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Macroeconomia
2013-14
Struttura del corso
1) Elementi di contabilità nazionale: definizione e metodi di
misurazione delle principali grandezze macroeconomiche
2)
Teoria keynesiana del reddito e dell’occupazione e confronto con
la teoria tradizionale pre-keynesiana
1) - in presenza di settore pubblico
2) - in economia aperta
3)
La Moneta e il sistema bancario, il tasso di interesse
4)
Gli investimenti aggregati
5)
Il Modello macroeconomico della ‘sintesi neo-classica’ e la poltica
economica in economia chiusa e aperta
6)
Diverse spiegazioni della disoccupazione
7)
L’inflazione
Elementi di Contabilità Economica
Nazionale
Produzione lorda vendibile, PIN e PIL,
Consumi, investimenti, risparmi, domanda
aggregata
Descrizione di una economia
• Per il momento supponiamo di descrivere un’economia ‘chiusa’, in
cui non c’è né tassazione né spesa pubblica ed il sistema
economico è composto solo da tre settori produttivi, le industrie del
grano, del ferro e del pane, che vengono prodotti per mezzo di
grano ferro e lavoro. Grano e ferro sono capitali circolanti ovvero
beni intermedi (cioè mezzi di produzione che si consumano per
intero nel ciclo produttivo)
• [1]
• [2]
• 3
80g * 15f * 10L → 300g
30g * 10f * 5L → 100f
20g * 5f * 25L → 200p
Produzione lorda vendibile
• La produzione lorda vendibile è la somma del il valore
di tutti i beni prodotti nell’economia. Nel nostro esempio
numerico è la somma del valore di tutte le merci le cui
quantità appaiono sul lato destro:
• prezzo del grano (bene 1), del ferro (bene 2) e del pane (bene 3), la
produzione lorda vendibile PLV è
• PLV = 300p1+100p2+200p3.
• Ad esempio se p1=10, p2=20, p3=5, allora PLV = 6000.
Cosa entra nella PLV, PIN e PIL
•
NB: entrano nel valore della produzione lorda vendibile (e quindi anche del
Pin e Pil da questa ricavati come vedremo) oltre alle merci fisiche prodotte,
anche:
•
Servizi prodotti per la vendita e che hanno un prezzo di mercato (i
servizi di cura forniti da un asilo infantile privato; il servizio di trasporto di un
tassista; il servizio di distribuzione al dettaglio delle merci reso dalle attività
commerciali, eccetera)
•
Servizi prodotti dal settore pubblico (PA, Sanità, istruzione, trasporto
pubblico) anche quando forniti gratuitamente.
•
Non entra quanto prodotto dal lavoro domestico, ma: entra il valore
(stimato) della produzione per l’autoconsumo (ad es. produzione agricola
per autoconsumo)
•
NB: La stima del valore della produzione lorda vendibile viene fatta a partire
dal fatturato delle imprese per la produzione di beni e servizi del settore
privato. Viene stimato a partire dai costi di produzione per i servizi prodotti
dal settore pubblico
PRODOTTO INTERNO NETTO
• Il PIN è il valore della produzione lorda vendibile meno il
valore di ciò che è stato consumato nel corso della sua
produzione. Nel nostro esempio numerico il capitale è
tutto circolante (cioè viene consumato per intero nel
processo produttivo del periodo considerato - un anno)
• Quindi nel nostro esempio
• [1]
• [2]
• 3
80g * 15f * 10L → 300g
30g * 10f * 5L → 100f
20g * 5f * 25L → 200p
• PIN = (300p1+100p2+200p3)–(130p1+30p2) =
170p1+70p2+200p3 = 2840
Con p1=10, p2=20, p3=5
• IL PIN può essere visto anche come la somma del
valore dei prodotti netti fisici dei diversi beni
• i prodotti netti fisici si ottengono sottraendo dalla
produzione di ciascun bene la quantità di quel bene
consumata come mezzo di produzione in tutta
l'economia, dunque in tutte e tre le industrie.
• Il pane non è usato come mezzo di produzione e il suo
prodotto netto fisico coincide con il prodotto totale;
• i due prodotti netti fisici di grano e ferro consistono
invece rispettivamente di 300-130=170 unità di grano, e
100-30=70 unità di ferro, e possiamo scrivere
• PIN = (300–130)p1+(100–30)p2+200p3,
• che è lo stesso risultato di prima
CAPITALE FISSO E AMMORTAMENTO
• Consideriamo adesso una economia simile alla precedente in cui si
utlizza anche capitale fisso nella produzione di grano (trattori)
• Quindi ora dovremo considerare che ai settori produttivi si deve
aggiungere quello che produce i trattori
• Supponiamo per semplicità che i trattori abbiano una vita economica
utile di soli tre anni, per cui vengono utilizzati solo trattori che
all'inizio dell'anno sono o nuovi, o vecchi di un anno, o vecchi due
anni; i trattori vecchi tre anni sono inutili, valgono zero e vengono
gettati via
• Supponiamo che la quantità prodotta di grano sia la stessa che
nell'esempio precedente, ma ora impieghi anche 10 trattori nuovi, 8
trattori vecchi un anno e 5 trattori vecchi due anni (che supponiamo
siano appunto le quantità di trattori di cui l'economia dispone
all'inizio dell'anno); e che si producano 12 trattori nuovi
Economia con capitale fisso
[4] 80g * 15f * 10L * 10T0 * 8T1 * 5T2 → 300g *10T1* 8T2
5]
30g * 10f * 5L → 100f
6
20g * 5f * 25L → 200p
[7]
10g * 20f * 20L → 12T0
• Dove T0, T1,T2, indicano i trattori, nuovi, invecchiati di un
anno, invecchiati due anni
• L’ammortamento è la perdita di valore del capitale
fisso nel corso del processo produttivo
Ammortamento
• Siano pT0, pT1, pT2 i prezzi dei trattori di diverse ‘età’
• Nel nostro esempio il valore iniziale del capitale utilizzato nel settore
del grano era
• 10T0 pT0 + 8T1 pT1 + 5T2 pT2
• Mentre alla fine del processo produttivo nel settore del grano
abbiamo
• 10T1 pT1 + 8T2 pT2 e quindi
• Ammortamento = 10(pT0–pT1) + 8(pT1–pT2) + 5 pT2
Definizione di PIN quando c’è capitale fisso
• In presenza di beni capitali fissi si ha
• PIN = PLV - valore beni intermedi – ammortamento
• Il valore del prodotto netto del settore che produce beni
capitali è pari al valore dei beni capitali nuovi meno
l’ammortamento, che è anche l’aumento del valore dello
stock di capitale (trattori) nell’economia:
• 12pT0 – [10(pT0– pT1) + 8(pT1–pT2) + 5 pT2 ]
• 2pT0+2pT1+3pT2
• E quindi
• PIN = 160p1+ 50p2+200p3 + 2pT0+2pT1+3pT2
Le scorte e la loro variazione
• Le scorte sono gli stocks di beni intermedi e prodotti finiti
posseduti dalle imprese
• Questi stocks fanno parte, per definizione, del capitale
delle imprese
• Pertanto la variazione del valore delle scorte fa parte del
PIN allo stesso modo della variazione del valore dello
stock di capitale fisso
• Infatti per ogni prodotto vale l’identità:
• Stock iniziale + produzione durante l’anno ≡ consumo
produttivo durante l’anno + vendite ai consumatori + stock
finale
• E quindi il prodotto netto fisico di ciascun bene sarà:
• produzione durante l’anno - consumo produttivo durante l’anno
= vendite ai consumatori + (stock finale – stock iniziale)
• PIN = valore della produzione – valore di quanto viene
consumato nel processo produttivo = valore dei beni
venduti ai consumatori + variazione del valore dello
stock di beni capitali fissi + variazione del valore delle
scorte
• Valore dei beni venduti ai consumatori = consumo
aggregato
• Variazione del valore dello stock di capitale fisso e delle
scorte = Investimento netto ex-post
Quindi PIN ≡ C + IN ex-post
Prodotto interno lordo
• PIL ≡ PLV – valore dei beni intermedi
• Differisce dal PIN perché non si sottraggono gli
ammortamenti. E’ quindi una misura al lordo degli
ammortamenti.
• Nozione concettualmente ‘ibrida’ e meno soddisfacente
di PIN, ma molto più usata a causa delle difficoltà di
stima dell’ammortamento
PIL ≡ valore di beni e servizi venduti ai consumatori +
Valore della variazione delle scorte + valore dei beni
capitali durevoli di nuova produzione
Destinazione dei beni e servizi che compongono il PIL
• I beni ‘finali’ di cui è composto il PIL si
distinguono in
• C ≡ consumo aggregato
• Iex post ≡ Investimenti lordi ex post
• PIL ≡ C + Iex post
• Seguendo l’uso comune, useremo di seguito il
concetto di PIL e quindi di Investimenti lordi, se
non diversamente precisato
Variazioni programmate e non programmate delle
scorte
• NB:
• Negli investimenti ex post abbiamo incluso l’intera variazione delle
scorte. Tuttavia la variazione delle scorte (sia di beni intermedi che
di prodotti finiti) può avere ragioni MOLTO diverse tra loro:
• A) una scelta delle imprese che programmano di aumentare
(diminuire) le scorte per far fronte alla produzione ed alle vendite
(scorte programmate)
• B) il risultato non previsto di una difformità tra la produzione e le
vendite programmate dalle imprese e quelle effettivamente
realizzate (ad es, scorte non utilizzate di beni intermedi, scorte di
prodotti finiti invenduti)
VALORE AGGIUNTO
•
•
•
Il valore aggiunto (lordo) di una impresa è dato da:
valore del prodotto – il costo dei beni intermedi utilizzati.
Aggregando per tutte le imprese otteniamo:
•
PIL ≡ VA
•
Ma il valore aggiunto rappresenta anche i redditi. Infatti per una singola
impresa
VA = costi diversi dai beni intermedi (redditi da lavoro, interessi, rendite) +
utili lordi dei proprietari dell’impresa (redditi da capitale)
NB: il reddito dell’imprenditore è un reddito da lavoro autonomo; il reddito
del proprietario dei beni capitali è reddito da capitale, cioè profitto. Nel
caso di proprietà azionaria i profitti vengono distribuiti in tutto o in parte
come dividendi agli azionisti; la parte che rimane all’impresa sono i profitti
lordi di impresa (comprensivi dell’ammortamento).
Aggregando per l’intera economia: PIL ≡ VA ≡ Reddito interno lordo.
In una economia senza rapporti con l’estero RIL ≡ Reddito Nazionale
Lordo
•
•
•
•
• Analogamente in economia chiusa
• PIN ≡ RIN ≡ RNN
• Dove come si ricorderà tutte le grandezze sono al netto del valore
dell’ammortamento.
• La differenza tra PIL e PNL/RNL in economia aperta:
• ‘interno’ si riferisce a redditi derivanti da attività svolte sul territorio
Italiano, anche da non residenti
• ‘nazionale’ si riferisce ad attività svolte da soggetti con nazionalità e
sede fiscale in Italia, anche se svolte all’estero
• Esempi: se un architetto americano la cui attività ha sede legale e
fiscale negli USA realizza un progetto in Italia il suo reddito entra nel
PIL ma non nel RNL
• Se un’impresa di progettazione italiana (con sede legale e fiscale in
italia) realizza un progetto in un paese estero, i redditi ottenuti
entrano nel RNL ma non nel PIL
• NB: i redditi percepiti da immigrati che svolgono la loro attività sul
territorio italiano e vivono in Italia entrano sia nel PIL che nel RNL
Gli impieghi del Reddito Nazionale Lordo
• In un dato periodo il reddito nazionale lordo può:
• Essere speso per acquistare beni di consumo da parte delle famiglie
che hanno percepito redditi da lavoro o da capitale questa spesa è il
consumo aggregato C
• Ogni altro impiego del reddito (tenerlo nel cassetto, accantonarlo
come fondi di impresa, o l’accumulo di scorte invendute presso le
imprese) è definito Risparmio lordo e indicato con la lettera S
(dalla parola inglese savings)
• Quindi per definizione RNL ≡ C+S
• Se partiamo dal RNN questo sarà pari a C + risparmio netto
• NB: i profitti trattenuti dalle imprese rientrano per definizione nei
risparmi (lordi), quindi S=risparmi delle famiglie+risparmi delle
imprese
Destinazioni del PIL e impieghi del RNL
• Dalle definizioni viste sin qui discende che
• PIL ≡ C + I ex-post
• RNL ≡ C + S
• PIL ≡ RNL
quindi
• Da cui per definizione
S ≡ I ex-post
C + S ≡ C + I ex-post
I risparmi e gli investimenti ex-post sono per definizione la stessa
cosa, cioè quella parte del PIL/RNL che non è venduta/acquistata a
fini di consumo. Si tenga a mente che gli I ex-post e i S comprendono
la variazione delle scorte sia nella componente programmata dalle
imprese che in quella non programmata
La spesa o domanda aggregata non coincide con il PIL
• La spesa o domanda aggregata o domanda effettiva
(lorda) consiste di consumi + investimenti
programmati (lordi)
• Gli investimenti programmati detti anche Investimenti
ex-ante che fanno parte della domanda aggregata sono
diversi dagli Investimenti ex-post definiti nella
contabilità nazionale.
• Nella contabilità nazionale I ex-post sono definiti come
PIL - C e coincidono con il valore di tutti i beni capitali
prodotti inclusi quelli che entrano nella variazione delle
scorte (anche come beni finiti invenduti e come beni
intermedi inutilizzati)
Investimenti programmati
• Gli investimenti che entrano nella domanda aggregata
sono invece gli investimenti desiderati o programmati
dalle imprese costituiti dalla spesa volontaria delle
imprese per l’acquisto di beni di investimento (inclusa la
variazione desiderata o programmata delle scorte)
• Indicando d’ora in avanti semplicemente con I gli
investimenti programmati, abbiamo:
• I = Iex-post – variazione non programmata delle scorte
• O anche, per quanto già visto:
• I = S – variazione non programmata delle scorte
•
•
•
•
Dunque Domanda aggregata e PIL sono diversi
PIL ≡ C + I + VNPS ≡ C+S
D≡C+I
Si avrà uguaglianza tra D e Pil, e le imprese non si
troveranno dunque ad aver prodotto troppo o troppo
poco rispetto a quanto viene acquistato da famiglie (beni
di consumo) e imprese (beni di investimento) solo
quando
• I=S
• In una economia chiusa e senza settore pubblico questa
è la condizione di equilibrio macroeconomico tra
domanda e produzione.
• Se invece I>S si avrà D>PIL; se I<S si avrà D<PIL
Perché si usa il PIL e non PLV per misurare la
produzione di un paese
• [1]
• [2]
• 3
80g * 15f * 10L → 300g
30g * 10f * 5L → 100f
20g * 5f * 25L → 200p
• con p1=10, p2=20, p3=5
• PLV = 300p1+100p2+200p3 = 6000
• Nel valore 6000 della PLV il valore dei beni intermedi è contato due
volte: come parte del valore della produzione in cui sono utilizzati e
come prodotti del proprio settore.
• Vediamo perchè
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Prendiamo il valore del pane, supponendo che w = 26,8 sia il salario, il
corrispondente saggio di profitto nell’economia sia = 0,1 (cioè il 10%), e
p1=10, p2=20, p3=5
Il processo produttivo è 20g * 5f * 25L → 200p
Quindi avremo
20p1 + 5p2 + (20p1+5p2) + 25w = 200p3
Sostituendo:
20x10 + 5x20 + 0,1x300 + 25x26,8 = 200x5
E quindi
200 + 100 + 30 + 670 = 1000
Il valore di 200 del grano e di 100 del ferro entrano nella PLV come parte
del valore del pane, ma entrano anche come parte del valore del grano
complessivamente prodotto e del ferro complessivamente prodotto. Tanto
più frazionati sono i processi produttivi tante più volte contiamo il valore
degli stessi prodotti.
Quindi il PIL che è la somma del valore dei prodotti netti delle diverse
industrie è una misura migliore: il grano e il ferro usati nella produzione del
pane vengono contati una sola volta, come parte del valore del pane.
FLUSSI e STOCKS
• Sono grandezze di flusso quelle che devono essere
riferite ad un periodo di tempo: la produzione, il
risparmio, l’investimento, il consumo devono essere
riferiti a un periodo (anno, trimestre ecc.)
• Le grandezze che sono stocks debbono esere misurate
in un certo istante: lo stock di capitale, di ricchezza, di
debito
• Alcune grandezze di flusso rappresentano variazioni
degli stocks: un investimento netto positivo fa aumentare
lo stock di capitale (viceversa se è negativo). Un
risparmio positivo delle famiglie fa aumentare la
ricchezza delle famiglie.
•
•
•
•
PIL nominale e reale
Il PIL che abbiamo definito e misurato negli esempi
numerici precedenti era il Pil nominale, cioè misurato ai
prezzi ‘correnti’ cioè i prezzi delle merci nell’anno in cui
il PIL viene misurato
Utilizzando ora i simboli comunemente usati nei modelli
macroeconomici indichiamo
YN ≡ PIL ≡ VA ≡ RNL calcolato ai prezzi correnti
Yj ≡ prodotto netto fisico dell’industria j
• Dove il pedice j = 1…n indica il settore/industria.
•
•
•
•
•
Nel caso di tre merci, nell’anno t avremo
YNt ≡ p1tY1t+p2tY2t+p3tY3t
Nel caso di n merci scriviamo in forma più compatta
YNt ≡ Ʃj pjtYjt con j che varia da 1 a n
YNt è il PIL nominale nell’anno t
Costruzione del Pil ‘reale’
• Supponiamo di voler confrontare il PIL di un paese in
due diversi anni. Se confrontiamo il PIL nominale di due
diversi anni però non sappiamo quanto la differenza
dipenda da variazioni dei prezzi o da variazioni delle
quantità:
• YNt ≡ Ʃj pjtYjt
• YNt-1 ≡ Ʃj pjt-1Yjt-1
• Il procedimento che si adotta per calcolare le variazioni
‘reali’ cioè delle quantità prodotte è quello di tenere
invariati i prezzi. Si sceglie un anno base che
indicheremo come ‘anno 0’ con t=0
Costruzione del PIL reale cont.
• Scelto l’anno base, si calcola il PIL reale di ogni periodo
moltiplicando le quantità prodotte in quel periodo per i prezzi
dell’anno base.
• Yt ≡ Ʃj pj0Yjt
• Yt-1 ≡ Ʃj pj0Yjt-1
•
Dove Yt e Yt-1 indicano il PIL reale nei due periodi
• Supponiamo che Yt/Yt-1 = 1,05
• Poiché i per costruzione i prezzi sono gli stessi, possiamo affermare
che il Pil in termini reali è cresciuto del 5%
• Naturalmente, per definizione, nell’anno scelto come anno base PIL
nominale e reale coincidono
Misurare la variazione del livello dei prezzi
• Il rapporto tra PIL nominale e PIL reale in un dato anno
ci dice quanto i prezzi sono variati rispetto all’anno base:
• Ʃj pjtYjt / Ʃj pj0Yjt
• Infatti le quantità prodotte sono le stesse (quelle
dell’anno t) mentre i prezzi al numeratore sono quelli
dell’anno t e al denominatore sono quelli dell’anno 0.
• Supponiamo che quel rapporto sia 1,12, questo significa
che il livello dei prezzi è aumentato del 12% tra l’anno
base e il periodo t.
• Supponiamo che
• Ʃj pjt-1Yjt-1 / Ʃj pj0Yjt-1
• sia pari a 1,09. questo significa che tra t-1 e t il livello dei
prezzi è cresciuto del 3%
• In modo approssimato
variazione% di YN=variazione% di Y + variazione% di P
• Dove P indica il livello generale dei prezzi
Alcune definizioni riguardanti il mercato del lavoro
• Occupati: tutte le persone che svolgono un’attività
lavorativa – sia dipendente che autonoma. (sono
occupati anche coloro che si trovano in ferie, in malattia
o in cassa integrazione). In Italia circa ¾ degli occupati
sono lavoratori dipendenti; ¼ lavoratori autonomi.
• Disoccupati: Persone che non svolgono attività
lavorativa retribuita e che la cercano attivamente
(definizione ISTAT: che hanno svolto azioni di ricerca nel
corso dell’ultimo mese)
• Inattivi: persone che non hanno un’attività retribuita e
non sono attivamente alla ricerca di occupazione,
comprendono gli studenti, le casalinghe, i pensionati.
• Forze di lavoro (offerta di lavoro): la somma di occupati
e disoccupati, cioè l’insieme di persone disponibili a
lavorare.
• Domanda di lavoro: Occupati + posti vacanti presso le
imprese, cioè il numero di lavoratori che le imprese
desiderano impiegare.
• NB: Tra gli inattivi possono esservi persone che in realtà
sarebbero disponibili a entrare sul mercato del lavoro ma
che sono scoraggiate a farlo dalla mancanza di
opportunità. Per questo motivo la reale offerta di lavoro
può essere in effetti maggiore di quanto indicato dalla
definizione di Forze di lavoro.
L’equilibrio macroeconomico tra domanda aggregata e
PIL
•
•
•
•
Abbiamo già visto in precedenza che
PIL ≡ C + I + VNPS ≡ C+S
D≡C+I
Si avrà uguaglianza tra D e Pil, e le imprese non si
troveranno dunque ad aver prodotto troppo o troppo
poco se
• I=S
• Se invece I>S si avrà D>PIL; se I<S si avrà D<PIL.
• Nella storia del pensiero economico si sono succedute
diverse
• analisi del rapporto tra risparmi e investimenti.
La legge di SAY
• Gli economisti classici inglesi (Smith, Ricardo)
ritenevano che il risparmio si sarebbe comunque tradotto
in ogni dato periodo in investimento produttivo, o perché
chi risparmiava lo faceva al fine di investire
produttivamente o perché avrebbe prestato i propri
risparmi a qualcuno per investirli. Questa idea di
uguaglianza tra risparmi e investimenti viene detta ‘legge
di Say’ o ‘legge degli sbocchi’
• La legge di Say implica che non si verificano mai
carenze di domanda aggregata e che l’accumulazione di
capitale e la crescita dell’economia dipendono dal
risparmio
Critiche alla legge di Say
• Marx criticò la legge di Say argomentando che vi
possono essere in ogni periodo decisioni di risparmio
che non danno luogo a nessuna corrispondente
decisione di investimento, così come si può investire
indipendentemente dalla disponibilità di risparmi.
• Così Marx e altri economisti videro la possibilità di
ricorrenti ‘crisi di realizzazione’ dovute all’impossibilità di
vendere tutte le merci prodotte (ciò accade come
sappiamo quando D<PIL, cioè I<S)
• Tuttavia non furono in grado di formulare una compiuta
teoria per la determinazione del reddito che tenesse
conto del ruolo della domanda aggregata.
Investimenti e risparmi nella teoria marginalista o
neoclassica
• Alla fine dell’ottocento/ inizio novecento si afferma
l’impostazione di analisi economica detta marginalista o
neoclassica (fondatori: Marshall, Jevons, Walras,
Wicksell) che afferma su basi diverse l’idea che gli
investimenti tendono sempre ad eguagliare i risparmi
aggregati: si sostiene che la domanda di capitale è
decrescente rispetto al tasso di interesse, e così di
conseguenza anche l’investimento aggregato.
• La concorrenza sul ‘mercato dei prestiti’ dove i
risparmaitori offrono i risparmi e gli investitori chiedono
prestiti tenderà a fissare il tasso di interesse a quel
valore tale che risparmi e investimenti sono uguali tra
loro
• Il tasso di interesse è il rendimento (espresso in
percentuale) delle somme date/prese a prestito.
• Si riteneva che al diminuire del tasso di interesse
diventassero più convenienti (meno costose) per le
imprese tecniche di produzione con un più alto rapporto
tra capitale e lavoro: L’incremento dello stock di capitale
desiderato al diminuire del tasso di interesse implica un
investimento netto positivo (tanto maggiore quanto
maggiore è la diminuzione del tasso di interesse e
l’aumento desiderato dello stock di capitale)
Se gli investimenti aumentano al diminuire del tasso di interesse, la
concorrenza porta gli investimenti a eguagliare i risparmi
i
S
I
I,S
• Dunque la teoria marginalista o neoclassica, oggi ancora
molto influente, porta a concludere che in ogni periodo
gli investimenti si adeguano all’ammontare dei risparmi,
e non possono quindi verificarsi carenze di domanda
aggregata rispetto al livello di produzione.
• Inoltre, in questa teoria si afferma anche che il livello di
produzione sarà quello corrispondente al pieno impiego
del lavoro, purchè i salari reali siano flessibili. Infatti se
quando c’è disoccupazione i lavoratori accettano di
lavorare per un salario più basso (si fanno concorrenza
sul mercato del lavoro) allora sarà conveniente per le
imprese adottare metodi di produzione che usano un
rapporto più elevato tra lavoro e capitale.
Il mercato del lavoro nella teoria neoclassica
• W=salario; Lo= offerta di lavoro; Ld=domanda di lavoro
w
Lo
Ld
Ld, Lo
Conclusioni della teoria neoclassica e critiche
• Se salario e tasso di interesse sono flessibili, il sistema
economico tende alla piena occupazione del lavoro
• Non si verificano nell’economia fenomeni di carenza (o
eccesso) di domanda aggregata rispetto alla produzione:
gli investimenti si adeguano ai risparmi
• Critiche: Nel corso del novecento questa impostazione
di teoria economica è stata messa in discussione prima
(nel 1936) da Keynes nella Teoria Generale attraverso la
proposizione di una diversa teoria del reddito e
dell’occupazione. Poi negli anni ’60 da Sraffa e altri che
hanno messo in discussione i fondamenti delle curve di
domanda decrescenti di lavoro e capitale (e
investimento)
Il circuito reddito spesa senza settore pubblico e senza rapporti
con l’estero
• Le imprese per definizione: producono beni, distribuiscono reddito,
investono.
• Le famiglie per definizione ricevono reddito (da lavoro, capitale,
rendite), consumano, risparmiano.
Reddito
Imprese
Investimento
Famiglie
Consumo
Risparmio
La teoria keynesiana del reddito: il modello redditospesa
• Ipotesi:
• è possibile accrescere occupazione e produzione
nell’economia
• Gli investimenti aggregati sono dati, non dipendono dal
reddito corrente per il loro finanziamento, e vengono
considerati solo come componente della domanda
aggregata (acquisto di beni destinati alla produzione).
Non si prendono in considerazione dunque i loro effetti di
creazione (o distruzione) di capacità produttiva nei
periodi successivi
La funzione del consumo
• Il consumo aggregato è la componente principale della
domanda aggregata. Da cosa dipende?
• I dati mostrano, come del resto è intuibile, una forte
dipendenza dal reddito delle famiglie (cioè dal PIL).
• Diciamo dunque che il consumo delle famiglie è una
funzione crescente del reddito, con pendenza minore di
1: cioè quando Y aumenta anche i consumi aumentano,
ma di meno: In Italia, in base ai dati relativi al 1970-2001
(vedi libro di testo), per ogni miliardo in più di reddito
delle famiglie il consumo cresce di 783 milioni, e cioè:
• C = 2,89 + 0,783 Y
• La rappresentazione più semplice della funzione del
consumo è la seguente:
• C = C0 + cY
C
C
c
C0
Y
• C0 = ‘consumi autonomi’:
• è l’intercetta della funzione, e rappresenta i
consumi non finanziati dal reddito corrente (ma
dal credito, o dalla riduzione della ricchezza
privata)
• c = ‘propensione marginale al consumo’:
• È la pendenza della retta, e indica quanto
variano i consumi al variare del reddito
• c = ΔC/ ΔY
• La propensione media al consumo è invece data
dal rapporto tra consumi complessivi e reddito
• La funzione del consumo mostra che c’è una
interdipendenza tra domanda aggregata (di cui i consumi
fanno parte) e PIL. Nonostante questo, come vedremo, il
fatto che la propensione marginale al consumo sia
minore di 1 consente di arrivare a determinare in modo
preciso gli effetti di una variazione della domanda
aggregata sul PIL.
• La domanda aggregata è:
• D = C + I = C0 + cY + I
Y* è il reddito di equilibrio
Macroeconomico
In fatti solo in Y*
D=Y
D
C+I
c
C0 + I
45
Y*
Y
Tendenza verso l’equilibrio
In Y’: D < Y le imprese ridurranno la produzione
In Y’’: D > Y le imprese aumenteranno la produzione la produzione
D
C+I
C0 + I
45
Y’’ Y*
Y’
Y
Determinazione algebrica del reddito di equilibrio
Abbiamo appena visto la rappresentazione grafica del modello
keynesiano reddito-spesa. Arriviamo alla stessa soluzione
algebricamente.
1.
C = C0 + cY
2.
I = I0
3.
D ≡ C0 + cY + I0
4.
Y = C0 + cY + I0
Dove la 4 è la condizione di equilibrio che impongo al sistema.
Risolvendo la equazione 4 in Y ottengo il livello di produzione che
soddisfa la condizione di uguaglianza tra domanda aggregata e
produzione:
Y* = (C0 + I0) / (1-c)
Variazione delle componenti autonome della domanda
e variazioni del reddito di equilibrio
•
Da un punto di vista algebrico si può facilmente verificare (farlo per
esercizio) che se c’è una variazione pari a I0, l’effetto su Y di
equilibrio macroeconomico sarà:
Y= I0 / (1-c)
• E nel caso di una variazione di C0, l’effetto su Y è:
Y= C0 / (1-c)
• Il termine 1/(1-c) è detto moltiplicatore keynesiano o moltiplicatore
del reddito. Poiché c < 1, il moltiplicatore è maggiore dell’unità.
• Quindi: la variazione di una componente autonoma della domanda
induce una variazione del Pil di ammontare maggiore nella stessa
direzione
Il processo economico sottostante al moltiplicatore
• Cerchiamo di comprendere il processo economico che fa
sì che un incremento iniziale di una componente
autonoma di domanda si traduca in un aumento della
produzione/reddito di grandezza maggiore.
• Indichiamo con A= I0+C0 la somma delle componenti
autonome della domanda
• La variazione iniziale di una componente autonoma della
domanda A genera un aumento della produzione e del
reddito di pari ammontare. Una parte di questo reddito
aggiuntivo verrà spesa in beni di consumo generando
una ulteriore domanda di beni c A a cui corrisponderà
un pari aumento della produzione/reddito, di cui una
parte verrà destinata all’acquisto di beni di consumo pari
a c2 A e così via
• Avremo dunque una serie di incrementi successivi di domanda (e
conseguentemente di produzione/reddito) pari a
A + c2 A + c3 A + c4 A +… cn A…
• La variazione complessiva del raddito è la somma di tutti questi
incrementi che possiamo scrivere:
Y = A(1+c+ c2 + c3 +….)
Il limite della sommatoria tra parentesi per un numero di termini che tende a
infinito è (1/1-c) e quindi, proprio come avevamo già trovato:
Y = A / (1-c)
Questo ci mostra che il processo di convergenza verso il nuovo equilibrio è
graduale e richiede tempo per svilupparsi completamente
La funzione di risparmio e il reddito di equilibrio
• Vediamo ora lo stesso processo di determinazione del
reddito da un altro punto di vista, che ci fa vedere in
modo più diretto che la variazione del reddito di equilibrio
in seguito al una variazione della domnda aggregata,
determina una variazione dei risparmi aggregati,
portandoli ad eguagliare l’ammontare degli investimenti.
• Ricaviamo per prima cosa la funzione del risparmio.
• S≡Y-C
• E quindi
• S = Y - C0 – cY = -C0 + (1- c) Y
Rappresentazione grafica della funzione del risparmio
S
S = -C0 +sY
s ≡ 1-c
s=1-c
-C0
Y
Rappresentazione dell’equilibrio
I0,S
S = -C0 +sY
s ≡ 1-c
I = I0
I0
s
-C0
Y*
Y
Rappresentazione dell’equilibrio
I0,S
S = -C0 +sY
s ≡ 1-c
I’
I’ – I0 = ΔS
I0
-C0
Y*
Y**
Y
• Un aspetto molto importante della teoria Keynesiana del
reddito è che:
• gli investimenti aggregati determinano i risparmi
aggregati attraverso le variazioni del livello della
produzione/reddito.
Il paradosso della parsimonia
• Quanto appena detto circa il fatto che sono gli investimenti a
determinare i risparmi implica che se le famiglie cercano di
risparmiare di più, aumentando la propria propensione a
risparmiare, ciò farà variare (in questo caso diminuire) il reddito di
equilibrio macroeconomico, mentre i risparmi aggregati rimangono
invariati.
S=-C0+s’Y
s’> s
S=-C0+sY
I0
-C0
Y*
Y**
Le implicazioni del modello keynesiano reddito-spesa
• Il reddito di equilibrio macroeconomico può essere
diverso, e normalmente sarà diverso, dal livello di
produzione corrispondente alla piena occupazione del
lavoro. E’ dunque possibile l’esostenza di
disoccupazione ampia e persistente
• Il livello di produzione/reddito e la corrispondente
occupazione di lavoro dipendono dai parametri del
modello, che nel caso semplice studiato sin qui sono le
componenti autonome della domanda (investimenti e
consumi autonomi) e la propensione marginale al
consumo
• Una variazione delle componenti autonome della domanda
determina una variazione dello stesso segno e di importo maggiore
del livello di produzione / reddito di equilibrio.
• Una caduta della domanda determina inizialmente una
sovrapproduzione di beni e un accumulo indesiderato di scorte, che
viene poi eliminato attraverso la riduzione del livello di produzione
• La diminuzione della produzione riporta il sistema verso una
situazione di equilibrio in cui domanda aggregata e PIL sono uguali
(i risparmi sono uguali agli investimenti aggregati).