Parlare della famiglia in Grecia è tutt`altro che semplice

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Parlare della famiglia in Grecia è tutt’altro che semplice. In primo
luogo, come ben noto, la Grecia classica (alla quale limiteremo queste
considerazioni, salvo qualche riferimento, quando necessario, all’eta’
arcaica) non era una nazione. Era un territorio sul quale esistevano diverse
comunita’ politiche, le poleis, ciascuna delle quali era indipendente,
autonoma e sovrana. Di conseguenza -anche se, come scrive Erodoto, tutti
i greci rispettavano gli stessi costumi (ethe)- ciascuna polis aveva le sue
leggi. E poiche’ non tutte le poleis avevano le stesse origini etniche, queste
leggi erano spesso così diverse tra loro da indurre gli storici del diritto a
chiedersi se sia possibile parlare di un “diritto greco”, o si debba parlare,
piuttosto, di tanti, diversi “diritti greci” (tot iura quot civitates). Ma non è
questa, ovviamente, la sede per affrontare questo problema: qui basterà
ricordare in primo luogo che le poleis ioniche e quelle doriche
concepivano i rapporti tra gli individui e lo Stato in modo cosi’ diverso
che tra i costumi e le regole familiari delle une e delle altre vi era una
distanza molto significativa. In secondo luogo, che al di là di questo, come
ha osservato a suo tempo Douglas Mc Dowell, “every city state has his
own laws; no doubt there were similarities and some state copied laws
from others, but we should never assume without evidence that any
particolar rule was shared by two different states”1.
Nelle pagine che seguono, dunque, non parleremo de “la famiglia
greca”: anche se, come già detto, ci occuperemo solo dell’epoca classica
delle poleis (escludendo, dunque, sia la Grecia micenea, sulla cui
organizzazione familiare non possediamo peraltro alcuna informazione, sia
quella ellenistica), questo sarebbe impossibile. Parleremo, invece, de “la
famiglia in Grecia”, dividendo l’argomento in due sezioni dedicate
rispettivamente alla città di Atene, come modello delle poleis ioniche
(ovviamente, con le riserve sopra esposte a proposito del valore di questo e
qualsiasi altro “modello”), e a Sparta e a Gortina, le due uniche città
doriche di cui è possibile tentare di ricostruire quantomeno le linee
fondamentali della storia familiare. Ma prima di entrare nel merito del
discorso è necessario un avvertimento: Atene, grazie al numero e alla
qualità delle fonti arrivate sino a noi, è la sola polis le cui istituzìoni
possono essere ricostruire con una certa completezza. Molto diversa,
invece, la situazione per quanto riguarda Sparta e Gortina. Le informazioni
su Sparta, infatti, oltre che sporadiche, non sono mai obiettive, in quanto
D. M. Mc Dowell, The Law in Classical Athens, Ithaca, New York, Cornell U.P. 1978 , Preface,
p.8
1
1
provengono o da ammiratori del sistema spartano, come Senofonte e
Plutarco, o da autori anti-spartani come Aristotele: di conseguenza vanno
valutate con grande cautela e attenzione critica. Le informazioni su
Gortina, invece, provengono da una celebre e importante legge locale, ma
purtroppo, al di là degli altri resti archeologici (la legge è iscritta su un
edificio) sono l’unica documentazione proveniente dalla città. Di
conseguenza, non sappiamo nulla sulla vita reale della città, sul grado di
applicazione delle regole giuridiche e sullo scarto che sempre esiste tra il
rigore della regola formale, da un canto, e la mentalità e la pratica sociale,
dall’altro. E questo è un limite non da poco, se, come è inevitabile, si
intende la storia come integrazione tra queste due diverse realtà.2
Infine, prima di entrare nell’argomento, e’ necessario ricordare che i
termini greci per famiglia (oikos, oikia) hanno un valore semantico
diverso da quello odierno. L’oikos, infatti, è qualcosa di più composito di
quel che noi chiaha questo termine (famiglia patriarcale, famiglia nucleare,
famiglia mista o composta, famiglia di fatto). Per cominciare, infatti,
come scrive Aristotele, gli oikoi comprendono anche la ktesis (vale a dire
la proprietà) (Pol., I, 3, 1253 b 2-8). Inoltre, ogni oikos ha i suoi culti, che
sono elemento importante ai fini di identificazione e coesione del gruppo.
Infine, per quanto riguarda le persone, va ricordato che dell’oikos fanno
parte anche gli schiavi, che pur avendo capacità sacrale, dal punto di visto
di giuridico non sono oggetti, ma oggetti di diritto, e dunque parte del
patrimonio. L’ oikos insomma -secondo una felice definizione di U.E.
Paoli- è “un complesso di persone, di beni e di riti”3. Nelle pagine che
seguono, tuttavia, per ovvie ragioni di praticità, tradurremo oikos con
famiglia.
Vedi sul punto C.A. Cox, Household Interests, Property, Marriage Strategies, and Family
Dinamics in Ancient Athens, Princeton, 1998, Introduction, pp XIII.XIV e Davies, The Gortyn
Laws,.in M: Gagarin , D.Cohen (eds.), The Cambridge Companion to Greek Law, Cambridge
University Press, 2005, pp.305-308.
3
U.E. Paoli, voce Famiglia (diritto attico), in Novissimo Digesto Italiano VII, Torino, UTET, 1961,
pp 35-42 (vedi p. 36). Sul difficile problema di rendere in termini moderni il semantico di oikos e i
conseguenti problemi posti dal tentativo di descrivere la “famiglia” in Grecia vedi a lungo, più
recentemente, S.B. Pomeroy, Families in Classical and hellenistic Greece. Representations and
Reality, Oxford, Clarendon Press 1997 ( cap.1: Defining the Family,pp.1-65 ); C.A. Cox,
Household Interests, Property, Marriage Strat gies, and Family Dinamics in Ancient Athens, cit.,
pp.132-135) e S. Ferrucci, L’ oikos nelle leggi della polis. Il privato ateniese tra diritto e società, in
Etica & Politica/Ethics and Politics IX, 2007, pp.135-154 . Per una ampia discussione della recente
bibliografia sui rapporti familiari vedi C, Patterson, The Family in Greek History. Cambridge, MA
and London 1998, pp, 14-97-101
2
2
La famiglia ad Atene. Il modo migliore per capire la famiglia ateniese,
ancor prima di esaminare le norme giuridiche che la regolavano, è leggere
quel che ne scrive Aristotele. La famiglia infatti è l’elemento centrale del
progetto politico del filosofo stagirita, che ad essa dedica una grande
attenzione, svolgendo considerazioni molti importanti per capire il
modello dei rapporti familiari da lui proposti ai suoi concittadini.
Dopo aver definito l’uomo come “animale politico” (politikon zoon),
Aristotele scrive che “ogni polis è composta di oikiai, termine usato a
volte –come in questo caso- quale sinonimo di oikos, altre volte per
indicare la casa in quanto edifici). E quindi aggiunge che le oikiai, a loro
volta, sono costruite intorno a tre rapporti fra individui: quello tra padrone
e schiavo, quello tra marito e moglie, e quello tra padre e figlio. (Pol. I ,
1153 b2-8).
Poiché, di questi tre rapporti, quello tra marito e moglie è quello da
cui nasce e su cui si basa la perpetuazione della famiglia cominciamo con
l’analisi di quanto dice Aristotele sui rapporti tra i coniugi, sia nella
Politica sia nell’ Etica Nicomachea. Per tutto quanto riguarda la
celebrazione del matrimonio e i suoi effetti giuridici rinviamo invece
all’articolo “matrimonio.”
a) Gli esseri umani, dice il filosofo, sono naturalmente portati ad
accoppiarsi non solo per riprodursi, come gli animali, ma anche per
rendere la loro vita più piacevole, organizzando il lavoro e dividendo i
beni. Per questa ragione è al tempo stesso utile e piacevole che tra marito e
moglie esista una relazione affettiva, qui come altrove indicata con il nome
di philia, uno dei due termini che i greci usavano, insieme a eros, per
descrivere l’amore.
Per capire come avrebbero dovuto essere i rapporti fra coniugi
secondo Aristotele, dunque, bisogna capire la diversità tra questi due
“amori”. E la differenza è veramente notevole: eros, infatti, era l’amore
passionale, che nasceva quando un dio -Eros, appunto, giovane e irruento
figlio di Afrodite- colpiva la vittima con una delle sue frecce, che
provocavano un immediato, irresistibile e insaziabile desiderio sessuale.
La philia invece (termine che molto significativamente comprendeva
anche l’amicizia)4 era un sentimento, come dice Aristotele, diverso a
seconda che fosse basato sull’uguaglianza, come la philia fra amici, o sulla
4
Vedi D. Konstan 199, Frienship in the classical World, Cambridge 1997
3
superiorità, come la philia tra padre e figlio, tra marito e moglie, e tra
governati e governati (Eth. Nic.,VIII, 1158 b ff.).
Quando indicava il rapporto tra marito e moglie, dunque, la philia
corrispondeva a un sentimento che oggi chiamiamo amore: ma non era
certamente l’amour passion. Era un sentimento tranquillo, pacifico,
necessario all’armonia dell’oikos, la cui natura era ovviamente legata all’
idea che, tra le due persone che la provavano, vi fosse un inferiore
(ovviamente la moglie) un superiore (ovviamente il maschio).
“Il
maschio –scrive esplicitamente Aristotele, a proposito del rapporto
coniugale- è più adatto al comando della femmina, tolte alcune eccezioni
contro natura”.5 Di conseguenza, il marito ha sulla moglie “l’autorità
dell’uomo di Stato”: ma mentre l’autorità dell’uomo di Stato comporta
un’alternanza di comando fra i cittadini, nel rapporto uomo-donna non c’è
alternanza: ”nella relazione del maschio verso la femmina l’uno è per
natura superiore, l’altra è comandata, ed è necessario che fra tutti gli
uomini sia proprio in questo modo”. (Pol., I, 12,1259 b).
Non meno importate, per capire i rapporti coniugali, quanto si legge
nell’Etica Nicomachea, ove, dopo aver tracciato un parallelo tra
costituzioni politiche e strutture familiari, Aristotele spiega che la
comunità tra marito e moglie è di tipo aristocratico, in quanto il marito
esercita l’ autorità conformemente al suo merito, e nell’ambito in cui è lui
che deve comandare. Quale fosse l’ambito in cui il comando spettava alla
moglie non è peraltro specificato (Eth. Nic., VIII, 10, 1160 b).6
Questo il modello dei rapporti coniugali secondo Aristotele.
Corrispondeva o non corrispondeva alla realtà? L’ analisi delle norme
sociali e giuridiche ateniesi sembra dare risposta positiva.
b). Le regole del diritto sancivano senza alcuna possibilità di dubbio
l’asimmetria del rapporto coniugale. A darne un’idea sembra sufficiente
ricordare che ad Atene il matrimonio era monogamico, ma solo le mogli
erano tenute alla fedeltà sessuale. Ai mariti, infatti, era concesso, senza
conseguenze di carattere penale e senza biasimo sociale, avere incontri e
Solo il marito, tra l’altro, e non la moglie, possiede nella sua pienezza il logos e quindi la capacità
di deliberare; la moglie, in quanto donna, possiede una ragione minore e imperfetta, incapace di
controllare la sua parte concupiscibile: anche se non le manca del tutto la parte deliberante, la
possiede ”senza autorità.” (Pol., I, 13, 1260 a)
6
Nel rapporto tra padre e figlio:, invece, il padre ha l’ autorità di un re (e non di un
magistrato) (Pol., I, 12, 1259 a). Come tale, dunque, non è di tipo dispotico: la tirannide infatti è
una degerazione del regno, perchè il tiranno persegue il bene suo personale, e non quello dei
sudditi, come fa il re, e come fa il padre nei confronti dei figli (Eth.Nic.,VIII, 10, 1260 b).
5
4
relazioni con più di una donna (per non parlare delle eventuali e frequenti
relazioni con i paides). Come si legge in un celebre passo attribuito a
Demostene (PsDem., c. Neaer., 122), un ateniese poteva avere tre donne:
una moglie (damar) “per la procreazione di figli legittimi”, una concubina
(pallake) ”per la cura del corpo” (espressione ambigua, che allude alla
possibilità di una relazione paraconiugale, con conseguente possibilità di
rapporti sessuali regolari, se non quotidiani), e una “compagna” , etera
(hetaira) “per il piacere” (l’etera era una prostituta di alto livello, che
accompagnava un uomo anche nelle occasioni sociali cui la moglie, come
tutte le donne perbene non era ammessa). Massima libertà per il marito,
dunque: nessuna libertà, invece, per la moglie. La eventuale infedeltà di
questa, infatti, rientrava nel reato detto moicheia, abitualmente tradotto
“adulterio”, ma assai più vasto del comportamento oggi così definito, in
quanto includeva qualunque rapporto sessualo intrattenuto da una donna
fuori del matrimonio, anche se nubile o vedova.
I confini amplissimi di questo reato risultano da una legge di
Draconte, del 621–620 a.C., che dopo aver previsto le pene per l’
omicidio, aveva previsto alcuni casi, tassativamente elencati, nei quali l’
omicidio non veniva punito, perchè considerato legittimo (dikaios); 7 e uno
di questi casi era quello dell’uomo che sorprendeva nel proprio oikos un
altro uomo (definito moichos) nel momento in cui aveva un rapporto
sessuale con la di lui moglie, madre, figlia, sorella, o concubina libera8. La
moicheia, dunque, era un crimine che comprendeva qualunque rapporto
sessuale intrattenuto da un ateniese con una delle donne che appartenevano
al gruppo familiare di un altro cittadino, ivi compresa la concubina, che
pur non essendo parte di questo gruppo dal punto di vista giuridico, vi
apparteneva socialmente e affettivamente. 9
7
Della legge, databile al 621-620 a.C., ci è giunto per via epigrafica una parte del testo ripubblicato
nel 409-408 dagli angrapheis, oggi conservato al Museo Epigrafico di Atene, pubblicato da Ronald
Stroud nel 1968.
La parte del testo che riporta questa disposizione è illeggibile sulla stele ritrovata, ma è riportata da
Dem. 23.53
8
9
A partire dal 1984, D. Cohen ha messo in discussione questa definizione del reato di moicheia, sostenendo che esso
si realizzava solo nel caso di rapporto con moglie altrui (D. Cohen, The Athenian Law of Adultery, in RIDA 31, 1984,
147 sgg., ID. The social context of adultery at Athens, in Law, sexuality and Society, Cambridge, 1991). Contra vedi
E. Cantarella, Moicheia, reconsidering a Problem in Symposion. 1990, Papers on Greek and hellenistic Legal History,
ed. by M. Gagarin, Koeln, Weimar, Wien 1991, 289 ss), e quindi I reati sessuali nel diritto ateniese. Alcune
considerazioni su moicheia e violenza sessuale, in “Studi in onore di M. Talamanca”, Jovene,
Napoli, 2002, pp. 376-390. Sulla stessa linea C. Carey, Rape and Adultery in Athenian law, in The Classical
Quartely 45, 2 (1995) 4O7 sgg; D. Ogden, Greek Bastardy in the classical and hellenistic Period, Oxford, 1996, cap. 3,
con modifiche in Rape, Adultery and the Protection of Bloodlines in classical Athens, in S. Deacy-K. Pierce (eds),
Rape in Antiquity, Sexual Violence in the Greek and Roman World, London, 1997, p. 25 sgg. (in particolare p. 27). e
5
Ma qual era il bene giuridico tutelato dalla moicheia?
Indiscutibilmente, la certezza della paternità. Ma non solo questa: la
moicheia metteva in gioco anche un altro bene di fondamentale
importanza, per un ateniese, vale a dire il suo onore (timè), strettamente
legato -come del resto in altre culture, anche moderne- all’integrità
sessuale delle donne del gruppo.
A dimostrarlo con assoluta evidenza sta , ancora nel IV secolo a.C.,
l’orazione di Lisia in difesa di Eufileto. Accusato di aver ucciso
Eratostene, amante di sua moglie, Eufileto si difende sostenendo di aver
ucciso in ossequio alle leggi della città, che gli imponevano di punire
colui che, come gli dice. “ha commesso moicheia su mia moglie, la ha
corrotta (diephtheire) e ha svergognato me e i miei figli, entrando nella
mia casa”. La moicheia, dunque, era ancora percepita, nel IV secolo,
come un atto che offendeva in primo luogo non la donna (considerata
corrotta), ma il marito o l’uomo cui spettava il diritto di controllare le sua
vita sessuale.10 E quanto questo oltraggio all’onore fosse grave è
confermato dal fatto che, quando non era commessa nelle circostanze che
giustificavano il phonos dikaios del moichos, (vale a dire la sorpresa in
flagranza, all’ interno dell’oikos), questo reato poteva essere perseguito
con una un’azione pubblica (graphe) esperibile da qualunque cittadino
ateniese (Aristot., Ath. Pol., 59, 3), che poteva concludersi anche con la
condanna a morte.11
Alla luce di quanti sin qui visto, il reato di moicheia e le regole della
sua repressione si rivelano una chiave fondamentale per comprendere
l’ideologia e le dinamiche familiari, sia nel diritto sia nella società
ateniese, dall’inizio della storia della polis sino al momento in cui essa si
avvia al tramonto.
R Omitowoju, Regulating Rape: Soap operas and self-interest in the athenian Courts, in S. Deacy- K. Pierce (eds.),
Rape in Antiquity, cit., p. 1 sgg. (in particolare pp.14- 16).
Vedi ampiamente, sul punto, E. Cantarella, I reati sessuali nel diritto ateniese. Alcune
considerazioni su moicheia e violenza sessuale, cit. pp. 376-390
10
Una legge riportata nella pseudodemostenica contro Neera (c. Neaer., 87) , inoltre, obbligava il
marito a ripudiare la moglie sorpresa con il moichos, pena la atimia, e vietava alla donna di
presenziare alle cerimonie del culto pubblico. Se vi presenziava, poteva subire la pena scelta da chi
la aveva sorpresa, tranne la morte. Su tutto questo, vedi di nuovo E.Cantarella, I reati sessuali nel
diritto ateniese, cit.
11
6
Il patrimonio: parentela e successioni. Oltre a rapporti personali
tra gli appartenenti al gruppo, la polis si preoccupava di regolare anche la
sorte del patrimonio familiare, garantendo che, nel momento in cui moriva
il titolare di un kleros, questo non finisse in mani estranee, ma rimanesse
all’interno del gruppo. La successione , infatti (che dal punto di vista
patrimoniale, comportava l’acquisto dei beni materiali immobili e mobili
del de cuius, nonchè l’acquisto dei suoi crediti e i suoi debiti), non era
un fatto solamente economico: chi ereditava subentrava anche nella
titolarità dei culti familiari, considerati un importate elemento di coesione
tra gli appartenenti al gruppo, ed era tenuto ad assicurarne la continuità
Per questa ragione, dunque, si riteneva necessario che, alla morte del de
cuius, il kleros venisse ereditato all’interno delle cerchia dei parenti in
linea sia maschile che femminile entro il sesto grado, detta anchisteia
( Isae., de Hagn., 11; ps.dem. Macart., 51). Per questa ragione,
originariamente non era prevista la possibilità di fare testamento, che
venne concessa solo da Solone, e solo a chi non aveva figli legittimi.
All’ interno del gruppo degli anchisteie , l’ordine dei successibili,
(vale a dire le categorie di persone cui, nell’ordine, spettava l’eredità) era il
seguente.12
1) I figli maschi legittimi, naturali o adottivi (Isae., de Philokt., 25),
tra cui il patrimonio era diviso per quote. In presenza di maschi, alle figlie
femmine, a compensarle dalla loro esclusione dall’eredità, veniva di regola
assegnata una dote. Per questo esse erano dette epiproikoi (da proix, dote).
2) Le figlie femmine, in questo caso dette epikleroi . Queste peraltro
non ereditavano personalmente, erano solo il tramite per trasmettere il
patrimonio ai loro figli maschi, e al fine di evitare che il patrimonio finisse
in mani estranee il diritto ateniese stabiliva che esse dovessero sposare il
parente più stretto in linea maschile (normalmente il fratello del padre).
3) gli ascendenti, la cui inclusione nell’elenco dei successibili è
peraltro controversa, perchè la legge che lo riporta nell’orazione
pseudodemostenica contro Macartato (par. 51) non li cita. Ma poiché
questa legge non cita neppure i figli maschi, parte della scholarship ritiene
che vi fossero inclusi .13
Cfr.Harrison, The Law of Athens, I,……. p. 123 C.A. Cox, Household Interests, Property,
Marriage Strategies, and Family Dinamics in Ancient Athens, cit, p. …..
13
L’ ipotesi della inclusione degli ascendenti tra i successibili è stata avanzata da U.E. Paoli, L’
anchisteia nel diritto successorio attico, in “Studia et Documenta Historiae et Iuris” 2, 1936, 77 ss.
= Altri studi di diritto greco e romano, Milano 1976 ,pp. 323 ss.,e ripresa da A..Biscardi, La
successione legittima degli ascendenti nel diritto ereditario panellenico: uno spunto epigrafico del
VI o V secolo a.C:, in A. Biscardi, Scritti di diritto greco, a cura di E. Cantarella e A. Maffi,
12
7
4) In mancanza di figli e di ascendenti (ammesso che questi facessero
parte dell’orine dei successibili) una parte, anche se minoritaria della
scholarship ritiene che l’eredità spettasse ai figli illegittimi (nothoi). La c
posizione dei nothoi peraltro, negli ultimi anni ha sollevato molte
controversie. legate alla interpretazione di una legge attribuita a Solone e
riportata in Aristofane, (Aristoph., Av., 1661-1665). Secondo alcuni infatti
da questa legge stabilirebbe che in mancanza di figli legittimi l’eredità
passava sempre e comunque ai parenti collaterali;14 secondo altri che i
nothoi dividevano l’eredità con i collaterali,15 e secondo altri, ancora, che i
nothoi prevalevano sui collaterali. 16
5) Al di là di questa controversia, il grado ulteriore dei successibili
era composto dai collaterali nel seguente ordine:
a) i fratelli dello stesso padre e i loro discendenti; b) le sorelle dello stesso
padre e i loro discendenti; c)gli zii paterni, e i figli e i figli dei figli di
questi; d) le zie paterne con i loro figli e i figli dei figli; e) i great uncles
paterni con figli e nipoti)); i fratelli della stessa madre e i loro discendenti;
f)le sorelle della stessa madre e i loro discendenti; gli zii materni e i loro
figli e nipoti; g) le zie materne e i loro figli e nipoti, h) i prozii (great
uncles) materni con figli e nipoti; i) le prozie (great aunts) materne con
figli e nipoti
Con i collaterali sin qui elencati terminava il gruppo dei parenti
inclusi nella anchisteia, a proposito dei quali, peraltro, va ricordato che l’
appartenenza a questo gruppo non aveva importanza solo ai fini ereditari:
La anchisteia infatti segnava anche il limite entro il quale valeva la
solidarietà familiare, e dunque gli anchisteis avevano da un canto il
Milano, 1999, pp.249-256. Tra i sostenitori della tesi opposta vedi Lipsius, das Attishe Recht und
Rechtsvervahren, Leipzig 1905-1915, ristampa Hildesheim 1966, 2.2.,p. 537 ss.e in tempi meno
lontani Jones, Law and legal Theory of the Greeks, Oxford 1956.p.191 ss. e Lacey, The Family in
classical Greece, London. Southamptiopn 1968, p. 125 ss. Esèprime invece molte incertezze in
proposito Harrison, p.138 ss.
14
D. Lotze, Zwishen Politen und Metoechen: Pâssivbuerger im klassichen Athen? in Klio 63
(1981), pp. 159-178, in particolare pp.169-172, in particolare pp. 162-163
15
Harrison, I, 67-68
16
Cantarella, 1997, 105-106. Al di là di queste controversie, comunque, è opinione generale è che
la legge di Solone diede inizio a una processo di discriminazione dei nothoi (cfr.ad esempio, a
distanza di molti decenni, H. J. Wolff, Marriage Law and family Organisation in ancient Athens, in
Traditio 2 ,1944, 43-95, e C. Patterson, Those Athenian Bastards, in Classical Antiquity, 9,1
(1990) 39-73;. e Perikles Citizenship Law of 451-450, Salem, Mass.,1981). Questo processo
terminò con la loro totale esclusione attorno alla metà del V secolo, forse nel 403 (Dem., c.
Macartat., 50-51).
8
dovere di esperire l’azione di omicidio nel caso un membro del gruppo
venisse ucciso (l’azione per omicidio ad Atene era un’azione privata,
esperibile solo dai parenti dell’ ucciso), dall’altro il potere di concedere il
perdono a chi veniva accusato di aver ucciso un membro del gruppo,
consentendo all’omicida di evitare la pena dell’esilio, prevista per questo
reato.17 Gli anchisteis inoltre erano tenuti a costituire la dote alle ragazze
da marito appartenenti al gruppo cui i genitori non potevano fornirla, e a
seppellire gli altri anchisteis. I maschi del gruppo, infine, avevano il
diritto-dovere di sposare la epikleros (Pomeroy p. 19).
E infine, per chiudere il discorso sui successibili: in mancanza di
anchisteis (ipotesi peraltro assai improbabile) l’eredità spettava al parente
più vicino in linea paterna (c. Macart.,51).18
Filiazione legittima e cittadinanza. L’ultimo problema che è
necessario affrontare – quello più importante per capire il rapporto tra la
famiglia e la polis, è legato alla interpretazione del decreto di Pericle, che
nel 450 a.C. stabilì che la cittadinanza spettava solo a chi nasceva kata
tous nomous (secondo la legge).L’ interpretazione di questa legge, infatti,
ha diviso e continua a dividere la scholarship: secondo alcuni, infatti,
questa legge avrebbe escluso i nothoi dalla cittadinanza;19 secondo altri,
invece, avrebbe consentito loro, per la prima volta, di essere cittadini.20
La risposta al quesito non è facile: poiché la cittadinanza dipendeva,
sino al tempo di Clistene, dalla appartenenza alla fratria, e dopo
quell’epoca dalla appartenenza al demo, questa risposta dipende dalla
identificazione i criteri per l’ ammissione alle frarie e ai demi.
E a complicare la questione, interviene anche il fatto che lo stesso
concetto di nothoi è controverso. Secondo alcuni infatti il termine nothoi
indicherebbe non solo i figli nati fuori dal matrimonio,, ma anche quelli
nati da una madre straniera (Carlier).
La ragione principale di questa e altre controversie legate al matrimonio
dovuta alle diverse interpretazioni del famoso decreto di Pericle del 451450 a. C., noto come “ la legge sulla cittadinanza”., secondo il quale,
a
partire da quel momento, non sarebbero più stato cittadino ateniese chi
La possibilità di ottenere il perdono, peraltro, era concessa solo a chi era stato accusato di
omicidio involontario, mentre era esclusa er l’ omicidio volontario, punito con la pena di morte
18
S.B. Pomeroy, Families in Classical and hellenistic Greece. Representations and Reality, cit., p.
19
19
Wolff, Humphreys, Rhodes, Patterson, Lotze e Maffi and Ogden e Maffi
20
Latte, Mac Dowell, Hignett, Walters, Cantarella
17
9
nasceva padre ateniese, come sino a quel momento, (Aristotle, Ath. Pol.
42,1-2; Cf. Aristotle, Pol.s 1278 a 26-34 and 131 b 8-10), ma solo chi era
nato anche da madre cittadina (ex amphoteriìon aston gegonotos).
Alcuni studiosi infatti ritengono che questo decreto comportasse,
implicitamente, il divieto di sposare una donna straniera, reso esplicito nel
403, quando il decreto di Pericle fu riconfermato. Secondo altri, invece,
Pericle non proibì di sposare una straniera, e dunque tra il 451-450 e il
403 figli nati da legittimo matrimonio con una straniera sarebbero statio
nothoi. (Carlier,)
La famiglia nelle città doriche : Sparta e Gortina. Come abbiamo già
accennato, ricostruire le linee del sistema familiare di queste due città è
tutt’altro che facile. La conoscenza delle istituzioni spartane, lo abbiamo
detto, dipende da fonti ideologiche, a seconda dei casi favorevoli (nel caso
di Senofonte e Plutarco), in altri sfavorevoli (nel caso di Aristotele). E le
informazioni su Gortina, pur provenendo dalla città stessa, sono
ugualmente ideologiche. Esse consistono infatti esclusivamente in una
serie di norme di legge, e le leggi, ovviamente, sono per definizione il
prodotto di una scelta ideologica. Esse codificano le regole di
comportamento che il legislatore ritiene opportune o necessarie, ovvero
pericolose o intollerabili: in altre parole descrivono quello che dovrebbe
essere il comportamento dei cittadini, ma non dicono nulla sul
comportamento reale. In mancanza di altre fonti, pertanto (e a
Cortina,purtroppo, non esistono altre fonti) non è possibile sapere se e
quanto questa ideologia fosse condivisa, e dunque se e sino a che punto le
regole venissero rispettate. Ma questo non toglie che la Grande Epigrafe di
Gortina, che ci ha restituito queste leggi, sia un documento senza uguali,
che consente di conoscere in modo organico interi pezzi di un sistema
giuridico
Nella trattazione che segue, dunque, cercheremo di usare le fonti su
Sparta e quelle gortinee, per ragioni diverse, con la massima cautela. Che
non impedirà, tuttavia -pur avendo sempre presente il principio tot iura
quot civitates- al punto di negare ogni rilevanza delle regole gortinie ai fini
della comprensione del sistema spartano, o quantomeno delle sue linee
generali. Come ha fatto, tra gli altri, del resto, nel suo manuale sul diritto
spartano, lo stesso Macdowell, cui si deve l’avvertenza a non desumere
10
dalle regole attestate con certezza in una città l’esistenza in un’altra della
stessa regola.21
Sparta. La prima considerazione da fare, a proposito della famiglia a
Sparta, è la particolarità del rapporto pubblico/privato in quella città, della
quale è facile rendersi conto a partire dalle prime regole in materia, che la
tradizione attribuisce a Licurgo. Questo leggendario legislatore, infatti,
avrebbe introdotto un sistema educativo secondo il quale i figli dei
cittadini (vale a dire gli Spartiati) non venivano educati in famiglia, ma
dallo Stato. Secondo il racconto di Plutarco, più precisamente (Vite
parallele, Vita di Licurgo, 16), i bambini, appena nati, venivano esaminati
dagli anziani. Se questi li trovavano malato o deformi li abbandonavano
sul monte Taigeto; se invece li trovavano di costituzione sana e robusta
assegnavano per il loro mantenimento uno dei novemila lotti in cui la terra
era stata divisa. Non appena avevano raggiunto l'età di sette anni, poi, i
ragazzi lasciavano la famiglia e andavano a vivere in gruppi (agelai), ove
vivevano in comunità, e sotto la guida di un ragazzo più grande
imparavano ad affrontare le difficoltà. Rasati a zero, abituati a camminare
scalzi e a giocare nudi, essi imparavano a stento a leggere e scrivere:
l’obiettivo principale della educazione spartana infatti era quello creare i
migliori dei soldati. Infine, a vent'anni, i giovani Spartiati diventavano
ireni (eirenes), e cominciavano ad addestrare alla guerra i più giovani.
Come osserva non senza ragione Plutarco, insomma, a Sparta i figli “non
erano possesso privato dei patri, ma comune dello stato” (Plut., Lyc., 15,
8). E Senofonte conferma: nelle altre poleis ogni padre esercita il controllo
sui suoi figli. Licurgo invece diede a ogni uomo l’ autorità sui suoi figli e
su quelli degli altri (Xen., Lac. Pol., 6,1)
Non meno invadente, se vogliamo usare questo termine, era l’ingerenza
dello Stato nella vita coniugale degli Spartiati: a prescindere dal fatto che il
matrimonio era obbligatorio, e che chi rifiutava di sposarsi poteva essere
colpito da atimia, (Plut., Lyc. 15, 1-2) i mariti, a partire dai trent’anni (età
in cui acquistavano il diritto di voto nell'apella, vale a dire l’assemblea) e
sino a quando non avevano raggiunto i sessanta (età nella quale cessavano
gli obblighi militari), erano tenuti a partecipare tutte le sere, insieme agli
D.M.Macdowell, Spartan Law, Edinburgh, 1986. In materia di matrimonio, più
specificamente, al diritto di Gortina ha fatto ricorso C Leduc, Marriage in ancient Greece, in
P. Schmitt Pantel (ed.), A History of Women in the West, I, Cambridge Mass.,1952, pp. 235-294.
21
11
altri uomini ai banchetti comuni, detti sissizi (syssitia).
Lo spazio lasciato alla vita personale, dunque, era limitato, e quello
dedicato ai rapporti sessuali, quantomeno in teoria, era controllato.
Secondo quanto racconta Senofonte, Licurgo, avendo notato che la
possibilità di avere rapporti sessuali senza limite diminuiva il desiderio,
avrebbe imposto ai giovani sposi delle restrizioni: i figli nati da queste
unioni infatti -egli riteneva- erano più forti e vigorosi di quelli nati da
coniugi reciprocamente ormai sazi.22 Forse per aumentare il reciproco
desiderio, dunque, lo sposo, come racconta Plutarco, dopo la cerimonia
nuziale lasciava la moglie per partecipare al sissizio, e consumava il
matrimonio solo al ritorno, prima di tornare dai compagni, con cui
passava la notte (Plut., Lyc., 15, 3-5).
Ulteriore prova della prevalenza degli interessi cittadini su quelli
familiari sta nella pratica di scambiarsi le donne per aumentare il numero
dei figli. In un passo delle vite di Licurgo e Numa (Lyc-Numa, 3, 1)
Plutarco scrive che ambedue questi personaggi “con una sana politica,
convinsero i mariti a liberarsi da egoistiche gelosie. Tuttavia, i loro metodi
non erano uguali: se un marito romano aveva un numero sufficiente di
figli, un altro, che non aveva figli, poteva convincerlo a lasciargli sua
moglie, a tutti gli effetti, o solo per una stagione; il marito spartano,
invece, al fine di avere figli, poteva consentire a un altro uomo di dividere
con lui sua moglie, mentre sua moglie rimaneva nella di lui casa e il
matrimonio manteneva i suoi diritti e i suoi doveri originari.”
Anche se il passo ha dato luogo a molte discussioni, queste riguardano
soprattutto la possibilità che anche i romani usassero ricorrere alle mogli
altrui per procurarsi una prole.23 Che lo facessero gli spartani, infatti, è
cosa che trova conferma in Senofonte 24, e che oggi viene comunemente
Xen., Lac.Pol., 14, 1. Osserva S.B. Pomeroy, a proposito di questo passo, che Senofonte, vissuto a
Sparta per oltre vent’anni, e legato anche successivamente da forti rapporti con la cittàla nostra
fdonte più attendibile sulla famiglia spartana (S.B. Pomeroy, Families in Classical and Hellenistic
Greece. Representations and Reality, cit., p. 41
23
Vedi Y. Thomas, ”Le ventre”. Corps maternel, droit paternel, in “Le genre humain » 14 (1986)
211 sgg. Vedi anche, dello stesso autore, A Rome, pères citoyens et cité des pères (II siecle avant
JC-III siecle après J.C), in C. Levy Strauss- J.Duby (a cura di), Histoire de la famille, I, Paris, 1986,
p. 216 sgg. ; E. Cantarella, Marriage and Sexuality in Republican Rome, in M. C. Nussbaum and J.
Sihvola (eds), The Sleep of Reason, The University of Chicago Press, Chicago-London, 2002, pp.
269-282 , trad.ital. Matrimonio e sessualità nella Roma repubblicana. Una storia d’ amore
coniugale, in “Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano” 100, 2002,
22
24
Xen., Lac. Pol. , 1, 2-10. Torna sul tema anche Plut., Lyc., XV, 6-8
12
considerata un fatto storico.25
Infine in Plutarco leggiamo che a Sparta non esistevano né adulterio né
violenza sessuale (Lyc., 15, 9-10), e secondo alcuni questo potrebbe
significare che non esistevano leggi in materia.26 Ma nulla fa pensare che
Plutarco alluda alle leggi. In questo caso si tratta di una evidente
idealizzazione della famiglia, e in particolare delle donne spartane, forse
dettata dal desiderio di contrastare
il luogo comune ateniese
(esplicitamente avallato da Aristotele (Pol. II, 1269 b), secondo cui le
donne spartane erano licenziosissime, e la mancanza di regole relative al
loro comportamento avrebbe determinato un disequilibrio nella
costituzione della città che avrebbe concorso anche a fomentare l’avidità di
denaro. Queste, nelle descrizioni delle principali fonti su Sparta, le linee (e
l’ideologia) della organizzazione familiare spartana, che per quanto ne
sappiamo immutate per secoli. Ma Senofonte si interroga in proposito: io
non so se queste leggi sono rimaste in vigore –dice- perchè oggi sono
spesso disobbedite (Xen., Lac. Pol., 14,c1).
Come detto inizialmente, le informazioni su Sparta, per la loro scarsità
e la loro mancanza di obiettività, impediscono di credere alla lettera a tutto
quello che riferiscono. Ma al di là di dettagli che sembrano chiaramente
riflettere una realtà idealizzata (ad esempio, il controllo dello stato, ora per
ora, sulla prima notte di nozze) esse sono tuttavia sufficiente a dare il
quadro di un’organizzazione familiare che ha ben poco in comune con
quella ateniese, in quanto, come gia detto, ispirata a un’idea totalmente
diversa dei rapporti pubblico/privato e dei diritti e doveri dei cittadini. Una
diversità, questa, che si riflette anche sulla organizzazione e la
regolamentazione della proprietà familiare.
Nonostante la difficoltà di individuare le informazioni attendibili
all’interno di descrizioni spesso fantasiose, sembra plausibile, in primo
luogo, la notizia secondo la quale Licurgo avrebbe assegnato a ciascun
cittadino, al momento della sua nascita, un appezzamento di ugual misura
della terra che Sparta aveva conquistato sottomettendo la Messenia. A
coltivare questa terra provvedevano gli Iloti, vale a dire i Messeni
sconfitti, divenuti servi pubblici di Sparta, tenuti a versare una quota del
prodotto all’attuale possessore del kleros. Ciascun sarebbe stato tale da
produrre una rendita di 70 medimni di barley per ogni uomo e 12 per sua
Vedi già in questo senso W.K. Lacey, The Family in classical Greece, Ithaca, New York, Cornell
Univ. Press p. 199
26
Pomerpy, p.56
25
13
moglie, nonché quantità proporzionali di tutti gli altri prodotti. (Lyc., 8).27
Dalle informazioni a noi giunte, non risulta se la terra fosse assegnata
anche alle donne. Secondo alcuni, esse ne sarebbero state escluse28 Ma
Aristotele dice che “quasi due quinti della terra appartenevano alle donne,
sia perchè ci erano molte patroukoi (l’equivalente delle epikleroi ateniesi)
sia perchè si usava dare doti molto ricche ” (Pol., 1270 a 23-5), sia perchè
la ricevevano in dote,29 E questo induce dei dubbi sia sul fatto che non ne
venissero fornite alla nascita, sia sulla notizia, data sempre da Plutarco, che
alla morte di colui al quale il kleros era stato assegnato esso tornava allo
Stato, per essere ridistribuito. Inoltre, sappiamo che che nel IV secolo a.C.
gli spartiati potevano disporre del loro patrimonio, inclusa la terra, sia
inter vivos sia mortis causa. (Plut., Agis, 5, 1, 3-4).
Le incertezze, concludendo, sono molte. Quel che risulta con evidenza,
tuttavia, è la maggior ingerenza dello stato, che ovviamente si traduceva
in limitazioni ai poteri dei possessori del kleros. Il fatto, tuttavia che in un
momento che non possiamo precisare sia stato consentito di disporre del
kleros anche per testamento dimostra un progressivo ampliamento
dell’autonomia delle famiglie rispetto allo stato.
b) Gortina.
A differenza delle donne ateniesi, che non partecipavano all’eredità
paterna (ma avevano diritto solo a una dote), le donne gortinie vi
partecipavano, anche se in condizioni di inferiorità rispetto ai figli maschi.
A questi infatti, era riservata una serie di beni, sulla cui precisa
individuazione si discute (ma tra i quali rientravano certamente, ad
esempio, le case di città). Il resto era diviso in tre parti, due delle quali
Successivmente, per eliminare tutte le disuguaglianze e i contrasti, avrebbe tentato di dividere
anche i beni mobili, ma si sarebbe accorto della ostilità che questa misura avrebbe suscitato, per cui
avrebbe rinunciato e, per contrastare la loro avidità (greed), sarebbe ricorse ad altre misure … in
conseguenza delle quali, comunque (?) i più ricchi non avrebbero avuto modo di godere delle loro
ricchezze, perchè non c’ era outlet per esse, e avrebbero dovuto tenerle nei loro depositi
domestici.Lyc.,9)
28
Pomeroy, p.51-52
29
Anche a proposito della dote le fonti sono contraddittorie. Scrive infatti Plutarco (Plutarch,
Moralia 227-28) che per evitare che le donne povere restassero nubili era proibita la dote. Secondo
MacDowell, la contraddizione tra i due testi dimostrerebbe che i padri non rispettavano la legge
(MacDowell, 1987, 82).
27
14
andavano ai maschi e una delle quali era divisa tra le femmine,
indipendentemente dal loro numero (IV, 31-48) .
Pur non equiparate ai fratelli (come le donne romane, ad esempio), le
donne di Gortina, dunque, alla morte del padre acquistavano una certa
autonomia patrimoniale, come dimostrano, a Gortina, le norme che
regolavano il matrimonio della patroiochos, vale a dire l’ equivalente della
epikleros ateniese Ma le norme che regolavano la vita e i diritti ereditari
delle “ereditiere” gortinee erano diverse da quelle ateniesi.
Le linee 20-30 della IV colonna, infatti, stabilivano che se la ereditiera non
voleva sposare il parente più stretto (ho epiballon), poteva evitarlo
versando al pretendente respinto una compensazione patrimoniale, tenendo
per sé la casa di città e la metà degli altri beni. Una regola che,
indiscutibilmente, segnala un rispetto per la volontà delle donne del tutto
ignoto al diritto degli ateniesi.
Ma per tentare di avere un quadro quanto più possibile ampio della
condizione femminile a Gortina è necessario dedicare attenzione a un
argomento assolutamente fondamentale per capire questa condizione, vale
a dire i reati sessuali. La regolamentazione di questi reati, infatti, a Gortina
come altrove (e in ogni tempo) è una delle spie più chiare e significative
della mentalità di chi ha dettato le regole in materia di rapporto fra i sessi,
e solo a partire dalla loro individuazione è possibile capire quale ruolo
siadato – ammesso che un ruolo venga dato – al consenso femminile, e
cosa
si intenda per “violenza sessuale”. Quali erano, dunque, i comportamenti
considerati reati sessuali a Gortina?
Il primo di essi era la moicheia, negli ultimi anni oggetto di molte
ricerche, peraltro dedicate pressoché esclusivamente ad Atene. Poca
attenzione, invece, è stata data alla moicheia a Gortina, nonostante la
Grande Epigrafe offra informazioni assai più ampie e dettagliate di quelle
fornite dalle fonti attiche (e, come vedremo, aiuti a risolvere alcuni
problemi lasciato aperti da questa1
PLUT., Sol., 20,4.
2
DEM., c. Macart., 59.
(05
15
ai paragrafi 20-28 della II colonna della Grande Epigrafe, si legge:
se qualcuno è sorpreso mentre commette “moicheia” su una donna
nella casa del padre, del fratello o del marito di lei, pagherà cento
stateri.Se nella casa di un’altra persona, cinquanta.
Se sulla donna di un “apetairos” (pagherà) dieci stateri Ma se uno
schiavo (commette” moicheia”) su donna libera, pagherà il
doppio. E se uno schiavo su una schiava, cinque.
L’Epigrafe, dunque, conferma chiaramente che la moicheia era un reato
più ampio di quello che oggi chiamiamo adulterio: ovviamente, la donna
gortinia che commetteva moicheia nella casa del padre o del fratello altro
non poteva essere che nubile, divorziata, o vedova. Difficile pensare che
una donna sposata scegliesse la casa paterna come luogo per commettere
l’adulterio.
E ora veniamo alla pena: a Gortina la pena per l’adulterio era pecuniaria, e
ai maschi della famiglia non era consentito uccidere impunemente il
moichos, come in determinati casi accadeva ad Atene. In altre parole, il
diritto di Gortina imponeva l’accettazione di una compensazione (che nel
diritto attico i parenti della vittima erano liberi di rifiutare) e stabiliva
tassativamente la misura di questa. Siamo di fronte, evidentemente, a due
momenti diversi di evoluzione delle regole del diritto penale.
Altra considerazione interessante: la pena era maggiore se la moicheia era
stata commessa nella casa del padre, del marito o del fratello della donna,
ed era minore se il reato veniva commesso con la donna di un apetairos o
di uno schiavo, vale a dire di persone di status inferiore.Evidentemente, la
moicheia era punita come reato non solo perché mettevain dubbio la
certezza che nella famiglia non entrassero figli spuri, ma anche e
soprattutto perché il comportamento sessualmente trasgressivo di una
donna ledeva l’onore familiare, diverso a seconda della collocazione
sociale del capofamiglia. Di conseguenza, la moicheia con donna
appartenente
a famiglia di livello sociale inferiore era reato meno grave di quella
con donna appartenente a famiglia di rango più elevato.
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