Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 La trasposizione Abbiamo appreso che il DNA di un organismo non resta invariato nel corso della vita dell’organismo stesso. Nel Capitolo 18 abbiamo visto come il DNA possa subire dei danni ed essere riparato e come possa risultare mutato proprio in seguito al riparo. Nel Capitolo 20 abbiamo visto che il DNA può essere soggetto a fenomeni di ricombinazione per dare luogo a nuovi geni. Il DNA può, inoltre, essere soggetto a ricombinazione sito-specifica, per la quale è richiesta una omologia di sequenza molto meno elevata rispetto a quella necessaria per la ricombinazione omologa. Questo tipo di ricombinazione interessa, nella maggior parte dei casi, sequenze di DNA definite, da cui il termine “sito-specifica”. Un esempio lampante è rappresentato dall’inserzione del DNA del fago λ all’interno del DNA dell’ospite, come accade in E. coli, e dalla successiva escissione del DNA fagico. Al contrario, la trasposizione richiede un minimo di omologia tra le due molecole di DNA che ricombinano e perciò non è sito-specifica. La trasposizione sarà l’argomento di questo capitolo. 21.1 I trasposoni batterici Quando si verifica un evento di trasposizione, un elemento trasponibile, o trasposone, si sposta da una regione di DNA a un’altra. Barbara Mc-Clintock fu la prima a scoprire i trasposoni negli anni ’40 durante i suoi studi sulla genetica del mais. Da allora, i trasposoni sono stati trovati in tutti i tipi di organismi, dai batteri all’uomo. Iniziamo a parlare dei trasposoni batterici. La scoperta dei trasposoni batterici James Shapiro e altri studiosi gettarono le fondamenta per la scoperta dei trasposoni batterici con la loro scoperta, nei tardi anni ’60, di mutazioni fagiche che non si comportavano in maniera canonica. Per esempio, non revertivano immediatamente come invece fanno le mutazioni puntiformi, e i geni mutanti contenevano lunghi tratti di DNA extra. Shapiro dimostrò questo fenomeno avvalendosi del fatto che occasionalmente il fago λ, si appropria di un pezzo del DNA dell’ospite durante l’infezione litica delle cellule di E. coli, incorporando il DNA “di passaggio” nel proprio genoma. Shapiro fece in modo che le particelle di fagi λ si appropriassero sia di un gene di E. coli di tipo selvatico necessario per l’utilizzazione del galattosio (gal+) che della sua controparte mutante (gal–) e, successivamente, misurò le dimensioni delle molecole ricombinati di DNA Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W2 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA Parte VII che contenevano il DNA di λ assieme a quello dell’ospite. Misurò le dimensioni delle molecole di DNA misurando le densità dei due tipi di fagi utilizzando la centrifugazione a gradiente di cloruro di cesio (Capitolo 18). Dal momento che il rivestimento del fago è costituito da proteine e possiede sempre lo stesso volume, e poiché il DNA è molto più denso di una proteina, maggiore è la quantità di DNA che il fago contiene maggiore sarà la sua densità. Il risultato fu che i fagi che contenevano il gene gal- avevano una densità maggiore di quelli che contenevano il gene gal+ e quindi lo avevano mutato. Infatti, esperimenti successivi avevano rivelato la presenza di inserti di 800-1400 bp nel gene gal mutante che non erano stati ritrovati nel gene di tipo selvatico. Nei rari casi in cui questi mutanti avevano revertito, avevano anche perduto il DNA extra. Queste molecole extra di DNA che potevano inattivare un gene attraverso l’inserzione proprio all’interno del gene stesso, erano i primi trasposoni scoperti nei batteri e vengono chiamate sequenze di inserzione (IS). Le sequenze di inserzione: i più semplici trasposoni batterici Le sequenze di inserzione batteriche contengono solo gli elementi necessari per la trasposizione. Il primo di questi elementi è un gruppo di sequenze particolari localizzate all’estremità del trasposone, una delle quali è la ripetizione invertita dell’altra. Il secondo elemento è un gruppo di geni che codificano gli enzimi che catalizzano la trasposizione. Dal momento che le estremità di una sequenza di inserzione sono invertite, se una estremità della sequenza di inversione è 5′-ACCGTAG, l’altra estremità sarà quella complementare invertita: CTACGGT-3′. Le sequenze invertite qui riportate sono ipotetiche e servono a illustrare il punto centrale della questione. Le sequenze di inversione tipiche possiedono ripetizioni invertite anche più lunghe, da 15 a 25 coppie di basi. IS1, per esempio, possiede delle ripetizioni invertite lunghe 23 bp. Trasposoni più grandi possono avere delle ripetizioni invertite lunghe anche fino a centinaia di basi. Stanley Cohen ha fornito una dimostrazione grafica delle sequenze invertite poste alle estremità dei trasposoni con l’esperimento illustrato in Figura 21.1. Cominciò con un plasmide contenente un trasposone con la struttura mostrata nella parte alta a sinistra della Figura 21.1a. Il plasmide originale era legato alle estremità del trasposone, che erano ripetizioni invertite. Cohen pensò che se il trasposone realmente avesse avuto delle ripetizioni invertite alle proprie estremità, sarebbe stato possibile separare i due filamenti del plasmide ricombinante per ottenere che le ripetizioni invertite su un filamento si appaiassero con le complementari sull’altro, formando una struttura a forcina con un gambo, come quella mostrata nella parte destra della Figura 21.1a. Il gambo è quello costituito dal DNA a doppio filamento composto dalle due ripetizioni invertite: le anse, invece, sono quelle costituite dal resto del DNA a singolo filamento. La foto al microscopio elettronico riportata in Figura 21.1b mostra l’attesa struttura a forcina con il gambo. La parte principale di una sequenza di inserzione codifica almeno due proteine che catalizzano la trasposizione. Queste proteine sono note come trasposasi; discuteremo del loro meccanismo di azione più in là in questo capitolo. Sappiamo che queste proteine sono necessarie per la trasposizione perché alcune mutazioni all’interno delle sequenze di inserzione rendono il trasposone incapace di spostarsi. Un’altra caratteristica di una sequenza di inserzione, in comune con molti trasposoni più complessi, si trova appena fuori dal trasposone stesso. Si tratta Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 La trasposizione • W3 (a) G TC TG GG TG GTC CAG AC CC CCCAGAC GTCTGGG Geni interni Ripetizioni terminali G AC CA CC GTCTG GG Elementi trasponibili invertite GTC T CAG GGG AC CC Separazione dei filamenti GG CAGACCC DNA plasmidico Appaiamento all'interno dello stesso filamento GGGTCTG Ripetizioni terminali invertite AC CAG CC (b) Figura 21.1 I trasposoni contengono ripetizioni terminali invertite. (a) Rappresentazione schematica dell’esperimento. I due filamenti separati di un plasmide contenente un trasposone sono fatti appaiare separatamente. Le ripetizioni terminali invertite formano un braccio a doppio filamento compreso tra due strutture ad ansa a singolo filamento, che corrispondono ai geni interni del trasposone (ansa piccola, in verde) e al plasmide ospite (ansa grande, in rosso e viola). (b) Risultati sperimentali. Il DNA è stato trattato con un metallo pesante e sottoposto a microscopia elettronica. Risulta evidente la struttura ad ansa-braccio-ansa. Il braccio è costituito da centinaia di coppie di basi, mostrando come le ripetizioni terminali invertite presenti in questo trasposone siano molto più lunghe di quanto mostrato nella parte (a) della figura. (Da: (b) Cortesia di Stanley N. Cohen, Stanford University.) di un paio di corte sequenze ripetute dirette, nella regione di DNA immediatamente circostante il trasposone. Queste ripetizioni non si osservano se non dopo che il trasposone si è inserito; risultano dal processo stesso di inserzione e suggeriscono che la trasposasi tagli il DNA in maniera sfalsata piuttosto che tramite due tagli uno di fronte all’altro. La Figura 21.2 mostra come i tagli sfalsati sui due filamenti di DNA nel sito dell’inserzione conducano automaticamente alla ripetizione diretta. La lunghezza di queste ripetizioni dirette dipende dalla distanza tra questi due tagli nei filamenti del DNA. Questa distanza dipende a sua volta dalla natura della sequenza di inserzione. La trasposasi di IS1 produce due tagli a una distanza pari a 9 bp l’uno dall’altro e quindi genera delle ripetizioni dirette lunghe 9 bp. SOMMARIO Le sequenze di inserzione sono l’esempio più semplice di trasposoni batterici. Contengono solo gli elementi necessari alla loro trasposizione: corte ripetizioni invertite alle loro estremità e almeno due geni che codificano un enzima chiamato trasposasi responsabile della trasposizione. La trasposizione determina la duplicazione di una breve sequenza nel DNA bersaglio; una copia di questa breve sequenza fiancheggia la sequenza di inserzione da ciascun lato, dopo la trasposizione. I trasposoni più complessi Le sequenze di inserzione e i trasposoni sono a volte definiti “DNA egoista” volendo significare con questo termine che si replicano a spese del loro ospite, apparentemente non fornendo nulla in cambio. Tuttavia, alcuni trasposoni Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W4 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA Parte VII (a) CATAGCCTGAT GTATCGGACTA Plasmide accettore bersaglio Taglio in corrispondenza delle frecce (b) CATAGCCTGA G T TATCGGACTA Inserzione del trasposone (c) CATAGCCTGA G T TATCGGACTA Riempimento delle interruzioni (d) C ATAGCCTGA G TATCGGACT ATAGCCTGA T TATCGGACT A Figura 21.2 Formazione di ripetizioni dirette in un DNA ospite fiancheggiante un trasposone. (a) Le frecce indicano le posizioni dove i due filamenti di DNA ospite verranno tagliati in modo sfalsato, a 9 coppie di basi di distanza. (b) Dopo il taglio. (c) Il trasposone (in giallo) è stato ligato con un filamento del DNA ospite su ciascun lato, lasciando due interruzioni di 9 coppie di basi ciascuna. (d) Dopo che le interruzioni sono state riempite, a ciascuna estremità del trasposone compaiono ripetizioni di 9 coppie di basi del DNA ospite (rettangoli rosa). portano geni preziosi per i loro ospiti, molti dei quali sono geni che conferiscono resistenza ad antibiotici. Questo non solo rappresenta un notevole beneficio per l’ospite batterico, ma è un aiuto prezioso per i biologi molecolari, poiché rende il trasposone più facilmente rintracciabile. Per esempio, consideriamo la situazione rappresentata in Figura 21.3, in cui si parte da un plasmide donatore che contiene un gene per la resistenza alla kanamicina (Kanr) e che porta un trasposone (Tn3) con un gene per la resistenza alla ampicillina (Ampr); inoltre, abbiamo un plasmide bersaglio con un gene per la resistenza alla tetraciclina (Tetr). Dopo la trasposizione, Tn3 Figura 21.3 Determinazione dell’avvenuta trasposizione tramite l’uso di geni per la resistenza agli antibiotici. Si comincia con due plasmidi: il più grande (in blu) conferisce la resistenza alla kanamicina (Kanr) e contiene il trasposone Tn3 (in giallo), che conferisce la resistenza all’ampicillina (Ampr); il plasmide più piccolo (in verde) conferisce la resistenza alla tetraciclina (Tetr). Dopo la trasposizione, il plasmide piccolo contiene entrambi i geni Tetr e Ampr. Ampr Tn3 r Tet r Kan Trasposizione Ampr Ampr r r Kan Tet Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 La trasposizione • W5 si è replicato e una copia si è spostata nel plasmide bersaglio. Così, questo plasmide è in grado di conferire entrambe le resistenze, alla tetraciclina e alla ampicillina, proprietà che si possono facilmente rilevare trasformando batteri sensibili a questi antibiotici con il plasmide bersaglio e crescendo questi batteri in un mezzo contenente entrambi gli antibiotici. Se i batteri sopravvivono devono aver necessariamente acquisito i geni per la resistenza agli antibiotici; perciò Tn3 deve necessariamente aver migrato nel plasmide bersaglio. Meccanismi di trasposizione Grazie alla loro capacità di spostarsi da un posto a un altro, i trasposoni vengono spesso definiti “geni che saltano”. Tuttavia questo è un termine ambiguo, perché comporta il fatto che il DNA si sposti sempre da un posto per finire in un altro. Questo meccanismo di trasposizione si chiama trasposizione non replicativa in quanto entrambi i filamenti del DNA originale si spostano insieme da una regione all’altra senza replicarsi. Tuttavia, di frequente la trasposizione coinvolge la replicazione del DNA, cosicché una copia del trasposone rimane nel suo sito originario mentre l’altra si inserisce in un nuovo locus. Questa è la trasposizione replicativa in quanto il trasposone che si sposta da una regione a un’altra replica anche sé stesso. Vediamo più in dettaglio in che modo si verificano i due tipi di trasposizione. Trasposizione replicativa di Tn3 Tn3, la cui struttura è mostrata in Figura 21.4, ci dà modo di illustrare uno dei meccanismi meglio conosciuti di trasposizione. Oltre al gene bla, che codifica una b-lattamasi che inattiva l’ampicillina, Tn3 contiene due geni che sono fondamentali per la trasposizione. La trasposizione di Tn3 avviene in due passaggi, ognuno dei quali richiede uno dei prodotti del gene Tn3. La Figura 21.5 mostra una versione semplificata della sequenza degli eventi. Si comincia con due plasmidi; il donatore, che porta Tn3, e il bersaglio. Nel primo dei due passaggi i due plasmidi si fondono, in seguito alla replicazione di Tn3, a dare un plasmide cointegrato in cui essi risultano accoppiati mediante le due copie di Tn3. Questo passaggio richiede la ricombinazione tra i due plasmidi, che è catalizzata da una trasposasi, prodotto del gene tnpA di Tn3. La Figura Bersaglio 21.6 mostra una rappresentazione dettagliata di come (o accettore) tutti e quattro i filamenti di DNA coinvolti nella trasposizione interagiscano per formare il cointegrato. Le Trasposone figure 21.5 e 21.6 illustrano la trasposizione tra i due plasmidi, ma il DNA donatore e il bersaglio possono essere anche DNA di tipo diverso, inclusi i DNA fagici o il cromosoma batterico stesso. tnpA IR tnpR res bla IR Figura 21.4 Struttura di Tn3. I geni tnpA e tnpR sono necessari per la trasposizione; res è il sito dove avviene la ricombinazione durante la fase di risoluzione della trasposizione; il gene bla codifica la b-lattamasi, che protegge i batteri dall’antibiotico ampicillina. Questo gene viene anche chiamato Ampr. Ripetizioni invertite (IR) sono presenti a ciascuna estremità. Le frecce indicano la direzione di trascrizione di ciascun gene. Fusione tnpA Cointegrato Risoluzione tnpR Figura 21.5 Schema semplificato in due passaggi della trasposizione di Tn3. Nel primo passaggio, catalizzato dal prodotto del gene tnpA, il plasmide (in nero) contenente il trasposone (in blu) si unisce al plasmide bersaglio (in verde, bersaglio in rosso) per formare un cointegrato. Durante la formazione del cointegrato, il trasposone si replica. Durante il secondo passaggio, catalizzato dal prodotto del gene tnpR, il cointegrato si risolve formando il plasmide bersaglio, in cui è inserito il trasposone, e il plasmide originario contenente il trasposone. Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W6 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA Figura 21.6 Schema dettagliato della trasposizione di Tn3. Passaggio 1: I due plasmidi vengono tagliati per formare le estremità libere marcate a-h. Passaggio 2: Si uniscono le estremità a & f, così come le estremità g & d. Vengono lasciate libere le estremità b, c, e & h. Passaggio 3: Due delle estremità libere (b & c) servono da innesco per la replicazione del DNA, mostrata nel dettaglio della regione di replicazione. Passaggio 4: La replicazione continua fino a quando l’estremità b non raggiunge l’estremità e, e l’estremità c non raggiunge l’estremità h. Queste estremità vengono ligate per completare il cointegrato. Si noti come l’intero trasposone (in blu) sia stato replicato. I siti res appaiati (in viola) sono mostrati qui per la prima volta, anche se un sito res esisteva già nei passaggi precedenti. Il cointegrato viene rappresentato con un’ansa al suo interno per rendere più evidente la sua derivazione dalla rappresentazione precedente; tuttavia, se l’ansa venisse aperta, il cointegrato assomiglierebbe a quello rappresentato in Figura 21.5. Passaggi 5 e 6: un crossover ha luogo tra i due siti res nelle due copie del trasposone, generando due plasmidi indipendenti, ciascuno contenente una copia del trasposone. Questo precesso viene mostrato per le due forme del cointegrato, a sinistra e a destra. Parte VII Trasposone Target (Passaggio 1) Taglio del DNA e f a b cd gh (Passaggio 2) Unione delle estremità (Passaggio 3) Replicazione del trasposone af h c af h c e b e gd b d g (Passaggio 4) Completamento della replicazione af b e gd c h = (Passaggio 5) Ricombinazione tra i siti res (Passaggio 6) Il secondo passaggio della trasposizione di Tn3 è la risoluzione del cointegrato, nella quale il cointegrato si suddivide in due plasmidi indipendenti, ognuno dei quali porta una copia di Tn3. Questo passaggio, catalizzato dal prodotto del gene resolvasi tnpR, è una vera e propria ricombinazione tra i siti omologhi su Tn3 stesso, chiamati siti res. Numerose sono le evidenze che provano che la trasposizione di Tn3 è un processo che avviene in due fasi. In primo luogo, i mutanti nel gene tnpR non sono in grado di risolvere i cointegrati e perciò portano alla formazione di cointegrati come prodotto finale della trasposizione. Questo dimostra che il cointegrato è un intermedio della reazione di trasposizione. Poi, anche se il gene tnpR è difettoso, i cointegrati possono essere risolti qualora venga fornito un gene tnpR funzionale median- Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 La trasposizione • W7 te un’altra molecola di DNA, per esempio il cromosoma dell’ospite o un altro plasmide. Trasposizione non replicativa Le figure 21.5 e 21.6 illustrano il meccanismo di trasposizione replicativa, ma la trasposizione non avviene sempre seguendo questa strada. Alcuni trasposoni (Tn10 per esempio) si spostano senza replicarsi, lasciando semplicemente il DNA donatore e comparendo su quello bersaglio. Come avviene questo processo? Potrebbe essere che la trasposizione non replicativa cominci nella stessa maniera di quella replicativa, con l’incisione e la successiva saldatura dei filamenti del DNA donatore e di quello bersaglio, ma dopo accade qualcosa di diverso (Figura 21.7). Invece della replicazione del trasposone, compaiono nuove incisioni nel DNA donatore dall’altro lato del trasposone. Questo rilascia il DNA donatore, ma lascia il trasposone ancora legato al DNA bersaglio. Le incisioni rimanenti nel DNA bersaglio possono essere riparate, a dare un DNA ricombinante con il trasposone integrato al suo interno. Il DNA donatore presenta una interruzione a doppio filamento e quindi può andare perso, oppure, come mostrato qui, può essere riparato. SOMMARIO Molti trasposoni contengono geni a parte rispetto a quelli necessari per la trasposizione. Questi sono, solitamente, i geni che conferiscono resistenza agli antibiotici. Per esempio, Tn3 contiene un gene che conferisce la resistenza all’ampicillina. Tn3 e i suoi simili traspongono attraverso un processo che avviene in due fasi (trasposizione replicativa). Nel primo il trasposone si replica e il DNA donatore si fonde al DNA bersaglio, formando un cointegrato. Nel secondo passaggio, il cointegrato viene risolto in due molecole di DNA circolari, ognuna delle quali porta una copia del trasposone. Un meccanismo alternativo di trasposizione, non utilizzato da Tn3, è la trasposizione conservativa, nella quale non si osserva alcuna replicazione del trasposone. Donatore DNAr inciso a singolo filamento in corrispondenza delle frecce + Riparo delle interruzioni a doppio filamento Riempimento delle interruzioni e riparo delle incisioni Figura 21.7 Trasposizione non replicativa. I primi due passaggi sono identici a quelli della trasposizione replicativa, e la struttura rappresentata in alto è identica a quella presente tra i passaggi 2 e 3 della Figura 21.6. Tuttavia, successivamente avvengono nuovi tagli nelle posizioni indicate dalle frecce. In questo modo si libera il plasmide donatore privo del trasposone, che rimane associato al DNA bersaglio. Il riempimento delle interruzioni e la ligazione dei tagli a singolo filamento completano il plasmide bersaglio con il suo nuovo trasposone. Le estremità libere del plasmide donatore possono unirsi o meno. In ogni caso questo plasmide ha perso il suo trasposone. 21.2 Trasposoni eucariotici Sarebbe sorprendente se i procarioti fossero gli unici organismi contenenti elementi trasponibili, specialmente perché questi elementi presentano potenti capacità selettive. In primo luogo, molti trasposoni portano geni che recano vantaggio ai loro ospiti. Perciò i loro ospiti possono moltiplicarsi a spese di altri organismi competitori e possono moltiplicare i trasposoni assieme al resto del proprio DNA. In secondo luogo, anche se i trasposoni non fossero vantaggiosi per i loro ospiti, possono replicare sé stessi all’interno dell’ospite, in maniera “egoista”. Infatti, gli elementi trasponibili sono presenti anche negli eucarioti. In effetti, anzi, furono scoperti per la prima volta negli eucarioti. I primi esempi di elementi trasponibili: Ds e Ac del mais Barbara McClintock scoprì i primi elementi trasponibili durante uno studio sul mais nei tardi anni ’40. Da tempo era noto che la variegazione nei colori, Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W8 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA (a) (b) (c) Figura 21.8 Effetti delle mutazioni e delle reversioni sul colore del chicco di mais. (a) Un chicco di tipo selvatico possiede un locus C attivo che determina la sintesi del pigmento porpora. (b) Il locus C ha subito una mutazione, che impedisce la sintesi del pigmento porpora, e il risultato è un chicco incolore. (c) Le macchie corrispondono a gruppi di cellule in cui la mutazione del locus C è revertita, permettendo nuovamente la sintesi del pigmento. (Da: F.W. Goro, from Fedoroff, N., Transposable genetic elements in maize. Scientific American 86 (June 1984).) osservata nei chicchi del cosiddetto mais indiano, era dovuta a una mutazione instabile. In Figura 21.8a, per esempio, possiamo vedere un chicco colorato. Questo colore è dovuto a un fattore codificato nel locus C del mais. La Figura 21.8b mostra cosa succede quando il gene C è mutato; in questo caso non viene prodotto alcun pigmento color porpora e il chicco appare quasi completamente bianco. Il chicco provvisto di macchie in Figura 21.8c mostra i risultati dovuti alla reversione in alcune delle cellule del chicco. In tutti i punti in cui la mutazione ha revertito, la cellula revertante e la sua progenie saranno in grado di produrre il pigmento, dando come risultato una macchia scura sul chicco. È sorprendente che ci siano così tante macchie in questo chicco. Questo vuol dire che la mutazione è molto instabile: reverte con un tasso molto più alto di quello che ci si potrebbe aspettare per una mutazione ordinaria. In questo caso, McClintock scoprì che la mutazione originale risultava da una inserzione di un elemento trasponibile, chiamato Ds facendo riferimento a dissociazione all’interno del gene C (Figura 21.9a e b). Un altro elemento trasponibile, Ac (da attivatore), è in grado di indurre la trasposizione di Ds fuori da C, causando la reversione (Figura 21.9c). In altre parole, Ds può trasporre, ma solo con l’aiuto di Ac. Ac al contrario è un trasposone autonomo, potendo trasporre da solo e quindi inattivare altri geni senza l’aiuto di altri elementi. Ora, qualche decina di anni dopo che McClintock li ha scoperti, grazie ai numerosi strumenti a disposizione dei biologi molecolari, siamo in grado di isolare e caratterizzare questi elementi genetici. Nina Fedoroff e collaboratori ottennero le strutture di Ac e di tre differenti forme di Ds. Ac ricorda i trasposoni batterici di cui abbiamo appena parlato (Figura 21.10). È lungo circa 4500 bp, contiene un gene per una trasposasi ed è fiancheggiato da brevi (a) (b) Ds C C (a) C (c) Ds C (c) Ds C Ds (b) Ds (b) Parte VII Ds Ac (c) Mutante C C Ds Ac Ds Ac C Mutante C Ds Mutante C Ac Ac Figura 21.9 Gli elementi trasponibili causano eventi di mutazione e reversione nel mais. (a) Un chicco di mais del tipo selvatico possiede un locus C attivo e continuo (in blu) che causa la sintesi del pigmento porpora. (b) Un elemento Ds (in rosso) si inserisce in C rendendolo inattivo e impedendo la sintesi del pigmento. Il chicco risulta quindi privo di colorazione. (c) Ac (in verde) e Ds sono entrambi presenti. Questo permette a Ds di trasporre all’esterno di C in molte cellule, dando luogo a gruppi di cellule che sono in grado di produrre il pigmento. Questi gruppi di cellule pigmentate sono responsabili delle macchie porpora sul chicco. Ovviamente, la trasposizione di Ds all’interno di C ha avuto luogo prima che Ds diventasse difettoso, oppure è stato aiutato da un elemento Ac. Ac Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 La trasposizione • W9 Trasposasi Ac Delezione Ds-a Delezione Ds-b Sostituzione del DNA mediante ripetizioni terminali invertite Ds-c Figura 21.10 La struttura di Ac e Ds. Ac contiene il gene trasposasi (in porpora) e due ripetizioni terminali invertite imperfette (in blu), comprendenti le regioni ripetitive subterminali. Ds-a manca di un tratto di 194 bp del gene della trasposasi (linee tratteggiate); per il resto è praticamente identico ad Ac. Ds-b manca di un frammento ancora più grande di Ac. Ds-c non presenta alcuna somiglianza con Ac, fatta eccezione che per le ripetizioni terminali invertite e le regioni ripetitive subterminali. ripetizioni invertite imperfette e da regioni ripetitive sub-terminali che legano la trasposasi. Le diverse forme di Ds sono derivate da Ac per delezione. Ds-a è molto simile ad Ac, fatta eccezione per un tratto del gene per la trasposasi che è stato deleto. Questo spiega perché Ds sia incapace di trasporre da solo. Ds-b è molto più ridotto, contenendo solo un piccolo frammento del gene per la trasposasi, e Ds-c contiene solo le ripetizioni invertite e regioni sub-terminali ripetitive che legano la trasposasi in comune con Ac. Queste ripetizioni invertite sono quelle di cui Ds-c ha bisogno per essere il bersaglio della trasposizione diretta da Ac. È interessante notare che il primo gene di pisello descritto dallo stesso Mendel (R o r), che governa il fenotipo liscio o rugoso dei semi, sembra coinvolgere un elemento trasponibile. Oggi sappiamo che il locus R codifica un enzima (enzima che crea ramificazioni nell’amido) che partecipa al metabolismo dell’amido. Il fenotipo rugoso risulta dal malfunzionamento di questo gene; questa mutazione è, a sua volta, determinata da una inserzione di un tratto di DNA di 800 bp che sembra essere un membro della famiglia Ac/Ds. SOMMARIO La variegazione nel colore dei chicchi del mais è causata dalle reversioni multiple di una mutazione instabile nel locus C, che è responsabile del rivestimento colorato del chicco. La mutazione e la sua reversione risultano da un elemento Ds (dissociatore), che traspone nel gene C, determinandone la mutazione, e successivamente traspone all’esterno nuovamente, causandone la reversione al tipo selvatico. Ds non è in grado di trasporre da solo; deve ricorrere all’aiuto di un trasposone autonomo chiamato Ac (attivatore), che fornisce la trasposasi. Ds non è altro che un elemento Ac privato di un tratto più o meno grande della sua parte centrale. Tutto ciò di cui Ds ha bisogno per trasporre è un paio di ripetizioni terminali invertite che la trasposasi Ac è in grado di riconoscere. Gli elementi P Il fenomeno chiamato disgenesi dell’ibrido illustra un altro ovvio caso di incremento di una mutazione causato da un trasposone eucariotico. Nella disgenesi dell’ibrido, un ceppo di Drosophila coniugato con un altro produce una progenie ibrida per la quale il danno al cromosoma è talmente grande Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W10 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA Parte VII che è disgenica, ovvero sterile. La disgenesi dell’ibrido richiede il contributo di entrambi i genitori; per esempio, nel sistema P-M il padre deve essere del ceppo P (contributo paterno) e la madre del ceppo M (contributo materno). L’incrocio inverso, con un padre M e una madre P, produce una progenie normale, come gli accoppiamenti tra individui dello stesso ceppo (P x P o M x M). Che cosa ci induce a sospettare che un trasposone sia coinvolto in questo fenomeno? Prima di tutto, ogni cromosoma maschile P può determinare la disgenesi in un incrocio con una femmina M. Inoltre, i cromosomi maschili ricombinanti derivanti in parte da maschi P e femmine M, solitamente possono causare disgenesi, dimostrando che il tratto P è presente in siti multipli sui cromosomi. Una possibile spiegazione a questo comportamento è che il tratto P sia governato da un elemento trasponibile, e questo è il motivo per cui lo ritroviamo in un numero così grande di siti diversi. Il trasposone responsabile per il tratto P è chiamato elemento P e si riscontra solo nelle mosche di tipo selvatico, non in ceppi di laboratorio (a meno che un biologo molecolare non lo inserisca). Margaret Kidwell e colleghi studiarono gli elementi P che si inserivano nel locus white delle mosche disgeniche e trovarono che questi elementi erano molto simili in quanto a sequenza in coppie di basi, ma considerevolmente diversi in dimensioni (da 500 a 2900 bp). Inoltre, gli elementi P presentavano delle ripetizioni terminali dirette ed erano fiancheggiati da alcune brevi ripetizioni dirette di DNA dell’ospite, entrambi caratteristiche peculiari proprie dei trasposoni. Infine, le mutazioni white revertivano a un tasso elevato in seguito alla perdita dell’intero elemento P, di nuovo una proprietà caratteristica di un trasposone. Se gli elementi P si comportano come i trasposoni, perché dovrebbero trasporre e causare la disgenesi solo negli ibridi? La risposta è che l’elemento P, inoltre, codifica un repressore della trasposizione, che si accumula nel citoplasma delle cellule germinali in via di sviluppo. Quindi, in un incrocio tra un maschio P o M e una femmina P, il citoplasma della femmina contiene il repressore, che si lega a tutti gli elementi P e ne impedisce la trasposizione. Invece, in un incrocio tra un maschio P e una femmina M, l’embrione precoce non contiene repressore e non ne produce in un primo momento, perché l’elemento P diviene attivo solo nelle cellule germinali in via di sviluppo. Quando l’elemento P viene finalmente attivato, vengono sintetizzati sia la trasposasi sia il repressore, ma solo la trasposasi si sposta nel nucleo, dove liberamente stimola la trasposizione. La disgenesi dell’ibrido può avere delle conseguenze importanti per la speciazione – la formazione di nuove specie che non possono incrociarsi. Due ceppi della stessa specie (come P ed M) che frequentemente producono una progenie sterile, tenderanno a diventare geneticamente isolate – i loro geni non si mescoleranno più così spesso – e infine saranno così diverse che non saranno più in grado di incrociarsi affatto. Quando questo accade, le due specie si sono separate. Gli elementi P vengono oggi comunemente utilizzati come mutageni negli esperimenti con Drosophila. Uno dei vantaggi di questo approccio è che le mutazioni sono molto facili da localizzare; è sufficiente cercare l’elemento P per capire quale sia il gene interrotto. I biologi molecolari utilizzano l’elemento P anche per trasformare le mosche – cioè per introdurre, all’interno delle mosche, geni manipolati. Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 La trasposizione • W11 SOMMARIO Il sistema P-M della disgenesi dell’ibrido in Drosophila è causato dalla congiunzione di due fattori: (1) un elemento trasponibile (P) fornito dalla femmina, e (2) il citoplasma M fornito dal maschio, che favorisce la trasposizione dell’elemento P. La progenie ibrida di maschi P e femmine M, quindi, è caratterizzata da eventi multipli di trasposizione dell’elemento P. Questo determina mutazioni cromosomali dannose che rendono l’ibrido sterile. Gli elementi P hanno anche un valore pratico come agenti mutageni e trasformanti, in esperimenti genetici con Drosophila. 21.3 Riarrangiamento dei geni delle immunoglobuline I fenomeni di riarrangiamento dei geni di mammifero nelle cellule B che producono anticorpi, o immunoglobuline, e nelle cellule T che producono i recettori delle cellule T, avvengono tramite un processo che somiglia moltissimo alla trasposizione. Anche le ricombinasi coinvolte nei due processi presentano strutture simili. Come accennato nel Capitolo 3, un anticorpo è composto di quattro polipeptidi: due catene pesanti e due catene leggere (allo stesso modo, i recettori T contengono due catene β pesanti e due catene a leggere). La Figura 21.11 illustra schematicamente un anticorpo e mostra i siti che si combinano con un antigene invasore. Questi siti, chiamati regioni variabili, variano da un anticorpo all’altro e conferiscono a queste proteine la loro specificità; il resto della proteina (la regione invariante), non cambia da un anticorpo a un altro all’interno di una stessa classe di anticorpi, mentre alcune variazioni possono essere osservate tra classi diverse di anticorpi. Ogni data cellula immunitaria è in grado di produrre anticorpi con un solo tipo di specificità. Sorprendentemente, gli esseri umani possiedono cellule immunitarie capaci di produrre anticorpi in grado di reagire virtualmente contro ogni sostanza con cui dovessero venire a contatto. Questo significa che possiamo produrre milioni di anticorpi differenti. Questo comporta anche l’esistenza di altrettanti milioni di geni per gli anticorpi? Questa è una ipotesi insostenibile; sarebbe un fardello troppo grande per il nostro genoma portare tutti i geni necessari. Quindi, in che modo risolvere il problema della diversità degli anticorpi? Sebbene possa sembrare inverosimile, una cellula B matura, il cui compito è produrre un anticorpo, riarrangia il proprio genoma in modo da avvicinare parti separate dei geni di un suo anticorpo. Il macchinario che “mette insieme” il gene sceglie queste parti in maniera casuale da gruppi eterogenei di queste componenti, proprio come quando si ordina da un menù cinese (“scegliendo una pietanza dalla colonna A e una da quella B”). Questo riarrangiamento incrementa enormemente la variabilità dei geni. Per esempio, se esistono 41 possibilità nella “colonna A” e 5 nella “ colonna B”, il numero totale delle combinazioni di A + B è 41 × 5, ovvero 205. Quindi, da 46 frammenti di un solo gene possiamo assemblare 200 geni. E questo vale solo per uno dei polipeptidi dell’anticorpo. Se esiste una situazione simile per gli altri, il numero totale di anticorpi sarà il prodotto dei numeri dei due polipeptidi. Questa descrizione, corretta in linea di principio, in realtà non è altro che una semplificazione della situazione nei geni degli Siti di legame per l'antigene S S S SS S Figura 21.11 La struttura di un anticorpo. L’anticorpo è composto da due catene leggere (in blu) legate tramite ponti disolfuro a due catene pesanti (in rosso), che sono legate l’una all’altra attraverso un ponte disolfuro. I siti di legame per l’anticorpo sono localizzati nella regione amminoterminale delle catene proteiche, dove si trova la regione variabile. Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W12 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA Parte VII anticorpi; come vedremo, essi sono caratterizzati da meccanismi più complessi preposti a introdurre la loro diversità, che conducono a un numero ancora più grande di possibili anticorpi prodotti. Studi condotti su anticorpi di mammifero hanno rivelato che esistono due famiglie di catene leggere negli anticorpi, chiamate kappa (κ) e lambda (λ). La Figura 21.12 illustra l’arrangiamento delle parti che compongono il gene che codifica una catena leggera umana della famiglia k. La “colonna A” di questo menù cinese contiene 41 parti delle regioni variabili (V); la “colonna B” contiene 5 parti di regioni di connessione (J). In realtà, i frammenti J codificano gli ultimi 12 amminoacidi della regione variabile, ma sono localizzati lontano dal resto della regione V e nelle immediate vicinanze di una sola regione costante. Questa è la situazione che si riscontra nelle cellule germinali, prima che le cellule preposte alla produzione degli anticorpi comincino a differenziare e prima che i processi di riorganizzazione avvicinino le due regioni. Gli eventi di riarrangiamento e di espressione sono rappresentati in Figura 21.12. In primo luogo un evento di ricombinazione avvicina una delle regioni V a una delle regioni J. In questo caso V3 e J2 si fondono, ma lo stesso sarebbe potuto succedere a V1e J4; la scelta è casuale. Dopo che le due parti del gene si sono assemblate, avviene la trascrizione, che parte dall’inizio di V3 e continua fino alla fine di C. Successivamente, il macchinario di splicing unisce la regione J2 del trascritto a C, eliminando le regioni J inutili e la sequenza tra le regioni J e C. È importante ricordare che il passaggio di riarrangiamento si verifica a livello del DNA, ma questo passaggio di splicing avviene a livello dell’RNA, attraverso il meccanismo che abbiamo studiato nel Capitolo 12. L’RNA messaggero così assemblato si sposta nel citoplasma per essere tradotto (a) Regioni codificanti della catena leggera κ 5J 40 V C (b) Riarrangiamento DNA di una linea germinale J1 J3 J5 V1 V2 V3 V4 J2 J4 C Ricombinazione DNA di cellule B C V3 J2J3 J4 J5 V2 Trascrizione J2 J3 J4 J5 RNA trascritto C RNA splicing V3 RNA messaggero V3 J 2 C Traduzione Proteina V C Figura 21.12 Riarrangiamento del gene di una catena leggera di un anticorpo. (a) La catena leggera κ di un anticorpo umano è codificata in 41 segmenti genici variabili (V; in verde chiaro), cinque segmenti di giunzione (J; in rosso) e un segmento costante (C; in blu). (b) Durante la maturazione di una cellula preposta a produrre un anticorpo, un segmento di DNA viene deleto, portando all’unione di un segmento V (V3 in questo caso) con un segmento J (J2 in questo caso). Il gene, ora, può essere trascritto per produrre un mRNA precursore, mostrato qui nella figura, con dei segmenti J aggiuntivi e delle sequenze intermedie. Il materiale compreso tra J2 e C subisce un processo di splicing, fornendo così un mRNA maturo che viene tradotto nella proteina anticorpale mostrata in basso. Il segmento J dell’mRNA viene tradotto nella parte variabile dell’anticorpo. Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 La trasposizione • W13 nella catena leggera dell’anticorpo con una regione variabile (codificata sia da V che da J) e una regione costante (codificata da C). Per quale motivo la trascrizione comincia all’inizio di V3 e non a monte? La risposta sembra essere che esiste un elemento enhancer all’interno dell’introne, tra le regioni J e C, che attiva il promotore a lui più vicino: il promotore V3 in questo caso. Questo è anche un modo conveniente per attivare il gene dopo il suo riarrangiamento; solo allora l’elemento enhancer è abbastanza vicino al promotore per accenderlo. Il riarrangiamento della catena pesante, invece, è ancora più complesso perché c’è un’ulteriore serie di porzioni del gene tra le regioni V e J. Questi frammenti del gene sono chiamati D, per diversità, e rappresentano la terza colonna del nostro menù cinese. La Figura 21.13 mostra che la catena pesante viene assemblata a partire da 48 regioni V, 23 regioni D e 6 regioni J. Solo su queste basi, potremmo ottenere 48 × 23 × 6, ovvero 6624 geni diversi per le catene pesanti. Inoltre, 6624 catene pesanti, combinate con 205 catene leggere κ e 170 catene leggere λ, forniscono più di 2,5 milioni di anticorpi differenti o, più precisamente, 2,5 milioni di differenti combinazioni di regioni variabili. Ma esistono molte altre cause di diversità. La prima deriva dal fatto che il meccanismo che unisce i segmenti V, D e J, che noi chiamiamo riunione V(D)J, non è un meccanismo preciso. Può aggiungere o eliminare basi nell’altra estremità della giunzione. Questo comporta differenze ulteriori nelle sequenze amminoacidiche degli anticorpi. Un’altra fonte di differenza tra gli anticorpi è la ipermutazione somatica, ovvero una rapida mutazione delle cellule somatiche (non sessuali) di un organismo. In questo caso le mutazioni si verificano nei geni degli anticorpi, probabilmente nel momento in cui un clone di cellula preposta alla produzione degli anticorpi prolifera e viene a contatto con un intruso. L’analisi genetica e biochimica ha mostrato che l’ipermutazione somatica avviene in due passaggi. Primo, una citidina deamminasi indotta durante l’attivazione delle cellule B deammina le citosine a uracili durante la replicazione del DNA. Successivamente, gli uracili o innescano il meccanismo di riparo da appaiamento errato, che può introdurre mutazioni, oppure richiamano l’uracil-N-glicosilasi, che rimuove gli uracili, lasciando siti abasici. I siti abasici sono poi “riparati” mediante sintesi trans-lesionale (Capitolo 18), che utilizza le DNA polimerasi ζ, η, θ e, probabilmente ι. Queste polimerasi sono soggette a errori, soprattutto in presenza di siti abasici; pertanto si generano molte mutazioni. Nel complesso, le ricongiunzioni imprecise di segmenti genici e le ipermutazioni somatiche amplificano enormemente il numero di possibili anticorpi. Infatti è stato calcolato che il numero totale di anticorpi che si possono produrre durante la vita supera i 100 miliardi. Questo numero è abbastanza grande per far fronte a ogni tipo di minaccia. Regioni codificanti della catena pesante 65 V 27 D 6J C Figura 21.13 Struttura delle regioni codificanti una catena pesante di un anticorpo. La catena pesante umana è codificata in 48 segmenti variabili (V; in verde chiaro), 23 segmenti per la diversità (D; in porpora), 6 segmenti di giunzione (J; in rosso) e 1 segmento costante (C; in blu). Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W14 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA Parte VII SOMMARIO Il sistema immunitario dei vertebrati è in grado di produrre miliardi di differenti anticorpi per reagire contro qualunque sostanza esterna. Esso genera una tale quantità di anticorpi diversi attraverso tre meccanismi diversi: (1) l’assemblaggio di geni per catene leggere e catene pesanti a partire da due o tre componenti, rispettivamente, ognuna delle quali viene scelta da un insieme eterogeneo di componenti; (2) la giunzione delle parti del gene mediante un meccanismo impreciso che può portare alla delezione o all’addizione di basi, cambiando quindi il gene; e (3) la determinazione di un elevato tasso di mutazioni somatiche, probabilmente durante la proliferazione di un clone di cellule immuni, crea così geni leggermente diversi gli uno dagli altri. Segnali di ricombinazione In che modo il macchinario di ricombinazione determina dove devono avvenire il taglio e la giunzione che avvicinano le diverse parti del gene di una immunoglobulina? Susumu Tonegawa ha esaminato le sequenze di molti geni di immunoglobuline di topo (codificanti le catene leggere κ e λ, e di quelle pesanti) e ha notato un modello costante (Figura 21.14a): adiacente a ciascuna regione codificante è localizzato un eptamero palindromico molto conservato, caratterizzato dalla sequenza consensus 5′-CACAGTG-3′ Questo eptamero è accompagnato da un nonamero conservato, la cui sequenza consensus è 5′-ACAAAAACC-3′. L’eptamero e il nonamero sono separati da uno spaziatore non conservato contenente 12 bp (un segnale di 12 bp), o da 23 (±1) bp (un segnale di 23 bp). L’organizzazione di queste sequenze-segnale di ricombinazione (RSSs, Figura 21.14b) è tale che la ricombinazione unisce sempre un segnale 12 a un segnale 23. La (a) CACAGTG ACAAAAACC GGTTTTTGT CACTGTG λ-chain Vλ 7 κ-chain Vκ 7 H-chain VH 7 23 12 23 9 12 9 9 9 9 9 9 7 D 7 12 23 23 12 7 Jλ 7 Jκ 7 JH 9 (b) V D J C Figura 21.14 Segnali per la giunzione V(D)J. (a) Arrangiamento dei segnali intorno alle regioni codificanti dei geni per le catene leggere κ e λ e del gene per la catena pesante delle immunoglobuline. I tratti indicati con “7” e “9” sono, rispettivamente, gli eptameri e i nonameri conservati. Le loro sequenze consensus sono riportate nella parte alta della figura. Sono stati indicati anche gli spaziatori di 12 e 23 coppie di basi. Si noti che l’arrangiamento dei segnali 12 e 23 è tale che la giunzione tra un tipo e l’altro permette naturalmente l’assemblaggio di un gene completo. (b) Illustrazione schematica del riarrangiamento dei segnali 12 e 23 in un gene di una catena pesante dell’immunoglobulina. I triangoli gialli rappresentano i segnali 12, quelli arancione rappresentano i segnali 23. Notare nuovamente come la regola 12/23 garantisce l’inclusione di una sola delle regioni codificanti (V, D e J) nel gene riarrangiato. (Da: (a) Tonegawa, S., Somatic generation of antibody diversity. Nature 302: 577, 1983. Copyright ©1983 Macmillan Magazines Limited. Riproduzione autorizzata.) Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 La trasposizione • W15 regola 12/23 afferma che i segnali 12 non sono mai uniti gli uni agli altri così come i segnali 23, e questo assicura che una e una soltanto di ciascuna regione codificante sia incorporata in un gene maturo di immunoglobulina. A parte l’esistenza delle sequenze consensus RSS, quali prove esistono della loro importanza? Martin Gellert e colleghi hanno mutagenizzato in maniera sistematica l’eptamero e il nonamero sostituendo alcune basi, e le regioni spaziatrici aggiungendone o sottraendone altre, e hanno osservato gli effetti di queste alterazioni sulla ricombinazione. Essi misurarono l’efficienza di ricombinazione come segue: costruirono dapprima un plasmide ricombinante con il costrutto mostrato in Figura 21.15. Il primo elemento in questo costrutto è un promotore lac. Questo è seguito da un segnale 12, quindi da un terminatore procariotico della trascrizione e da un segnale 23 e, infine, da un gene reporter cat. Successivamente generarono delle mutazioni lungo le sequenze RSS e introdussero il plasmide alterato in una linea cellulare pre-B. Infine, purificarono i plasmidi dalle cellule pre-B e li introdussero all’interno di cellule di E. coli resistenti al cloramfenicolo. Successivamente saggiarono le cellule rispetto alla resistenza per il cloramfenicolo stesso. Se non avesse avuto luogo alcuna ricombinazione, allora il terminatore della trascrizione avrebbe impedito l’espressione del gene cat e di conseguenza la resistenza al cloramfenicolo sarebbe stata inesistente. Al contrario, qualora la ricombinazione tra il segnale 12 e il 23 fosse avvenuta, il terminatore sarebbe risultato o invertito o deleto e quindi inattivato. In questo caso, l’espressione di cat sarebbe avvenuta sotto il controllo del promotore lac e si sarebbe osservata la crescita di numerose colonie resistenti al cloramfenicolo. Questo esperimento ha mostrato che molte alterazioni nella sequenza di coppie di basi sia nell’eptamero che nel nonamero causavano una riduzione nell’efficienza di ricombinazione fino a un livello di fondo. La stessa cosa si osserva nel caso di delezioni o inserzioni di basi nelle regioni spaziatrici. Così, tutti questi elementi delle sequenze RSS risultano importanti per la ricombinazione V(D)J. SOMMARIO Le sequenze che fungono da segnali di ricombinazione (RSS) nella ricombinazione V(D)J consistono di un eptamero e di un nonamero separate da sequenze spaziatrici di 12 o 23 coppie di basi. La ricombinazione avviene solo tra due sequenze-segnale di tipo 12 o due sequenze-segnale di tipo 23 e questo garantisce che solo una delle due regioni codificanti venga incorporata nel gene riarrangiato. Plac Terminatore trascrizionale GTCGAC CTGCAG H12 CACAGTG S12 N12 CTACAGACTGGA ACAAAAACC cat GGATCC CTCGGG H23 CACAGTG S23 N23 GTAGTACTCCACTGTCTGGCTGT ACAAAAACC Figura 21.15 Struttura del costrutto reporter utilizzato per misurare gli effetti delle mutazioni nelle sequenze RSS sulla efficienza di ricombinazione. Gellert e collaboratori costruirono un plasmide reporter contenente un promotore lac e un gene cat separati da un inserto contenente un elemento terminatore della trascrizione, fiancheggiato dai segnali 12 e 23. La ricombinazione tra le due sequenze RSS determina l’inversione oppure la delezione del terminatore, favorendo l’espressione del reporter cat. La trasformazione di cellule batteriche con il plasmide riarrangiato fornisce molte colonie in grado di produrre la proteina CAT, resistenti al cloramfenicolo. Al contrario, la trasformazione di cellule batteriche con il plasmide non riarrangiato non produce alcuna colonia resistente al cloramfenicolo. (Da: Hesse, J., M. R. Lieber, K. Mizuuchi e M. Gellert, V(D)J recombination: a functional definition of the joining signals. Genes and Development 3: 1053-61, 1989. Copyright ©1989 Cold Spring Harbor Laboratory Press, Cold Spring Harbor, NY. Riproduzione autorizzata.) Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W16 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA Parte VII La ricombinasi David Baltimore e colleghi condussero una ricerca su quale potesse essere il gene (o i geni) che codificasse la ricombinasi V(D)J, utilizzando un plasmide reporter della ricombinazione simile a quello che abbiamo appena descritto, ma progettato per operare in cellule eucariotiche perché in grado di conferire loro la resistenza all’acido micofenolico. Questi studiosi introdussero questo plasmide, assieme ad alcuni frammenti di DNA di topo, in cellule NIH 3T3, che mancano dell’attività di ricombinazione V(D)J, e le saggiarono per l’attività di ricombinazione ricercando tra esse quelle resistenti all’acido micofenolico. Questo portò alla identificazione del gene attivatore della ricombinazione (RAG-1) che aveva stimolato l’attività V(D)J in vivo. Tuttavia, il grado di stimolazione a opera di un clone genomico contenente RAG-1 era modesto, non più di quanto si otteneva con l’intero DNA genomico. Inoltre, cloni di cDNA contenenti l’intera sequenza di RAG-1 non erano in grado di produrre risultati migliori, perciò qualcosa non era ancora del tutto chiaro. Il gruppo di Baltimore sequenziò l’intero frammento genomico contenente RAG-1 e trovò un altro gene, completo, strettamente correlato a RAG-1. I ricercatori si domandarono se questo ulteriore gene potesse avere qualcosa a che fare con l’attività V(D)J e quindi saggiarono questo frammento genomico assieme a un cDNA di RAG-1 nello stesso esperimento di trasfezione. Quando introdussero nella stessa cellula entrambi i DNA, riscontrarono la presenza di un numero maggiore di cellule resistenti all’acido micofenolico. In questo modo scoprirono che due geni sono responsabili della ricombinazione V(D)J e chiamarono il secondo RAG-2. RAG-1 e RAG-2 sono espressi solo in cellule pre-B e pre-T, nelle quali avviene la ricombinazione V(D)J dei segmenti dei geni dell’immunoglobulina e del recettore delle cellule T, rispettivamente. I recettori delle cellule T sono proteine legate alla membrana che legano gli antigeni e presentano una architettura simile a quella mostrata dalle immunoglobuline. I geni che codificano i recettori delle cellule T subiscono lo stesso tipo di riarrangiamento riscontrato per i geni delle immunoglobuline, anche per quanto riguarda i segnali di tipo 12 e 23. Quindi, RAG-1 e RAG-2 sono apparentemente coinvolti sia nella ricombinazione delle immunoglobuline che in quella dei recettori delle cellule T. Il meccanismo della ricombinazione V(D)J La giunzione V(D)J è imprecisa e questo contribuisce alla diversità dei prodotti finali che scaturiscono da questo processo. La perdita di basi o la loro addizione ai siti di giunzione sono eventi che si osservano molto frequentemente. Questo è un vantaggio per la produzione delle immunoglobuline e dei recettori delle cellule T, perché si aggiunge alla varietà di proteine che possono essere prodotte a partire da un limitato repertorio di segmenti genici. In che modo possiamo spiegare questa imprecisione? La Figura 21.16 illustra il meccanismo di taglio in corrispondenza delle regioni delle RSS fiancheggianti un segmento intermedio compreso tra i due segmenti codificanti. I prodotti dei geni RAG-1 e RAG-2, Rag-1 e Rag-2, rispettivamente, inizialmente introducono una incisione sul DNA ai siti di giunzione. Successivamente i nuovi gruppi ossidrilici posti alle estremità 3′ attaccano i legami fosfodiesterici sui due filamenti complementari, liberando il segmento intermedio e formando strutture a forcina alle estremità dei segmenti codificanti. Queste strutture a forcina sono la chiave dell’imprecisione del meccanismo di giunzione; possono aprirsi dall’altra parte dell’apice dell’ansa e permettere l’addizione o la sottrazione di basi in modo da rendere le estremità del DNA piatte per la giunzione. Le proteine Rag- Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 La trasposizione Segmento codificante 1 Segmento codificante 2 Estremità della struttura a forcina 3�-OH— 1 • W17 2 —3�-OH Segmento intermedio Perduta della cellula Segmento codificante di nuova formazione Figura 21.16 Meccanismo di taglio sulle sequenze RSS. Sulle sequenze RSS si osservano delle incisioni sui filamenti opposti (indicate dalle frecce verticali), in corrispondenza delle giunzioni tra le regioni codificanti (in rosso) e il segmento intermedio (in giallo). I nuovi gruppi ossidrilici appena prodotti alle estremità 3′ (in blu) attaccano i filamenti opposti e ne determinano l’interruzione, formando strutture a forcina e rilasciando il segmento interposto, che viene perduto. Infine, la struttura a forcina si apre e le due regioni codificanti si uniscono attraverso un meccanismo impreciso. (Da: Craig, N.L., V(D)J recombination and transposition: closer then expected. Science 271: 1512, 1996. Copyright ©1996 American Association for the Advancement of Science, Wash­ing­ton, DC. Riproduzione autorizzata.) 1 e Rag-2 mantengono vicine entrambe le strutture a forcina in un complesso, in modo che esse possano legarsi covalentemente l’una con l’altra. Quali sono le prove della reale formazione di queste strutture a forcina? Inizialmente sono state ritrovate in vivo, anche se a concentrazioni molto basse. Gellert e colleghi, in seguito, svilupparono un sistema in vitro tramite il quale furono in grado di osservarle. La Figura 21.17a illustra uno dei substrati marcati che questi studiosi utilizzarono. Si tratta di un 50-mer marcato a una estremità 5′ con il 32P, contenente un segnale di tipo 12 (rappresentato da una forma gialla) fiancheggiato, a sinistra, da un segmento di 16 bp; l’estremità destra del frammento è, quindi, un segmento di 34 bp, comprendente il segnale (c) (b) (d) RAG1 – – + RAG2 – – + + Segnale 12 23 – RAG1+2 – + – + – + 61 50 (a) 16 HP HP HP 34 16 M1 2345 6 N M1 2 N M1 2 3 4 Figura 21.17 Identificazione dei prodotti di taglio. (a) Substrato di taglio. Gellert e colleghi costruirono questo 50-mer marcato, che comprendeva un segmento di DNA lungo 16 bp sulla sinistra, seguito da un segnale 12 (in giallo) contenuto in un segmento di 34 bp sulla destra. La marcatura singola all’estremità 5′ è indicata dal punto rosso. Questi studiosi costruirono inoltre un analogo substrato 61-mer con un segnale 23. (b) Identificazione dei prodotti con struttura a forcina. Gellert e collaboratori incubarono le proteine Rag-1 e Rag-2, alternativamente con i segnali 12 e 23 come substrati, come indicato in alto. Successivamente sottoposero i prodotti e elettroforesi in condizioni non denaturanti e sottoposero ad autoradiografia il gel per rilevare i prodotti radioattivi. Le posizioni del 61-mer e del 50-mer (utilizzati come substrati), la struttura a forcina (HP) e il 16-mer sono indicati sulla destra. (c) Identificazione dei prodotti da un gel non denaturante. Gellert e colleghi recuperarono i prodotti radioattivi (il 50-mer che apparentemente non era stato tagliato e il frammento 16-mer) dalle bande di un gel non denaturante. Successivamente sottoposero nuovamente questi frammenti di DNA a elettroforesi nelle corsie 1 e 2 rispettivamente, in condizioni denaturanti, accanto a dei marcatori di peso molecolare (identificati con i diagrammi riportati sulla destra) corrispondenti al substrato non tagliato, alla struttura a forcina di 16 bp (HP) e il 16-mer a singolo filamento rilasciato denaturando il substrato inciso. (d) Elementi richiesti da RAG1 e RAG2. Questo esperimento è molto simile a quello illustrato in (b), eccetto che per la presenza delle proteine RAG1 e RAG2 (indicate nella parte alta) che in questo caso sono le uniche variabili. “N” indica la posizione del 16-mer rilasciato dalle specie contenenti incisioni a singolo filamento. (Da: Craig, N.L., V(D)J recombination and transposition: closer then expected. Science 271: 1512, 1996. Copyright ©1996 American Association for the Advancement of Science, Washington, DC. Riproduzione autorizzata.) Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W18 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA Parte VII di tipo 12. Un substrato molto simile a questo conteneva le stesse regioni fiancheggianti, ma un segnale di tipo 23 invece del segnale 12. In questo caso la lunghezza era di 61 bp. Gellert e colleghi incubarono questi substrati in presenza delle proteine Rag-1 e Rag-2 e successivamente sottoposero i prodotti a elettroforesi in condizioni non denaturanti, al fine di scoprire se si fosse verificato qualche taglio del DNA (Figura 21.17b). Trovarono un 16-mer, a dimostrazione che era avvenuto un taglio a doppio filamento. Tuttavia, una elettroforesi su gel in condizioni non denaturanti non fornisce la possibilità di distinguere tra un vero 16-mer a doppio filamento e uno la cui estremità fosse organizzata ad ansa, e perciò gli studiosi sottoposero gli stessi prodotti a una elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di urea e a elevata temperatura (Figura 21.17c). In queste condizioni, un 16-mer a doppio filamento fornisce due 16-mer a filamento singolo. Al contrario, un 16-mer con una struttura a forcina a una estremità fornisce un 32-mer a singolo filamento. Questo è quanto Gellert e collaboratori osservarono quando il DNA conteneva un segnale di tipo 12 oppure uno di tipo 23 ed entrambe le proteine Rag-1 e Rag-2 erano presenti. Un DNA privo sia del segnale di tipo 12 che di quello di tipo 23 non dava alcun prodotto; lo stesso accadeva quando a mancare erano le proteine Rag-1 o Rag-2 (Figura 21.17d). Quindi, Rag-1 e Rag-2 riconoscono sia il segnale di tipo 12 che quello di tipo 23 e tagliano il DNA adiacente al segnale in questione, formando una struttura a forcina in corrispondenza dell’estremità del segmento codificante. Inoltre, il 16-mer prodotto dal gel non denaturante aveva fornito solo la struttura a forcina prodotta dal gel denaturante, dimostrando che non si formava alcun 16-mer a doppio filamento. Ma il DNA marcato che migrava con il substrato nel gel in condizioni non denaturanti aveva prodotto una piccola quantità di 16-mer in condizioni denaturanti. Questo non poteva certo provenire dalla rottura a doppio filamento, altrimenti non sarebbe rimasto associato al substrato in condizioni non denaturanti. Quindi, doveva necessariamente provenire da una incisione sul filamento marcato. Il 16-mer generatosi dall’incisione sarebbe rimasto appaiato al suo complementare durante l’elettroforesi non denaturante, ma avrebbe migrato indipendentemente da lui, come un 16-mer durante l’elettroforesi in condizioni denaturanti. Perciò, anche l’incisione a singolo filamento è apparentemente un evento importante dell’azione delle proteine Rag-1 e Rag-2. Per comprendere ulteriormente le relazioni esistenti tra l’incisione suddetta e la formazione della struttura a forcina, Gellert e colleghi eseguirono uno studio a tempi diversi, nel quale incubarono il substrato per durate di tempo crescenti in presenza delle proteine Rag-1 e Rag-2 e sottoposero successivamente i prodotti ottenuti a elettroforesi su gel in condizioni denaturanti. Scoprirono così che le specie con l’incisione facevano la loro comparsa per prime, seguite dalle specie contenenti la struttura a forcina. Questo suggeriva che le specie incise fossero i precursori delle specie contenenti la struttura a forcina. Per confermare questa ipotesi, questi studiosi crearono degli intermedi incisi e li incubarono in presenza di Rag-1 e Rag-2. Quasi certamente, Rag-1 e Rag-2 avevano convertito le molecole di DNA incise in molecole di DNA contenenti strutture a forcina. Un lavoro successivo condotto dal gruppo di Gellert ha mostrato che la sequenza degli eventi sembra essere la seguente: Rag-1 e Rag-2 producono un’incisione sul filamento di DNA in posizione adiacente a uno tra i segnali di tipo 12 o 23; successivamente, il nuovo gruppo ossidrilico Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 attacca l’altro filamento mediante una reazione di transesterificazione, formando la struttura a forcina, come illustrato nella Figura 21.16. Qual è l’enzima responsabile dell’apertura della struttura a forcina creata da Rag-1 e Rag-2? Michael Lieber e colleghi hanno dimostrato, nel 2002, che un enzima chiamato Artemis è preposto a questa funzione. Artemis possiede un’attività endonucleasica. Tuttavia, assieme a DNA-PKCS, Artemis mostra un’attività endonucleasica in grado di tagliare le strutture a forcina. Abbiamo fatto riferimento alla DNA-PKCS nel Capitolo 18, parlando del meccanismo di giunzione delle estremità non omologhe del DNA (NHEJ) per il riparo delle rotture a doppio filamento del DNA. Infatti, la saldatura delle strutture a forcina aperte somiglia molto al meccanismo NHEJ e utilizza proprio il macchinario NHEJ. Artemis è necessaria anche per tagliare le strutture a forcina che vengono a crearsi durante il riarrangiamento dei geni per i recettori delle cellule T, che ricorda moltissimo il processo tramite cui si ha il riarrangiamento dei geni delle immunoglobuline. Senza gli anticorpi le cellule B sono inutili, e senza recettori per le cellule T, anche le cellule T non sono di alcuna utilità. Quindi, una perdita della funzione di Artemis comporta anche la perdita sia delle cellule B che delle cellule T. Infatti, individui con geni di Artemis difettosi presentano una malattia molto seria conosciuta con il nome di immunodeficienza combinata severa (SCID, sindrome bubble boy): non sono in grado di scatenare alcuna risposta immunitaria nei confronti di nessun agente patogeno e perciò, per poter sopravvivere, devono necessariamente essere isolati dal resto del mondo. SOMMARIO Rag-1 e Rag-2 introducono delle rotture a singolo filamento sul DNA nelle vicinanze di uno dei due segnali, 12 o 23. Questo porta a una reazione di transesterificazione nel corso della quale il nuovo gruppo ossidrilico appena formatosi produce un attacco nucleofilo sul filamento opposto, determinandone la rottura e inducendo la formazione di una struttura a forcina sull’altra estremità del segmento codificante. Le strutture a forcina quindi si rompono in maniera piuttosto imprecisa, favorendo la giunzione delle regioni codificanti mediante la perdita o l’acquisizione di basi extra. 21.4 Retrotrasposoni I trasposoni di mais studiati dalla McClintock sono esempi dei cosiddetti trasposoni “taglia e incolla” o “copia e incolla”, simili a quelli batterici trattati all’inizio del capitolo. Per la loro replicazione si sfrutta una replicazione diretta del DNA. Anche nella specie umana sono presenti trasposoni di questo tipo, che costituiscono circa l’1,6% del genoma. L’esempio più rilevante è costituito dagli elementi mariner, sebbene tutti gli elementi di questa categoria studiati sinora siano difettivi di trasposizione. Gli eucarioti possiedono anche molteplici trasposoni di altro tipo: i retrotrasposoni, che si replicano attraverso un intermedio a RNA. Perciò, i retrotrasposoni ricordano i retrovirus, alcuni dei quali possono generare tumori nei vertebrati, o causare AIDS (i virus dell’immunodeficienza umana, HIV). Come introduzione allo schema replicativo dei retrotrasposoni, cominciamo dall’esame della replicazione dei retrovirus. La trasposizione • W19 Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W20 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA Parte VII Retrovirus La caratteristica più peculiare dei retrovirus, quindi quella che caratterizza più di ogni altra la denominazione di questi virus, è la capacità di generare una copia di DNA del loro genoma a RNA. Tale reazione, RNA → DNA, è l’inverso della reazione di trascrizione, per cui è comunemente definita come trascrizione inversa o retrotrascrizione. Nel 1970 Howard Temin e David Baltimore, in contemporanea, convinsero una comunità scientifica, scettica sull’argomento, che questa reazione effettivamente ha luogo. Essi ci riuscirono avendo riscontrato che le particelle virali contengono un enzima che catalizza la reazione di trascrizione inversa. Inevitabilmente, questo enzima è stato denominato trascrittasi inversa, sebbene il nome più appropriato sia quello di DNA polimerasi RNA-dipendente. La Figura 21.18 illustra il ciclo replicativo dei retrovirus. Si parte da un virus che infetta una cellula. Il virus possiede due copie del suo genoma a RNA, associate mediante appaiamenti di basi alle loro estremità 5′ (per semplicità, è mostrata una sola copia del genoma). Quando il virus entra nella cellula, la sua trascrittasi inversa genera una copia in DNA a doppio filamento dell’RNA virale, con ripetizioni terminali lunghe (LTR, Long Terminal Repeats) a entrambe le estremità. Questo DNA ricombina con il genoma della cellula ospite per generare una forma integrata del virus nota come provirus. L’RNA polimerasi II dell’ospite trascrive il provirus, generando mRNA virali, che sono tradotti in proteine virali. Per completare il ciclo, la polimerasi II genera anche copie a RNA del provirus, cioè nuovi genomi virali. Questi ultimi sono impacchettati in particelle virali (Figura 21.19) che, gemmando dalla cellula infettata, infettano altre cellule. Evidenze per la Trascrittasi Inversa Lo scetticismo sulla reazione di retrotrascrizione derivò dal fatto che nessuno l’aveva osservata, e anche dal fatto che violava il “dogma centrale della biologia” promulgato da Watson e Crick, secondo il quale il flusso dell’informazione genetica procede nel verso DNA, RNA, proteine, e non al contrario. Successivamente, Crick affermò che la freccia DNA → RNA andava intesa a doppia punta, ma questa non era certamente una percezione comune in quel periodo. Quali evidenze fornirono Baltimore e Temin per vincere questo scetticismo? Figura 21.18 Ciclo di replicazione dei retrovirus. Il genoma virale è un RNA, con lunghe ripetizioni terminali (LTR, verde) a ciascuna estremità. La trascrittasi inversa sintetizza dall’RNA una copia di DNA lineare a doppio filamento che poi si integra nel genoma dell’ospite (nero), generando il provirus. L’RNA polimerasi II dell’ospite trascrive il provirus, formando RNA genomico. L’RNA virale è impaccato all’interno di una particella virale, che fuoriesce dalla cellula e infetta un’altra cellula, iniziando ancora una volta il ciclo. RNA: Retrotrascrizione LTR LTR dsDNA: Integrazione DNA dell’ospite DNA dell’ospite Provirus: TTrascrizione RNA: Assemblaggio nel virus; gemmazione Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 La trasposizione • W21 Proteine dell’involucro (env) VIRUS DELL’IMMUNODEFICIENZA UMANA RNA Involucro virale Proteine del core (gag) Figura 21.19 Modello del virus dell’immunodeficienza umana (HIV), un retrovirus. Al centro del virus c’e il genoma a RNA (viola), circondato da un rivestimento costituito da proteine del nucleo (grigio), che sono il prodotto del gene gag. Il nucleo del virus è racchiuso da un involucro (arancione) derivato dalla membrana cellulare plasmatica. Questo avvolgimento a sua volta è circondato da proteine dell’involucro (verde), che sono il prodotto del gene virale env. Geni omologhi sono presenti nei virus tumorali a RNA, le cui particelle possono essere rappresentate dallo stesso modello. (Per gentile autorizzazione di Coulter Corporation.) [3H]TMP incorporato (centinaia di cmp) La Figura 21.20 mostra il risultato di uno degli esperimenti di Baltimore. Egli incubò particelle purificate del retrovirus R-MLV (virus della leucemia murina di Raucher) con i quattro dNTP e [3H]dTTP, quindi misurò l’incorporazione del TTP marcato nel polimero (DNA) precipitabile con acidi. 25 Nessun trattamento Egli osservò una chiara incorporazione che poteva essere inibita dall’aggiunta di RNasi nella reazione (curva 20 H2O blu), o maggiormente inibita dalla pre-incubazione con RNasi (curva 15 verde). La sensibilità al trattamento con RNasi era compatibile con l’ipotesi che l’RNA costituisca lo stampo 10 nella reazione di retrotrascrizione. RNasi in reazione Baltimore esaminò anche il prodotto della reazione, dimostrando Preincubazione 5 con RNasi che esso era insensibile all’RNasi e all’idrolisi basica ma sensibile alla DNasi. Inoltre, i virioni potevano in30 60 90 120 corporare solo dNTP, e non ribonuTempo (min) Figura 21.20 Effetto dell’RNasi sull’attività della trascrittasi inversa. Baltimore incubò particelle di R-MLV con i quattro dNTP, incluso [3H]dTT, in diverse condizioni, poi precipitò il prodotto con acidi e ne misurò la radioattività allo scintillatore liquido. Trattamenti: rosso, nessun trattamento aggiuntivo; viola, preincubazione per 20 min con acqua; blu, RNasi inclusa nella reazione; verde, preincubazione con RNasi. (Da Baltimore, D., Viral RNA-dependent DNA polymerase. Nature 226:1210, 1970.) Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W22 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA Parte VII cleotidi come l’ATP. Perciò, il prodotto aveva tutte le caratteristiche del DNA, e l’enzima si comportava come una DNA polimerasi RNA-dipendente, una trascrittasi inversa. Baltimore e Temin effettuarono entrambi esperimenti simili su particelle del virus del sarcoma di Rous, con risultati molto simili. Perciò, sembrava che tutti i virus oncogeni a RNA contenessero la trascrittasi inversa e si comportassero in accordo con l’ipotesi del provirus illustrata in Figura 21.18. Tutto ciò si è dimostrato vero. Evidenze per un innesco di tRNA Appena i biologi molecolari cominciarono a studiare le caratteristiche della retrotrascrizione, si scoprì che la trascrittasi inversa virale si comporta come tutte le DNA polimerasi note, cioè richiede un innesco. Nel 1971 Baltimore e colleghi trovarono inneschi a RNA legati all’estremità 5′ dei trascritti inversi in corso di sintesi con la strategia riportata di seguito. Essi marcarono i trascritti inversi nascenti del virus della mieloblastosi aviaria (AMV) con lo stesso metodo utilizzato da Baltimore e Temin, incubando particelle virali con dNTP marcati. Quindi sottoposero i prodotti a ultracentrifugazione su gradiente di Cs2SO4 per separare l’RNA dal DNA per densità (essendo l’RNA più denso del DNA). Nel primo esperimento, Baltimore e colleghi isolarono gli acidi nucleici dalle particelle virali e li sottoposero immediatamente a ultracentrifugazione. La Figura 21.21a mostra i risultati: un picco di DNA marcato con la densità dell’RNA. Questa evidenza è compatibile con l’ipotesi che il DNA nascente sia ancora appaiato allo stampo di RNA molto più grande, cosicché l’intero complesso nel gradiente si comporti come l’RNA. Se l’ipotesi è vera, il riscaldamento dell’ibrido RNA-DNA comporta la denaturazione e il rilascio del RNA (a) (c) 3 [3H]DNA (centinaia di cmp) (b) DNA 1 3 1 3 1 1,65 1,44 1,42 Densità (g/mL) Figura 21.21 I retrotrascritti possiedono un innesco a RNA. Baltimore e colleghi marcarono i retrotrascritti in particelle di AMV con [3H]dTTP, poi li sottoposero e ultracentrifugazione su gradiente di Cs2SO4 dopo i seguenti trattamenti: (a) nessun trattamento; (b) denaturando al calore i polinucleotidi a doppio filamento; (c) riscaldando, e quindi aggiungendo RNasi, per rimuovere gli inneschi attaccati ai retrotrascritti. I disegni rappresentativi a destra forniscono una spiegazione dei risultati: (a) il prodotto non trattato ha un’alta densità come l’RNA poiché il retrotrascritto è piccolo ed è appaiato e uno stampo di RNA virale più grande. (b) Il prodotto riscaldato ha una densità più vicina a quella del DNA perché lo stampo di RNA è stato allontanato, ma è ancora più denso del DNA puro a causa dell’innesco a RNA che è covalentemente legato. (c) Il prodotto riscaldato e trattato con RNasi ha la densità del DNA puro poiché l’RNasi ha rimosso l’innesco a RNA. Le densità approssimative del DNA e dell’RNA puri sono indicate in alto. (Da Verma, I.M., N.L. Menuth, E. Bromfeld, K.F. Manly, and D. Baltimore, Covalently linked RNA-DNA molecules as Initial product of RNA tumor virus DNA polymerase. Nature New Biology 233:133, 1971.) Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 La trasposizione prodotto di DNA come molecola indipendente. Quando Baltimore e colleghi effettuarono questo esperimento, osservarono quanto riportato in Figura 21.21b: il DNA nascente possedeva una densità più vicina a quella del DNA, ma ancora un po’ più densa, come se possedesse dell’RNA legato. Questo comportamento poteva essere spiegato dalla presenza di un innesco di RNA legato al DNA nascente. Per verificare questa possibilità, Baltimore e collaboratori trattarono il DNA nascente con RNasi e lo sottoposero ancora una volta a ultracentrifugazione. Questa volta, la densità del prodotto era esattamente quella attesa per DNA puro (Figura 21.21c). In definitiva, il trascritto inverso in corso di sintesi sembra sia innescato da RNA. Ma che tipo di RNA? Nello sforzo di definire l’intero repertorio di molecole posseduto dalle particelle virali, i biologi molecolari identificarono alcuni tRNA, uno dei quali, il tRNATrp dell’ospite, sembrava essere parzialmente associato all’RNA virale. Poteva essere questo l’innesco ricercato? Se fosse stato così, esso doveva legarsi alla trascrittasi inversa. Per verificare questa ipotesi, Baltimore, James Dahlberg e colleghi marcarono il tRNATrp dell’ospite, o il tRNATrp isolato dalle particelle virali, con 32P, e mescolarono questi tRNA marcati con trascrittasi inversa di AMV. Quindi sottoposero le miscele a gel filtrazione su resina Sephadex G-100 (Capitolo 5). Di per sé, il tRNATrp faceva parte della frazione inclusa del gel, ed eluiva in un picco intorno alla frazione 25. Tuttavia, sia il tRNATrp dell’ospite che quello delle particelle virali, quando erano mescolati alla trascrittasi inversa, eluivano con l’enzima in un picco intorno alla frazione 20. Quindi, questa trascrittasi inversa lega tRNATrp. Congiuntamente ai dati già discussi, i dati di legame suggeriscono fortemente che il tRNATrp funga da innesco per questo enzima. Il virus non codifica per tRNA, cosicché l’innesco deve derivare dalla cellula ospite. Il meccanismo di replicazione del retrovirus Il prodotto iniziale della retrotrascrizione in vitro è un piccolo frammento di DNA chiamato DNA strongstop. Il motivo del forte segnale di stop è ovvio se si considera il sito sull’RNA virale che ibridizza con l’innesco di tRNA (primer-binding site, o PBS). Tale sito si trova a soli 150 nt circa (a seconda del retrovirus) dall’estremità 5′ dell’RNA virale. Ciò significa che la trascrittasi inversa sintetizzerà DNA più o meno per 150 nt prima di raggiungere l’estremità dello stampo di RNA e fermarsi. Questo fenomeno fa nascere una domanda interessante: cosa accadrà dopo? Questa domanda è collegata a un altro paradosso della replicazione dei retrovirus, illustrata in Figura 21.22. Il provirus è più lungo dell’RNA virale, PBS LTR gag R U5 pol env LTR U3 R PBS LTR gag U3 R U5 gag U3 R U5 pol pol env env U3 U3 RNA virale: Provirus LTR R U5 R U5 Figura 21.22 Struttura dell’RNA retrovirale e del DNA del provirus. Questo è un RNA retrovirale non difettivo che contiene tutti i geni necessari per la replicazione: un gene per la proteina di rivestimento (gag), un gene per la trascrittasi inversa (pol), e un gene per la proteina dell’involucro (env). Inoltre, contiene lunghe ripetizioni terminali (LTR) alle due estremità, ma queste ripetizioni non sono identiche. La LTR di sinistra contiene una regione R e U5, incluso un sito di legame all’innesco (PBS), qui mostrato legato all’innesco di tRNA, ma la LTR di destra presenta una regione U3 ed R. Al contrario, il DNA provirale, prodotto utilizzando l’RNA virale come stampo, contiene LTR complete a ciascuna estremità (U3, R, e U5). • W23 Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W24 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA Parte VII sebbene l’RNA virale funga da stampo per generare il provirus. In particolare, le LTR dell’RNA virale sono incomplete. L’LTR di sinistra contiene una regione ridondante (R) più una regione non tradotta al 5′ (U5), mentre l’LTR di destra contiene una regione R più una regione non tradotta 3′ (U3). Com’è possibile che un provirus possieda LTR complete a ciascuna estremità, mentre il suo stampo manca di una regione U3 alla sua sinistra e di una regione U5 alla sua destra? Harold Varmus propose una risposta basata sull’importante riscontro di un’altra attività della trascrittasi inversa: un’attività di RNasi. L’attività di RNasi della trascrittasi inversa è quella tipica dell’RNasi H, che degrada specificamente l’RNA in un ibrido RNA-DNA. L’ipotesi di Varmus è mostrata in Figura 21.23. Innanzitutto (a) la trascrittasi inversa utilizza il tRNA per innescare la sintesi del DNA strong-stop. Questa sembrerebbe la fine della corsa, ma (b) l’RNasi H riconosce un tratto 5′ R U5 PBS 3′ 5′ R U5 PBS 3′ R U5 U3 R 5 (a) La trascrittasi inversa genera un DNA “strong-stop”. 5′ (b) L’RNasi H rimuove gli RNA R e U5. U3 R 3′ U3 R 3′ 5′ PBS 3′ R U5 3′ 5′ (c) Primo salto. Il DNA strong-stop salta all’altra estremità dell’RNA. 5′ PBS U3 R 3 3′ R U5 (d) La trascrittasi inversa estende il primer. U3 R 3′ U3 R U5 5′ PBS 3′ PBS 5′ 5′ (e) L’RNasi H rimuove la maggior parte dell’RNA virale. 3′ 5′ 3′ PBS U3 R U5 (f) La trascrittasi inversa estende l’innesco a RNA. 5 3′ PBS U3 U3 R U5 PBS U3 R U5 5′ 3′ 5′ (g) L’RNasi H rimuove l’RNA virale e il tRNA. Figura 21.23 Un modello per la sintesi del DNA del provirus da uno stampo di RNA retrovirale. L’RNA è in rosso e il DNA in blu. L’innesco di tRNA è rappresentato da un trifoglio con una sequenza segnale al 3′- che si appaia con il sito di legame all’innesco (PBS) nell’RNA virale. I passaggi sono descritti più in dettaglio nel testo. 3′ PBS 5 U3 R U5 PBS 3′ U3 R U5 5′ (h) Secondo salto. I siti PBS alle estremità opposte si appaiano. 5′ U3 R U5 PBS 3′ 3′ PBS U3 R U5 5′ (i) Entrambi i flamenti sono riempiti per crescita alle estremità 3′. 5′ U3 R U5 PBS 3′ U3 R U5 PBS U3 R U5 3′ U3 R U5 5′ Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 di RNA ibrido tra il DNA strong-stop e lo stampo di RNA, e degrada i tratti R e U5 dell’RNA. La rimozione di questo RNA lascia una coda di DNA (blu) che, attraverso la sua regione R, può ibridizzare con l’RNA all’altra estremità dello stampo, o con un’altra molecola di RNA stampo (c). L’ibridazione a un’altra regione R è denominata “primo salto”. Qui assumiamo che il DNA salti all’altra estremità della stessa molecola di RNA, il che potrebbe essere facilitato dalla formazione di strutture ad ansa, per cui il DNA strong-stop non necessiterebbe di abbandonare l’estremità sinistra per associarsi all’estremità destra. Tuttavia, il DNA può anche saltare su di un’altra molecola di RNA, il che sarebbe plausibile per la presenza di due copie del genoma a RNA in ciascuna particella virale. Dopo il primo salto, il DNA strong-stop si trova all’estremità destra dello stampo e può servire come innesco per la trascrittasi inversa per copiare la parte rimanente dell’RNA virale (d). Da notare che il primo salto ha consentito all’LTR di destra di essere completata. Le regioni U5 e R sono copiate dall’LTR di sinistra dell’RNA virale e la regione U3 è copiata dall’LTR di destra. Nel passaggio (e), l’RNasi H rimuove la gran parte dell’RNA virale, ma lascia una piccola porzione di RNA adiacente all’LTR di destra che servirà da innesco per la sintesi del secondo filamento (f ). Dopo che la trascrittasi inversa ha allungato lo stampo fino all’estremità, compresa la regione PBS, l’RNasi H rimuove l’RNA rimanente (g) – l’innesco del secondo filamento e il tRNA – ognuno dei quali è associato al DNA. Ciò prelude al secondo salto (h), in cui la regione PBS sulla destra si appaia a quella di sinistra. Come il primo salto, il secondo può essere immaginato come un salto su un’altra molecola, o sull’altra estremità della stessa molecola. In quest’ultimo caso, il DNA può avvolgersi in modo tale da permettere alle due regioni di appaiarsi. Dopo il secondo salto, il passaggio successivo è quello della trascrittasi inversa, che questa volta potrà utilizzare DNA come stampo, oppure di un’altra DNA polimerasi, per completare entrambi i filamenti (i), utilizzando come stampo le lunghe sporgenze a singolo filamento su ciascuna estremità. Una volta che il provirus è stato sintetizzato, può essere inserito nel genoma dell’ospite mediante una integrasi. Questo enzima fa parte inizialmente di una poliproteina prodotta dal gene pol, che codifica anche per la trascrittasi inversa e per l’RNasi H. L’integrasi è tagliata dalla poliproteina mediante l’azione di una proteasi, che inizialmente fa anch’essa parte della stessa poliproteina. La proteasi è responsabile del suo stesso rilascio dalla poliproteina. (È interessante notare che alcuni dei farmaci più promettenti nella cura dell’AIDS sono inibitori di proteasi che hanno come bersaglio l’enzima specifico dell’HIV). Una volta che il provirus si è integrato nel genoma dell’ospite, è trascritto dall’RNA polimerasi II dell’ospite per produrre RNA virali. SOMMARIO I retrovirus si replicano attraverso un intermedio a RNA. Quando un retrovirus infetta una cellula, sintetizza una copia di DNA di sé stesso, utilizzando una trascrittasi inversa codificata dal virus per la reazione RNA → DNA, e un’ RNasi H per degradare parti dell’ibrido RNA-DNA generate durante il processo di replicazione. Un tRNA dell’ospite funziona da innesco per la trascrittasi inversa. La copia ultimata di DNA a doppio filamento dell’RNA virale è inserita nel genoma dell’ospite, dove può essere trascritta dalla polimerasi II dell’ospite stesso. La trasposizione • W25 Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W26 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA Parte VII Retrotrasposoni Sembra che tutti gli organismi eucariotici possiedano trasposoni che replicano attraverso un intermedio a RNA e perciò dipendono dalla trascrittasi inversa. Questi retrotrasposoni appartengono a due gruppi con diverse modalità di replicazione. Il primo gruppo comprende retrotrasposoni con LTR, che replicano in maniera molto simile ai retrovirus, tranne per il fatto che non passano da cellula a cellula in particelle virali; pertanto sono chiamati retrotrasposoni contenenti LTR. Il secondo gruppo comprende retrotrasposoni che mancano delle LTR (i retrotrasposoni non-LTR). I retrotrasposoni contenenti LTR I primi esempi di retrotrasposoni sono stati forniti dal moscerino della frutta (Drosophila melanogaster) e dal lievito (Saccharomyces cerevisiae). Il prototipo del trasposone di Drosophila è chiamato copia perché è presente nel genoma in copiose quantità. Infatti, i trasposoni copia e quelli correlati chiamati elementi copia-simili rappresentano circa l’1% del genoma totale del moscerino della frutta. Elementi trasponibili simili in lievito sono chiamati Ty (per transposon yeast, trasposone di lievito). Questi trasposoni hanno LTR molto simili a quelle dei retrovirus, il che suggerisce che la loro trasposizione somigli alla replicazione di un retrovirus. Infatti, molte evidenze indicano che ciò è vero. Di seguito è riportato un riassunto delle evidenze che gli elementi Ty1 replicano attraverso un intermedio a RNA, proprio come fanno i retrovirus: 1. Ty1 codifica per una trascrittasi inversa. Il gene tyb in Ty codifica per una proteina con una sequenza amminoacidica molto simile a quella delle trascrittasi inverse codificate dai geni pol dei retrovirus. Se l’elemento Ty1 codifica effettivamente per la trascrittasi inversa, allora questo enzima si dovrebbe attivare quando Ty1 viene indotto a trasporre; inoltre, mutazioni nel gene tyb dovrebbero bloccare la comparsa della trascrittasi inversa. Gerard Fink e colleghi hanno condotto esperimenti che confermano entrambe le ipotesi. 2. Il filamento completo di RNA di Ty1 e l’attività della trascrittasi inversa sono entrambi associati a particelle molto simili a quelle retrovirali. Tali particelle sono presenti solo in cellule di lievito in cui la trasposizione di Ty1 è indotta. 3. In un esperimento molto intelligente, Fink e colleghi inserirono un introne in un elemento Ty1, e quindi analizzarono l’elemento dopo la trasposizione. L’introne era stato perso! Il risultato non è in accordo con il tipo di trasposizione che avviene nei batteri, in cui il filamento di DNA trasposto somiglia proprio a quello parentale. Tuttavia, questo è in accordo con il seguente meccanismo (Figura 21.24): l’elemento Ty viene dapprima trascritto completamente, insieme all’introne; poi, l’RNA va incontro allo splicing che rimuove l’introne; infine, l’RNA privato dell’introne viene retrotrascritto, forse all’interno di una particella simile a quella virale, e il DNA risultante viene inserito in una nuova posizione nel genoma di lievito. 4. Jef Boeke e colleghi dimostrarono che il tRNAiMet dell’ospite serve come innesco per la trascrizione inversa di Ty1. Dapprima, essi mutarono 5 di 10 nucleotidi nel PBS dell’elemento di Ty1 che sono complementari al tRNAiMet dell’ospite. Questi cambiamenti eliminarono la trasposizione, probabilmente perché il tRNA non era in grado di legarsi al suo PBS. In seguito, Boeke e collaboratori generarono cinque mutazioni compensatorie in una copia del gene Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 La trasposizione DNA ospite DNA ospite Elemento Ty: LTR Introne LTR Trascrizione RNA: Splicing RNA maturato: Retrotrascrizione (nella particella?) DNA a doppio filamento: Reinserimento nel DNA DNA reinseito: Figura 21.24 Modello della trasposizione di Ty. L’elemento Ty è stato sperimentalmente dotato di un introne (giallo). L’elemento Ty è trascritto per produrre una copia di RNA contenente l’introne. Questo trascritto va incontro a splicing, e poi l’RNA maturo è retrotrascritto, forse in una particella simile a quella virale. Il DNA a doppio filamento risultante si inserisce poi all’interno del genoma di lievito. Abbreviazione: LTR: lunghe ripetizioni terminali. del tRNAiMet dell’ospite per ripristinare il legame con il PBS mutato. Queste mutazioni recuperavano l’attività di trasposizione dell’elemento mutante di Ty1. Come abbiamo già visto più volte in questo testo, questo tipo di mutazione a soppressione è una prova molto efficace dell’importanza dell’interazione tra due molecole: in questo caso, l’interazione tra l’innesco di tRNAiMet e il suo sito di legame nell’elemento Ty1. I trasposoni copia e i suoi simili condividono molte delle caratteristiche che sono state descritte per Ty, e risulta evidente che essi traspongono allo stesso modo di Ty. Anche nell’uomo ci sono retrotrasposoni contenenti LTR, ma mancano di un gene env funzionale. Gli esempi più importanti riguardano i retrovirus endogeni umani (HERV), che costituiscono l’1-2% del genoma. Finora non sono noti HERV competenti per la trasposizione, probabilmente perché sono vestigia di una passata retrotrasposizione. SOMMARIO Molti trasposoni eucariotici, incluso Ty di lievito e copia di Drosophila, apparentemente traspongono allo stesso modo. Iniziano il processo con il DNA nel genoma ospite, sintetizzano una copia di RNA, poi la retrotrascrivono – probabilmente all’interno di una particella similvirale – in DNA che può integrarsi in una nuova posizione. Probabilmente gli HERV trasponevano allo stesso modo fino a che la maggior parte di essi o tutti hanno perso la capacità di trasporre. Retrotrasposoni non-LTR I retrotrasposoni che mancano di LTR sono più numerosi di quelli dotati di LTR, almeno nei mammiferi. I più abbondanti sono gli elementi interspersi • W27 Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W28 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA Parte VII ORF1 5 UTR ORF2 EN RT C 3 UTR An Figura 21.25 Modello dell’elemento L1. Le sottoregioni all’interno di ORF2 (giallo) sono indicate con EN (endonucleasi), RT (trascrittasi inversa) e C (ricca in cisteine). Le frecce viola alle due estremità indicano le ripetizioni dirette del DNA ospite, e An sulla destra indica la regione poli(A). lunghi (Long INterspersed Elements, LINE), uno dei quali (L1) è presente in almeno 100 000 copie e costituisce circa il 17% del genoma umano, anche se circa il 97% delle copie di L1 sono più o meno mancanti delle loro estremità 5′ e la maggior parte (tutte tranne 60-100 copie circa) contengono mutazioni che prevengono la loro trasposizione. La prevalenza di elementi di L1 significa che questo retrotrasposone, che è stato classicamente definito “DNA spazzatura” occupa una quota di genoma circa 5 volte superiore a quella riconducibile agli esoni umani. La Figura 21.25 rappresenta una mappa di un elemento L1 intatto, con le sue due ORF. ORF1 codifica per una proteina di legame all’RNA (p40), e ORF2 codifica per una proteina con due attività: di endonucleasi e di trascrittasi inversa. L1, come tutti i retrotrasposoni in questa classe, è poliadenilato. Abbiamo appena visto che l’LTR è cruciale per la replicazione di molti retrotrasposoni con LTR, ma come si replicano i retrotrasposoni nonLTR? In particolare, cosa usano come innesco? La risposta risiede nel fatto che la loro endonucleasi genera una rottura a singolo filamento nel DNA bersaglio e la loro trascrittasi inversa utilizza come innesco l’estremità 3′ di DNA appena generata. Informazioni più dettagliate su questo meccanismo derivano dagli studi di Thomas Eickbush e colleghi su R2Bm, un elemento simile ai LINE presente nel baco da seta Bombyx mori. Questo elemento somiglia ai LINE dei mammiferi in quanto codifica per una trascrittasi inversa, ma non per l’RNasi H, proteasi o integrasi, e manca delle LTR. Differisce, tuttavia, dai LINE in quanto possiede un sito bersaglio specifico – nel gene per l’rRNA 28S dell’ospite. Quest’ultima proprietà rendeva il meccanismo di inserzione più semplice da studiare. Eickbush e colleghi dapprima dimostrarono che la singola ORF di R2Bm codifica una endonucleasi che taglia specificamente il sito bersaglio dell’rRNA 28S. In seguito, purificarono l’endonucleasi (e un cofattore a RNA richiesto per l’attività) e la aggiunsero a un plasmide superavvolto contenente il sito bersaglio. Se viene tagliato un singolo filamento del plasmide, il plasmide superavvolto sarà convertito in un circolare rilassato. Se vengono tagliati entrambi i filamenti, si osserva un DNA lineare. Le Figure 21.26a e b mostrano la rapida comparsa dei circolari rilassati (aperti), cui fa seguito la più lenta conversione da circolari aperti a DNA lineare. Pertanto, l’endoucleasi R2Bm taglia rapidamente uno dei filamenti di DNA sul sito bersaglio, e molto più lentamente taglia l’altro filamento. Il taglio è specifico. La nucleasi non può tagliare nemmeno un filamento di un plasmide che manchi del sito bersaglio. In seguito, questi ricercatori rimossero il cofattore a RNA e dimostrarono che la proteina da sola era ancora in grado di determinare una rottura a singolo filamento sul sito bersaglio, ma era poco identificabile il taglio sull’altro filamento (Figura 21.26c). Essi mostrarono anche che il DNA lineare poteva richiudersi mediante l’azione della DNA ligasi di T4, la quale richiede un gruppo fosfato al 5′. In questo modo, il taglio da parte dell’endonucleasi R2Bm lascia un gruppo fosfato al 5′ e un gruppo ossidrilico al 3′. In seguito, essi utilizzarono una endonucleasi per generare rotture a singolo filamento e Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 (a) La trasposizione 0 1 5 15 120 min 30 60 90 (b) 100 +RNA Prodotti (%) 80 Lineare 60 oc Lineari 40 Circolare aperto 20 0 Prodotti (%) 80 Lineare 60 40 Circolare aperto 0 100 120 100 120 –RNA Circolare aperto 40 0 40 60 80 Tempo (min) 40 60 80 Tempo (min) 60 20 20 20 80 20 0 0 (c) 100 +RNA Prodotti (%) (b) 100 sc Lineare 0 20 60 40 80 Tempo (min) 100 120 Prodotti (%) Figura 21.26 Incisione del DNA e attività di taglio dell’endonucleasi R2Bm. Eickbush e colleghi unirono un plasmide superavvolto che presentava la sequenza bersaglio per il retro(c) 100 trasposone–RNA di R2Bm con l’endonucleasi purificata di R2Bm, con o senza il suo cofattore a RNA e, successivamente, sottoposero e elettroforesi il plasmide per verificare se fosse stato Circolare 80 inciso (rilassato verso una forma circolare aperto aperta) o tagliato su entrambi i filamenti per produrre un DNA lineare. (a) Gel elettroforetico colorato con bromuro di etidio. Le posizioni del plasmide 60 superavvolto (sc), del plasmide circolare aperto (oc), e del plasmide lineare (linear) sono riportate 40 a destra. (b) Rappresentazione grafica dei risultati di (a). (c) Risultati di un esperimento simile in cui era stato omesso il cofattore a RNA. (Da Luan, D.D.,m M.H. Korman, J.L. Jakubczak 20 e T.H.Eickbush, Reverse transcription of R2Bm RNA is primed by a nick at the chromosomal Lineare target sige: a mechanism for non-LTR retrotransposition. Cell 72 (Feb 1993)f.2, p.597). 0 0 20 60 40 80 Tempo (min) 100 120 mostrarono attraverso analisi di primer extension che il filamento trascritto è quello che viene rotto. (La rottura nel filamento trascritto bloccava la DNA polimerasi nell’esperimento di primer extension che, invece, procedeva normalmente sull’altro filamento). Attraverso esperimenti più accurati di primer extension sul taglio del DNA su entrambi i filamenti, riuscirono a localizzare esattamente la posizione dei siti di taglio e trovarono che i due siti sono separati da 2 coppie di basi. Per verificare se il DNA bersaglio tagliato servisse effettivamente da innesco, Eickbush e colleghi effettuarono una reazione in vitro usando come innesco una corta sequenza di DNA bersaglio pre-tagliato, l’RNA di R2Bm come stampo, la trascrittasi inversa di R2Bm, e tutti i quattro dNTP, compreso [32P]dATP. Sottoposero a elettroforesi e ad autoradiografia i prodotti per verificare se le dimensioni fossero esatte. La Figura 21.27a mostra ciò che dovrebbe accadere a livello molecolare, e in (b) si mostrano i risultati. Quando veniva aggiunto come stampo un RNA non specifico, non si generava alcun prodotto (corsia 1), ma quando si aggiungeva l’RNA di R2Bm, compariva una banda intensa di 1,9 kb. È questo ciò che ci si attendeva? È difficile da stabilire perché non si sa di quanto si sia spinta la trascrittasi inversa e ci troviamo di fronte a un polinucleotide leggermente ramificato, tuttavia 1,9 kb è un valore prossimo a quello atteso perché l’innesco è lungo • W29 Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W30 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA 1000 bp (a) 802 nt 5 3 5 Parte VII (b) 1 2 3 4 5 6 3 2,7 1,9 1,0 Figura 21.27 Evidenze sperimentali per l’innesco da parte del bersaglio nella retrotrascrione di R2Bm. (a) Modello del prodotto che ci si aspetta se l’endonucleasi di R2Bm produce una rottura intorno all’estremità sinistra di un DNA bersaglio di 1kb e se utilizza la nuova estremità 3′ per iniziare la retrotrascrizione di un trasposone a RNA di 802 nt. Il retrotrascritto (blu) è legato covalentemente all’innesco (giallo). Il resto del filamento inferiore di DNA a sinistra è rappresentato anch’esso in giallo. Il filamento di DNA opposto è rappresentato in nero. (b) Risultati sperimentali. Eickbush e colleghi iniziarono con un DNA bersaglio di 1kb con il sito bersaglio vicino all’estremità sinistra. Aggiunsero RNA di R2Bm insieme al prodotto ORF2 e i dNTP, compreso [32P]dATP per consentire ai retrotrascritti marcati di formarsi. Sottoposero poi i prodotti a elettroforesi e ad autoradiografia. Corsia 1, un RNA non specifico fu utilizzato al posto dell’RNA di R2Bm; corsie 2-6, fu usato l’RNA di R2Bm; corsia 3, nella reazioni di retrotrascrizione fu incluso il dideossi-CTP; corsia 4, il prodotto fu trattato con RNasi A prima dell’elettroforesi; corsia 5, il prodotto fu trattato con RNasi H prima dell’elettroforesi; corsia 6, si utilizzò un DNA bersaglio non specifico (Da Luan, D.D.,m M.H. Korman, J.L. Jakubczak e T.H.Eickbush, Reverse transcription of R2Bm RNA is primed by a nick at the chromosomal target sige: a mechanism for non-LTR retrotransposition. Cell 72 (Feb 1993)f.4, p.599. Riproduzione autorizzata da Elsevier Science) 1kb e lo stampo 802nt. Per comprendere ulteriormente la natura del prodotto, Eickbush e colleghi inclusero dideossi-CTP nella reazione (corsia 3). Come atteso, ciò causava la terminazione prematura della retrotrascrizione a livello di parecchi siti, producendo bande sfocate. In un’altra reazione poi essi trattarono il prodotto con RNasi A per rimuovere tutte le parti di stampo non appaiate al prodotto della retrotrascrizione prima dell’elettroforesi. La corsia 4 mostra che questo assottigliava il prodotto a una banda di 1,8kb, suggerendo che circa 100 nt fossero stati rimossi dall’estremità 5′ dello stampo di RNA, e che la trascrittasi inversa non aveva apparentemente completato il suo compito nella maggior parte dei casi. I ricercatori trattarono anche il prodotto con RNasi H prima dell’elettroforesi e ottennero bande diffuse di circa 1,5kb; questa procedura evidentemente rimuoveva lo stampo di RNA fosse associato al prodotto. Il fatto che la banda fosse ancora più grande di 1kb indicava che era stato allungato un filamento di DNA. La corsia 6 rappresenta un altro controllo negativo in cui è stato utilizzato un DNA non specifico come stampo invece del DNA bersaglio. Esperimenti simili con un DNA bersaglio che si allungava più oltre verso sinistra, con il sito bersaglio al centro, mostrava una predominanza di prodotti grandi e a forma di Y (come previsto in Figura 21.27), suggerendo che la retrotrascrizione si verificasse prima del taglio del secondo filamento. Se il taglio del secondo filamento fosse avvenuto prima, i prodotti sarebbero stati lineari e più piccoli. Per confermare che il DNA bersaglio era utilizzato come innesco, Eickbush e collaboratori effettuarono PCR con inneschi che si appaiano con il DNA bersaglio e con il retrotrascritto, e ottennero prodotti di PCR di dimensioni e sequenza attese. Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 La trasposizione • W31 Sulla base di questi e altri dati, H.H.Kaaian e John Moran proposero il modello della trasposizione di L1 mostrato in Figura 21.28. Inizialmente, il trasposone è trascritto e il trascritto è processato. L’mRNA maturo lascia il nucleo per essere tradotto nel citoplasma. Si associa con i suoi due prodotti, p40 e ORF2, e ritorna nel nucleo. Qui l’attività endonucleasica di ORF2 introduce un’interruzione nel DNA bersaglio. Nel caso di L1, il bersaglio può essere un qualsiasi sito del DNA. Quindi l’attività di trascrittasi inversa del prodotto ORF2 sfrutta l’estremità 3′ del DNA target, generata dall’endonucleasi, come innesco per copiare l’RNA L1. Pertanto, questo meccanismo è chiamato retrotrasposizione innescata dal bersaglio. Infine, nei passaggi che sono ancora poco compresi, viene generato il secondo filamento di L1, il secondo filamento del bersaglio è tagliato, e l’elemento L1 viene ligato nella sua nuova posizione. All’inizio di questo paragrfo abbiamo appreso che gli elementi L1 costituiscono circa il 17% del genoma umano. Come vedremo tra poco, questi elementi possono portare con sé frammenti di DNA genomico durante la trasposizione. In questo modo si può calcolare che, direttamente o indirettamente, gli elementi L1 hanno scolpito circa il 30% del genoma umano. Inoltre, gli Elemento L1 ORF1 ORF2 (a) Trascrizione, maturazione ed esporto AAAn mRNA (b) Traduzione e assemblaggio di RNP p40 p40 ORF2 AAAn RNP ORF2 2 O RF OR F2 AA TT An T n (c) Importo nucleare e retroscrizione innescata dal bersaglio (d) Sintesi del secondo filamento e integrazione in un nuovo sito Figura 21.28 Un modello per la trasposizione di L1 (a) L’elemento L1 è trascritto, maturato ed esportato dal nucleo. (b) L’mRNA è tradotto per la sintesi dei prodotti ORF1 (p40) e ORF2, con attività di endonucleasi e retrotrascrittasi. Queste proteine si associano con l’mRNA per produrre una RNP. (c) La ribonucleoproteina rientra nel nucleo. L’endonucleasi incide il DNA bersaglio (in un punto qualsiasi nel genoma) e la trascrittasi inversa utilizza la nuova estremità 3′ di DNA per avviare la sintesi del retrotrascritto. (d) In una serie di passaggi non specificati, viene sintetizzato il secondo filamento di L1 e l’elemento, solitamente troncato all’estremità 5′, è ligato al DNA bersaglio. Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W32 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA Parte VII elementi simili a L1 sono stati trovati sia in piante che in animali. Pertanto, questi elementi sono antichi – almeno 600 milioni di anni. Inoltre, siccome sequenze identiche di DNA possono perdere tutte le somiglianze tra loro dopo circa 200 milioni di anni di evoluzione, l’esatto contributo degli elementi L1 al genoma umano può effettivamente essere stimato intorno al 50%. Si potrebbe ipotizzare che un qualsiasi elemento predominante come L1 nel genoma umano possa avere delle conseguenze negative, e infatti sono state identificate svariate mutazioni mediate da L1che hanno portato a malattie umane: nel gene del fattore VIII della coagulazione del sangue che causa l’emofilia; nel gene DMD, che causa la distrofia muscolare di Duchenne; e nel gene APC, che favorisce l’isorgenza di adenopoliposi al colon, una variante di cancro al colon. In quest’ultimo caso, le cellule cancerose dei pazienti, ma non quelle normali, avevano l’elemento L1 nel loro gene APC. Quindi, questa trasposizione si manifesta durante la vita del paziente come una mutazione somatica. Ciò che più stupisce è che gli elementi L1 possono realmente avere anche effetti benefici. Per esempio, esiste una significativa omologia tra la trascrittasi inversa di L1 e la telomerasi umana, suggerendo che L1 può essere stata l’origine dell’enzima che mantiene le estremità dei nostri cromosomi (sebbene potrebbe anche trattarsi del caso inverso). Tuttavia, l’aspetto positivo più plausibile di L1 è che esso può facilitare il mescolamento degli esoni, lo scambio di esoni tra geni. Questo accade perché il segnale di poliadenilazione di L1 è debole, così il macchinario frequentemente lo evita spostandosi verso un sito di poliadenilazione più a valle nella parte del trascritto dell’ospite. Gli RNA poliadenilati potranno quindi comprendere un frammento di RNA umano legato all’RNA di L1, e questo RNA umano potrà essere incorporato come un retrotrascritto in qualsiasi punto si localizzi l’elemento L1. Ciò a volte può avere conseguenze dannose, ma crea anche nuovi geni da parti di vecchi geni, e può dare origine a proteine con caratteristiche nuove e utili. Perché i segnali di poliadenilazione degli elementi L1 sono deboli? Moran dà la seguente spiegazione: se tali segnali fossero forti, l’inserzione di questi elementi negli introni dei geni umani potrebbe causare la prematura poliadenilazione dei trascritti, così tutti gli esoni a valle andrebbero persi. Questo probabilmente inattiverebbe il gene e potrebbe portare alla morte dell’ospite. Ancora, diversamente dai retrovirus, che possono spostarsi da un individuo all’altro, gli elementi L1 vivono e muoiono con i loro ospiti. D’altra parte, deboli segnali di poliadenilazione consentono a questi elementi di inserirsi negli introni di geni umani senza distruggere una percentuale molto alta dei trascritti di questi geni. Pertanto, poiché la quantità di DNA destinata agli introni è più grande di quella degli esoni, gli elementi L1 possiedono una grande regione del genoma umano da colonizzare in maniera relativamente innocua. SOMMARIO Elementi LINE simil-LINE sono retrotrasposoni che mancano delle LTR. Questi elementi codificano per una endonucleasi che taglia il DNA bersaglio. Successivamente l’elemento si avvale di una nuova estremità 3′ di DNA per avviare la retrotrascrizione dell’elemento a RNA. Dopo la sintesi del secondo filamento, l’elemento è stato replicato a livello del sito bersaglio. Un nuovo ciclo di trasposizione inizia quando l’elemento LINE è trascritto. Dal momento che il segnale di poliadenilazione di questo elemento è debole, la trascrizione di un LINE frequentemente include uno o più esoni a valle del DNA dell’ospite. Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 Retrotrasposoni non autonomi I membri di un’altra classe di retrotrasposoni non-LTR (retrotrasposoni non autonomi), non codificano per proteine, così non sono autonomi come i LINE competenti per la trasposizione. Invece essi dipendono da altri elementi, probabilmente dai LINE stessi data la loro abbondanza, per la richiesta di proteine, tra le quali la trascrittasi inversa di cui hanno bisogno per trasporre. I retrotrasposoni non autonomi meglio studiati sono rappresentati dagli elementi Alu, così chiamati perché contengono la sequenza AGCT, che è riconosciuta dall’enzima di restrizione AluI. Sono lunghi circa 300 coppie di basi e sono presenti nel genoma umano fino a un milione di copie. Per questo motivo, essi hanno riscosso anche più successo dei LINE. Il motivo di tale successo può consistere nel fatto che i trascritti degli elementi Alu contengono un dominio che somiglia all’RNA 7SL, che è normalmente parte della sequenza di riconoscimento del segnale che facilita l’attacco di alcuni tipi di ribosomi al reticolo endoplasmatico. Due proteine con questa stessa funzione si legano strettamente all’RNA dell’elemento Alu e possono trasportarlo verso i ribosomi, dove l’RNA di L1 sta per essere tradotto. Questo può inserire l’RNA dell’elemento Alu in una posizione tale da permettergli di servirsi delle proteine per essere retrotrascritto e integrato in un nuovo sito. A causa delle loro piccole dimensioni, gli elementi Alu e quelli simili a essi sono chiamati piccoli elementi interspersi (SINE). I LINE probabilmente hanno svolto un ruolo nella formazione del genoma umano facilitando la creazione di pseudogeni processati. Gli pseudogeni normalmente sono sequenze di DNA che somigliano a normali geni, ma per qualche motivo non funzionano. A volte presentano dei segnali interni di terminazione della traduzione; a volte hanno segnali di splicing inattivi o mancanti; a volte presentano promotori inattivi; di solito una combinazione di problemi previene la loro espressione. Apparentemente essi derivano da eventi di duplicazione genica e successivamente da accumulo di mutazioni. Questo processo non ha effetti dannosi sull’ospite poiché il gene originale resta funzionale. Pseudogeni processati derivano anche dalla duplicazione genica, ma apparentemente attraverso retrotrascrizione. Ipotizziamo fortemente che l’RNA sia un intermedio nella formazione di pseudogeni processati perché: (1) questi pseudogeni frequentemente hanno piccole code di poli(dA) che sembrano derivare da code di poli(A) sugli mRNA; (2) gli pseudogeni processati sono privi di introni, di cui i loro geni progenitori sono normalmente dotati. Come nel caso degli elementi Alu, che non sono derivati da mRNA, i LINE fornirebbero il macchinario molecolare che permette agli mRNA di essere retrotrascritti e inseriti nel genoma ospite. SOMMARIO I retrotrasposoni non autonomi includono gli elementi Alu, molto abbondanti nell’uomo, ed elementi simili in altri vertebrati. Essi non possono trasporre da soli poiché non codificano per nessuna proteina. Invece si avvalgono del macchinario della retrotrasposizione di altri elementi, quali i LINE. Gli pseudogeni maturi probabilmente si sono originati nello stesso modo: gli mRNA venivano retrotrascritti dal macchinario dei LINE e poi inseriti nel genoma. Introni di gruppo II Nel Capitolo 12 abbiamo appreso che gli introni di gruppo II, presenti nei genomi dei batteri, dei mitocondri e dei cloroplasti, sono introni con la capacità di auto-splicing che formano un intermedio a lac- La trasposizione • W33 Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W34 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA Parte VII cio. Nel 1998 Mariene Belfort e colleghi scoprirono che un introne di gruppo II in un particolare gene poteva inserirsi in una versione dello stesso gene priva di introni in qualche altro punto nel genoma. Questo processo, denominato retrohoming, sembra verificarsi mediante il meccanismo illustrato in Figura 21.29. Il gene con l’introne viene prima trascritto, quindi l’introne viene allontanato dallo splicing sotto forma di laccio. Questo introne, successivamente, può riconoscere una versione senza introne dello stesso gene e invaderlo mediante un meccanismo di splicing inverso. La retrotrascrizione genera una copia di cDNA dell’introne, e la sintesi del secondo filamento sostituisce l’RNA contenente l’introne con un secondo filamento di DNA. Nel 1991 Phillip Sharp propose che gli introni di gruppo II potessero essere i progenitori dei moderni introni spliceosomali, in parte a causa dei meccanismi di splicing molto simili. Nel 2002 Belfort e colleghi dimostrarono come questa evenienza si sarebbe potuta verificare. Essi identificarono una Introne Gene donatore X (a) Trascrizione (b) Splicing Introne a cappio Gene X privo di introne (sequenza identica o simile al donatore) (c) Splicing inverso (d) Trascrizione inversa (e) Sintesi del secondo filmento Figura 21.29 Retrohoming (a) Il gene donatore X (blu) con un introne di gruppo II (rosso) viene trascritto per produrre un RNA (gli RNA sono ombreggiati in tutta la figura). (b) Il trascritto va incontro a splicing, generando un introne a forma di laccio. (c) L’introne subisce uno splicing inverso in un’altra copia del gene X con sequenza identica o simile, a eccezione dell’introne che manca. (d) La trascrittasi inversa codificata dall’introne sintetizza una copia di DNA dell’introne, utilizzando come innesco un’incisione nel filamento di DNA in basso. La testa della freccia mostra l’estremità 3′ del retrotrascritto in crescita. (e) Viene sintetizzato il secondo filamento (versione DNA) dell’introne, sostituendo l’introne a RNA nel filamento in alto. Questo completa il processo di retrohoming. Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 La trasposizione • W35 vera retrotrasposizione, non solo un retrohoming, di un introne batterico di gruppo II. L’introne si dirigeva verso una varietà di nuovi siti, non solo nelle copie prive di introne del proprio gene. Per identificare la retrotrasposizione, Belfort e colleghi costruirono un plasmide con una versione modificata dell’L1 di gruppo II del Lactococcus lactis: l’introne LtrB, contenente un gene per la resistenza alla kanamicina con orientamento opposto, interrotto da un introne con auto-splicing di classe I. Per esprimere la resistenza alla kanamicina, questo introne di gruppo II dovrebbe prima essere trascritto, così l’interruzione dell’introne di gruppo I poteva essere rimossa. Successivamente, il trascritto dovrebbe essere retrotrascritto per produrre un DNA che verrebbe inserito nel DNA ospite, dove potrebbe essere trascritto nel giusto orientamento, piuttosto che in direzione opposta. Finché l’introne di gruppo II rimaneva nella forma di RNA, non poteva codificare per la resistenza alla kanamicina perché il gene della sua resistenza era stato trascritto nella direzione opposta, producendo un RNA antisenso. Quando Belfort e colleghi selezionarono cellule resistenti alla kanamicina, trovarono che la trasposizione era relativamente rara, ma avveniva con una frequenza misurabile. Una caratteristica interessante di questa trasposizione era che per la maggior parte avveniva nel filamento ritardato della replicazione del DNA. Queste evidenze sperimentali suggerivano che la trasposizione avvenisse durante la replicazione e che utilizzasse piccoli frammenti di DNA creati nel filamento ritardato (Capitolo 18) come inneschi per il tipo di retrotrascrizione innescata dal bersaglio che abbiamo visto nello schema della trasposizione di L1 in Figura 21.28. Da notare che nessuna omologia fra il trasposone e il DNA bersaglio è richiesta per questo meccanismo, dato che le interruzioni sui filamenti ritardati in corso di replicazione si verificano in qualsiasi punto del genoma. Una volta che un introne di gruppo II è retrotrasposto, conserva la sua capacità di autosplicing, consentendo di solito al gene bersaglio di poter funzionare. In tal modo, la proliferazione degli introni di gruppo II poteva avvenire subito e con relativa sicurezza negli antenati degli eucarioti moderni. Infine, gli eucarioti sembrano aver sviluppato spliceosomi per rendere il processo di splicing più efficiente. SOMMARIO Gli introni di gruppo II possono ritornare in copie prive di introni dello stesso gene mediante l’inserzione di un introne a RNA nel gene, seguita da retrotrascrizione e sintesi del secondo filamento. Gli introni di gruppo II possono anche essere soggetti a retrotrasposizione attraverso inserzione di un introne a RNA in un gene non correlato mediante retrotrascrizione innescata dal bersaglio, utilizzando frammenti di DNA del filamento ritardato come inneschi. Questo tipo di retrotrasposizione di introni di gruppo II può aver prodotto gli antenati dell’era moderna degli introni spliceosomali eucariotici e può giustificare la loro ampia presenza negli eucarioti superiori. riassunto Gli elementi trasponibili, o trasposoni, sono tratti di DNA che possono spostarsi da un sito a un altro. Alcuni elementi trasponibili si replicano, lasciando una copia nella posizione originale e inserendo l’altra copia nel sito di arrivo; altri ancora traspongono senza replicarsi, lasciando semplicemente la posizione occupata originariamente. I trasposoni batterici comprendono i seguenti tipi: (1) sequenze di inserzione come IS1 che Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl W36 • Replicazione, ricombinazione e trasposizione del DNA contengono soltanto i geni necessari per la trasposizione, fiancheggiati da ripetizioni terminali invertite; (2) trasposoni come Tn3 che sono come le sequenze di inserzione ma contengono almeno un gene in più, generalmente una gene che conferisce la resistenza a un antibiotico. I trasposoni eucariotici utilizzano una varietà di strategie di replicazione. I trasposoni di DNA, come gli elementi Ds o Ac di mais e gli elementi P di Drosophila, si comportano come i trasposoni di DNA, come Tn3, dei batteri. Anche il riarrangiamento dei geni delle immunoglobuline di mammiferi avviene tramite un meccanismo molto simile alla trasposizione. Il sistema immunitario dei vertebrati genera una enorme diversità nei tipi di immunoglobuline che possono produrre. La fonte principale di questa diversità risiede nell’assemblaggio dei geni a partire da due o tre componenti, ciascuna delle quali viene selezionata da un insieme eterogeneo. Questo assemblaggio dei segmenti dei geni è conosciuto come ricombinazione V(D)J. Le sequenze che forniscono il segnale della ricombinazione (RSS) nella ricombinazione V(D)J, consistono di un eptamero e di un nonamero separati da spaziatori di 12 o 23 bp. La ricombinazione avviene soltanto tra due segnali di tipo 12 o due segnali di tipo 23, e questo assicura che solo una delle due regioni codificanti venga incorporata all’interno del nuovo gene. Le proteine Rag-1 e Rag-2 sono le protagoniste principali nella ricombinazione V(D)J. Esse introducono delle incisioni a singolo filamento sul DNA nelle vicinanze dei segnali 12 o 23. Questo porta a una reazione di transesterificazione nella quale il nuovo gruppo ossidrilico appena liberato attacca il filamento opposto e lo rompe, formando una struttura a forcina all’estremità del segmento codificante. In un secondo momento le forcine si aprono e si saldano l’una all’altra in maniera imprecisa, favorendo la giunzione delle regioni codificanti mediante la perdita di basi o l’acquisizione di nuove. Esistono due diversi tipi di retrotrasposoni. Quelli che contengono le LTR si replicano come i retrovirus nel seguente modo: i retrovirus si replicano attraverso un intermedio a RNA. Quando un retrovirus infetta una cellula, sintetizza una copia di DNA del proprio RNA, utilizzando una trascrittasi inversa per effettuare la reazione RNA → DNA, e un’RNasi H per degradare gli ibridi RNA-DNA formatisi durante il processo di replicazione. Un tRNA dell’ospite viene utilizzato come innesco per la reazione di retrotrascrizione. La copia completa del Parte VII DNA a doppio filamento dell’RNA virale è poi inserita nel genoma dell’ospite, dove può essere trascritta dalla polimerasi II dell’ospite stesso. I retrotrasposoni Ty di lievito e copia di Drosophila si replicano in un modo molto simile. Iniziano con il DNA nel genoma ospite, sintetizzano una copia di RNA, poi la retrotrascrivono, probabilmente all’interno di una particella simil-virale, in DNA che può inserirsi in un nuovo sito. L’altra classe di retrotrasposoni eucariotici è quella dei retrotrasposoni non-LTR, che utilizzano modalità differenti per l’inizio della retrotrascrizione. Per esempio, gli elementi LINE e LINE-simili codificano per una endonucleasi che interrompe il DNA bersaglio. Successivamente l’elemento si serve della nuova estremità 3′ del DNA per iniziare la retrotrascrizione dell’RNA dell’elemento. Dopo la sintesi di un secondo filamento, l’elemento è stato così duplicato nel suo sito bersaglio. Un nuovo ciclo di trasposizione inizia quando il LINE è trascritto. Dal momento che il segnale di poliadenilazione del LINE è debole, la trascrizione di un LINE di solito comprende uno o più esoni a valle del DNA ospite e questo può trasportare tali esoni verso nuove posizioni nel genoma. I retrotrasposoni non autonomi e non-LTR includono gli elementi Alu molto abbondanti nell’uomo e altri elementi simili degli altri vertebrati. Essi non sono in grado di autotrasporsi poiché non codificano per alcuna proteina. Al contrario, si servono del macchinario di retrotrasposizione presente in altri elementi, come i LINE. Pseudogeni processati probabilmente si sono originati nello stesso modo: mRNA probabilmente venivano retrotrascritti dal macchinario degli elementi LINE e integrati nel genoma. Gli introni di gruppo II rappresentano un’altra classe di retrotrasposoni non-LTR trovati sia nei batteri che negli eucarioti. Essi possono ritornare a copie dello stesso gene prive di introni mediante l’inserzione di un introne a RNA nel gene, cui fa seguito la retrotrascrizione e la sintesi del secondo filamento. Gli introni di gruppo II possono anche subire la retrotrasposizione mediante inserzione di un introne a RNA all’interno di un gene non correlato mediante retrotrascrizione innescata dal bersaglio, utilizzando come inneschi frammenti di DNA del filamento ritardato. Questo tipo di retrotrasposizione di introni di gruppo II può aver prodotto gli antenati dell’era moderna degli introni spliceosomali eucariotici e può giustificare la loro ampia presenza negli eucarioti superiori. p er il ri p asso 1. Descrivi e fornisci i risultati di un esperimento che dimostri che i trasposoni batterici contengono ripetizioni terminali invertite. 2. Paragona e metti in risalto le differenze tra le mappe genetiche dei trasposoni batterici IS1 e Tn3 con il trasposone eucariotico Ac. 3. Rappresenta con un disegno il meccanismo di trasposizione di Tn3, prima in maniera semplificata, e quindi con maggiori dettagli. 4. Rappresenta con un disegno il meccanismo di trasposizione conservativa. 5. Spiega in che modo la trasposizione può generare chicchi di mais variegati. 6. Rappresenta schematicamente una proteina anticorpale, evidenziando le catene leggere e pesanti. 7. Spiega in che modo da migliaia di geni di immunoglobuline si possono generare molti milioni di diverse proteine anticorpali. 8. Rappresenta con un disegno il riarrangiamento delle catene immunoglobuliniche leggere e pesanti che si verifica durante la maturazione dei linfociti B. Biologia molecolare 2/ed Robert F. Weaver Copyright © 2009 - The McGraw-Hill Companies srl Capitolo 21 9. Spiega in che modo i segnali della riunione V(D)J assicurano che ciascuna delle parti di un gene immunoglobulinico sia compresa nel gene maturo, riarrangiato. 10. Rappresenta con un disegno lo schema di un plasmide reporter, progettato per valutare l’importanza dell’eptamero, del nonamero e dello spaziatore nella sequenza segnale per la ricombinazione. Spiega in che modo questo plasmide rende evidente la ricombinazione. 11. Presenta un modello per il taglio e la riunione dei filamenti di DNA in corrispondenza della sequenza segnale per la ricombinazione. In che modo questo meccanismo contribuisce alla diversità degli anticorpi? 12. Descrivi e fornisci i risultati di un esperimento che dimostri che il taglio in corrispondenza di una sequenza segnale di ricombinazione immunoglobulinica porta alla formazione di una struttura a forcina in vitro. 13. Fornisci evidenze per l’attività di trascrittasi inversa nelle particelle retrovirali e descrivi gli effetti del trattamento con RNasi su questa attività. 14. Descrivi e fornisci i risultati di un esperimento che dimostri che i prodotti “strong stop” della retrotrascrizione nei retrovirus La trasposizione • W37 sono appaiati al genoma ad RNA e legati covalentemente ad un innesco ad RNA. 15. Illustra la differenza tra le strutture LTR negli RNA genomici retrovirali e nei provirus retrovirali. 16. Illustra con uno schema la conversione di un retrovirus ad RNA in un provirus. Mostra come ciò spiega la differenza illustrata nella domanda precedente. 17. Paragona e metti in risalto le differenze nei meccanismi di replicazione retrovirale e di trasposizione di retrotrasposoni. 18. Riassumi l’evidenza che prova che i retrotrasposoni sono soggetti a trasposizione attraverso un intermedio ad RNA. 19.Descrivi e mostra i risultati di un esperimento che dimostri che l’endonucleasi di un elemento simil-LINE può introdurre un taglio su un filamento del DNA bersaglio dell’elemento. 20. Descrivi e mostra i risultati di un esperimento che dimostri che un elemento simil-LINE può utilizzare un filamento interrotto del suo DNA bersaglio come innesco per la retrotrascrizione dell’elemento. 21. Presenta un modello di retrotrasposizione per un elemento simil-LINE. p er l ’ a p p rofondimento 1. Una certa trasposasi di trasposoni genera tagli sfalsati di cinque coppie di basi nel DNA ospite. Quali conseguenze si hanno per il DNA ospite intorno al trasposone inserito? Illustra con uno schema il modo in cui i tagli sfalsati modificano il DNA ospite. 2. Sei interessato a misurare la velocità di trasferimento di un trasposone ipotetico, Stealth, da un plasmide con due geni di resistenza ad antibiotici ad un altro plasmide, con il gene per la resistenza al cloramfenicolo (Stealth è dotato di un gene di resistenza all’ampicillina). Descrivi l’esperimento che faresti per analizzare questa trasposizione. 3. Identifica il prodotto finale di una trasposizione abortiva operata dal trasposone Tn3 con mutazioni nei seguenti geni: a. Trasposasi b. Resolvasi 4. Il trasposone TnT nel plasmide A si traspone nel plasmide B. Quante copie di TnT sono nel cointegrato? Dove si trovano rispetto ai due plasmidi nel cointegrato? 5. Se l’elemento trasponibile Ds del mais è trasposto con lo stesso meccanismo di Tn3, potremmo ancora vedere i chicchi variegati del mais con la stessa alta frequenza? Perché, o perché no? 6. Assumi di avere a disposizione due sistemi acellulari con tutti gli enzimi necessari per la trasposizione di Tn3 e Ty, rispettivamente. Quali effetti potrebbero avere i seguenti inibitori sui due sistemi? E perché? a. Inibitori della replicazione del DNA a doppia elica. b. Inibitori della trascrizione. c. Inibitori della retrotrascrizione. d. Inibitori della traduzione. 7. Hai identificato un nuovo trasposone che chiami Rover. Vuoi determinare se Rover traspone secondo un meccanismo di retrotrasposizione oppure secondo un meccanismo standard di trasposizione del tipo Tn3. Descrivi un esperimento che faresti per rispondere a questa domanda, e fornisci i risultati per ciascuno dei due casi. letture consigliate Baltimore, D. 1985. Retroviruses and retrotransposons: The role of reverse transcription in shaping the eukaryotic genome. Cell 40: 481-82. Cohen, S.N. e J.A. Shapiro. 1980. Transposable genetic elements. Scientific American 242 (February): 40-49. Craig, N.L. 1996 V(D)J recombination and transposition: Closer than expected. Science 271: 1512. Doerling, H.-P. e P. Starlinger. 1984. Barbara McClintock’s controlling elements: Now at theDNA level. Cell 39: 253-59. Eickbush, T.H. 2000. Introns gain ground. Nature 404: 940-41. Engels, W.R. 1983. The P family of transposable elements in Drosophila. Annual Review of Genetics 17: 315-44. Federoff, N.V. 1984. Transposable genetic elements in maize. 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