma
mammario
Giovanna Masci
Chiara Gandini
Armando Santoro
Humanitas Cancer Center
Rozzano, Milano
PREMESSA
G
entile lettrice/lettore,
questo opuscolo è stato redatto
con un linguaggio semplice con l’intento
di offrire un supporto informativo concreto
per le donne che, come Lei, hanno appena
affrontato una diagnosi di tumore al seno e
desiderano capire più a fondo i presupposti
della terapia ormonale in questa patologia.
Siamo convinti che coinvolgere il paziente
nel processo decisionale è la linea di comportamento più sostenibile al fine di migliorare l’efficacia degli interventi terapeutici.
La conoscenza dei meccanismi biologici
con cui agisce una terapia, i risultati clinici
attesi, i sintomi con cui si manifestano gli
effetti collaterali acuti e tardivi, sono indispensabili per una cura corretta e consapevole.
I tipi di trattamento per la cura del carcinoma mammario possono essere locali o sistemici. Le terapie locali mirano ad asportare,
distruggere o controllare le cellule cancerose di una determinata zona.
3
La chirurgia e la radioterapia sono un
esempio di trattamento locale. Viceversa,
le terapie sistemiche, come la chemioterapia e la terapia ormonale, mirano a
distruggere e controllare le cellule tumorali
diffuse in tutto l'organismo. Una singola
paziente potrà ricevere solo una forma di
trattamento o una combinazione di questi
praticati uno alla volta o in successione.
Il tamoxifene ha rappresentato per oltre
30 anni il farmaco di riferimento per la
terapia ormonale del tumore mammario
ma oggi grazie alla ricerca costante di
nuovi metodi terapeutici, le donne affette
da tumore possono contare su ulteriori e
diverse possibilità di cura e nutrire maggiori speranze di sopravvivenza. In tempi più
recenti, ulteriori opportunità terapeutiche
sono sorte con la scoperta di una nuova
classe di molecole ormonali note con
il nome di inibitori dell’aromatasi.
Di seguito tratteremo con maggiore dettaglio singolarmente questi utilissimi paladini
ormonali anti-tumorali.
4
Carcinoma
mammario:
da dove nasce?
P
er comprendere i meccanismi che
stanno alla base del trattamento
ormonale nel carcinoma mammario è indispensabile qualche cenno di anatomia e
di fisiologia umana. Nella donna adulta la
mammella è composta da un insieme di
elementi epiteliali e stromali.
Gli elementi epiteliali sono costituiti da
una serie di dotti ramificati, che collegano
al capezzolo le unità strutturali e funzionali della mammella, i lobuli. Lo stroma è
composto da tessuto adiposo e da tessuto
connettivo fibroso e costituisce la maggior
parte del volume della mammella nello stato
di non allattamento e dopo la menopausa.
Negli anni dopo la pubertà, i dotti terminali
danno origine a germogli sacculari e durante la gravidanza da ciascun germoglio si sviluppano le ghiandole che secernano
il latte (Fig.1).
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Fig. 1
ANATOMIA NORMALE
Tessuto adiposo
sottocutaneo
Dotto segmentale
Dotto segmentale
Seno lattifero
Dotto lattifero
Superficie
del capezzolo
Il carcinoma mammario è un tumore maligno che origina per lo più dagli elementi
epiteliali, e si distingue in carcinoma duttale
e carcinoma lobulare. Il carcinoma duttale,
è il più frequente e si sviluppa a partire dalle
cellule epiteliali che rivestono i dotti lattiferi,
che sono i piccoli canali che hanno la funzione di portare il latte al capezzolo dopo la
gravidanza. Il carcinoma lobulare si sviluppa
nei lobuli, ossia nel tessuto ghiandolare più
propriamente deputato alla produzione del
latte. Il segno più evidente di un tumore al
seno è un nodulo indolente, di consistenza
duro-lignea che solitamente viene riscontrato
6
dalla donna stessa, specie durante la doccia.
Ma è evidente che la migliore arma di difesa è
scoprire il nodulo in una fase ancora più precoce di quello che è avvertito con l’autopalpazione. Questo è ottenibile, sottoponendosi a
controlli periodici con mammografia, ecografia e visita senologica in modo da scoprire il
prima possibile una anomalia e poter intervenire immediatamente e risolvere il problema
al meglio.
Le cellule tumorali sono dotate di potere
invasivo e oltre a invadere i tessuti circostanti,
dal nodulo originario, seguendo la corrente
linfatica, possono raggiungere le ghiandole linfatiche poste al cavo ascellare. Se raggiungono
la circolazione sanguigna possono localizzarsi
in organi a distanza dalla mammella; in genere
si localizzano al fegato, alle ossa e ai polmoni
costituendo la metastasi.
Le cellule che compongono la ghiandola mammaria normale sono influenzate dall’azione
degli ormoni femminili che a loro volta vengono prodotti principalmente dall’ovaio e sono
noti con il nome di estrogeni e progesterone.
Infatti le cellule della ghiandola mammaria
esprimono sulla loro membrana i recettori
per l’estrogeno e per il progesterone.
Cosa sono i recettori ? Sono delle proteine
disposte sulla membrana delle cellule che,
per rendere l’idea, formano come una sorta
7
di tasca capace di accogliere e legare gli
ormoni femminili.
Fisiologicamente il complesso costituito dal
legame dell’estrogeno al suo recettore viene
traslocato nel nucleo della cellula, agisce sul
DNA e stimola la sintesi di nuove proteine
con l’evento finale di indurre la proliferazione della cellula stessa.
Questo effetto recettore-estrogeno è ovviamente un effetto benefico sulla ghiandola
mammaria normale poiché, in condizioni
fisiologiche, comporta per esempio la proliferazione delle cellule che producono il latte.
Al contrario invece l’effetto non è affatto vantaggioso in presenza di una cellula tumorale
che al pari delle cellule del tessuto ghiandolare normale è anch’essa in grado di esprimere
sulla propria membrana i recettori per gli
ormoni femminili.
In presenza di una cellula tumorale il legame
dell’estrogeno al recettore presente sulla
membrana della cellula tumorale stessa può
causare la sua suddivisione; in tal caso la cellula tumorale è favorita nel suo processo di
moltiplicazione e di dispersione tramite la
circolazione sanguigna o linfatica nell’organismo costituendo così la metastasi. Per questo
motivo è assolutamente controindicato l’utilizzo di una terapia ormonale in presenza di
un tumore mammario.
8
Al contrario nel momento in cui le cellule
tumorali richiedono gli estrogeni per la propria proliferazione, l’approccio più semplice
per impedire loro di svilupparsi è quello
di privarle di tali sostanze. I meccanismi
fondamentali utilizzabili sono: inibizione
dell’attività delle ovaie che sono la principale fonte di estrogeni, questa inibizione
può essere a sua volta ottenuta tramite
l’asportazione chirurgica o con l’impiego di
farmaci noti col nome di LH-RH analoghi;
un altro meccanismo consiste nell’impedire
alla cellula tumorale di utilizzare gli estrogeni prodotti come nel caso del tamoxifene
o nell’inibire la produzione degli estrogeni
come nel caso degli inibitori dell’aromatasi.
Dei meccanismi d’azione di questi farmaci
parleremo più avanti.
9
QUANDO E A CHI
VIENE PROPOSTA
LA TERAPIA
ORMONALE?
L
a terapia ormonale viene proposta a
tutte le donne il cui tessuto tumorale esprime i recettori per gli ormoni.
Per sapere se si è candidate a una terapia
ormonale è sufficiente leggere e interpretare con l’aiuto dell’oncologo il risultato
dell’esame istologico del tumore asportato.
Nell’esame istologico vengono riportate
le principali caratteristiche biologiche del
tumore. Si tratta di una serie di esami condotti sulle cellule tumorali che ne indicano
l’aggressività e che costituiscono i cosiddetti fattori prognostici, utili per calcolare sia
il rischio che la malattia si ripresenti a
distanza in futuro e sia per formulare il
programma di trattamento più idoneo per
evitare il più possibile questa evenienza.
L’esame istologico riporta infatti il tipo istologico del tumore se maligno o benigno,
se di tipo duttale o lobulare, la dimensione
in centimetri del tumore (T), il numero
dei linfonodi loco-regionali interessati dal
tumore (N), il grado di differenziazione del
10
tumore (G), l’invasione dai vasi sanguigni da
parte delle cellule tumorali, la capacità proliferativa delle cellule tumorali, l’espressione
o meno di una proteina dotata di potere prognostico, nota con il nome di HER-2 e, infine
riporta informazioni sulla presenza o meno
dei recettori ormonali. Per una maggiore
comprensione, ricordiamo che all’esame
microscopico, in base ad un insieme di caratteristiche citologiche e architettoniche delle
cellule tumorali, i carcinomi si dividono in
tre gradi: ben differenziati (G1), moderatamente differenziati (G2) e scarsamente differenziati (G3). Mentre, la capacità di proliferare delle cellule tumorali che è una stima del
potenziale di aggressività del tumore viene
espresso in percentuale con lo studio di una
proteina nucleare che nell’esame istologico
figura con il termine di K-67 o Mib-1.
Anche la presenza dei recettori viene
espressa in percentuale e vengono distinti
in recettori per l’ormone estrogeno e in recettori per il progesterone. Generalmente, la
presenza di entrambi i recettori condiziona
una più elevata risposta alla terapia ormonale. Tuttavia, tutte le donne con tumore
positivo per i recettori, anche se debolmente
espressi, sono candidate a un trattamento
ormonale.
11
A questo punto potrebbe sorgere una domanda. Perché il trattamento ormonale viene
proposto anche in quei casi in cui la lesione
tumorale è stata completamente asportata con
l’intervento chirurgico?
La risposta a questa domanda introduce
l’importante concetto (che riguarda anche
la chemioterapia) che è noto col termine di
trattamento precauzionale o adiuvante.
Anche quando il tumore è stato rimosso
chirurgicamente resta il rischio che alcune
cellule tumorali possano avere già abbandonato la sede primitiva del tumore mammario ed
essere in circolo. Allo stato attuale non siamo
dotati di mezzi diagnostici per individuare una
sola cellula tumorale o un piccolo gruppo di
esse disperse nell’organismo umano.
Gli esami che possono essere richiesti per
studiare le ossa (scintigrafia ossea), il fegato
(ecografia, TAC o RMN addome) e i polmoni
(Rx o TAC torace) o tutto il corpo (PET scan )
sono in grado di individuare solo un accumulo
consistente di cellule tumorali mentre non
segnalano la presenza di una o poche cellule
tumorali.
In questa fase, con la chemioterapia e la terapia ormonale si tenta di distruggere queste
eventuali cellule tumorali distanti dal focolaio
tumorale primitivo, aumentando, quindi la
12
probabilità di guarigione. La possibilità di
distruggere le micrometastasi assicura una
guarigione completa dalla malattia mentre
la presenza della metastasi, pur essendo
curabile, rappresenta già una fase avanzata
della progressione tumorale.
Le terapie precauzionali sono riservate a
portatori di neoplasie ad alto rischio di
ricaduta e trattandosi di pazienti potenzialmente già guariti dalla terapia loco-regionale
(radioterapia e chirurgia), è indispensabile
tenere nella massima considerazione la possibile tossicità del trattamento precauzionale
sia a breve che a lungo termine e informare
adeguatamente il paziente.
I principali fattori di rischio per ricaduta a
distanza sono la dimensione del tumore, la
numerosità dei linfonodi ascellari metastatici, il grado 3 di differenziazione delle cellule
tumorali, la presenza di cellule tumorali nei
vasi sanguigni, la presenza della proteina
HER-2 e l’assenza dei recettori ormonali.
Generalmente alle pazienti con tali fattori
di rischio viene proposto un trattamento
chemioterapico precauzionale mentre
l’indicazione al trattamento ormonale è
indipendente da tali fattori e dipende unicamente dalla presenza o meno dei recettori
ormonali.
13
In caso di presenza della proteina HER-2 è
indicato un farmaco sistemico, non appartenente alla categoria dei chemioterapici, noto
con il nome di trastuzumab. Questo farmaco,
come il capostipite tamoxifene, appartiene
alla categoria dei cosiddetti “ farmaci intelligenti”, si tratta di farmaci diretti contro un
bersaglio ben specifico, nel caso del tamoxifene il bersaglio è dato dal recettore per l’estrogeno/progestinico mentre del caso
di trastuzumab il bersaglio è rappresentato
dalla proteina HER-2.
14
TAMOXIFENE
I
l tamoxifene è considerato il farmaco
"storico’’ poiché è stato registrato in
Italia oltre 30 anni fa. Esso, ad oggi, somministrato alla dose di 20 mg die per 5 anni
è il farmaco di riferimento, associato o
meno ad LH-RH analogo, per il trattamento
adiuvante delle donne in premenopausa.
Si è dimostrato in grado di migliorare sia
la sopravvivenza libera da malattia sia la
sopravvivenza globale.
Agisce legandosi in maniera competitiva
al recettore per l’estrogeno. Il legame
del tamoxifene al recettore comporta nel
caso della cellula neoplastica, un freno alla
capacità di questa di proliferare. In effetti, il
tamoxifene più che la proprietà di uccidere
la cellula tumorale (azione citocida) ha la
capacità di frenarne la crescita (azione citostatica). Questo spiega i tempi lunghi del
trattamento ormonale che in fase precauzionale viene consigliato per un periodo di
cinque anni. Durante questo periodo, sotto
15
l’azione del tamoxifene la cellula tumorale
non è indotta a moltiplicarsi e quindi più
facilmente viene individuata dalle cellule del
sistema immunitario e con buone probabilità
uccisa. Si riduce così il rischio di metastasi.
Il farmaco viene utilizzato anche nella fase
metastatica e come chemiopreventivo nelle
donne considerate ad alto rischio di sviluppare un tumore mammario.
In cosa consiste la chemioprevenzione? Consiste in un piano di trattamento finalizzato a
prevenire l’insorgenza dei tumori mediante
la somministrazione di farmaci o di sostanze
naturali in grado di interferire con il processo
di cancerogenesi, cioè con la trasformazione
di una cellula normale in cellula tumorale.
Questo processo richiede diversi anni per
essere completato ed alcune molecole hanno
dimostrato in modelli preclinici di essere in
grado di bloccare alcune tappe. Nel caso del
tumore della mammella, il tamoxifene quando somministrato a donne sane ma con alto
rischio di ammalarsi di tumore al seno, ha
già dimostrato di essere in grado di ridurre
di circa la metà la probabilità di insorgenza di
un tumore mammario con recettori ormonali
positivi con una efficacia simile sia nelle donne in età fertile che in postmenopausa.
Anche un derivato della vitamina A, noto
16
con il nome di fenretinide, ha dimostrato di
essere in grado di ridurre di circa un terzo la
probabilità di insorgenza di un nuovo tumore
mammario nelle donne in premenopausa.
Quali sono le donne candidate a un programma di chemioprevenzione? Generalmente
essa viene proposta a donne sane ma con alto
rischio, specie per storia familiare o personale di sviluppare nel corso della loro vita un
carcinoma mammario. Si tratta di donne con
una storia familiare positiva per tumore della
mammella, e a maggiore rischio risultano
le donne con parenti di primo grado come
madre, figlia, una o più sorelle. Grazie all’affinamento delle tecniche di studio dei geni,
oggi si sa che alcune donne con una storia
familiare di carcinoma mammario hanno dei
geni alterati che possono essere trasmessi per
via ereditaria. I più noti geni implicati sono
BRCA-1 e BRCA-2.
Oltre alla storia familiare, la diagnosi di un’alterazione pre-tumorale della mammella costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo
di un carcinoma mammario. La più frequente
alterazione pre-tumorale è il carcinoma in situ.
In esso sono presenti le alterazione morfologiche tipiche delle cellule neoplastiche ma,
interessando solo le cellule epiteliali superficiali dei dotti e dei lobuli, non si traducono in
17
un potenziale invasivo. La chirurgia, pertanto,
rappresenta il trattamento di scelta definitivo.
Questa forma pre-tumorale però si associa ad
un rischio fino al 20% di ripresentarsi in futuro
sia sempre come forma in situ che come tumore invasivo. Per tale motivo è stata valutata
l’efficacia del tamoxifene nel ridurre questo
rischio ma i risultati degli studi al momento
non sono uniformi e soprattutto non hanno
dimostrato un vantaggio sulla mortalità dopo
diagnosi di carcinoma in situ. Alla luce di tale
dato l’indicazione al trattamento con tamoxifene dopo una diagnosi di carcinoma in situ con
recettori ormonali positivi non è al momento
uno standard, e va attentamente considerata
nell’ambito del profilo di rischio generale della
donna.
Attualmente gli studi di chemioprevenzione
sono in fase di evoluzione e vengono condotti
in pochi centri oncologici ma ancora molte
sono le problematiche aperte e irrisolte ad essi
connessi. In particolare esistono problemi per
la corretta selezione delle donne da sottoporre
a tali trattamenti e per gli effetti collaterali a
lungo termine ad essi correlati, pertanto una
estensione del loro impiego nella pratica clinica deve essere supportata da ulteriori studi.
I principali effetti collaterali del tamoxifene
18
sono in parte correlati alla sua azione estrogenica. Infatti, pur essendo un antiestrogeno, i
livelli di estrogeni nelle donne che assumono
il tamoxifene è generalmente più alto.
Il tamoxifene aumenta il rischio di tumori
dell’endometrio, questo rappresenta la maggiore fonte di timore per le donne candidate
alla terapia con tamoxifene. Questo rischio,
peraltro, non dovrebbe essere sopravalutato.
Infatti, grazie all’aiuto della tecnologia e con
la collaborazione dei ginecologi si tratta di un
rischio facilmente prevenibile e non rappresenta un vero problema. Alle donne in terapia
con tamoxifene viene richiesta periodicamente una ecografia trans-vaginale, questo esame
permette l’individuazione di un eventuale
degenerazione tumorale dell’utero in fase cosi
precoce da evitare seri problemi.
Un altro effetto collaterale della terapia con
tamoxifene è rappresentato da una maggiore
incidenza di trombosi venosa profonda. Ma
anche in questo caso, una attenta anamnesi
con l’individuazione dei fattori di rischio per
eventi trombotici familiari e personali prima
dell’inizio della terapia ormonale e un’adeguata valutazione dei sintomi ai controlli clinici
periodici sono in grado di limitare questo
effetto indesiderato che peraltro riguarda solo
l’1-2% dei casi.
19
Particolarmente sgradita alle donne è la capacità
del tamoxifene di aumentare il peso corporeo.
In questo caso va precisato che l’aumento è di
modesta entità ed è correlato non ad un aumento del tessuto adiposo ma ad un aumento della
ritenzione idrica. E’ sufficiente una sana alimentazione, una maggiore cura del proprio corpo e
lo svolgimento di una regolare attività fisica per
evitare questo spiacevole inconveniente.
Altri effetti collaterali frequentemente riportati
ma per lo più privi di seria importanza clinica
sono l’accentuazione di alcuni disturbi tipici
della menopausa quali: vampate di calore,
sudorazioni, facile irritabilità, insonnia. Più raramente possono verificarsi: secrezione e perdite
ematiche vaginali, crampi muscolari, vertigini,
maggiore incidenza di cataratta e retinopatie.
Nel complesso gli effetti collaterali del tamoxifene sono modesti e quasi mai di entità tale da
indurre l’interruzione del trattamento con un
evidente rapporto rischio/beneficio a favore
della terapia ormonale.
Va considerato che l’uso del tamoxifene ha
anche effetti positivi, ad esempio sul colesterolo
sui vasi sanguigni e sulle ossa, riduce infatti nel
tempo l’insorgenza di fratture da osteoporosi e
diminuisce la mortalità per malattie del cuore.
20
DERIVATI DEL
TAMOXIFENE:
ORMONI SERM
N
el tentativo di migliorare il beneficio
clinico riducendo gli effetti collaterali del tamoxifene, sono stati recentemente
studiati nuovi ormoni derivati del tamoxifene. Questi nuovi composti vengono designati con la sigla SERM (dall’inglese selective
estrogen receptor modulators) che significa
modulatori selettivi del recettore per gli
estrogeni. In che consiste la differenza con
il capostipide tamoxifene?
Come sappiamo l’attività antiestrogenica
del tamoxifene si esplica in alcuni tessuti
come quello mammario e questo effetto
costituisce l’effetto terapeutico desiderato
(azione anti-estrogenica, nota come effetto
antagonista), mentre lo stesso tamoxifene in
altri tessuti, come l’utero, è dotato di effetti
estrogenici e questo comporta gli effetti
indesiderati che già abbiamo visto in precedenza (effetto estrogeno–simile o agonista).
I SERM diversamente dal tamoxifene sono
degli antiestrogeni puri, ossia dotati di sola
21
azione antagonista. Pertanto, i SERM hanno
una minore azione estrogeno-simile sull’utero e quindi potenzialmente inducono meno
effetti collaterali. Di questa nuova famiglia di
ormoni fa parte il e fulvestrant. Questo farmaco è stato registrato in Italia nel 2006 e da
allora rappresenta una valida arma terapeutica
per il trattamento della malattia metastatica
anche nelle pazienti che avevano già utilizzato
il tamoxifene.
22
INIBITORI
DELL'AROMATASI
S
empre nuove evidenze scientifiche
stanno imponendo gli inibitori dell'aromatasi come farmaci ormonoterapici del futuro, potenzialmente anche in chiave preventiva.
Una serie di studi clinici ha dimostrato come
gli inibitori dell'aromatasi, rispetto al tamoxifene, sono più efficaci nel ridurre il rischio
di recidiva di cancro mammario sia quando
sono usati in monoterapia sia dopo 2-3 anni di
tamoxifene (cosiddetto switch).
In cosa differisce il meccanismo d’azione antiestrogenico rispetto al tamoxifene?
Il principale meccanismo d’azione delle terapie
ormonali è quello di antagonizzare l’effetto
degli estrogeni. Questa azione può essere esercitata sia bloccando l’attività degli estrogeni,
attraverso un’azione competitiva sul recettore,
come nel caso del tamoxifene o di altri ormoni
anti-estrogeni, sia bloccandone la sintesi, ad
esempio con gli inibitori dell’aromatasi.
In effetti l’ormone estrogeno non viene
prodotto solo dall’ovaio ma specie in postme23
nopausa viene prodotto anche dai tessuti
periferici, in particolare dal tessuto della
ghiandola surrenalica, dal tessuto grasso, dal
fegato e anche dallo stesso tessuto tumorale.
In questi tessuti è possibile la conversione
del colesterolo e degli ormoni maschili (androgeni) in estrogeno ad opera di un enzima
noto col nome di aromatasi. Questa classe di
farmaci è in grado di inibire proprio l’azione
dell’enzima aromatasi, bloccando cosi la
biosintesi di estrogeno ‘’a monte’’ con una
riduzione dei suoi livelli sierici pari a circa
il 90%.
A questa classe di farmaci appartengono:
anastrozolo, letrozolo, exemestane.
Il grande interesse degli oncologi nei confronti di questa classe di farmaci è dettato
dalla capacità di essi di controllare la malattia
metastatica, anche in donne già trattate con
tamoxifene o divenute resistenti alla terapia
con esso oltre che dalla apparente migliore
tolleranza clinica. Infatti, gli inibitori dell’aromatasi possiedono non solo un profilo
tossicologico migliore rispetto al tamoxifene
ma hanno dimostrato una maggiore efficacia
nella fase precauzionale nelle pazienti in
postmenopausa.
Questi ormoni sono pertanto diventati i
farmaci di riferimento in fase precauzionale
24
principalmente in donne in postmenopausa.
In particolare il loro utilizzo è raccomandato
già da subito (up-front) nelle pazienti considerate a maggiore rischio di recidiva nei
primi 2-3 anni. Mentre nelle pazienti a minor
rischio di ripresa della malattia possono
essere utilizzati in sequenza dopo 2 anni di
tamoxifene. Nelle donne in premenopausa
i dati con gli inibitori dell’aromatasi (sempre
in associazione all’analogo dell’LH-RH) sono
molto più limitati rispetto a quelli in donne
in postmenopausa. Pertanto il loro impiego
dovrebbe essere al momento riservato a
situazioni in cui il tamoxifene può essere
controindicato per il rischio di effetti collaterali (terapia precauzionale) oppure è stato già
utilizzato (malattia avanzata).
In sintesi, al momento il tamoxifene (in
associazione o meno all’analogo dell’LH-RH)
rappresenta ancora la terapia d’elezione nel
trattamento del carcinoma mammario in premenopausa mentre nelle donne in postmenopausa gli inibitori dell’aromatasi dovrebbero
essere sempre impiegati in qualche tempo del
trattamento precauzionale.
Gli inibitori dell’aromatasi sono generalmente
associati a effetti collaterali di natura lieve o
moderata. La maggior parte delle reazioni
avverse può essere attribuita alle conseguenze
25
della soppressione dei livelli di estrogeni, quali vampate di calore, artalgia e mialgia (dolori
alle articolazioni o ai muscoli). Il trattamento
con inibitori dell’aromatasi può essere associato anche a osteoporosi e raramente a fratture
scheletriche.
26
LH-RH ANALOGHI
C
ome già detto la sorgente principale
di estrogeni circolanti nelle donne in
premenopausa è rappresentata dall’ovaio che a
sua volta viene stimolato a produrre estrogeni
da altri ormoni prodotti in sede encefalica noti
con il nome di LH e FSH (gonadotropine,
ossia stimolatori delle gonadi).
La somministrazione ciclica e prolungata di LHRH analoghi è capace di inibire la secrezione
di FSH e LH con conseguente inibizione della
produzione di estrogeni da parte dell’ovaio.
Questa classe di molecole è in grado di operare
una castrazione chimica con un effetto equivalente a quanto ottenibile con l’asportazione
chirurgica delle ovaie. Proprio la disponibilità
di questi farmaci è stata in grado di soppiantare
il ricorso all’intervento chirurgico di ovariectomia.
Per queste proprietà gli LH-RH analoghi sono
utilizzati, solitamente insieme alla terapia con
tamoxifene nelle donne in premenopausa
27
affette da carcinoma mammario con recettori
positivi. Il periodo di cura in fase precauzionale si protrae generalmente per 3 anni.
Si somministrano per via intramuscolare con
cadenza mensile o trimestrale.
La loro tossicità è caratterizzata dai disturbi
tipici della menopausa (vampate di calore,
cefalea, irritabilità, spotting vaginale) nonché possibile irritazione locale nella sede di
iniezione.
28
PROGESTINICI
I
composti ormonali progestinici più comunemente utilizzati nel trattamento del
carcinoma della mammella sono il medrossiprogesterone acetato e il megestrolo acetato.
Questi composti esplicano attività antitumorale attraverso un duplice meccanismo:
uno diretto a livello della cellula tumorale e
uno correlato alla soppressione degli estrogeni. Sono farmaci utilizzati nel carcinoma
mammario avanzato, in genere come terapia
di terza- quarta linea dopo la terapia con
antiestrogeni e con inibitori dell’aromatasi.
Sono in grado di indurre buone risposte
obiettive specie nelle pazienti con recettori
progestinici positivi. Inoltre, sono composti
capaci di combattere l’anoressia e il dolore,
disturbi talvolta presenti nei pazienti affetti
da tumore. La loro assunzione aumenta il
senso di benessere e l’assunzione di cibo ed
è in grado di assicurare una buona qualità
di vita specie nelle pazienti in condizioni
generali più compromesse.
29
Gli effetti collaterali più frequenti ma in
genere di modesta entità sono: aumento
di peso corporeo, tromboflebite, aumento
della pressione arteriosa, comparsa di crampi
muscolari, e talvolta irsutismo, tremori e
ipercalcemia.
30
TERAPIA
ORMONALE NELLA
FASE METASTATICA
DEL TUMORE
MAMMARIO
L
a terapia ormonale ha un ruolo decisivo per il controllo della malattia
metastatica che può essere ottenuto anche
per lunghi periodi di tempo e soprattutto
a basso costo di tossicità.
Nelle pazienti con presenza all’esordio
di metastasi localizzata solo in sede ossea
la terapia ormonale può rappresentare
il primo presidio terapeutico adottato.
Mentre nelle donne con più sedi metastatiche, con metastasi coinvolgenti
organi vitali, come polmone e fegato, o
con malattia molto aggressiva, la terapia
ormonale viene generalmente utilizzata al
termine di un trattamento chemioterapico
con lo scopo di mantenere il più possibile
la risposta terapeutica ottenuta precedentemente con i chemioterapici. Inoltre, la
terapia ormonale per l’ottima tollerabilità
può rappresentare nelle donne anziane o
con patologie concomitanti la sola scelta
terapeutica proponibile.
31
In questi ultimi anni gli inibitori dell’aromatasi
e il fulvestrant hanno dato un significativo
impulso nel trattamento ormonale delle donne con carcinoma metastatico specie in quelle
con malattia resistente al tamoxifene. Attualmente pertanto le donne in fase metastatica
della malattia possono contare su almeno
quattro o più linee di cura di terapia ormonale. Una interessante opportunità terapeutica è
rappresentata dall’associazione di un inibitore
dell’aromatasi con l’immunoterapico trastuzumab. Tali farmaci in associazione, si sono
dimostrati in grado di controllare la malattia
tumorale nelle pazienti il cui tumore mammario esprime sia i recettori per gli ormoni
che la proteina HER-2.
32
N
ell’augurarci che il presente opuscolo possa servire a fugare dei
dubbi sull’impiego della terapia ormonale e
a fornire delle risposte ai tanti interrogativi
che senz’altro le donne si pongono nel loro
quotidiano utilizzo della ’pillola’ ormonale,
ribadiamo che esso non vuole sostituire il
colloquio diretto con la paziente, impegno
che consideriamo insostituibile, per chiarire
ulteriori dubbi e incertezze.
Ci auguriamo, inoltre, che attraverso le righe
di questa breve lettura sia trapelata l’importanza che i farmaci ormonali, per la loro
ottima tolleranza e per l’efficacia di cui sono
dotati assumono come validi strumenti di cura
nel carcinoma mammario.
33
APPUNTI
34
APPUNTI
35
Opuscoli pubblicati
Combattere il dolore per combattere senza il dolore
E. Arcuri
Consigli alimentari durante il trattamento oncologico
M. Antimi, A. M. Vanni
Radioterapia. Guida pratica per il paziente
U. De Paula
Quello che è importante sapere sul carcinoma del
colon-retto
G. Mustacchi, R. Ceccherini
Ipertrofia prostatica benigna: guida per il paziente
M. Lamartina, M. Rizzo, G. B. Ingargiola,
M. Pavone Macaluso
Trapianto di midollo osseo o di cellule staminali
periferiche
M. Vignetti, A. P. Iori
La dieta nel paziente con insufficienza renale cronica
B. Cianciaruso, A. Capuano, A. Nastasi
Chemioterapia... se la conosci, non la temi
T. Gamucci, S. De Marco
Sopravvivere al cancro infantile. Tutto è bene quel
che finisce bene
J. E. W. M. Van Dongen - Melman
Mieloma Multiplo
A. Nozza, A. Santoro
Neoplasie del colon-retto. Una terapia per ogni paziente
G. Beretta, R. Labianca, A. Sobrero
Occhio... alla bocca
F. Cianfriglia, A. Lattanzi
Occhio a quel neo che cresce!
I. Stanganelli
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Tumori e AIDS: prevenzione e terapia
G.D. Vultaggio, U. Tirelli
La terapia ormonale nel carcinoma mammario
Giovanna Masci, Armando Santoro
Il tumore del pancreas
Roberto Labianca, Giordano D. Beretta, Alberto Zaniboni,
Luigina Rota
I tumori dei giovani adulti - La mammella
Eugenio Cammilluzzi, Antonio Maria Alberti et al.
Perché devo smettere di fumare
Massimo Pasquini, Cora N. Sternberg
Perché proprio a me? - Come affrontare il disagio
emotivo quando si ha un tumore
Barbara Barcaccia, Teresa Gamucci
Nausea e vomito da chemioterapia: cosa fare?
Sonia Fatigoni, Mara Picciafuoco, Fausto Roila
Un aiuto al paziente con reazioni cutanee in corso
di terapia con Cetuximab
Olga Martelli, Andrea Mancuso, Samantha Marenda,
Roberto Labianca
Un gioco da ragazze - Prevenire il carcinoma della
cervice uterina con il vaccino Anti Papilloma Virus (HPV)
Rosa Giuliani, Leonardo Emberti Gialloreti,
Cora N. Sternberg
Insieme, contro il tumore del polmone
Alain Gelibter, Anna Ceribelli
L’ascite neoplastica: come, quando e perché
Giovanni Scambia, Domenica Lorusso,
Maria Claudia Masi, Antonella Pietragalla
E’ possibile stampare le Guide in formato pdf
dal sito http:///www.accmed.org/ffc
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Finito di stampare nel mese di febbraio 2011
da Pubblimax srl - Roma
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