Fusione Bielli

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INTRODUZIONE
L’energia è ciò che, nelle sue forme più svariate, ci permette di vivere senza compiere troppi sforzi.
Attualmente le fonti attraverso le quali è possibile
produrla sono molte: esistono i combustibili fossili,
come petrolio, gas metano e carbone, che vengono
quotidianamente utilizzati nei trasporti e nelle
abitazioni per riscaldare gli ambienti e cucinare gli
alimenti, e ci sono le cosiddette energie verdi o
rinnovabili, rappresentate dal fotovoltaico, dall'energia
idrica, da quella eolica e geotermica, altamente
preferibili alle altre perché sostenibili per il nostro
pianeta. Tuttavia tra le fonti energetiche oggi utilizzate, non possiamo non nominare il nucleare,
attorno al quale il dibattito è sempre stato aperto.
Per Energia nucleare si intendono tutti quei fenomeni a partire dai quali avviene una produzione
di energia a seguito di specifiche trasformazioni dei nuclei atomici.
STORIA
La storia dell'energia nucleare prende avvio con le scoperte intorno alla
radioattività sul finire del XIX secolo. La prima persona che intuì la possibilità di
ricavare energia dal nucleo dell'atomo fu lo scienziato Albert Einstein nel 1905.
La storia della fissione nucleare è, però, recente: i primi risultati pratici si devono ad
un illustre fisico italiano. Fu Enrico Fermi che, per la prima volta nel 1934,
bombardò l’uranio con alcuni neutroni, arrivando così a creare un
nuovo tipo di energia (fissione nucleare). Alle 15:50 del 2 dicembre 1942
egli avviò il primo “reattore nucleare”, con una potenza di circa mezzo
watt e dimostrò che la reazione di fissione era attuabile e controllabile.
La scoperta, oltre a conferirgli il premio Nobel, fu anche il punto di
partenza di diverse sperimentazioni che presero il via in tutto il
mondo. Purtroppo inizialmente fu usata soltanto a scopi bellici, come
nella seconda guerra mondiale con lo sgancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki
(1945).
I primi veri risultati in termini di utilizzo di energia per mezzo delle centrali nucleari si ebbero nel
1954, quando la centrale di Obninsk divenne il primo impianto in grado di generare elettricità.
Tuttavia la prima vera e propria centrale atomica entrò in funzione solo due anni dopo, nel 1956 a
Sallafield in Inghilterra.
Alla fine degli anni ‘60 i russi annunciarono che il tokamak T-3 raggiungeva alte temperature e
tempi di confinamento di circa 20ms, molto più grandi che quelli di altri esperimenti.
Le misure russe erano indirette. Furono confermate da una squadra di scienziati inglesi che eseguì
sul T-3 misure mediante scattering di luce laser (metodo nuovo per quei tempi).
Lo sviluppo fu inizialmente assai accelerato ma successivamente ebbe un rallentamento legato a
forti contestazioni sugli aspetti di sicurezza che determinarono crescenti difficoltà di ordine
finanziario a causa dei ritardi nel concedere le autorizzazioni per il funzionamento degli impianti
da parte degli organi nazionali per la sicurezza. In alcuni casi, gli stessi organi, imposero delle
sostanziali modifiche agli impianti in servizio o addirittura delle chiusure definitive. L’incidente di
Three Mile Island (1979), Chernobyl (1986) e l’incidente nella centrale di Fukushima in Giappone
(marzo 2011) hanno rinfocolato le polemiche nei confronti dell’opzione nucleare. Quest’ultimo
incidente è stato di gran lunga più grave e per questo ha avuto un notevole impatto sull’opinione
pubblica. In Italia, a seguito di un nuovo referendum popolare -dopo quello del 1987, a seguito
dell’incidente di Chernobyl, le centrali nucleari presenti sul territorio italiano erano state chiuse-,
nel giugno del 2011, l’impiego dell’energia nucleare per la produzione di energia elettrica è stato
nuovamente abbandonato.
Per quanto riguarda la fusione nucleare, invece, ancora oggi non c’è un uso civile su ampia scala.
Si ha solo un uso sperimentale nei laboratori di ricerca dove da anni si stanno compiendo enormi
sforzi per realizzare sulla Terra una reazione di fusione controllata (una reazione termonucleare).
Il maggiore ostacolo è dovuto alle difficili condizioni sperimentali che richiedono temperature e
pressioni elevatissime, simili a quelle nelle stelle. A queste condizioni la materia esiste in forma di
plasma, cioè come miscuglio di ioni e elettroni. Non esiste materiale che sia in grado di contenere
un plasma a tali temperature. Campi magnetici molto elevati vengono per esempio usati per
realizzare il confinamento del plasma. Una volta confinato, il plasma deve essere riscaldato fino
alla temperatura dove si innescano le reazioni di fusione.
Accanto agli studi sulla fusione calda (con temperature simili a quelle nelle stelle), ricercatori,
come Fleischmann e Pons, stanno ricercando un’altra via, quella della fusione a freddo, cioè a
temperatura ambiente.
ATOMI
Intorno all’anno 1800 i chimici francesi Lavoisier e Proust scoprirono le leggi fondamentali che
regolano la formazione dei composti nelle reazioni chimiche. Per spiegare queste leggi l’inglese
John Dalton propose la teoria atomica, secondo cui ogni elemento chimico è costituito da
moltissimi atomi identici, ciascuno dei quali ha in sé tutte le proprietà dell’elemento.
Gli atomi dovevano essere particelle molto piccole, invisibili anche
al microscopio, con dimensioni dell’ordine di 10–10 m (un decimo
di milionesimo di millimetro) e prive di carica elettrica. In greco
atomo significa «indivisibile»: per Dalton infatti gli atomi erano i
costituenti ultimi della materia, privi di qualsiasi struttura
interna.
L'italiano Amedeo Avogadro nel 1811 ipotizzò che un gas è un insieme di
particelle e che, nelle medesime condizioni di temperatura e pressione, volumi
uguali di gas diversi contengono lo stesso numero di molecole.
Nel 1870 il chimico russo Dimitri Ivanovic Mendeleev basò su
questa teoria la sua classificazione dei diversi tipi di atomi: il
risultato era riassunto nella tabella periodica, che permetteva di
spiegare tutti i fenomeni chimici allora conosciuti.
La radioattivita e il modello «a panettone» di Thomson
Alla fine dell’Ottocento però i francesi Pierre e Marie Curie scoprirono che gli atomi di alcuni
elementi chimici possono trasformarsi spontaneamente in atomi di tipo diverso. Tra questi atomi
«speciali» c’è il radio, e il fenomeno fu chiamato radioattività. Gli atomi radioattivi emettono
corpuscoli chiamati particelle alfa (se carichi positivamente) o particelle beta (se carichi
negativamente). La radioattività quindi dimostra che l’atomo non è indivisibile, ma contiene particelle più piccole e dotate di carica elettrica. Poiché però complessivamente l’atomo è neutro, al suo
interno devono esserci particelle con cariche elettriche positive e negative che si compensano a
vicenda. Negli stessi anni il fisico inglese Joseph John Thomson,
facendo esperimenti con i tubi catodici, aveva identificato gli
elettroni, che sono particelle più piccole degli atomi, sono cariche
negativamente e hanno proprietà simili alle particelle beta.
Thomson concluse che l’atomo contiene elettroni, e propose il
primo modello per la struttura interna dell’atomo: una specie di
«panettone» sferico, fatto di una sostanza dotata di carica elettrica
positiva, al cui interno sono distribuite «uvette» corrispondenti
agli elettroni.
L’atomo in realta e quasi vuoto
Nel 1911 il fisico neozelandese Ernest Rutherford eseguì un esperimento destinato a rivoluzionare
la nostra conoscenza dell’atomo. Utilizzò una sorgente radioattiva come «cannone» per sparare
particelle alfa contro lamine d’oro sottilissime, spesse poche centinaia di atomi.
Per il modello di Thomson i «proiettili» dovevano subire una piccola deviazione, a causa della
forza elettrica di repulsione tra le particelle alfa e la carica positiva distribuita negli atomi dell’oro.
Rutherford scoprì invece con meraviglia che la maggior parte delle particelle alfa oltrepassava la
lamina d’oro senza deviare, ma alcune rimbalzavano come se avessero colpito un solido
impenetrabile. Rutherford propose allora un nuovo modello dell’atomo, secondo cui la carica
elettrica positiva è concentrata in un nucleo centrale piccolissimo, che ha un raggio di circa 10-14 m
(un centesimo di miliardesimo di millimetro).
Gli elettroni orbitano intorno al nucleo, a una distanza pari a diecimila volte il raggio del nucleo
stesso.
Secondo questo «modello planetario», in cui gli elettroni orbitano intorno al nucleo come i pianeti
intorno al Sole, gli atomi quindi sono quasi del tutto vuoti. Ciò spiega i risultati dell’esperimento di
Rutherford: la maggior parte delle particelle alfa passa nello spazio vuoto tra il nucleo e gli
elettroni, e quindi attraversa gli atomi indisturbata. In qualche occasione però le particelle
colpiscono il nucleo, e allora rimbalzano.
Il modello dell’atomo di Bohr
Nel modello di Rutherford c’è un problema: il moto degli elettroni è accelerato, perché la direzione
della loro velocità cambia mentre orbitano intorno al nucleo.
Secondo le leggi della fisica tradizionale, una particella carica accelerata perde energia: gli elettroni
perciò cadrebbero sul nucleo in un tempo brevissimo, e gli atomi sarebbero instabili. Nel 1913 il
fisico danese Niels Bohr propose allora due nuove ipotesi:
Nell’atomo gli elettroni possono muoversi soltanto su orbite che si trovano a particolari
distanze dal nucleo;
Su ciascun’orbita l’elettrone ha una particolare energia, che resta sempre costante
nonostante il moto sia accelerato.
Nel modello di Bohr il raggio e l’energia delle orbite degli elettroni sono grandezze quantizzate:
invece di variare con continuità, cioè, possono assumere soltanto alcuni valori.
Il modello atomico di Bohr presentò presto tutti i suoi limiti: non era infatti applicabile ad atomi
con molti elettroni.
Il modello atomico a strati
Gli elettroni sono legati al nucleo dall’attrazione elettrostatica che si instaura tra le cariche positive
e negative e sono sistemati in livelli di energia crescenti, denominati strati o gusci elettronici.
I livelli sono n=1, n=2, n=3, n=4, n=5, n=6, n=7.
Questi sette livelli di energia sono in grado di descrivere la struttura elettronica di tutti gli
elementi della tavola periodica.
Ciascun livello di energia è suddiviso in uno o più sottolivelli, designati con le lettere s, p, d, f.
Dall’orbita all’orbitale
Nel 1915 il fisico tedesco A.J. Sommerfeld, applicando agli elettroni le leggi di Keplero, ipotizzò
che l’elettrone si muovesse descrivendo orbite ellittiche in cui il nucleo occupava uno dei due
fuochi. Successivamente, il concetto di orbita lascia il posto al concetto di orbitale atomico.
La meccanica quantistica dimostra, infatti, che non è possibile definire la traiettoria di un elettrone,
che ha un movimento delocalizzato; il principio di indeterminazione di Heisenberg afferma, quindi,
che di una particella come l’elettrone non si possono conoscere, contemporaneamente, la posizione
e la velocità, in un preciso istante.
Gli orbitali vengono definiti dalle funzioni (funzioni d’onda) che si ottengono come soluzione
della equazione probabilistica di Schrödinger.
Il fisico tedesco Max Born definisce, grazie alle funzioni d’onda, l’orbitale atomico come una
regione dello spazio attorno al nucleo in cui è possibile, con una probabilità altissima (95%),
trovare l’elettrone in determinato istante.
All’interno del nucleo
Tra il 1920 e il 1935 i fisici riuscirono a identificare le particelle che formano il nucleo degli atomi: i
protoni, dotati di carica positiva, e i neutroni, elettricamente neutri.
Poiché gli atomi sono elettricamente neutri, il numero dei protoni e quello degli elettroni è sempre
esattamente uguale. Il numero degli elettroni (e dunque quello dei protoni) viene chiamato numero
atomico Z . Al contrario il numero dei neutroni N è variabile e non deve essere necessariamente lo
stesso di quello dei protoni. Il numero di massa dell’atomo viene quindi definito come il numero
totale di protoni e neutroni, A = Z + N.
Dopo la Seconda guerra mondiale sono stati costruiti grandi acceleratori nei quali le particelle
subatomiche vengono fatte scontrare tra loro a grandissima velocità.
Come nell’esperimento di Rutherford, i risultati degli urti permettono di identificare la struttura
interna delle particelle.
Si è così riusciti a «spezzare» i neutroni e i protoni, scoprendo che sono formati da particelle ancora
più piccole, i quark, che oggi sono il principale oggetto di studio della fisica delle alte energie.
L’ENERGIA DI LEGAME
“Ma perché i protoni nel nucleo non si respingono rendendo impossibile l’esistenza di un atomo?”
La scienza dell’elettrostatica ci insegna che particelle di carica uguale si respingono e questa
repulsione è tanto più intensa quanto più vicine sono le cariche. Pertanto i protoni nel nucleo si
respingono vicendevolmente e, se nel nucleo esistessero solo tali forze elettriche, esso non potrebbe
esistere. Neppure la forza di gravità può spiegare la coesione dei protoni perché a livello
microscopico essa è troppo debole. Forze di altra natura devono esistere all’interno del nucleo per
permetterne l’esistenza. Queste forze nucleari (forti), scoperte nel corso del XX secolo, sono
indipendenti dalla carica e dalla massa dei nucleoni. Esse sono attrattive e diventano efficaci per
distanze paragonabili al raggio del nucleo (10-15 m).
A causa delle forze nucleari, i protoni (o i neutroni) non lasciano spontaneamente il nucleo. Solo
fornendo energia dall’esterno li si può rimuovere. L’energia di legame è dunque definita come
l’energia necessaria per rimuovere un nucleone dal nucleo. Nel caso di un’energia di legame
negativa la formazione di un nucleo sarebbe impossibile poiché esso si dissocerebbe
spontaneamente.
Si può notare che l’energia di legame aumenta per i nuclei leggeri con l’aumentare di della massa
A. Per esempio, per A = 4, cioè per il nucleo di elio, essa è particolarmente elevata poiché la
configurazione con due protoni e due neutroni è particolarmente stabile. L’energia di legame
raggiunge un massimo per il nucleo del ferro (A = 56) e decresce poi per i nuclei pesanti. Da tale
comportamento si desume che esistono due processi medianti i quali si possono ottenere specie
atomiche più stabili. Da un lato, due nuclei leggeri (A < 10) possono fondersi, formando un nucleo
più pesante. Questo è anche più stabile poiché è caratterizzato da un’energia di legame maggiore,
bisogna cioè fornirgli maggiore energia se si vuole rimuovere i nucleoni. Dall’altro lato, un nucleo
pesante (A > 200) si può spezzare in due nuclei più leggeri. Questi sono anche caratterizzati da
un’energia di legame maggiore e dunque sono più stabili del nucleo di partenza. In atomi molto
pesanti, come l’uranio o il plutonio, l’energia di legame è difatti appena sufficiente a compensare le
forze elettrostatiche. Infatti, per Z > 92 non esistono più nuclei stabili.
Questi due processi sono chiamati fusione e fissione nucleare.
FUSIONE NUCLEARE IN NATURA
La fusione è un fenomeno molto frequente in natura. Infatti, l’energia irraggiata dal Sole e dalle
stelle è dovuta a reazioni di fusione nucleare.
Una stella è fatta di gas leggeri, quali idrogeno e elio. A causa della
grandissima contrazione gravitazionale alla quale questi gas sono
sottoposti, la materia stellare si trova a pressioni e temperature
elevatissime (nell’ordine milioni di gradi). Tali pressioni e
temperature sono essenziali per il meccanismo della fusione
nucleare, giacché comprimono sufficientemente i nuclei gli uni agli
altri, opponendosi alle forze di repulsione elettrica. Alle condizioni
a noi abituali, è così molto difficile che due nuclei si uniscano
poiché quando si cerca di avvicinarli essi si respingono a causa
delle cariche positive. Nelle stelle, invece, le condizioni sono tali
che i nuclei possono avvicinarsi abbastanza da entrare nel raggio
di azione delle forze nucleari che li terranno uniti a formare un
nucleo più pesante.
La fusione di due nuclei di idrogeno non genera però un nucleo stabile. Difatti perfino le fortissime
forze nucleari non sono in grado di tenere assieme due soli protoni a causa della loro forte
repulsione elettrica. Esiste però in un nucleo una seconda forza nucleare, chiamata forza nucleare
debole. Grazie a questa forza uno dei protoni può trasformarsi in neutrone
emettendocontemporaneamente due particelle elementari, quali un positrone e+ (una particella
identica ad un elettrone ma con carica positiva) e un neutrino elettronico ν (una particella neutra).
Si forma così un nucleo di deuterio (2H). Un nucleo di deuterio può a sua volta fondere con un
protone rimasto isolato e formare il nucleo di elio 3He (2 protoni e un neutrone), liberando una
radiazione elettromagnetica γ. Due nuclei 3He possono poi fondere e formare un nucleo di elio 4He
(2 protoni e due neutroni), la sciando liberi i restanti due protoni che possono ricominciare il ciclo.
Ogni volta che il ciclo viene compiuto 4 protoni vengono convertiti nel
nucleo di elio, liberando una grande quantità di energia.
Il Sole consuma con questo processo 600 milioni di tonnellate di
idrogeno per ogni secondo. L’età del Sole è stimata essere 5 miliardi di
anni e fortunatamente, secondo gli astrofisici, la nostra stella
continuerà ad irraggiare per altrettanti anni.
REAZIONE DI FUSIONE NUCLEARE
La fusione nucleare consiste in un processo di reazione tra i nuclei di atomi attraverso il quale tali
nuclei vengono avvicinati o compressi a tal punto da far prevalere l'interazione tra protoni e
neutroni (interazione forte) sulla repulsione elettromagnetica causata dalle cariche uguali,
unendosi tra loro e generando un nucleo di massa minore della somma delle masse dei nuclei
reagenti nonché, talvolta, uno o più neutroni liberi; essa è
piuttosto difficile da ottenere, perché i due nuclei sono
entrambi positivi ed avvertono una fortissima repulsione,
chiamata barriera di potenziale elettrostatica.
La fusione di elementi fino ai numeri atomici 26 e 28
(ferro e nichel) è esoenergetica, ossia emette più energia
di quanta ne richieda il processo di compressione; oltre è
endoenergetica, cioè assorbe energia.
COME AVVIENE LA FUSIONE NUCLEARE
Per capire come avviene la fusione nucleare, bisogna però prima fare breve accenno alla teoria
della relativita di Einstein, espressa dalla formula:
E = m c2
dove E e l’energia, m la massa e c la velocita della luce.
Nella fusione nucleare dunque la somma delle masse del nuovo nucleo che
si viene a creare e del neutrone rilasciato e inferiore alla massa dei reagenti;
tale differenza e la massa che si trasforma in energia. Inoltre si deve
ricordare che l’idrogeno possiede tre isotopi: prozio, avente numero di
massa 1, deuterio (D), con numero di massa 2 e trizio(T), con numero di massa 3. Il prozio è
l'idrogeno comune, il più presente in natura, ma sono deuterio e trizio, rispettivamente con uno e
due neutroni in più, ad essere i più vantaggiosi per quanto riguarda la produzione di energia.
Essa, in tali reazioni, si misura in elettronvolt (eV) con i suoi multipli.
1eV=1,602 176 46 × 10−19 J
1MeV=1,602 176 46 × 10−13 J
Come abbiamo detto prima, affinche venga innescata la fusione, i nuclei dei due reagenti devono
essere avvicinati a tal punto che la forza nucleare forte prevalga sulla repulsione elettromagnetica;
ciò può avvenire solo a distanze prossime a 10-15 metri. Al fine di raggiungere tale distanza, si
devono ottenere altissime pressioni, temperature e densita. Esse sono in grado
di comprimere i nuclei l'uno così vicino all'altro, perché la forza di agitazione
termica riesce a superare la barriera di potenziale coulombiana, tanto da
permettere la fusione. Perché essa avvenga, il gas reagente deve essere
riscaldato fino a una temperatura, di almeno 50 milioni di gradi kelvin,
talmente alta che gli atomi sono completamente ionizzati, cioè la materia si
trova allo stato di plasma, con nuclei ed elettroni separati tra di loro in un
"brodo" caldissimo, una miscela di cariche libere positive e negative,
complessivamente neutra.
Un motivo per cui la fusione nucleare e decisamente piu conveniente rispetto alle reazioni
chimiche e data dal fatto che l'energia potenziale totale di un nucleo e di gran lunga piu alta di
quella che lega gli elettroni al nucleo stesso. Per questa ragione l'energia rilasciata è notevolmente
superiore di quella delle altre reazioni chimiche. La fusione nucleare può avvenire tra diversi
atomi. Queste sono alcune delle reazioni prese in esame dagli scienziati, con la corrispondente
energia emessa:
1. Reazione D-T
D + T → 4He (3,5 MeV) + n (14,1 MeV)
2. Reazione D-D - le due reazioni hanno la stessa probabilita di avvenire D + D → T (1,01 MeV) + p (3,02 MeV)
D + D → 3He (0,82MeV) + n (2,45 MeV)
3. Reazione T-T
T - T → 4He + 2 n (11,3 MeV)
4. Reazioni dell'He -ad eccezione della seconda sono aneutroniche3He + 3He → 3He + 2 p
D + 3He → 4He (3,6 MeV) + p (14,7 MeV)
T + 3He → 4He (0,5 MeV) + n (1,9 MeV) + p (11,9 MeV) (avviene nel 51% dei casi)
T + 3He → 4He (4,8 MeV) + D (9,5 MeV) (avviene nel 43% delle reazioni)
T + 3He → 5He (2,4 MeV) + p (11,9 MeV) (nel restante 6%)
La reazione piu studiata rimane comunque quella tra
deuterio-trizio poiche ha la piu bassa energia di attivazione
e dunque permette di avere temperature dei reagenti
nettamente inferiori (circa 20eV, ovvero 200 milioni di
gradi). Il suo svantaggio e la produzione di neutroni ad
alta energia (14,1MeV) che non possono essere contenuti
con campi magnetici ma solamente da schermature
apposite come il cemento armato. Inoltre tali neutroni
tendono ad attivare i materiali metallici nelle vicinanze.
Tuttavia l’alta energia prodotta da essi permette che
avvenga la cattura del calore dalle pareti schermanti e dunque la conversione in energia.
Come si può facilmente intuire, l'utilizzo dell'energia proveniente dalla fusione nucleare sarebbe
molto vantaggiosa. Sorgono però alcuni problemi riguardo all'innesco e al controllo della reazione:
in primo luogo va tenuto conto che tale reazione avviene in natura, ossia nelle stelle, solo ad
altissime temperature (dell'ordine dei 108 K), in modo che la materia si trovi in stato di plasma, e
nessun materiale solido potrebbe da solo resistere ad una condizione del genere. Inoltre si
dovrebbe anche portare la pressione nel plasma a valori molto elevati, confinare i nuclei reagenti e
dunque le particelle di plasma (mobilissime) in uno spazio ristretto, in modo che entrino in
collisione tra loro e avvenga l’innesco della reazione. Per risolvere tutti questi problemi sono stati
fatti e continuano ad essere eseguiti moltissimi esperimenti finalizzati alla ricerca e alla costruzione
di un efficiente reattore nucleare a fusione.
SOLUZIONI AL PROBLEMA DELLA FUSIONE
Una soluzione possibile per il contenimento del plasma è quello della
cosiddetta fusione nel campo magnetico, nella quale intensissimi campi
magnetici costringono le particelle iniettate nel loro interno a muoversi
liberamente solo all'interno di una ben determinata porzione di spazio, in
modo da non venire a contatto con le pareti solide: si parla allora di bottiglia
magnetica. La bottiglia magnetica lineare è costituta da due enormi bobine
che producono linee di forza del campo magnetico di forma bombata, più
intense presso le bobine e meno intense fra di esse. Le particelle iniettate hanno una componente
della velocità parallela alle linee di flusso magnetico, componente che le porta a scivolare lungo tali
linee, ed una componente perpendicolare ad esse, che produce un moto di girazione; la
composizione dei due moti produce un moto elicoidale lungo le linee di forza. Quando il campo
magnetico aumenta di intensità, il raggio di girazione (raggio di Larmor) si riduce; allorché diventa
zero, le particelle invertono il loro moto, e ciò accade tutte le volte che esse si avvicinano ad una
delle due bobine. Le particelle di plasma continuano perciò a muoversi tra le due bobine,
realizzando il confinamento. Quelle che fuoriescono dal confinamento magnetico a causa degli urti
vengono reindirizzate all'interno grazie ad un opportuno campo magnetico esterno chiamato
divertore.
Il campo magnetico viene utilizzato non sono il strutture lineari ma anche in quelle circolari, come
il famoso modello Tokamak, ancora in fase di sperimentazione, di cui parleremo in seguito.
Un'altra proposta avanzata è quella della fusione a confinamento
inerziale, un processo in cui l'innesco delle reazioni di fusione nucleare
avviene per riscaldamento e compressione dei due isotopi dell'idrogeno
che suvccessivamente vengono bombardati da raggi laser.
Un’ altra è la fusione fredda, un possibile sviluppo di energia a
fusione che ha suscitato, negli ultimi anni, molto clamore a causa
della sua effettiva attuazione. E’ particolare poiche e un tentativo di
realizzare reazioni di fusione a temperature e pressioni molto
minori degli altri prototipi, che vengono classificati come fusione
calda. Essa, nonostante sia ancora in via di sperimentazione, è stata
realizzata grazie a due procedure diverse; la prima è il confinamento
muonico. Il muone è una particella dotata di una massa pari a circa
200 volte quella dell’elettrone e possiede una durata della vita
media di circa 2,2 milionesimi di secondo. Tale particella, nel
disintegrarsi, converte il 99,5% della sua massa in energia. Verifiche
approfondite sul suo utilizzo, dimostrarono poi che la quantità di
energia prodotta era molto piccola, poiché il muone riusciva a
catalizzare, al più, una sola reazione prima di disintegrarsi. Ad oggi, le ricerche sullo sfruttamento
delle potenzialità di questa particella, nell’intervallo di temperature che va da -260°C a 530°C, ha
portato all’interessante risultato di circa duecento fusioni per ogni muone, un valore comunque
ancora troppo basso visto che è appena sufficiente a compensare l’energia di alimentazione dello
stesso reattore muonico. La seconda procedura consiste nel confinamento chimico: la fusione fredda,
in questo caso, è basata sulla proprietà di grande ‘assorbimento’ che il Palladio ha nei confronti
dell’idrogeno e dei suoi isotopi. Proprio su questa caratteristica si basava la cella elettrolitica a
“fusione fredda” presentata da due fisici alla fine degli anni '90. L’apparato dei due ricercatori era
costituito, in buona sostanza, da una soluzione di acqua pesante (acqua col Deuterio in luogo
dell’Idrogeno) in cui erano immersi due elettrodi, il negativo (o catodo) costituito dal Palladio e il
positivo (o anodo) dal Platino. Alimentando la cella elettrolitica dall’esterno con energia elettrica, i
due studiosi avevano ottenuto una serie di prodotti “anomali” per una semplice elettrolisi e,
inoltre, una quantità di energia sotto forma di calore maggiore di ben 4 volte quella fornita in
ingresso: in sostanza, una reazione di fusione nucleare ottenuta, però, a bassissime temperature.
REATTORI NUCLEARI : IL TOKAMAK
Già nominato precedentemente, il Tokamak è la prima
macchina con la quale si è tentato di realizzare la fusione
nucleare calda. La sua struttura è stata usata
successivamente in quasi tutti i progetti riguardanti
questo campo; essa è ex sovietica e il suo nome è un
acronimo russo delle parole che la descrivono:
TOroidalnaya KAmera MAgnitnaya Katushka, ovvero
macchina a camera toroidale e avvolgimento magnetico.
Il toro è una figura geometrica che deriva il suo nome
dal latino torus = cintura, cordone. La figura geometrica
toro ha quindi l'aspetto di un tubo chiuso ad anello che è proprio la forma che generalmente ha la
camera centrale delle macchine che lavorano intorno alla fusione nucleare. Al suo interno vi sono i
due isotopi dell'idrogeno deuterio e trizio. La mistura di gas allo stato di plasma risulta essere
controllabile attraverso degli opportuni campi elettromagnetici esterni. I campi magnetizzati sono
di tre tipi: campi toroidale e verticale, indotti esternamente, e campo poloidale generato dal
plasma stesso, che agisce sull'intera struttura.
Il primo viene generato per mezzo di bobine toroidali. Permette di creare un campo diretto attorno
all'asse di simmetria del toro che vincola le particelle cariche a fluire lungo quella direzione. Il
secondo viene generato per mezzo di bobine. Permette il controllo della posizione del plasma
all'interno del toro. Il terzo invece assicura l'equilibrio del plasma.
Ovviamenteogni struttura, costruita per essere funzionale, deve fare in modo che il plasma
raggiunga le condizioni di fusione termonucleare, e devono essere soddisfatte particolari
condizioni espresse dal criterio di ignizione. Importante per il raggiungimento di tali condizioni e la
temperatura del plasma, che viene aumentata attraverso varie tecniche:
1 - riscaldamento ohmico, che consiste nello ionizzare la miscela di deuterio e trizio, ottenendo il
plasma e in seguito agendo sui campi magnetici rapidamente variabili che inducono un campo
elettrico il quale, a sua volta, origina una corrente che riscalda il tutto;
2 - riscaldamento per compressione magnetica, che si ottiene aumentando bruscamente il campo
magnetico toroidale. Si otterrà l'aumento dell'energia cinetica e quindi della temperatura del
plasma;
3 - riscaldamento per pompaggio magnetico, che si origina facendo variare periodicamente il
campo magnetico;
4 - riscaldamento attraverso microonde, che devono avere la stessa frequenza con cui vibrano le
particelle del plasma;
5 - riscaldamento per iniezione di fasci di atomi neutri, che possono penetrare nel plasma senza
subire disturbo dalle cariche elettriche che lo costituiscono. Nel penetrare nel plasma questi fasci
neutri si ionizzano e trasferiscono parte della loro energia cinetica al plasma per urto. Tale
procedimento può essere applicato in combinazione con altri;
6 - riscaldamento per onde d'urto, che si ottiene attraverso raggi laser di elevata potenza che vanno
ad incidere sul plasma (si può anche operare attraverso elettroni accelerati o ioni pesanti).
Il problema sta non solo nel realizzare la reazione di fusione, ma nel ricavarne un'energia
maggiore di quella spesa per ottenerla.
Questo è solo un prototipo sperimentale attraverso il quale è stato possibile dimostrare che si può
ottenere energia mediante fusione di nuclei di elementi leggeri, ma non esistono ancora delle vere
e proprie centrali a fusione nucleare.
PROGETTI PRINCIPALI NEL MONDO
1) JET (Joint European Torus)
E’ il più grande e potente tokamak del mondo ed attualmente l'unica macchina in grado di
funzionare con il mix costituito da deuterio e trizio dei reattori commerciali futuri. In funzione dal
1983, il JET è stato esplicitamente progettato per studiare il comportamento del plasma in
condizioni e dimensioni prossime a quelle richieste in un reattore a fusione.
La macchina JET è stato completato e messa in funzione nel
giugno 1983. Il programma sperimentale è iniziato più
precisamente il 25 giugno, con una corrente di 19.000
ampere al primo tentativo di ottenere il plasma; la
temperatura raggiunta è stata di circa 5 milioni di gradi. Più
tardi nel corso della campagna, ad agosto, è stata ottenuta
una corrente di 600 kA con una tensione di ciclo di 14 volt.
In questa prima campagna, il controllo della posizione
verticale non era stato commissionato. Come risultato, il
plasma era instabile verticalmente e spostato nella parte
inferiore del recipiente sotto vuoto. All'inizio della campagna nel mese di ottobre, furono
apportate delle modifiche alla struttura, con il conseguente ottenimento di 1.4MA con 4 volt
intorno alla struttura. Successivamente sono stati eseguiti numerosi altri esperimenti; verso la fine
della seconda campagna, è stato stabilito un maggiore controllo sul comportamento della densità
del plasma regolando la velocità di alimentazione. Il più alto tempo di confinamento dell'energia
globale è stato stimato a tre decimi di secondo. Oggi la funzione principale del JET è quella di
svolgere esperimenti finalizzati alla costruzione del grande progetti ITER, di cui parleremo in
seguito.
2) TORE SUPRA
Tore Supra è un tokamak francese che iniziò gli esperimenti dopo la chiusura del suo predecessore
TFR(Tokamak di Fontenay-aux-Roses). Il suo nome è una combinazione delle parole toro e
superconduttore, poiché le strutture che lo compongono permettono il mantenimento di un campo
magnetico permanente ad alta intensità.
Il tokamak Tore Supra è situato nel centro di ricerca
nucleare di Cadarache, Bouches-du-Rhône (Provenza).
Iniziò le attività nel 1988. Ha come obiettivo la creazione di
plasma a durata lunga. Attualmente detiene il record per il
tempo maggiore di durata di plasma per un tokamak (6
minuti e 30 secondi a 1000 MJ di energia, record ottenuto nel
2003) e permette di testare parti fondamentali di
strumentazione come componenti di schermi di
contenimento per plasma o magneti superconduttori che
verranno usati nel suo successore, ITER.
3) FTU
FTU e una macchina tokamak di medie dimensioni con
un elevato campo magnetico progettata e sviluppata nei
laboratori italiani di Frascati dall’ENEA. La generazione
di un elevato campo magnetico richiede il passaggio
negli avvolgimenti toroidali di una corrente continua di
37.800 Ampere per 1.5 secondi. Poiche tutti gli
avvolgimenti di FTU sono bobine di rame, al fine di
evitarne il danneggiamento, e necessario abbassare la
loro resistivita in modo da diminuire drasticamente la
dissipazione per effetto Joule. L’unica possibilita e di
tenerle costantemente alla temperatura di lavoro dell’azoto liquido, pari a circa -196 °C. FTU ha
una notevole complessita e richiede un numero elevato di sistemi (o sotto-impianti) per il suo
funzionamento, spesso collocati in altre strutture adiacenti.
4) TCV (Tokamak à configuration variable)
Esso è un reattore a fusione di ricerca del Politecnico federale di
Losanna. La sua particolarità è che la sua sezione toroidale è tre volte
superiore a quello di larghezza. Questo permette di studiare varie forme
di plasma; ciò è particolarmente importante poiché essa è direttamente
legata alle prestazioni del reattore. Il TCV è stato istituito nel novembre
1992.
5) ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor)
Esso e un progetto internazionale che coinvolge l’Unione
europea, la Russia, la Cina, il Giappone, gli Stati Uniti, l’India e la
Corea del nord, che si propone di ricreare un reattore a fusione in
grado di ricavare piu energia di quanta ne serva per l’innesco e il
sostentamento. E' un reattore sperimentale, il cui scopo
principale è il raggiungimento di una reazione di fusione stabile
(500 MW prodotti per una durata di circa 60 minuti) validando e,
se possibile, incrementando le attuali conoscenze sulla fisica del
plasma. L'energia in eccesso ottenuta dalla reazione nucleare non
sarà immessa sulla rete elettrica, né utilizzata per scopi
commerciali. Si tratta di un reattore deuterio-trizio in cui il plasma verra confinato all’interno del
Tokamak. Si parla tuttavia ancora di un reattore sperimentale che, si spera, possa permettere agli
scienziati sia di amplificare le conoscenze riguardanti la fisica del plasma sia di poter sviluppare
successivamente nella futura centrale elettrica a fusione DEMO una piu certa, sicura ed efficiente
reazione di fusione. Sembra che il progetto, nato nel 1992, potrebbe prendere effettivamente il via
dal 2025.
6) CENTRALE A FUSIONE DEMO
Il progetto DEMO mira a convertire l'energia disponibile dalla fusione nucleare in energia elettrica
e solo dopo il completamento di questi progetti si potranno costruire centrali elettriche a fusione
nucleare. Le prime centrali operative sono previste per il 2050. Gli studi sono iniziati prima del
1995 e proseguiranno fino alla progettazione costruttiva del reattore (prevista verso il 2030). Lo
scopo principale del progetto è dimostrare la possibilità di generare energia elettrica tramite la
reazione di fusione nucleare. Questo a differenza del progetto ITER, che ha lo scopo di dimostrare
la possibilità di ottenere del plasma in grado di sostenere la reazione di fusione nucleare per un
tempo sufficientemente lungo (1000 s). Le caratteristiche del plasma di DEMO devono quindi
essere più spinte di quelle del plasma di ITER, cioè tali da mantenere la stabilità della reazione di
fusione per un tempo indeterminato. Il consumo di trizio richiede la presenza in DEMO di un
blanket triziogeno, cioè di una parte di macchina destinata a produrre tale isotopo direttamente in
loco.
UTILIZZI A SCOPI BELLICI: LA BOMBA H
La bomba all'idrogeno o bomba H è l'ordigno nucleare più devastante mai creato dall'uomo. In
termini militari, è considerata un'evoluzione della bomba atomica "semplice", e funziona con una
reazione a fusione termonucleare non molto diversa da quella che avviene all'interno del Sole.
Quest'arma è molto più potente delle bombe atomiche a fissione. Una
"tradizionale" bomba atomica a fissione nucleare si basa sul processo di
divisione a catena del nucleo atomico di un materiale fissile (come l'uranio
235, o il plutonio 239), che avviene in modo incontrollato e rilascia una
grande quantità di energia. Nella bomba H viene aggiunto uno stadio in
più: la fissione nucleare viene usata per creare una prima esplosione e
innescare le reazioni di fusione nucleare (ancora più violente) che generano
temperature e pressioni capaci di innescare una reazione di fusione nucleare
tra gli isotopi dell'idrogeno contenuti in un apposito serbatoio, in modo
analogo a quanto avviene per il Sole. Ecco perché la bomba H è spesso definita bomba atomica "a
due stadi".
Comunque, le reazioni di fissione corrispondono a 2/3 della potenza totale, mentre quella di
fusione ad 1/3.
PRO E CONTRO
L’effettiva realizzazione di un reattore nucleare a fusione comporterebbe naturalmente degli
svantaggi.
L’estrazione del deuterio dall’acqua e la produzione del trizio comportano costi molto elevati;
Costosa risulterebbe anche la costruzione di una centrale a fusione. Come abbiamo spiegato,
infatti essa richiede temperature di lavoro elevatissime, tanto elevate da non poter essere
contenuta in nessun materiale esistente. Il plasma di fusione viene quindi trattenuto grazie
all'ausilio di campi magnetici di intensita elevatissima, che allo stato attuale richiedono una
quantita di energia anche superiore a quella prodotta. Per questo in alcuni esperimenti per
ottenere le alte temperature vengono utilizzati dei potenti laser.
Anche in questo caso gli addetti all’impianto correrebbero il rischio di essere
continuamente esposti alle radiazioni, avendo quindi aspettative di vita inferiori alla media.
Esistono tuttavia considerevoli vantaggi che si possono trarre dalla fusione nucleare.
Le scorie non sono radioattive. Nelle centrali a fissione, i prodotti sono atomi instabili, che
cercano di raggiungere la stabilita, e per farlo emettono radiazioni dannose per gli
organismi biologici. Tali scorie sono altamente radioattive e pericolose e necessitano di
migliaia di anni perche raggiungano il decadimento e, quindi, si crea il problema di
allestire dei luoghi sicuri di stoccaggio. Nelle centrali a fusione invece le scorie non sono
niente di tutto cio. Infatti vengono prodotti elio, gas inerte e non radioattivo, e trizio che ha
una vita media di 12 anni circa. Le centrali a fusione non producono gas che influiscono sul
riscaldamento globale.
Non vi e produzione di plutonio, materiale molto radioattivo e anche molto pericoloso. Le
particelle alfa che esso emette possono danneggiare gravemente gli organi interni, se viene
ingerito o inalato. In particolar modo sono a rischio lo scheletro, la cui superficie assorbe il
plutonio, ed il fegato, dove viene raccolto e concentrato.
Il combustibile della fusione, l'idrogeno, e estratto dall'acqua, una risorsa presente in
qualsiasi paese del mondo. Esso e costituito da deuterio, disponibile per qualsiasi nazione
con sbocco sul mare o che comunque ha a disposizione una fonte d’acqua (eventualmente
puo comprarla), e da trizio, entrambi isotopi dell’idrogeno, presente nell’acqua all’11,19%.
Si riducono le conseguenze di eventuali incidenti. In caso di perdita di controllo, il reattore a
fusione tendera a raffreddarsi arrestando spontaneamente il processo di fusione. Nel caso
dell'attuale fissione nucleare le conseguenze sono drammatiche poiche le grandi quantita di
uranio combustibile tendono a produrre calore in una reazione a catena incontrollata,
provocando la fusione del nocciolo del reattore e la conseguente emissione nell'atmosfera
di enormi quantita di radiazioni (es. Chernobyl).
Si ha una produzione di energia elevata, a differenza di quella prodotta nelle centrali a
fissione. Inoltre non possono essere sfruttate per fini terroristici o per fini che possono
danneggiare-distruggere una nazione.
FONTI:
www.ilportaledelsole.it
www.treccani.it
www.online.scuola.zanichelli.it
www.chimica-online.it
www.sapere.it
www.fisicamente.net
www.focus.it
www.euro-fusion.org
www.fmboschetto.it
LAVORO DI ELISA BIELLI, VIVIANA BOSELLO E CAROLA BUDELLI 3^G
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