sCVI/SIOCOV Cremona – Palazzo Trecchi - Gennaio 2009
CHIRURGIA PALLIATIVA IN MEDICINA VETERINARIA
Sabato 31/01/2009
Chairman della giornata: Dr.ssa Emanuela Morello
Chairman della sessione comunicazioni brevi: Prof. Paolo Buracco
8:45-9:15
Registrazione dei partecipanti
9:15-9:30
Saluto del consiglio e presentazione dei relatori
Delivering Bad News: A Crucial Conversation
9:30-10:00
J. Shaw
Assessing Quality of Life: How will I know when it is time to say good-bye?
10:00-10:45
J. Shaw
10:45-11:15 Pausa
11:15-12:15
12:15-12:30
Euthanasia Decision-Making: Raising a difficult topic
J. Shaw
Discussione sulle relazioni della mattinata
12:30-13:30 Pausa pranzo
13:30-14:15
14:15-14:30
14:30-14:45
14:45-15:00
15:00-15:15
15:15-15:30
15:30-16:00
Compassion Fatigue: Healing the Healer
J. Shaw
Comunicazioni libere dei soci SCVI e SIONCOV
Conoscenze e priorità dei proprietari di cani e gatti riguardo alla terapia
oncologica: indagine preliminare basata su questionario
A. Ferrari
Ipoglicemia in un cane con tumore delle isole pancreatiche secernente
Insulin-Like Growth Factor Type-II
R. Finotello
Pericardiectomia e biopsia in corso di versamento pericardio da
emangiosarcoma atriale in un cane
S. Mastromattei
Un caso di gastrinoma in un cane
GP. Crispino
Un caso di carcinoma sebaceo in un coniglio nano: chirurgia e terapia
adiuvante
G. Allievi
Pausa
sCVI/SIOCOV Cremona – Palazzo Trecchi - Gennaio 2009
16:00-16:15
16:15-16:30
16:30-16:45
16:45-17:00
17:00-17:15
Adrenalectomia per una neoplasia surrenalica “difficile”
G. Allievi
Sarcoma a basso grado a cellule fusate della parete addominale con
localizzazione mammaria in un Siberian Husky
C. De Feo
Trattamento di GIST metastatico con imatinib: la svolta
S. Verganti
Considerazioni intra e perioperatorie in 45 mastectomie eseguite in 43
cagne nel periodo 2005-2007
P. Bogoni
Chirurgia per il trattamento di ascite in un cane
S. Nicoli
Comunicazione dell’industria su un nuovo farmaco
New targeted therapy with a tyrosine kinase inhibitor, example of masitinib
17:15- 17:45 in the treatment of Mast Cell Tumors
O. Hermine
Domenica 01/02/2009
Chairman della giornata: Dr. Paolo Bogoni
8:30-9:00
Registrazione dei partecipanti
Introduzione alla chirurgia palliativa e di salvataggio: definizione, criteri
9:00-9:30 decisionali e obiettivi in chirurgia veterinaria
M. Martano
Stato dell’arte in chirurgia umana
9:30-10:30
R. Marconato
10:30-11:00 Pausa
Versamenti pericardici neoplastici
L. Formaggini
Metastasectomia
11:30-12:15
G. Romanelli
12:15-13:15 Pausa pranzo
11:00-11:30
13:00-14:00
14:00-14:45
14:45-15:30
15:30-16:15
16:15-17:30
Emoaddome non-traumatico
L. Formaggini
Trattamento chirurgico delle ostruzioni neoplastiche vescicali ed uretrali
G. Romanelli
Amputazione e “limb sparing”: quale opzione?
E. Morello
La chemioterapia palliativa
L. Marconato
La radioterapia palliativa
J. Buchholz
Conoscenze e priorità dei proprietari di cani e gatti riguardo alla terapia
oncologica: indagine preliminare basata su questionario
Ferrari A. MedVet, Formaggini L. MedVet
Indirizzo per la corrispondenza: [email protected]
Introduzione: la sensibilità e l’attenzione dei proprietari nei confronti del proprio cane o gatto ha
contribuito ad alimentare una fiorente letteratura scientifica riguardo diagnosi e terapia oncologica.
Ciononostante il cancro è ancora oggi causa di morte nel 30-50% dei pazienti veterinari. Accanto
all’obiettivo di una maggior aspettativa di vita, riveste sempre più importanza in medicina
veterinaria il concetto di “qualità di vita” 1. Ad oggi, tuttavia, non sono stati tracciati standard
scientifici in grado di delineare meglio questo concetto
2, 3
e, spesso, le definizioni suggerite dalla
letteratura non rispecchiano i pensieri dei proprietari. Lo scopo della nostra indagine è quello di
verificare le conoscenze e le priorità dei proprietari di cane e gatto riguardo alla terapia oncologica,
al fine di migliorare la comunicazione tra medico veterinario e cliente.
Materiali e metodi: è stato chiesto di compilare un questionario a scelta multipla ai proprietari di
cane e gatto afferiti in maniera consecutiva presso la nostra struttura indifferentemente dal motivo
della visita. Il questionario si componeva di 5 domande a scelta multipla inerenti al rapporto
affettivo proprietario-animale (domanda 1), le conoscenze e le priorità rispetto alla terapia
oncologica veterinaria se ipoteticamente il loro animale fosse stato affetto dal cancro (domanda 2,
3, 4 e 5) e di altre 3 domande che interessavano direttamente l’intervistato (sesso, fascia d’età e se
proprietario di cane, gatto o entrambi), mantenendo in ogni caso l’anonimato. Il questionario è stato
redatto in italiano, escludendo di conseguenza dalla compilazione i proprietari di cittadinanza
straniera. I questionari compilati in maniera errata in alcune sue parti, non sono stati esclusi dalla
valutazione finale, ma considerati solo nelle frazioni corrette.
Risultati: hanno partecipato alla compilazione del questionario complessivamente 156 proprietari di
cane e gatto, dei quali il 31% di sesso maschile, il 63% femminile e il 6% di sesso sconosciuto. Il
23% aveva un’età inferiore ai 30 anni, il 30% compresa tra i 30 e i 40, il 20% tra 41 e 50, il 12% tra
i 51 e 60, l’8% tra i 61 e i 70, lo 0.5% tra i 71 e gli 80 ed il restante 6.5% di età ignota. Il 66% era
proprietario di cane, il 19% di gatto, l’11% di entrambi ed il 4% sconosciuto. Il 91.5% degli
intervistati considerava il proprio animale come membro della famiglia, l’8% come semplice
animale da compagnia o da lavoro, mentre lo 0.5% non lo considerava affatto. Il 10% reputava il
cancro una malattia incurabile, l’84% curabile e/o gestibile, ed il 6% pensava subito all’eutanasia. Il
22% dei proprietari non conosceva l’esistenza di terapie adiuvanti quali chemio/radioterapia al
contrario del restante 78%. Per la maggior parte dei proprietari, a seguito della ipotetica diagnosi di
tumore maligno, il fattore che più influiva sulle future scelte terapeutiche erano le prospettive di
guarigione, seguita dalla qualità di vita del proprio animale (seconda priorità), dall’età del paziente
e/o presenza di malattie concomitanti, da esperienze personali negative (altri animali, familiari o
amici affetti da malattia oncologica) ed infine dal fattore economico. Il termine che esprimeva
meglio il concetto di qualità di vita del cane o gatto affetto da cancro era la totale assenza di dolore
seguito, in ordine decrescente, dalla possibilità di alimentarsi autonomamente, dall’interazione con
la famiglia o altri animali, dai minori effetti collaterali possibili della terapia ed infine dalla
lunghezza della vita.
Discussione: analizzando i risultati del nostro test, è possibile notare come il legame proprietarioanimale si è rivelato molto forte. Le conoscenze delle possibilità diagnostiche e terapeutiche sono
buone (per l’84% degli intervistati, il cancro è una malattia gestibile). Purtroppo circa 1 proprietario
su 5 (22%) non è a conoscenza dell’esistenza di chemio o radioterapia; questo dato potrebbe essere
legato sia a scarsa informazione da parte del veterinario sia ad un disinteresse da parte del
proprietario. In medicina veterinaria la terapia delle malattie croniche, quali il cancro, si propone
principalmente il miglioramento della qualità di vita 1. Questo concetto sembra essere ben presente
nelle priorità dei proprietari anche se, nel presente studio, la qualità di vita occupa solo il secondo
posto a scapito delle prospettive di guarigione, al contrario di quanto riportato in altri lavori
4, 5
.
D’altro canto, però, il dolore associato al cancro influisce negativamente sulla qualità di vita del
paziente 2 e, per la maggior parte dei proprietari del nostro test, proprio l’assenza del dolore stesso è
un importante obiettivo nella gestione del paziente tumorale, seguito dalla capacità di alimentarsi.
Questo dato è discordante rispetto a quelli ottenuti in un recente lavoro 6, dove il dolore è indicato
dal 10% degli intervistati, mentre l’appetito occupa il primo posto con il 92% delle preferenze. I
dati saranno ulteriormente discussi in sede congressuale. Concludendo, possiamo dire che le
conoscenze terapeutico-gestionali del proprietario di cane/gatto portatore di tumore sono da
considerare buone; tuttavia maggiore lavoro interattivo si rende ancora necessario da parte del
veterinario per ulteriormente migliorare la situazione.
Bibliografia:
1) McMillan FD. Maximizing quality of life in ill animals. JAAHA 2003; 39: 227-235.
2) Wojciechowska JI, Hewson CJ. Quality-of-life assessment in pet dogs. JAVMA 2005; 226: 722-728.
3) Yazbek KVB, Fantoni DT. Validity of a health-related quality-of-life scale for dogs with signs of pain secondary to
cancer. JAVMA 2005; 226: 1354-1358.
4) Oyama MA, Rush JE, O’Sullivan ML et al. Percepitions and priorities of owners of dogs with heart disease regarding
quality versus quantity of life for their pets. JAVMA 2008; 233: 104-108.
5) Mellanby RJ, Herrtage ME, Dobson JM. Owners’assessments of their dog’s quality of life during palliative
chemotherapy for lymphoma. J Small Anim Pract 2003; 44: 100-103.
6) Tzannes S, Hammond MF, Murphy S et al. Owners ‘percepitions of their cats’ quality of life during COP
chemotherapy for lymphoma. J Fel Med Surg 2008; 10: 73-81.
Ipoglicemia in un cane con tumore delle isole pancreatiche secernente
Insulin-Like Growth Factor Type-II
Finotello R, Marchetti V, Nesi G, Arvigo M, Baroni G, Vannozzi I
[email protected]
Caso clinico
Un cane di razza setter gordon, femmina intera di anni 7, 26 Kg, era riferito perché da 6
mesi manifestava progressivo stato di debolezza e atassia. I proprietari descrivevano un
leggero miglioramento della sintomatologia legato all’assunzione di cibo.
All’esame obiettivo generale il soggetto, normopeso con body condition score (BSC)
4/9, appariva evidentemente abbattuto mostrando effettiva difficoltà a mantenere la
stazione quadrupedale, perdita del tono muscolare, e temperatura corporea di 39°C;
non si rilevavano ulteriori anomalie.
Veniva prelevato un campione di sangue per effettuare esame emocromocitometrico,
profilo biochimico completo e profilo coagulativo.
All’esame emocromocitometrico non si riscontrava alcuna anomalia; la valutazione
morfologica dello striscio metteva in evidenza lieve poichilocitosi con presenza di
echinociti.
L’esame biochimico evidenziava moderata ipoglicemia a digiuno (57,1 mg/dl; range 80120 mg/dl). Il profilo coagulativo rilevava un lieve aumento del tempo di protrombina
PT (8,7 sec; range 5,2-7,6 sec).
Veniva eseguita ecografia addominale che evidenziava una lesione tondeggiante
caudalmente allo stomaco di 23 mm di diametro, di aspetto lievemente ipoecogeno, a
margini sfumati, mal contrastata con le strutture contigue. Per sede, si emetteva in prima
ipotesi lesione di origine pancreatica.
Si effettuava quindi prelievo citologico eco-guidato della massa, mediante tecnica di
ago infissione con soggetto in sedazione. Il campione era prevalentemente costituito da
nuclei nudi su fondo citoplasmatico a margini indistinti, occasionalmente disposti a
formare microadenomeri. I caratteri di atipia (anisocariosi) erano modesti.
Il quadro citologico in unione a sintomatologia e tecniche di imaging era compatibile
con neoplasia neuroendocrina.
Ai fini di stadiazione si eseguivano radiografie del torace nelle tre proiezioni standard
che risultavano negative per la ricerca di metastasi.
Il dosaggio sierico di insulina evidenziava ipoinsulinemia marcata (0,5 mUI/ml; range
4-16 mUI/ml).
Per la contemporanea presenza di ipoglicemia a digiuno e ipoinsulinemia, si richiedeva
il dosaggio sierico del fattore di crescita insulino-simile II ( IGF II) che risultava
compreso nel range di normalità (50 ng/mL; range 41-55 ng/mL).
Veniva effettuata laparatomia esplorativa e pancreasectomia parziale (lobo destro).
Si decideva inoltre di asportare parte di omento per la presenza di un piccolo nodulo
(<1 cm) non evidenziato ecograficamente.
Al successivo controllo (8 giorni post intervento) glicemia ed insulinemia erano nei
limiti del normale; la sintomatologia era migliorata.
All’esame istopatologico la lesione appariva costituita da cellule poligonali con nucleo
rotondeggiante centrale e citoplasma finemente granuloso, disposte in trabecole o
cordoni. Si evidenziavano rarissime figure mitotiche (inferiore a 1 per 10 HPF), in
assenza di invasione linfo-vascolare perilesionale. I margini di resezione chirurgica
risultavano indenni.
Allo
scopo
di
chiarire
l’esatta
natura
della
neoplasia
veniva
eseguita
immunoistochimica, utilizzando il seguente pannello anticorpale: citocheratina 7 (CK7),
pancitocheratina
AE1/AE3,
CD56,
cromogranina,
sinaptofisina,
glucagone,
somatostatina, polipeptide pancreatico (PPP), insulina e IGF II.
Il tumore risultava positivo a pancitocheratina AE1/AE3, CD56, cromogranina,
sinaptofisina e negativo a CK7, consentendo di emettere diagnosi di neoplasia
neuroendocrina. La marcata positività a IGF II presupponeva produzione del fattore di
crescita da parte della neoplasia, nonostante la sua normale concentrazione sierica.
Otto mesi dopo chirurgia, il cane è in buono stato di salute e non mostra alcuna recidiva
locale né metastasi a distanza.
Discussione
Le principali cause di ipoglicemia sono rappresentate da insufficienza surrenalica,
epatopatie, sepsi, squilibri ormonali, neoplasie o, nei pazienti con diabete mellito,
dall'erronea assunzione di farmaci ipoglicemizzanti orali e/o d'insulina. In alcuni casi
l'ipoglicemia può essere la conseguenza di un’alimentazione carente o dell’eccessivo
consumo di glucosio in seguito ad intenso esercizio fisico.1
L’ipoglicemia associata a tumore può essere conseguenza diretta di rilascio di insulina
(ad esempio, iperinsulinemia in corso di insulinoma) oppure di meccanismi
paraneoplastici, tra cui rapidità di utilizzo di glucosio, ridotta gluconeogenesi (in
seguito, ad esempio, a distruzione del parenchima epatico da parte di neoplasie
primarie, metastasi o dalla soppressione degli ormoni insulina antagonisti) e produzione
da parte di neoplasia di IGF II. In tutti questi ultimi casi l’insulinemia risulta normale o
ridotta.2,3
IGF-I e IGF-II sono proteine a singola catena omologhe dell’insulina, dal peso
molecolare di 7,5-kDa, che promuovono crescita cellulare, sopravvivenza, migrazione e
differenziazione delle cellule in vitro ed hanno attività insulina-simile.
IGF-I e IGF-II sono sintetizzati e secreti da molti tessuti e possono agire sia localmente
come fattori autocrini e paracrini, sia a distanza, tramite il circolo ematico, come fattori
di crescita endocrini.
A differenza dell’insulina, IGF è quasi totalmente (97%) legato a proteine carrier
IGFBP verso le quali mostrano un’affinità uguale o addirittura maggiore rispetto a
quella espressa per recettori per IGF-I, IGF-II e insulina.
IGF si presenta più spesso sotto forma di complesso eterodimerico dal peso molecolare
di 150-kDa, composto da IGFBP-3 (~45-kDa, la forma proteica più abbondante in
circolo) e da una subunità acido labile ALS (~85-kDa, prodotta principalmente a livello
epatico sotto stimolazione di GH). Questa struttura costituisce un complesso
biologicamente inattivo ed ha lo scopo di prolungare l’emivita delle molecole di IGF, di
garantirne una riserva circolante e inibirne l’azione, qualora fossero presenti in quantità
eccessiva, impedendone il legame con i recettori.
Il complesso ALS-IGFBP3-IGF non attraversa l’endotelio vasale, non espletando così
l’attività insulino-simile. Al contrario, la sua scissione (indotta dal tumore) è alla base
della patogenesi dell’ipoglicemia paraneoplastica in corso di neoplasie extrapancreatiche (non-islet cell tumor-induced hypoglycaemia NICTH).4 ,5
In letteratura sono riportati rari casi di neoplasia extrapancreatica con ipoglicemia
paraneoplastica, ipo- o normoinsulinemia e aumentati livelli di IGF II.6,7,8
Il caso clinico descritto rappresenta l’unica segnalazione di ipoglicemia associata alla
produzione di IGF-II da parte di un tumore delle isole pancreatiche. In medicina umana
è stato riportato soltanto un caso analogo.9
L’ipoinsulinemia permetteva di escludere insulinoma dalle diagnosi differenziali. Il
dosaggio sierico di IGF-II risultava nei limiti della norma. Ciò è attribuibile alla bassa
specificità di RIA (e quindi alla possibilità di falsi negativi), dal momento che tale
metodica è validata nell’uomo e non nel cane. In seconda ipotesi, si può ipotizzare un
effetto paracrino di IGF-II, riconducibile ad azione diretta del fattore di crescita su
fegato (attraverso tronco celiaco), senza ricircolo sistemico e quindi suo innalzamento a
livello sierico. A supportare l’ultima teoria vi è la segnalazione di casi di NICTH
descritti in letteratura umana, in cui IGF-II sierico non è necessariamente superiore al
valore soglia6.
La risoluzione della sintomatologia era ottenuta con la sola terapia chirurgica.
Alla luce di recenti studi la differenziazione di questo tipo di patologia da insulinoma
acquista particolare importanza soprattutto in quei soggetti non ritenuti candidati
chirurgici. I trattamenti ipoinsulinemizzanti a base di diazossido risultano inefficaci se
insulinemia è normale o diminuita; inoltre, somatostatina e octreotide potrebbero
peggiorare la sintomatologia in quanto inibitori della produzione di GH, diminuendo
ulteriormente la produzione di ALS
ed aumentando la quantità di IGF libera.
Ultimamente è stato proposto, in medicina umana, un trattamento palliativo con
glucocorticoidi e rhGH allo scopo di innalzare la glicemia (glucocorticoidi) ed
aumentare la produzione di ALS (rhGH) per ridurre la quantità di IGFs libera.10 In
veterinaria non esiste un trial attualmente validato.
Bibliografia
1. Nelson RW. Patologie endocrine. In: Nelson RW, Couto CG eds Elsevier. Medicina
interna del cane e del gatto, 3a ed. 2006: 751-753.
2. Marconato L. Sindromi paraneoplastiche. In: Marconato L, Del Piero F, eds Poletto.
Oncologia medica dei piccoli animali, 1a ed. 2005: 61-62.
3. Bergman PJ. Paraneoplastic Syndromes. In: Withrow SJ, Vail DM, eds. Saunders
Elsevier. Withrow & MacEwen’s Small Animal Clinical Oncology, 4th ed. 2007: 8182
4. Rechler MM, Clemmons DR. Regulatory Actions of Insulin-like Growth Factorbinding Proteins. Trends in endocrinol metab. 1998; 9,5: 176-181
5. Clemmons DR. Insulin-like Growth Factor Binding Proteins and their Role in
Controlling IGF Actions. Cytokine Growth Factor Rev. 1997; 8, 1: 45-62
6. De Groot JW, Rikhof B, van Doorn J, et al. Non-islet cell tumor-induced
hypoglycemia: a review of the literature including two new cases. Endocr Relat
Cancer. 2007; 14, 979-993
7. Boari A, Barreca A, Bestetti GE, et al. Hypoglycemia in a dog with a leiomyoma of
the gastric wall producing an insulin-like growth factor II-like peptide. Eur J
Endocrinol. 1995; 132, 4: 744-750
8. Zini E, Glaus TM, Minuto F, et al. Paraneoplastic Hypoglycemia Due to an InsulinLike Growth Factor Type-II Secreting Hepatocellular Carcinoma in a Dog. J Vet
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9. Chung JO, Hong SI, Cho DH, et al. Hypoglycemia Associated with the Production
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Endocr J. 2008; 55, 3: 607-12
10. Bourcigaux N, Arnault-Ouary G, Christol R, et al. Treatment of Hypoglycemia
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Patient with a Metastatic Non-Islet Cell Tumor Hypoglycemia. Clin Ther.2005; 27,
2: 246-251
PERICARDIECTOMIA E
BIOPSIA IN
CORSO
DI
VERSAMENTO
PERICARDICO DA EMANGIOSARCOMA ATRIALE IN UN CANE
Mastromattei S. MedVet/DVM
Indirizzo per la corrispondenza: [email protected]
INTRODUZIONE
Il versamento pericardico richiede spesso un trattamento d’urgenza. Con l’aspirazione, sotto guida
ecografica, del fluido accumulatosi nel sacco pericardico, è possibile il ripristino di una normale
cinetica cardiaca. Qualora il liquido tenda ad accumularsi, malgrado ripetute centesi, è
indispensabile procedere chirurgicamente rimuovendo, dove possibile, la causa del versamento o
comunque parte del sacco pericardico, con lo scopo di far defluire il versamento in torace, dove
potrà essere riassorbito dalla pleura.1
DESCRIZIONE DEL CASO
Cane boxer femmina di 10 anni, inviato per un episodio sincopale associato ad un versamento
pericardico, presentatosi il giorno precedente e diagnosticato ecograficamente. Il medico curante
aveva quindi provveduto ad eseguire una pericardiocentesi. Alla visita clinica, si apprezzava un
respiro frequente e superficiale con mucose rosa e all’auscultazione si evidenziava un’attenuazione
dei toni cardiaci e tachicardia.
L’esame ecocardiografico evidenziava alterazioni, compatibili con un tamponamento cardiaco,
secondario a neoplasia atriale (versamento pericardico, collasso della parete dell’atrio destro in fase
diastolica e presenza di una complex mass di circa 4,8 cm a livello dell’auricola di destra). La
rapidità con cui si accumulava il liquido pericardico ha reso necessaria una pericardiectomia. Il
paziente è stato premedicato con 0.15 mg/kg di metadone (Eptadone) I.M., dopo 30 minuti è stato
indotto con 8 mg/Kg di tiopentale (Pentotal) E.V. e mantenuto con ISO in ossigeno 100% e
fentanil (Fentanest) in infusione a 4mcg/Kg/h. Per la chirurgia il paziente è stato posizionato in
decubito dorsale, è stata creata una porta, per l’ottica da 10mm in posizione parasternale destra, a 2
cm dal processo xifoideo. Le due porte di lavoro da 5mm, sono state posizionate rispettivamente a
livello del 4° e 8° spazio intercostale. In toracoscopia è stato possibile apprezzare la presenza di un
vasto ematoma retrosternale, probabile conseguenza delle due precedenti pericardiocentesi. Dopo
aver eseguito la finestra pericardica, con forbici Metzenbaum da 5mm, si è evidenziato all'interno
del sacco pericardico (cranialmente e dorsalmente alla base del cuore) una neoformazione di colore
rossastro a superficie irregolare; è stata quindi eseguita una biopsia, tramite una pinza mosquito
emostatica curva di 5mm. L'intervento si è concluso con la sutura delle incisioni cutanee. Il
risveglio dall'anestesia è stato rapido, successivamente è stata eseguita una terapia del dolore post
chirurgia con metadone (Eptadone) 0,15 mg/kg I.M., ogni 4 ore per le prime 12 ore, antibiotico
terapia con cefazolina (Cefamezin) 20 mg/kg Tid E.V. e ossigeno somministrato con sondino per
le 12 ore successive al’intervento oltre ai monitoraggi con emogas ogni 60 minuti. Il cane era in
grado di deambulare due ore dopo la chirurgia, ed è stato dimesso dopo due giorni.
RISULTATO
L’esame istologico del campione ha confermato la presenza di un emangiosarcoma. Il cane è
deceduto dopo sette giorni dalla chirurgia. Il proprietario non ha consentito a un esame autoptico
completo.
DISCUSSIONE
Le cause più comuni di versamento pericardico sono neoplasie (chemodectomi e mesoteliomi
emangiosarcomi), pericarditi idiopatiche, infezioni (leptospirosi, actinomicosi, ecc.) e traumi2. Il
versamento influisce negativamente sull’attività cardiaca limitando la distensione delle camere
cardiache e quindi la gittata. Il volume di liquido accumulato e la rapidità con cui si forma,
determina la gravità dei segni clinici. Il trattamento prevede la pericardiocentesi sotto guida
ecografica e in caso di recidiva la pericardiectomia. In quest’ultima ipotesi, se il versamento
pericardico è secondario a neoplasia, la chirurgia è solo palliativa, in quanto le neoplasie sono
asportabili solo raramente3. Questo intervento può essere eseguito in toracotomia o toracoscopica
(PT). La chirurgica toracotomica consente un'ampia visualizzazione chirurgica, ma comporta
notevole invasività, tempo operatorio lungo, significativa dolorabilità post operatoria, necessità di
un drenaggio post chirurgico e lungo periodo di degenza. La chirurgia toracoscopica vede come
vantaggio principale, una minore invasività che si traduce in minor dolorabilità post operatoria e
una più rapida ripresa. Inoltre la PT consente un’ottima visualizzazione del campo operatorio. Gli
svantaggi sono rappresentati dall’elevato costo delle attrezzature, dalla limitata disponibilità sul
territorio e dalla ripida curva di apprendimento per l’operatore. La prognosi è influenzata
principalmente dalle cause sottostanti. La pericardiocentesi periodica associata a somministrazione
di corticosteroidi in caso di versamento pericardico idiopatico è efficace nel 50%. Qualora la centesi
debba essere ripetuta, è consigliato il trattamento chirurgico.1
CONCLUSIONI
La gestione di questo paziente ha confermato i vantaggi positivi della metodica toracoscopica: la
visualizzazione chirurgica è stata ottima ed ha consentito il prelievo di un adeguato campione
bioptico; il paziente era deambulante poche ore dopo l’intervento ed è stato dimesso a 48 ore dalla
chirurgia. La prognosi a lungo termine delle lesioni neoplastiche atriali è purtroppo grave e la
sopravvivenza può essere anche di pochi giorni3.
BIBLIOGRAFIA
1.
Theresa W. Fossum (50° congresso nazionale SCIVAC): Complicazioni intraoperatorie e
postoperatorie delle neoplasie toraciche e delle pericardiopatie.
2.
Guarda F., Giraldo A.: Contributo allo studio dell'emopericardio nel cane.
3.
Chick Weisse, vmd; Nancy Soares, vmd; Matthew W. Beal, dvm; Michele A. Steffey, dvm;
Kenneth J. Drobatz, dnm; Carolyn J. Henry, dvm.: Survival times in dogs with rigth atrial
hemangiosarcoma treated by means of surgical resection with or without adjuvant
chemoterapy: 23 cases (1986-2000). JAVMA, vol 226, No.4, february 15, 2005.
Un caso di gastrinoma in un cane
Crispino GP, Rossi F, Mazzotti S, Finotello R, Ciaramella L, Marconato L
[email protected]
Descrizione del caso
Un cane meticcio, maschio intero di 12 anni, era riferito per dimagramento, vomito ingravescente,
diarrea con feci giallastre e prurito generalizzato insorti da circa un mese.
Il cane appariva cachettico, e mostrava atteggiamento antalgico (cifosi). All’esame obiettivo
generale si riscontravano le seguenti anomalie: mucose subitteriche e dolore alla palpazione
dell’addome craniale. L’esame fisico era per il resto normale.
Si prelevava un campione di sangue per eseguire esame emocromocitometrico, ematochimica ed
emogasanalisi. L’esame emocromocitometrico era normale.
L’esame ematochimico evidenziava lieve aumento di AST (84, range 0-67 UI/L), aumento di GGT
(11, range 0-8 UI/L), LDH (1204, range 10-293 UI/L), ipocalcemia (1.02, range 1.12-1.40 mmol/L),
ipokaliemia (2.5, range 3,00-5,50mmol/L), ed ipocloridemia (92, range 105-127 mmol/L).
Si eseguiva ecografia addominale, che consentiva di evidenziare lesioni simmetriche (2,4 x 3,6 cm)
in corrispondenza di vena cava, ascrivibili a linfonodi periportali.
La citologia per infissione ecoguidata mostrava campioni ad elevata cellularità, caratterizzati da
numerosi nuclei nudi; le cellule integre mostravano nucleo centrale e tondeggiante, citoplasmi
indistinti e vacuolizzati, rapporto N:C ridotto e moderata anisocariosi. Caratteristico e frequente era
il reperto di microadenomeri. Il quadro era compatibile con neoplasia neuroendocrina.
Ai fini di stadiazione si eseguivano due radiografie del torace, che non mostravano alcuna
alterazione.
Il cane veniva ricoverato e sottoposto a fluidoterapia con Ringer lattato integrato con 30 meq KCl
(in 500 ml) al tasso di infusione di 8 ml/kg/h.
Veniva infine prelevato un campione di sangue a digiuno per il dosaggio di gastrina. Il test rilevava
livelli plasmatici pari a 23662 pg/ml (range 13-115); si emetteva dunque sospetto diagnostico di
gastrinoma. Una CT total body per valutare eventuale primitività gastrica, duodenale o pancreatica
(in caso di neoplasia primitiva ecograficamente non evidenziabile) veniva rifiutata dai proprietari.
Si decideva di trattare il paziente con terapia medica a base di antiemetici, H2-antagonisti, inibitori
della pompa protonica, farmaci citoprotettivi, ed analoghi di somatostatina.
Dopo 2 giorni di ricovero le condizioni del cane miglioravano velocemente. Si dimetteva dunque il
soggetto prescrivendo: Ranitidina (4 mg/kg po bid), Omeprazolo (1 mg/kg po sid), Sucralfato (750
mg po tid a due ore di distanza dagli altri farmaci), Ocreotide ( 20 microgr sc bid).
Al controllo successivo (14 giorni dopo inizio di terapia medica), i proprietari riferivano scomparsa
degli episodi di vomito e diarrea, ed aumento dell’appetito. Si riscontrava inoltre un aumento di
peso pari a 1,5 kg. Si ripeteva l’ecografia addominale e si riscontrava riduzione linfonodale (1,42 x
1,17 cm). Il valore di LDH si era normalizzato (140), e gastrinemia si era ridotta a 6138 pg/ml.
Circa un mese dopo, considerato il miglioramento clinico del cane, veniva eseguita CT total body,
che evidenziava lesione pancreatica (riferibile a sede primitiva di neoplasia), e coinvolgimento
metastatico linfonodale. Stomaco ed intestino apparivano tomograficamente indenni. Si optava
quindi per debulking chirurgico, volto a ridurre tumor burden e quindi a migliorare sintomatologia.
Il follow-up verrà discusso in sede congressuale.
Discussione
Il gastrinoma del cane è un raro tumore che prende origine dalle cellule non beta gastrina secernenti
del pancreas ed occasionalmente dalla mucosa gastrica antrale e duodenale. La gastrina è un
ormone normalmente secreto dalle cellule G dell’antro pilorico ed in misura minore del duodeno
prossimale. Dopo assorbimento sistemico, giunge al corpo dello stomaco dove stimola la secrezione
di acido cloridrico da parte delle cellule parietali ed esercita effetto trofico sulla mucosa
gastrointestinale. La gastrina inoltre stimola indirettamente la secrezione acida gastrica attraverso il
rilascio di istamina da parte delle cellule enterocromaffini fundiche.1
L’ipersecrezione di gastrina indotta dal tumore esita in una sindrome molto dolorosa caratterizzata
da ipersecrezione acida gastrica ed ulcere gastrointestinali. Questa sindrome è stata descritta per la
prima volta in medicina umana da Zollinger ed Ellison, i quali individuavano la coesistenza di tre
entità: ipersecrezione gastrica, neoplasia pancreatica, ulcere gastrointestinali.
Il gastrinoma del cane sembra interessare soprattutto soggetti di età media, senza alcuna
predisposizione di razza.2
La neoplasia ha crescita lenta e tende a rimanere silente finchè l’ipersecrezione ormonale non rende
evidente la sintomatologia clinica. Purtroppo il 75% dei pazienti presenta già metastasi al momento
della diagnosi e principalmente ai linfonodi regionali, fegato, milza e mesentere.
La diagnosi è spesso dedotta da presentazione clinica (perdita di peso, inappetenza, vomito e
diarrea, ascrivibili ad ipersecrezione acida gastrica indotta dall’eccesso di gastrina circolante),
riscontri laboratoristici (anemia rigenerativa accanto a leucocitosi neutrofilica, ipoalbuminemia,
ipocalcemia, ipokaliemia, ipocloridemia, modesto aumento di ALT ed ALP, presenza di sangue
anche occulto nelle feci ed alcalosi metabolica in caso di vomito), indagini strumentali, presenza di
ipergastrinemia in soggetti a digiuno. La conferma diagnostica è ottenuta attraverso chirurgia
esplorativa, esame istopatologico e colorazione immunoistochimica.
Il case-report in discussione è uno dei rari casi di gastrinoma del cane descritti in letteratura (10 casi
descritti ed uno studio retrospettivo di 4 casi).3-6
La presentazione clinica ed i riscontri laboratoristici erano suggestivi della patologia.
L’ecografia addominale, con l’ausilio della citologia per infissione ecoguidata, consentiva di
emettere sospetto di gastrinoma. La sede primitiva pancreatica non veniva inizialmente osservata
ecograficamente. Del resto anche in medicina umana i gastrinomi possono essere difficili da
localizzare, in quanto indagini strumentali quali ecografia, CT e risonanza magnetica possono fallire
nell’individuare masse più piccole di 1-2 cm e non riuscire ad evidenziare l’espansione metastatica.7
La citologia per infissione ecoguidata risultava di grande ausilio diagnostico, poiché evidenziava la
neoplasia neuroendocrina. Gli apudomi più frequentemente descritti nel cane includono:
insulinoma, glucagonoma e gastrinoma. I riscontri di laboratorio consentivano di escludere le
diagnosi differenziali.
La valutazione di gastrinemia, seppur esame non specifico, rilevava livelli di gastrina plasmatici
oltre 200 volte superiori al livello basale, aumentando il sospetto di gastrinoma.
Sebbene la chirurgia esplorativa rappresenti un mezzo diagnostico (e terapeutico) efficace,
considerate le gravi condizioni cliniche del paziente, si sceglieva di trattarlo inizialmente con
terapia medica.
Una promettente tecnica di localizzazione (e conseguente trattamento) dei gastrinomi è la
scintigrafia che utilizza analoghi della somatostatina “radio-etichettabili”. Questa metodica nasce
dall’osservazione che il 90% dei tessuti provenienti da gastrinomi umani esprime una elevata
concentrazione di recettori per somatostatina.8 La positività a questo esame può indirizzare verso
nuove opzioni terapeutiche, quali l’utilizzo di ocreotide. Questa molecola agisce direttamente sulle
cellule tumorali causando diminuzione del rilascio di gastrina ed inoltre ha elevata affinità di
legame con i recettori per somatostatina delle cellule parietali gastriche,9 risultando in riduzione
della secrezione acida gastrica.
Nel caso descritto, si decideva quindi di integrare il trattamento medico (H2-antagonisti, inibitori
della pompa protonica, farmaci citoprotettivi) con ocreotide. Questa scelta si rivelava efficace nel
migliorare sintomi clinici e qualità di vita del paziente.
Sebbene la prognosi del gastrinoma sia sfavorevole, con tempi di sopravvivenza che oscillano tra 7
giorni e 18 mesi,6 l’efficacia della terapia medica sembra promettere per il paziente aumentate
aspettative di vita. Il debulking chirurgico, eseguito sul paziente in un secondo momento, non aveva
evidentemente finalità curative, ma era volto ad alleviare sintomi ormonali, migliorando qualità di
vita.10
Bibliografia
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(10) Akerström G, Hellman P. Surgery on neuroendocrine tumours. Best Pract Res Clin Endocrinol
Metab. 2007; 21: 87-109.
UN CASO DI CARCINOMA SEBACEO IN UN CONIGLIO NANO:
CHIRURGIA E TERAPIA ADIUVANTE.
G. Allievi*
Spesso il medico veterinario si trova ad affrontare specie animali “non convenzionali” che
presentano patologie “convenzionali”. La letteratura tradizionale e i testi classici che si occupano di
oncologia riservano agli animali non convenzionali pochissimo spazio e solo per patologie
particolari (es: insulinoma o adenoma surrenalico del furetto)1; poco o nulla si trova sulla gestione
di forme neoplastiche più comuni.
Nel luglio 2007 veniva portata in visita una coniglia nana femmina sterilizzata di 2 anni per una
lesione apparentemente di origine piogranulomatosa a livello del labbro superiore destro. Si
procedeva quindi ad exeresi marginale della lesione considerandola un granuloma di origine
batterica. L’esame istologico evidenziava invece la presenza di una lesione neoplastica di origine
epiteliale (carcinoma scarsamente differenziato) con margini infiltrati. A distanza di quattro mesi
dalla prima chirurgia compariva una recidiva locale con contemporanea linfoadenomegalia
mandibolare ipsilaterale, la citologia del linfonodo era compatibile con metastasi da neoplasia
epiteliale. Dopo aver escluso la presenza di metastasi polmonari, si decideva di sottoporre il
paziente ad un nuovo intervento chirurgico, aumentando la “dose” chirurgica con l’intento di dare
margine alla neoplasia; nella stessa sede si procedeva a linfoadenectomia del linfonodo
mandibolare. Il tumore era stadiato secondo la classificazione TNM come T2-N1-M0. Un’ ulteriore
esame istologico permetteva di identificare la neoplasia come carcinoma sebaceo scarsamente
differenziato. I margini di escissione risultavano indenni ma considerando il coinvolgimento
linfonodale (confermato dall’istologia), si decideva di far seguire alla chirurgia una chemioterapia
adiuvante con Doxorubicina. Il farmaco è stato somministrato ad un dosaggio di 1 mg/Kg con un
intervallo di somministrazione di 30 giorni, utilizzando come via di somministrazione la vena
marginale dell’orecchio. Nei 3 giorni seguenti la somministrazione del farmaco è stato
somministrato Domperidone come procinetico. Sono state effettuate 4 applicazioni di
Doxorubicina senza osservare alcun effetto tossico collaterale. Il paziente ha sviluppato imponente
recidiva locale dieci mesi dopo la seconda chirurgia; contemporaneamente sono comparse metastasi
diffuse a livello polmonare con grave scadimento delle condizioni di vita del paziente. Si è quindi
proceduto ad intervento eutanasico. Il carcinoma sebaceo è una neoplasia di raro riscontro anche nel
cane e nel gatto ; fino al 2002 vi era un unico caso di carcinoma sebaceo a carico di un coniglio2.
Molti dei tumori riscontrati negli animali da compagnia “convenzionali” sono riscontrabili nei
logomorfi e nei conigli in particolare; i limitati riscontri in letteratura fanno si che spesso le
decisioni sulle terapie da attuare siano basate sulle conoscenze acquisite sugli animali convenzionali
e adattate alla particolare fisiologia dei logomorfi3. E’ auspicabile una stretta collaborazione tra il
veterinario che si occupa di medicina e chirurgia degli animali “non convenzionali” ed il veterinario
oncologo.
1. Tennis B. Bailey and Rodney L. Page: Tumors of the endocrine System-Adrenocortical tumors
in ferrets in “Withrow & MacEwen’s Small Animal Clinical Oncology” 4th Ed. Saunders 2007
2. J. Comp Pathol, “Sebaceus adenocarcinoma of the external auditory canal in a New Zeland
white rabbit”- 2002 Nov; 127(4): 301-303
3. Vet Clin North Am Exot Anim Pract- 2004 Sep; 7 (3): 561-77
*Indirizzo per la corrispondenza:
Ambulatorio Veterinario Allievi-Ferrieri,
via Madonna 3, 22070 Rovello Porro (CO).
E-mail: [email protected]
ADRENALECTOMIA PER UNA NEOPLASIA SURRENALE “DIFFICILE”
Allievi G. Med Vet; P.I. D’Urso Med. Vet; P. Ferrieri Med Vet;
Indirizzo per corrispondenza: Ambulatorio Veterinario Allievi Ferrieri
Via Madonna 3 Rovello Porro (CO) email: [email protected]
La chirurgia delle ghiandole surrenali presenta notevoli difficoltà, sia di natura tecnica (queste
possono essere ovviate in parte dall’esperienza del chirurgo), sia legate alle alterazioni che le
patologie surrenaliche determinano nei pazienti (produzione di cortisolo nelle lesioni della corticale
e di catecolamine nelle lesioni della midollare). Queste impongono preparazioni particolari del
paziente e anche una accurata gestione del postoperatorio(1). Il caso descritto riguarda una patologia
surrenalica apparentemente asintomatica ma che nell’immediato postoperatorio ha determinato una
notevole serie di complicanze. Nell’aprile 2006 venne eseguito un esame ecografico in un cane
femmina sterilizzata meticcia di 10 anni; il cane si presentava in notevole sovrappeso e con
alterazioni delle transaminasi e della fosfatasi alcalina. L’esame ecografico mise in evidenza una
cisti epatica e una iperplasia della ghiandola surrenale di destra. Vennero eseguiti esami per
monitorare l’attività della corteccia surrenalica che risultarono nella norma. Una TC addominale
permise di escludere il coinvolgimento di strutture anatomiche vicine. Si decise di non procedere
chirurgicamente ma di monitorare la lesione ecograficamente e la funzione della corteccia
surrenalica con esami specifici. Nel frattempo è stato impostato un regime dietetico. Nei due anni a
seguire la lesione surrenalica è rimasta costante come dimensioni, gli esami funzionali della
corteccia surrenalica hanno dato esito sempre negativo così come non era riferita alcuna
sintomatologia riconducile ad alterazioni della midollare. La situazione è rimasta stabile fino ad
ottobre di quest’anno, quando l’ecografia addominale ha mostrato un aumento sia delle dimensioni
della ghiandola che della trama vascolare. Come test di funzionalità della corteccia surrenalica è
stato scelto il test di soppressione con desametazone ad alte dosi che è risultato normale. Durante
una successiva ecografia addominale il cane era collegato ad un monitor per misurare la pressione;
la stimolazione della zona surrenalica destra evocava dolore ma non si valutarono alterazioni dei
valori pressori. Si arrivò alla conclusione di essere di fronte ad una lesione surrenalica
verosimilmente neoplastica ma inerte dal punto di vista secretorio. Si decise di procedere ad
adrenalectomia usando come via d’accesso la celiotomia mediana. Il paziente è stato premedicato
con metadone ed indotto con propofolo. L’anestesia è stata mantenuta con isofluorano in ossigeno
mentre l’analgesia è stata ottenuta con fentanest in infusione costante dopo bolo di carico. Al
momento dell’induzione è stato somministrato desametazone. Preparato il campo operatorio, è stata
praticata un’incisione sulla linea mediana estesa dalla cartilagine xifoidea fino a 4 centimetri
caudalmente all’ombelico. Un divaricatore addominale di Balfour e dei divaricatori malleabili sono
stati usati per esporre e visualizzare la ghiandola surrenale dopo aver sollevato il lobo epatico
destro. La ghiandola è stata scollata dai tessuti circostanti usando dei cotton-fiock umidi e la
cannula di un aspiratore. Durante queste manovre abbiamo evitato qualsiasi manovra diretta sulla
ghiandola. I vasi principali sono stati evidenziati e chiusi con clip vascolari. Nel momento in cui la
ghiandola è stata completamente isolata dal torrente circolatorio, il cane ha avuto un improvviso
crollo dei valori pressori. Una rapida infusione di amido idrossietilico ha permesso di recuperare
valori di pressione normali; nel frattempo si procedeva alla sintesi dei tessuti, nell’ordine fascia,
sottocute e cute. Nell’immediato postoperatorio è stato somministrato ancora desametazone e
mineralcorticoidi. Nei cinque giorni a seguire è stato somministrato deltacortene a scalare e
mineralcorticoidi. Il giorno dopo la sospensione dei farmaci, il cane è stato portato in visita per
letargia e anoressia, il cane si presentava con tempo di riempimento capillare rallentato, ipoperfuso
e lievemente ipotermico. Sono stati eseguiti un minimum data base ed un profilo elettrolitico che
erano compatibili con una crisi addisoniana. E’ stata impostata una terapia con cortisonici e
mineralcorticoidi che è tuttora in corso; nel frattempo è arrivato l’esito dell’esame istologico che,
anche mediante immunoistochimica, ha permesso di formulare diagnosi di feocromocitoma ben
differenziato. Il feocromocitoma è classificato tra gli apudomi ed è una neoplasia surrenalica, con
equa distribuzione tra forme benigne e maligne (50 %). Questo tipo di tumore può presentarsi in
forma singola, più raramente essere bilaterale o fare parte della sindrome delle neoplasie endocrine
multiple (MENS).(2) La sintomatologia è generalmente aspecifica; può essere conseguenza della
liberazione di catecolamine; è possibile riscontrare segni di ostruzione della vena cava caudale,
oppure essere riscontrato in corso di celiotomia per emoperitoneo(3). La diagnosi di feocromocitoma
può spiegare la crisi ipotensiva durante la chirurgia; è singolare il fatto che le stimolazioni eseguite
durante l’ecografia addominale non abbiano provocato crisi ipetensive. La crisi addisoniana è
probabilmente imputabile ad una incapacità della ghiandola surrenale residua a mantenere un livello
di glicocorticoidi e mineralcorticoidi sufficenti.
(1)
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(2
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(3)
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Jason Pintar, DVM; Edward B. Breitschwerdt, DVM-ACVIM; Elisabeth M. Hardie, DVM, PhD,
ACVS; Kathy A. Spaulding, DVM, ACVR
J Am Anim Hosp Assoc 2003; 39:518-522
TRATTAMENTO DI GIST METASTATICO CON IMATINIB: LA SVOLTA
Verganti S. [email protected], Romanelli G., Squaranti C.
INTRODUZIONE
In medicina umana i tumori gastrointestinali stromali (GIST) sono poco frequenti (0,2% di tutte le
neoplasie gastroenteriche)1, tuttavia rappresentano il tumore mesenchimale più comune (80%)1-3. In
base alla positività a CD117, è stata ipotizzata una loro derivazione dalle cellule interstiziali di
Cajal2,4,5. Le localizzazioni più frequenti sono stomaco (50-60%) e piccolo intestino (20-30%)2,3,5,6
ed il comportamento biologico è estremamente variabile 2,3,5. La chirurgia è il trattamento di prima
scelta per tumori localizzati non metastatici, ma è raramente curativa; infatti, sono frequenti sia
recidive che metastasi post-operatorie (40-90%)2,3,6, anche in caso di radicalità d’escissione. I GIST
sono universalmente riconosciuti come tumori scarsamente responsivi sia a chemioterapia che a
radioterapia2,3,6, per cui lo sviluppo di metastasi e/o la comparsa di recidiva erano considerati
patologia fatale prima dell’introduzione di inibitori tirosin-chinasici (90-95 % dei GIST esprime
KIT)2,5,6. Infatti, l’utilizzo di imatinib, si è rivelato molto utile nel trattamento di GIST metastatici o
inoperabili, con tasso di risposta superiore all’80% e 2-3% di remissione completa 2,5.
In medicina veterinaria i GIST sono tumori poco comuni e sono scarsi i dati pubblicati in
letteratura. Per quanto riguarda il cane, si tratta di neoplasie poco frequenti, a reale incidenza
sconosciuta, localizzate soprattutto al grande intestino7,9 ed, in particolare, al cieco4,8. Come
nell’uomo, anche nella specie canina i GIST hanno comportamento biologico variabile, con lesioni
apparentemente indolenti e forme più aggressive8. Le metastasi sono presenti nel 30% dei casi7 e,
similmente a ciò che si verifica in umana2,5,6, a sede principalmente epatica7,8. Inoltre, anche in
medicina veterinaria sono stati evidenziati positività dei GIST a KIT (54-58% )4,8 e coinvolgimento
del proto oncogene c-kit nella loro patogenesi4,7,8. E’ stato così possibile delineare delle
caratteristiche immunoistochimiche che permettessero di differenziare tumori gastrointestinali
stromali da quelli derivanti dalla muscolatura liscia4,7-9. A dimostrazione di ciò, in studi recenti,
sono state riclassificate numerose neoplasie intestinali che, sulla base della sola istologia, erano
state erroneamente diagnosticate4,8,9. A nostra conoscenza non sono presenti studi clinici
sull’utilizzo di inibitori tirosin-chinasici per il trattamento di GIST nel cane.
CASO CLINICO
Un cane meticcio maschio di 10 anni era riferito per un consulto oncologico in seguito al riscontro,
durante celiotomia esplorativa, di metastasi multiple da GIST a carico di fegato, milza e peritoneo.
Nella stessa sede si eseguivano splenectomia, lobectomia parziale di fegato ed escissione di parte
dei noduli peritoneali. Il tumore primitivo, localizzato a livello duodenale, era stato asportato 7 mesi
prima. Alla visita clinica il paziente si presentava in ottime condizioni generali con esame fisico
nella norma. Si eseguivano esame emocromocitometrico, profilo biochimico, esame delle urine e, ai
fini di stadiazione, radiografie del torace in 2 proiezioni che risultavano negative per la ricerca di
metastasi. La laparoscopia esplorativa evidenziava, invece, la presenza di lesioni nodulari multiple,
di dimensioni variabili da 1 a 3 mm, a livello di sierosa vescicale e intestinale, peritoneo e capsula
renale sinistra, che erano biopsate. Nella stessa sede si applicava una Porta ad Accesso Vascolare
(PAV) endocavitaria. L’esame istologico ed immunoistochimico confermavano la presenza di
lesioni metastatiche da GIST (KIT+, vim +), quindi si instaurava un protocollo chemioterapico a
base di carboplatino endoaddominale @300 mg/m2 ogni 21 giorni per 4 cicli. Dopo 2
somministrazioni si ripeteva esame laparoscopico che evidenziava la scomparsa della quasi totalità
dei noduli; i pochi ancora presenti erano nuovamente campionati. L’esame istologico confermava
trattarsi ancora di GIST. Quindi si procedeva con altri 2 cicli di chemioterapia al termine dei quali si
effettuava una nuova laparoscopia in cui si biopsavano piccole lesioni peritoneali compatibili
istologicamente con peritonite sclerosante. Il paziente era quindi considerato in remissione completa
con assenza di malattia microscopica residua. Ad intervalli regolari si effettuavano esami ecografici
di controllo. A distanza di 6 mesi dal termine del trattamento chemioterapico si osservava la
presenza di neoformazioni epatiche multiple, ipoecogene, di dimensioni variabili (5-8 mm di
diametro) di cui si eseguiva ago infissione eco-guidata; all’esame citologico tali lesioni risultavano
essere nuove metastasi da GIST. Si impostava quindi terapia con imatinib @5 mg/kg SID e si
programmavano controlli per il follow-up del paziente. L’esame ecografico evidenziava, a distanza
di 3 mesi dall’inizio del trattamento con inibitore tirosin-chinasico, una diminuzione pari al 90%
della dimensione delle metastasi epatiche (remissione parziale). Il paziente è ancora in vita a
distanza di 214 giorni dall’inizio del trattamento con imatinib e di 1071 giorni dal riscontro delle
prime metastasi da GIST.
DISCUSSIONE
In medicina umana, l’utilizzo di inibitori tirosin-chinasici ha rivoluzionato il trattamento di GIST
metastatici o inoperabili, da sempre considerati a prognosi infausta in quanto non responsivi né a
chemio- né a radioterapia2,3,5,6. La chirurgia rimane comunque il trattamento d’elezione per queste
neoplasie, mentre l’utilizzo di imatinib è stato approvato dalla FDA per il solo trattamento di GIST
in stadio avanzato2,3,5,6.
In medicina veterinaria la scoperta del ruolo di c-kit nella patogenesi dei GIST canini è stata
estremamente importante perché ha permesso una più corretta diagnosi di tali neoplasie. Infatti,
secondo dati pubblicati in diversi studi, sono stati numerosi i tumori gastrointestinali stromali che
non erano stati diagnosticati sulla base della sola istologia, ma riclassificati come GIST mediante
metodica immunoistochimica.4,8,9.
Tuttavia, la positività dei GIST a KIT ha soprattutto importanti implicazioni terapeutiche. Nel
nostro caso, infatti, al pari di quanto si effettua in umana, l’utilizzo di imatinib è risultato
estremamente efficace per il trattamento di lesioni metastatiche da GIST, laddove la chirurgia non
era più un’opzione terapeutica. L’uso di inibitori tirosin-chinasici si è rivelato sicuro ed efficace,
con minimi effetti collaterali. Il paziente è in vita a distanza di 214 giorni dall’inizio del trattamento
con imatinib.
Inoltre, a dispetto della scarsa responsività dei GIST ai trattamenti chemioterapici sia sistemici che
locali2,5,6, l’utilizzo di un sale del platino per via endocavitaria è risultata utile nella risoluzione del
fenomeno metastatico peritoneale.
Pertanto, nonostante si tratti di un unico caso, si consiglia l’utilizzo di imatinib come terapia
adiuvante in caso di GIST metastatici o inoperabili, al pari di quanto approvato in umana; tuttavia,
sono necessari studi ulteriori per valutare il suo impiego rispetto ad un trattamento chemioterapico
tradizionale.
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SARCOMA A BASSO GRADO A CELLULE FUSATE DELLA PARETE
ADDOMINALE CON LOCALIZZAZIONE MAMMARIA
IN UN SIBERIAN HUSKY
Carlo De Feo, Med Vet, MSc, Libero Professionista, Perugia
[email protected]
DESCRIZIONE DEL CASO
Nikita è un siberian husky femmina nata nel novembre 1994. E’ stata portata nel mio
ambulatorio a maggio del 2007 per la presenza di una grossa massa solida e poco
mobile a livello delle mammelle addominali. Nikita era stata operata tre anni prima, nel
maggio del 2004, per un tumore di grandi dimensioni a livello della regione ileo-sacroischiatica, che è risultato, all’esame citologico ed istologico, un emangiopericitoma.
Alla visita clinica non presenta segni patologici a parte la presenza della massa. Il piano
diagnostico proposto ha previsto: esame citologico, profilo generale emato-biochimico,
esame radiografico del torace ed ecografico dell’addome.
Gli esami del sangue risultano nella norma, mentre l’esame radiografico del torace
rivela un pattern interstiziale nodulare suggestivo di metastasi polmonari. Nonostante
questo dato peggiori decisamente la prognosi, il proprietario chiede di operarla
ugualmente, accettando l’ipotesi di una chirurgia palliativa. La paziente è premedicata
con atropina (0,02 mg/Kg), acetilpropazina (10 micg/Kg), fentanyl (2 micg/Kg in bolo),
indotta con propofol (2 mg/Kg/IV) e mantenuta con isofluorano e fentanyl (4
micg/Kg/ora in CRI).
Il tumore viene asportato, i vasi sono chiusi con elettrocauterio o sutura monocryl 3/0, il
piano muscolare e sottocutaneo suturato con monocryl 2/0 e la cute con suture
metalliche. Nikita viene dimessa in serata in buone condizioni, con una adeguata terapia
analgesica (buprenorfina 0,01 mg/Kg e meloxicam 0,2 mg/Kg). All’esame istologico la
neoformazione risulta un emangiopericitoma a basso indice mitotico. Alla visita di
controllo dopo 10 giorni vengono rimossi i punti e Nikita è vivace e respira
normalmente. Anche in questo caso non vengono rilevate alterazioni all’auscultazione
del torace. Ad oggi Nikita gode di ottima salute ed ha raggiunto l’età di 14 anni. Si
consideri che Nikita non ha ricevuto alcuna terapia adiuvante per scelta del proprietario,
che si è limitato ad accettare solo consigli sull’alimentazione e sullo stile di vita del suo
cane. Purtroppo non mi è stato possibile ripetere l’esame radiografico del torace per il
mancato consenso del proprietario.
DISCUSSIONE.
L’emangiopericitoma è un tumore mesenchimale o a cellule fusate dei tessuti molli che
fa parte del gruppo di tumori che originano dalle guaine nervose periferiche (PNST)
insieme al neurofibrosarcoma e allo schwannoma maligno1,2. Ha la tendenza a
recidivare localmente con un’incidenza del 31%2, ma è caratterizzato da basso o
modesto grado di metastatizzazione polmonare (inferiore al 15%)1,2. Fa eccezione il
neurofibrosarcoma che ha un comportamento più aggressivo, soprattutto nei cani
giovani3. L’emangiopericitoma, anche se appare incapsulato, ha una parete scarsamente
definita costituita da una pseudocapsula che è composta da una zona interna di tessuto
normale compresso (zona di compressione) e da una zona esterna di tessuto edematoso
e nuovi vasi (zona reattiva). Il tumore tende ad estendersi attraverso questa
pseudocapsula con digitazioni satelliti e con questo meccanismo infiltra i tessuti
sottostanti 4.
Tra i tumori cutanei non linfoidi ha un’incidenza che va dal 4,4%1 al 5%2, risultando tra
essi il meno frequente. Colpisce più frequentemente gli arti piuttosto che il tronco2.
La chirurgia risulta il trattamento di scelta 1,2,5,6, seguita o meno dalla radioterapia 6,7. La
chemioterapia invece ha un ruolo limitato e può essere considerata in caso di metastasi a
distanza, neoplasia recidivante o in caso di grado 3 o tumore inoperabile6.
Il caso presentato è interessante sia perché la paziente ha sviluppato due volte la stessa
neoplasia in due sedi diverse, sia perché, in presenza di un quadro polmonare
fortemente suggestivo di metastasi polmonari8,9,10, ha avuto una evoluzione decisamente
favorevole, giustificando pienamente la validità della chirurgia palliativa.
L’asportazione chirurgica marginale in entrambi i casi, con margini puliti, senza terapia
adiuvante è stata adeguata nel trattare la neoplasia primaria in modo risolutivo ed
evitare la recidiva11. Certamente in oncologia è più facile fare la diagnosi che emettere
la prognosi e questo ci deve far riflettere quando decidiamo di ricorrere all’eutanasia
dinanzi a una prognosi apparentemente sfavorevole.
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Considerazioni intra e perioperatorie in 45 mastectomie eseguite in 43 cagne nel
periodo 2005-2007
Paolo Bogoni DVM
Indirizzo per la corrispondenza:[email protected]
Abstract
Il presente lavoro considera i risultati ottenuti in 45 mastectomie eseguite senza l’utilizzo di
drenaggi e di antibiotico nel periodo postoperatorio (PO). Gli spazi morti sono stati occlusi
mediante l’utilizzo del grasso presente nella piega della grassella o con feltri di collagene (Emovet
®), senza l’applicazione di drenaggi. In tutti casi è stato applicato una fasciatura costituita da
cotonina ortopedica e Vetrap® 3M. L’utilizzo di suturatrici cutanee è economicamente giustificato
dalla riduzione dei tempi chirurgici. 39/45 mastectomie hanno evidenziato un modesto aumento
della temperatura corporea (TC) il primo giorno, 7/45 nel 2° giorno PO, e 0/45 dal 3° giorno PO. Il
68,8% dei pazienti ha manifestato una modesta leucocitosi al 1° controllo, mentre 84,4% degli
emocromi ha evidenziato neutrofili a banda. I controlli successivi sono risultati pressoché normali.
In nessun caso abbiamo osservato la formazione di sieroma.
Materiale e metodi
In questo studio sono state incluse 45 mastectomie (37 complete e 8 regionali) eseguite in 43
soggetti femmina (33 intere, 12 sterilizzate). L’età è variata da 6 a 15 anni (media 10,7) con un peso
variabile da 3 a 38 kg (media 14,8 kg). I criteri d’inclusione sono stati: la presenza di
neoformazione mammaria, l’esecuzione di un esame citologico che discriminasse le neoplasie
mammarie da neoplasie a carico di altri tessuti, stadiazione TMN, uso di antibiotico (cefalessina
22mg/kg ev) solo all’induzione e ogni due ore nel periodo IOP, mancata applicazione di drenaggi,
utilizzo del tessuto adiposo della grassella o di Emovet® per colmare lo spazio morto, applicazione
di fasciatura, emocromo di controllo con formula e controllo clinico della sutura al 2°, 4° e 6°giorno
PO, misurazione della (TC), da parte del proprietario, ogni 12 ore nei primi 7 giorni PO. Dopo la
tricotomia è stato eseguito un pre-scrubbing mediante tre passaggi di una soluzione saponosa a base
di clorexidina e urea (Dempol®) alternate a tre passaggi di una soluzione di clorexidina allo 0,5%
(Teosat®). Il campo chirurgico veniva definitivamente preparato con una soluzione alcolica di
clorexidina al 4% (clorexydina Bontempi®). Per la ricostruzione degli strati interni delle ferite sono
state utilizzate suture riassorbibili monofilmento (PDS® Ethicon o Byosin® Tyco) diametro USP
2/0-3/0. Per la cute è stato utilizzato nylon (Ethilon® Ethicon o Seralon® Serag) diametro USP 3/0
o graffette metalliche. Per i primi 2-4 giorni la ferita veniva protetta con una fasciatura lievemente
compressiva costituita da uno strato di garze sterili e Betadine® pomata, posta a contatto con la
cute, uno strato intermedio di cotonina ortopedica e uno strato esterno di Vetrap® 3M.
Successivamente, sino alla rimozione delle suture cutanee, la ferita veniva protetta con delle garze
sterili poste a contatto con la cute, tenute in sede con una rete tubulare elastica. La terapia post
operatoria ha previsto, per tutti i casi, l’uso di un collare elisabettiano, la somministrazione di
buprenorfina cloridrato (Temgesic®) alla dose 0,01 mg/kg per os per 3-5 giorni e di un FANS
(meloxicam 0,1mg/kg o carprofen 2 mg/kg SID per os) per 10 giorni. La rimozione delle suture
cutanee è avvenuto sempre in decima giornata.
Risultati
In 37/45 casi è stata eseguita una mastectomia completa (24 dx e 13 sx). Nei rimanenti 8 casi sono
state eseguite mastectomie regionali, 7 a carico delle mammelle III-V (5 a sx e 2 a dx) e 1 sola a
carico delle mammelle I-III. I tempi medi di chirurgia sono stati di 68 minuti (da 35 a 90 minuti,
mediana 58 minuti). L’ovariositerectomia è stata eseguita in 26/33 soggetti interi, nei rimanenti casi
la procedura è stata rifiutata dal proprietario. In 28/45 mastectomie la sutura cutanea è stata eseguita
utilizzando suturatrici metalliche. Confrontando mastectomie con estensioni simili, l’uso di
graffette metalliche ha determinato una riduzione dei tempi di chirurgia pari all’8%. Tale risparmio
di tempo giustifica, anche economicamente, l’uso delle suddette graffette. In nessun soggetto è stato
necessario ricorrere all’antibiotico nel PO. In 18/45 la fasciatura è stata ripetuta al primo controllo
clinico (2° giorno), mentre in nessun caso la fasciatura è stata ripetuta due volte. Ai primi due
controlli, in 39/45 soggetti, la TC è aumentata di 1-2 decimi di grado. In seconda giornata, solo in
7/45 la TC è risultata ancora oltre i limiti, mentre dal 3° giorno PO in poi la TC si è normalizzata in
tutti i casi. Il 68,8% (31/45) dei pazienti ha manifestato una modesta leucocitosi al 1° controllo,
mentre l’84% (38/45) degli emocromi ha evidenziato neutrofili a banda. Al 2° controllo, nessun
soggetto ha presentato leucocitosi e solo 3 casi (6,6%) presentavano neutrofili a banda. Dal 3°
controllo tutti gli emocromi sono risultati nella norma. In nessun caso abbiamo segnalato la
formazione di sieromi e in le suture cutanee sono state rimosse sempre in 10° giornata.
Discussione
Questo studio conferma come in corso di mastectomia e OHE (interventi classificati come
puliti/puliti contaminati) la sola profilassi antibiotica eseguita all’induzione sia sufficiente per il
controllo delle infezioni nel PO. Inoltre, il buon controllo degli spazi morti (con suture +/- materiale
omologo o eterologo), la delicata manipolazione dei tessuti, la prevenzione della disidratazione
tessutale siano pratiche sufficienti per evitare la formazione di sieromi e rende, di fatto, inutile l’uso
di drenaggi. L’utilizzo di suture cutanee metalliche permette di ridurre il tempo di chirurgia,
giustificando economicamente, l’uso delle graffette.
CHIRURGIA PER IL TRATTAMENTO DI ASCITE IN UN CANE
Nicoli S, DMV
Email: [email protected] - [email protected]
Introduzione: L’ipertensione portale rappresenta, sia in medicina veterinaria sia in medicina
umana, una grave complicazione nei pazienti affetti da cirrosi epatica. L’aumento pressorio
cronico a carico del circolo portale, per l’aumentata resistenza al flusso ematico nel
parenchima epatico alterato, determina una serie di eventi patologici differenti in relazione
alla specie. Il segno clinico importante nell’uomo è il sanguinamento delle varici esofagee.
Nei nostri pazienti, nei quali la cirrosi epatica è evento più raro, l’aspetto più eclatante è lo
sviluppo di un’imponente ascite. In medicina umana, per il trattamento dei sintomi e per la
decongestione del circolo portale, sono riportati trattamenti medici e/o chirurgici. In questo
lavoro è descritta l’applicazione di una di queste tecniche chirurgiche in un cane cirrotico con
ascite.
Descrizione del caso clinico: si tratta di un cane dalmata femmina intera di 7 anni di età
riferito presso la nostra struttura per alterazioni dei parametri biochimici di funzionalità
epatica. La raccolta dei dati anamnestici mostrava l’insorgenza, da alcuni mesi, di
sintomatologia neurologica riconducibile ad encefalopatia epatica, responsiva al trattamento
medico e, in tempi più recenti, la comparsa di progressiva distensione addominale. All’EOG
si evidenziava stato di nutrizione medio-scadente ed imponente distensione addominale; lo
stato neurologico del paziente appariva nella norma. Gli esami di laboratorio mostravano
innalzamento
dei
valori
di
ALT
e
ALP,
ipoproteinemia
con
ipoalbuminemia,
ipocolesterolemia e grave anemia microcitica ipocromica. L’esame ecografico addominale
evidenziava abbondante raccolta liquida in addome e microepatia associata a completa
disorganizzazione del parenchima. L’esame chimico-fisico del liquido addominale raccolto
per centesi lo identificava come trasudato. Considerato che l’imponente raccolta liquida
addominale era motivo di scarsa qualità di vita della paziente si decideva, in accordo con i
proprietari, di sottoporre l’animale ad un intervento chirurgico di decongestione del circolo
portale. Tra le tecniche riportate in letteratura si sceglieva in particolare l’anastomosi portocava latero-laterale.
Dopo approccio celiotomico, la vena porta e la vena cava caudale erano isolate per un tratto a
facile accessibilità per la successiva anastomosi. Su ciascuna di esse si applicava una pinza
vascolare a presa tangenziale (Satinsky) al fine di eseguire una venotomia longitudinale di
ugual lunghezza su entrambe. Dopo abbondante lavaggio del lume endovasale, si eseguiva
l’anastomosi mediante sutura continua in polipropilene doppio armato 5/0. Ad anastomosi
ultimata la sutura vascolare veniva protetta da materiale emostatico. Prima della chiusura
della breccia laparotomica, che avveniva come di routine, si eseguivano prelievi bioptici
multipli. Il decorso post-operatorio avveniva senza complicanze e le dimissioni avvenivano in
quinta giornata. Si prescrivevano: regime dietetico povero di proteine, lattulosio ed
antibioticoterapia (neomicina e metronidazolo).
Risultati: La diagnosi istologica era di cirrosi epatica “ultimo stadio”. La paziente era
sottoposta a controlli periodici presso il veterinario curante fino al suo decesso, avvenuto 6
mesi dopo la chirurgia, per il progredire della patologia epatica. Durante questo periodo non si
registravano recrudescenze della raccolta liquida addominale.
Discussione: Le epatiti croniche nel cane riconoscono predisposizione di razza (ad es.
Dalmata), nessuna predisposizione di sesso e si sviluppano in pazienti di età compresa tra 5 e
7 anni. L’eziopatogenesi non è ancora chiara. Il 15% delle epatopatie croniche evolve nel
cane in cirrosi (”end stage”) ed ipertensione portale, con conseguente ascite. Questo è il segno
clinico più eclatante, con netto peggioramento delle condizioni di vita del paziente. In
medicina umana, ai pazienti colpiti da cirrosi epatica con segni clinici legati all’ipertensione
portale, sono spesso proposti trattamenti chirurgici volti a decongestionare il circolo portale.
Nel cane di norma si fa ricorso solo alla terapia medica, il cui obiettivo è il controllo
dell’encefalopatia epatica; l’ascite è di regola gestita mediante centesi ripetute (+/- diuretici).
Conclusioni: Nel caso descritto l’intervento chirurgico palliativo, eseguito per una patologia
non tumorale, si è rivelato efficace nel contrastare la formazione di ascite; si suppone che, in
casi molto selezionati di neoplasia endoaddominale non operabile e in grado di interferire con
il circolo portale, questo intervento possa esitare in un risultato analogo.
Ringraziamenti: Si ringraziano i dottori Emanuele Gasparini, Marta Garbin e Silvia Brunetti
per la loro preziosa collaborazione.
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