Unità Didattica Multimediale - UDM

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3GIORNI - 3COREOGRAFI - 1CAPOLAVORO
La sacre du printemps di Igor Stravinsky
Proiezione video dei 3 balletti ispirati a ‘La sagra della primavera’ con le coreografie di
Vaclav Nijinskij - Maurice Béjart - Pina Bausch
SALE APOLLINEE del Teatro La Fenice
martedì 29, mercoledì 30, giovedì 31 ottobre 2013 ore 16.30
INGRESSO LIBERO
Coordinamento del progetto ed elaborazione dell’Unità Didattica Multimediale a cura dell’area formazione & multimedia della Fondazione Teatro La Fenice
info: [email protected]
Struttura del balletto
L'opera è strutturata in due macro-movimenti, ciascuno diviso in sei episodi
Le sacre du printemps - La sagra della primavera di Igor Stravinsky
Parte I
L'adorazione della Terra
Introduzione
Gli auguri primaverili – danze delle adolescenti
Gioco del rapimento
Danze primaverili
Gioco delle tribù rivali – corteo del saggio – il saggio
Danza della terra
La sagra della primavera (titolo originale Le sacre du printemps) è un balletto rappresentato per
la prima volta a Parigi il 29 maggio 1913 al Théâtre des Champs-Elysées dai Balletti russi
di Sergej Diaghilev, su musica di Igor Stravinsky, con scenografie di Nikolaj Konstantinovič
Roerich e per la coreografia di Vaclav Nijinskij.
La traduzione di "sagra" calcata su "sacre" non è fedele all'originale, perché il significato
del termine francese è "rituale": una traduzione basata solo sul significato sarebbe
dunque "Il rituale della primavera".
Parte II
Introduzione
Cerchi misteriosi delle adolescenti
Glorificazione dell'Eletta
Evocazione degli antenati
Azione rituale degli antenati
Danza sacrificale (l'Eletta)
Soggetto
Il balletto inscena un rito sacrificale pagano nella Russia antica all'inizio della primavera,
nel quale un'adolescente veniva scelta per ballare fino alla morte con lo scopo di
propiziare la benevolenza degli dei in vista della nuova stagione.
L'aperto richiamo alla Russia è comunque decisivo per chi volesse meglio comprendere il
carattere del lavoro: risalendo oltre la civiltà dell'uomo moderno, distruggendo l'ordine
delle forme tradizionali, Stravinsky intese ricreare un mondo barbarico e primitivo, in un
clima rituale pagano che sfocia in una rissa demoniaca.
Organico orchestrale:
Utile senz'altro uno sguardo anche all'organico strumentale previsto in partitura:
1 Ottavino (flauto piccolo)
3 Flauti (il terzo raddoppia un secondo ottavino)
1 Corno inglese
4 Oboi (il quarto raddoppia un secondo corno inglese)
1 Clarinetto piccolo in Re che raddoppia un clarinetto in Mi bemolle
2 Clarinetti in Si bemolle
1 Clarinetto basso in Si bemolle
1 Clarinetto in La che raddoppia un secondo clarinetto basso
1 Controfagotto
4 Fagotti (il quarto raddoppia un secondo Controfagotto)
8 Corni francesi (il settimo e l’ottavo raddoppiano una tuba tenore in Si bemolle)
1 Tromba piccola in Re
4 Trombe in Do (la quarta raddoppia una tromba bassa in Mi bemolle)
3 Tromboni
2 Tube basso
2 Tube tenori in Si bemolle
1 Sezione di Archi completa
1 Sezione di Percussioni composta da una grancassa, tam-tam, triangolo, tamburello
basco, guiro, cimbali antichi il La bemolle e Si bemolle.
1 Set di Timpani composto da un timpano molto piccolo per ottenere sonorità acute fino
al Si, due timpani piccoli e due grandi, per la maggior parte dell’opera viene impiegato un
solo timpanista.
Contesto e struttura dell'opera
In quello stesso anno, il 1913, in cui a Parigi venne messa in scena la Sagra, la temperie
culturale circostante non mostrava certo segni d'immobilità: Rachmaninov stava
terminando la sua seconda Sonata per piano, Proust lavorava a Dalla parte di Swaann, Mann
aveva appena chiuso La morte a Venezia e Freud pubblicato Totem e tabù. La Russia, intanto,
dichiarava guerra alla Bulgaria e di lì a poco sarebbero scoppiate la Grande Guerra e la
rivoluzione bolscevica, dalla quale Stravinsky sceglierà di tenersi sempre a debita distanza,
emigrando prima in Svizzera, poi in Francia e infine, definitivamente, in America.
Trama
La sagra della primavera, essendo un balletto, ha uno sviluppo sintetizzabile in pochi punti: si
tratta del risveglio della natura dopo il letargo invernale, evidente metafora della scoperta
della sessualità adolescenziale. L’azione descritta da musiche e coreografie è quella di un
rito pagano di propiziazione. La Primavera, dopo il freddo e interminabile Inverno, per
ridonare fertilità e vita all'arida terra russa richiede in cambio il sacrificio di una giovane
fanciulla. Figure come quella del saggio, della vecchia, della schiera di fanciulle danzanti e
dell’Eletta, destinata all'estremo sacrificio, popolano il balletto. Andamenti e temi
dell'opera variano a seconda degli scenari proposti: si passa dalla pacatezza degli auguri,
ai ritmi tribali delle danze, passando per la drammaticità delle evocazioni e dei riti di
preparazione del sacrificio.
Tratto da: http://www.fanpage.it/i-cent-anni-della-sagra/#ixzz2dRBxOdrY
1
Igor Stravinsky, la vita e le opere di Laura Cesari
meccanicizzata. Debussy scrisse a Stravinsky a proposito di Petruska: «V'è dentro una
specie di magia sonora, di misteriosa trasformazione di anime meccaniche che divengono
umane per un sortilegio di cui fino ad oggi mi sembrate essere l'unico cultore ...».
La prima de Le sacre du printemps (29 maggio 1913) è una data fondamentale nella storia
della musica, anche per l'influenza che esercitò su molti degli artisti presenti. Fu anche un
grosso scandalo: pubblico e critici furono colpiti dall'incisività di quella musica, dal ritmo
scatenato, dagli ossessivi blocchi sonori e della violenza politonale dell'armonia.
Nel 1914 Stravinsky compose l'opera in tre atti Le rossignol da cui trarrà un balletto. Nello
stesso anno abbandonò Pietroburgo e si stabilì a Norges sulle rive del Lago di Ginevra.
Compose due opere da camera, Renard nel 1916 e L'histoire du soldat nel 1918, in cui si
fondono linguaggi diversi, dall'impressionismo al politonismo al jazz e alla musica da
cabaret. Nel linguaggio stravinskyano si susseguono delle «maniere» che possiamo
definire in parallelo con quelle dell'amico Picasso. I balletti appartengono alla maniera
impressionista-russa alla quale succederà la maniera «neoclassica», inaugurata con la
suite Pulcinella del 1919, su musiche di Pergolesi. Ora Stravinsky si rifà al passato
ricreandolo in una musica moderna, ironica, intelligente, riproponendolo in modo
stilizzato e dissonante.
Nabokov definisce questo «ritorno» stravinskyano al passato come una «cristallizzazione
di un nuovo stile». Egli rievoca gli
stili del passato attraverso l'uso
della «parodia» l’espressione
stilizzata, intesa non come
imitazione burlesca di uno stile
ma, come scrive Mila, «come
categoria spirituale che,
indipendentemente dall'intento
comico (può esserci soprattutto
sotto forma di ironia, o può non
esserci), si serve del
ripensamento di uno stile del
passato come di una maschera
per travestire i segreti della vita
i n t e r i o r e . Tr av e s t i r l i , n o n
soffocarli o occultarli.
Ciò fa parte di quel complesso
di sobrietà espressiva e di
pudori dei propri sentimenti che
caratterizza
l'arte
contemporanea e la sua
reazione all'ostentazione serrata
del secolo scorso ... non fino al
punto di eliminare ogni
partecipazione dell'anima al
lavoro dell'artista il che sarebbe
davvero la morte dell'arte ma
certo un rifiuto alla confessione
diretta ... l'espressione
estrinseca viene rapidamente
eliminat a ... l'espressione
Igor Stravinsky nasce a Oraniembaum, presso Pietroburgo, il 17 giugno 1882. Il padre è
un rinomato cantante, basso-baritono al teatro Imperiale di Pietroburgo. Uomo colto e
raffinato, possiede una ricca biblioteca a cui Igor attinge fin dall'infanzia.
Egli non è un fanciullo prodigio; a nove anni inizia con una mediocre maestra lo studio del
pianoforte e i suoi studi musicali si sviluppano tardi e lentamente. È però attratto dagli
spartiti del padre, li legge con facilità a prima vista e frequenta molto i teatri. Nella
residenza estiva di Oranieambaum ascolta i canti dei contadini russi e assiste alle loro
danze. Verso i diciotto anni inizia da solo lo studio del contrappunto (arte di sovrapporre
due o più linee melodiche), affascinato dai suoi meccanismi e dalla sua perfezione
tecnica. Scriverà: «Questo lavoro mi divertiva, mi appassionava perfino, senza mai
stancarmi. Questo primo contatto con la scienza del contrappunto mi aprì di colpo un
campo molto più vasto ... queste occupazioni eccitavano la mia immaginazione e il mio
desiderio di comporre, gettavano le basi di tutta la mia futura tecnica e mi preparavano
solidamente allo studio della forma, dell'orchestrazione e della strumentazione che iniziai
più tardi con Rimskij-Korsakov».
Frequentando l'Università (si laureerà in giurisprudenza) stringe amicizia con uno dei figli
di Rimskij-Korsakov, compositore e insegnante di grande fama. Lo incontra nell'estate del
1902 e gli sottopone alcuni tentativi di composizione. Rimskijj, constatato che la scarsa
preparazione teorica non consente a Stravinsky l'accesso al Conservatorio, lo prende
come allievo fino al 1908, anno della sua morte. Il lavoro con Rimskijj, grande
orchestratore dalla tavolozza ricca di colori fiabeschi, è di grande utilità: è in questo
periodo che nascono le prime composizioni, arrivate fino a noi, di Stravinsky, in cui sono
già avvertibili alcuni dati fondamentali del suo futuro linguaggio (alcune invenzioni
ritmiche, l'uso particolare dei timbri strumentali che si distinguono nell'orchestrazione).
Particolarmente interessante di questo periodo, in cui Stravinsky assimila in modo
disordinato stili diversi (Richard Strauss, Dukas, Čajkovskij ecc.) è il breve vocalizzo per
soprano e pianoforte Pastorale del 1908, che anticipa il linguaggio neoclassico con la sua
politonalità (impiego simultaneo di due o più tonalità diverse in una composizione)
asciutta e disincantata.
Fra le composizioni di questo periodo ve n'è una per orchestra Feux d'artificie ( 1908) in
cui si fa già notare l'uso violento del ritmo e degli ottoni. Nel 1908 è presente ad una
esecuzione di questo brano il grande coreografo Diaghilev, fondatore dei celebri Balletti
Russi. Egli affida a Stravinsky la strumentazione di due brani di Chopin per il balletto Les
Silphides e successivamente la composizione di un intero balletto, L'uccello di fuoco, che va in
scena a Parigi. con grande successo nel 1909. Inizia così la collaborazione fra il coreografo
e il musicista, inserito nello stimolante mondo culturale parigino (sarà amico di Cocteau e
Picasso), da cui nasceranno nel 1911 Petruska e nel 1913 Le sacre du Printemps.
Rivivono in essi con mentalità moderna, i miti dell'antichità russa e vi si afferma in piena
originalità il linguaggio musicale di Stravinsky, con il suo sobrio lirismo e la sua potenza
dinamica. A proposito dell'Uccello di fuoco, Vlad scrive: «I temi sono laconici, il discorso
musicale si presenta a blocchi squadrati con scultorea potenza; i piani tonali si
contrappongono e si urtano nella loro lucente diatonicità; il ritmo tende già ad assumere
un autonomo valore discorsivo; alle sintetiche misture di timbri si sostituisce la crudezza
dei timbri puri: è come se l'orchestra venisse analizzata in ogni sua componente».
In Petruska, nel suo ricco colorismo ritmico, si prefigura il dramma dell'individuo
(identif icato nell'umanissimo personaggio del burattino) nella nostra civiltà
2
rimane, si, come essenza dell'arte, ma è ... espressione intrinseca ...».
Come Picasso, Stravinsky è un genio «sperimentatore»: qualsiasi linguaggio figurativo
musicale essi avvicinino si trasforma in un linguaggio inconfondibile e inimitabile. Le
radici russe sono però ancora profonde nelle due opere liriche Le Nozze del 1917 e Mavra
del 1922. Opere neoclassiche sono pure i balletti Apollo musagete del 1929 (per orchestra
d'archi, basato su astratte figurazioni dalla musica asciutta e scarna). Orpheus del 1947,
che si riallaccia al clima del Rinascimento e a Monteverdi e, l'opera-oratorio Oedipus rex
del 1927 su testo di Cocteau. Nel 1930 Stravinsky si avvicina a contenuti religiosi e
compone la Sinfonia dei Salmi per coro e orchestra, su testi biblici, opera di severità commossa
e di ricca monumentalità, ispirata alla musica gregoriana ed orientale. Il balletto Jeu de
cartel del 1937 si avvale di diverse fonti musicali :dai valzer a Verdi, Beethoven, Čajkovskij,
Ravel a Rossini.
Vlad scrive: «La musica di Stravinsky si è svincolata da ogni residua necessità significativa,
diretta o indiretta che sia. Essa diventa del tutto libera per abbandonarsi al puro gioco, al
puro divertimento. In Jeu de cartel Stravinsky realizza il massimo disimpegno esistenziale».
Dopo la Rivoluzione Russa Stravinsky diventa cittadino francese. Nel 1939 si reca per una
serie di lezioni negli Stati Uniti, dove sorpreso dalla guerra, si stabilisce, prendendo nel
1945 la cittadinanza americana. Questo trasferimento introduce nella sua ispirazione
elementi nuovi. Il suo forzato cosmopolitismo soffoca le antiche radici etniche; egli si
impossessa, attraverso la suddetta categoria fondamentale della «parodia», della cultura
musicale occidentale del presente e del passato, rivivendola «... in un travaglio di intensa
partecipazione personale». Coronamento e capolavoro del periodo «neoclassico» è The
rake's progress (La carriera di un libertino) del 1951.
Il cammino a ritroso nel tempo, che si sviluppa soprattutto attraverso le opere di
ispirazione religiosa, avvicina sempre più Stravinsky alle origini della polifonia e del
contrappunto fino ai Fiamminghi e all'Ars Nova e lo porta a una sensazionale svolta che
si manifesta nella Cantata per soprano, tenore, coro femminile e piccolo complesso orchestrale del
1952. Mila scrive: «... attraverso queste tendenze arcaiche avviene la più sorprendente
delle trasformazioni stravinskyane ... egli si accosta dapprima parzialmente e con certe
limitazioni al metodo di composizione dodecafonico (dodecafonia = modello
compositivo creato da Schönberg e da lui definito «metodo di composizione con dodici
note non imparentate tra loro. La musica si emancipa sia dal concetto della dissonanza
che da quelli di un centro tonale) ... con questa ultima trasformazione è riuscito a
mantenersi all'avanguardia del movimento contemporaneo, senza rinunciare peraltro alla
sua inconfondibile personalità. Questa rimane integra, anche se rinsecchita e
quintessenziata nel tempo, con le sue caratteristiche di lucidità e nettezza inesorabile, di
sarcastica intelligenza e di assoluta precisione del segno, con un predominio incontrastato
della forma sull'espressione». Possiamo quindi def inire Stravinsky come un
«rivoluzionario neoclassico» che ha spezzato ogni canone interpretativo che pretendeva di
incasellarne la molteplice produzione. Egli ha sperimentato tutte le strade, assimilandole
nella sua lucida personalità, in una concezione pessimistica dell'uomo che può trovare
salvezza solo nell'esasperazione di un'abilità artigianale portata alla massima perfezione,
interpretando perciò le contraddizioni della nostra civiltà tecnologica.
Egli scrisse: «Il fenomeno della musica ci è dato al solo scopo di stabilire un ordine nelle
cose, ivi compreso, e soprattutto, un ordine fra l'«uomo» e il «tempo». Per essere
realizzato esso esige pertanto necessariamente e unicamente una costruzione. Fatta la
costruzione, raggiunto l'ordine, tutto è detto.
Sarebbe vano cercarvi o aspettarsi altro. È proprio questa costruzione, questo ordine
raggiunto che produce in noi un'emozione di un carattere del tutto particolare, che non
ha niente in comune con le nostre sensazioni correnti e le nostre reazioni dovute a
impressioni della vita quotidiana. Non si potrebbe meglio precisare la sensazione
prodotta dalla musica che identificandola con quella prodotta dalla contemplazione delle
forme architettoniche. Lo capiva bene Goethe che diceva l'architettura essere una musica
pietrificata». Questi ed altri concetti di estetica musicale Stravinsky espresse in alcune
pubblicazioni, fra le quali ricordiamo «Chroniques de ma vie» del 1936 e «Poetique
musicale» del 1942. L'ultima importante opera della maturità stravinskyana sono i tre
madrigali del 1960 Monumento per Gesualdo da Venosa ad CD annum. Pressoché inattivo negli
ultimi anni della sua vita, Igor Stravinsky mori a New York il 6 giugno 1971 e volle essere
sepolto a Venezia, al San Michele, vicino alla tomba di Diaghilev. Era legato alla città di
Venezia da un rapporto «magico» e vi trascorse in varie occasioni lunghi periodi. Nel 1925
eseguì al Teatro La Fenice la Sonata per pianoforte in occasione del Festival della Società
internazionale di musica contemporanea. Alla Fenice ebbe luogo la prima della Carriera di
un libertino, l'11 settembre 1951 e a San Marco quella del Canticum Sacrum del 13 settembre
1956, entrambe dirette dallo stesso Stravinsky.
Tratto da: Guida all’ascolto per studenti di scuola media superiore e università, sale apollinee martedì 7 aprile
1987. ore 16,30, a cura di Laura Cesari, invito all’opera, 1792-1992, El amor Brujo, El Corregidor y la Molinera,
La vida breve di Mauel de Falla, L’histoire du Soldat di Igor Stravinskij, Teatro La Fenice.
Igor Stravinsky, Venezia 1925
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Un rito ancestrale di Paolo Petazzi
fiasco alla coreografia di Nijinskij, ritenendola inutilmente complicata. Molti anni prima
delle Chroniques aveva invece espresso giudizi positivi; ma qui ora interessa la descrizione
del suo ideale di coreografia:
Nelle Chroniques de ma vie Stravinsky racconta, sulla genesi del Sacre:
Mi raffiguravo l'aspetto scenico dell'opera come una serie di movimenti ritmici di estrema semplicità,
eseguiti da compatti blocchi umani, d'effetto immediato sullo spettatore, senza minuzie superflue e
complicazioni che tradissero lo sforzo.
Mentre a San Pietroburgo stavo terminando le ultime pagine dell'Uccello di fuoco, un giorno, in modo
assolutamente inatteso, perché il mio spirito era occupato allora in cose del tutto diverse, intravidi
nella mia immaginazione lo spettacolo di un grande rito pagano: i vecchi saggi seduti in cerchio che
osservano la danza fino alla morte di una giovinetta che essi sacrificano per rendersi propizio il dio
della primavera. Fu il tema del Sacre du printemps. Confesso che questa visione mi impressionò
fortemente, tanto che ne parlai subito al pittore Nikolaj Roerich ... A Parigi parlai pure con Diaghilev,
che si entusiasmò subito.
Igor Stravinsky
Nikolaj Roerich
Sembra che la coreografia sia stata oggetto di totale incomprensione e abbia avuto un
peso determinante nell'insuccesso della serata; ma non è difficile riconoscere anche nella
musica caratteri che, al suo primo apparire, potevano suscitare scandalo: nella sua
brutale violenza, nello scatenamento di forze selvagge i contemporanei poterono ravvisare
lo sconvolgimento di tutti i canoni di bellezza e di gusto tradizionali, tanto da fare del
Sacre quasi l'emblema delle avanguardie musicali del tempo. Si parlò di partitura «fauve»
per la violenza dei colori, per il massiccio impatto fonico di alcune pagine, e si avvertì
come una scossa la prepotente immediatezza con cui irrompeva il gusto per un
primitivismo barbarico che nel volgere di qualche anno sarebbe divenuto di moda. Fin
dalla prima esecuzione in concerto il Sacre conobbe soltanto successi trionfali.
Più dei balletti precedenti il Sacre definisce con matura originalità il carattere del
nazionalismo stravinskiano, il vagheggiamento in una dimensione mitica e ancestrale della
«vera Russia», mondo arcaico fuori dalla storia, quella «vera Russia» di cui ci parla in una
preziosa testimonianza Ferdinand Ramuz, «quella che si vede nascere confusamente e
magnificamente carica di impurità nel Sacre» e che poi sarebbe apparsa nel suo volto
'contadino' e 'cristiano' nelle Noces.
All'evocazione di questo mito culturale mira dunque il nazionalismo stravinskiano,
radicando la propria prospettiva nella cultura del Decadentismo. Stravinsky sostenne di
aver citato un solo tema popolare, la celebre melodia lituana intonata all'inizio dal
fagotto (piegato ad un esito sonoro dal colore originale: si dice che Saint-Saens fosse
rimasto particolarmente sconcertato e irritato perché non aveva riconosciuto il fagotto
nelle prime battute). Richard Taruskin ha dimostrato che nella partitura sono invece
numerosi i temi o i frammenti motivici che rimandano a fonti popolari, per lo più
radicalmente rielaborate, non oggetto di compiaciuta citazione (come era accaduto
talvolta nel nazionalismo musicale russo ottocentesco).
Non è difficile comprendere le ragioni della significativa dissimulazione di Stravinsky, che
manipolò spesso i suoi ricordi in funzione delle esigenze del momento: si preoccupava di
porre in ombra le profonde radici nazionali del balletto, in senso musicale e culturale,
evitando anche di ricordare il rapporto fra la concezione del Sacre e il mito dell'antichità
pagana quale appariva agli occhi degli artisti russi più sensibili e inquieti nel periodo
compreso fra la rivoluzione del 1905 e quella del 1917.
Negli anni fra le due guerre Stravinsky dissimulava queste radici per proporsi come autore
'europeo' e accreditava una immagine del Sacre nato dal nulla, nascondendo anche i
rapporti del suo linguaggio armonico con qualche aspetto della musica di RimskijjKorsakov e il suo uso della scala ottatonica (sottoposta a nuove, più complesse
manipolazioni).
Naturalmente la comprensione del contesto musicale e culturale in cui il Sacre nacque non
toglie nulla alla modernità di questo capolavoro, alla capacità di Stravinsky di reinventare
e ricondurre a rigorosa astrazione i materiali folclorici che aveva tenuto presenti, nel
soggetto come nella musica.
Serge Diaghilev
La visione di Stravinsky, l'interesse di Roerich e l'entusiasmo di Diaghilev non erano un
fatto isolato nella cultura russa dell'inizio del secolo XX, dove era diffuso il
vagheggiamento di un mondo ancestrale, pagano, in cui cercare le radici profonde e
autentiche ed una spontaneità primigenia. Gli studi di Richard Taruskin (nei due grandi
volumi Stravinsky and the Russian Traditions, 1996, il cui capitolo sul Sacre è stato tradotto in
italiano) hanno richiamato l'attenzione su questo contesto culturale, di cui fanno parte
anche, tra i poeti familiari a Stravinskij, Balmont, Blok e Sergej Gorodetskij. Una poesia di
quest'ultimo, pubblicata in una raccolta del 1906, descrive il sacrificio di una fanciulla ad
una antica divinità pagana, e potrebbe aver suggerito a Stravinsky l'idea di concludere con
un sacrificio il rito della primavera.
Un contributo decisivo alla definizione di molti dettagli del grande rito venne dagli studi
etnografici di Nikolaj Roerich, pittore e archeologo (1874-1947), che preparò con
Stravinsky la sceneggiatura, valendosi con cura scientifica di fonti autorevoli, e che creò
scene e costumi per la prima rappresentazione. Il risultato fu, da molti punti di vista,
anche etnograficamente attendibile (se si eccettua la conclusione con il sacrificio umano).
La realizzazione del Sacre, progettata fin dal 1910, fu rimandata, perché Stravinsky diede la
precedenza a Petruska e cominciò a comporre il suo terzo balletto solo nel 1911, al ritorno
in Russia dopo la prima a Parigi di Petruska. La prima rappresentazione del Sacre du
printemps, diretta da Pierre Monteux a Parigi il 28 maggio 1913, si risolse in uno dei più
celebri scandali della storia della musica. Il compositore attribuì le responsabilità del
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La stilizzazione compiuta sui vocaboli di un folclore in parte citato e in parte inventato
proietta l'assimilazione dei dati della tradizione popolare fuori della storia, a definire con
inaudita violenza e con implacabile 'oggettività' una condizione fatale, insieme
primordiale ed eterna, fuori del tempo. In questo senso può essere riletta la celebre
osservazione di Adorno, là dove parla di
sacrificio antiumanistico alla collettività: sacrificio senza tragicità, immolato non all'immagine nascente
dell'uomo, ma alla cieca convalida di una condizione che la vittima stessa riconosce. [ ... ]. Non si giunge a
nessuna antitesi estetica tra la vittima immolata e la tribù, ma piuttosto la danza di quella porta a
compimento la sua identificazione non osteggiata e diretta con questa. [ ... ]. Dell'eletta come essere
singolo non si rispecchia nulla nella musica se non il riflesso inconscio e casuale del dolore.
La sconvolgente forza del Sacre nasce anche dal modo in cui tutti gli aspetti del linguaggio
contribuiscono ad esaltare l'invenzione ritmica. Il gigantesco organico orchestrale è
trattato in modo da scatenare sonorità di inaudita violenza: talvolta appare come un
mastodontico strumento a percussione e genera pietrificati blocchi sonori. L'invenzione
ritmica presenta una ricchezza e intensità senza precedenti nella musica occidentale, tali
da suscitare molti decenni dopo l'interesse e l'ammirazione di Pierre Boulez, che al Sacre
ha dedicato una famosa analisi.
Osserva fra l'altro Boulez:
Con Stravinsky la preminenza del ritmo è rivelata dalla riduzione di polifonia e armonia a funzioni
subordinate. L'esempio estremo e più caratteristico di questa situazione è dato dalle Danses des
adolescentes dove un solo accordo contiene, letteralmente, l'intera invenzione. Ridotta alla sua espressione
più semplice l'armonia serve da materiale per un'elaborazione ritmica che viene percepita attraverso gli
accenti [ ... ]. Prima di chiederci che accordo stiamo ascoltando avvertiamo l'impulso prodotto da
quell'accordo. La Glorifìcation de l'élue o la Danse sacrale, sebbene si presentino in vesti meno
semplificate, ci colpiscono all'inizio nello stesso modo; poiché, oltre ai frammenti melodici (che la
ripetizione ci consente di afferrare e di neutralizzare con la stessa velocità) ciò che sentiamo è l'impulso
ritmico allo stato puro.
Boulez parla di frammenti melodici, e anche rispetto alla incisiva brevità delle melodie di
Petruska la partitura del Sacre tende a compiere una netta riduzione, puntando su cellule
elementari, che a volte sono quasi risucchiate nell'andamento complessivo. Anche per
questo i singoli episodi in cui si articolano le due parti del balletto appaiono assai meno
individuati dei quadri di Petruska, nel senso che mirano a fondersi in una successione di
sezioni strettamente legate: non c'è del resto una vera e propria narrazione nella
evocazione del rito ancestrale. Le due parti presentano a grandi linee un percorso simile,
dalla calma sospesa dell'inizio, attraverso un alternarsi di contrasti tra zone di quiete ed
episodi di crescente tensione, fino al culmine di intensità segnato dalle sezioni finali, dove
sembra giungere al limite estremo il progressivo scatenamento di energie.
Danza dell'Eletta, disegno di Valentine Hugo 1913
Tratto da: Programma di sala, Stagione Sinfonica 2012-2013, Fondazione Teatro La Fenice di Venezia
5
ciò «riduceva la danza a un doppione ritmico della musica e ne faceva un'imitazione»);
nelle prove Nijinskij ricorreva al rallentamento della musica per poter comporre su di essa
i passi: ma ciò li rendeva estremamente complicati e ineseguibili al tempo giusto:
procedimento che Stravinsky giudicò semplicemente «incosciente ». [3] Comunque
l'inghippo consenti a Stravinsky di perfezionare il suo lavoro, anche perché Nijinskij
richiese un numero esorbitante di prove. La partitura fu terminata l'anno successivo, il 29
marzo 1913, e il 29 maggio, presso il Théatre des Champs-Elysées, si svolse la prima
rappresentazione; l'orchestra fu diretta da Pierre Monteux, l'interprete principale (la
vergine eletta) fu Marie Piltz.
Quella serata viene ricordata come uno degli scandali più clamorosi della storia della
musica: fin dalle prime battute dell'Introduzione gran parte del pubblico cominciò a
manifestare una disapprovazione che, nel corso di tutta l'esecuzione, crebbe
progressivamente per divenire una vera e propria «bagarre »; alle urla e agli insulti contro
la musica si sommarono le urla e gli insulti di coloro che la difendevano (tra questi
c'erano Florent Schmitt e Ravel). Camille Saint-Saens fu tra quelli che abbandonarono
infuriati la sala. Nel tumulto non si riusciva a sentire una sola nota dell'orchestra, che
continuava a suonare imperterrita. Nijinskij da dietro le quinte urlava strani numeri ai
ballerini, che non riuscivano più a tenere il tempo. Diaghilev manovrava le luci nel vano
tentativo di far tornare la calma in sala. Intervenne anche la polizia, espellendo i più
facinorosi. Di tutto ciò Stravinsky rimase indignato e costernato, mentre Diaghilev si
mostrò eccitato e soddisfatto: «Esattamente quello che volevo», fu il suo commento dopo
la travagliata esecuzione.
Le rappresentazioni successive, a cui Stravinsky non poté assistere per un attacco di febbre
tifoide, riscossero un grande successo, sebbene non mancassero le disapprovazioni per
un'opera talmente sovversiva. Lo storico del balletto Cyril Beaumont così spiega
l'atteggiamento del pubblico: «Coloro i quali erano venuti a teatro sicuri di trovarsi
davanti alla grazia piacevole di movimenti leggeri ed eleganti e si ritrovarono immersi
invece in un vortice di ritmo, pieno di vitalità e dominante su tutto, costoro lo trovarono
quasi spietato, n'ebbero irritato il sistema nervoso a cagione di quel continuo
tambureggiare di selvaggi tam-tam e furono alla fine aspramente contrari alla nuova
produzione di Nijinskij ... Altri al contrario, anche se perplessi di fronte a quel tentativo di
tradurre coi mezzi della coreografia l'animo dell'uomo primitivo, apprezzarono la
sincerità del compositore e del coreografo, applaudendo con fervore ». [4] In effetti
questa musica, che per Stravinsky doveva rappresentare «la-violenta primavera russa che
pareva cominciasse in un'ora e che sconvolgeva tutto », [5] non poteva che sconvolgere
anche il pubblico borghese e suscitare in esso violente reazioni. E persino la madre del
compositore confessò di non averla fischiata solo perché non ne era capace. [6] I più
conservatori parlavano di «massacre du printemps », ma anche musicisti più progressisti,
come per esempio Skrjabin, si dichiararono «orripilati ». Puccini e Debussy la criticarono
con rispetto e correttezza, mentre Prokofiev e Ravel ne rimasero estasiati.
Sta di fatto che La sagra della primavera scardinò sia i tradizionali canoni compositivi sia i
fondamenti della fruizione estetica consuetudinaria. A solo due anni di distanza dalla
rappresentazione di Petruska, che già pareva essere un'esperienza rivoluzionaria decisiva,
Stravinsky seppe andare oltre e proporre modi più radicali e trasgressivi di concepire
l'armonia, il ritmo, il timbro strumentale e orchestrale. Innanzitutto il procedimento
politonale, che in Petruska appariva solo occasionalmente e motivato più che altro da
ragioni scenico-drammatiche (lo sberleffo di Petruska, le intersezioni tra i vari numeri
delle scene di piazza), nella Sagra diventa un fattore strutturale costitutivo dell'intera
organizzazione compositiva, al pari di quello modale che ne caratterizza l'orizzontalità
«La sagra della primavera» di Carlo Migliaccio
L'idea originaria della Sagra della primavera era venuta in mente a Stravinsky già nel 1910 a
Pietroburgo mentre stava per terminare L'Uccello di fuoco:
Un giorno - in modo assolutamente inatteso [ ... ] - intravvidi nella mia immaginazione lo spettacolo di
un grande rito sacro pagano: i vecchi saggi, seduti in cerchio, che osservano la danza fino alla morte di
una giovinetta che essi sacrificano per rendersi propizio il dio della primavera. [1]
Subito ne parlò a Diaghilev che, entusiasta, pensò immediatamente a una realizzazione
coreografica, e, d'accordo con lui, si rivolse al pittore Nicolas Roerich, già scenografo de
Il principe Igor, esperto di archeologia e di paganesimo. Ma la realizzazione di tale progetto,
che Diaghilev pensava già di attuare nella successiva stagione, fu parecchio tormentata.
Stravinsky stesso, come abbiamo visto, non si sentiva mai totalmente convinto e sicuro,
ritenendo una simile gestazione «lunga e laboriosa». Nel frattempo cominciò a dedicarsi a
Petruska, disorientando non poco il suo impresario. Ma appena Petruska fu archiviato,
Stravinsky si mise subito a contatto con Roerich, che si trovava a Talaskino, residenza
estiva della principessa mecenate Teniseva. Tanta era la fretta di cominciare che, pur di
non ritardare il viaggio di due giorni, a causa di un contrattempo ferroviario, Stravinsky
riuscì a corrompere un macchinista e accettò di viaggiare in un carro bestiame in
compagnia ... di un toro.
In una lettera a Diaghilev, Roerich così descrive il soggetto: «Nel balletto La sagra della
primavera, così come lo abbiamo concepito io e Stravinsky, il mio scopo è presentare un
certo numero di scene che manifestano gioia terrena e trionfo celestiale secondo la
sensibilità degli Slavi ... La prima scena deve trasportarci ai piedi di una collina sacra, in
una pianura rigogliosa, dove le tribù slave sono riunite per celebrare i riti di primavera. In
questa scena c'è una vecchia strega che predice il futuro, un matrimonio dopo un ratto,
danze in tondo. Poi viene il momento più solenne. Il vecchio saggio è condotto dal
villaggio per imprimere il suo sacro bacio sulla terra che ricomincia a fiorire. Durante
questo rito la folla è in preda ad un terrore mistico ... Dopo questo sfogo di gioia
terrestre, la seconda scena suscita intorno a noi un mistero celestiale. Giovani vergini
danzano in circolo sulla collina sacra, fra rocce incantate; poi scelgono la vittima che
vogliono onorare. Immediatamente ella danzerà davanti ai vecchi vestiti di pelli d'orso per
mostrare che l'orso era l'antenato dell'uomo. Poi i vecchioni dedicano la vittima al dio
Jarilo». [2]
Per tutto il 1911 Stravinsky compose molte scene del balletto, oltre alle Due poesie di
Bal'mont e alla cantata Le roi des étoiles; ma nonostante il progresso nella composizione, si
dovette rimandare l'allestimento a causa di un inghippo non indifferente: la mancanza del
coreografo. Fokine infatti aveva quasi interrotto i rapporti con Diaghilev ed era impegnato
in altri allestimenti. L'impresario puntò su Nijinskij, del quale da tempo voleva saggiare le
doti di maestro di balletto. Si scaricò così su di lui un peso più grande delle sue
possibilità, in quanto il lavoro prevedeva una complessità non paragonabile con quella
della sua prima coreografia, l'Aprèsmidi d'un faune. Da quanto ci riferisce Stravinsky, alla
sua genialità di interprete non corrispose un'uguale maestria coreografica. Innanzitutto
non aveva la minima cognizione musicale, neanche delle più semplici nozioni di ritmica.
Stravinsky si prodigò pazientemente a insegnargliene i fondamenti, ma senza successo.
Inoltre, sempre secondo il compositore, Nijinskij aveva un concetto rudimentale del
rapporto musica-danza, basato sulla coordinazione costante della pulsazione ritmica (e
6
melodica. L'accordo ribattuto della «Danza degli adolescenti» è formato dalla
sovrapposizione di due accordi distanti un semitono, Mi maggiore e Mi bemolle
maggiore; a questo secondo accordo viene aggiunta una settima minore (Re bemolle),
fondendo così a livello armonico quella che è la cellula melodica ricorrente del pezzo (Si
bemolle - Re bemolle - Mi bemolle).
L'accordo, che si trova una battuta prima dell’inizio della « Danza della terra », è
costituito dalla sovrapposizione di tre triadi (Do minore, Si minore, La bemolle maggiore)
di cui due sono a distanza di semitono. Tale aggregazione potrebbe produrre un effetto di
confusione armonica, in quanto sono presenti quasi tutti i suoni della scala cromatica.
Ma l'alchimia armonico-timbrica, per la quale gli intervalli ampi sono prevalenti nel
registro grave degli archi mentre i piccoli nel registro acuto, fa si che l'accordo si carichi di
una profondità misteriosa, come è il rito che sta per evocare.
In altri punti (per esempio all'inizio dei «Cerchi misteriosi degli adolescenti») la
politonalità fa collimare l'intervallo di semitono non tra le fondamentali dei due accordi,
ma tra le medianti, ossia le terze, quegli intervalli che caratterizzano la modalità: per cui la
tensione che si crea è ancor più esasperata.
Dal punto di vista metrico-ritmico, Stravinsky sembra non concedere più nulla alla
regolarità della scansione; e anche quando appare una normale successione di crome in
2/4 (come nella già citata «Danza degli adolescenti») questa viene contraddetta dalla
disposizione degli accenti, posti prevalentemente sui tempi deboli.
Come in armonia troviamo spesso l'ambiguità tra modo maggiore e minore, nel ritmo
troviamo l'ambiguità tra tempo forte e tempo debole, sia quando quest'ultimo viene
accentuato, sia quando le successioni di misure binarie e misure ternarie propongono un
continuo mutamento di scansione, tale da spiazzare ogni tentativo dell'ascoltatore di
cogliere una certa uniformità metrica.
Di ciò l'esempio più eclatante si trova nella «Danza sacrale dell'eletta», in cui le battute
sono così disposte: 3/16; 2/16; 3/16; 3/16; 2/8; 2/16 ...
L'alternanza 3 - 2, pur non essendo regolare, è pressoché costante; in questo modo quello
che era un «levare» nella battuta precedente, diviene «battere» nella successiva, e così via.
L'audacia di queste frequenti sovrapposizioni raggiunge il culmine in un accordo che
Ernest Ansermet giudica «il massimo di tensione armonica che la coscienza musicale
possa esprimere». [7]
7
Talora una stessa battuta di ritmo ternario (6/8) viene improvvisamente interpretata, a
parità di valori, come binaria (3/4), per esempio alla fine del «Gioco del rapimento». Se
tutti questi sfasamenti ritmici inibiscono ogni possibilità di seguire degli schemi regolari,
nel contempo l'effetto prodotto non è per nulla artificioso, meccanico e innaturale. E si
racconta che persino Stravinsky inizialmente eseguisse al pianoforte questi brani senza
rendersi conto dell'effettivo valore metrico. Tutta la partitura sembra generata da
un'energia vitale spontanea più che da un vero e proprio progetto programmato. Lo
conferma lo stesso compositore:
trillo del flauto introduce le «Ronde primaverili », in cui quel motivo pucciniano viene
ripreso dall'orchestra in una parossistica pienezza timbrica e politonale, con l'opportuna
aggiunta dei pesanti colpi di tam-tam a scandire il tempo.
A una frammentaria ripresa del Jeu du rapt e della melodia introduttiva dei clarinetti, segue
il «Gioco delle città rivali », basato sul frenetico e violento scontro tra due melodie: quella
iniziale di corni e fagotti e quella annunciata timidamente a canone dai legni. Il massimo
della tensione si raggiunge quando a questo tumulto si sovrappone, in tonalità diversa, la
melodia del «Corteo del saggio », affidata alle tube, alla quale poi tutta l'orchestra si
adegua in un assordante insieme sonoro (proprio come i gruppi rivali si aggregano al
corteo).
Un brevissimo Lento fa da transizione alla «Danza della terra»: nel silenzio generale il
saggio dà il via al rito dell'adorazione della terra. Sono quattro semplici battute con pochi
strumenti, eppure l'effetto è stupefacente e a stento si riconoscono i singoli timbri:
fagotto e controfagotto suonano un pedale sulle note acute (con basso Si bemolle), sul
quale si odono dei rintocchi di timpani, controfagotto (sul Fa acuto) e contrabbasso (sul
Fa acuto con sordina); a questo strano impasto fa dapendant, agli archi, quello strano
accordo politonale in più-che-pianissimo di cui abbiamo parlato in precedenza. A
conclusione della prima parte abbiamo la «Danza della terra», in cui la sfrenatezza ritmica
prevale su qualsiasi connotazione melodica e armonica. È la danza che preannuncia la
danza mortale dell'eletta.
Non seguii nessun sistema particolare nella composizione del Sacre du printemps. ( ... ) Mi era
di aiuto il solo orecchio. Sentivo e scrivevo ciò che sentivo. [8]
Anche dal punto di vista timbrico le innovazioni sono rilevanti: l'orchestra impiegata è
mastodontica, nonostante le iniziali titubanze di Diaghilev a concederla. Sono previsti fra
l'altro ben otto corni, il flauto in Sol, due tube tenori, una massiccia sezione di
percussioni. L'impiego di questa imponente massa orchestrale, spesso sfruttata nella sua
totalità e in più-che-fortissimo, è però di tipo radicalmente antiromantico e
antiimpressionista: per la funzione melodica vengono preferiti i legni e gli ottoni agli archi;
questi ultimi vengono impiegati spesso in modo percussivo, con arcate brevi e secche su
note ribattute, o addirittura percuotendo le corde con il legno dell'archetto. Anche i
singoli strumenti vengono usati in senso del tutto antitradizionale, non senza difficoltà
per gli esecutori: il fagotto nel registro acuto, il flauto nel grave, note tenute sugli
armonici, ecc. Gli impasti sono inusuali, talora stridenti, in opposizione al flou
impressionista. Anche in questo caso l'intento è di far risultare un timbro scabro e
selvaggio, lontano dalle abitudini del nostro orecchio e della nostra cultura.
La seconda parte riguarda «Il sacrificio », momento culminante di tutto il rito tribale.
L'Introduzione presagisce e anticipa il senso di morte e di mistero che avvolge tale rito. Lo
avvertiamo, oltre che nelle inusuali combinazioni timbriche, soprattutto in quella amorfa
melodia oscillante tra Si bemolle, Do bemolle e Do naturale che due trombe fanno
risuonare con sordina, come da una lontananza remota. I «Cerchi misteriosi degli
adolescenti», formati per scegliere la destinata al sacrificio, sono costituiti da una
successione di melodie distese e cantabili, che dànno appunto l'idea dell'innocenza
adolescenziale. Tra queste melodie si insinua, sul tremolo dei violini, la sinistra
successione melodica dell'Introduzione, come una minaccia che incombe. Il crescendo ed
accelerando conclusivo coincide con la separazione dal gruppo degli adolescenti della
vergine, che viene subito coinvolta nella «Glorificazione dell'eletta», basata sullo squillo
acuto dei flauti, già anticipato nella «Danza della terra», e sull'immediata risposta
dell'orchestra con tre note discendenti. Dopo 1'« Evocazione degli anziani» e 1'« Azione
rituale degli anziani» (in cui singolare è il duetto tra corno inglese e flauto in Sol) si arriva
alla conclusiva «Danza sacrale - L'eletta»: è il pezzo che più caratterizza l'intero balletto.
Formalmente è diviso in cinque parti (A- B - A - C - A (Coda)) individuate ciascuna da
diverse componenti ritmiche:
A = successione di battute binarie e ternarie (di cui abbiamo parlato sopra);
B = ritmo più calmo e regolare, inframmezzato da una nervosa quintina discendente;
C = percussioni concertanti.
Ciò che prevale è l'elemento percussivo, mentre quello melodico viene inesorabilmente
sopraffatto da un'orgia di suoni e di scansioni, proprio come la vergine eletta viene
sopraffatta dal sempre crescente ed esaltato entusiasmo mistico della tribù. E, alla fine, la
povera fanciulla esala l'ultimo respiro in un arpeggio rapido ascendente acutissimo (e in
più-che-fortissimo) di ottavini, flauti, violini e viole: è questa la perfetta resa sonora
dell'anima che abbandona il corpo, coerentemente con le concezioni arcaiche dell'anima
come «soffio vitale» che, all'ultimo respiro, abbandona il cadavere sfuggendo dalla
bocca. [10]
La sagra della primavera, «Quadri della Russia pagana» come sottotitolo, non ha un vero e
proprio svolgimento drammatico. Si divide in due parti: «L'adorazione della terra» e «Il
sacrificio». La prima parte inizia con un a- solo del fagotto nel registro acuto. La melodia
è un canto lituano, unico canto originale folklorico di tutto il pezzo; il sapore arcaico di
questa Introduzione è dato, oltre che dal timbro, anche dall'irregolarità metrica della
melodia e dal contrappunto dissonante degli altri strumenti che, a poco a poco, si
aggiungono al fagotto: rispettivamente corno, clarinetti, corno inglese, oboi, violini,
flauti, fino alla piena orchestra, riprendendo frammenti del canto lituano e aggiungendo
in sovrapposizione nuovi incisi melodici; dice Stravinsky:
Era nelle mie intenzioni che il Preludio dovesse rappresentare il risveglio della natura, lo stridere,
il rosicchiare, il dimenarsi di uccelli e bestie. [9]
Alla fine di questo Preludio tace di colpo l'intera orchestra, lasciando solo il fagotto a
terminare la sua melopea. Il pizzicato dei violini introduce quell'elemento melodico (Si
bemolle - Re bemolle - Mi bemolle) che, come un meccanismo d'orologeria, costituisce la
base del primo quadro: «Gli auguri primaverili - Danza degli adolescenti». Sull'ostinato
ritmico stabilito dagli archi vengono esposti tre temi abbastanza regolari, il primo
inizialmente affidato ai fagotti e poi ripreso a canone, il secondo introdotto dai corni, il
terzo, che anticipa le «Ronde primaverili », dalle trombe. È questo un motivo che
Stravinsky paragona a «Tu che di gel sei cinta», l'aria di Liu della Turandot di Puccini. Un
possente crescendo orchestrale porta al secondo quadro, «Il gioco del rapimento », un
pezzo di virtuosismo orchestrale e di grande effetto sonoro. Un tema dei clarinetti sul
8
Anche l'argomento quindi, al pari delle innumerevoli trasgressioni musicali, rappresenta
qualcosa di estremamente distante dalla mentalità e dalla morale corrente: il sacrificio
crudele di un'adolescente che offre la sua giovinezza alla natura e alla primavera. Già con
questa scelta Stravinsky scandalizzò non solo il pubblico della belle-époque parigina di
inizio-secolo, ma anche tutta una società e una cultura che in quegli anni era in procinto
di compiere un ben più crudele sacrificio di vite umane. A un mondo, quello tardoborghese, giunto al suo epilogo, Stravinsky propone il suo inizio, il mondo arcaico e
primitivo, gli antipodi del progresso e della sua tragica acme, quasi per porre la società e
la cultura di fronte alla propria cattiva coscienza. La sua provocazione coinvolge degli
strati molto profondi di un inconscio collettivo che l'esteriorità dei gusti musicali e della
morale intendono rimuovere. E il suo atteggiamento è nel contempo impassibile e
disinteressato, scevro di ogni palese presa di posizione di carattere etico: la Sagra è il primo
esempio di quella fredda oggettività, tipica della musica stravinskiana successiva, tema di
tante discussioni e di tanti malintesi ideologici. [11]
NOTE
[1] I. Stravinsky, Cronache della mia vita, cit., p. 32.
[2] Citato in E. W. White, Stravinsky, trad. di Maurizio Papini, Milano 1983", p. 243.
[3] I. Stravinsky, Cronache della mia vita, cit., p. 48.
[4] Citato in White, cit., pp. 45-46. 5 Ib., p. 46.
[5] Ib. p. 46
[6] Ib.
[7] E. Ansermet, Les fondaments de la musique dans la conscience humaine, Neuchatel 1962, citato in
White, cit., p. 246.
[8] IGOR Stravinsky - R. Craft, Colloqui ... , cit., p. 336.
[9] Ib., p. 331.
[10] Simili descrizioni della morte sono frequenti nei poemi omerici.
[11] Cfr. T. W. Adorno, Filosofia della musica moderna, trad. di Giacomo Manzoni, Torino 1975.
[12] I. Stravinsky - R. Craft, Colloqui ... , cit., p. 123.
[13] Cfr. ib. pp. 77 (sulla metrica), 86 (su Dallapiccola) e 170 (su Varèse).
[14] Cfr. J. Cocteau, Le Coq et l'Arlequin, Ed. de la Sirène, Paris 1918.
[15] Cfr. P. Boulez, Schonberg è morto (1952), in Relevés d'apprenti, Parigi 1966 (Note di apprendistato,
trad. di Luigi Bonino Savarino, Torino 1968).
La risonanza, nel bene e nel male, della Sagra della primavera cominciò come abbiam visto
fin dall'esecuzione della prima nota dell'opera; ma in ogni caso ci si rese conto di trovarsi
di fronte a un'opera straordinaria, e come tale fu considerata a livello interpretativo:
molti tra i migliori direttori d'orchestra, da Ansermet in poi, hanno alloro attivo
un'esecuzione della Sagra, che per le sue precipue difficoltà ritmiche inaugura quello che è
un vero e proprio virtuosismo direttoriale. La coreografia di Nijinskij, per quanto geniale,
fu subito archiviata per le difficoltà di realizzazione, mentre nel 1920 Diaghilev incaricò il
giovanissimo Léonide Massine per una nuova, che lo stesso Stravinsky ritenne «eccellente
», «incomparabilmente più chiara di quella di Nijinskij». [12]
Altri grandi coreografi si sono cimentati nel riscrivere il capolavoro stravinskiano, tra cui
Pina Bausch, che ne ha fatto una versione espressionisticamente drammatica, con gesti
intensi, marcati, fortemente interiorizzati, con un serio impegno-di aderenza alla musica.
Nel 1959 Maurice Béjart non ha risparmiato neanche la Sagra dalle sue estrose e personali
reinvenzioni: il coreografo francese ha eliminato quello che era l'aspetto essenziale
dell'originale stravinskiano nijinskijano, l'elemento archeologico e barbarico, per
sostituirvi una ottimistica apoteosi della vita e dell'amore, in cui i tipici ritmi, aggressivi e
crudeli, vengono banalmente interpretati come sensuali pulsazioni corporee: una
realizzazione di grande originalità ed efficacia spettacolare, ma che si sarebbe forse
meglio attagliata a un altro tipo di musica.
Infine accenniamo alle influenze che la Sagra ha apportato alla musica contemporanea,
influenze che lo stesso Stravinsky ha avuto più volte occasione di rilevare: [13]le prime
avanguardie, e non solo quelle musicali, [14] ne hanno recepito lo spirito trasgressivo e
antiborghese. D'altro lato le avanguardie post-weberniane hanno isolato alcuni elementi
innovativi, come le irregolarità metriche e le sperimentazioni timbriche, concordando solo
in parte con la stigmatizzazione ideologica di Adorno. Significativa è la posizione di Pierre
Boulez, il quale, soprattutto in opere come Marteau sans maitre (1954) e la Seconda Sonata
(1948), nonché nei suoi scritti teorici, ha rivalutato il vitalismo della Sagra all'interno di un
ambito teorico strutturalistico, giungendo persino a rinnegare il padre del rigorismo
dodecafonico novecentesco, Arnold Schoenberg, e capovolgendo così la concezione
dualistica di Adorno. [15] Ciò infine dimostra che dal punto di vista o coreografico, o
musicale, o filosofico le interpretazioni di un'opera possono essere le più svariate, talora
totalmente opposte: è il destino questo degli autentici capolavori.
Tratto da: I balletti di Igor Stravinsky, Carlo Migliaccio, Cicli musicali, Mursia 1992
9
Vaclav Nijinskij, biografia
che portava i suoi ferventi adoratori a considerare ogni suo nuovo ruolo come
un'ulteriore manifestazione di genialità.
Secondo una delle più autorevoli biografe di Nijinskij, Vera Krasovskaja, la sua
interpretazione di Albrecht in Giselle meglio di ogni altra parte esprimeva la sensazione di
un eroe vinto, nella sua solitudine. Secondo altri, compresa Anna Pavlova che lo chiamava
"il cagnolino di Diaghilev", Nijinskij espresse il meglio di sé in Petruska, Tyl Eulenspiegel e
come Schiavo d'oro in Shéhérazade.
È fuor di dubbio che Nijinskij fu un danzatore inclassificabile. Le sue gambe corte e
muscolose, così come il suo volto orientale e la bocca femminile, lo rendevano inadatto ai
ruoli di eroe romantico.
Figlio dei ballerini polacchi Thomas Nijinskij ed Eleonora Bereda, Vaclav crebbe allevato
dalla madre che nel 1898 lo fece entrare alla Scuola Teatrale Imperiale. Studiò nelle classi
dei fratelli Legat, si guadagnò la borsa di studio Didelot, passò poi alla classe di Michail
Obuchov e divenne presto l'argomento del giorno di Pietroburgo quando, nel 1906, con
Vera Trefilova in alternanza con Anna Pavlova danzò nel divertissement del Don Giovanni di
Mozart. L'anno successivo brillò nello spettacolo di fine corso nel Volo della farfalla di
Fokine.
Ancora prima che entrasse nella compagnia del Mariinskij, Obuchov mostrò in più
occasioni il suo prestigioso allievo in vari passi a due e passi a quattro, mentre un critico
già lodava «il suo salto enorme, il suo straordinario ballon col quale sembra volare in aria
come un uccello».
Nel maggio del 1907 Nijinskij entra al Mariinskij come solista. Il suo modo di
accompagnare la partner nella danza con forza ed esuberanza gli guadagna la simpatia
delle principali ballerine come Lidija Kjast, Tamara Karsavina, Julija Sedova. Alla fine della
stagione ebbe il ruolo di Colin nella Fille mal gardée e del principe nel Principe giardiniere con
Matilda Ksesinskaja, entusiasmando i critici per i suoi entrechats huit e per il suo ballon.
Sulla base delle recensioni, all'inizio della sua carriera Nijinskij sembra impressionare i
critici più per la sua tecnica brillante che per la teatralità dell'interpretazione. Nel
novembre del 1907 conquistò i ballettomani di Pietroburgo con i suoi brisés volés
nell'Uccello azzurro dalla Bella addormentata. Doveva essere questo il primo ruolo in cui
l'approccio innovativo e rivoluzionario del diciottenne Nijinskij appariva evidente.
Bronislava Nijinska racconta questa interpretazione descrivendola come uno dei momenti
più importanti della storia del balletto: «Le sue ali da uccello facevano parte del suo
corpo ... il movimento del suo corpo era quello di un uccello in volo ... ». Ancora la
Nijinska è l'unica fra i contemporanei che analizza con profondità il nuovo stile di danzare
del fratello che sarebbe diventato un tratto fondamentale del balletto classico del XX
secolo: «Era impossibile cogliere il momento in cui terminava un passo per incominciare
quello successivo. Tutta la preparazione veniva concentrata nel tempo più breve possibile
proprio nel momento in cui il piede toccava il palcoscenico ... Dopo ogni entrechat
sembrava che neppure scendesse a toccare terra, era un glissando continuo in cui tutti gli
entrechats si mescolavano insieme in un volo verso l'alto».
Dal novembre del 1907 al marzo del 1908 Fokine fece in modo di far provare a Nijinsky
due nuovi ruoli: lo Schiavo bianco nel Padiglione di Armida e lo Schiavo nero nelle Notti
egiziane (che sarebbe poi diventato Cleopatra). Curiosamente questi due ruoli, con cui
Nijinskij avrebbe entusiasmato il pubblico parigino nel 1909, passarono inosservati in
Russia. Forse questa abilità di Nijinskij di investire i ruoli delle sue fantasie sensuali era
ancora sopita, oppure il Balletto Imperiale, con il suo ideale di asessualità, può avere
respinto questo aspetto. Sulla scena del Mariinskij era considerato soprattutto un
Nijinskij è una figura leggendaria
del balletto russo: quello che la
critica ha scritto su di lui
riempirebbe un volume enorme. La
sua vita e i suoi successi sono stati
divulgati con profusione di dettagli
così come la sua complessa
relazione con Serge Diaghilev la cui
intuizione e il cui fiuto guidarono il
genio di Nijinskij.
Penne di centinaia di critici e storici
hanno descritto i suoi leggendari
spett acoli. Ci sono continui
tentativi di ricostruire le sue
coreograf ie considerandole una
manifestazione del suo genio; per
quanto argomenti contrari siano
stati avanzati da coloro che hanno
avuto ruoli di rilievo nei Ballets
Russes.
Ironicamente questa valanga di
scritti, critiche, tentativi di
ricostruzioni ha reso semplicemente
più sfuggente la figura di Nijinskij.
Anche la sua data di nascita resta
controversa: il suo certificato di
nascita lo fa nascere a Kiev il 7
dicembre del 1889, ma la sorella
Bronislava sostiene che Vaclav era
nato il 28 febbraio del 1889.
Tutta la sua vita, la gloria fulgente,
la breve carriera, la follia avrebbero
potuto costituire materia di un Stravinsky e Nijinskij dopo una rappresentazione di Petruska
romantico melodramma alla
Dumas. E proprio il melodramma è il tono dominante della biografia scritta dalla moglie
Romola pubblicata nel 1933, Gli ultimi giorni di Nijinskij.
Una interpretazione che attribuisce la follia del danzatore alla vendetta di Diaghilev e dei
circoli omosessuali la cui potenza la scrittrice paragona a quella del Vaticano. Un tono
melodrammatico che ritorna anche nella biografia scritta da Richard Buckle nel 1971. Al
di là dei particolari fioriti dalla leggenda, tuttavia, testimonianze come quella di Fedor
Lopuchov, che ricorda il suo compagno di classe come un ritardato mentale, un emotivo
incapace di far di conto, non sono lontane dalla realtà. Confermate dai ricordi di
personaggi famosi come Misia Sert che lo etichettò come un "geniale idiota". Immagine
che non concordava con certi giudizi della critica che lo definivano un "vulcano di
sensualità" o un "corpo irresistibile". Con la sua elettrizzante plasticità Nijinskij evocava
sulla scena visioni d'inarrestabile passione, languido desiderio e ambivalenza sessuale. Il
possente impatto della sua danza poetica creava un'atmosfera di soggezione e incredulità
10
impeccabile virtuoso. Soltanto alla luce dell'atmosfera stimolante delle saisons di
Diaghilev il talento di Nijinskij avrebbe potuto brillare in tutto il suo splendore.
La fonte subconscia che nutriva la creatività di Nijinskij era tanto irripetibile quanto
morbosa. Venti anni dopo il suo ultimo spettacolo, in una rivelatoria introduzione al
Diario di Nijinskij lo psicanalista Alfred Adler attribuì la schizofrenia del danzatore sia alla
sua tendenza dominante a sfuggire la realtà sia al suo indulgere sulla vanità frustrata e sui
suoi sentimenti di inferiorità. Come antidoto a una realtà spiacevole Nijinskij si rifugiava
nel mondo immaginario della scena.
Alexandre Benois sottolinea l'attenzione accanita con cui Nijinskij si vestiva per la scena:
«Indossato il costume incominciava a diventare un'altra persona, quella che osservava
nello specchio. Si reincarnava ed entrava completamente in questa sua nuova esistenza».
La collaborazione con Fokine nel 1907 fece da elemento catalizzatore nello sviluppo
artistico di Nijinskij. Due aspetti delle coreografie di Fokine sembravano aver colpito
l'immaginazione di Nijinskij: la libertà dai rigidi schemi accademici e la ricchezza visiva che
lo induceva a sentirsi parte di un complesso mondo immaginario. Nei ruoli di schiavo nel
Padiglione di Armida nelle Notti egiziane Nijinskij colpì Diaghilev che subito comprese la
natura del talento del danzatore: la capacità di caricare la perfezione tecnica di sensualità.
I due schiavi sarebbero stati i primi di tutta una serie di interpretazioni, creature
sottomesse, ma percorse da tempeste psicologiche, dipendenti dal capriccio di un'altra
persona, creature delle quali Petruska sarebbe stato l'esempio più tragico. Chopiniana, la
reverie di Fokine che ebbe la prima nel marzo 1908, avrebbe animato un altro lato
dell'immaginazione di Nijinskij: la sua aspirazione a un amore puro e ideale, quello
spiritualismo che lo avrebbe portato all'infatuazione per la filosofia francescana di Tolstoj
e all'odio per la "demoniaca sensualità" e il bigottismo di Diaghilev.
Nel maggio del 1909 Nijinskij ammutolì il pubblico parigino dello Chatelet con il suo
inarrivabile virtuosismo nel Padiglione di Armida, che ricordava le leggendarie imprese di
Vestris. Nel passo a due dell'Uccello azzurro dalla Bella addormentata (ribattezzato L’oiseau
de feu) mostrò di nuovo le meraviglie della sua elevazione che gli guadagnò la reputazione
di "angelo volante".
La società parigina raffinata e snob fu impressionata dall'ambigua sensualità di Nijinskij.
La cosa che colpiva di più, secondo quanto mi disse Elizaveta Timeh (attrice famosa, la
prima Cleopatra di Fokine), era il fatto che «in nessun modo aveva un aspetto
effemminato. Al contrario il suo corpo robusto dal collo possente e dalle gambe
muscolose faceva pensare a una potenza sessuale che nella vita di tutti i giorni si
mormorava non avesse».
Durante la prima stagione parigina le recensioni erano colme di fantasiose immagini che
paragonavano Nijinskij a una pantera, a una lince, a una tigre. Aveva conquistato il
pubblico in un modo viscerale, con l'immaginazione e con il subconscio, un potere
incredibile del quale probabilmente neppure Nijinskij era consapevole: divenne la prima
superstar della danza.
Stranamente, dopo il suo ritorno a Pietroburgo, Nijinskij sembrò perdere tutto il suo
glamour di nuovo Vestris. Depresso e confuso, era profondamente urtato
dall'atteggiamento della direzione del Mariinskij che vedeva di cattivo occhio la sua storia
con Diaghilev e cercava di punire il favorito dell'impresario.
Enfant prodige a Parigi, qui non aveva altri vantaggi di quelli di un membro del corpo di
ballo e ciò che gli offrì il teatro non fu altro che ruoli sclerotizzati in vecchi balletti. Ma
dopo Parigi appariva impacciato, secondo alcuni critici, nella routine dei teatri imperiali.
Nella primavera del 1910 sembrò rinascere durante le prove dei ruoli pensati da Fokine per
la nuova stagione parigina: Arlecchino in Carnaval, lo Schiavo d'oro in Shéhérazade. Era
previsto anche che avrebbe danzato Albrecht in Giselle e due ruoli miniatura nel
divertissement Les orientales (basato su musica di Grieg e Sinding) che fu dato in prima a
Pietroburgo nel febbraio del 1910.
La seconda stagione parigina pose l'accento sulla capacità di Nijinskij di trasmettere non
tanto le caratteristiche di singoli personaggi, quanto stati d'animo non completamente
determinati di questi personaggi: per esempio il sognante sonnambulismo nelle Silfidi,
l'animalesca forza della natura in Shéhérazade.
Come notava il critico Svetlov, tornato in Russia da Parigi, che cosa avrebbe riservato il
Mariinskij a un Nijinskij lodato e osannato dalla critica in Occidente, se non un repertorio
vecchio e mummificato? Cavalieri senza significato utili soltanto a fare da porteur alle
prime ballerine? E infatti Nijinskij ritardava il suo rientro per l'inizio della stagione del
1910 al Mariinskij, tanto che il teatro gli sospese lo stipendio. Tornò soltanto nel gennaio
del 1911, e fu per l'ultima volta, sul palcoscenico del Teatro Imperiale. Il suo Albrecht, in
Giselle, provocò uno scandalo. La severa zarina madre Maria Fedorovna, la cui pruderie
vittoriana era pari soltanto all'ignoranza, si alzò indignata alla vista della calzamaglia
gialla di Nijinskij, sulla quale non aveva indossato i calzoncini corti del costume. Il rifiuto
di indossare il costume gli costò il licenziamento, che egli commentò con un'amara
riflessione sul pubblico russo per il quale «i teatri erano semplicemente osterie senza
nessun riguardo per i loro veri scopi artistici».
La carriera di Nijinskij a Pietroburgo durò soltanto tre anni. La rottura col Mariinskij lo
legò sempre di più all'impresa di Diaghilev dal quale si trovò a dipendere in maniera
totale. La separazione dalla madre, il trovarsi a vivere in un luogo alieno, sotto il controllo
vigile di Diaghilev, e il fardello della sua sempre maggiore celebrità aumentarono vieppiù
la sua natura introversa. Mentre si faceva sempre meno socievole, sfogava sulla scena
La danza siamese, in Les orientales, 1909
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tutt a la f or za, la sua
sofferenza interiore.
Per la terza stagione dei
Ballets Russes (1911) Fokine
creò per lui tre nuovi grandi
ruoli in Narciso, Le spectre de
la rose, Petruska.
Con Petruska Fokine realizzò
quasi una malevola
psicoanalisi. Il ruolo, senza
dubbio, era costruito con
un occhio attento al
bizzarro modo di
comportarsi di Nijinskij
fuori dalla scena: gesti
meccanici, modi legnosi,
volto impassibile. Inoltre il
legame fra Petruska e il
Mago ricordava troppo da
vicino quello fra Nijinskij e
Diaghilev. Il suo rancore
represso, la sua
autocommiserazione, tutti
aspetti di un'anima
intrappolata, venivano a
galla e colpivano il pubblico
con la forza del loro dolore.
L'esperimento di Fokine
ebbe successo. In Petruska
Nijinskij
mise in luce tutti i
Petruska, 1911
diversi aspetti della sua
genialità. Così la sorella
descrisse l'interpretazione del fratello: «Quando Nijinskij balla, il suo corpo rimane quello
di una marionetta, soltanto i suoi tragici occhi riflettono le sue emozioni: brucianti di
passione o pieni di dolore».
Si può appena immaginare l'impatto di Nijinsky in Petruska. Il complesso equilibrio fra
sbalorditivo virtuosismo e aspetto impassibile dovevano avere un effetto surreale.
Un aspetto completamente diverso della personalità di Nijinsky si metteva in luce in Le
spectre de la rose. Spectre era una potente metafora dell'ambivalenza sessuale: un fiore
rappresentato dal corpo atletico di un giovane.
Il corpo muscoloso ma androgino di Nijinskij volava nell'aria, impersonando il potere
inebriante del profumo o, in un senso più ampio, il vago desiderio di appagamento
sessuale della fanciulla. Ma a parte queste implicazioni sessuali, la danza di Nijinskij,
come ha scritto Edwin Denby, «sembrava irradiare un potere di misteriosa sicurezza, di
calma come lo sono le rose fiorite in estate ... Per Nijinskij in questo balletto i salti e la
danza erano il movimento di un'unica linea fluttuante, più veloce o più lenta, più leggera
o più pesante ... senza rotture e senza sforzi.
Non importava quanto alti fossero i suoi salti, ma l'armonia che emergeva da tutto il suo
modo di ballare».
Sin dal novembre del 1910 Nijinskij aveva incominciato a lavorare sul suo balletto L'aprèsmidi d'un Faune che diede il via alla sua breve e controversa carriera di coreografo, un
tentativo di asserire la propria indipendenza da Diaghilev.
È impossibile oggi giudicare il talento di Nijinskij come coreografo perché dei suoi quattro
balletti Faune (1912), Jeux (1913), La sagra della primavera (1913) e Tyl Eulenspiegel (1916) soltanto il Faune ci è giunto nella sua forma originale.
Gli altri sono andati persi a causa delle audaci innovazioni coreografiche di Nijinsky che si
allontanavano troppo dai canoni estetici del tempo, oppure perché, come pura
manifestazione della sua personalità, potevano vivere soltanto con l'immediata
partecipazione del creatore. Inoltre, dopo la separazione, Diaghilev non fece nulla per
mantenere in repertorio i balletti.
I balletti originali di Nijinskij, prima di tutto La sagra della primavera e poi Jeux e Tyl
Eulenspiegel sono tornati a vivere nella versione più o meno originale grazie al tenace lavoro
di ricostruzione di due studiosi, Millcent Hodson e Kenneth Archer.
Le memorie della sorella Bronislava sfatano la leggenda secondo cui Diaghilev era l'anima
ispiratrice di queste creazioni di Nijinskij. Secondo Bronislava il giovane incominciò a
lavorare sul Fauno nel 1909 e, dopo novanta prove, completò il suo balletto di dieci minuti
nel 1912. Si trattava di un esperimento personale e iconoclastico che sfidava anche il
credo estetico di Diaghilev. Le brame sessuali di una creatura bestiale e umana insieme
riprendevano il leitmotiv dell'istinto primitivo e della passione animalesca già dipinti da
Nijinskij nello Schiavo d'oro o in Narciso. Ma la novità, rispetto ai lavori di Fokine, stava
nella espressività statica. Secondo quanto ricorda la sorella, Nijinskij intendeva risalire dai
modelli della Grecia classica usati da Fokine a quelli dei bassorilievi statici della Grecia
arcaica. E curiosamente non faceva ricorso al suo virtuosismo di danzatore. Anzi, la sua
coreografia era del tutto priva di passi di danza e inoltre non si sviluppava come un
semplice parallelo descrittivo o supplemento visivo della musica. Al contrario la
discrepanza fra l'onda fluida della musica e l'enfasi dei gesti animaleschi con testa, mani,
braccia, gambe e piedi di profilo e il torso di faccia era di grande audacia. Alla prima
solamente lo scultore Rodin si rese conto della novità rivoluzionaria che il balletto di
Nijinskij rappresentava. Ironicamente Diaghilev disapprovò il Faune, anche se dieci anni
dopo avrebbe condotto la sua compagnia nella direzione delle intuizioni coreografiche di
Nijinskij. Questa sfida di indipendenza artistica segnava l'inizio della rottura fra Nijinskij e
Diaghilev, come annotò la sorella.
Nel 1913 Nijinskij realizzò due nuovi balletti, Jeux e La sagra della primavera, la cui audacia fu
causa della più aspra bagarre critica nella storia della danza. In entrambi i casi Nijinskij
cercò di realizzare un balletto in cui la trama avrebbe dovuto essere, secondo le sue
parole, «universale o inesistente».
Nijinskij definì Jeux «una apologia in forme plastiche per un uomo del 1913»; in questo
modo giustificava il suo scopo. Ma l'insieme di movimenti staccati e angolari era in
continua discrepanza con la musica melodiosa e impressionista di Debussy. La
coreografia faceva leva sul richiamo cinetico dei movimenti come loro unico scopo e il
loro impatto era tale da andare oltre il contenuto del balletto, addirittura annullandolo.
In realtà il progetto di coreografia di Nijinskij presagiva già lo slittamento del balletto
moderno dal contenuto narrativo verso forme coreografiche indipendenti.
Nella Sagra della primavera Nijinskij si portò ancora più avanti. Il libretto faceva riferimento
ai riti della Russia pagana, e la musica d'avanguardia di Stravinsky consentiva al
coreografo di realizzare il suo progetto iconoclastico che si allontanava drasticamente
dalle forme di danza tradizionali, creando un vero e proprio nuovo vocabolario. Un
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tentativo, il suo, ancora più difficile in quanto, contrariamente a Jeux, nella Sagra cercava
un equilibrio fra musica e danza. La coreografia di Nijinskij era basata su posizioni en
dedans dei piedi, pugni stretti, contrazioni del busto e pesanti camminate con le
ginocchia ripiegate: in sostanza rigettava i principi della simmetria classica che erano la
base della coreografia di Petipa e Fokine e in qualche modo anticipava la rivoluzione della
danza moderna della Graham.
Nel suo famoso articolo sulla Sagra, Jacques Rivière scrisse che «rompendo il movimento e
tornando alla semplicità del gesto Nijinskij ha ridato espressività alla danza ... Fa parlare il
corpo stesso. Questo si muove come un tutt'uno; il suo eloquio si esprime con improvvisi
salti a braccia e gambe aperte ... È un balletto biologico, non è solamente la danza
dell'uomo primitivo, è la danza prima dell'uomo».
L'improvvisa decisione di Nijinskij di sposare Romola De Pulszky a Buenos Aires nel 1913
causò la rottura con Diaghilev. Il ballerino, che aveva ventiquattro anni, pagò un prezzo
molto alto per la propria indipendenza, trovandosi all'improvviso carico di responsabilità:
la carriera, la moglie incinta, la madre vecchia e il fratello malato di mente da mantenere
a Pietroburgo. Tutte le sue insicurezze, il suo complesso di inferiorità, l'incapacità di
prendere decisioni vennero a galla.
Organizzò una compagnia con la sorella Bronislava, ma la prima tournée a Londra nel
marzo del 1914 fu un fiasco. Con lo scoppiare della guerra fu bloccato a Budapest
insieme alla moglie e alla figlia Kyra. Questo isolamento sino al 1916 può avere
contribuito a distruggere il suo equilibrio interno. Una tregua temporanea con Diaghilev
lo portò al Metropolitan di New York nell'aprile del 1916 per Petruska e Le spectre de la rose
che danzò con un successo che aumentò ancora di più nell'ottobre con la prima del suo
ultimo balletto di diciotto minuti Tyl Eulenspiegel, costruito come una commedia
rablaisiana di maschere.
Foto di scena, Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, 1913
La storia successiva di Nijinskij registra ancora il tentativo di realizzare un balletto astratto
sulla musica di Bach, il suo ritorno in Petruska e Spectre il 26 settembre del 1917. Nel 1919 si
esibì ancora in Svizzera di fronte a un pubblico ristretto in un balletto antimilitarista. Il
resto, sino alla morte, l'11 aprile del 1950, non appartiene più alla storia della danza, ma
ai rapporti psichiatrici.
Molta nuova luce sulla follia di Nijinskij è stata fatta negli studi e nelle ricerche condotte
nella seconda metà del Novecento e uno squarcio sulla sua vita è stato aperto dalla nuova
pubblicazione dei diari del danzatore senza i pesanti interventi censori apportati dalla
moglie nella prima edizione.
Tratto da: I grandi danzatori russi, Gennady Smakov, a cura di Sergio Trombetta, Gremese Editore 2004
Foto di scena, Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, 1913
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Quelle opere, in nuove vesti orchestrali e coreografiche, sono rimaste e rimarranno perché
valide, ispirate, belle sia ai fini della pura audizione come a quelli della visività.
Oggi si assiste ancora al caso frequente di altrettanto illustri commissioni: Luigi
Dallapiccola compone per Milloss Marsia e Hans Werner Henze Ondine per il Royal Ballet.
Altre volte una partitura offre lo spunto, il pretesto per un balletto, come Diaghilev si servì
di musiche non scritte espressamente per la danza e che si rivelarono adatte in modo
sorprendente all'uso che egli ne fece o meglio che ne fecero i suoi coreografi.
Bisogna dire, a questo proposito, che già Isadora Duncan adoperò isolatamente grandi
musiche del passato, sinfoniche o cosiddette classiche per le sue visioni danzate.
L'esempio così romanticamente esaltante della Duncan, con tutto il decadentismo che
comportava, non passò senza lasciare traccia. Il dubbio mondo greco che ella volle
risuscitare lo rianimò pure Fokinee, in altra maniera, con Dafni e Cloe ed egli confessò quel
movente ispiratore. Nulla avviene a caso in arte, senza preparazione; vi è sempre il frutto
di un divenire, di un processo evolutivo, di assimilazioni vicine e lontane che si perdono e
che solo vagamente si riescono ad individuare.
Diaghilev sentì che bisognava rompere definitivamente con il balletto logoro e stanco del
tardo romanticismo, con il suo bagaglio stereotipato nella musica, nella figurazione
danzata, nelle scene e nei costumi; non fece una rivoluzione come si è ancora indotti a
pensare. È una evoluzione naturale e diretta che si ripercuoterà persino sulla moda. Le
acconciature bakstiane di Shéhérazade non sono forse nelle fogge e nello stile di tanta parte
della moda 1910?
L'orientalismo o il bizantinismo, tanto in voga allora, si riflessero negli atteggiamenti di
tanta letteratura e di tanto cinema e Ida Rubinstein, creatura dannunziana, ne fu il
riflesso più lampante. I principali lavori musicali (quelli di Stravinsky e Prokofiev)
recarono quel mondo policromo. L'uccello di fuoco, Chout sono vivide favole che
dell'Oriente recano il colore e il preziosismo affascinante come di una stoffa arabescata o
di un sottile profumo.
Le fasi in cui si svolse il balletto russo furono due: la prima precedente la prima guerra
mondiale e l'altra del dopoguerra (un terzo periodo, che chiamerei di ripresa, è stato
affidato, scomparso Diaghilev, alle amorevoli cure del colonnello De Basil). Un gusto più
propriamente francese o parigino e più direttamente a contatto con tendenze di musichall (in cui la pantomima si sposa al circo e la danza diviene alleata dell'acrobatismo: vere
e proprie contaminazioni) si farà strada in quell'epoca di esperimenti e di espedienti, di
tentativi e, per queste stesse nature, fatalmente caduchi. Riprendere oggi come spettacolo
Parade di Satie pare impresa difficile. Riascoltata in concerto, senza il sussidio del celebre
décor di Picasso e della coreografia di Massine, essa perde le sue più autentiche
significazioni e non resta che il brusìo di una boutade sonora, mentre Le sacre du printemps,
s'è visto, anche se il modello massiniano pare insuperato, per la straordinaria aderenza al
testo musicale e didascalico, ha ancora nuovi interpreti. [...]
Tutto questo limitatamente alla musica, ma se il nostro discorso dovesse spostarsi ed
investire i problemi delle arti figurative e della scenografia teatrale in particolare, noi
troveremmo, in un ventennio scarso dal 1909 al 1929, i più grandi nomi che si siano
associati in un teatro musicale: Picasso con Falla e Massine (Tricorno 1919), Bakst con
Ravel e Fokinee (Dafni e Cloe 1912), Alexandr Benois con Stravinsky e Fokinee (Petrushka
1911), Braque con Auric e Bronislava Nijinska (Les facheux 1924), De Chirico con Rieti e
Balanchine (Le bal, librettista Boris Kochno, 1929), Matisse con Stravinsky e Massine
(Chant du rossignol 1920), Roerich con Stravinsky e Nijinskij (Le sacre du printemps 1913) sono
solo degli esempi.
I balletti russi di Diaghilev
Quel movimento artistico e
culturale che va sotto la
denominazione di balletto
russo e che caratterizzò la
vita teatrale in modo così
definitivo al principio del
secolo va inteso non solo
come evoluzione dell'arte
della danza ma anche delle
ar ti dello spettacolo in
genere, della decorazione
teatrale e della musica.
Una delle principali
caratteristiche di questo
movimento è per l'appunto
l'aver dato alle arti
cosiddette sorelle una più
stretta collaborazione,
un'unione più intima («Tous
les arts se tiennent par la
main... » disse Noverre e
Lifar, quasi un' eco alle
parole del grande teorico
francese, pose «Tersicore nel
corteo delle Muse»).
Dunque, non fu solo
evoluzione del balletto come
rappresentazione, ma
specif icatamente della
musica in funzione di una
p r e s t a b i l i t a a z i o n e Locandina per la stagione 1910 dei Balletti russi all’Opéra Ballets,
coreografica, della pittura in acquerello di Léon Bakst
relazione al contributo
scenografico indispensabile in un'opera ballettistica.
Ed è questo il punto interessante della questione. Del resto, in un'epoca come la nostra
così incline al piacere dello spettacolo e della vista, organo più sensibile e ritentivo
dell'udito, se un teatro musicale esiste (e pur se l'opera, particolarmente da noi, ne è
sempre l'incontestata beniamina) il balletto, per la sua congenialità al nostro spirito di
moderni, va riguardato con particolare attenzione. Lungi dall'asservire la musica alla
danza (semmai sarà bene insistere ancora sul processo associativo che avviene ogni volta
in cui una musica si adegua ad una rappresentazione danzata o viceversa) è importante
stabilire come l'intuito, la scelta, il gusto di un Diaghilev imposero al mondo coreografico
del nostro secolo una fisionomia che è la stessa alla quale si rifà tanta parte del teatro di
danza contemporaneo.
Stravinsky, su commissione, compone L'uccello di fuoco, Petrushka, La sagra della primavera per
la compagnia dei Balletti Russi.
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ad eccezione del suo maestro Rimsky-Korsakov che probabilmente lo dissuase dal
continuare; non è detto che non abbia tentato la pittura; non fu critico, non coreografo,
né tanto meno teatrante; eppure fu proprio lui l'iniziatore attivo di un movimento critico
ed estetico che doveva rinnovare il teatro, inserendosi nella coscienza viva dell'artista
moderno. Bisogna anche soggiungere che, a beneficiare di tale evoluzione, non fu
direttamente il pubblico russo bensì quello occidentale. Sta bene che la maggioranza degli
artisti della troupe di Diaghilev (danzatori, coreografi, cantanti, compositori, pittori) era
di provenienza russa e molto del decorativismo come del contenuto drammatico
s'ispirava al mondo orientale da L 'oiseau de feu a Les noces; ma il movimento si sviluppò in
Occidente per cui si parla di balletto russo riferendosi particolarmente a quella stagione,
quel ventennio dal '10 al '30. I russi di oggi ne sono estranei. Essi sono tornati o sono
rimasti ai macchinosi balli dell'ultimo Ottocento, alla tradizione rigorosa del ballo
grande, ai tre capolavori di Čajkovskij ; tutt'al più si spingono a Glazunov e al Prokofiev
tradizionalista del cosiddetto periodo sovietico (Romeo e Giulietta, Cenerentola, Fiore di
pietra). Niente o quasi niente Stravinsky, naturalmente, ma qualcosa di Sostakovitch e
Khachaturian, con parsimonia.
I balletti come le coreografie, le scene e i costumi sono ancora quelli e l'estetica è la
stessa: da Lago dei cigni (Čajkovskij) a La fontana di Bakchisarai (Asafiev), da Romeo e Giulietta
(Prokofiev) a Mirandolina (Vasilenko), da Fiamme di Parigi (Asafiev) a Giselle, Raimonda,
Cenerentola. Si direbbe che la riforma diaghileviana non sia avvenuta, non li abbia toccati,
e difatti non la riconobbero.
Agli occidentali toccò in sorte l'eredità dello straordinario rinnovamento spirituale e
artistico che fu russo perché partì dalla Russia con artisti russi di nascita e di formazione,
ma che finì per investire ogni angolo e ogni aspetto della vita occidentale (i testi di Renard
e di Les noces tradotti da Ramuz mescolano l'esprit de finesse tipicamente francese allo
spirito popolare e fiabesco dei russi). Tecnicamente formidabile, il balletto sovietico di ieri
ha ignorato il balletto russo dell'altro ieri rimanendo sulle posizioni di un intransigente
conservatorismo. Tale gusto involve tutto quanto a cominciare dalla stessa tecnica
accademica che è spettacolosa ma che non conosce gli acquisti di quella moderna per
giungere alla composizione coreografica che segue i grandi, illustri modelli del passato e,
quando li modifica, non li migliora ma li appesantisce di contaminazioni; così la
scenografia che allontana ogni vero pittore, come fece tanta parte dell'Ottocento,
ritornando alla cartapesta e al realismo scenico.
Il rinnovamento di Diaghilev è servito al balletto dei nostri giorni, come l'espressionismo
di danza centro-Europa, con le ben combattute battaglie degli assertori della danza
libera, è servito da Laban alla Wigman, da Jooss alla Graham all'espansione della danza
moderna.
Balletto e Modern Dance spesso si sono presi a braccetto: George Balanchine fraternizza
con Martha Graham ed insieme compongono Episodes sulla musica scabra, asciutta di
Webern. E per l'appunto c'è un modo, ci sono altri modi di intendere un teatro moderno
di danza, forse più spoglio, più essenziale di quello del balletto comunemente inteso
classico-accademico, narrativo e astratto. Questa ventura ce la offre il grande momento
del balletto americano.
Sergej Diaghilev e Serge Lifar al Lido, 1928
E la constatazione della grande fioritura e fortuna di una stagione che dura ancora e i cui
frutti, in modo vario e diverso, giungono a noi ancora oggi. C'è in tutto questo un
principio di ciò che oggi si intende comunemente per teatro totale. Prima di allora non si
era assistito ad una collaborazione così stretta e determinante delle arti concorrenti
all'unità dello spettacolo. Diaghilev partì dalla pittura e vi ritornò. Capì che con una bella
musica, belle scene e bei costumi poteva fare dei bei balletti riscattando un genere teatrale
caduto nella cartapesta di una scenografia macchinosa .
E sul finire del secolo scorso che Serge de Diaghilev (Novgorod 19 marzo 1872 - Venezia
19 agosto 1929) fa il suo ingresso nella vita artistica. Nel 1899 egli fonda la rivista «Mir
Iskustva» (Il mondo dell'arte) che comprende un certo numero di discepoli ed amici fra i
quali Walter Nouvel. Esattamente dieci anni dopo, molti di essi formeranno lo stato
maggiore dei pittori-scenografi della compagnia dei Balletti Russi: Benois, Bakst, Roerich,
Korovine, Golovine, Serov, e tanti altri.
In sostanza che cos'era e chi era questo singolare e misterioso personaggio? Un
impresario, fu detto, e fu anche e soprattutto questo, ma non abbastanza avveduto
commercialmente come occorrerebbe ad un impresario. Oggi un impresario di tal fatta
sarebbe un anacronismo. Non fu comunque un creatore. Scrisse qualche articolo, una
monografia, ma non è ricordato per questo; compose della musica ma nessuno l'ascoltò
Tratto da: Storia della danza e del balletto, Alberto Testa, Gremese editore 1994
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29 maggio 1913 Théâtre des Champs-Elysées di Parigi
La prima rappresentazione della Sagra diede luogo ad flop e generò pareri contrastanti
tra il pubblico.
Forse il più grande fiasco di tutti i tempi alla sua prima rappresentazione, avvenuta a
Parigi al Théâtre des Champs-Elysées il 29 maggio 1913, con i Balletti russi di Sergej
Diaghilev, per la direzione di Pierre Monteux, su coreografia di Nijinskij, cui Stravinskij
imputò la causa dell'insuccesso. In realtà sia il balletto che la musica erano qualcosa di
radicalmente nuovo: gli spettatori della prima rappresentazione semplicemente non
riuscivano a sopportare né i suoni né i movimenti dei ballerini (questi ultimi decisamente
inusuali) relativi a riti pagani, passioni brutali e sacrifici umani, provocando una vera e
propria rivolta nel teatro. I fischi furono talmente forti da coprire la musica, per quanto
essa fosse forte. [1]
Tra mugugni e mormorii il sipario si apre su una forte dissonanza tra la violenza della
coreografia, che asseconda quella della partitura, e la calma creata dall'ambientazione
scenica, l'atmosfera serena è favorita dall'insistente riamorare di forme pure e linee
elementari considerate dall'antichità il simbolo della perfezione, circonferenza e sfera
ricorrono nei simboli che ricoprono le casacche dei giovani e nella scena per i rituali
diurni: un paesaggio di colline, masso sacro e lago dai contorni tondeggianti. Il motivo del
cerchio, mutuato dal quadro "Idoli" di Roerich e dalle sue varianti, riappare nella
disposizione dei giovani attorno al Saggio e nel moto circolare delle vergini. La religiosità
arcaica evocata da scene e costumi alimenta, per contrasto, la violenza delle altre
componenti dello spettacolo, ciò appare una provocazione e non resta che rispondere
con bordate di fischi. […]
“La sala è al completo. A un occhio esperto non possono sfuggire i presupposti per uno scandalo: pubblico
mondano, scollature ornate di perle, aigrettes, piume di struzzo e, proprio affiancati a frac e tulle, ecco gli
abiti da passeggio e i cenci sbrindellati degli esteti che acclamano il nuovo per il solo motivo che detestano
chi siede nei palchi.
...Questa sala di lusso è il simbolo dell’errore commesso nel dare in pasto un’opera di forza e giovinezza a
un pubblico decadente. Pubblico esausto, adagiato nelle ghirlande Luigi XVI, ..., nei cuscini di un
orientalismo di cui dovremmo serbare rancore al balletto russo. In siffatto regime si digerisce distesi lungo
un’amaca... si caccia via il vero novo fosse una mosca. Esso infatti disturba.”
Jean Cocteau
La prima parte del balletto: L'adorazione della terra, le fanciulle raggiungono un gruppo di
giovani riuniti attorno alla luna per apprendere da lei l'arte di trarre auspici. Si interroga
l'avvenire con i giochi del rapimento e delle città rivali, intercalandoli con ronde
primaverili. Un vecchio, il Saggio dà il via al rituale adorando la terra e a lui si uniscono i
giovani per danzare in cerchi concentrici e prostrarsi rendendo feconda la terra. Subito
dopo si scatena la danza sfrenata ed orgiastica dell'intero villaggio.
Incedere di profilo, pugni serrati, sussulti che squassano i corpi. Queste convulsioni
sarebbero i giochi propiziatori. Qual è il senso di accentuare, al posto dell'elevazione, la
caduta e il contatto col terreno? Il legame alla terra non può che esprimersi negando la
verticalità della danza accademica, Nijinskij non può attingere a un linguaggio
precostituito, ne costruisce uno suo adatto allo scopo. Ma il pubblico è abituato
all'illusorio senso di leggerezza di un ballerino classico e alla grazia e gli sembra
impossibile che proprio Nijinskij, il "figlio dell'aria" (Beaumont), abbia sostituito
l'elevazione con l'ossessione per il terreno.
Poi in scena Il sacrificio: le fanciulle ballano, sempre in cerchio, al calar del sole, per
individuare chi tra loro sarà la vittima da sacrificare al dio Jarilo, affinché la terra conceda
ancora una volta il risveglio della natura. Misteriosamente la fanciulla Eletta si trova
all'improvviso in mezzo al cerchio per eseguire la sua danza sacra, al cospetto dei Saggi e
degli Antenati, fino a cadere morta.
Le idee di Nijinskij per impaginare il racconto forniranno al balletto del 900 gli stimoli
necessari a un totale rinnovamento, Innovativa è la centralità del corpo di ballo rispetto a
una solista che si individuerà solo alla fine. Ma il pubblico non è ancora pronto a
rinunciare alla diva da ammirare, applaudire, venerare.
Théâtre des Champs-Elysées di Parigi
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Fanno ridere le danzatrici, le vergini che col polso destro sulla guancia, sorreggono la testa
inclinata di lato, non meno ridicola appare la postura chiusa dei ballerini, concepita da
Nijinsky lavorando sulla sorella -che poi non interpreterà l'Eletta, essendo incinta- questa
posizione, in seguito trasferita all'intero corpo di ballo, è costruita sull'en dedans, i piedi
rivolti in dentro, le ginocchia piegate alludono alla natura primitiva dei personaggi, ma,
soprattutto, conferiscono ai corpi un senso di pesantezza, enfatizzato da salti a gambe
tese, eseguiti senza plié, Il messaggio veicolato dalla pesantezza dei corpi e dalle cadute è
chiaro: la gravità ci vincola alla terra e la dipendenza da essa è determinante per la
sopravvivenza della specie al punto che il sacrificio estremo può benissimo rendersi
necessario. […] [2]
La Sagra venne però accolta dall'avanguardia musicale come un avvenimento
fondamentale per la storia della musica così come poi si sarebbe rivelato: la prima parte
del balletto si apre con la famosa melodia del fagotto al registro acuto, quasi per dire
addio all'era della musica tradizionale per spianare la via a forme compositive del tutto
nuove, come l'atonalità e la politonalità. Inoltre l'intero brano utilizza temi, scale e
melodie tratte dal corposo repertorio folklorico russo, che l'autore rielabora attraverso
procedimenti contrappuntistici di estrema complessità.
Naturalmente, la forza esplosiva della Sagra è stata assimilata nelle attuali forme musicali
ed il suo ascolto è ora molto più facile ed accettato, tant'è che solo 27 anni dopo (1940)
fu inserito nel film disneyano Fantasia per illustrare l'evoluzione degli esseri viventi quando
la Terra aveva circa un miliardo di anni, dall'esplosione dei vulcani ai dinosauri. [1]
[1] tratto da wikipedia enciclopedia libera
[2] Articolo pubblicato su www.balletto.net di Marino Palleschi, 8 febbraio 2005
Bozzetti della Prima, Nikolaj Roerich 1912
17
Maurice Béjart, biografia
(romanzi, memorie, diari, commedie). Dopo essere stato insignito del premio Erasme nel
1974, l'Imperatore Hirohito gli conferisce l'Ordine del Sol Levante (1986) e il Re
Baldovino lo nomina Grande Ufficiale dell'Ordine della Corona (1988). La Japan Art
Association gli conferisce il prestigioso Premio Imperiale (1993) e l'Inamori Foundation
gli consegna il Premio Kyoto (1999).
Nel 1994, è nominato membro libero dell'Accademia delle Belle-Arti dell'Istituto di
Francia. Il 4 dicembre 1995 riceve il Prix Together for Peace Foundation dalle mani di Papa
Giovanni Paolo II. La città di Losanna gli conferisce la Bourgeoisie d'Honneur il 3
dicembre 1996.
Nel 2002 riceve anche il premio Grand siècle Laurent-Perrier e, lo scorso 31 ottobre, la
nomina a Commendatore delle Arti e delle Lettere. Nell'agosto 2002 crea una nuova
compagnia per giovani ballerini; è la Compagnie M per la quale crea un nuovo balletto,
Mère Teresa et les enfants du monde, con la partecipazione di Marcia Haydé che è stata
presentata per la prima volta a Losanna il 18 ottobre 2002 al Théatre de Beaulieu. Nel
2003 rende omaggio a Fellini per i dieci anni della sua morte con la coreografia Ciao
Federico. Sempre nel 2003 riceve la nomina di «Commendatore delle Arti e delle Lettere»
dalle mani dell'ambasciatore francese in Svizzera. Grazie alla sua diversità e alla sua
complessità, l'opera di Maurice Béjart è tra le più singolari. Il coreografo non segue una
linea unica. Rifiuta l'idea di 'stile'. Adatta sempre il modo alla materia. In altri termini, i
modi artistici messi in scena sono in funzione del progetto in fase creativa. Una musica
unica, Boléro, o più musiche, La route de la soie; la danza sola, Il mandarino meraviglioso; o
l'uso di un testo, Enfant-roi; una storia, Le manteau; un tema, Mutationx; o l'astratto,
Mouvement, rythme, étude. Per il suo modo di dire 'io' nel suo Schiaccianoci, di tradurre le
preoccupazioni e gli interrogativi dei suoi contemporanei, Maurice Béjart tocca il grande
pubblico della danza. Béjart si è spento il 22 novembre 2007 a Losanna.
Maurice Béjart nasce a Marsiglia il 10
ge n n a i o 19 27. B a l l e r i n o , p o i
coreografo, debutta a Parigi. Nel
1960 crea a Bruxelles la Compagnia
«Ballet du XX siècle». Un quarto di
secolo più tardi, trasferisce la sua
Compagnia a Losanna per
ribattezzarla «Béjar t Ballet
Lausanne»; a Losanna pianta le sue
radici professionali e personali.
Béjart acquisisce gran parte della sua
formazione di ballerino da Madame
Egorova, da Madame Rousanne e
Léo Staats. Inaugura questo suo
bagaglio culturale classico a Vichy
(1946), poi con Janine Charrat,
Roland Petit e soprattutto a Londra
con l'International Ballet.
La tournée in Svezia con il Ballet
Cullberg (1949) gli permette di
scoprire le fonti dell'espressionismo
coreografico. E il contratto per un
film svedese lo mette a confronto per
la prima volta con Stravinsky. È
tuttavia su dei pezzi di Chopin che, di
ritorno a Parigi, Maurice Béjart si fa
l'esperienza, sotto l'egida del critico
Jean Laurent. Il ballerino si sdoppia in coreografo. Nel 1955 con i Ballets de l'Étoile, esce
dai soliti schemi con Symphonie pour un homme seul (musica di P. Henry e P. Schaeffer).
Padroneggiando il suo linguaggio, si impone grazie a una serie di creazioni: Haut Voltage,
Prométhée, Sonate à Trois (da Huis Clos di J.-P. Sartre). Notato da Maurice Huisman, il
nuovo direttore del Théatre Royal de la Monnaie, crea una trionfale Sagra della primavera
(1959). Ed è con la fondazione della compagnia internazionale Ballet du XX siècle (1960)
che viaggia in tutto il mondo. Alla Sagra, aggiunge Boléro (1961), Messe pour le temps présent
(1967) e L'uccello di fuoco (1970). Un gusto marcato per il cosmopolitismo culturale porta
questo figlio del filosofo Gaston Berger a rivolgersi all'espressione delle diverse civiltà
(Bhakti, Golestan, Kabuki, Dibouk, Pyramide) come illustrazione di un ricco repertorio
musicale (da Boulez a Wagner). La sua fibra pedadogica lo spinge a creare l'Ecole Mudra
a Bruxelles (1970), poi a Dakar (1977) e l'Ecole-Atelier Rudra a Losanna (1992).
Il passaggio dal Ballet du XX siècle al Béjart Ballet Lausanne (1987) avviene senza
discontinuità. Nel 1992, Béjart decide di ridurre le dimensioni della propria compagnia a
una trentina di ballerini per «ritrovare l'essenza dell'interprete». Tra i numerosi balletti
creati per questa compagnia, citiamo Ring um den Ring, Il mandarino meraviglioso, King Lear Prospero, A propos de Shéhérazade, Le Presbytère ... !, Mutationx, La route de la soie, Le manteau,
Enfant-roi, La lumière des eaux, Lumière, Tokyo Gesture, Il flauto magico, Ciao Federico e La mero
Regista di teatro (La Reine Verte, Casta Diva, Cinq Modernes, A-6-Roc), di opere (Salomé, La
traviata e Don Giovanni), di film (Bhakti, Paradoxe sur le comédien ... ), pubblica diversi libri
Tratto da: Programma di sala del Teatro La Fenice di Venezia, Danza 2005, Stagione Lirica e Balletto 2004-2005
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La sagra della primavera di Maurice Béjart
Cos'è la primavera se non questa immensa forza primitiva a lungo addormentata sotto il manto
dell'inverno, che improvvisamente esplode e abbraccia il mondo, sia a livello vegetale, animale e
umano?
L'amore umano, nel suo aspetto fisico, simboleggia l'atto stesso con cui la divinità crea il Cosmo
e la gioia che ne ricava.
Nel momento in cui le frontiere aneddotiche dello spirito umano cadono a poco a poco, e si può
iniziare a parlare di una cultura mondiale, rifiutiamo qualsiasi folclore che non sia universale e
tratteniamo solo le forze essenziali dell'uomo, che sono le stesse in tutti i continenti, sotto tutte
le latitudini, in tutti i tempi.
Che questo balletto sia dunque spogliato di tutti gli artifici del pittoresco, l'Inno a questa unione
dell'Uomo e della Donna nel più profondo della carne, unione del cielo e della terra, ballo di
vita e di morte, eterno come la primavera! [1]
Maurice Béjart
La Sagra di Maurice Béjart annulla ogni riferimento d'epoca e al folklore russo. Tutti in
calzamaglia, i ballerini agiscono su un palcoscenico spoglio e si dispongono in file, cerchi,
gruppi che in parte ricordano le elementari figurazioni di Nijinskij.
Totalmente diversa è invece la danza, d'impianto accademico ma con ampi movimenti
delle braccia “a volo d'uccello", oppure piegate o tese in alto con il palmo delle mani
drammaticamente spalancato.
L'energia del gruppo maschile, spesso con le gambe piegate in seconda posizione plié, viene
accentuata dalla mimica facciale (bocche spalancate e occhi sgranati) e da combattimenti
in cui i corpi si urtano e si respingono in volo.
Il sacrificio è in realtà un accoppiamento stilizzato che si conclude con l'apoteosi della
coppia, portata quasi in trionfo dal gruppo proteso in avanti, a braccia alzate. [2]
[1] Tratto da: Programma di sala del Teatro La Fenice di Venezia, Danza 2005, Stagione Lirica e Balletto
2004-2005
[2] Tratto da: L’abc del balletto, la storia, i passi, i capolavori, Marinella Guatterini, Mondadori, 1998
Foto di scena, La sagra della primavera di Béjart, Teatro La Fenice 1989
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Foto di scena, La sagra della primavera di Béjart, Teatro La Fenice 1989
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Pina Bausch, biografia
La vicinanza dell'opera e il rispetto per la tradizione musicale influenzeranno il suo lavoro
futuro, come pure l'amore per il jazz. La rigida distinzione tra musica cosiddetta "seria" e
musica "di intrattenimento" non avrà mai alcun valore, per lei. Tutta la musica che evoca
sentimenti profondi ha lo stesso valore.
Due anni dopo, Kurt Jooss le chiede di tornare a Essen: è riuscito a rimettere in piedi il
Folkwang Dance Studio. Pina Bausch danza balletti nuovi e vecchi di Jooss, e diventa sua
assistente. In mancanza di materiale sufficiente per la nuova compagnia, comincia anche
lei a creare coreografie, come Fragment e Im Wind der Zeit, per cui riceve il primo premio al
Concorso di composizione coreografica di Colonia, nel 1969. Come coreografa ospite,
crea i suoi primi lavori per Wuppertal, che vengono interpretati dai membri del Folkwang
Dance Studio: Aktionen für Tanzer nel 1971, e Tannhauser-Bacchanal nel 1972. Per la stagione
1973/74, il sovrintendente Arno Woestenhofer la chiama a dirigere il Balletto di
Wuppertal, che ben presto la Bausch rinomina Tanztheater, teatro-danza. Il termine,
coniato negli anni 20 da Rudolf von Laban, è un manifesto: segnala il distacco dalla
danza tradizionale e la totale libertà di scelta dei mezzi espressivi.
In rapida successione, Pina sviluppa
nuovi generi. Con le due opere di
Gluck Iphigenie auf Tauris (1974) e
Orpheus und Eurydike (1975) crea le
prime due opere danzate; con Ich
bring dich um die Ecke (1974) entra
nel mondo triviale della musica
pop; in Komm tanz mit mir e Renate
wandert aus (entrambi del 1977)
gioca con i cliché dell'operetta. La
sua coreografia di Le sacre du
printemps di Igor Stravinsky (1975),
con la sua immediatezza fisica e il
suo impatto emotivo, diventerà la
sua pietra miliare, la quintessenza
del suo lavoro.
Da Kurt Jooss ha imparato le virtù
"dell'onestà e l'accuratezza", e sa
sfruttarle entrambe per ricavarne
una tensione drammatica fino ad
allora sconosciuta. Nei suoi primi
anni a Wuppertal, la Bausch
sconvolge il pubblico e la critica: il
confronto con i veri motivi che
stanno dietro al movimento è
doloroso. In Blaubart (1977) alcuni
passaggi musicali sono ripetuti
all'infinito, e la tristezza e la
solitudine evocati possono essere
lancinanti. Ma fin dall'inizio, oltre
al talento drammatico Pina Bausch
rivela anche una vena umoristica,
come in Die sieben Tods Onden (I
Kurt Jooss
sette peccati capitali) di Brecht-
Philippine Bausch, detta Pina, nasce nel 1940 a Solingen, una cittadina vicina a
Wuppertal, dove ancora oggi ha sede il suo Tanztheater che l'ha resa famosa in tutto il
mondo. [...] Dopo le prime lezioni di danza classica a Solingen, a 14 anni Pina entra alla
Folkwang Hochschule di Essen, diretta da Kurt Jooss. Prima e dopo la seconda guerra
mondiale, Jooss è stato un autorevole rappresentante del movimento della danza
moderna tedesca, che si era liberata dalle pastoie del balletto classico. Come insegnante
Jooss riconciliava lo spirito libero dei rivoluzionari della danza con i principi del balletto.
E' così che la giovane allieva di danza impara la libertà creativa e insieme l'importanza
della tecnica. Ma decisiva è anche la vicinanza ad altre forme d'arte che vengono
insegnate alla Folkwang Hochschule: opera, musica, teatro, scultura, pittura, fotografia,
design e molto altro. Questo approccio estremamente aperto e multidisciplinare
influenzerà in modo determinante il suo metodo di lavoro.
Nel 1958 viene premiata col Folkwang-Price e una borsa di studio della Deutscher
Akademischer Austauschdienst (l'organizzazione tedesca per i programmi di scambio
accademico) e parte per un anno per andare a studiare alla prestigiosa Juilliard School di
New York. La città è una mecca della danza, dove il balletto classico viene reinventato da
coreografi come George Balanchine. Tra gli insegnanti di Pina Bausch ricordiamo Antony
Tudor, José Limon e i danzatori della Martha Graham Dance Company, Alfredo Corvino e
Margaret Craske. Come ballerina, lavora con Paul Taylor, Paul Sanasardo e Donya Feuer.
Ogni volta che è possibile visita mostre e assorbe le nuove tendenze. Elettrizzata dalla
varietà della vita artistica newyorkese, prolunga la sua permanenza di un altro anno: ma
stavolta deve mantenersi da sola. Antony Tudor la scrittura al Metropolitan Opera Ballet.
21
Weill (1976), dove gli uomini danzano vestiti da donna mentre la coreografa si diverte a
giocare con gli stereotipi.
Nel 1978, Pina Bausch cambia modo di lavorare. Invitata a Bochum dal regista Peter
Zadek per creare una sua versione del Macbeth shakespeariano, per la prima volta si ritrova
isolata: buona parte della sua compagnia non vuole più continuare il lavoro con lei,
perché c'è troppo poca danza convenzionale. La Bausch è costretta ad allestire la
produzione con quattro ballerini soltanto, cinque attori e un cantante. Ma con un cast
misto come questo, non tutti gli interpreti sono in grado di seguire i passi di una
coreografia. Così, Pina comincia a porre a ognuno di loro delle domande sul tema del
brano. Quando il risultato di questa ricerca collettiva va in scena a Bochum il 22 aprile
1978, col lunghissimo titolo di Er nimmt sie an der hand und foehrt sie in das schloss, die anderen
folgen ... (Lui la prende per mano e la porta al castello, gli altri seguono ... ), è accolto da un coro
di proteste. Ma Pina Bausch ha finalmente trovato lo sua forma espressiva: le immagini
poetiche e oniriche di quel suo linguaggio dei movimenti la porteranno rapidamente al
successo internazionale.
Esplorando le emozioni umane di base - sogni e desideri, ma anche paure e bisogni - il
Tanztheater Wuppertal si fa capire in tutto il mondo e innesca una vera e propria
rivoluzione nella danza internazionale. Il segreto del suo successo, forse, è che mette gli
spettatori di fronte alla realtà, e al tempo stesso li incoraggia all'ottimismo. Ma ognuno
di loro è chiamato ad assumersi la responsabilità della sua vita: i danzatori di Pina Bausch
non dispensano rimedi. Tutto quello che possono fare è indagare in modo onesto e
accurato cosa ci avvicina alla felicità e cosa ce ne allontana. Eppure, ogni volta mandano
a casa il pubblico con la certezza che alla vita - con i suoi alti e bassi - si può sopravvivere.
Nel gennaio 1980 muore il compagno di Pina Bausch, Rolf Borzik, che con le sue scene e i
suoi costumi ha costruito lo stile visuale del Tanztheater.
A lui, subentrano Peter Pabst (scene) e Marion Cito (costumi). Gli spazi scenici sono
poetici, spesso il palcoscenico si apre in un paesaggio, portando l'esterno all'interno.
Sono spazi fisici che modificano i movimenti: acqua e pioggia fanno risplendere i corpi
attraverso gli abiti; il suolo rende ogni passo una fatica immane; le foglie disegnano il
passaggio dei ballerini. Le scene vanno dalla stanza d'epoca al nudo pavimento in legno
del minimalismo giapponese; i costumi, dall'abito da sera elegante al buffo travestimento
di un bambino. Come la coreografia, scene e costumi riflettono la vita di tutti i giorni e
non solo, ma sempre in funzione di un' autentica e naturale bellezza. Col passare degli
anni è più facile accorgersi che anche il brutto ha una sua bellezza - una cosa che da
bambini ci sfugge. Finalmente, un po' alla volta, cominciamo a dare una fisionomia al
Tanztheater: non è una provocazione, ma - come lo ha definito la stessa Bausch - "uno
spazio in cui è possibile incontrarsi".
Il successo internazionale del Tanztheater ha prodotto molte coproduzioni: Viktor, Palermo
Palermo e O Dido, collaborazioni con l'Italia; Tanzabend Il a Madrid; Ein Trauerspiel a Vienna;
Nur Du a Los Angeles; Der Fensterputzer a Hong Kong; Masurca Fogo a Lisbona; Wiesenland a
Budapest; Agua in Brasile; Nefés a Istanbul; Ten Chi a Tokyo; Rough Cut a Seui; Bamboo Blues
in India; e infine un nuovo lavoro del 2009, una coproduzione col Cile, a cui Pina Bausch
non potrà più dare un titolo. Inizialmente molto discussa, quest' opera ha finito per
diventare una sorta di teatro globale, dove c'è spazio per tutti i colori delle diverse culture
e ognuno viene trattata con lo stesso rispetto. E' un teatro che non vuole insegnare, ma
piuttosto creare un' esperienza di vita fondamentale che lo spettatore è invitato a dividere
con i danzatori.
E' un teatro generoso, rilassato nella sua percezione del mondo e molto benevolo col suo
pubblico. Aiuta a fare pace con la vita, forte del proprio coraggio e della propria forza
espressiva. Come mediatore tra culture, è un ambasciatore di pace e di comprensione
reciproca. E' un teatro che si mantiene libero da dogmi e ideologie, che cerca di guardare
il mondo senza pregiudizi e registra la realtà della vita, in tutte le sue sfaccettature. Dalle
scoperte di questo viaggio, che ogni volta riparte da zero, emerge un mondo di grande
complessità, pieno di svolte impreviste e sorprendenti. Il Tanztheater Wuppertal segue un
solo principio: la gente. E quindi è portatore di un umanesimo che non conosce confini.
Per il suo lavoro, Pina Bausch ha ricevuto molti premi e riconoscimenti.
Tra cui il Bessie Award a New York (1984), il Premio tedesco per la danza (1995), il
Theatertreffen di Berlino (Premio per il teatro,1997), il Praemium Imperiale in Giappone
(1999), il Prix Nijinskijnsky a Monte Carlo, la Maschera d'oro a Mosca (2005), il Premio
Goethe a Francoforte sul Meno (2008).
Nel giugno 2007 ha ricevuto il Leone d'oro alla carriera alla Biennale di Venezia, e a
novembre dello stesso anno ha vinto il prestigioso Premio Kyoto. Il governo tedesco le ha
tributato la Grande croce al merito (1997), quello francese l'ha nominata Cavaliere
dell'Ordine delle Arti e delle Lettere (1991) e l'ha ammessa alla Legione d'onore (2003).
Molte università le hanno conferito una laurea ad honorem.
Pina Bausch si è spenta il 20 giugno del 2009. E' considerata una delle più grandi
coreografe del XX secolo.
Tratto da: Un film per Pina Bausch di Win Wenders, Pina danza, danza altrimenti siamo perduti, BIM
distribuzione, www.bimfilm.com
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Un prezioso epilogo di Franco Quadri
Il fenomeno Pina Bausch di Mario Pasi
[...] Pina Bausch, personaggio guida della scena mondiale negli anni ottanta e massima
esponente di quella tendenza interdisciplinare che va sotto il nome di teatrodanza.
[...] il cammino del teatro di Pina Bausch, tipica espressione di un'epoca che non
conosce più la specificità dei generi, dal balletto verso la prosa. In effetti il Tanztheater di
Wuppertal, se in Italia è stato ospitato soprattutto da enti lirici e seguito dai critici di
balletto, all'estero tende sempre di più a venir inquadrato nelle forme del teatro. Tanto è
vero che puntualmente a maggio viene chiamato con un suo lavoro a partecipare ai
Theatertreffen, gli incontri berlinesi che riuniscono i dieci migliori spettacoli di prosa
tedeschi dell'anno, votati dalla critica. [...]
Tanto è vero che sono stati i grandi festival mondiali della prosa, da Nancy a Monaco, da
Amsterdam a Colonia, a rivelare in campo internazionale sul finire degli anni settanta il
talento della Bausch. Proprio al Theater der Welt di Colonia, a mezz'ora di treno da
Wuppertal e quindi sulle soglie di casa, si svolse nel 1981 una grande retrospettiva
antologica del lavoro dell'artista tedesca e del suo gruppo cosmopolita. Questa è però la
prima a tenersi all'estero, e il maggior tempo trascorso le offre il vantaggio di spaziare
con maggior respiro dentro un più complesso arco di lavoro: dal periodo dei balletti
classici come Blaubart o Le Sacre de Printemps, sviluppati in assoluta autonomia di
linguaggio, al periodo delle grandi creazioni nate direttamente dalla pratica di
palcoscenico, quali Kontakthof, Bandoneon o 1980, alle ultime composizioni ridotte nel
numero dei personaggi e sempre più parlate e meno danzate.
In questi anni di evoluzione e di studio, s'è andato gradualmente affermando un
«metodo Bausch» fissato attraverso i suoi successivi spettacoli, che ogni volta adattano
a un diverso tema un discorso continuo, portato avanti con gli sbalzi delle libere
associazioni come uno strip-tease psicanalitico in cui gli interpreti sono chiamati a
spremere le proprie sensazioni anche attingendo all'inconscio. I movimenti dei
personaggi ripetono gli stessi schemi geometrici di attraversamento in obliquo, di
allineamenti puntuali davanti al pubblico, di avanzamenti e indietreggiamenti verso il
proscenio, alternando gli assoli alle presenze di gruppo, secondo una precisa
contrapposizione di pieni e di vuoti.
E come nel teatro di Robert Wilson - al quale la Bausch è stata spesso avvicinata determinante diventa il rapporto con il tempo protratto a lunghezze estenuanti in cui i
tempi morti e le isole rarefatte si succedono alle accelerazioni frenetiche d'intensità; e
con lo spazio puntualmente identificato con la scena nuda, anche se materie diverse
possono cospargere il palcoscenico, si tratti di una superficie d'acqua o di un tappeto di
prato, di fiori, di foglie, di neve. Perché i suoi spettacoli ricostruiscono regolarmente,
all'interno dello spettacolo, il rito dello spettacolo, con gli attori impegnati a
rappresentare la rappresentazione teatrale nei suoi momenti tipici.
Dalle prove alla demistificazione delle gag più convenzionali, alla cerimonia degli
applausi e dei ringraziamenti, mettendo in scena ogni volta se stessi, con le loro
confessioni autobiografiche e i rapporti interpersonali della comunità, ma anche le loro
smanie di svolgere, per il pubblico, un proprio gioco di società. Le caratterizzazioni
ritornano all'insegna delle stesse regole sceniche: e ogni spettacolo costituisce la
continuazione del precedente, confluendo nell'unico grande spettacolo sintesi di tutti gli
spettacoli che è il teatro di Pina Bausch.
Alla fine dell'ultimo conflitto mondiale, Germania anno zero. Che cosa era rimasto, della
cultura tedesca, dopo il pur breve periodo di follia nazista? Praticamente nulla. Gli spiriti
liberi erano emigrati, o erano stati ridotti al silenzio. I movimenti artistici cresciuti dopo il
1918 erano stati semplicemente cancellati; l'arte moderna uccisa; le strutture fatte a
pezzi. La danza libera, che in Germania aveva avuto eccelsi rappresentanti e importanti
teorici, poté in qualche modo sopravvivere in esilio. Tale fu il destino di Kurt Jooss,
portavoce dell'espressionismo, che dopo il successo del suo Tavolo verde dovette proseguire
il suo lavoro in Inghilterra.
La danza classica, che pure aveva avuto momenti felici nei secoli passati pur senza
produrre personaggi o fatti di rilievo, non godeva di molta considerazione sotto la
dittatura, più incline a sostenere il maschio vigore dello sport. L'eroismo nibelungico era
più idoneo a rappresentare il Reich di quanto non potessero alate fanciulle o esangui
principi. Contemporaneamente, accadevano fatti importanti, nel mondo del balletto.
Cresceva la scuola russa, malgrado lo stalinismo, l'America assumeva la leadership
mondiale grazie al lavoro di George Balanchine e dei moderni, in Francia l'Opéra rifioriva
sotto la guida di Lifar, e l'Inghilterra proseguiva con grande puntiglio una strada indicata
dai russi di Diaghilev. Perfino in Italia accadeva qualcosa, dopo una lunga decadenza, e si
preparava la rinascita con l'arrivo di Aurelio Milloss dall'Ungheria.
Nessuna voce si levava, invece, dal deserto tedesco. E nessuno, dopo il 1945, appariva in
grado di riai lacci are un discorso con il passato. Dopo Brecht, dopo Weill, dopo il teatro
politico, dopo gli sperimentalismi, chi poteva riconciliare l'arte tedesca col mondo?
Le due Germanie riaccolsero gli esuli, ma divennero zone d'influenza dei vincitori, a ovest
anglo-americani, a est sovietici. Da Cranko a Neumeier passa la rinascita della Germania
federale, che si dota di numerose compagnie internazionali di prestigio; dall'altra parte
dell'Elba, il modello russo si incontra con una tendenza costruttivistica che dà vita ad
altre esperienze coreografiche di non lieve portata. Si formano così le prime generazioni di
danzatori e di coreografi germanici, inseriti in una internazionale dominante che si nutre
anche di vera disciplina, e çhe viene aiutata da solide strutture teatrali, che possono essere
portate ad esempio in tutta Europa.
In questo clima, un po' a sorpresa, nasce il fenomeno Bausch e torna in scena la vera
anima della danza tedesca. Con un grosso salto temporale, la Germania si riallaccia al
suo passato, rievoca i suoi miti libertari, e si adatta a una nuova situazione. Le condizioni
oggettive sono diverse, ma c'è sempre lo stesso senso di frustrazione e di paura. E a
monte c'è ancora la pena di una disfatta che ha distrutto tutti i valori precedenti.
Gli anni venti erano lo specchio di una Germania sconfitta, ma non distrutta; impoverita,
ma non cancellata; umiliata, ma ancora integra. Il grido degli espressionisti era violento,
spesso brutalmente sottolineato, e la protesta era contro quel tipo di tedesco volgare e
civilmente trapassato che la nuova cultura voleva combattere. La povertà, la fame, la
violenza, la crisi erano però cose vere. I valori perduti di una società militaresca non
c'erano più: l'impero era morto, l'esercito fatto a pezzi, i codici dell'onore, del
patriottismo, della famiglia solidamente ancorata alla chiesa e alla cucina erano da
trasgredire. Col loro naturale estremismo nutrito di malsano romanticismo, i tedeschi
cercarono di rinnovarsi senza mezze misure, e senza un consenso di base che potesse
aiutarli a cambiare.
Il nazismo cercò, biecamente, di raddrizzare le sorti dei codici trasgrediti, contro la nuova
cultura e contro la libertà. Risuscitò le antiche forme dell'onore, l'orgoglio dell'esercito, il
mito·della potenza, aggiungendovi, per vincere le frustrazioni di una nazione che priva di
autocritica si definiva pugnalata alle spalle, il senso della razza e della casta. Per questo
privilegiò le immagini di un grande popolo antico, fatto di eroi forti e determinati.
Tratto da: Programma di sala, Antologia, Pina Bausch, Tanztheatre Wuppertal, direzione artistica Pina Bausch,
Anno europeo della musica, Gran Teatro La Fenice in coproduzione con La Biennale di Venezia Settore Teatro,
14 maggio - 15 giugno 1985.
23
Considerò il dubbio come un peccato mortale e si creò alibi e capri espiatori. Il
comunismo, gli ebrei, e poi gli esseri inferiori (i non-tedeschi) divennero i bersagli
necessari per cacciare il complesso d'inferiorità e il terrore dello isolamento. In un accesso
di organizzata barbarie, come nella prestoria, fu emessa una condanna a morte contro
tutti i diversi.
E diversa era anche l'arte non di regime. Il rogo dei libri si accompagnava alla condanna
di tutte le forme d'avanguardia e di critica, definite arte degenerata. In sei anni, dal 1933
al 1939, tutto venne distrutto, letteratura, musica, pittura, filosofia, teatro. I diritti dei
popoli vicini furono calpestati, come nei più bui tempi medievali. Gli stati satelliti furono
costretti a seguire l'esempio dei nuovi signori della guerra, ansiosi di rivincite ed ebbri di
potere.
Ma il mondo non poteva accettare un simile diktat e nei sei anni successivi la Germania fu
combattuta e vinta dalle così dette nazioni libere e dai popoli in rivolta. E nel 1945 i codici
riesumati vennero definitivamente distrutti. Il prezzo pagato fu altissimo, ma il sacrificio
non inutile.
Sconfitti, distrutti, umiliati e smembrati, i tedeschi si accorsero finalmente della verità e
iniziarono la ricostruzione del paese con altri concetti e altre filosofie. Capirono poco a
poco l'arretratezza del loro pensiero e misero la loro intelligenza e il loro senso pratico al
servizio di nuovi progetti.
La rinascita economica avvenne senza miti e senza eroi, al furore nazionalistico venne
preferita l'abbondanza delle merci. La nuova cultura della Germania si trovò dunque ad
operare in un paese rinnovato e a confrontarsi con altri problemi.
Gli scrittori, i cineasti, i musicisti, gli architetti, i filosofi, trattarono finalmente problemi
reali. Ciò che a loro non piaceva non era più l'autoritarismo del governo o delle classi
dominanti, ma la passiva mediocrità della vita. La banalità dei rapporti umani,
l'imitazione di modelli consumistici decodificanti. L'emarginazione non sociale, ma
intellettuale. In un paese pieno di benessere, emergeva la tragedia della solitudine e della
disperazione di ceti incapaci di capirsi. A quel punto anche il teatro didattico e politico di
Bertolt Brecht non serviva più. Il nemico storico di un tempo era scomparso fra le macerie
delle città distrutte.
Il lavoro di Pina Bausch si sviluppò in questa situazione di crisi esistenziale. Ella volle darci
una immagine della realtà tedesca, del modo di comportarsi dei tedeschi, delle
propensioni dei tedeschi, nella maniera più diretta e fuori da ogni amabilità o
falsificazione. E partì, come era ovvio, dalla esemplificazione del cattivo gusto teutonico,
quello che i nazisti avevano colorato di sentimentalismo e di evasione. Trasformandosi da
ballerina prima classica e poi moderna in una sorta di nuova Giovanna d'Arco, Pina
Bausch partì lancia in resta contro i moderni Filistei.
Il bersaglio della sua critica si estese, cammin facendo, in virtù di un coinvolgimento che
andava al di là dei confronti nazionali.
Sprovincializzandosi, la coreografa ampliò il suo messaggio in ammonimento: tutti noi,
infatti, siamo destinati a specchiarci nella inconsistenza di una società esibizionista e
snazionalizzata, che non si identifica più nei modelli dei padri. Nel 1973 Pina Bausch
venne chiamata a dirigere il Tanztheater di Wuppertal (c'è una tradizione di questo tipo
in Germania, dai tempi di Kurt Jooss a Essen) e iniziò a costruire la sua compagnia. La
signora non è mai stata molto loquace, e neppure esplicativa, per cui non è facile sapere
quali sono stati i passi compiuti nella direzione di una nuova danza, nei primi anni di
lavoro in quella città non affascinante, ma neppure obbligante nel senso tradizionale delle
consolidate preferenze di pubblico.
Certo è che la coreografa, intelligentemente, evitò di rompere subito i legami col passato.
Volle nella compagnia artisti che fossero danzatori e in prospettiva attori. Per chiedere
loro delle prestazioni inedite, o per lo meno per poterli inserire nelle sue tematiche più
ardite. Può apparire singolare il fatto che nei primi suoi titoli siano state usate musiche di
autori riconosciuti come Mahler, Glück e Stravinsky, prima del passaggio a elaborati
collages musicali. Ma è anche vero che non si può, in un sol volo, passare al di là delle
frontiere e congiungersi a certi ideali di rinnovamento.
Subito dopo, entreranno in scena Kurt Weill e Bela Bartok, e si potrà definire, almeno per
un certo periodo, la Bausch come una neoespressionista.
[...] Gli spettacoli di Pina Bausch non sono solo balletti, non sono solo teatro, non sono
happening (al contrario, sono costruiti in ogni dettaglio dal ragionamento), non sono
performance, non sono politica, non sono filosofia, non sono provocazione ortodossa,
non ammettono etichette.
Sono tutto, come tutto è la vita e come tutto è l'arte. La loro diversità e il loro fascino ci
congiungono a un totale spirituale che ha merito di farci pensare, partecipare e dissentire.
Prendiamoli come un omaggio alla nostra intelligenza, e facciamo l'autocritica. Mai
metafore sono state così vere e pungenti, e per i colpevoli imbarazzanti.
Tratto da: Programma di sala, Antologia, Pina Bausch, Tanztheatre Wuppertal, direzione
artistica Pina Bausch, Anno europeo della musica, Gran Teatro La Fenice in coproduzione con
La Biennale di Venezia Settore Teatro, 14 maggio - 15 giugno 1985.
Foto di scena, La sagra della primavera di Pina Bausch, Teatro La Fenice 1985
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A quest'assolo decisivo e sconvolgente - vero e proprio rito di possessione - si giunge
attraverso lo sviluppo di un'azione intensamente coreografica, condotta nel linguaggio di
una danza impregnata di sensualità, ma filtrata in una catarsi purificatrice, stagliata nelle
forme di un vigore drammatico che mai si stempera nel lirismo. Nella mitica arena che
accoglie l'universale e atemporale lotta tra i sessi (gli uomini da una parte, le donne
dall'altra, sempre contro e sempre insieme negli spettacoli di Pina Bausch) si tracciano le
linee ansanti e frenetiche di una coreografia rigorosamente riflessiva rispetto alla
monumentale partitura di Stravinsky, e altrettanto violenta ed essenziale.
Gigantesco affresco coreografico di una lotta vana contro la morte, una lotta senza
quartiere e senza speranza - e significativamente concentrata nell'immagine di una donna
sola di fronte al proprio gruppo sociale, simbolo dell'atroce espiazione di un'incolmabile
impulso alla libertà individuale -:- questo Sacre du printemps si propone a tutt'oggi come un
sublime «biglietto da visita» di Pina Bausch coreografa, che vi si afferma e vi si conferma
tale in tutta la sua autorevolezza e originalità.
La sagra della primavera di Pina Bausch
È nel 1975 che Pina Bausch presenta per la prima volta la sua versione coreografica del
Sacre du printemps di Stravinsky, inclusa all'interno di una serata che sotto il titolo
complessivo di Frühlingsopfer riunisce tre balletti stravinskiani (Wind von West e Der zweite
Fruhling, oltre al Sacre). Secondo il critico tedesco Jochen Schmidt, che ha seguito il lavoro
di Pina Bausch fin dagli inizi, il Sacre rappresenta il vertice del ciclo «ballettistico» della
coreografa di Wuppertal: a partire dal '76, con l'allestimento della serata dedicata a
Brecht Weill, la Bausch avrebbe infatti cominciato ad avventurarsi verso zone espressive
già scevre dai condizionamenti strutturali del balletto. Il Sacre, secondo Schmidt,
rappresenterebbe quindi un culmine qualitativo atto a segnare la chiusura della fase
produttiva specificamente «coreografica» di Pina Bausch, prima della svolta verso il
teatro-danza degli spettacoli successivi, e dopo un itinerario marcato da balletti
tradizionalmente strutturati nelle forme della danza moderna (come il ciclo gluckiano di
Iphigenie auf Tauris, 1974, e Orpheus und Eurydike, 1975). Creazioni che, a dire di Schmidt,
«erano eccezionali per qualità, ma senza offrire spunti in grado si superare i confini del
balletto come genere».
Da parte sua Pina Bausch, che sempre rigetta i giudizi critici improntati a un
atteggiamento storicistico, nega radicalmente la progressione evoluzionista del proprio
itinerario espressivo. Il Sacre, sostiene, non è che una delle «facce» del suo lavoro, e in
questo senso è opera tuttora pienamente significativa del suo mondo di creatrice, e per
nulla disgiunta dal significato delle successive creazioni. Per questo il Sacre non è mai
uscito dal repertorio del Tanztheater Wuppertal, ed è anzi uno dei pezzi più rappresentati
nelle tournée internazionali della compagnia.
Tratto da: Programma di sala, Antologia, Pina Bausch, Tanztheatre Wuppertal, direzione
artistica Pina Bausch, Anno europeo della musica, Gran Teatro La Fenice in coproduzione con
La Biennale di Venezia Settore Teatro, 14 maggio - 15 giugno 1985.
«II Sacre è un pezzo di Stravinsky», afferma Pina Bausch, «e per me la cosa più importante
era cercare di capire perché Stravinsky aveva composto il Sacre. Nel Sacre non avevo da
aggiungere altro, perché era già tutto lì, dentro la musica. C'è una fanciulla, l'Eletta. E
questa fanciulla deve danzare, da sola, per morire». Punto di partenza e significato ultimo
del Sacre, nella concezione dell'autrice, coincidono dunque nella musica. È su questo
essenziale presupposto che la versione Bausch del capolavoro stravinskiano va intesa:
fusione totale tra danza e musica, proiezione assoluta tra partitura coreografica e
musicale. Strutturalmente in conti tornano: l'interpretazione di Stravinsky operata dalla
Bausch è cristallina. E se il linguaggio utilizzato è quello della danza propriamente detta,
l'inevitabilità di quest'adozione di codice è data per scontata dall'autrice: come a dire
che solo nella danza e attraverso la danza una lettura teatrale del Sacre può avere luogo.
Pina Bausch spoglia la sua versione da ogni figurativismo di tipo folklorico: restando
fedele alla successione scenica dell'originale, ma liberandola dai riferimenti ai «Quadri
della Russia pagana» (sottotitolo della prima versione del balletto stravinskiano, 1913). Il
Sacre risulta così proiettato in un'ambientazione senza tempo e senza storia, dove l'argilla
che inonda il palcoscenico imprime all'azione un sapore aspro e potente, da rito tribale
primigenio. Essenziali e astorici anche i costumi: camiciole color carne per le donne;
pantaloni neri per gli uomini, a torso nudo. All'inizio una donna giace sopra un vestito
rosso: l'abito del sacrificio. Questa veste scarlatta, passata di mano in mano, da una
fanciulla all'altra, rappresenterà un test emblematico per tutta la durata del pezzo: ogni
donna, evidentemente, potrebbe essere la prescelta. E sarà l'Eletta, alla fine, ad
indossarla, per morire. Di fronte all'orrore del sacrificio imposto, danzerà lacerata in un
violentissimo assolo, tra panico esplicito, sussulti e smarrimenti, crudi fremiti di rivolta:
autentica furia di tensione nervosa, capace di emanare, con tutta se stessa, una feroce
volontà di fuga rispetto al proprio destino.
Foto di scena, La sagra della primavera di Pina Bausch, Teatro La Fenice 1985
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Scheda del video proposto durante il primo appuntamento
martedì 29 ottobre 2013
Sale apollinee del Teatro La Fenice ore 16.30
Le Sacre du printemps
scene dalla Russia pagana
Musica: Igor Stravinsky
Coreografia: Valslav Nijinskij (1913)
Ricostruzione e regia: Millicent Hodson
Scene e costumi: Nicholaj Roerich
Ricostruzione e supervisione: Kenneth Archer
Luci: Vladimir Lukin
Interpreti: L’eletta: Alexandra Iosifidi, L’anziana: Elena Bazhenova, Il saggio: Vladimir Ponomarev
Corpo di ballo e Orchestra del Teatro Mariinsky
Direttore Valery Gergiev
Teatro Mariinsky di San Pietroburgo, giugno 2008
Scheda del video proposto durante il secondo appuntamento
mercoledì 30 ottobre 2013
Sale apollinee del Teatro La Fenice ore 16.30
Le Sacre du printemps
scene dalla Russia pagana
Musica: Igor Stravinsky
Coreografia: Maurice Béjart
Scene e costumi: Pierre Caille
Corpo di ballo Béjart Ballet Lausanne
Anno: 2008
Scheda del video proposto durante il terzo appuntamento
giovedì 31 ottobre 2013
Sale apollinee del Teatro La Fenice ore 16.30
Le Sacre du printemps
scene dalla Russia pagana
Musica: Igor Stravinsky
Coreografia: Pina Bausch
Scene e costumi: Rulf Boezik
Luci: Pat Kullach
Regia: Pa Weyrich
Orchestra e corpo di ballo Wuppertal Opera
Direttore: Pierre Boulez
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FeniceBiblioMedia
Fra le sezioni di FBM a disposizione del pubblico, quella dedicata alla danza, è
particolarmente ricca grazie, anche al materiale che il consulente artistico per la danza del
Teatro La Fenice M° Franco Bolletta ha fornito alla sezione education del Teatro.
Qui di seguito un estratto dei materiali che sono a disposizione presso la FBM dell’area
formazione & multimedia. Sono a disposizione, in sede, dvd, cd, libri per approfondire il
tema trattato in questa dispensa.
Un jour Pina a demandé..., cor. Pina Bausch, corpo di ballo Wuppertal Tanztheater, 1983
Dominique Mercy danse Pina Bausch, documentario sul danzatore con interviste ed estratti di
coreografie di Pina Bausch
Les reves dansants - sur les pas de Pina Bausch, cor. Pina Bausch, regia Anne Linsel, Germania
2010
Per accedere al prestito e alla consultazione, per appuntamento, potete inviarci una email
a [email protected]
Pina, documentario dedicato a Pina Bausch, regia Wim Wenders, Germania 2011,
(contiene il Back stage del film)
Dvd:
The kirov celebrates Nijinskij (Shérazade, Le spectre de la rose, The polovtsian dances, Firebird, cor.
Mikhail Fokinee, rip. Isabelle Fokinee e Andris Liepa, Kirov Ballet
Libri:
Storia della danza e del balletto, Alberto Testa, Gremese editore, Roma 1988
Le sacre du printemps, cor. Maurice Béjart, corpo di ballo Le Ballet du XX siécle, musica di I.
Stravinsky 1989
Danza e balletto, Mario Pasi, Domenico Rigotti, Ann Veronica Tunbull, Jaca Book editore,
Milano aprile 1998
Ring um den Ring, uno spettacolo attorno al Ring, cor. Maurice Béjart, musica di R.
Wagner, Béjart Ballet Losanne, Teatro La Fenice, 1990
L’abc del balletto, la storia, i passi, i capolavori, Marinella Guatterini, Mondadori editore
1998
Piaf (1988), ... Et valse (1987), L'oiseau de feu (1950), Le sacre du printemps (1959), cor.
Maurice Béjart, musiche di I. Stravinsky, C. Debussy, M. Ravel, canzoni di E. Piaf, Béjart
Ballet Losanne, Marzo 1989
Balletto e danza moderna, Susan Au, Skira Rizzoli 2003
Storia del balletto, Antoine Goléa, Eri 1967
The Art of the 20th-Century Ballet, cor. Maurice Béjart , M. Ravel (Boléro), G. Mahler
(Adagietto [sic] e Ce que l’amour me dit), corpo di ballo Ballet du XXe Siècle, 1985
Danza 2005, Béjart Ballet Lausanne, Ballett de L'Opera National de Paris Pina Bausch,
programma di sala, Fondazione Teatro La Fenice di Venezia 2005
Lo schiaccianoci, cor. Maurice Béjart, musica di P.I. Caikovskij, copro di ballo Béjart Ballet
Lausanne, Theatre Musical de Paris Cahtelet, 2000
Balletto del XX secolo, stagione lirica 1968-1969, programma di sala, Ente Autonomo Teatro
La Fenice di Venezia
Romeo et Juliet, cor. Maurice Béjart, musica di Hector Berlioz, copro di ballo dell’ Opera
National de Belgique, Firenze Giardino Boboli, 1972
Béjart, Ballet Lausanne, programma di sala, Teatro La Fenice, 1989
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