Macroeconomia 2013-14 Struttura del corso 1) Elementi di contabilità nazionale: definizione e metodi di misurazione delle principali grandezze macroeconomiche 2) Teoria keynesiana del reddito e dell’occupazione e confronto con la teoria tradizionale pre-keynesiana 1) - in presenza di settore pubblico 2) - in economia aperta 3) La Moneta e il sistema bancario, il tasso di interesse 4) Gli investimenti aggregati 5) Il Modello macroeconomico della ‘sintesi neo-classica’ e la poltica economica in economia chiusa e aperta 6) Diverse spiegazioni della disoccupazione 7) L’inflazione Elementi di Contabilità Economica Nazionale Produzione lorda vendibile, PIN e PIL, Consumi, investimenti, risparmi, domanda aggregata Descrizione di una economia • Per il momento supponiamo di descrivere un’economia ‘chiusa’, in cui non c’è né tassazione né spesa pubblica ed il sistema economico è composto solo da tre settori produttivi, le industrie del grano, del ferro e del pane, che vengono prodotti per mezzo di grano ferro e lavoro. Grano e ferro sono capitali circolanti ovvero beni intermedi (cioè mezzi di produzione che si consumano per intero nel ciclo produttivo) • [1] • [2] • 3 80g * 15f * 10L → 300g 30g * 10f * 5L → 100f 20g * 5f * 25L → 200p Produzione lorda vendibile • La produzione lorda vendibile è la somma del il valore di tutti i beni prodotti nell’economia. Nel nostro esempio numerico è la somma del valore di tutte le merci le cui quantità appaiono sul lato destro: • prezzo del grano (bene 1), del ferro (bene 2) e del pane (bene 3), la produzione lorda vendibile PLV è • PLV = 300p1+100p2+200p3. • Ad esempio se p1=10, p2=20, p3=5, allora PLV = 6000. Cosa entra nella PLV, PIN e PIL • NB: entrano nel valore della produzione lorda vendibile (e quindi anche del Pin e Pil da questa ricavati come vedremo) oltre alle merci fisiche prodotte, anche: • Servizi prodotti per la vendita e che hanno un prezzo di mercato (i servizi di cura forniti da un asilo infantile privato; il servizio di trasporto di un tassista; il servizio di distribuzione al dettaglio delle merci reso dalle attività commerciali, eccetera) • Servizi prodotti dal settore pubblico (PA, Sanità, istruzione, trasporto pubblico) anche quando forniti gratuitamente. • Non entra quanto prodotto dal lavoro domestico, ma: entra il valore (stimato) della produzione per l’autoconsumo (ad es. produzione agricola per autoconsumo) • NB: La stima del valore della produzione lorda vendibile viene fatta a partire dal fatturato delle imprese per la produzione di beni e servizi del settore privato. Viene stimato a partire dai costi di produzione per i servizi prodotti dal settore pubblico PRODOTTO INTERNO NETTO • Il PIN è il valore della produzione lorda vendibile meno il valore di ciò che è stato consumato nel corso della sua produzione. Nel nostro esempio numerico il capitale è tutto circolante (cioè viene consumato per intero nel processo produttivo del periodo considerato - un anno) • Quindi nel nostro esempio • [1] • [2] • 3 80g * 15f * 10L → 300g 30g * 10f * 5L → 100f 20g * 5f * 25L → 200p • PIN = (300p1+100p2+200p3)–(130p1+30p2) = 170p1+70p2+200p3 = 2840 Con p1=10, p2=20, p3=5 • IL PIN può essere visto anche come la somma del valore dei prodotti netti fisici dei diversi beni • i prodotti netti fisici si ottengono sottraendo dalla produzione di ciascun bene la quantità di quel bene consumata come mezzo di produzione in tutta l'economia, dunque in tutte e tre le industrie. • Il pane non è usato come mezzo di produzione e il suo prodotto netto fisico coincide con il prodotto totale; • i due prodotti netti fisici di grano e ferro consistono invece rispettivamente di 300-130=170 unità di grano, e 100-30=70 unità di ferro, e possiamo scrivere • PIN = (300–130)p1+(100–30)p2+200p3, • che è lo stesso risultato di prima CAPITALE FISSO E AMMORTAMENTO • Consideriamo adesso una economia simile alla precedente in cui si utlizza anche capitale fisso nella produzione di grano (trattori) • Quindi ora dovremo considerare che ai settori produttivi si deve aggiungere quello che produce i trattori • Supponiamo per semplicità che i trattori abbiano una vita economica utile di soli tre anni, per cui vengono utilizzati solo trattori che all'inizio dell'anno sono o nuovi, o vecchi di un anno, o vecchi due anni; i trattori vecchi tre anni sono inutili, valgono zero e vengono gettati via • Supponiamo che la quantità prodotta di grano sia la stessa che nell'esempio precedente, ma ora impieghi anche 10 trattori nuovi, 8 trattori vecchi un anno e 5 trattori vecchi due anni (che supponiamo siano appunto le quantità di trattori di cui l'economia dispone all'inizio dell'anno); e che si producano 12 trattori nuovi Economia con capitale fisso [4] 80g * 15f * 10L * 10T0 * 8T1 * 5T2 → 300g *10T1* 8T2 5] 30g * 10f * 5L → 100f 6 20g * 5f * 25L → 200p [7] 10g * 20f * 20L → 12T0 • Dove T0, T1,T2, indicano i trattori, nuovi, invecchiati di un anno, invecchiati due anni • L’ammortamento è la perdita di valore del capitale fisso nel corso del processo produttivo Ammortamento • Siano pT0, pT1, pT2 i prezzi dei trattori di diverse ‘età’ • Nel nostro esempio il valore iniziale del capitale utilizzato nel settore del grano era • 10T0 pT0 + 8T1 pT1 + 5T2 pT2 • Mentre alla fine del processo produttivo nel settore del grano abbiamo • 10T1 pT1 + 8T2 pT2 e quindi • Ammortamento = 10(pT0–pT1) + 8(pT1–pT2) + 5 pT2 Definizione di PIN quando c’è capitale fisso • In presenza di beni capitali fissi si ha • PIN = PLV - valore beni intermedi – ammortamento • Il valore del prodotto netto del settore che produce beni capitali è pari al valore dei beni capitali nuovi meno l’ammortamento, che è anche l’aumento del valore dello stock di capitale (trattori) nell’economia: • 12pT0 – [10(pT0– pT1) + 8(pT1–pT2) + 5 pT2 ] • 2pT0+2pT1+3pT2 • E quindi • PIN = 160p1+ 50p2+200p3 + 2pT0+2pT1+3pT2 Le scorte e la loro variazione • Le scorte sono gli stocks di beni intermedi e prodotti finiti posseduti dalle imprese • Questi stocks fanno parte, per definizione, del capitale delle imprese • Pertanto la variazione del valore delle scorte fa parte del PIN allo stesso modo della variazione del valore dello stock di capitale fisso • Infatti per ogni prodotto vale l’identità: • Stock iniziale + produzione durante l’anno ≡ consumo produttivo durante l’anno + vendite ai consumatori + stock finale • E quindi il prodotto netto fisico di ciascun bene sarà: • produzione durante l’anno - consumo produttivo durante l’anno = vendite ai consumatori + (stock finale – stock iniziale) • PIN = valore della produzione – valore di quanto viene consumato nel processo produttivo = valore dei beni venduti ai consumatori + variazione del valore dello stock di beni capitali fissi + variazione del valore delle scorte • Valore dei beni venduti ai consumatori = consumo aggregato • Variazione del valore dello stock di capitale fisso e delle scorte = Investimento netto ex-post Quindi PIN ≡ C + IN ex-post Prodotto interno lordo • PIL ≡ PLV – valore dei beni intermedi • Differisce dal PIN perché non si sottraggono gli ammortamenti. E’ quindi una misura al lordo degli ammortamenti. • Nozione concettualmente ‘ibrida’ e meno soddisfacente di PIN, ma molto più usata a causa delle difficoltà di stima dell’ammortamento PIL ≡ valore di beni e servizi venduti ai consumatori + Valore della variazione delle scorte + valore dei beni capitali durevoli di nuova produzione Destinazione dei beni e servizi che compongono il PIL • I beni ‘finali’ di cui è composto il PIL si distinguono in • C ≡ consumo aggregato • Iex post ≡ Investimenti lordi ex post • PIL ≡ C + Iex post • Seguendo l’uso comune, useremo di seguito il concetto di PIL e quindi di Investimenti lordi, se non diversamente precisato Variazioni programmate e non programmate delle scorte • NB: • Negli investimenti ex post abbiamo incluso l’intera variazione delle scorte. Tuttavia la variazione delle scorte (sia di beni intermedi che di prodotti finiti) può avere ragioni MOLTO diverse tra loro: • A) una scelta delle imprese che programmano di aumentare (diminuire) le scorte per far fronte alla produzione ed alle vendite (scorte programmate) • B) il risultato non previsto di una difformità tra la produzione e le vendite programmate dalle imprese e quelle effettivamente realizzate (ad es, scorte non utilizzate di beni intermedi, scorte di prodotti finiti invenduti) VALORE AGGIUNTO • • • Il valore aggiunto (lordo) di una impresa è dato da: valore del prodotto – il costo dei beni intermedi utilizzati. Aggregando per tutte le imprese otteniamo: • PIL ≡ VA • Ma il valore aggiunto rappresenta anche i redditi. Infatti per una singola impresa VA = costi diversi dai beni intermedi (redditi da lavoro, interessi, rendite) + utili lordi dei proprietari dell’impresa (redditi da capitale) NB: il reddito dell’imprenditore è un reddito da lavoro autonomo; il reddito del proprietario dei beni capitali è reddito da capitale, cioè profitto. Nel caso di proprietà azionaria i profitti vengono distribuiti in tutto o in parte come dividendi agli azionisti; la parte che rimane all’impresa sono i profitti lordi di impresa (comprensivi dell’ammortamento). Aggregando per l’intera economia: PIL ≡ VA ≡ Reddito interno lordo. In una economia senza rapporti con l’estero RIL ≡ Reddito Nazionale Lordo • • • • • Analogamente in economia chiusa • PIN ≡ RIN ≡ RNN • Dove come si ricorderà tutte le grandezze sono al netto del valore dell’ammortamento. • La differenza tra PIL e PNL/RNL in economia aperta: • ‘interno’ si riferisce a redditi derivanti da attività svolte sul territorio Italiano, anche da non residenti • ‘nazionale’ si riferisce ad attività svolte da soggetti con nazionalità e sede fiscale in Italia, anche se svolte all’estero • Esempi: se un architetto americano la cui attività ha sede legale e fiscale negli USA realizza un progetto in Italia il suo reddito entra nel PIL ma non nel RNL • Se un’impresa di progettazione italiana (con sede legale e fiscale in italia) realizza un progetto in un paese estero, i redditi ottenuti entrano nel RNL ma non nel PIL • NB: i redditi percepiti da immigrati che svolgono la loro attività sul territorio italiano e vivono in Italia entrano sia nel PIL che nel RNL Gli impieghi del Reddito Nazionale Lordo • In un dato periodo il reddito nazionale lordo può: • Essere speso per acquistare beni di consumo da parte delle famiglie che hanno percepito redditi da lavoro o da capitale questa spesa è il consumo aggregato C • Ogni altro impiego del reddito (tenerlo nel cassetto, accantonarlo come fondi di impresa, o l’accumulo di scorte invendute presso le imprese) è definito Risparmio lordo e indicato con la lettera S (dalla parola inglese savings) • Quindi per definizione RNL ≡ C+S • Se partiamo dal RNN questo sarà pari a C + risparmio netto • NB: i profitti trattenuti dalle imprese rientrano per definizione nei risparmi (lordi), quindi S=risparmi delle famiglie+risparmi delle imprese Destinazioni del PIL e impieghi del RNL • Dalle definizioni viste sin qui discende che • PIL ≡ C + I ex-post • RNL ≡ C + S • PIL ≡ RNL quindi • Da cui per definizione S ≡ I ex-post C + S ≡ C + I ex-post I risparmi e gli investimenti ex-post sono per definizione la stessa cosa, cioè quella parte del PIL/RNL che non è venduta/acquistata a fini di consumo. Si tenga a mente che gli I ex-post e i S comprendono la variazione delle scorte sia nella componente programmata dalle imprese che in quella non programmata La spesa o domanda aggregata non coincide con il PIL • La spesa o domanda aggregata o domanda effettiva (lorda) consiste di consumi + investimenti programmati (lordi) • Gli investimenti programmati detti anche Investimenti ex-ante che fanno parte della domanda aggregata sono diversi dagli Investimenti ex-post definiti nella contabilità nazionale. • Nella contabilità nazionale I ex-post sono definiti come PIL - C e coincidono con il valore di tutti i beni capitali prodotti inclusi quelli che entrano nella variazione delle scorte (anche come beni finiti invenduti e come beni intermedi inutilizzati) Investimenti programmati • Gli investimenti che entrano nella domanda aggregata sono invece gli investimenti desiderati o programmati dalle imprese costituiti dalla spesa volontaria delle imprese per l’acquisto di beni di investimento (inclusa la variazione desiderata o programmata delle scorte) • Indicando d’ora in avanti semplicemente con I gli investimenti programmati, abbiamo: • I = Iex-post – variazione non programmata delle scorte • O anche, per quanto già visto: • I = S – variazione non programmata delle scorte • • • • Dunque Domanda aggregata e PIL sono diversi PIL ≡ C + I + VNPS ≡ C+S D≡C+I Si avrà uguaglianza tra D e Pil, e le imprese non si troveranno dunque ad aver prodotto troppo o troppo poco rispetto a quanto viene acquistato da famiglie (beni di consumo) e imprese (beni di investimento) solo quando • I=S • In una economia chiusa e senza settore pubblico questa è la condizione di equilibrio macroeconomico tra domanda e produzione. • Se invece I>S si avrà D>PIL; se I<S si avrà D<PIL Perché si usa il PIL e non PLV per misurare la produzione di un paese • [1] • [2] • 3 80g * 15f * 10L → 300g 30g * 10f * 5L → 100f 20g * 5f * 25L → 200p • con p1=10, p2=20, p3=5 • PLV = 300p1+100p2+200p3 = 6000 • Nel valore 6000 della PLV il valore dei beni intermedi è contato due volte: come parte del valore della produzione in cui sono utilizzati e come prodotti del proprio settore. • Vediamo perchè • • • • • • • • • • Prendiamo il valore del pane, supponendo che w = 26,8 sia il salario, il corrispondente saggio di profitto nell’economia sia = 0,1 (cioè il 10%), e p1=10, p2=20, p3=5 Il processo produttivo è 20g * 5f * 25L → 200p Quindi avremo 20p1 + 5p2 + (20p1+5p2) + 25w = 200p3 Sostituendo: 20x10 + 5x20 + 0,1x300 + 25x26,8 = 200x5 E quindi 200 + 100 + 30 + 670 = 1000 Il valore di 200 del grano e di 100 del ferro entrano nella PLV come parte del valore del pane, ma entrano anche come parte del valore del grano complessivamente prodotto e del ferro complessivamente prodotto. Tanto più frazionati sono i processi produttivi tante più volte contiamo il valore degli stessi prodotti. Quindi il PIL che è la somma del valore dei prodotti netti delle diverse industrie è una misura migliore: il grano e il ferro usati nella produzione del pane vengono contati una sola volta, come parte del valore del pane. FLUSSI e STOCKS • Sono grandezze di flusso quelle che devono essere riferite ad un periodo di tempo: la produzione, il risparmio, l’investimento, il consumo devono essere riferiti a un periodo (anno, trimestre ecc.) • Le grandezze che sono stocks debbono esere misurate in un certo istante: lo stock di capitale, di ricchezza, di debito • Alcune grandezze di flusso rappresentano variazioni degli stocks: un investimento netto positivo fa aumentare lo stock di capitale (viceversa se è negativo). Un risparmio positivo delle famiglie fa aumentare la ricchezza delle famiglie. • • • • PIL nominale e reale Il PIL che abbiamo definito e misurato negli esempi numerici precedenti era il Pil nominale, cioè misurato ai prezzi ‘correnti’ cioè i prezzi delle merci nell’anno in cui il PIL viene misurato Utilizzando ora i simboli comunemente usati nei modelli macroeconomici indichiamo YN ≡ PIL ≡ VA ≡ RNL calcolato ai prezzi correnti Yj ≡ prodotto netto fisico dell’industria j • Dove il pedice j = 1…n indica il settore/industria. • • • • • Nel caso di tre merci, nell’anno t avremo YNt ≡ p1tY1t+p2tY2t+p3tY3t Nel caso di n merci scriviamo in forma più compatta YNt ≡ Ʃj pjtYjt con j che varia da 1 a n YNt è il PIL nominale nell’anno t Costruzione del Pil ‘reale’ • Supponiamo di voler confrontare il PIL di un paese in due diversi anni. Se confrontiamo il PIL nominale di due diversi anni però non sappiamo quanto la differenza dipenda da variazioni dei prezzi o da variazioni delle quantità: • YNt ≡ Ʃj pjtYjt • YNt-1 ≡ Ʃj pjt-1Yjt-1 • Il procedimento che si adotta per calcolare le variazioni ‘reali’ cioè delle quantità prodotte è quello di tenere invariati i prezzi. Si sceglie un anno base che indicheremo come ‘anno 0’ con t=0 Costruzione del PIL reale cont. • Scelto l’anno base, si calcola il PIL reale di ogni periodo moltiplicando le quantità prodotte in quel periodo per i prezzi dell’anno base. • Yt ≡ Ʃj pj0Yjt • Yt-1 ≡ Ʃj pj0Yjt-1 • Dove Yt e Yt-1 indicano il PIL reale nei due periodi • Supponiamo che Yt/Yt-1 = 1,05 • Poiché i per costruzione i prezzi sono gli stessi, possiamo affermare che il Pil in termini reali è cresciuto del 5% • Naturalmente, per definizione, nell’anno scelto come anno base PIL nominale e reale coincidono Misurare la variazione del livello dei prezzi • Il rapporto tra PIL nominale e PIL reale in un dato anno ci dice quanto i prezzi sono variati rispetto all’anno base: • Ʃj pjtYjt / Ʃj pj0Yjt • Infatti le quantità prodotte sono le stesse (quelle dell’anno t) mentre i prezzi al numeratore sono quelli dell’anno t e al denominatore sono quelli dell’anno 0. • Supponiamo che quel rapporto sia 1,12, questo significa che il livello dei prezzi è aumentato del 12% tra l’anno base e il periodo t. • Supponiamo che • Ʃj pjt-1Yjt-1 / Ʃj pj0Yjt-1 • sia pari a 1,09. questo significa che tra t-1 e t il livello dei prezzi è cresciuto del 3% • In modo approssimato variazione% di YN=variazione% di Y + variazione% di P • Dove P indica il livello generale dei prezzi Alcune definizioni riguardanti il mercato del lavoro • Occupati: tutte le persone che svolgono un’attività lavorativa – sia dipendente che autonoma. (sono occupati anche coloro che si trovano in ferie, in malattia o in cassa integrazione). In Italia circa ¾ degli occupati sono lavoratori dipendenti; ¼ lavoratori autonomi. • Disoccupati: Persone che non svolgono attività lavorativa retribuita e che la cercano attivamente (definizione ISTAT: che hanno svolto azioni di ricerca nel corso dell’ultimo mese) • Inattivi: persone che non hanno un’attività retribuita e non sono attivamente alla ricerca di occupazione, comprendono gli studenti, le casalinghe, i pensionati. • Forze di lavoro (offerta di lavoro): la somma di occupati e disoccupati, cioè l’insieme di persone disponibili a lavorare. • Domanda di lavoro: Occupati + posti vacanti presso le imprese, cioè il numero di lavoratori che le imprese desiderano impiegare. • NB: Tra gli inattivi possono esservi persone che in realtà sarebbero disponibili a entrare sul mercato del lavoro ma che sono scoraggiate a farlo dalla mancanza di opportunità. Per questo motivo la reale offerta di lavoro può essere in effetti maggiore di quanto indicato dalla definizione di Forze di lavoro. L’equilibrio macroeconomico tra domanda aggregata e PIL • • • • Abbiamo già visto in precedenza che PIL ≡ C + I + VNPS ≡ C+S D≡C+I Si avrà uguaglianza tra D e Pil, e le imprese non si troveranno dunque ad aver prodotto troppo o troppo poco se • I=S • Se invece I>S si avrà D>PIL; se I<S si avrà D<PIL. • Nella storia del pensiero economico si sono succedute diverse • analisi del rapporto tra risparmi e investimenti. La legge di SAY • Gli economisti classici inglesi (Smith, Ricardo) ritenevano che il risparmio si sarebbe comunque tradotto in ogni dato periodo in investimento produttivo, o perché chi risparmiava lo faceva al fine di investire produttivamente o perché avrebbe prestato i propri risparmi a qualcuno per investirli. Questa idea di uguaglianza tra risparmi e investimenti viene detta ‘legge di Say’ o ‘legge degli sbocchi’ • La legge di Say implica che non si verificano mai carenze di domanda aggregata e che l’accumulazione di capitale e la crescita dell’economia dipendono dal risparmio Critiche alla legge di Say • Marx criticò la legge di Say argomentando che vi possono essere in ogni periodo decisioni di risparmio che non danno luogo a nessuna corrispondente decisione di investimento, così come si può investire indipendentemente dalla disponibilità di risparmi. • Così Marx e altri economisti videro la possibilità di ricorrenti ‘crisi di realizzazione’ dovute all’impossibilità di vendere tutte le merci prodotte (ciò accade come sappiamo quando D<PIL, cioè I<S) • Tuttavia non furono in grado di formulare una compiuta teoria per la determinazione del reddito che tenesse conto del ruolo della domanda aggregata. Investimenti e risparmi nella teoria marginalista o neoclassica • Alla fine dell’ottocento/ inizio novecento si afferma l’impostazione di analisi economica detta marginalista o neoclassica (fondatori: Marshall, Jevons, Walras, Wicksell) che afferma su basi diverse l’idea che gli investimenti tendono sempre ad eguagliare i risparmi aggregati: si sostiene che la domanda di capitale è decrescente rispetto al tasso di interesse, e così di conseguenza anche l’investimento aggregato. • La concorrenza sul ‘mercato dei prestiti’ dove i risparmaitori offrono i risparmi e gli investitori chiedono prestiti tenderà a fissare il tasso di interesse a quel valore tale che risparmi e investimenti sono uguali tra loro • Il tasso di interesse è il rendimento (espresso in percentuale) delle somme date/prese a prestito. • Si riteneva che al diminuire del tasso di interesse diventassero più convenienti (meno costose) per le imprese tecniche di produzione con un più alto rapporto tra capitale e lavoro: L’incremento dello stock di capitale desiderato al diminuire del tasso di interesse implica un investimento netto positivo (tanto maggiore quanto maggiore è la diminuzione del tasso di interesse e l’aumento desiderato dello stock di capitale) Se gli investimenti aumentano al diminuire del tasso di interesse, la concorrenza porta gli investimenti a eguagliare i risparmi i S I I,S • Dunque la teoria marginalista o neoclassica, oggi ancora molto influente, porta a concludere che in ogni periodo gli investimenti si adeguano all’ammontare dei risparmi, e non possono quindi verificarsi carenze di domanda aggregata rispetto al livello di produzione. • Inoltre, in questa teoria si afferma anche che il livello di produzione sarà quello corrispondente al pieno impiego del lavoro, purchè i salari reali siano flessibili. Infatti se quando c’è disoccupazione i lavoratori accettano di lavorare per un salario più basso (si fanno concorrenza sul mercato del lavoro) allora sarà conveniente per le imprese adottare metodi di produzione che usano un rapporto più elevato tra lavoro e capitale. Il mercato del lavoro nella teoria neoclassica • W=salario; Lo= offerta di lavoro; Ld=domanda di lavoro w Lo Ld Ld, Lo Conclusioni della teoria neoclassica e critiche • Se salario e tasso di interesse sono flessibili, il sistema economico tende alla piena occupazione del lavoro • Non si verificano nell’economia fenomeni di carenza (o eccesso) di domanda aggregata rispetto alla produzione: gli investimenti si adeguano ai risparmi • Critiche: Nel corso del novecento questa impostazione di teoria economica è stata messa in discussione prima (nel 1936) da Keynes nella Teoria Generale attraverso la proposizione di una diversa teoria del reddito e dell’occupazione. Poi negli anni ’60 da Sraffa e altri che hanno messo in discussione i fondamenti delle curve di domanda decrescenti di lavoro e capitale (e investimento) Il circuito reddito spesa senza settore pubblico e senza rapporti con l’estero • Le imprese per definizione: producono beni, distribuiscono reddito, investono. • Le famiglie per definizione ricevono reddito (da lavoro, capitale, rendite), consumano, risparmiano. Reddito Imprese Investimento Famiglie Consumo Risparmio La teoria keynesiana del reddito: il modello redditospesa • Ipotesi: • è possibile accrescere occupazione e produzione nell’economia • Gli investimenti aggregati sono dati, non dipendono dal reddito corrente per il loro finanziamento, e vengono considerati solo come componente della domanda aggregata (acquisto di beni destinati alla produzione). Non si prendono in considerazione dunque i loro effetti di creazione (o distruzione) di capacità produttiva nei periodi successivi La funzione del consumo • Il consumo aggregato è la componente principale della domanda aggregata. Da cosa dipende? • I dati mostrano, come del resto è intuibile, una forte dipendenza dal reddito delle famiglie (cioè dal PIL). • Diciamo dunque che il consumo delle famiglie è una funzione crescente del reddito, con pendenza minore di 1: cioè quando Y aumenta anche i consumi aumentano, ma di meno: In Italia, in base ai dati relativi al 1970-2001 (vedi libro di testo), per ogni miliardo in più di reddito delle famiglie il consumo cresce di 783 milioni, e cioè: • C = 2,89 + 0,783 Y • La rappresentazione più semplice della funzione del consumo è la seguente: • C = C0 + cY C C c C0 Y • C0 = ‘consumi autonomi’: • è l’intercetta della funzione, e rappresenta i consumi non finanziati dal reddito corrente (ma dal credito, o dalla riduzione della ricchezza privata) • c = ‘propensione marginale al consumo’: • È la pendenza della retta, e indica quanto variano i consumi al variare del reddito • c = ΔC/ ΔY • La propensione media al consumo è invece data dal rapporto tra consumi complessivi e reddito • La funzione del consumo mostra che c’è una interdipendenza tra domanda aggregata (di cui i consumi fanno parte) e PIL. Nonostante questo, come vedremo, il fatto che la propensione marginale al consumo sia minore di 1 consente di arrivare a determinare in modo preciso gli effetti di una variazione della domanda aggregata sul PIL. • La domanda aggregata è: • D = C + I = C0 + cY + I Y* è il reddito di equilibrio Macroeconomico In fatti solo in Y* D=Y D C+I c C0 + I 45 Y* Y Tendenza verso l’equilibrio In Y’: D < Y le imprese ridurranno la produzione In Y’’: D > Y le imprese aumenteranno la produzione la produzione D C+I C0 + I 45 Y’’ Y* Y’ Y Determinazione algebrica del reddito di equilibrio Abbiamo appena visto la rappresentazione grafica del modello keynesiano reddito-spesa. Arriviamo alla stessa soluzione algebricamente. 1. C = C0 + cY 2. I = I0 3. D ≡ C0 + cY + I0 4. Y = C0 + cY + I0 Dove la 4 è la condizione di equilibrio che impongo al sistema. Risolvendo la equazione 4 in Y ottengo il livello di produzione che soddisfa la condizione di uguaglianza tra domanda aggregata e produzione: Y* = (C0 + I0) / (1-c) Variazione delle componenti autonome della domanda e variazioni del reddito di equilibrio • Da un punto di vista algebrico si può facilmente verificare (farlo per esercizio) che se c’è una variazione pari a I0, l’effetto su Y di equilibrio macroeconomico sarà: Y= I0 / (1-c) • E nel caso di una variazione di C0, l’effetto su Y è: Y= C0 / (1-c) • Il termine 1/(1-c) è detto moltiplicatore keynesiano o moltiplicatore del reddito. Poiché c < 1, il moltiplicatore è maggiore dell’unità. • Quindi: la variazione di una componente autonoma della domanda induce una variazione del Pil di ammontare maggiore nella stessa direzione Il processo economico sottostante al moltiplicatore • Cerchiamo di comprendere il processo economico che fa sì che un incremento iniziale di una componente autonoma di domanda si traduca in un aumento della produzione/reddito di grandezza maggiore. • Indichiamo con A= I0+C0 la somma delle componenti autonome della domanda • La variazione iniziale di una componente autonoma della domanda A genera un aumento della produzione e del reddito di pari ammontare. Una parte di questo reddito aggiuntivo verrà spesa in beni di consumo generando una ulteriore domanda di beni c A a cui corrisponderà un pari aumento della produzione/reddito, di cui una parte verrà destinata all’acquisto di beni di consumo pari a c2 A e così via • Avremo dunque una serie di incrementi successivi di domanda (e conseguentemente di produzione/reddito) pari a A + c2 A + c3 A + c4 A +… cn A… • La variazione complessiva del raddito è la somma di tutti questi incrementi che possiamo scrivere: Y = A(1+c+ c2 + c3 +….) Il limite della sommatoria tra parentesi per un numero di termini che tende a infinito è (1/1-c) e quindi, proprio come avevamo già trovato: Y = A / (1-c) Questo ci mostra che il processo di convergenza verso il nuovo equilibrio è graduale e richiede tempo per svilupparsi completamente La funzione di risparmio e il reddito di equilibrio • Vediamo ora lo stesso processo di determinazione del reddito da un altro punto di vista, che ci fa vedere in modo più diretto che la variazione del reddito di equilibrio in seguito al una variazione della domnda aggregata, determina una variazione dei risparmi aggregati, portandoli ad eguagliare l’ammontare degli investimenti. • Ricaviamo per prima cosa la funzione del risparmio. • S≡Y-C • E quindi • S = Y - C0 – cY = -C0 + (1- c) Y Rappresentazione grafica della funzione del risparmio S S = -C0 +sY s ≡ 1-c s=1-c -C0 Y Rappresentazione dell’equilibrio I0,S S = -C0 +sY s ≡ 1-c I = I0 I0 s -C0 Y* Y Rappresentazione dell’equilibrio I0,S S = -C0 +sY s ≡ 1-c I’ I’ – I0 = ΔS I0 -C0 Y* Y** Y • Un aspetto molto importante della teoria Keynesiana del reddito è che: • gli investimenti aggregati determinano i risparmi aggregati attraverso le variazioni del livello della produzione/reddito. Il paradosso della parsimonia • Quanto appena detto circa il fatto che sono gli investimenti a determinare i risparmi implica che se le famiglie cercano di risparmiare di più, aumentando la propria propensione a risparmiare, ciò farà variare (in questo caso diminuire) il reddito di equilibrio macroeconomico, mentre i risparmi aggregati rimangono invariati. S=-C0+s’Y s’> s S=-C0+sY I0 -C0 Y* Y** Le implicazioni del modello keynesiano reddito-spesa • Il reddito di equilibrio macroeconomico può essere diverso, e normalmente sarà diverso, dal livello di produzione corrispondente alla piena occupazione del lavoro. E’ dunque possibile l’esostenza di disoccupazione ampia e persistente • Il livello di produzione/reddito e la corrispondente occupazione di lavoro dipendono dai parametri del modello, che nel caso semplice studiato sin qui sono le componenti autonome della domanda (investimenti e consumi autonomi) e la propensione marginale al consumo • Una variazione delle componenti autonome della domanda determina una variazione dello stesso segno e di importo maggiore del livello di produzione / reddito di equilibrio. • Una caduta della domanda determina inizialmente una sovrapproduzione di beni e un accumulo indesiderato di scorte, che viene poi eliminato attraverso la riduzione del livello di produzione • La diminuzione della produzione riporta il sistema verso una situazione di equilibrio in cui domanda aggregata e PIL sono uguali (i risparmi sono uguali agli investimenti aggregati).